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Carlo Molinaro<br />

Carlo Molinaro<br />

Ieri 14 novembre 2007, 17.26.10<br />

Ti leggevo poesie nudi nel letto dopo l'amore<br />

lunedì 4 giugno 2007, 17.10.32 | molinaro<br />

Non so perché oggi pomeriggio mi è venuto in mente di creare anche un blog. È vero che lo fanno un po'<br />

tutti. <strong>Qui</strong>ndi perché no. Ovviamente non so se e quanto ci scriverò. Non so neanche bene come funziona.<br />

Ci provo. Vediamo. Oggi stavo pensando al "quasi". Se giochi al lotto sei quasi sicuro di non vincere, ma è<br />

il quasi che fa sì che il gioco esista (e lo Stato ci guadagni un sacco). Non succede quasi mai che una<br />

ragazza prima non ci stia e poi dopo un mese o un anno ci stia, ma è al quasi che si appigliano i lunghi<br />

corteggiamenti. Io le cose le faccio sempre collegate a persone, non sono autonomo dalle persone.<br />

Creando questo blog penso a Petarda, che è la mia bloggatrice preferita http://www.petarda.splinder.com<br />

e spero mi insegnerà delle blogherie, oltre che della blagherie, e a Sel, che adesso sto lungamente<br />

corteggiando e mi ha fatto venire in mente il secondo quasi. Non significa che queste due siano al centro<br />

della mia esistenza, sono però quelle a cui ho pensato creando il blog. Ovviamente senza nessun motivo,<br />

non c'è mai nessun motivo. Ma dato che sono fondamentalmente un poeta (ormai ho smesso di<br />

vergognarmene e di fare smancerie sul termine, c'è chi è idraulico o schizofrenico e chi è poeta, basta),<br />

nel primo messaggio del blog mi par giusto piazzare una poesia, e la piazzo. La poesia non è dedicata né<br />

a Petarda né a Sel, se no sarebbe troppo semplice. La scelgo soprattutto perché è la più recente che ho<br />

scritto, o quasi. Cogliamo l'attimo.<br />

TI LEGGEVO POESIE NUDI NEL LETTO DOPO L’AMORE<br />

Ti leggevo poesie nudi nel letto dopo l’amore:<br />

non avevamo vent’anni, non era tanto tempo fa,<br />

era oggi pomeriggio e avevamo più di cent’anni<br />

fra te e me. Ti leggevo poesie nudi nel letto:<br />

non è un ricordo lontano perso nelle nostalgie,<br />

era oggi pomeriggio con un cielo grigio e azzurro<br />

mescolato dal vento – e i colori vivaci sul terrazzo.<br />

Non avevamo vent’anni, non era un tempo lontano,<br />

era oggi pomeriggio ed era la prima volta<br />

in vita mia che leggevo poesie nudi nel letto,<br />

tu la prima volta che qualcuno te le leggeva,<br />

e sono nudo al tavolo adesso che scrivo<br />

mentre tu sei quasi addormentata sulle lenzuola spaiate<br />

di due verdi diversi, recuperate insieme<br />

per questa casa che sembra di studenti squattrinati.<br />

È di oggi pomeriggio la luce sui coppi dei tetti,<br />

le mansarde di fronte abitate da slavi e magrebini;<br />

se dico questo secolo intendo dire il ventunesimo,<br />

il nostro: nel Novecento non t’ho conosciuta ma ora<br />

ti ho letto poesie per la prima volta nudi nel letto,<br />

le lenzuola spaiate di due verdi diversi<br />

spinte via dalle gambe, fresche ancora del nostro sudore.<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

TRE LIBRI SEGNALATI<br />

martedì 5 giugno 2007, 7.24.40 | molinaro<br />

Dopodiché, essendo un intellettuale più o meno gemebondo, eccomi a segnalare<br />

tre libri. Un libro di poesie di un poeta bosniaco, uscito nel 1999, che trovo molto<br />

bello e che quasi nessuno conosce in Italia, un libro di poesiole doppiosensuali di<br />

una mia amica che sta a Venezia, uscito pochi giorni fa, e un racconto lungo di una<br />

mia amica che sta dalle parti di Savona, che uscirà entro il corrente mese di<br />

giugno. Del secondo e del terzo ho scritto la prefazione e nota. <strong>Qui</strong>ndi una<br />

segnalazione da «semplice» lettore, di un grande poeta recentemente defunto, e due segnalazioni da<br />

amico e collaboratore di due autrici che considero valenti. Del libro del poeta bosniaco propongo una<br />

poesia (letta a voce molto bene dall’amico Cesare a una festa agreste a Erli, dietro Albenga, il 26 maggio<br />

scorso), degli altri due propongo perlappunto la mia prefazione o nota. Ecco dunque qui di seguito le cose.<br />

Da Izet Sarajlić, 30 febbraio, San Marco dei Giustiniani, Genova 1999, la poesia a pag. 17<br />

Nati nel Ventitré, fucilati nel Quarantadue<br />

Questa sera ameremo per loro.<br />

Erano 28.<br />

Erano cinquemila e 28.<br />

Ce n'erano più di quanto amore ci sia mai stato in una poesia.<br />

Ora sarebbero padri.<br />

Ora non ci sono più.<br />

Noi, che sui marciapiedi di un secolo abbiamo sofferto<br />

le solitudini di tutti i Robinson del mondo,<br />

noi, che siamo sopravvissuti ai carri armati e non abbiamo ucciso nessuno,<br />

mia piccola grande,<br />

questa sera ameremo per loro.<br />

E non chiedere se potevano tornare.<br />

E non chiedere se si poteva tornare indietro mentre per l'ultima volta,<br />

rosso come il comunismo, bruciava l'orizzonte dei loro desideri.<br />

Attraverso i loro anni senza amore, trafitto e ritto,<br />

è passato l'avvenire dell'amore.<br />

Non ci sono stati segreti di erba schiacciata.<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Non ci sono stati segreti di bluse sbottonate.<br />

Non ci sono stati segreti di gigli lasciati cadere dalle mani stremate.<br />

C'erano le notti,<br />

c'era il filo spinato,<br />

c'era il cielo che si guarda per l'ultima volta,<br />

c'erano i treni che tornano vuoti e squallidi,<br />

c'erano i treni e i papaveri,<br />

e con essi, con i tristi papaveri di un'estate da soldati,<br />

con un magnifico senso di imitazione, si batteva il loro sangue.<br />

E intanto sui Kalemegdan e sui Nevskij Prospekt,<br />

sui Boulevards del Sud e i Quais degli Addii,<br />

sui Campi dei Fiori e sui Ponti Mirabeau,<br />

meravigliose anche quando non amano,<br />

attendevano le Anne, le Zoje, le Jeanettes.<br />

Attendevano il ritorno dei soldati.<br />

Se non fossero tornati,<br />

avrebbero dato ai ragazzi le loro bianche spalle mai abbracciate.<br />

Non sono tornati.<br />

Sui loro occhi fucilati sono passati i carri armati.<br />

Sui loro occhi fucilati.<br />

Sulle loro Marsigliesi mai cantate fino in fondo.<br />

Sulle loro illusioni crivellate.<br />

Ora sarebbero padri.<br />

Ora non ci sono più.<br />

All'appuntamento d'amore ora attendono come tombe.<br />

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Pagina 3 di 200<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Mia piccola grande,<br />

questa sera ameremo per loro.<br />

(1953)<br />

Da Clara Vajthó, Poesiole doppiosensuali, Graphe.it Edizioni, Perugia 2007, la mia prefazione<br />

La prima cosa notevole è che questi piccoli componimenti leggeri, che ruotano su arguti incastri di parole,<br />

sono vere poesie: ci trovi lo sguardo attento e meravigliato che scava nelle cose in cerca di senso e di<br />

ritmo, e ci trovi anche una storia viva, narrata in sottili trasparenze.<br />

La seconda cosa notevole è la voce argentina di un parlare erotico al femminile che risulta assai<br />

innovativo: non cade dentro il gorgo ritroso e lamentoso della femmina doverosamente sofferente pure nel<br />

sesso (retaggio d’antica sottomissione e mercificazione, camuffata da famiglia e religione), ma neppure si<br />

perde all’inseguimento delle espressioni più crude o sguaiate della tradizione erotica maschile, di più<br />

collaudata (ma spesso falsa) liberazione.<br />

Clara Vajthó mette in versi un eros che assomiglia, nella sua limpidezza, al gioco dei bambini: serio<br />

preciso attento, e simultaneamente gioioso stupito lieto. In questo orizzonte le differenze fra ciò che è più<br />

lirico e ciò che è più ironico, fra ciò che è più vestito di metafora e ciò che è più nudo e crudo, perdono il<br />

carattere di contrapposizione e diventano complementari pennellate a dipingere lo stesso quadro:<br />

ventaglio di esistenze quotidiane in un chiaroscuro nitido, scritto in colore amoroso e in musica giocosa.<br />

Allora anche espressioni come «apro le gambe», o riferimenti diretti al membro e alla vagina, perdono<br />

ogni traccia di volgarità o di tavolo anatomico, e si restituiscono, come è giusto, alla piena naturalezza<br />

dell’essere, la stessa a cui appartiene il desiderio che «ronza... dentro il cuore», così come l’amore:<br />

«L’amore che hai vissuto / non è tempo perduto / l’amore che hai sognato / è tempo anticipato».<br />

Questo sciame di brevi poesie è dunque un gioco (spesso il titolo contiene, in modo più o meno<br />

enigmatico, la chiave di lettura dei versi) eppure va oltre: va oltre senza strafare e senza presunzione,<br />

proprio come il bambino, che quando gioca a fare il pirata della Malesia è pirata ed è in Malesia, anche se<br />

sa benissimo che fra cinque minuti salirà le scale e si laverà le mani per sedersi a cena con mamma e<br />

papà.<br />

Da Chiara Borghi, Il tempo è scaduto, Edizioni Joker, Novi Ligure (AL) 2007, la mia nota<br />

Pagina 4 di 200<br />

Il primo libro di Chiara Borghi, Drake’s Heaven, del 2001, è stato definito fra l’altro “romanzo di<br />

formazione” e “monografia sulla psiche giovanile”. Questo suo nuovo lavoro, Il tempo è scaduto, apre uno<br />

sguardo più ampio sulla vita osservata nel suo aspetto individuale e, insieme, in quello sociale,<br />

inscindibile. C’è ancora un riferimento generazionale, ma la generazione di cui si parla sembra via via<br />

ampliarsi fino ad abbracciare quasi tutti i viventi del momento storico contemporaneo: i più anziani,<br />

sconfitti, non hanno saggezza da regalare ai giovani, perché la saggezza è stata corrosa e dilapidata dal<br />

trionfante materialismo che ha trasformato l’uomo in “produttore e consumatore”, e il senso di vuoto si<br />

estende ad accomunare i nati nel dopoguerra, negli anni Cinquanta, e i nati alla fine del Novecento<br />

(“secolo breve” oppure, da un altro punto di vista, secolo lunghissimo, separatore di mondi).<br />

La riflessione filosofica sull’esistenza resta centrale nel percorso dell’autrice, e talvolta l’intreccio della<br />

storia sembra un canovaccio su cui l’importante è tessere immagini e meditazioni. Il protagonista, un<br />

uomo sui trent’anni, parla in prima persona, mescolando il presente al passato. La sua vicenda è esile,<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

tutta interiore, non ha nulla di sensazionale. La tragedia si dipana nel suo animo a partire dal suicidio della<br />

ragazza amata, dalla perdita di un amore che poteva, forse, disegnare un senso, tracciare una rotta nella<br />

vanità del quotidiano – e forse no, forse tutto si sarebbe comunque irrimediabilmente dissolto sotto il peso<br />

di una plumbea impossibilità, di un destino pre-scritto.<br />

L’uomo si stacca dalla vita a poco a poco con una rassegnazione calma, quasi sconcertante, che sembra<br />

averlo accompagnato sempre: da un matrimonio contratto per inerzia a un lavoro accettato per<br />

stanchezza, alla noia delle compagnie, fino al lampo d’amore che però lo trova incredulo, inadeguato e<br />

infine inetto, incapace di prendere e farsi prendere. L’occasione perduta di vivere davvero apre la porta<br />

all’irrompere della morte.<br />

C’è forse il nulla della piccola borghesia, che in Occidente sembra aver contagiato più o meno ogni strato<br />

sociale, all’origine di questo vuoto: “Anche se il luogo comune recita che bisogna credere e lottare, questo<br />

nostro esserci non è vita, non è speranza, non è guerra e non è pace: è solo un crudelissimo lungo addio”<br />

– dice l’uomo.<br />

Il gesto finale estremo del protagonista del racconto non è un gesto d’amore ma di fuga, la fuga dalla più<br />

orribile e più desiderata delle cose, la “vita normale”. All’enunciato del titolo sembra doversi aggiungere un<br />

avverbio: il tempo è scaduto finalmente: è scaduto il tempo grigio dove manca il coraggio di versare il<br />

sogno nella realtà, dove per vigliaccheria si dichiara l’impossibilità di credere e impegnarsi, dove la<br />

disperazione diventa un vizio comodo. In questo senso – e forse al di là della stessa intenzione conscia<br />

dell’autrice – il racconto esce dall’intimità di una vicenda sentimentale e proietta sullo schermo il dramma<br />

di una generazione (in senso ampio, come dicevo) a cui, nel frastuono incessante di un pandemonio di<br />

stimoli altamente tecnologici, il potere tenta di amputare l’organo essenziale del vivere: la ghiandola del<br />

sogno. Inceppato il motore del desiderio, l’orizzonte si restringe e il viaggio si chiude. Il tempo è scaduto<br />

sì, ma è scaduto di qualità, come un prodotto industriale che si vuol vendere a prezzo troppo basso. Se la<br />

vita è un giro in un centro commerciale, morire è meglio.<br />

Ma la vita può essere altro? Chiara Borghi parte da un pessimismo predestinato che mi spingo a definire<br />

irritante, provocatorio: “ogni persona è una pellicola su cui il tempo e le occasioni imprimono una storia”, fa<br />

dire al protagonista nelle prime pagine del libro. Nessun margine di libertà e di scelta, nei riquadri chiusi<br />

dei fotogrammi del tempo e delle occasioni? E tuttavia, nello svolgersi della storia, l’amore sembra essere<br />

una possibilità reale, un’acqua che lambisce e che potrebbe penetrare. Nel libro precedente Chiara<br />

incideva rapporti umani più duri: “o si calpesta o si è calpestati”. <strong>Qui</strong> c’è invece uno spazio di tenerezza, di<br />

commozione. C’è in qualche modo il germe dell’amore stesso (cioè della vittoria della vita sulla morte, mi<br />

sia permesso dirlo: l’amore è sempre rivoluzione), ma è un seme che non riesce a radicarsi.<br />

Forte è la tensione a liberarsi della prigione individuale: “Naufragare nell’aria come nell’acqua,<br />

disperdermi, disintegrarmi, dissolvermi lievemente, in un rarefarsi di cellule” – questa una delle sensazioni<br />

che il protagonista del racconto prova quando è invaso dal pensiero della ragazza amata. È in questi lampi<br />

che lo stile dell’autrice sale più alto, è qui che il racconto ci dà il meglio. Un racconto che è forse una<br />

dichiarazione, un manifesto spirituale, un appello. Ed è anche una domanda.<br />

Uscire dalla pasta molle e insidiosa della rinuncia piccoloborghese, riappropriarsi del coraggio e del rischio<br />

della vita, è un’illusione o è una possibilità? Il racconto di Chiara Borghi lascia, problematicamente, la<br />

questione aperta. E lascia, secondo me, un’ansia di fertilità. È un grido sommesso, che va in cerca di chi<br />

ha orecchi per intendere. Ma così, senza apparire, senza retorica. Come un remoto spiraglio.<br />

Chi sono i miei colleghi<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

martedì 5 giugno 2007, 10.58.57 | molinaro<br />

Poco fa sull'autobus 1 mentre andavo a prendere un lavoretto in una casa editrice una bella signora<br />

bionda mi ha chiesto un'informazione, e poi ha attaccato bottone. Mi ha fatto notare che l'autobus era bello<br />

pulito. Perché lo puliscono loro. La cooperativa dove lavora lei. Ci sono diverse cooperative, diverse per<br />

ogni deposito di autobus. Quella dove lavora lei è la migliore. "Passiamo dappertutto con il detergente e il<br />

disinfettante. Mica come certe altre cooperative che danno un colpetto di straccio e via. La differenza si<br />

sente". Aggiunge orgogliosa: "I pullman per le olimpiadi li hanno fatti pulire a noi, anche se la cooperativa<br />

di via Nizza sarebbe stata più vicina. Eh, hanno verificato, e hanno scelto noi". Poi sospira: "Ma certo con<br />

questo sistema delle cooperative non sai mai com'è. A gennaio e febbraio ho preso 1200 euro, ma questo<br />

mese non arrivo a 500. Mi tocca girare qua e là". Esito un attimo, e poi le rispondo: "Anch'io all'inizio<br />

dell'anno ho avuto molto lavoro. Una cosa di fino, fatta rapidamente e bene. Poi però per due mesi niente.<br />

Adesso vado a prendere un altro lavoretto". Mi chiede in che settore, e le dico: "Editoria, libri". Sorride<br />

complice: "Eh, è così. Io sono iscritta al sindacato, ma non c'è niente da fare". Ci intendiamo<br />

perfettamente, finché scendo alla mia fermata e penso che ho chiacchierato con una collega. E con una<br />

della mia classe. Forse è qui che sta nascendo una nuova classe sociale, quella che forse saprà anche<br />

lottare, al posto del proletariato ormai dissolto nelle nebbie della cultura piccoloborghese. Puoi pulire gli<br />

autobus o puoi pulire le frasi di autori distratti per libri eleganti, e puoi essere orgoglioso di come pulisci<br />

quegli autobus e quelle frasi: orgoglioso, a testa alta. Ma se prendi quattro o cinque euro all'ora netti (è la<br />

paga sia per gli autobus sia per i libri), e non sai se e per chi e quanto lavorerai il mese prossimo,<br />

appartieni alla stessa classe, alla stessa compagnia. Non saprei bene come definirla, questa nuova classe<br />

sociale, ma esiste. Forse è semplicemente la classe di chi lavora bene e ha voglia di fare cose ma non ha<br />

in mano le leve del grande macchinario tritatutto, nemmeno le levette piccole, quelle riservate ai leccaculo<br />

e agli ignavi più comodi. Di chi è serio e anche un po' orgoglioso, ma prima o poi, chissà, avrà voglia di<br />

buttare un po' di ghiaia in quegli ingranaggi. Anche se non si sa ancora nemmeno da che parte<br />

incominciare. Magari ditelo a Prodi. O non diteglielo, che è lo stesso.<br />

Com'è che ieri ho aperto questo blog<br />

martedì 5 giugno 2007, 16.21.27 | molinaro<br />

Pagina 6 di 200<br />

Scattano, le cose. O sfumano, tornano, vanno, vengono. Aprire un blog non è una cosa<br />

epocale, l’ho fatto ieri e ci ho messo pochi minuti. Però non saprei dire perché proprio ieri.<br />

Tante volte avevo pensato di farlo, tante volte avevo pensato di non farlo mai. Succede così.<br />

Vale per cose ben più importanti, anche. Sedici anni fa ho smesso di bere. Perché proprio in<br />

quel momento? Già da anni prima ero conscio del problema. Undici anni fa mi sono<br />

separato da mia moglie. Perché quell’anno e non quello prima o quello dopo? Il rapporto era<br />

insopportabile già da tantissimo tempo. Ma le situazioni insopportabili si sopportano, fino a un certo punto che non si<br />

sa qual è.<br />

O almeno, io non lo so. Non generalizziamo. Altri forse sono più programmatori. Certi nodi si sciolgono e certi<br />

restano annodati. Per tanti che ne sciogliamo, moriremo sempre con qualche nodo ancora stretto. Alla mia veneranda<br />

età non so proprio perché gli amori più solidi cominciano in modi così deludenti, senza sogni; e gli amori sognati o<br />

non cominciano neppure o cominciano sì ma durano poco. È una cosa che mi infastidisce alquanto. Non è detto che<br />

sia una regola generale, magari è successo solo a me, e in tal caso aspetto e spero l’amore-sogno che durerà e sarà<br />

solido. Ma certo che il tempo passa e la vita non è eterna. Forse invece avere avuto qualche amore solido e qualche<br />

amore-sogno che comunque qualche mese è durato è già una grande fortuna, forse a tanti non è successo neppure<br />

così, è successo molto di meno, magari non è successo nessun amore per come intendo io. E anche lì: non si sa mai<br />

bene che cosa si intende. Fa niente. Io continuo a innamorarmi e a provarci.<br />

Non c’è un’epoca predestinata. Una settimana fa mi sono buttato per la prima volta in un gelido torrente di montagna.<br />

A vent’anni non l’avrei mai fatto, ero troppo pauroso e imbranato. A quarant’anni ho smesso di portare la canottiera<br />

d’estate. Non è che prima la portassi per un motivo preciso. Da bambino mi avevano detto che era bene portarla e poi<br />

non ci avevo mai più pensato. A volte le cose non mi vengono in mente subito.<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Al primo anno di università, nel 1972, c’era una ragazza piccolina con i capelli lunghissimi che frequentava con me il<br />

corso di romeno. Le piaceva tutto quello che facevo ed era contenta di venire nella mia stanzetta di studente. Ho<br />

pensato che avrei potuto provare a baciarla. L’ho pensato nel 1997. Lei nel frattempo aveva sposato un vietnamita e<br />

fatto dei figli, credo. È molto simpatica. Io dovrei essere più tempestivo. Adesso sono migliorato un po’, però.<br />

Va bene, ma in certe cose ero preveggente: studiavo romeno e a Torino non c’era nessun romeno, ma io lo<br />

immaginavo che oggi sarebbe stato pieno! Ehm. Adesso mi serve. Oddìo, non a guadagnare denaro; mi serve così a<br />

livello di volontariato. Qualche immigrato mi chiede di tradurgli dei documenti o cose così, poi non è mica che mi<br />

paga, anzi mi chiede se ho venti euro da prestargli e io glieli presto, ma non ditelo in giro, per favore.<br />

Forse un blog non è che serva a scrivere tutte queste cazzate. Non ho ancora deciso a che cosa serve e probabilmente<br />

non lo deciderò. Mah, ci metto un’altra poesia recente, e basta.<br />

IL CONTRORELATORE<br />

La tua tesi sul teatro di satira<br />

con cui sei diventata dottoressa<br />

in filosofia nell’ateneo di Genova<br />

dev’essere una cosa interessante<br />

e vorrei leggerla. Le poesie che scrivi<br />

raggiungono una certa intensità<br />

almeno qualche volta e io le apprezzo;<br />

e il tuo nuovo racconto ha uno stile più saldo<br />

del precedente. Sei brava e sei amabile,<br />

fiera ragazza con gli occhi molto azzurri<br />

(forse darebbe un bel nome in cinese<br />

o in pellerossa), però ti ho sognata<br />

in altre circostanze: che ballavi<br />

sui cubi in discoteca, per lavoro,<br />

o baciavi in un bosco di castagni<br />

un uomo, o ubriaca ti sprecavi<br />

in qualche sera storta. Non s’appiglia,<br />

l’amore, ai meriti curricolari<br />

né alle più degne imprese, lo sappiamo:<br />

s’infila nelle crepe per spiare<br />

cose più ambigue – che sa decifrare:<br />

è questo il bello. Comunque la tesi<br />

se me la presti la leggo volentieri<br />

e parleremo di letteratura<br />

mentre il pensiero, senza farsi vedere,<br />

sfiorerà le tue labbra e le tue unghie,<br />

ti slaccerà la gonna e il reggiseno.<br />

Intrecci di poesie e non solo di poesie<br />

mercoledì 6 giugno 2007, 11.11.41 | molinaro<br />

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Pagina 7 di 200<br />

La festa di poesia, musica e cose varie a Erli (SV) il 26 e 27 maggio è stata molto<br />

bella. È la terza volta che partecipo. Quest’anno Chiara e io abbiamo voluto leggere<br />

poesie in coppia, scambiandocene anche una, nel senso che lei ha letto una poesia<br />

mia e io una poesia sua. Un prestare la voce alla poesia dell’altro. Alla fine della<br />

nostra performance Nico, il grande capo di Erli, ci ha un po’ intervistati, con<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

domande anche difficili. Io avevo dato al “pubblico” (se così vogliamo chiamarlo: la<br />

compagnia di amici di Erli) un fascicoletto con alcune mie poesie, e dalla “platea” (per così dire: la<br />

piazzuola, o radura, sotto le case, dove si fa la festa) si è alzata la voce di alcuni: «Leggici quella<br />

dell’amore gioioso». Quella dell’amore gioioso è una piccola poesia di desiderio che secondo me non è<br />

neppure fra le mie migliori. È una piccola invocazione. Ma Nico ha detto: «Allora leggila, su». E poi ha<br />

aggiunto: «Anzi, potrebbe leggerla Chiara». E questa è una curiosa coincidenza, perché Chiara prima,<br />

mentre una sera a Savona in piazza del Popolo preparavamo la nostra performance, aveva detto che<br />

proprio quella poesia le sarebbe piaciuto leggere – anche se dopo ne avevamo scelta un’altra che pure le<br />

piaceva, una nata in un viaggio a Bucarest (lei è affezionata all’Europa dell’Est). Si vede che in qualche<br />

modo quella poesia è proprio destinata a Chiara. Perché ho raccontato questo? Forse perché è bello<br />

pensare che i pensieri legati alle poesie viaggino per canali misteriosi fra le persone. E poi forse è una<br />

scusa per parlare di Erli, che merita: è un paese dove c’è una borgata rimessa a posto da un gruppo di<br />

validi volenterosi, la contrada Bassi, e dove ogni anno, solitamente l’ultimo finesettimana di maggio, si fa<br />

una festa per dare il benvenuto all’estate. Ci potete arrivare da Albenga, in Liguria, prendendo la strada su<br />

verso il passo che porta a Garessio, in Piemonte. O viceversa. È luogo di confine. Va bene. E poi questo<br />

raccontare è anche una scusa per offrire tre poesie. La prima è la mia cosiddetta suddetta dell’amore<br />

gioioso, che in realtà lo chiede, non lo ha: Fammi scrivere versi d’amore gioioso. La seconda è la mia<br />

poesia che Chiara ha letto a Erli, Vento dell’Est, e la terza è la poesia di Chiara che io ho letto a Erli, In<br />

morte a un amico. Sì, è stato bello. Bisogna intrecciare, abbracciare, amare.<br />

FAMMI SCRIVERE VERSI D’AMORE GIOIOSO<br />

[di Carlo]<br />

Fammi scrivere versi d’amore gioioso:<br />

da troppo tempo mancano da me.<br />

Fammi scrivere versi d’amore gioioso:<br />

poi li tolgo dal foglio e li semino in te.<br />

Vedrai che germogli, vedrai che primavera!<br />

Fammi scrivere versi d’amore gioioso:<br />

li potrai coltivare nell’orto del tuo seno.<br />

Sorrideranno quando fiorirai.<br />

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Pagina 8 di 200<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

IL VENTO DELL’EST<br />

[di Carlo]<br />

Rodica si concede a Bucureşti<br />

con ritrosia. L’amico la spalleggia<br />

cercando di ottenere anche due paia<br />

di pantaloni, oltre il mangianastri.<br />

Deve tornare da sua madre a Giurgiu:<br />

ha gli occhi blu come il Danubio blu.<br />

Io parlo româneşte troppo bene,<br />

per questo è diffidente: dice che<br />

non lascerebbe mai il suo paese.<br />

Trascorriamo la notte in una stanza<br />

lercia, senza nemmeno un lavandino,<br />

che mi è costata quattrocento lei;<br />

giaciamo stretti in un lettuccio sghembo,<br />

timidamente forzati a toccarci,<br />

sicuri appena dei nostri vent’anni<br />

e con l’amore di non far l’amore.<br />

All’alba un vento gelido ravviva<br />

la cenere dei suoi capelli corti<br />

mentre mi lascia in Calea Victoriei.<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Racconto tutto al vecchio alcolizzato,<br />

ex miliţian ex securist ex uomo,<br />

che incontro per le strade di Giuleşti:<br />

dice che la conosce, che è fututa<br />

(lemma neolatino) fino in bocca,<br />

mi dice la sua età e il suo cognome,<br />

e che non è di Giurgiu ma di Arad.<br />

Io mi sdegno con lui, lo ingiurio un poco,<br />

però non se ne accorge, e andiamo a bere<br />

un intruglio che chiamano coniac,<br />

perché la ţuica non si trova più.<br />

Entriamo in casa, e m’offre con orgoglio<br />

un bel pezzo di carne affumicata,<br />

frutto di relazioni altolocate;<br />

poi conosco sua figlia, brutta e grassa,<br />

che con la scusa d’una passeggiata<br />

mi porta in un negozio per stranieri<br />

a comprare una gonna e una bottiglia<br />

di whisky vero, con un prezzo assurdo.<br />

Protesto che non ho quasi più soldi:<br />

lei mi conduce al lago Herǎstrǎu,<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

dove c’è pace e il cuor si riconforta.<br />

Dormo da loro clandestinamente,<br />

perché la legge snaturata vieta<br />

la sacra antica ospitalità:<br />

e la casa è graziosa, e fuori ha preso<br />

a nevicare, e io teneramente<br />

li stupisco cantando un loro canto.<br />

Alle cinque, il mattino, scendo in strada<br />

per la coda dell’olio, con la madre<br />

di Elsa, la ragazza brutta e grassa.<br />

La neve fa una pasta scivolosa<br />

sulle pietre rotonde mal disposte.<br />

Mi prende un senso strano di dolcezza.<br />

Cosa farà Rodica stamattina?<br />

Fra cinque giorni tornerò a Vercelli.<br />

IN MORTE A UN AMICO<br />

[di Chiara]<br />

Non ti avvertono<br />

gli amici<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

quando se ne vanno.<br />

Non ti telefona nessuno<br />

se deve dirti «io parto,<br />

io non torno più».<br />

Nella navata gremita la folla s’accalca<br />

ma è tardi, è già l’attimo dopo (di nuovo vita),<br />

non si fa notare lei, tra noi,<br />

non smuove l’aria<br />

non calca<br />

non parla.<br />

Solitaria<br />

fa cenno con la mano<br />

di seguirla<br />

nel suo lontano.<br />

È pausa musicale,<br />

è spazio vuoto nel saliscendi del bus della folla<br />

che sembra smarcata<br />

mentre sempre è<br />

anticipata e rincorsa dall’ombra scura,<br />

l’impronunciabile suono:<br />

Morte<br />

(non c’è più).<br />

La mauvaise graine<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

giovedì 7 giugno 2007, 8.51.49 | molinaro<br />

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Pensavo ancora a che cos’è un blog. Normale, l’ho aperto solo da tre giorni, è la fase in cui<br />

uno si interroga. Tranne quelli che prima s’interrogano e poi fanno le cose, più saggi, ma io<br />

no, io prima faccio le cose e poi penso se era il caso – per me è l’unica via possibile, perché<br />

se ci penso prima poi non faccio niente – vale anche per sposarmi, mettere al mondo un<br />

figlio, prendere un lavoro, eccetera.<br />

Un blog è un contenitore. Quelli di personaggi famosi (Beppe Grillo per esempio) o di<br />

organizzazioni sociopolitiche probabilmente servono anche a organizzare appunto movimenti sociopolitici. Ma io<br />

non sono un personaggio famoso e non ho questa intenzione. Credo di intendere il blog, questo blog, come una specie<br />

di lettera rivolta a chi ha voglia di leggerla. Chi mi conosce sa che di lettere ne ho sempre scritte molte. Il mio<br />

epistolario (se qualcuno l’avesse conservato: io no di certo) occuperebbe più volumi di quello del Mazzini, che pure è<br />

stato stampato in una quarantina di tomi. Certi giorni la mia cassetta della posta riceveva anche cinque o sei lettere.<br />

Quasi tutte colorate, con disegni e ornamenti, quasi tutte di ragazze. Sì, intendo lettere di carta con il loro francobollo<br />

– ormai bisogna precisarlo. Le più belle in assoluto sono state quelle di Diletta, fra il 1993 e il 1996. Anche se ci<br />

vedevamo e facevamo l’amore, ci scrivevamo magari tre lettere nello stesso giorno, addirittura.<br />

Adesso succede molto meno. C’è la posta elettronica ma non è la stessa cosa. Dai, su, tu, chiunque tu sia, magari<br />

scrivimi, oggi l’affrancatura è 60 centesimi, abbordabile, meno di un caffè, e l’indirizzo è via Pinelli 34, 10144<br />

Torino. No, non hanno intitolato una via a quel Pinelli volato dalla finestra della questura, questo è un Pinelli uomo<br />

politico dell’Ottocento.<br />

Per un lungo periodo lettera, caffè, giornale e biglietto dell’autobus hanno proceduto a prezzo uguale. Per molti anni<br />

erano tutti a 50 lire. Poi si sono ritrovati insieme ancora a 100, a 150 lire. Questi discorsi mi fanno pensare che non<br />

sono più un ragazzino. Vabbè. Adesso sono più sparpagliati: lettera 60 centesimi, caffè prevalentemente 80<br />

centesimi, giornali perlopiù un euro, biglietto dell’autobus a Torino 90 centesimi ma lo vogliono aumentare con la<br />

scusa della metropolitana.<br />

Il blog insomma per me è uno spazio libero in cui divagare. Non mi preoccupo di destare l’interesse di qualcuno. È<br />

una lettera a un destinatario imprecisato. Ecco, oggi almeno la penso così. Ieri sera alla stazione di Vercelli ho<br />

incontrato ben tre persone. Strano perché di solito non incontro nessuno, la mia città natale mi è diventata abbastanza<br />

estranea. Ma ieri ho incontrato un compagno di scuola (eravamo insieme nella stessa classe alle elementari e anche<br />

alle medie, poi al liceo in classi diverse) che mi ha pure chiesto una copia del mio romanzo Io sto come mi pare. È<br />

esaurito, forse lo ristamperanno quest’autunno ma non è sicuro. Ho ancora un po’ di copie mie d’autore, se qualcuno<br />

ne vuole me lo dica.<br />

Lui fa l’avvocato quindi dovrebbe passarsela bene ma adesso non tanto, dice che c’è crisi, poco lavoro e poi non lo<br />

pagano. Eh, la crisi c’è. Anch’io sono sempre senza soldi. Pazienza. Non mi lamento troppo. Non sono mai stato un<br />

arrapato del lavoro, lo faccio bene, credo, quello che faccio, ma sono così svagato, adesso sono le nove passate e<br />

sarebbe meglio essere già al lavoro anziché scrivere nel blog. Lavorare in casa senza un orario preciso è un vantaggio<br />

ma anche uno svantaggio: il cartellino da timbrare mi costringeva, quand’ero travet; adesso rimando, e poi finisce<br />

che lavoro ancora alle tre di notte.<br />

Poi ho incontrato una bionda poetessa con il marito, che era lui mio compagno di scuola, non di classe perché è di<br />

due o tre anni più giovane. Con lei faccio il LovePoetry!Tour, che lo trovate fra le pagine amiche di questo blog.<br />

Sicuramente sbaglierò qualcosa, io con la privacy (parolaccia inglese: come facevamo prima di importarla?) ho già<br />

fatto casini a volte, e questo, il blog, è un luogo a rischio. Devo ricordarmi che può leggere chicchessia. Ma starò<br />

attento. Pochi nomi! Una frase come «ieri sera ho fatto meravigliosamente l’amore con Xxxxxx» potrebbe creare<br />

problemi con, secondo i casi e le età, i genitori, i figli, i fratelli, i fidanzati o i mariti di Xxxxxx. Già mi hanno fatto<br />

notare che nel mio libro di poesie La parola rinvenuta ci sono parecchie dediche con nome e cognome e qualcuna sta<br />

in capo a poesie dove si capisce fin troppo bene quello che è successo. Ma insomma la poesia è un po’ una zona<br />

franca... o no? Certo l’amore libero è rimasto fra i sogni, e bisogna un pochino distinguere i sogni dalla realtà, anche<br />

se non sempre, non proprio sempre.<br />

Sta piovendo davvero a dirotto su Torino alle 9.26 del mattino del 7 giugno 2007.<br />

Una mia amica-amore mi ha scritto recentemente una poesia che parla di questo, dell’amore e dei sogni, e voglio<br />

citarne almeno i primi versi: Non sminuire troppo / questo amore / non sarà sogno / è vero / ma è pelle sulla pelle / è<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

abbraccio / in giorni dove non c’è abbraccio. Ricevere poesie dedicate a me è raro, di solito sono io quello che le<br />

scrive. Questa è molto bella.<br />

Ma non sempre è vero che l’amore vissuto concreto si oppone all’amore sognato. Per fortuna non sempre. A volte il<br />

sogno precede, a volte si effonde dopo, a volte accompagna, a volte segue. Quei due o tre che conoscono bene la mia<br />

poesia sanno che non sono di quei poeti lagnosi che scrivono solo per quelle che non gliela danno. Chiaro che scrivo<br />

anche poesie di corteggiamento, di desiderio non (ancora) appagato; ma tante mie poesie sono per l’amore appagato,<br />

contento, vissuto, pieno. Dato che prenderò probabilmente l’abitudine di spargere qui mie poesie, ve ne offro una<br />

d’amore contento, tratta da Sospeso sogno e poi ripubblicata nell’onnicomprensivo La parola rinvenuta. Poi mi metto<br />

a lavorare, che se no è inutile che mi lamento che non ho soldi. Poi adesso non so perché mi è venuta in mente una<br />

bellissima canzone di Léo Ferré, La mauvaise graine, il testo dovrebbe essere qui<br />

http://perso.orange.fr/scl/Lamauvaisegraine.htm finché c’è, perché internet è il regno dell’effimero.<br />

IL GUARDIANO DEI SOGNI<br />

Tu eri un sogno. T’ho sognata una notte<br />

e m’hai riempito il sonno di colori.<br />

Ma quella notte il guardiano dei sogni<br />

– il guardiano che tiene chiuso l’uscio<br />

fra sogno e realtà – s’è addormentato.<br />

S’è addormentato lui! Tu sei sgusciata<br />

lesta fuori e il mattino t’ho trovata<br />

nel letto accanto a me. Che cosa fortunata!<br />

Adesso tu sei la mia fidanzata.<br />

LA MANO CHE NON MORDI<br />

venerdì 8 giugno 2007, 0.02.19 | molinaro<br />

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Fare pubblicità gratis a una casa editrice grossa mi rompe un po’, ma fa lo stesso.<br />

Questo libro mi piace e mi coinvolge. Un buona chiave per capire qualcosa dell’ex<br />

Iugoslavia ma anche della Romania, che non è molto diversa. Io che con la<br />

Romania ho avuto profondi rapporti, che ci ho viaggiato molti mesi nel corso di<br />

molti anni, e che mi sono imparentato con romeni, ritrovo nel testo un sacco di<br />

cose, quindi posso dare la mia «conferma», per quel che vale, a ciò che scrive<br />

Ornela. Sono solo ottanta pagine ma dense di sostanza. Si legge in una sera. Ho comprato due copie del<br />

libro, una per me e una per Chiara. Faccio spesso così: anche se ho pochi soldi, quando un libro mi<br />

colpisce ne compro un’altra copia, a volte persino altre due, per qualcuno che a quel libro mi sembra<br />

adatto. Bene, non mi dilungo: il libro è La mano che non mordi, di Ornela Vorpsi (che scrive in italiano: non<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

è una traduzione), Einaudi, Torino 2007, pp. 88, euro 8,80 (non so se l’hanno fatto apposta: esattamente<br />

dieci centesimi a pagina). Io l’ho comprato a Torino alla libreria Massena 28, ovviamente in via Massena<br />

28, ottima e volenterosa piccola grande libreria aperta al nuovo e agli incontri: http://www.massena28.com<br />

Poetry slam al «Circolo dei lettori»<br />

sabato 9 giugno 2007, 18.43.03 | molinaro<br />

Ieri sera ho partecipato a un poetry slam organizzato al «Circolo del lettori», a Torino in un<br />

palazzo sontuoso, del Seicento, mi pare, che mette soggezione. È un palazzo dove abita<br />

anche della gente, certo gente un po’ particolare, non credo precari da 700 euro al mese. C’è<br />

pure un portinaio che sembra un ammiraglio (ma non è sempre il medesimo: anche lì,<br />

ormai, cooperative sparse di ammiragli a tempo determinato e senza pensione). <strong>Qui</strong>ndi è un<br />

condominio, e funziona come tutti i condomìni: i condòmini si lamentano del viavai del<br />

«Circolo dei lettori», benché tale circolo sia aristocraticissimo. È nella natura del condomino lamentarsi: dove c’è una<br />

discoteca si lamenta della discoteca, dove c’è un bar si lamenta del bar, dove ci sono bambini che giocano si lamenta<br />

dei bambini che giocano, dove non c’è nulla si lamenta che il quartiere è abbandonato.<br />

Comunque: ho partecipato al poetry slam e sono arrivato terzo su sette. Non male, anche se come al solito (è almeno<br />

la terza volta che mi succede) dopo la partenza lanciata con un componimento classico di sicuro effetto (il Recitativo<br />

contro i treni rapidi), mi sono fregato al secondo giro con una poesia che stavo ancora scrivendo, nuova, neppure<br />

ancora finita, e per di più vagamente d’amore. Poco adatta. È un errore che commetto spesso, ma non importa. Mi<br />

rifiuto di scegliere sempre i pezzi più adatti alla competizione, altrimenti la poesia poi comincia a sembrarmi un<br />

mestiere e se mi sembra un mestiere poi rischio di odiarla come si odiano tutti i mestieri: come si odia, naturalmente,<br />

ogni cosa che deve essere fatta in cambio di qualcosa.<br />

La poesia in questione avevo cominciato a scriverla il pomeriggio all’Imbarchino, un posto affacciato sul Po che vi<br />

consiglio vivamente (è al Valentino, più o meno sotto il castello della facoltà di Architettura, un po’ a valle, mi pare,<br />

delle società di canottieri Armida e Cerea – o un po’ a monte, adesso non riesco a focalizzare, comunque nelle<br />

vicinanze) perché è bellissimo, è gestito da una cooperativa di ragazzi e puoi passarci tutto il pomeriggio prendendo<br />

un caffè (80 centesimi) o anche prendendo niente, ma qualcosa prendi, dai, se no finisce che fallisce e chiude e<br />

sarebbe un vero peccato. Poi avevo continuato a scriverla cenando con un’insalata al Brek di piazza Carlo Felice.<br />

Quando l’ho letta al poetry slam non era proprio finita, ma quasi; adesso è finita e ve la offro qui. La copertina di<br />

libro a cui è ispirata la potete comodamente vedere: è l’immagine attaccata al messaggio che precede questo. Bene.<br />

Va così.<br />

LE ALI DI CHIARA<br />

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Osservando una fotografia intitolata appunto Le ali di Chiara, sulla<br />

copertina del libro di Ornela Vorpsi La mano che non mordi,<br />

nell’edizione Einaudi, collana L’Arcipelago Einaudi, 110, Torino,<br />

febbraio 2007.<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Il fiume s’è alzato, ha coperto i tre gradini<br />

più bassi. Le ali di Chiara<br />

sono dipinte sulla schiena. Hanno tolto i tavolini<br />

dalla terrazza inferiore. Le ali di Chiara<br />

sono dipinte sulla schiena in color sangue.<br />

Si resta a bere sul terrazzo più alto. Le ali<br />

di Chiara, color sangue, non sono per volare.<br />

Si servono caffè in tazze di plastica. Le ali<br />

vere sono nascoste. Gli studenti sfogliano<br />

dispense in fotocopie rilegate con spirali.<br />

Le ali scendono sulla schiena come sangue.<br />

Squilla un telefono. Bisogna cancellare<br />

le ali di sangue perché possano schiudersi<br />

le ali vere. Quattro canottieri spingono un armo<br />

nella corrente. Come cancelli il sangue?<br />

È giugno, è tempo d’esami, due ragazze<br />

s’interrogano di biologia. Non lo cancelli<br />

ma seccherà, e si distaccherà. Il fiume è gonfio,<br />

dopo la siccità prende respiro. Le ali di Chiara<br />

si apriranno leggere, invisibili, frantumeranno<br />

il sangue. Un ragazzo si toglie gli occhiali.<br />

Asciugate dal sangue le ali di Chiara<br />

la porteranno in volo, via dall’amore in eccesso,<br />

via dallo stringere di braccia senza garbo,<br />

via dalla nostalgia carnivora, da tutte<br />

le trappole del tempo. Un cameriere<br />

prepara per la sera. Osserveremo<br />

il volo libero, non alzeremo il braccio<br />

per fare segni, non racconteremo<br />

come si svela il suo mistero. Il fiume<br />

trascina tronchi grigi. Eviteremo<br />

di fare chiasso, d’innamorarci troppo<br />

o di esternare chissà che sciocchezze.<br />

S’accende qualche luce dietro il banco,<br />

un uomo indossa il grembiule e risciacqua<br />

i boccali. Le ali di Chiara<br />

non saranno più argomento per discorsi<br />

quando Chiara, ordinata una birra,<br />

sorriderà come dovrebbero sorridere<br />

tutte le donne, in piedi, fra gli amici.<br />

Torino, 8-9 giugno 2007<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Un sabato sera in casa da solo<br />

sabato 9 giugno 2007, 22.07.27 | molinaro<br />

Un sabato sera in casa da solo. Non mi dispiace poi tanto, andrò a letto presto, sono<br />

stanco, domani mi aspetta una domenica lavorativa. Credo di avere capito un’altra cosa<br />

su questo blog che ormai ha quasi una settimana di vita. Forse l’ho aperto per tenere di<br />

nuovo un diario io, semplicemente un diario mio. Da i 13 ai 40 anni circa l’ho tenuto,<br />

un diario: scrivevo quasi ogni giorno su un’agenda gli avvenimenti, i pensieri, le<br />

considerazioni. Ho tutte quelle agende in uno scaffale, è divertente a volte (ma molto di<br />

rado) andare a riscoprire gli eventi di un giorno lontano. Giorni importanti: il 1° febbraio 1969 dichiarai<br />

apertamente il mio amore a Chiara (dopo averci pensato più di un anno, s’intende). Non la stessa Chiara di cui<br />

ho già parlato in questo blog, perché questa era ancora molto di là da nascere, le mancavano una dozzina<br />

d’anni ancora prima di venire al mondo. Un’altra Chiara. Giorni meno rilevanti: il 1° giugno dello stesso anno<br />

1969 feci una pedalata da Vercelli fino al santuario di Crea, con amici di cui nel diario elenco i nomi. Un diario,<br />

cose grandi e piccole. Poi non ci sono più riuscito. Ho riprovato, ogni tanto, a cominciare un quaderno. Ma<br />

sono tutti abortiti dopo poche pagine. Tenere quaderni non è (più) da me. Anche le poesie le scrivo su fogli<br />

sparsi, prima di trascriverle al computer. Le cose non mi piace più raccontarle solo a me stesso, a un diario<br />

chiuso in un cassetto. Sarò diventato più estroverso, che volete mai. Era anche ora, si potrebbe dire. Ma sì, vado<br />

a dormire. Poco fa mi frullava in capo una domanda: ma se sono permessi l’alcol, il tabacco e le religioni, che<br />

senso ha vietare gli spinelli? Buona notte.<br />

Vercelli, Vercelli, stazione di Vercelli<br />

domenica 10 giugno 2007, 22.54.47 | molinaro<br />

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Un temporale violento su Vercelli ha fulminato il televisore di mia madre e un treno,<br />

ma con un altro treno sono tornato a Torino. La domenica sera vado spesso a cena<br />

da mia madre a Vercelli. Dopo il temporale, alla stazione, nuvole di zanzare.<br />

Vercelli, la mia città natale, ha con me un rapporto tenue, debole, forse<br />

insignificante. C'è uno scarso interesse reciproco. Credo che nessuna libreria di<br />

Vercelli tenga miei libri. Li terrebbero se scrivessi di storia locale, o di cucina, o se<br />

almeno, pur essendo un poeta, fossi un poeta dialettale che va alle sagre. Credo che non mi perdonino il<br />

mio trovarmi meglio a Torino, che a me appare così naturale. E a Vercelli non so mai che cosa raccontare.<br />

Mi chiedono come stanno i miei figli e nipoti e come va il lavoro. Stanno bene, per fortuna, e il lavoro va<br />

come va, c'è e non c'è, è poco pagato ma si tira avanti. D'accordo, ma, detto questo, potremmo parlare di<br />

qualcosa un po' più in confidenza? Di che cosa ci ha emozionati stamattina e di chi siamo innamorati?<br />

Uno se la aspetterebbe, questa confidenza, dal natio borgo selvaggio. E invece no, niente.<br />

Prima di entrare in stazione ho preso un orzo in tazza grande nel chiosco della piazza lì davanti: è l'unico<br />

bar di Vercelli che, si può dire, frequento, almeno occasionalmente. Ci sono guardiani notturni, taxisti,<br />

vagabondi, viaggiatori e stranieri. Mentre bevevo l'orzo ho sentito ordinare un caffè e ho avuto<br />

un'illuminazione. Il caffè è stato ordinato con queste parole: "Ma sì, vah, dammi un caffè, ah". Ma più che<br />

le parole conta il tono, un tono rassegnato e nello stesso tempo infastidito, stanco, scazzato. Quasi a dire:<br />

non sarebbe il caso di prendere un caffè. Non sarebbe il caso di fare nulla. Non sarebbe il caso di parlare,<br />

di comunicare. Non sarebbe il caso neppure di vivere. Non vorrei mai confidarti, barista, che voglio un<br />

caffè. Cioè, che forse lo voglio. Lo voglicchio. Dio quanto mi pesa questa confidenza. Ma per stavolta, vah,<br />

ma sì, uff, dammi un caffè. Mi sono accorto improvvisamente che a Vercelli quasi tutti i caffè si ordinano<br />

così. Che dire qualsiasi cosa è una grande fatica. Anzi, non è una fatica, è un disonore. Se fossi un vero<br />

uomo starei zitto. Ma mi abbasso a parlare per chiedere un caffè, sì, vah. Me ne vergogno molto.<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Vercelli mi ha abituato a questo: a considerare ogni cosa che faccio, ogni cosa che dico, un disonore,<br />

un'onta, un abbassamento. Un'umiliazione. A meno che uno gridi, che sia prepotente, allora è un altro<br />

discorso, dopo che uno ha gridato forte e a lungo il caffè non deve più nemmeno chiederlo, basta un<br />

cenno.<br />

Mah. Probabilmente esagero. È stato anche il luogo della mia infanzia. Qualche sogno ci è rimasto. Però<br />

da non dire, appunto. Da tenere ben nascosto. Ben chiuso. Come le cose vergognose. Fra le risaie, solo i<br />

deboli e le donnicciuole possono avere un'anima da comunicare. Gli uomini stanno zitti, o parlano di<br />

cazzate, che è lo stesso che stare zitti. Va così. Eppure c'era, poco distante da Vercelli, una grande<br />

foresta, e lì il silenzio aveva un senso, e io stavo zitto per non disturbare, e ci scrissi una poesia. Ma non si<br />

poteva stare per sempre zitti e chiusi. Secondo me, almeno, non si poteva. Io ho preferito andare via.<br />

RICORDO D’INFANZIA<br />

C’era, poco distante da Vercelli,<br />

una grande foresta. A torso nudo<br />

m’inoltravo nel verde, e mi colpiva<br />

il sole, che oscillava sulle foglie.<br />

C’era una chiazza d’acqua che agitava<br />

bolle di sabbia, e nasceva un ruscello<br />

che rallentava in piccoli laghetti.<br />

Molto lontano, il croscio di una cava.<br />

C’era un sentiero nitido, compatto<br />

di terra bianca fra due cigli d’erba:<br />

di colpo si perdeva sul ghiaione<br />

sparso di secchi rami calcinati.<br />

Il fiume scintillava e scivolava<br />

vegliato dagli stridi degli uccelli.<br />

Sopra il filo dell’acqua, qualche uomo<br />

stava in piedi, qualche volta, fissando.<br />

Spingevo piano la mia bicicletta<br />

perché non disturbasse. Mai nessuno<br />

disse sconce parole.<br />

Liberiamo il libero amore<br />

lunedì 11 giugno 2007, 9.51.47 | molinaro<br />

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Sí, tu niñez: ya fábula de fuentes.<br />

Jorge Guillén<br />

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Le utopie sono sempre state pericolosissime e tanti (troppi)<br />

sono stati i filosofi utopici: persino Platone può essere<br />

interpretato in questo senso, ma poi arriviamo a Tommaso<br />

Moro, Tommaso Campanella (forse Tommaso è un nome da<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Pagina 19 di 200<br />

utopista?) e ad architetti come Le Corbusier, e così via. Finché<br />

l’utopista è un giocherellone che si diverte a immaginare una vita perfetta (senza<br />

rendersi conto della contraddizione primaria già insita nel termine: una vita<br />

perfecta è prima di tutto una vita passata, finita, quindi è la morte) possiamo<br />

anche lasciarlo stare nel suo brodo. Immaginare un mondo perfetto è come la<br />

masturbazione, mentre vivere nel mondo imperfetto è come fare l’amore; se lui<br />

preferisce masturbarsi, cavoli suoi. Quando però l’utopia viene propagandata e<br />

usata dal potere per imporre un modello totalitario, allora non è più innocente:<br />

c’è un filo rosso che lega Platone a Hitler e Stalin (l’ha evidenziato Karl Popper).<br />

Insomma sì, l’utopia è pericolosissima.<br />

Nelle utopie spesso ci sono alcuni ingredienti comuni: abbondanza di merci e di<br />

beni, meccanismi sociali funzionalissimi, abolizione della proprietà, educazione<br />

comunitaria dei bambini, libero amore. Pare che per gli utopisti queste cose siano<br />

della stessa natura, da mettere nello stesso paniere. A me sembra che l’ultima, il<br />

libero amore, sia invece molto diversa. Per inciso, notiamo che è l’unica utopia<br />

che nessuna dittatura ha mai promesso. Vorrà ben dir qualcosa.<br />

Il fatto che gli utopisti mettessero il libero amore nel paniere con l’abbondanza di<br />

beni materiali (il paese di Cuccagna) secondo me dimostra che erano utopisti<br />

maschilisti, e il loro discorso assomigliava a un pane e figa per tutti. Ci sono stati<br />

anche utopisti più seri, forse, che hanno previsto un libero amore anche<br />

femminile. Però ancora in modo molto materiale, carnale, mentre l’amore è un<br />

cortocircuito di carne e spirito – le due cose insieme, sempre. A ogni amore<br />

partecipano i cieli, come scrissi in una poesia molti anni fa. Ma il problema è un<br />

altro: è che il libero amore, proprio in quanto libero, con l’utopia fa a pugni, e<br />

dunque inquadrarlo nel pericoloso schema dell’utopia è da mentecatti.<br />

Il libero amore è una cosa che nasce democraticamente dal basso,<br />

semplicemente facendolo. Infatti quel poco che esiste esiste così. Mica con i<br />

proclami. <strong>Libero</strong> amore è una ragazza di Genova che conosco, che nel<br />

festeggiare i suoi 18 anni ha constatato divertita: «Coi ragazzi ho fatto l’inverso<br />

del numero degli anni, ne ho avuti 81». E non ha perso il conto, perché ognuno<br />

ha avuto la sua importanza. <strong>Libero</strong> amore è un amico che sta dalle parti di<br />

Savona che dopo tanti discorsi e tante poesie sull’universalità dell’amore, sul<br />

profumo di tutte le donne e di tutte le città, si scopre geloso come un serpente e<br />

incapace di tollerare che la «sua» ragazza baci un altro, e però non ha più tutto<br />

un universo a dargli ragione come sarebbe successo cinquant’anni fa, e va pure<br />

in crisi. <strong>Libero</strong> amore è una ragazza lombarda che s’innamora di uomini e donne<br />

e lavora normalmente e non ha altri problemi che quelli che nascono dai<br />

sentimenti. <strong>Libero</strong> amore è quando chi critica le ragazze dai molti fidanzati viene<br />

considerato non più di moda, e succede così, spontaneamente, non perché<br />

qualcuno l’ha deciso. <strong>Libero</strong> amore è quando m’innamoro di una ragazza con tutti<br />

i suoi altri amori o quando lei s’innamora di me con tutti i miei altri amori. <strong>Libero</strong><br />

amore è persino stare insieme solo in due, se oggi o sempre ci va bene così, ma<br />

senza pensare neppur lontanamente di fare una cosa più giusta di altre. Sono<br />

tutte faccende che nascono dalla quotidianità, dal basso. Lentamente, forse<br />

troppo lentamente, ma nascono.<br />

Fare discorsi utopici sul libero amore è invece contraddittorio, appunto, è voler<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

normare e schematizzare ciò che non è normabile né schematizzabile: come si fa<br />

a dare una norma all’aggettivo «libero»? È la trappola dell’utopia. Dunque<br />

liberiamo il libero amore dall’utopia del libero amore. Non è un meccanismo che<br />

deve ben funzionare, il libero amore. È un casino, con tutti i suoi drammi. Ma è<br />

bellissimo!<br />

Ora, io ho parlato del libero amore perché sono notoriamente maniaco di questo,<br />

ma mi viene il ragionevole dubbio che il discorso valga anche per tutto il resto.<br />

Per la democrazia, per la libertà politica, per la libertà religiosa, per le scelte<br />

economiche, stilistiche, estetiche. Tutte queste cose se vengono imposte dall’alto<br />

cadono su di noi come una cappa di piombo, magari formalmente perfetta ma<br />

che ci soffoca e ci uccide. Se nascono lentamente dal basso, saranno sempre<br />

imperfette, conflittuali, ingarbugliate, ma vive, vere, con meravigliosi precari<br />

sprazzi di felicità (e non la tetra felicità perenne promessa/promossa dagli<br />

utopisti).<br />

Persino il mitico non fate la guerra fate l’amore è uno slogan troppo totalitario.<br />

Nella vita potrà capitare di far guerre, neppure le guerre si possono cancellare<br />

dall’alto, d’autorità: cercheremo di evitare le guerre, ecco tutto, nel nostro<br />

piccolo, dal basso. Ma non sempre ci riusciremo. Tantomeno riusciremo a far<br />

sempre l’amore. Io stamattina mi sa che non lo faccio: le due donne che ogni<br />

tanto gradiscono farlo meco sono lontane; un’altra non lo gradisce ormai più<br />

tanto; una che mi piace moltissimo mi ha detto di no, benché io non mi rassegni;<br />

con qualche altra ci sono sviluppi possibili ma per oggi un po’ astratti. <strong>Qui</strong>ndi<br />

anche non fate la guerra fate l’amore è un po’ una cazzata che, in fondo, nega il<br />

libero amore: ciò che è libero è precario, imperfetto, vagante, trepidante,<br />

ansioso, bello, inatteso, imprevedibile, fuggente, incompiuto, indefinibile – e<br />

soprattutto non potrà mai stare dietro un imperativo, perdipiù plurale, collettivo,<br />

come fate.<br />

Fatevi tutti una buona giornata, però! Ciao!<br />

Buon compleanno, Francesco!<br />

martedì 12 giugno 2007, 20.51.09 | molinaro<br />

Vent’anni fa, di sera come adesso, nasceva il mio secondo figlio, Francesco. Un figlio che<br />

compie vent’anni è sempre un’emozione. Del resto la prima figlia, Lucia, mi ha già dato<br />

pure l’emozione di secondo grado: nonno di due nipotini. Forte, Lucia, 24 anni e già due<br />

figli. Ma forte anche Francesco. Ho due figli tosti, mi piacciono molto, sono entrambi in<br />

gamba, critici eppure gentili, autonomi ma non isolati. Sanno amare la società senza essere<br />

travolti dalle sue componenti consumistiche, sanno vivere con poco, sanno apprezzare ciò<br />

che il denaro non compra. Eh, insomma, non vorrei fare un panegirico, adesso, ma con tanti genitori che si lamentano<br />

dei figli e viceversa, dire che io sono contento dei miei figli (e loro sono contenti di me, e c’è un dialogo molto bello)<br />

mi sembra un contributo all’ottimismo cosmico. Buon compleanno, Francesco!<br />

(nella foto, Francesco un paio di anni fa con la chitarra di Fabrizio de Andrè nel negozio genovese di Gianni Tassio<br />

in via del Campo)<br />

La fiacca, lo scialo, l'amour, la guerre, le travail<br />

giovedì 14 giugno 2007, 9.15.44 | molinaro<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

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La fiacca, lo scialo, perdere tempo e pensare che forse lo si<br />

perde comunque, oppure mai. Non estremizziamo: ci sono<br />

modi migliori e peggiori di impiegarlo. Ma non sarò mai un<br />

po<strong>siti</strong>vista. Ricordo bellissime giornate in cui non ho combinato<br />

nulla di oggettivo e tantomeno di produttivo. Parole dal<br />

significato incerto, peraltro. Stamattina alle sei mi hanno<br />

svegliato i vigili urbani per chiedermi di spostare la Panda. Non che fosse<br />

posteggiata male, è solo che è esplosa una tubatura e devono scavare proprio lì,<br />

sotto la mia Panda. Bene, l’ho spostata. Così adesso so che il passaggio di<br />

proprietà è registrato, se mi hanno trovato subito leggendo la targa. Però gli<br />

adesivi da appiccicare sul libretto non sono ancora arrivati.<br />

Mi ha mandato un messaggio una mia amica di Venezia, era dal dentista. Il<br />

dentista mi ha fatto pensare a un’altra amica, di Roma, che aveva un dentista fra<br />

i suoi tre amanti principali, che la trattavano tutti e tre malissimo e secondo me<br />

lei era – ed è – una ragazza splendida. Un anno e mezzo fa all’improvviso ha<br />

smesso di rispondere al telefono e ai messaggi e alle lettere e poi dopo che ho<br />

insistito in vari modi mi ha mandato un messaggio laconico dicendomi di non<br />

cercarla più. Mi sto ancora domandando perché e che cosa ho fatto di sbagliato e<br />

mi manca. Chiaro però che a me mancano troppe persone perché ciascuna di<br />

loro possa considerare la cosa rilevante. Mi piace questa frase che mi è venuta<br />

così senza volere, l’avesse detta Woody Allen la metterebbero qua e là nei posti<br />

dove si mettono le frasi. A me mancano troppe persone perché ciascuna di<br />

loro possa considerare la cosa rilevante. Le persone, e le donne in<br />

particolare, gradiscono una certa esclusiva. Comunque l’amica di Roma, che poi<br />

non è proprio di Roma ma ci abitava e non so se ci abita ancora, dopo avere<br />

abitato a Como e a Parma, mi manca «specialmente». Chissà se sono troppe<br />

anche le persone che mi mancano «specialmente». Sono incostante e poco<br />

gerarchico. L’altra notte ho dormito solo tre ore e non per insonnia ma perché ho<br />

lavorato fino alle tre e mi sono dovuto alzare alle sei, ma non sono uno<br />

stakanovista, è solo che faccio tutto alle ore sbagliate, per esempio adesso tutti i<br />

bravi adulti regolari lavoratori staranno appunto lavorando e io cazzeggio nel<br />

blog.<br />

È complicato non fare nomi, l’amica di Venezia, l’amica di Roma (che poi a Roma<br />

ne ho due o tre o quattro), mi ci ingarbuglio. Ma inventare nomi di fantasia è<br />

peggio ancora. Odio quando lo fanno i giornalisti: «La piccola Chiara è stata vista<br />

l’ultima volta appollaiata su un palo del telegrafo a Cosseria, in provincia di<br />

Savona. Gli inquirenti hanno immediatamente interrogato la popolazione per<br />

accertare come mai a Cosseria ci sia ancora un palo del telegrafo, visto che<br />

primo il telegrafo non si usa più e secondo adesso i cavi sono tutti interrati.<br />

Naturalmente Chiara è un nome di fantasia. La polizia brancola nel buio, per<br />

forza che poi qualcuno qua e là si prende una manganellata a caso».<br />

Ieri ho passato molte ore a letto con un’altra amica, questa dei dintorni di Torino,<br />

a parlare, dormire e fare massaggi (niente più di questo, ragazzi, niente più).<br />

Certe cose normalissime a raccontarle suonano strane. Come scrive Stephen<br />

King in un suo racconto giovanile (Stand by me, un gran bel racconto), le cose<br />

importanti sono anche semplici ma sono le più difficili da raccontare. L’amica con<br />

cui sono stato a letto ieri (vedete come la frase è equivoca!) ha trovato in casa<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

sua una lettera mia per lei già aperta da altri, presumibilmente i suoi genitori,<br />

diciamo quasi certamente i suoi genitori. Non è la prima volta che accade. Stavo<br />

macchinando con lei di mandarle magari nei prossimi giorni un po’ di lettere con<br />

dentro solo un foglio con su scritto: Ma farvi i cazzi vostri no, eh?<br />

Sì, la cosa dello spionaggio è un po’ collegata a quella dei nomi. Un’altra amica<br />

ancora (è chiaro che con il termine «amica» definisco una molteplicità di rapporti<br />

con varie sfumature; ma esiste forse una parola migliore?) sta dalle parti di<br />

Vicenza, è una ragazza molto dolce, scintillante, i suoi baci sono buoni, ci piace<br />

abbracciarci le poche volte che possiamo. Se scrivessi qui il suo nome potrebbero<br />

esserci problemi familiari per lei, forse.<br />

A volte però ci si lancia e non ci si bada. In un locale in riviera ho letto una<br />

poesia d’amore per una splendida ragazza e c’era lì anche il suo fidanzato, e si<br />

capiva benissimo per chi era la poesia. Uno in certi momenti pensa: basta, vada<br />

come vada. No? Mica si può sempre star lì. L’amour, la guerre, Julienne, come<br />

dice quella poesia di Guido Catalano con musica di Andrea Gattico [in Sbronzi<br />

all’alba senza sigarette, vi consiglio il CD ma anche lo spettacolo dal vivo, per<br />

esempio lo fanno adesso a Torino venerdì 15 alle 22 all’Imbarchino (che è un<br />

posto di cui parlo in un messaggio precedente) e sabato 16 alle 21.30 alla<br />

libreria Massena (altro posto di cui ho già parlato – è bello, mi accorgo che<br />

ricominciano a esistere dei luoghi, c’è stato un periodo che quasi non ce<br />

n’erano)].<br />

Certo che scrivere fluentemente puttanate è una cosa che mi riesce abbastanza<br />

bene. A questa riga sono arrivato in una ventina di minuti, conosco gente che ci<br />

metterebbe un giorno o non ci riuscirebbe mai. Mi pagassero per scrivere queste<br />

puttanate avrei risolto ogni mio problema economico. Ma poi forse no,<br />

immediatamente non mi sentirei più libero. Amen. Mettiamoci al lavoro, l’altro,<br />

quello noioso obbligato e pagato, benché poco. Buona giornata!<br />

Gli straccetti<br />

venerdì 15 giugno 2007, 5.40.05 | molinaro<br />

Chi è che non vorrebbe toglierteli<br />

gli straccetti di cui ti sei vestita<br />

stasera – lo farei anch’io qui adesso<br />

nella luce di miele di questo caffè<br />

Basta, oggi lavoro e basta se no poi diventa davvero un casino. Oggi il blog neanche lo<br />

guardo, sono le sei e mezza del mattino e mi metto al lavoro – e basta! Vi offro solamente<br />

una poesia scritta l’altro ieri, ispirata da una ragazza che vedo spesso, e alla quale gli<br />

straccetti... Beh, lo dice la poesia. Buona giornata, gente.<br />

GLI STRACCETTI<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

– lo farei volentieri anche se<br />

sono ben preso da un’altra maestosa<br />

ragazza azzurra, da una bianca mandorla<br />

acerba, da una bruna montanara<br />

e da altre donne superbe e festose<br />

di svariati colori e svariati profumi<br />

– quegli straccetti te li toglierei<br />

senza pensare ad altro, in solo omaggio<br />

alla gioia, alla vita, alla fuggente<br />

felicità – ma soprattutto a noi,<br />

a noi qui ora, qui adesso, qui a bere<br />

una tisana d’erbe, in questa sera che non è<br />

mai stata prima e non sarà mai più.<br />

L'anima<br />

sabato 16 giugno 2007, 0.48.18 | molinaro<br />

Nella prefazione al mio libro La parola rinvenuta Sandro Gros Pietro a un certo<br />

punto sottolinea come io sia un poeta che ha il «coraggio» di parlare di anima, in<br />

pieno XXI secolo: e cita una serie di mie poesie in cui compare appunto la parola<br />

anima. Non so se ho avuto bisogno di coraggio per scrivere anima, direi che m’è<br />

venuto così senza pensarci, che non l’ho fatto apposta. L’anima per me non credo<br />

che sia una cosa di religione: è soprattutto un fluido, un plasma un po’ magico<br />

perché pur essendo individuale può fondersi con altre anime. Ora mi è successo di nuovo di parlarne, in<br />

una piccola poesia di stampo genovese, Sottoripa: il secondo verso della seconda sestina si chiude con<br />

anima. Ma anche stavolta non l’ho fatto apposta. E nel cuore della notte che segue un venerdì di lavoro e<br />

precede un sabato di lavoro, mi permetto di offrirvi la piccola poesia. E la sua anima.<br />

SOTTORIPA<br />

C’è la freschezza buona della sera:<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

ho visto una finestra scintillare<br />

in un lampo d’arancio. In queste stanze<br />

abitano persone. Ti vorrei,<br />

ragazza, qui: vorrei che usassi il mio<br />

asciugamani: che tu fossi a casa.<br />

Basterebbe scoprire il varco aperto<br />

o il punto di contatto, dove l’anima<br />

ritrova sé nell’altro: l’improvvisa<br />

gioia di combinarsi, come quando<br />

ha un odore di te l’ombra che sale<br />

imprecisa da un angolo del porto.<br />

That's all jazz<br />

domenica 17 giugno 2007, 0.34.40 | molinaro<br />

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Secondo me il jazz, più che un genere musicale, è quando un<br />

po’ di amici si trovano a casa di qualcuno, o in un posto piccolo,<br />

per fare musica fra loro. Se aggiungiamo alla musica la poesia,<br />

si è fatto del jazz stasera alla libreria Massena a Torino. Una<br />

ventina di amici, una tastiera, un violino, i fogli con le poesie.<br />

Sono arrivato in lieve ritardo perché Claudia non finiva di<br />

vestirsi e truccarsi, così sono entrato che già Arsenio leggeva, Guido lo guardava,<br />

Andrea e Mayumi suonavano. C’era anche Stefania, una collega o ex collega o<br />

paracollega o nient’affatto collega (con il lavoro precario non si capisce più un<br />

cazzo), che è carina ed è alta quasi come me e allora le ho dato un bacio. Mi<br />

sono seduto su uno sgabello in fondo.<br />

La prima poesia di Arsenio mi ha subito stimolato risonanze e fantasie, perché è<br />

così che mi succede. Partecipazione. Una poesia forse un po’ da laudator<br />

temporis acti, anche se non del tutto. Parlava di una Torino d’altri tempi, più<br />

sportiva, e di ragazze di adesso troppo svestite, e di baci che duravano quindici<br />

minuti ma solo nei primi tempi, e ogni bacio fa sì che quello dopo duri di meno,<br />

insomma il tempo, con la ripetizione, accorcerebbe i baci. Io che Torino la vedo<br />

più colorata adesso, e per me le ragazze sono sempre ancor troppo vestite, e che<br />

il bacio più lungo della mia vita l’ho dato a maggio ma intendo il maggio del<br />

2007, anzi era il 1° giugno, e mi piacerebbe darne uno più lungo ancora martedì<br />

prossimo a Venezia e uno a Vicenza e uno ancora più lunghissimo sabato fra Novi<br />

e Tortona ma quello sarà difficile, non seguo tanto il discorso arseniano, ho i<br />

tempi a rovescio, forse, e le meglio cose le devo ancora fare, sperando nelle<br />

more delle Moire; però la poesia mi è piaciuta abbastanza lo stesso.<br />

L’importante è che non ci si perda a rimpiangere passati che non sono stati<br />

migliori del presente, ogni tempo è in sé, e nessuno sa di fare le cose mentre le<br />

fa, lo si sa solo dopo, e il jazz appunto non è più a New Orleans o nel Missouri, e<br />

può essere alla libreria Massena una sera a Torino, ma non lo sappiamo adesso,<br />

e forse nel 2070 diranno «che schifo questo vacuo presente, non sono più gli<br />

anni eroici d’inizio secolo, quando si trovavano a suonare e leggere poesie nelle<br />

librerie».<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Dopo le altre poesie di Guido e la musica di Andrea e Mayumi ero molto<br />

emozionato: se mi avessero chiesto di improvvisare una poesia avrei potuto,<br />

perché avevo tirato su la serata come una carta assorbente, me n’ero imbibito, e<br />

ne avevo un disegno netto dentro, combinato con le cose mie, tutta una roba da<br />

dire, volendo. Da improvvisare lì. Versione unica irripetibile. Jazz.<br />

Perché io quando improvviso improvviso davvero. Come a Savona al Raindogs,<br />

mica me l’ero preparata. C’era Chiara, c’era amore e rabbia, c’era colore, c’era<br />

tensione ideale e non ideale, i versi mi sono scoppiati dentro e li ho buttati fuori:<br />

poésie de l’art, come la comédie, sul momento. Certo che rischi grosso, può<br />

sempre uscire una stronzata. Se salti un tempo, una pausa, è finita. Certo che<br />

consumi energie e nervi a manetta, da perdere qualche chilo. Certo che non lo<br />

puoi fare tutte le volte. Ma per me l’improvvisazione è così. Ho sentito Beppe<br />

Grillo e Dario Fo, e anche la senatrice Franca Rame, dire che l’improvvisazione<br />

non s’improvvisa, che in realtà è tutto preparato meticolosamente, che non c’è<br />

nulla di più preparato di quello che sembra improvvisato. Sarà, ma secondo me<br />

così non vale. Ci prendono per il culo anche loro. Certo, se devono farlo<br />

obbligatoriamente a ogni spettacolo, li capisco anche. Però non è<br />

improvvisazione onesta. La chiamino in un altro modo. Non è jazz.<br />

Sia come sia, che la ricordino poi mitizzata nel 2070 oppure no, questa serata<br />

alla libreria Massena è stata una bella serata, io me la prendo adesso, che nel<br />

2070 non ci sarò proprio, questo è certo. Jazz. Hic et nunc. Ho comprato due<br />

copie della nuova edizione del libro di Guido, I cani hanno sempre ragione, una<br />

per me e una da regalare a Chiara con dedica alla sua neoadottata cagnetta Zoe,<br />

che oggi mi ha detto che è stupenda, e le farà piacere un libro che le dà sempre<br />

ragione, a Zoe, e anche se non sa leggere io dico che lo capisce.<br />

Avec le temps<br />

lunedì 18 giugno 2007, 12.21.55 | molinaro<br />

Non è vero. Non è vero quello che dice questa bellissima canzone di Léo Ferré. Credimi:<br />

non è vero. Sono un uomo ostinato, sono un bambino ostinato, e te lo dico forte: non è vero.<br />

Ma la canzone è davvero bellissima. È bellissima e perciò non ha bisogno che si creda che<br />

dica qualcosa di vero. Tu credi a me: non è vero che con il tempo non si ama più.<br />

Avec le temps...<br />

Avec le temps, va, tout s'en va<br />

On oublie le visage et l'on oublie la voix<br />

Le coeur, quand ça bat plus,<br />

C'est pas la pein' d'aller chercher plus loin<br />

Faut laisser faire et c'est très bien<br />

Avec le temps...<br />

Avec le temps, va, tout s'en va<br />

L'autre qu'on adorait, qu'on cherchait sous la pluie<br />

L'autre qu'on devinait au détour d'un regard<br />

Entre les mots entre les lignes et sous le fard<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

D'un serment maquillé qui s'en va faire sa nuit<br />

Avec le temps,<br />

Tout s'évanouit.<br />

Avec le temps...<br />

Avec le temps, va, tout s'en va<br />

Mêm' les plus chouette's souv'nirs ça t'a un' de ces gueul's<br />

À la Gal'rie j'farfouill'<br />

Dans les rayons d'la mort<br />

Le sam'di soir quand la tendresse s'en va tout' seule<br />

Avec le temps...<br />

Avec le temps, va, tout s'en va<br />

L'autre à qui l'on croyait pour un rhum' pour un rien<br />

L'autre à qui l'on donnait du vent et des bijoux<br />

Pour qui l'on eût vendu son âme pour quelques sous<br />

Devant quoi l'on s'traînait comme traînent les chiens<br />

Avec le temps, va, tout va bien.<br />

Avec le temps...<br />

Avec le temps, va, tout s'en va<br />

On oublie les passions et l'on oublie les voix<br />

<strong>Qui</strong> vous disaient tout bas<br />

Les mots des pauvres gens<br />

Ne rentre pas trop tard, surtout ne prends pas froid<br />

Avec le temps...<br />

Avec le temps, va, tout s'en va<br />

Et l'on se sent blanchi comme un cheval fourbu<br />

Et l'on se sent glacé dans le lit de hasard<br />

Et l'on se sent tout seul peut-être mais peinard<br />

Et l'on se sent floué par les années perdues<br />

Alors vraiment<br />

Avec le temps on n'aime plus.<br />

Sabato 23 giugno a Pozzolo Formigaro<br />

giovedì 21 giugno 2007, 9.21.59 | molinaro<br />

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Messaggio di servizio: sabato 23 giugno a Pozzolo Formigaro, provincia di<br />

Alessandria, c'è il Festival della piccola editoria di poesia. Dibattiti, letture e cose<br />

varie. Trovate il programma nella figurina. A proposito, lo sapete tutti che quelle<br />

figurine nei messaggi si ingrandiscono cliccandoci sopra, neh? Certamente lo<br />

sapete tutti, sono solo io che ci ho messo un po' a capirlo. Sul programma mi sono<br />

permesso, egocentricamente, di segnare con una freccetta rossa lo spazio-lettura<br />

in cui probabilmente leggo io. Non chiedetemi come si arriva a Pozzolo Formigaro, ammesso che<br />

qualcuno voglia venirci, anch'io me lo dovrò cercare; si narra che sia più o meno fra Novi Ligure e Tortona,<br />

o giù di lì. Dicono che ci sia un bel castello, però! Altra notizia: venerdì 22 giugno, cioè domani ormai, a<br />

Genova al Festival della poesia legge Cesare Oddera, alle 18, alla loggia dei Mercanti in piazza Banchi, si<br />

veda qui: http://www.festivalpoesia.org/programmi/22giugno.html<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Uccelli e scarpine<br />

giovedì 21 giugno 2007, 14.18.39 | molinaro<br />

Due poesie scaturite da un giro verso il vicino – molto vicino – Oriente. Così, al volo.<br />

GABBIANI (SÌ, HAI SENTITO BENE: GABBIANI)<br />

Tutte le regole a volte conviene<br />

trasgredirle: anche quella che vieta<br />

di mettere in versi i gabbiani e i puledri<br />

(e – benché un po’ meno gravi – i ciclamini):<br />

l’armamentario dei vecchi azzimati<br />

che sbafano Carducci e carciofini.<br />

Sì, però se i gabbiani alle sei del mattino<br />

fanno bordello davanti alla finestra<br />

aperta sulla calle in sestiere Castello<br />

e ci rompono il sonno del dopo l’amore,<br />

bisognerà citarli. Non è una colpa grave:<br />

qualcuno deve pur dare la sveglia.<br />

<strong>Qui</strong> a Venezia è difficile che passi<br />

il camion della rumenta come a Genova<br />

o il primo tram come a Torino. <strong>Qui</strong><br />

tocca ai gabbiani. Niente di male. Sto<br />

sveglio disteso sul lenzuolo, nudo,<br />

e penso: Sono un uomo fortunato.<br />

Perché ho fatto l’amore con una donna<br />

e ci siamo piaciuti di più che le altre volte;<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

perché c’è intorno una città che s’anima<br />

e io la sento. È divino sentire la città,<br />

sentirla per davvero! Fa quasi una vita<br />

sentire e amare la città e la donna.<br />

La donna amata può avere difetti,<br />

scatti di malumore, rughe, pause,<br />

distacchi: ma ogni cosa è dentro un quadro<br />

meraviglioso. La città può avere<br />

impunemente i camion, le serrande<br />

scaraventate – persino i gabbiani.<br />

DEL PARADISO NON C’IMPORTA NULLA<br />

Romina toglie le scarpine rosse<br />

e cammina nell’erba. Non è un prato<br />

di montagna o collina, è solo il parco<br />

davanti alla stazione. Le scarpine<br />

le tiene in mano, sono rosse come<br />

la maglietta scollata, gli orecchini<br />

e la fettuccia che regge un pendente<br />

di forma acuminata. Ci abbracciamo<br />

e ci baciamo. Non è il paradiso,<br />

è solo il parco davanti alla stazione<br />

dove si rischia forse un vetro rotto<br />

o una merda di cane. Sono baci,<br />

normali baci di città, gli abbracci<br />

che si danno i ragazzi nei quartieri<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

delle stazioni.<br />

Topless!<br />

Noi siamo i ragazzi,<br />

i baci sono baci, le scarpine<br />

sono rosse, i piedi di Romina<br />

sono i suoi piedi, l’erba è l’erba, qui<br />

ci siamo noi che ci abbracciamo e crédimi<br />

del paradiso non c’importa nulla.<br />

venerdì 22 giugno 2007, 8.33.08 | molinaro<br />

Oggi mettiamo una cosa leggera, che devo finire dei lavori e poi partire per Genova. Dato<br />

che faccio quasi tutte le cose a rovescio, nel tempo, a venticinqu’anni di sesso ne facevo<br />

pochissimo e mi consolavo «guardando» – una situazione da pensionato della bocciofila,<br />

insomma. Scrivevo anche poesie sul girl watching, e simili, come queste due qui sotto (da<br />

La parola rinvenuta, Genesi Editrice). Che comunque anche oggi lo preferisco al bird<br />

watching, s’intende. Ma insomma. In spiaggia ero sempre a passeggiare e tenevo la conta<br />

dei topless, che poi riferivo in cifra e in percentuale all’amico Franco (più pazzo di me) con cartoline balneari<br />

(scrivere cartoline era l’altra attività preferita delle noiose vacanze spiaggesche) – non esistevano né internet né sms<br />

all’epoca. Bah, comunque. Anche oggi considero il topless lodevole, pure per ragioni sociopolitiche (scherzo? in<br />

parte, in parte... io non scherzo mai del tutto!), in quanto opposto praticamente a tutte le religioni (che io tutte<br />

appunto cordialmente detesto) e, naturalmente, a tutti gli stati confessionali o teocratici. Il topless politico, insomma.<br />

Fossi una donna starei sempre in topless. Certo, a petto nudo ci sto anche da maschio, ma non è la stessa cosa. Un<br />

tribunale statunitense, peraltro, ha assolto una donna in topless (negli USA c’è ancora chi le denuncia, e però c’è chi<br />

le assolve: grande paese di grandi contraddizioni, l’Amerika!) proprio con la motivazione della parità: se a un uomo è<br />

permesso stare a torso nudo, è anticostituzionale che non sia permesso a una donna. Fra le ragazze giovani il topless<br />

non è sufficientemente diffuso, occorrerebbe una campagna pubblicitaria che lo promuovesse. Ma temo non<br />

convenga all’industria, perché mediamente il reggiseno di un costume da bagno è molto più costoso delle mutandine.<br />

Vabbè. Cazzeggiando in rete mi sono imbattuto in un sondaggio promosso da un giornaletto per teenagers (vedi<br />

figura) che dà il topless al 12,37 per cento. Poco, ma su certe spiagge sembra pure di meno. Su, su, ragazze, più tette<br />

al vento, per due validi motivi: il mio piacere e la lotta dura contro vescovi, rabbini e imam!<br />

TEMPO D’UN POMERIGGIO AL MARE<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Sulla spiaggia, di pomeriggio, il vento<br />

(tra moderato e forte)<br />

sconsiglia il bagno ed invoglia al passeggio:<br />

le onde s’arricciano fino all’orizzonte,<br />

dritto davanti si vede Montecristo.<br />

Seduto accanto all’ombrellone chiuso,<br />

finito di leggere un capitolo<br />

del Caballero de la Triste Figura,<br />

grosso volume che un’amica mi ha prestato,<br />

mi godo il transito delle ragazze<br />

bianche, arrossate, abbronzate,<br />

coi loro costumini vivaci, interi<br />

o due pezzi (più rara chicca il topless);<br />

sento lo scalpicciare nel risucchio<br />

della battigia e qualche gaia sillaba.<br />

E presto scrivo queste righe in margine<br />

a una rivista che ho preso e che fingo<br />

di guardare (guai a farsi scoprire<br />

versificando...), e c’è la sabbia e il sole<br />

e velocissime le tavole a vela<br />

vanno e vengono a riva, e passa un tempo<br />

che non sarà poi troppo differente<br />

da quello che scorse gli sbarchi di Enea,<br />

e altri suoni, altri costumi, altre cose<br />

terribilmente vicine nella Storia.<br />

AURE BALNEARI<br />

La spiaggetta di Zoagli è breve:<br />

dopo un bagnetto nell’acqua sporca,<br />

l’unico passatempo passabile<br />

è il girl watching.<br />

Veramente<br />

nemmeno lì c’è molto da scialare:<br />

qualche ventenne ossuta e sospettosa,<br />

vaste madame con bambini e sciampo,<br />

una tedesca con le tette rosse,<br />

tutti tipi così.<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Ma io sono tenace nella scepsi,<br />

e trovo, infine, un fiore selvatico<br />

in uno sciame di ragazze tenere<br />

portate in riva al mare da due suore.<br />

È bionda come il grano: mi ricorda<br />

un giovanile amore: quindici anni<br />

potrebbe avere: uno sguardo che taglia<br />

lo spesso del meriggio, e sente d’alba<br />

immaginata su terre serene.<br />

Non è in costume da bagno: veste<br />

dei calzoncini rosa e un reggiseno<br />

verde. Al lobo un orecchino<br />

minuscolo sfavilla.<br />

Su una piccola spugna bianca e rossa<br />

prende il sole e ne rende,<br />

parlando a bocca a bocca con l’immenso;<br />

e fra i corpi mortali disseccati<br />

e la luce infinita si pone<br />

corda di passaggio,<br />

riflesso (e tanto basta) di ciò<br />

che vive dopo...<br />

Esito sproporzionato<br />

di una ricerca da guardone: ma<br />

la grazia non si merita, si ha<br />

quando e finché si ha.<br />

Il caffè riscaldato<br />

venerdì 22 giugno 2007, 11.02.19 | molinaro<br />

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Pagina 31 di 200<br />

Dato che comunque, volente o nolente, invecchio, a volte affiorano ricordi lontani, e ce n’è<br />

qualcuno apparentemente insignificante che riaffiora più spesso, con un fastidio<br />

ingiustificato, o apparentemente ingiustificato. Uno che salta su ogni tanto è quello del<br />

pomeriggio del caffè riscaldato. Roba di quarant’anni fa: avevo tredici-quattordici anni e a<br />

casa mia erano venute tre o quattro persone (amici? conoscenti? questo non lo ricordo –<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

c’erano almeno un maschio e una femmina, ma credo che fossero più di due in totale, e<br />

avevano qualche anno più di me, forse una specie di delegazione di una scuola, o di un oratorio, o di chissà che<br />

gruppo, una cosa quasi un po’ ufficiale, non ricordo). Ma ero contento perché i miei non c’erano ed era una delle<br />

prime volte che accoglievo persone in casa mia – cioè, insomma, a casa dei miei, una casa mia non ce l’avevo,<br />

ovviamente. Si fermarono forse un’ora, discorsi vari, doveva esserci qualcosa di «culturale» ma non ricordo, non ho<br />

idea degli argomenti. Quello che ricordo è che, con grande sforzo (ero timidissimo e allergico, più di quanto lo sono<br />

adesso, ai convenevoli, alle cerimonie, all’offrire il tè o quel che l’è), dissi se potevo offrire qualcosa. Loro risposero:<br />

«Magari un caffè, grazie». Io a tredici-quattordici anni non avevo la minima idea del funzionamento di molte cose: le<br />

donne, certo, ma anche le caffettiere. C’era in casa del caffè avanzato dalla colazione preparata da mia madre, e dissi:<br />

«Ve lo riscaldo». Mettere il pentolino sul fornello era una cosa che sapevo già fare. Ed ecco che qui ho il ricordo<br />

violentissimo: come avessi bestemmiato, risposero: «No, no, allora no, grazie, riscaldato no, fa niente, non prendiamo<br />

niente, grazie lo stesso». Ci rimasi malissimo. Non dissi nulla, perché avevo esaurito la scorta (in me allora<br />

ridottissima) dell’energia del dire. Ma ci rimasi malissimo. Certo era deplorevole che io a tredici-quattordici anni non<br />

sapessi nulla del funzionamento di una caffettiera (di nessun tipo), ma c’è da precisare che, non prendendo all’epoca<br />

personalmente caffè, non mi ero mai interessato al problema, e ciò non mi crucciava. Il funzionamento di una<br />

caffettiera non era una mia priorità. Ma quella volta mi sentii proprio male.<br />

Eppure ancora oggi penso che quelli là erano degli stronzi, tutto sommato. Io se vado ospite a casa di qualcuno,<br />

anche adesso, prendo quello che mi danno, qualunque cosa purché non velenosa e non alcolica. In Romania ho<br />

bevuto intrugli che ridire né sa né può chi di laggiù ritorna; in certe case ho mangiato ogni e qualsiasi cosa, persino il<br />

riso latte e zucca che è un sapore dei peggiori mai creati dall’umanità; un caffè offerto lo prendo indifferentemente<br />

nuovo o riscaldato, caldo o tiepido, macchiato o no, con uno o due o nessun cucchiaino di zucchero, insomma non me<br />

ne frega niente: se m’importa della persona che me lo offre, non m’importa del caffè. <strong>Qui</strong>ndi quegli stronzi mi<br />

avvilirono tantissimo e a distanza di quarant’anni ogni tanto me lo ricordo e mi dà fastidio. Forse dovrei raccontarlo a<br />

uno psicanalista, ma con quello che costano!<br />

Con ciò naturalmente non voglio offendere chi non sopporta il caffè riscaldato. Adesso la caffettiera la so usare e se<br />

venite a trovarmi ve lo faccio sul momento, prometto.<br />

Bella serata di poesia ieri a Savona<br />

lunedì 25 giugno 2007, 18.59.11 | molinaro<br />

Ieri sera a Savona al Raindogs c’è stata una grande serata di musica e di poesia. Grande,<br />

perché è andata proprio bene. Tutti quelli che hanno letto o suonato hanno fatto bene. Gli<br />

altri erano contenti di esserci e di ascoltare. Non succede spesso che vada bene così. Io nel<br />

mio piccolo mi sono lanciato sull’inedito. Beh, sul molto inedito. Nel senso che la prima<br />

poesia che ho letto, Sottoripa, l’ho scritta qualche giorno fa; e le altre tre che ho letto,<br />

Invettiva contro una canzone di Mogolbattisti, Invettiva contro un’altra canzone di<br />

Mogolbattisti e Profumo di lavanda, le ho scritte ieri pomeriggio stesso. Le ho lette che erano ancora scarabocchiate<br />

a mano su un foglietto. Ma perché sì, sì, bisogna rischiare, buttar dentro del nuovo, no? Come se non bastasse, dopo<br />

la serata ho scritto ancora un’altra poesia, Interpretazione e dialogo. Una giornata davvero fertile. Cioè, poi magari<br />

sono cazzate, ma la giornata è stata fertile, su questo non ci piove. Vi sbatto tutte le suddette poesie qui sotto.<br />

SOTTORIPA<br />

C’è la freschezza buona della sera:<br />

ho visto una finestra scintillare<br />

in un lampo d’arancio. In queste stanze<br />

abitano persone. Ti vorrei,<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

ragazza, qui: vorrei che usassi il mio<br />

asciugamani: che tu fossi a casa.<br />

Basterebbe scoprire il varco aperto<br />

o il punto di contatto, dove l’anima<br />

ritrova sé nell’altro: l’improvvisa<br />

gioia di combinarsi, come quando<br />

ha un odore di te l’ombra che sale<br />

imprecisa da un angolo del porto.<br />

INVETTIVA CONTRO UNA CANZONE DI MOGOLBATTISTI<br />

In primo luogo se guidi a fari spenti nella notte<br />

sei un pericolo pubblico e dovrebbero toglierti la patente.<br />

E se prendi a pugni un uomo solo perché è stato un po’ scortese<br />

sei un grandissimo stronzo manesco prepotente.<br />

Ma soprattutto: cosa stai a recitare la parte del grande intellettuale,<br />

quello che le cose le capisci solo tu, che fai il sostenuto,<br />

e alla ragazza le dici: capire tu non puoi,<br />

tu chiamale, se vuoi, emozioni.<br />

Ma l’hai deciso tu che lei non può capire?<br />

Ma ci hai mai provato a spiegare?<br />

No, non ci hai provato, perché la prendi per una deficiente,<br />

e invece mi sa che sei tu che non capisci una mazza<br />

e stai lì a masturbarti con i tuoi concettini poetici<br />

e fai tanto il grand’uomo e poi se andiamo a ben vedere<br />

non sai neanche cosa vuol dire amare<br />

e ti sfoghi della tua incapacità rovesciandola su di lei, dicendole:<br />

capire tu non puoi, tu chiamale, se vuoi, emozioni.<br />

Secondo me non sei capace neanche di trombare bene.<br />

Di sicuro come giardiniere sei una frana,<br />

se copri di terra la piantina verde sperando possa<br />

nascere un giorno una rosa rossa. Coglione,<br />

se la copri completamente di terra non nascerà un bel niente,<br />

sei capace di distinguere una rosa da una patata?<br />

Se vuoi andare in giro per ore e ore a fare il cretino,<br />

a guardare il mondo come fosse roba tua che solo tu capisci,<br />

cazzi tuoi, ma non credere, brutto stronzo,<br />

che lei non possa capire.<br />

Forse ne capisce più di te,<br />

e quando crollerà il tuo castello di niente<br />

(che dire di carte sarebbe già troppo)<br />

e sarai nella merda fino al collo, senza sapere com’è successo,<br />

magari allora verrà lei a dirti:<br />

capire tu non puoi, tu chiamale, se vuoi, emozioni.<br />

E a te ti toccherà constatare e rispondere<br />

che no, non sono emozioni, è merda.<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

INVETTIVA CONTRO UN’ALTRA CANZONE DI MOGOLBATTISTI<br />

Acqua azzurra acqua chiara un cazzo!<br />

Come fai a scrivere un verso di una canzone<br />

che dice a quest’ora, cosa vuoi,<br />

mi va bene pure lei? Io, brutto stronzo,<br />

la vorrei proprio conoscere<br />

quella poveretta lei che ti va pure bene<br />

ma solo a quest’ora – e scriverei per lei<br />

la mia più bella poesia d’amore:<br />

per lei che la prendi così, a quest’ora, cosa vuoi...<br />

Cosa vuoi tu, pezzo di merda!<br />

Ti sembra il modo di trattare una ragazza?<br />

Che poi arriva quell’altra bella azzurra e<br />

tutto questo non c’è più. Che gentile!<br />

Ma vai a cagare, Mogolbattisti!<br />

Non sopporto chi usa le persone in questo modo.<br />

Falla conoscere a me la ragazza<br />

che ti va bene ma solamente quando<br />

son le quattro e mezza ormai<br />

– perché, alle sei del pomeriggio cos’è,<br />

una troietta stupida stronzetta? Vai a cagare,<br />

Mogolbattisti, ti dico solo una cosa:<br />

vai a cagare. Se incontro la ragazza<br />

delle quattro e mezza ormai<br />

scommetto che me ne innamoro e sto con lei<br />

e forse la sposo e ci faccio dei figli<br />

e tu la tua acqua azzurra<br />

te la ficchi su per il culo, ti ci fai una pera,<br />

che ti faccia venire la diarrea.<br />

PROFUMO DI LAVANDA<br />

Sulla strada da Mallare al santuario<br />

un cespuglio di lavanda si sporge<br />

da un muricciolo. È in piena fioritura.<br />

Passo il braccio fra le spighe, le sento<br />

un poco resistere e un poco piegarsi<br />

al mio premere, al mio scivolare.<br />

Quando riprendo il cammino mi annuso<br />

l’odore di lavanda sulla pelle:<br />

è buono, è mio, resta qualche minuto<br />

poi svanirà – ma adesso c’è ed è mio.<br />

È meglio prenderlo così, il profumo:<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

portarlo in palmo di mano<br />

senza strappare il fiore, senza cedere<br />

alla smania, all’omicida velleità<br />

di possedere, di portare via.<br />

INTERPRETAZIONE E DIALOGO<br />

Dice: «Mi piace dove dice<br />

La gente muore sola<br />

perché non ha ardimento».<br />

La mia piccola Panda verde ospedale<br />

non ha lo stereo, non stiamo ascoltando<br />

quella canzone. No: ma ne stiamo parlando.<br />

Resto un poco in silenzio. Ho sbagliato<br />

strada – sbaglio strada ogni volta<br />

che sono con lei – dovrò prendere<br />

l’autostrada a Tortona, allungando<br />

di venti chilometri almeno. Dico:<br />

«Ma secondo te cosa significa<br />

che la gente muore sola<br />

perché non ha ardimento?»<br />

Si volta verso me. La luce del quasi tramonto<br />

le fa il viso più limpido. «Non so,<br />

veramente. Mi piace così,<br />

non ci ho mica pensato a che cosa<br />

significa. Adesso ci penso».<br />

Interpretare due versi di una canzone<br />

non sarà forse un esercizio utile,<br />

ma è buono, è giusto, è per dirci qualcosa<br />

di non banale, tornando a Savona.<br />

«Forse è il coraggio di mettersi in gioco<br />

in un amore». «Intendi: di impegnarsi?» «Non so,<br />

non è la stessa cosa?» «Forse no».<br />

«Il coraggio di prendere – o di lasciarsi prendere?»<br />

«Questa sì è la stessa cosa». «Dovrebbe».<br />

«E se hai ardimento non muori solo? Fabrizio<br />

dice che quando si muore si muore soli,<br />

e basta». «Ma qui Zibba intende una cosa diversa:<br />

il contrario di morire soli non è morire in compagnia,<br />

è vivere». «Sì, dev’essere così». «Tu vivi?»<br />

Ho esagerato, non attendo risposta. Cambio<br />

l’argomento, lo cambio di poco: «Pensi ancora<br />

che o si calpesta o si è calpestati?» «Forse<br />

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a Chiara e a Zibba<br />

Pagina 35 di 200<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

non l’ho mai pensato veramente». «Tre mesi fa<br />

mi hai scritto di sì, che lo pensavi». «Forse<br />

non era vero». Congiunge le dita:<br />

ha mani bellissime, ha mani sincere.<br />

Spingo la Panda ai centotrenta all’ora<br />

per non farla tardare troppo alla cena<br />

con il suo fidanzato e con gli amici. Ma<br />

siamo in ritardo di forse tre ore:<br />

«Non correre. Minuto più minuto meno,<br />

avranno ormai finito di mangiare.<br />

Ma ci terranno almeno un piatto di ravioli».<br />

Non è nervosa del ritardo. È linda.<br />

Scivola liscia l’autostrada, tranquilla.<br />

Penso ancora all’avere ardimento<br />

e al morire da soli, e vedo morti e ardimenti<br />

come zolle di terra, diverse, rovesciate,<br />

friabili o compatte, rosse o nere, lavorate<br />

o incolte: ma ciascuna ha la sua erba:<br />

che sia verbena o sia gramigna, dà<br />

il suo filo al telaio del grande disegno.<br />

E sia così. L’ardimento di prendere<br />

(ti ruberei, ti porterei con me<br />

in luoghi che non sai), l’ardimento<br />

di non prendere (ho il mio amore,<br />

sono felice adesso), l’ardimento<br />

di farsi uccidere dalla poesia<br />

– o forse questa è vigliaccheria –<br />

l’ardimento di lasciare, di scegliere;<br />

l’ardimento di non scegliere,<br />

di non lasciare mai. Chi sono io<br />

per dir qualcosa? Arriviamo, scendiamo,<br />

c’è ancora, sì, un piatto di ravioli.<br />

Io non lo so se moriremo soli.<br />

In decalcomania<br />

mercoledì 27 giugno 2007, 15.59.25 | molinaro<br />

Pagina 36 di 200<br />

Le poesie fanno strani giri. A volte possono arrivare a essere lette dagli «altri» poche ore<br />

dopo essere state scritte, come tre delle poesie di domenica scorsa a Savona, o come una<br />

poesia che scrivo di getto e magari metto subito, per esempio, in questo blog. Altre volte le<br />

cose vanno molto diversamente. Questa poesia qui sotto, Evanescenza, la scrissi intorno al<br />

1980. Dopo il 1980 ho pubblicato molti libri, ma non l’ho mai messa in nessun libro. Credo<br />

di non averla mai fatta leggere nemmeno ad amici. E nemmeno alla ragazza di cui parla<br />

(che non so se l’avrebbe gradita, con quell’epiteto del terzultimo verso). Poi nel 2003 mi è arrivata una proposta da<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

una rivista di New York, volevano una mia piccola sequenza di poesie inedite da pubblicare. Io avevo appena messo<br />

il meglio di cui disponevo al momento in Entro incerti limiti, delle Edizioni Joker. Ero scarso di inediti. Ma una<br />

rivista di New York è un’occasione da non perdere, no? Così ho preso i migliori (pochi) inediti recenti che avevo<br />

ancora, e poi ho, come suol dirsi, frugato nei cassetti. E ho riesumato questa poesia di quasi un quarto di secolo<br />

prima. Non so perché l’ho fatto. Non credo che all’improvviso mi sia sembrata più bella e più degna di<br />

pubblicazione. No, dev’essere stata una cosa così, d’istinto, senza motivo. Forse un attimo di tenerezza per la ragazza<br />

in questione, per quegli imbranati e smutandati giri in moto in cui lei... non mi si concedeva. Persa poi di vista presto,<br />

magari sarà una grassa signora della buona borghesia vercellese, adesso. In sostanza, ho mandato quella poesia, con<br />

altre, a New York nel 2003. Ma le riviste letterarie sono lente anche nei dinamici Stati Uniti, e così solo alla fine del<br />

2006 la poesia è comparsa su una pagina della Italian Poetry Review della Columbia University. E solo pochi mesi fa<br />

sono riuscito ad avere per posta una copia della rivista (si vede che la poesia viaggia ancora sui vecchi bastimenti, per<br />

traversare l’oceano). Poi improvvisamente sabato scorso a Pozzolo Formigaro, al Festival della piccola editoria di<br />

poesia, su un banchetto ne trovo un sacco di copie, della Italian Poetry Review: perché si sono «gemellati» per la<br />

distribuzione con un editore italiano, la Casalini Libri. Buona idea. Allora ne ho comprate tre o quattro, e una l’ho<br />

subito regalata a Chiara che era con me. Bene. E in sostanza tutta questa faccenda mi ha fatto venire voglia di farvi<br />

leggere Evanescenza, poesia rimasta nel cassetto per un quarto di secolo e poi pubblicata, sì, ma solo a New York!<br />

Lo trovo quasi divertente, tutto ciò. La poesia non è probabilmente delle mie migliori (se non mi decidevo mai a<br />

pubblicarla ci sarà stato un motivo), ma ci volteggia un po’ di quell’ariosa minigonna estiva, in quelle gite lungo la<br />

Sesia negli anni Settanta, a far l’amore più o meno libero (più meno che più) sui ghiaioni e nei pioppeti. Beh, lei non<br />

con me, d’accordo, io contribuivo solo dandole un passaggio in moto. Era una bella bruna con gli occhi chiari, i<br />

capelli morbidi, le cosce solidissime bene scolpite e quella curiosa abitudine di non mettere le mutande. Almeno<br />

d’estate.<br />

EVANESCENZA<br />

Facciamo un giro? Bagnava la sella<br />

dietro me sulla moto: la gonnella<br />

si rimboccava e lei (con buona pace<br />

degli igienisti) era senza mutande<br />

nei calori di giugno in camporella.<br />

L’impronta scura nella similpelle<br />

evaporava al sole dopo un nulla,<br />

ma prima era disegno di farfalla<br />

che prometteva tante cose belle:<br />

farfalla trasudata di magia.<br />

E invece la dannata puttanella<br />

non me la diede mai: me la mostrò<br />

solo così, in decalcomania.<br />

Clodia, Catullo e Cicerone<br />

giovedì 28 giugno 2007, 8.52.15 | molinaro<br />

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Pagina 37 di 200<br />

Per le ragazze di costumi non rigorosamente allineati è sempre<br />

stato difficile ottenere giustizia. Stanotte pensavo a Clodia, la<br />

fidanzata di Catullo (lui nelle poesie la chiama Lesbia, per<br />

necessaria discrezione), di sicuro un bel tipetto di donna. Era<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

sposata con un tal <strong>Qui</strong>nto Cecilio Metello Celere, che fu anche<br />

console, e ciononostante si faceva un sacco di altri uomini; d’altronde se il<br />

quarto dei nomi del marito si riferiva anche alle prestazioni sessuali, c’è da<br />

capirla. Ma, scherzi a parte, sembra che il Cecilio Metello la prendesse<br />

abbastanza bene. Fu un altro dei suoi morosi, un certo Marco Celio Rufo, cha<br />

dai dati biografici mi sembra un oscuro leccaculo arrampicatore sociale, che<br />

invece tentò di avvelenarla per rubarle dei soldi e dei gioielli – e qui si dimostra<br />

che fra certi uomini politici romani del I secolo avanti Cristo e certi marocchini<br />

che a Porta Palazzo ti fregano il cellulare nel XXI secolo dopo Cristo non c’è<br />

nessuna differenza sostanziale; anzi, i secondi sono migliori perché almeno non<br />

ti avvelenano.<br />

Il suddetto Celio era amico di Cicerone, posso immaginare che tipo di amico: gli<br />

si era appiccicato per far carriera, certamente. Ma a Cicerone piaceva, e sul<br />

come e perché gli piacesse non stiamo ad approfondire, saran ben cazzi loro.<br />

Comunque, quando il perfido Celio, dopo essersi trombato l’ingenua Clodia<br />

(almeno in questo caso ingenua), cercò di avvelenarla e derubarla, fu in qualche<br />

modo beccato, perché finì sotto processo per veneficium, appunto. Ma qui salta<br />

fuori il Cicerone, potente avvocato, che con un’arringa piena di stronzate riesce<br />

a far assolvere l’amichetto. Va da sé che nell’arringa non parla di fatti concreti<br />

ma getta fango su Clodia, di lei ricordando libidines, amores, adulteria, Baias,<br />

actas, convivia, comissationes, cantus, symphonias (Cic., Pro Caelio, 35) e<br />

sottolineando che lei le ammette pure, queste cose, non le nasconde (forse è<br />

questo il peccato più grave per una donna, allora come ora: la sincerità). Clodia<br />

era una che trombava, beveva con gli amici, andava in spiaggia e ascoltava<br />

musica: come darle credito? Assolvete dunque il povero Celio. E così fu.<br />

Oggi forse le cose vanno un po’ meglio (mi han sempre fatto ridere quelli che<br />

lodano i buoni costumi antichi – la Roma di Cicerone era ben peggio della<br />

Roma di Veltroni), però certo è ancora difficile per talune ragazze ottenere<br />

giustizia se subiscono soprusi e violenze. Ma qui mi vengono in mente cose che<br />

non posso dire, e concludo con il pensiero che comunque a Clodia/Lesbia,<br />

maltrattata dalla «giustizia», sono rimasti almeno frammenti di grande poesia; e<br />

a un’altra che so io, del XX secolo dopo Cristo, sono pure rimasti frammenti di<br />

poesia, certo meno grande, ma si fa quel che si può. Però, ragazzi, quando<br />

studiate Cicerone, ricordate che non era affatto un uomo onesto e integerrimo,<br />

non più di quanto lo siano certi noti avvocati-politici di adesso, che non posso<br />

neppur nominare perché il potere in tutti i secoli è feroce, e la libertà<br />

d’espressione in tutti i secoli è relativa.<br />

Sparare<br />

giovedì 28 giugno 2007, 9.36.56 | molinaro<br />

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Ecco, scritta ieri sera, in treno. Stamattina c’è un<br />

cielo bellissimo su Torino, così come ieri sera e anche<br />

l’altro ieri sera, e l’aria sa di mare.<br />

NON DI TUTTI I POETI IL COMPITO È SPARARE<br />

Pagina 38 di 200<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Hina<br />

venerdì 29 giugno 2007, 8.32.39 | molinaro<br />

a Cesare Oddera<br />

Non di tutti i poeti il compito è sparare<br />

– e non è detto che l’amore uccida:<br />

la mancanza, sì, uccide. Quand’ero bambino<br />

non c’era nulla che fosse intero: solo<br />

brandelli presi per pietà e tenuti<br />

nascosti con ringhiosa gelosia<br />

come fa il cane con le ossa marce<br />

– gli scarti della mensa.<br />

Ho faticato<br />

a trovare a cucire a rimarginare<br />

una materia del vero – del vivo.<br />

Non di tutti i poeti il compito è sparare:<br />

tu spara se il tuo amore deve uccidere<br />

per penetrare e trattenere. Io<br />

tesso versi di lino per asciugare il sangue<br />

uscito, perché nella cicatrice<br />

bianca risplenda un amore superstite<br />

un altro poco.<br />

È questo il breve<br />

mio ardimento: raccogliere, abbracciare<br />

ciò che il colpo sparpaglia – sentire<br />

che la vita mi scappa, sì, dalle dita<br />

– però stringere il pugno ancora più forte.<br />

Sono qui stamattina che faccio la rassegna stampa sull’immigrazione, uno dei lavoretti con<br />

cui campo (la faccio per una bella associazione, Fieri: www.fieri.it), e leggo che al processo<br />

contro i massacratori di Hina Saleem, la ragazza uccisa nei dintorni di Brescia l’11 agosto<br />

2006 perché voleva vivere normalmente, e dunque rifiutava le regole del suo clan e della<br />

sua religione, non è stata ammessa la costituzione di parte civile da parte di un’associazione<br />

di donne musulmane. Lo trovo sconcertante: oltre a non difenderle noi (la sinistra purtroppo<br />

su questo ha molte ambiguità), non permettiamo neppure che si difendano da loro, le donne musulmane. Chi mi<br />

conosce sa che detesto le religioni (le considero strumenti di potere e d’oppressione, tutte), ma, appunto, non faccio<br />

distinzioni: oltre al cristianesimo e all’ebraismo, per dire, detesto cordialmente anche l’islam. La sinistra invece<br />

sembra fare timorose distinzioni, che personalmente non sopporto. Quando fu uccisa Hina scrissi una specie di<br />

poesia, che si trova a pag. 571 del mio libro La parola rinvenuta. Ce l’ho voluta mettere, allora, nel libro, pur<br />

sapendo che non è una «vera» poesia, ma piuttosto un discorso civile. Ma mi sembrava necessario. E mi sembra<br />

necessario anche adesso. E ve la faccio leggere, o rileggere, qui sotto.<br />

HINA<br />

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Pagina 39 di 200<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

alla memoria di Hina Saleem<br />

Ma perché non sappiamo più difendere<br />

i valori dell’ottantanove – e non mi riferisco<br />

al 1989 ma a quelli più importanti<br />

del 1789, liberté égalité fraternité?<br />

Dal 1989 in poi abbiamo esportato<br />

non libertà ma libero mercato,<br />

e quello torna al mittente, sui denti,<br />

come è naturale. Non sappiamo difendere<br />

la libertà in cui pure viviamo. Intellettuali<br />

di destra e di sinistra ci sputano sopra,<br />

mossi da biechi interessi. Libertà<br />

è dire ciò che vuoi, scriverlo, fare<br />

ciò che vuoi senza doverti nascondere:<br />

è un concetto assai limpido e semplice.<br />

Con tutti i suoi difetti, l’Occidente,<br />

il cosiddetto Occidente, essenzialmente<br />

l’Europa, l’Europa occidentale,<br />

questo concetto l’ha portato avanti.<br />

Ci sono state malattie, il nazismo,<br />

il comunismo, il consumismo, sì,<br />

però il concetto rimaneva chiaro.<br />

Sei libero se puoi stare o non stare<br />

con tuo marito, se puoi credere o no<br />

che esiste un qualche dio, se puoi andare<br />

dove vuoi con chi vuoi, se puoi pensare<br />

e dire idee d’ogni sorta, cominciare<br />

qualsiasi avventura, e anche nel piccolo<br />

vivere quotidiano puoi vestirti<br />

come ti pare, non devi andare a messa<br />

né a convegni obbligati né ossequiare<br />

qualche padrone o eminenza. È semplice,<br />

mi pare, definire libertà:<br />

le grandi cose sono molto semplici.<br />

(Anche il limite è semplice: non nuocere<br />

all’altra gente, dare un contributo<br />

alla collettività. Non è difficile,<br />

davvero, definire libertà,<br />

per noi, dal 1789 in qua.)<br />

Quello che forse non è a tutti chiaro<br />

è che questa libertà è un valore,<br />

un vero valore in sé, una cosa per cui<br />

c’è da lottare sempre, un valore da difendere.<br />

Le religioni (che la libertà la odiano, tutte)<br />

hanno i loro riti e i loro martiri.<br />

La libertà ha i suoi semplici martiri,<br />

come Hina Saleem, sacrificata<br />

come un agnello su un altare perché<br />

voleva lavorare per suo conto,<br />

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Pagina 40 di 200<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

vestire un top e una minigonna,<br />

fare l’amore senza maritarsi,<br />

seguire idee sue e non d’Allah.<br />

Questo è successo in una città<br />

d’Italia, e alla martire Hina darei<br />

almeno la cittadinanza alla memoria,<br />

farei di tutto perché sia ricordata<br />

almeno come Franca Viola – già,<br />

ma è ricordata Franca Viola che<br />

ha difeso sulla sua pelle la libertà<br />

d’amore in Sicilia quarant’anni fa?<br />

Anche da noi ci sono maschi loschi,<br />

che vogliono le donne prigioniere,<br />

fidanzate mogli figlie sotto rigido<br />

controllo, ce n’è ancora di maschi così,<br />

perciò non si deve abbassare la guardia.<br />

Se non vi ricordate Franca Viola,<br />

fatevi una ricerca (e vergognatevi<br />

almeno un po’) e per Hina Saleem<br />

ci sia memoria e onore, quello che<br />

è dovuto a chi dà (volendo o no)<br />

la vita per la nostra civiltà,<br />

questa splendida cosa che dobbiamo<br />

tornare a coltivare, libertà:<br />

che non abbia a insecchire, che non sia<br />

calpestata dai barbari di dio.<br />

L'amore ai tempi della telematica<br />

sabato 30 giugno 2007, 8.14.14 | molinaro<br />

Torino, 22 agosto 2006<br />

Pagina 41 di 200<br />

Ieri una ragazza (da cui non me lo sarei mai aspettato perché mi sembrava che ci fosse<br />

un’ottima intesa fra lei e me – ma posso sbagliare) mi ha detto di sentirsi invasa da me.<br />

Tralascio i dettagli più intimi perché... sono fatti nostri, ma rifletto su quel concetto di<br />

invasione. Certamente quando ho una piena di sentimenti sono portato a comunicare molto,<br />

e comunico con una certa svagata leggerezza anche con – potenzialmente – il mondo intero<br />

(qui in questo blog, per esempio – ma pure nei libri di poesie, che in fondo sono una cosa<br />

intimissima data a tutti). Nei confronti del mondo, amen, è una scelta mia che il mondo può ben sopportare –<br />

nessuno è obbligato a leggermi.<br />

Ma nei rapporti da persona a persona, e forse soprattutto con le donne e ragazze, queste moderne tecnologie mi sa che<br />

devo gestirle con più raziocinio e moderazione. Penso a mie storie di una decina di anni fa. Ragazze che magari<br />

potevo vedere una volta alla settimana o anche meno, e si faceva l’amore in macchina o in alberghi a ore o su un<br />

prato, perché non c’erano case disponibili. E come si comunicava? Il telefono era quello di casa, controllato quindi da<br />

genitori o altri parenti e affini: da usare con molta cautela. Il sms non si sapeva ancora che cosa fosse. Internet non si<br />

era ancora diffusa, non esisteva la mail. Ricordo telefonate fatte da cabine, nell’ora in cui si sperava di non beccare,<br />

al posto della ragazza, il padre o la madre. E lettere, tante lettere di bella carta, sperando che in casa non ci fosse<br />

nessuno così spione da aprirle e frugarle (anche se a volte c’era).<br />

Ma, insomma, la comunicazione era molto più lenta, calma. Anche se D. e io, pure al tempo dei francobolli, eravamo<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

capaci di scriverci tre lettere nello stesso giorno, e magari in un giorno in cui ci eravamo anche visti. L’amore è<br />

sempre una piena impetuosa di voglia di comunicare. Ma con le moderne tecnologie c’è qualche rischio di eccedere.<br />

Fino a pochi anni fa (il mio primo cellulare l’ho preso nel 2003) se ero in riva al fiume e vedevo qualcosa di bello e<br />

volevo condividerlo con una ragazza (o con tre ragazze – che ci volete fare, sono fatto così!), perché è bello<br />

condividere il bello con chi si ama, dovevo tenermi il pensiero, e poi dirlo quando ci vedevamo, oppure scriverlo in<br />

una lettera che arrivava dopo giorni. Adesso invece le mando un sms, con l’ebbrezza (malata?) di condividere subito,<br />

condividere l’immagine mentre la vedo, il pensiero mentre lo penso. Probabilmente è sbagliato. E può ingenerare<br />

overdose e invasione. Sì, queste tecnologie moderne vanno gestite con attenzione.<br />

A E., la ragazza che ieri mi ha detto di sentirsi invasa, scriverò su carta, e non troppo spesso. Non sono contrario al<br />

progresso, ma va trattato nel modo giusto. Anche se comunque l’amore, per una ragazza o per dieci ragazze, è per sua<br />

natura un eccesso, in ogni epoca. Se no, che cavolo di amore è? Sciacquetta?<br />

Il muro oltre il cancello<br />

domenica 1 luglio 2007, 1.30.13 | molinaro<br />

Pagina 42 di 200<br />

Ieri la mia amica Clara mi ha scritto una frase folgorante. O, almeno,<br />

folgorante per me. Eccola: «C’è un muro dietro il cancello che<br />

scavalchiamo senza suonare, e vasti prati e sentieri e sorgenti se<br />

aspettiamo che ci venga aperto». Mi sono accorto che questa frase è una<br />

svolta – non «la» svolta, la vita è tutta uno svoltare – ma «una» svolta<br />

importante nella (mia) maturazione umana. Non ci avevo mai pensato.<br />

Una frase importante per me e forse addirittura per la pace nel mondo. Vabbè non<br />

esageriamo.<br />

Diciamo che da ragazzo pensavo l’esatto contrario: un giardino, uno spazio oltre un cancello,<br />

poteva avere valore per me se e solo se ci entravo scavalcando, senza dover chiedere il<br />

permesso a nessuno. Chiedere il permesso non solo mi umiliava profondamente, non solo<br />

violentava la mia timidezza (anche oggi faccio fatica persino a telefonare all’idraulico per<br />

chiedergli di venire ad aggiustare un rubinetto: io e chiedere non andiamo ancora d’accordo,<br />

anche se mi sforzo di evolvermi), ma vanificava completamente lo spazio da esplorare: se<br />

me lo permettono, pensavo, dev’essere già stato esplorato, già codificato, già precotto, già<br />

con sentieri che mi toccherà seguire, e allora a che serve? Oltre a ciò, lo sforzo emotivo di<br />

chiedere il permesso mi svuotava di ogni energia, per cui dopo averlo compiuto non avevo<br />

più la forza di oltrepassare il cancello. Già avevo chiesto il permesso, basta: andavo a<br />

dormire. Troppo stanco!<br />

Forse ero un ragazzo strano, forse no. Tutti i ragazzi si ribellano al limite delle «cose<br />

permesse» perché vogliono «tutto». I più baldanzosi si ribellano saltando protervi nel<br />

proibito davanti al mondo, magari compiaciuti. Io ero timidissimo e la mia ribellione era la<br />

clandestinità. La mia infanzia e la mia adolescenza sono state solitarie e clandestine, fuori<br />

dal mondo, nell’unico spazio dove non devi mai chiedere il permesso: quello che abiti solo tu.<br />

Non è stato granché, ma è andata così.<br />

Ecco, non so bene se c’è davvero un nesso, ma la frase di Clara mi illumina sui rapporti<br />

umani. L’atteggiamento che avevo da ragazzo era forse inevitabile, ma davvero mi faceva<br />

trovare davanti a un muro. E mi vietava vasti prati e sentieri e sorgenti. Nei rapporti umani<br />

non va bene scavalcare il cancello. A volte bisogna chiedere il permesso. A volte neppure<br />

chiedere il permesso, ma solo aspettare e sperare che il cancello venga aperto.<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

La cosa in realtà non mi è chiarissima, ci sto pensando adesso, ore due della notte fra il 30<br />

giugno e il 1° luglio. In diretta. Facciamo un esempio. Se una ragazza mi piace io prima di<br />

tutto mi faccio dei giri di fantasie e fantasticherie su di lei. Poi cerco di sapere qualcosa di lei,<br />

o comunque qualcosa di più di quello che già so. Questo d’altronde è normale, tutti fanno un<br />

po’ così. Si cerca di acquisire dati per poi farsi avanti con qualche cognizione di causa,<br />

migliorando le possibilità di successo. Ma dopo c’è uno snodo importante, il momento in cui<br />

appunto ci si fa avanti. Lì c’è da stare attenti a non scavalcare il cancello, a non spingersi<br />

chissà dove immaginando cose infondate, o rattoppando insieme minime confidenze<br />

completandole con la propria interpretazione e magari costruendo un personaggio<br />

immaginario che poi può scontrarsi con la ragazza reale. Lì bisogna avere pazienza, stare<br />

sulla soglia, guardare bene, capire che cosa c’è davvero oltre il cancello, aspettare appunto<br />

che venga spontaneamente aperto, in modo da vedere la realtà di lei, la realtà di lei da<br />

amare, e non il muro delle proprie solipsistiche fantasie.<br />

Lei magari il cancello lo apre subito, magari lo apre lentamente, magari non lo apre mai.<br />

Adattarsi a questo è cosa molto aspra e dura (soprattutto se lo apre molto lentamente o,<br />

ahimè, mai), è dura un po’ come da ragazzi chiedere – chiedere il permesso o qualsiasi cosa,<br />

è durissimo chiedere, ma a voi non vi sembra difficilissimo? Succede solo a me? Per me lo è<br />

sempre stato. Sì, per me è quasi patologico, lo so, ricordo di avere girato ore per città ignote<br />

piuttosto che chiedere un’informazione a un passante. Volevo trovarla io quella via, da solo –<br />

non so se è orgoglio o timidezza, forse è la stessa cosa? Il bello è che se poi riuscivo a farmi<br />

forza e a chiedere dov’è la via tale, dopo ero contentissimo. Mah. Ci riuscivo rarissimamente.<br />

Ora un po’ di più.<br />

Pagina 43 di 200<br />

Insomma, non estremizziamo. Un certo grado di distorcimento della realtà,<br />

nell’innamoramento, è inevitabile. Il fenomeno per cui lei fa un sorrisetto di circostanza (un<br />

sorrisetto che farebbe quasi a chiunque) e lui, essendone innamorato, lo interpreta come un<br />

«ti amo! ti sorrido perché ti amo!», è un fenomeno classico, da manuale. Però a una certa<br />

età bisogna anche cominciare un po’ a capirlo. Anche se la tendenza rimane. Anche a<br />

cent’anni credo che se una che mi piace mi farà un sorrisetto io penserò «sì sì mi ama!» –<br />

posso arrivare ad aggiungerci un «forse». Che carattere di merda che ho, troppo<br />

disperatamente ottimista.<br />

Ho la sensazione di avere detto cose molto confuse. Eppure la frase di Clara è stata proprio<br />

illuminante. Cercherò di sforzarmi di aspettare le aperture dei cancelli. Cioè, almeno nei<br />

rapporti umani amichevoli amorosi, s’intende. In altri tipi di lotta invece i cancelli si devono<br />

scavalcare eccome, su questo non c’è dubbio, per esempio se sono transenne della polizia<br />

che vuole impedirti di manifestare, lì bisogna scavalcare. Ma in amore no. Credo di no. Ci sto<br />

meditando.<br />

Certo che nella conoscenza di una persona una minima dose di scavalcamento ci va anche,<br />

magari per vincere una sua paura o per aiutarla a conoscersi meglio lei stessa. La frase<br />

stessa di Clara ha scavalcato qualche mio cancello. Ma lì è in un senso diverso. Forse.<br />

Comunque ci vuole molta delicatezza.<br />

Intanto è il 1° luglio, il che significa che metà del 2007 è già passata. Piena di avvenimenti,<br />

da un lato mi sembra un secolo (in senso po<strong>siti</strong>vo) e dall’altro, come sempre, il tempo vola e<br />

fugge. Facciamo festa: è mezzo capodanno, o capodimezzanno. Cameriere, gazzosa per<br />

tutti!<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Due cuscini di materiale sintetico<br />

lunedì 2 luglio 2007, 21.11.43 | molinaro<br />

Lavorare, lavorare, ma poi si crolla. Oggi alle quattro del<br />

pomeriggio mi sono buttato sul letto per riposarmi un attimo. Mi<br />

sono svegliato alle otto passate. Sembra che stia arrivando un<br />

temporale. Ancora un poco assonnato mi sono messo a scrivere<br />

una poesia, forse sedimentata da fatti e meditazioni di questi<br />

giorni. Adesso sono le dieci, non ho cenato ma non ho molta fame.<br />

Magari esco. Prima vi offro la poesia. Si sa ormai in giro che sono quello che offre le<br />

poesie scritte da cinque minuti, invece di stare a meditare mesi o anni se vanno bene<br />

o no. Ma che importa. E poi si può sempre buttarla via anche dopo.<br />

IL MALINTESO<br />

«Scusate» disse lei vestita nel lutto di una piccola città<br />

e Humpty Dumpty chiuse un enorme occhio selvaggio.<br />

Joyce Patricia Adès (sposata Mansour); traduzione di Verena Alò<br />

Ciò che pensavo soprattutto era che avrei dovuto spolverare<br />

bene la casa – non è lavoro da poco, adesso è piena<br />

di polvere sui libri e batuffoli di polvere sotto il letto –<br />

e inoltre comprare due cuscini di materiale sintetico<br />

– i miei sono di piume, molto vecchi – per il giorno<br />

in cui lei si sarebbe decisa a venirmi a trovare. Questo<br />

perché so che è allergica alla polvere e agli acari.<br />

Non dubitavo che un giorno sarebbe venuta a trovarmi,<br />

probabilmente entro l’estate: avevo già adocchiato<br />

alla Coop dei cuscini di gomma con un prezzo accettabile.<br />

Questa della polvere e degli acari era la cosa fondamentale:<br />

se no mi si soffocava, la ragazza. Ma pensavo<br />

anche altri dettagli: quali tazze usare per colazione<br />

(le più piccole, smaltate, con disegni di luna e di stelle<br />

o le più grandi, sbarazzine, con oche mucche e maiali)<br />

e quali lenzuola mettere nel letto, quelle sul rosa o quelle<br />

sul verde, o addirittura cogliere l’occasione per comprare<br />

un paio di lenzuola nuove. E altre cose ancora:<br />

se togliere o no dal salvaschermo del computer<br />

la foto di lei nuda; se portarla per cena al cinese<br />

di corso Regina o piuttosto al ristorante popolare<br />

di via Mantova nel quartiere di corso Regio Parco;<br />

se andare o no a visitare il museo del cinema<br />

– questo dipende anche da quanto si ferma,<br />

da quanto tempo abbiamo da spendere per noi.<br />

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Pagina 44 di 200<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Così quando mi ha detto che non sarebbe venuta affatto,<br />

dopo un brusco imprevisto discorso dalla distanza<br />

della sua piccola città, ci sono stato male<br />

come un bambino deluso e mi sono sentito<br />

anche in difetto, perché mi sono accorto<br />

all’improvviso che il mio sguardo aveva messo<br />

colori miei nei suoi disegni – aveva aggiustato<br />

qualche riga dei suoi gesti, forse persino inventato<br />

qualche tratto che lei non aveva tracciato.<br />

Non è che non fosse vero niente, dopo anni<br />

di variegata conoscenza. È che si sbaglia<br />

per la causa dei sogni, a rileggere una lettera,<br />

ripensare un pensiero, ricordare una serata<br />

che già è remota, trovare un breve messaggio<br />

sul telefonino – si può perdere il tatto<br />

del mutare dell’altra persona: come quando<br />

ritorni dopo un tempo in un luogo che conosci<br />

perfettamente – così credevi – e lo trovi diverso<br />

e non sai se è cambiato il luogo o se sei tu<br />

che sei cambiato o se forse non avevi<br />

visto così bene, quando allora c’eri stato.<br />

Un malinteso. Però non è detto, non è mai sicuro:<br />

magari i cuscini di materiale sintetico alla Coop<br />

li compro lo stesso, non si può mai sapere.<br />

Potrei usarli intanto per la sedia e il divano<br />

se ci metto una fodera d’un colore che resiste allo sporco.<br />

¿Qué es poesía?<br />

martedì 3 luglio 2007, 0.10.35 | molinaro<br />

Gustavo Adolfo Bécquer<br />

¿Qué es poesía?<br />

dices mientras clavas<br />

en mi pupila tu pupila atroz.<br />

¡Qué es poesía!<br />

¿Y tú me lo preguntas?<br />

Poesía... soy yo.<br />

¿Qué es poesía?<br />

dices mientras clavas<br />

en mi pupila tu pupila azul.<br />

¿Que es poesía?<br />

¿Y tú me lo preguntas?<br />

Poesía... eres tú.<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

José Agustín Goytisolo (facendo la parodia a Bécquer)<br />

Leggendo per caso i versi di Bécquer, poeta dell’Ottocento, in un simpatico blog, ho<br />

pensato a Chiara e ai suoi occhi azzurri puntati nei miei, e mi sono trovato subito<br />

romanticamente d’accordo con Bécquer: che cos’è la poesia? – chiedi mentre<br />

inchiodi nella mia pupilla la tua pupilla azzurra. Che cos’è la poesia? E tu me lo<br />

domandi? La poesia... sei tu.<br />

Poi in un altro sito ho trovato una parodia di Bécquer fatta da un poeta del<br />

Novecento, Goytisolo: che cos’è la poesia? – chiedi mentre inchiodi nella mia pupilla<br />

la tua pupilla atroce. Che cos’è la poesia! E tu me lo domandi? La poesia... sono io.<br />

Al di là dell’intenzione dissacrante di Goytisolo (io avrei fatto la parodia cambiando<br />

solo eres tú in soy yo, e lasciando azul la pupilla, senza renderla atroz – un contrasto<br />

focalizzato su tu/io e basta), c’è da meditare su che cos’è la poesia e su chi fa la<br />

poesia, in particolare la poesia d’amore. C’è dentro la verità della donna amata (tú) o<br />

c’è quasi soltanto la <strong>personali</strong>tà del poeta (yo)?<br />

Oggi si propende forse per la seconda ipotesi, e infatti Goytisolo è del Novecento e<br />

Bécquer dell’Ottocento. Ma non vuol dire. D’altronde non siamo nemmeno più nel<br />

Novecento. La dialettica è eterna. Forse lo è anche al di fuori della poesia. Anche<br />

nell’innamoramento, dico nell’innamoramento di chi non scrive neppure un verso:<br />

quanto c’è davvero della persona amata? Non è tutta una costruzione della persona<br />

amante, ripiegata in definitiva su sé stessa, con l’altra a fare solo da grazioso<br />

specchio? Il dubbio insorge.<br />

Però secondo me una vera poesia d’amore non esiste senza una vera persona<br />

amata, amata nella sua realtà tutta intera. Magari si attraversano prima nebbie di<br />

masturbazioni pseudoamorose, ma poi ci si arriva, all’essenza della persona amata,<br />

a lei davvero, e solo in quel momento nasce la poesia d’amore.<br />

Così la penso io, almeno. Che sono un po’ romantico, forse. Come canta Zibba: «La<br />

nostra malattia / è quella d’esser romantici. / Di guardar bene nel cuore degli altri. / Di<br />

fare a gara di sputi con gli angeli. / E le battaglie contrastano dentro, / tra le pareti del<br />

petto e lo scroto, / e Margherita scappa lasciando solo / un terribile vuoto. / La gente<br />

muore sola, / perché non ha ardimento. / E Margherita lascia l’amore. / Lascia che<br />

non ha tempo».<br />

No, non cambio idea, io a Chiara dedico i versi di Bécquer. Pur tenendo ben presenti<br />

anche quelli di Goytisolo, perché essere romantici non vuol dire essere coglioni.<br />

Freschi di stampa<br />

martedì 3 luglio 2007, 17.01.07 | molinaro<br />

Pagina 46 di 200<br />

Parliamo una volta di libri. Piccoli libri freschi di stampa, da piccoli bravi editori. Per i tipi delle Edizioni Graphe.it<br />

di Perugia (già benemerite per aver pubblicato le Poesiole doppiosensuali di Clara Vajthò) è uscito un libretto di<br />

brevissime poesie di Natale Fioretto, intitolato ...e sia!. Sembrano haiku, pur non avendone la struttura, e sono<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

accompagnate da ideogrammi giapponesi disegnati da Junko Fujita. Formano una piccola costellazione di immagini,<br />

alcune suggestive. L’insieme però mi appare troppo vago, sfilacciato. Cito una delle composizioni: Basta parlare di<br />

ricordi. / Si possono perdere e non voglio. / Un brivido. / Una scheggia di futuro / mi trafigge.<br />

Le Edizioni Vitale di Sanremo hanno invece pubblicato Dentro una sospensione, raccolta di poesie di Felice Serino<br />

in cui sembra dominare un problematico anelito verso una diffusione-fusione dell’io nel tutto. Con uno stile che si è<br />

fatto più maturo (Serino pubblica poesia dal 1978, sette libri, questo è l’ottavo) l’autore percorre la strada necessaria<br />

che per l’intreccio di vita e morte sfocia nel mistero di cui dobbiamo cercare l’impossibile senso, un senso che<br />

nessuna tradizione culturale ci preconfeziona più. Riporto per intero la poesia intitolata L’essenziale: arrivare<br />

all’essenziale: via / il superfluo (lo sa bene il poeta – un / sansebastiano trafitto / sul bianco della pagina) // così il<br />

corpo: si giunge / col vento azzurro della morte / al nocciolo: all’Essenza: non altro / della vita / che avanzi in<br />

pasto al suo vuoto / famelico – / quando nella curva / del silenzio / essa avrà ingoiato la sua ombra.<br />

Le Edizioni Joker di Novi Ligure hanno partorito proprio ora, in carne e ossa (in carta e inchiostro) il libro di<br />

Chiara Borghi Il tempo è scaduto, corredato di mia nota che già misi in questo blog, qui:<br />

http://blog.libero.it/molinaro/2799254.html – dove parlo anche di Clara Vajthò, nonché di Izet Sarajlić. Ne è uscito<br />

un bel libretto, un racconto snello sospeso tra sogno e filosofia. Citare un pezzetto di un racconto non ha molto senso,<br />

e allora di Chiara cito invece una poesia inedita, che sta qui appoggiata sul mio tavolo, e si intitola Ancora no.<br />

Perché ho alzato la tavoletta? / Ancora non mi fido del tuo ambiente. / Ho ascoltato lo scroscio, in piedi. / Ancora<br />

asciugo le mani nella carta. / Lascio lì i tuoi asciugamani, / ancora io non mi sento a casa.<br />

Un mese di blog<br />

mercoledì 4 luglio 2007, 3.13.11 | molinaro<br />

Ecco, oggi è un mese che ho aperto questo blog. Nel complesso sono soddisfatto:<br />

ho scritto una specie di diario pubblico, offerto a chiunque voglia leggerlo, ci ho<br />

messo pensieri, poesie, osservazioni, qualche notizia, qualche fatto. Mi sembra<br />

questa la strada da seguire. Ho avuto alcuni riscontri, ho anche ricontattato qualche<br />

persona che avevo perso di vista. L'unico neo è stato un malinteso "comunicativo"<br />

con una ragazza marchigiana che conosco da tanto tempo e che a causa di questo<br />

"incidente" sembra ora essersi allontanata da me. Ma spero che ci ripensi: in realtà non è successo nulla,<br />

solo uno screzio partito oltretutto da un commento malevolo di un'estranea sul suo blog. La<br />

comunicazione astratta, virtuale, ha i suoi rischi. Per questo preferisco sempre che si accompagni<br />

a contatti reali, di presenza fisica (no, non necessariamente in quel senso!). Ma, ripeto, complessivamente<br />

sono soddisfatto. Adesso sono le quattro di notte, sono stato alzato finora a lavorare su un testo con note<br />

complicatissime e sterminata bibliografia, che tratta della raffigurazione delle città: un testo da lavorare<br />

come redattore per una "grande opera" di una nota casa editrice torinese. E non è male, dopo il lavoro<br />

anche notturno, scrivere due righe nel blog, e, nell'occasione del primo mesiversario, o complimese,<br />

ringraziare tutti quelli che hanno letto, leggono o leggeranno. E buona notte!<br />

Con il tempo<br />

Pagina 47 di 200<br />

(il Paperino nella foto è opera di Clara)<br />

giovedì 5 luglio 2007, 12.13.30 | molinaro<br />

Mi è entrata dentro ieri sera mentre in tram andavo a cena da Claudia (le poesie a volte<br />

«entrano dentro» e poi aspettano). Mi è uscita scritta oggi a mezzogiorno (le poesie non<br />

sopportano di stare dentro a lungo, escono presto in parole, o muoiono – così accade in me,<br />

almeno). Eccola.<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

CON IL TEMPO<br />

in fondo al tram numero dieci<br />

in corso Duca degli Abruzzi<br />

il tram non è né vuoto né affollato<br />

tutti i posti a sedere sono occupati<br />

e cinque o sei passeggeri in piedi<br />

si fa sera ancora una volta si fa sera<br />

parte un allarme d’auto in lontananza<br />

è luglio ma potrebbe non essere<br />

un uomo con la camicia stropicciata<br />

due ragazze truccatissime<br />

al di là del vetro del finestrino<br />

passano strade alberi muri persone<br />

è il 2007 ma potrebbe non essere<br />

al di qua del vetro del finestrino<br />

un uomo è immerso in tutta questa vita<br />

è un cinquantenne ma potrebbe non essere<br />

forse sta tornando da scuola<br />

forse dall’università<br />

forse da un’azienda dove lavora<br />

da una settimana o da tantissimi anni<br />

forse da un circolo ricreativo per vecchi<br />

forse da un ospedale con una brutta diagnosi<br />

ha gli occhi persi come non vedesse<br />

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a Léo Ferré e<br />

a tutte le Chiare le Claudie le Dilette<br />

le Grazie le Romine le Federiche le Clare<br />

le Francesche le Marine le Moniche e<br />

a tutte le altre a tutti gli altri a tutto l’altro<br />

Pagina 48 di 200<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

o vedesse insieme così tante cose<br />

da quasi non vedere<br />

ha gli occhi che brillano in un modo<br />

che non sai se sorride o sta per piangere<br />

è forse preso dal suo primo amore<br />

è forse preso dal suo nuovo amore<br />

o da un amore perso o mai trovato<br />

o da nessun amore<br />

scende dal tram alla fermata di corso Einaudi<br />

ma potrebbe essere un’altra fermata<br />

va da qualcuno ma potrebbe essere<br />

qualcun altro<br />

si fa sera ancora una volta si fa sera<br />

è di questo che s’è accorto all’improvviso<br />

solo di questo nient’altro che questo<br />

7/7/7 e 7/7/77<br />

sabato 7 luglio 2007, 12.35.36 | molinaro<br />

Pagina 49 di 200<br />

Pensando stamattina che è il 7/7/7 (mi piacciono i numeri e le date, e non pongo<br />

neppure la limitazione della lontananza, che poneva Guido Gozzano: Adoro le date.<br />

Le date: incanto che non so dire, / ma pur che da molto passate o molto di là da<br />

venire) mi sono ricordato di avere commentato con i colleghi in ufficio una data<br />

simile: Ehi, gente, oggi è il 7/7/77, festeggiamo! Beh, non è un ricordo di grande<br />

significanza, l'unica significanza che ha è che esattamente trent'anni fa ero in un<br />

ufficio a lavorare e dunque probabilmente non sono più un ragazzino. Boh. Forse.<br />

Preso da questa cosa delle date, stamattina rientrando a casa (ho dormito da un'amica, sono un po'<br />

girovago) mi sono messo a frugare in uno scatolone di cose vecchie e ho trovato una lettera del 1994 in<br />

cui una ragazza di 18 anni mi dava del maniaco per «averci provato» con lei. E dire che avevo solo 41<br />

anni, allora. Che tipa malmostosa! Per fortuna non tutte sono così succube di queste considerazioni<br />

anagrafiche. Bah, probabilmente non le piacevo, semplicemente. Dato che comunque un po' maniaco lo<br />

sono, non ho resistito alla tentazione di scriverle oggi. Adesso di anni ne avrà ben 31, magari ha cambiato<br />

indirizzo e la lettera non le arriva, magari è sposata, ha figli, eccetera. Ma è un bel gioco ritrovare una<br />

lettera e riscrivere 13 anni dopo. A me piace giocare.<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Bah. L'amica da cui ho dormito stanotte di anni ne ha 21 e non mi ha mai dato del maniaco, stiamo molto<br />

bene insieme. Ma il mondo è bello perché è vario e ognuno ha la sua Weltanschauung.<br />

E sono importanti le amiche, le morose, le donne vicine, le fidanzate, insomma chiamatele come volete.<br />

Una mi ha mandato un sms in questo preciso istante per dirmi che ha scoperto di riuscire a toccarsi con la<br />

punta della lingua la base del collo. Uhm, adesso provo. Ma sì, forse ci riesco anch'io. Bisogna capire che<br />

cosa si intende con «base del collo». Voi ci riuscite? Provate, dai.<br />

È una bella giornata e viviamo intensamente perché nulla e nessuno garantisce a nessuno di esserci<br />

ancora l'8/8/8 - e neppure l'8/7/7 - siamo appesi a un filo, non sprechiamo gli attimi.<br />

Vedo sul calendario che oggi inoltre il computo dei giorni passati e da passare dell'anno è 188-177, numeri<br />

curiosi anche quelli. Ma secondo voi perché sui calendari a blocchetto con i foglietti da strappare (che<br />

prendo sempre perché mi piacciono tantissimo, sono fisici, cartacei, e il giorno lo strappi via) mettono su<br />

ogni foglietto giornaliero anche il numero dei giorni passati e da passare nell'anno?<br />

Sullo stesso calendario vedo pure che è san Claudio. Auguri a tutti i Claudi (e anche alle Claudie, se non<br />

c'è una specifica santa Claudia - c'è?), ne conosco fondamentalmente due: un mio compagno di scuola<br />

dalle elementari al liceo, e il fidanzato di una mia amica, insomma di una ragazza che mi piace molto, che<br />

se potessi gliela porterei via, ma tanto non posso e gli auguri comunque glieli faccio. Anche di Claudie ne<br />

conosco fondamentalmente due. Con una facevo l'amore nel 1994, 1995, 1996 (una storia intermittente;<br />

comunque aveva 19 anni e non mi dava del maniaco come la tipa della lettera ritrovata), con l'altra mi<br />

vedo spesso adesso, parliamo, stiamo bene, a volte dormo da lei. Buon onomastico!<br />

Ma quasi quasi quella poesia di Gozzano dove parla anche delle date ve la metto tutta qui sotto, è una<br />

poesia suggestiva. Gozzano per decenni è stato considerato un poeta da salotto per brave signorine, ma<br />

secondo me è un'interpretazione sbagliatissima e finalmente qualcuno se ne sta accorgendo.<br />

Più che una poesia è un vero poemetto, s'intitola L'ipotesi. Buon 7/7/7 a tutti.<br />

L'ipotesi<br />

I.<br />

Io penso talvolta che vita, che vita sarebbe la mia,<br />

se già la Signora vestita di nulla non fosse per via...<br />

E penso pur quale Signora m'avrei dalla sorte per moglie,<br />

se quella tutt'altra Signora non già s'affacciasse alle soglie.<br />

II.<br />

Sposare vorremmo non quella che legge romanzi, cresciuta<br />

tra gli agi, mutevole e bella, e raffinata e saputa...<br />

Ma quella che vive tranquilla, serena col padre borghese<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

in un'antichissima villa remota del Canavese...<br />

Ma quella che prega e digiuna e canta e ride, più fresca<br />

dell'acqua, e vive con una semplicità di fantesca,<br />

ma quella che porta le chiome lisce sul volto rosato<br />

e cuce e attende al bucato e vive secondo il suo nome:<br />

un nome che è come uno scrigno di cose semplici e buone,<br />

che è come un lavacro benigno di canfora spigo e sapone...<br />

un nome così disadorno e bello che il cuore ne trema;<br />

il candido nome che un giorno vorrò celebrare in poema,<br />

il fresco nome innocente come un ruscello che va:<br />

Felìcita! Oh! Veramente Felìcita!... Felicità...<br />

III.<br />

Quest'oggi il mio sogno mi canta figure, parvenze tranquille<br />

d'un giorno d'estate, nel mille e... novecento... quaranta.<br />

(Adoro le date. Le date: incanto che non so dire,<br />

ma pur che da molto passate o molto di là da venire.)<br />

Sfioriti sarebbero tutti i sogni del tempo già lieto<br />

(ma sempre l'antico frutteto darebbe i medesimi frutti).<br />

Sopita quell'ansia dei venti anni, sopito l'orgoglio<br />

(ma sempre i balconi ridenti sarebbero di caprifoglio).<br />

Lontano i figli che crebbero, compiuti i nostri destini<br />

(ma sempre le stanze sarebbero canore di canarini).<br />

Vivremmo pacifici in molto agiata semplicità;<br />

riceveremmo talvolta notizie della città...<br />

la figlia: «...l'evento s'avanza, sarete nonni ben presto:<br />

entro fra poco nel sesto mio mese di gravidanza...»<br />

il figlio: «...la Ditta ha riprese le buone giornate. Precoci<br />

guadagni. Non è più dei soci quel tale ingegnere svedese».<br />

Vivremmo, diremmo le cose più semplici, poi che la vita<br />

è fatta di semplici cose, e non d'eleganza forbita.<br />

IV.<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Da me converrebbero a sera il Sindaco e gli altri ottimati,<br />

e nella gran sala severa si giocherebbe, pacati.<br />

Da me converrebbe il Curato, con gesto canonicale.<br />

Sarei - sui settanta - tornato nella gioventù clericale,<br />

poi che la ragione sospesa a lungo sul nero Infinito<br />

non trova migliore partito che ritornare alla Chiesa.<br />

V.<br />

Verreste voi pure di spesso, da lungi a trovarmi, o non vinti<br />

ma calvi grigi ritinti superstiti amici d'adesso...<br />

E tutta sarebbe per voi la casa ricca e modesta;<br />

si ridesterebbero a festa le sale ed i corridoi...<br />

Verreste, amici d'adesso, per ritrovare me stesso,<br />

ma chi sa quanti me stesso sarebbero morti in me stesso!<br />

Che importa! Perita gran parte di noi, calate le vele,<br />

raccoglieremmo le sarte intorno alla mensa fedele.<br />

Però che compita la favola umana, la vita concilia<br />

la breve tanto vigilia dei nostri sensi alla tavola.<br />

Ma non è senza bellezza quest'ultimo bene che avanza<br />

ai vecchi! Ha tanta bellezza la sala dove si pranza!<br />

La sala da pranzo degli avi più casta d'un refettorio<br />

e dove, bambino, pensavi tutto un tuo mondo illusorio.<br />

La sala da pranzo che sogna nel meriggiar sonnolento<br />

tra un buono odor di cotogna, di cera da pavimento,<br />

di fumo di zigaro, a nimbi... La sala da pranzo, l'antica<br />

amica dei bimbi, l'amica di quelli che tornano bimbi!<br />

VI.<br />

Ma a sera, se fosse deserto il cielo e l'aria tranquilla<br />

si cenerebbe all'aperto, tra i fiori, dinnanzi alla villa.<br />

Non villa. Ma un vasto edifizio modesto dai piccoli e tristi<br />

balconi settecentisti fra il rustico ed il gentilizio...<br />

Si cenerebbe tranquilli dinnanzi alla casa modesta<br />

nell'ora che trillano i grilli, che l'ago solare s'arresta<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

tra i primi guizzi selvaggi dei pipistrelli all'assalto<br />

e l'ultime rondini in alto, garrenti negli ultimi raggi.<br />

E noi ci diremmo le cose più semplici poi che la vita<br />

è fatta di semplici cose e non d'eleganza forbita:<br />

«Il cielo si mette in corruccio... Si vede più poco turchino...»<br />

«In sala ha rimesso il cappuccio il monaco benedettino.»<br />

«Peccato!» - «Che splendide sere!» - «E pur che domani si possa...»<br />

«Oh! Guarda!... Una macroglossa caduta nel tuo bicchiere!»<br />

Mia moglie, pur sempre bambina tra i giovani capelli bianchi,<br />

zelante, le mani sui fianchi andrebbe sovente in cucina.<br />

«Ah! Sono così malaccorte le cuoche... Permesso un istante<br />

per vigilare la sorte d'un dolce pericolante...»<br />

Riapparirebbe ridendo fra i tronchi degli ippocastani<br />

vetusti, altoreggendo l'opera delle sua mani.<br />

E forse il massaio dal folto verrebbe del vasto frutteto,<br />

recandone con viso lieto l'omaggio appena raccolto.<br />

Bei frutti deposti dai rami in vecchie fruttiere custodi<br />

ornate a ghirlande, a episodi romantici, a panorami!<br />

Frutti! Delizia di tutti i sensi! Bellezza concreta<br />

del fiore! Ah! Non è poeta chi non è ghiotto dei frutti!<br />

E l'uve moscate più bionde dell'oro vecchio; le fresche<br />

susine claudie, le pesche gialle a metà rubiconde,<br />

l'enormi pere mostruose, le bianche amandorle, i fichi<br />

incisi dai beccafichi, le mele che sanno di rose<br />

emanerebbero, amici, un tale aroma che il cuore<br />

ricorderebbe il vigore dei nostri vent'anni felici.<br />

E sotto la volta trapunta di stelle timide e rare<br />

oh! dolce resuscitare la giovinezza defunta!<br />

Parlare dei nostri destini, parlare di amici scomparsi<br />

(udremmo le sfingi librarsi sui cespi di gelsomini...)<br />

Parlare d'amore, di belle d'un tempo... Oh! breve la vita!<br />

(la mensa ancora imbandita biancheggerebbe alle stelle).<br />

Parlare di letteratura, di versi del secolo prima:<br />

«Mah! Come un libro di rima dilegua, passa, non dura!»<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

«Mah! Come son muti gli eroi più cari e i suoni diversi!<br />

È triste pensare che i versi invecchiano prima di noi!»<br />

«Mah! Come sembra lontano quel tempo e il coro febeo<br />

con tutto l'arredo pagano, col Re-di-Tempeste Odisseo...»<br />

Or mentre che il dialogo ferve mia moglie, donnina che pensa,<br />

per dare una mano alle serve sparecchierebbe la mensa.<br />

Pur nelle bisogna modeste ascolterebbe curiosa;<br />

- «Che cosa vuol dire, che cosa faceva quel Re-di-Tempeste?»<br />

Allora, tra un riso confuso (con pace d'Omero e di Dante)<br />

diremmo la favola ad uso della consorte ignorante.<br />

Il Re di Tempeste era un tale<br />

che diede col vivere scempio<br />

un bel deplorevole esempio<br />

d'infedeltà maritale,<br />

che visse a bordo d'un yacht<br />

toccando tra liete brigate<br />

le spiagge più frequentate<br />

dalle famose cocottes...<br />

Già vecchio, rivolte le vele<br />

al tetto un giorno lasciato,<br />

fu accolto e fu perdonato<br />

dalla consorte fedele...<br />

Poteva trascorrere i suoi<br />

ultimi giorni sereni,<br />

contento degli ultimi beni<br />

come si vive tra noi...<br />

Ma né dolcezza di figlio,<br />

né lagrime, né pietà<br />

del padre, né il debito amore<br />

per la sua dolce metà<br />

gli spensero dentro l'ardore<br />

della speranza chimerica<br />

e volse coi tardi compagni<br />

cercando fortuna in America...<br />

- Non si può vivere senza<br />

danari, molti danari...<br />

Considerate, miei cari<br />

compagni, la vostra semenza! -<br />

Vïaggia vïaggia vïaggia<br />

vïaggia nel folle volo<br />

vedevano già scintillare<br />

le stelle dell'altro polo...<br />

vïaggia vïaggia vïaggia<br />

vïaggia per l'alto mare:<br />

si videro innanzi levare<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

un'alta montagna selvaggia...<br />

Non era quel porto illusorio<br />

la California o il Perù,<br />

ma il monte del Purgatorio<br />

che trasse la nave all'in giù.<br />

E il mare sovra la prora<br />

si fu rinchiuso in eterno.<br />

E Ulisse piombò nell'Inferno<br />

dove ci resta tuttora...<br />

Io penso talvolta che vita, che vita sarebbe la mia,<br />

se già la Signora vestita di nulla non fosse per via.<br />

Io penso talvolta...<br />

L'insidioso pericolo dell'unico vero amore<br />

domenica 8 luglio 2007, 9.46.13 | molinaro<br />

Guido Gozzano<br />

Pagina 55 di 200<br />

Prendo lo spunto da un commento in questo blog di Viperovip, che dice: ma ogni amore<br />

non dovrebbe, per essere amore, risultare come il primo e l'ultimo? sennò che amore è? tra<br />

le tante baggianate che ho ascoltato, una m'è parsa giusta: “si ama o non si ama. non si<br />

ama un pò, poco, tantissimo, moltissimo, ogni tanto etc...”. è un pò come vivere: non si può<br />

vivere un pò, o vivere tanto, morire un pochino, morire tantissimo etc... o no?<br />

Questa faccenda a me sembra pericolosa. Come l’utopia è pericolosa per la democrazia (le dittature sono sempre<br />

debitrici di qualcosa ai grandi utopisti come Tommaso Moro, che pure erano probabilmente mossi da ottime<br />

intenzioni), così la visione assoluta dell’amore totale è pericolosa per l’amore vissuto, per l’amore che sta nella carne,<br />

nei giorni, nelle emozioni provate – e non sulla carta, nelle costruzioni mentali, negli ideali astratti.<br />

Ho avuto un certo numero di amori veri e concreti (e secondo me eterni, nel senso che nulla li cancella). In qualche<br />

caso anche più d’uno contemporaneamente. Ecco. Qualcuno potrebbe dirmi: «Significa che non hai mai amato<br />

veramente». Già questa è dittatura semantica sul senso della parola amare, ma facciamo finta di dargli retta, e<br />

mettiamo che io stasera stessa incontri un amore immenso, mai provato prima, travolgente, mai immaginato.<br />

Insomma, sì, ho una certa età, ma può sempre succedere!<br />

Bene. In tal caso dovrei dire che tutti gli altri non erano veri amori?<br />

E se fra un anno incontrassi un amore ancora più immenso e più travolgente e più inimmaginabile? Allora anche<br />

l’immenso di stasera passerebbe nella categoria dei «non veri amori»?<br />

E così via: nessuno può ragionevolmente fissare un limite all’intensità dei sentimenti. Nel nostro piccolo, nel nostro<br />

umano, abbiamo una capacità di sentimento infinita, o almeno indefinita (che è all’incirca lo stesso).<br />

<strong>Qui</strong>ndi ogni nuovo amore, definendosi come vero (primo, ultimo, unico), provocherebbe la svalutazione di tutti gli<br />

amori precedenti (o contemporanei). Incontrando la ragazza che amavo e con cui facevo l’amore ieri o tre o dieci o<br />

venti o trent’anni fa le dovrei dire: Sai, ho scoperto che non ti amavo davvero, era una robetta così. E lo dovrei dire a<br />

tutte!<br />

Non so se vi rendete conto della pericolosità di questa catena di svalutazioni. Posso concedere che nella follìa di un<br />

amore intensissimo uno pensi: questo è il vero grande unico amore. Ma è un attimo di follìa, appunto, magari<br />

sublime, ma è un attimo, ed è follìa. Farci su una teoria di vita (o, peggio, proprio una vita) è come applicare alla<br />

realtà l’utopia di Tommaso Moro: è subito Orwell, è subito Lager, è subito Gulag.<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

È una svalutazione pericolosa perché coinvolge appunto sentimenti e persone, non cose materiali. Io la capisco poco<br />

anche con le cose materiali: non è che se trovi un ristorante che ti piace di più devi dire che quello in cui hai cenato<br />

per anni con soddisfazione adesso hai scoperto che era una merda. Ecchecazzo! Ogni cosa è preziosa nella sua<br />

diversità.<br />

Secondo me (ma non voglio offendere nessuno, è solo una mia discutibile opinione) a non essere capace di amare<br />

non è chi ha tanti svariati amori, ma chi tende all’unico amore sublime ideale. L’ideale è spesso un paravento, una<br />

maschera. Quanti poeti di amori sublimi e ideali, messi davanti alla ragazza vera, in carne e ossa e difetti, hanno<br />

avuto una smorfia di disgusto... Stronzi! Innamorati solo di sé stessi, del loro bell’edificio letterario, freddo e morto.<br />

Io non sono un grande poeta, ma, nel mio piccolo, posso confessarvi di non avere mai scritto versi su una ragazza che<br />

non esistesse in carne e ossa, viva. Oh, sì, certo, l’innamoramento può dare una luce diversa, può forse far vedere<br />

qualche dettaglio in modo meno oggettivo – ma che cos’è, nel vedere una persona, l’oggettività? e se la verità di una<br />

persona fosse quella che vede l’innamorato, e si sbagliassero tutti gli altri?<br />

A ispirarmi le poesie – e l’amore – sono sempre state ragazze di cui potrei darvi una precisa descrizione, un nome,<br />

cognome, località, codice fiscale... Vabbè adesso non esageriamo.<br />

Amare una persona significa soprattutto vederne l’umana meraviglia, e desiderarne la vicinanza, il contatto,<br />

l’abbraccio, la mescolanza d’anime e corpi. [Scusate, ho messo un amare significa, roba da Love Story e/o Baci<br />

Perugina, ma fa lo stesso. Posso esprimere la mia idea anche in questo modo.]<br />

Dopo che hai scoperto la meraviglia che c’è in una donna, e te ne sei innamorato, questo amore nulla lo cancellerà e<br />

nulla lo svaluterà. Tantomeno lo svaluteranno gli altri amori per altre donne. Perché, grazie a Dio (o a chi per lui), al<br />

mondo non c’è «una sola» donna meravigliosa. Ce ne sono tante. Diverse. Splendide. Amabili.<br />

Insomma, secondo me l’assolutismo in amore è pericoloso come in ogni altro campo, come lo è in politica, in<br />

filosofia, nella scienza. Magari stasera incontro una donna più meravigliosa di tutte quelle che ho conosciuto, mi<br />

innamoro ancora di più di come mi sono mai innamorato, ma non dirò mai a quelle che ho amato fino a oggi: sai, con<br />

te non era vero amore. Non lo dirò: perché non lo penso.<br />

Il passato svalutato dal futuro è un concetto terribile, non per nulla lo usano i religiosi: «figliuolo, quando avrai<br />

scoperto la vera Fede, la vera Verità, il vero Dio, tutto il resto, tutto quello che vedevi prima, ti parrà scialbo e<br />

insensato». Con tutti quei vero e con tutte quelle maiuscole, te lo ficcano dritto nel culo, i maledetti! L’amore è<br />

adesso, ed è sempre – questa è la sua meraviglia. Secondo me. Nella mia umile opinione. S’intende.<br />

Monogamia, poligamia...<br />

martedì 10 luglio 2007, 9.46.55 | molinaro<br />

Pagina 56 di 200<br />

Parlano di monogamia, poligamia, fedeltà, infedeltà... Queste storie che<br />

s’intrecciano e si strecciano, s’imbrogliano e si sbrogliano, si sfilacciano,<br />

si riannodano, si tramano, si tramandano, si perdono, si perdonano, si<br />

donano, si prendono. Questi vuoti che si riempiono, questi pieni che si<br />

svuotano, il bicchiere a metà, l’assenza del bicchiere, bere alla canna,<br />

bere alla fontana, l’acqua c’è quando c’è, è un flusso, non è una<br />

quantità. Le cose da fare, le cose da non fare, lavorare, pensare. Stare insieme, non stare<br />

insieme, ti amerò per sempre, non voglio vederti mai più, amo soltanto te, voglio dimenticare,<br />

voglio ricordare. Cucire, tagliare. Fare, disfare. Dicono che un grande amore possa durare<br />

un solo giorno, ma se mi sei piaciuta ti cercherò anche il giorno dopo e quello dopo ancora.<br />

Se mi sei piaciuta ti aiuterò a lavare i piatti e ti massaggerò la schiena, vorrò bene ai tuoi<br />

bottoni, ai tuoi cani e ai tuoi fidanzati. Non andare via. Ritorna, se vai. Stiamo andando via<br />

tutti, lo sai. Scegliere, non scegliere. Sciogliere, non sciogliere. Condensare. Cagliare.<br />

L’essenza. Il succo. Il contorno. Progettare è pure necessario. Vivere alla giornata. La vita<br />

stessa è una giornata. La condizione per la pace è non avere nulla da difendere, nulla da<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

conquistare, solo spazio da abitare. Vivere, convivere. Dividere, condividere. Strano verbo<br />

condividere, vorrebbe dire unire e usa invece dividere. Effettivamente ogni unione è una<br />

divisione: se mi unisco a te, ci dividiamo dal resto del mondo. La condivisione ci distingue,<br />

quindi sì, è divisione. Io non ho soluzione, non sono un filosofo e sono più sognatore che<br />

pensatore. Non divento saggio perché non faccio meditazioni ma fantasticherie, e ho letto su<br />

qualche libro religioso che c’è una bella differenza, così pare. Nel nido o capanna a due<br />

cuori ® ho fatto anche due figli ma mi sono sentito spesso solitario; fuori, in piazza, mi sono<br />

sentito spesso in comunione. Non c’è storia: c’è stamattina che mi sono alzato alle cinque a<br />

lavorare e fra un po’ vado dal barbiere a farmi tosare. Non ho mai lasciato nessuna, non ho<br />

mai troncato di netto – vengo molto criticato per questo, ricordo che già Diletta si stupiva:<br />

come sarebbe che non hai mai lasciato una ragazza? Così, non so, non è accaduto,<br />

semplicemente; forse potrebbe accadere, forse no. Mi hanno lasciato loro, direi, se no<br />

adesso avrei quaranta ragazze e potrebbe essere difficile gestire la cosa anche se nel<br />

profondo non credo che sarebbe poi così difficile. Ciascuna di loro avrebbe magari anche lei<br />

quaranta ragazzi e sarebbe un altro bel gruppo di 1.600 persone ma poi no perché ognuno<br />

dei loro ragazzi avrebbe quaranta ragazze quindi altre 64.000 persone ma ognuna di queste<br />

a sua volta quaranta ragazzi dunque altre 2.560.000 persone e poi ci sono pure le lesbiche e<br />

i gay e si arriva in fretta a collegare tutto il mondo in un amore. Non credo che ci sarebbero<br />

poi tutti quei problemi organizzativi, si vede caso per caso, non è lì la vita, non è<br />

nell’organizzazione. Mah, non so, comunque, boh, non voglio disegnare utopie adesso,<br />

dicevo ieri o l’altro ieri che sono pericolose le utopie, meglio stare sul personale, io<br />

personalmente ho quaranta ragazze perché così le sento dentro di me, quelle che non vedo<br />

più le considero in sospeso. La fine di qualcosa è un concetto che la mia mente non<br />

comprende. Potrei anche sposarmi domani, ho sognato di farlo al municipio di <strong>Qui</strong>liano, o<br />

potrebbe essere altrove, un bell’abito bianco per la sposa, e poi si vede come va, se ci si<br />

ama in qualche modo va, anzi di certo va in ottimo modo. Sono l’uomo più fedele del mondo,<br />

su questo ho pochi dubbi. Monogamia, poligamia, strani discorsi, discorsi non d’amore. Vado<br />

dal barbiere.<br />

La fata inodore e insapore<br />

martedì 10 luglio 2007, 10.29.06 | molinaro<br />

metterla qui.<br />

Una fiaba con cui ho partecipato a un premio letterario nel<br />

Canavese («Una fiaba per la montagna», dell’Associazione Culturale ‘L<br />

Péilacän), che aveva per tema obbligato il treno – a me piace il treno,<br />

quindi nessun problema. Che poi il treno c’entra fino a un certo punto. È<br />

pubblicata nell’antologia del premio, ma credo che ciò non vieti di<br />

LA FATA INODORE E INSAPORE<br />

Pagina 57 di 200<br />

La fata Acidula era una fata pendolare: prendeva il treno a Pont Canavese e raggiungeva<br />

Torino, mischiandosi a operaie, impiegate e studentesse, stava qualche ora o qualche giorno a Torino e<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

poi tornava a Pont. Lo faceva da cento anni (le fate non invecchiano), cambiando spesso<br />

travestimenti per non dare nell’occhio, e adeguandosi ai tempi delle ragazze umane e alle loro mode.<br />

Nel 1906 per il primo viaggio si era messa una camiciona con qualche pizzo e una gonna lunga alla<br />

caviglia; nel 2006 portava un esile corpettino stretto sotto il seno e una minigonna a mezza coscia.<br />

Perché la fata Acidula faceva la pendolare? Un po’ perché non sapeva rinunciare ai boschi del<br />

Canavese, benché ormai radi e assai poco magici, e quindi non voleva trasferirsi definitivamente in<br />

città come avevano fatto da tempo diverse sue amiche; e un po’ perché viaggiare in treno le piaceva.<br />

Non si imponeva però dei ritmi fissi: a volte faceva quattro viaggi nello stesso giorno, altre volte si<br />

fermava a Torino tutta una settimana. Di notte per dormire si rifugiava fra i cespugli sulla riva del Po:<br />

diventava piccolissima (per le fate è un gioco facile cambiare dimensioni e aspetto o anche rendersi<br />

invisibili) e chiacchierava con gli insetti prima di addormentarsi.<br />

La fata Acidula faceva quello che fanno tutte le fate monelle: girava, osservava, giocava,<br />

svolazzava, faceva innamorare ragazzi. Aveva però un problema: era inodore e insapore. Tutte le fate,<br />

fin da quando Madre Terra le scodella in un bosco (nascono sempre lì), hanno il loro odore e il loro<br />

sapore. Spesso sono odori e sapori di frutti e di fiori, di erbe, di resine; qualcuna, un poco più lasciva,<br />

sa di muschio o di riva di fosso. Acidula non sapeva di nulla. Glielo avevano fatto notare i primi elfi<br />

con cui si era azzuffata sotto i funghi: “Sei una delle fate più belle, ma non hai odore e non hai sapore:<br />

come faremo a ricordarci di te?”. Gli elfi, infatti, riescono a ricordare solo le cose che colpiscono tutti<br />

e sette i loro sensi (i cinque che hanno anche gli umani, il sesto che qualche umano ha e qualcuno no, e<br />

il settimo che hanno soltanto gli elfi, le fate, i fauni, le ninfe, i poeti e poche altre strane creature).<br />

Anche quando faceva invaghire un ragazzo sul treno o a Torino, Acidula era tormentata da<br />

questo problema. I ragazzi le dicevano sempre: “Sei la ragazza più bella che io abbia mai baciato,<br />

sembri una fata – e qui sempre Acidula si strizzava un occhio da sola – però quando ti bacio non sento<br />

nessun sapore e quando ti annuso il collo non sento nessun odore: forse sei finta, non posso<br />

innamorarmi di te”.<br />

Acidula, che non era finta e che in fondo era una brava fatina, si affliggeva molto. Qualche<br />

volta si diceva che era meglio così: era meglio se i ragazzi non si innamoravano, perché le fate restano<br />

qualche giorno e poi volano via, non fanno coppia e tantomeno famiglia, e lasciano cuori infranti –<br />

anche se poi, diciamolo, gli uomini si consolano in fretta. Però alla fine si stizziva e s’arrabbiava:<br />

perché proprio lei doveva essere priva di odore e sapore, a differenza di tutte le altre fate?<br />

Pagina 58 di 200<br />

Una notte andò a consulto da una vecchia strega che abitava in una grotta vicino a Ivrea, una<br />

che si diceva girasse per il mondo da diecimila anni e avesse conosciuto gli antenati dei faraoni<br />

d’Egitto, all’epoca in cui uomini e divinità discorrevano ancora tranquillamente, come fosse normale.<br />

La strega prese mazzetti di erbe che solo lei conosceva, li strofinò sulla pelle della fatina, ed emise il<br />

suo responso: “Il tuo odore e il tuo sapore sono più forti di quelli delle tue amiche, ma sono nascosti<br />

da una pellicola invisibile che ti avvolge tutta. Madre Terra fa così: quando le succede di creare una<br />

fata dal sapore troppo forte e inebriante, la avvolge in una pellicola che la fa sembrare inodore e<br />

insapore; il tuo odore non lo puoi sentire neppure tu. Ma quando incontrerai il maschio giusto (elfo,<br />

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Carlo Molinaro<br />

fauno o umano che sia), quello che saprà annusare oltre la pellicola, e si innamorerà di te,<br />

allora la pellicola si squarcerà e svanirà, e tutti sentiranno fortissimo il tuo sapore”.<br />

Acidula si rallegrò e da allora visse nell’attesa di incontrare quel maschio. Ma elfi e fauni con<br />

cui si appartava continuavano a dichiararla inodore, e anche i ragazzi non sentivano sapori. Fu una<br />

sera sul treno da Pont che la cosa accadde. Un uomo salì a Torino Stura, e andava solo a Torino Porta<br />

Susa, pochi minuti di viaggio. Il treno era pieno di odori, non tutti gradevoli, eppure l’uomo, appena si<br />

sedette nel posto di fronte alla fata Acidula, sgranò gli occhi e le rivolse uno sguardo come fulminato<br />

d’amore. Forse quell’uomo non avrebbe osato dire nulla, perché era timido; le fate però timide non<br />

sono e fu Acidula ad attaccar discorso:<br />

“Perché mi guardi così? Che hai?”<br />

L’uomo si fece coraggio e disse:<br />

“Hai un profumo meraviglioso”.<br />

Pagina 59 di 200<br />

Nell’attimo successivo, Acidula sentì il proprio odore. Era davvero forte e particolare, sapeva<br />

di susina e di basilico ma anche di terra bagnata e di creolina, di notte alla stazione, di mattina nel<br />

bosco. Improvvisamente tutti gli uomini lo sentirono. Un ferroviere restò lì come incantato.<br />

L’uomo che inconsapevolmente aveva rotto il sortilegio scese a Porta Susa con Acidula e se<br />

ne innamorò perdutamente. Si chiamava Felice e di fatto era felice, come ogni innamorato del mondo.<br />

Acidula stava con lui poche ore e poi scappava, perché era una fata, e le fate non si fermano a lungo da<br />

nessuna parte. Ma si accorse di essere innamorata dell’uomo, e tornò dalla strega di Ivrea, che le<br />

spiegò:<br />

“Se vuoi posso farti bere una pozione magica che ti trasformerà in ragazza umana. Attenta<br />

però: perderai ogni potere magico, e poi invecchierai, probabilmente ingrasserai (gli umani mangiano<br />

certe schifezze...) e diventerai brutta e infine morrai”.<br />

L’amore è l’amore, e Acidula accettò. La strega le disse che, diventando ragazza umana,<br />

doveva anche cambiare nome. Prese le lettere del suo nome, A, C, I, D, U, L, A, le mise in un calice e<br />

le rimescolò, disponendole così: C, L, A, U, D, I, A. Fu molto soddisfatta di questo anagramma:<br />

“Sai di susina, oltre che di tante altre cose, e ci sono da noi profumatissime susine che si<br />

chiamano così, claudie, e che un poeta vissuto in questa terra ha ricordato: E l’uve moscate più bionde<br />

dell’oro vecchio; le fresche / susine claudie, le pesche gialle a metà rubiconde, / l’enormi pere<br />

mostruose, le bianche amandorle, i fichi / incisi dai beccafichi, le mele che sanno di rose /<br />

emanerebbero, amici, un tale aroma che il cuore / ricorderebbe il vigore dei nostri vent’anni felici. I<br />

poeti sono gli unici, fra gli umani, che a volte vedono noi creature magiche. Ma tu ora sarai una<br />

ragazza e una donna, per tutti. Così hai voluto, vai per la tua strada”.<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Non fu facile per Claudia. Già quella notte dovette scarpinare nel bosco (non poteva più<br />

volare) per raggiungere la strada statale. Attese il mattino, poi con l’autostop riuscì ad arrivare a<br />

Torino e trovò Felice. Claudia possedeva solo i succinti vestiti che portava addosso, non aveva un<br />

cognome, non aveva documenti, non aveva casa. Lo spiegò a Felice che, essendo innamorato, capì<br />

tutto. Le inventò un cognome e la prese ad abitare a casa sua; dichiararono che era profuga dalla<br />

Cecenia, da un piccolo paese dove tutto era andato a fuoco, anagrafe compresa; certo non fu facile,<br />

con la legge sull’immigrazione, ma pagando qualche mancia alla fine saltò fuori un documento, con<br />

un permesso di soggiorno. E Claudia cominciò la sua vita da ragazza umana, col suo odore di susina e<br />

basilico e terra bagnata e creolina e notte alla stazione e mattina nel bosco, e ci furono problemi, e<br />

dovette trovare lavoro, e ormai il suo odore lo sentivano in molti e si innamoravano di lei, ed ebbe<br />

molti uomini, e qualcuno la maltrattò, e certi giorni era stanca e meno bella, eppure lei si sentì tante<br />

volte così piena di gioia da scoppiare, e visse (non sempre ma spesso) felice e contenta, perché alla fin<br />

fine, checché ne dicano, vivere davvero è un pochino meglio che soltanto sognare.<br />

Reality show<br />

giovedì 12 luglio 2007, 16.04.15 | molinaro<br />

Una poesia o qualcosa del genere che m’è scappato di scrivere oggi. Si<br />

sta di nuovo alzando un vento forte, vado a cena da mia madre a<br />

Vercelli, c’è molto lavoro e un po’ di stanchezza, ma sono belle giornate.<br />

REALITY SHOW<br />

Dietro ogni più piccola bugia si nasconde una guerra grande, una guerra contro la realtà.<br />

Chiara Borghi, Il tempo è scaduto, Edizioni Joker, Novi Ligure 2007, p. 7<br />

Li carezzi che nun se potono sgravà<br />

s’addeventano stiticanza custipata,<br />

s’addeventano veleno.<br />

Tiziano Scarpa, Groppi d’amore nella scuraglia, Einaudi, Torino 2005, p. 38<br />

«Lo ami?» «Questo è fuori discussione».<br />

«Sei felice?» «Ma sì, adesso va<br />

bene, ma sì, va bene». Si distende<br />

sulla sdraio. «Avranno del caffè<br />

qui?» «Vado su a vedere». Ritorno<br />

col caffè, la guardo berlo: «Ti porterei<br />

via, via con me, lo so che non dovrei<br />

dirlo». «Lascia perdere» – sorride<br />

imbarazzata o infastidita o compiaciuta<br />

(o non sorride affatto, forse) – prende,<br />

da una borsa, del fumo e le cartine<br />

e si rolla una canna. Me ne offre<br />

un tiro – è una festa, l’offrirebbe<br />

a chiunque – però per me è qualcosa<br />

succhiare l’umido delle sue labbra<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

così impresso sul filtro. No, già questo<br />

è rubare, è invadere, è stravolgere<br />

il senso dei suoi gesti. Non c’è nulla<br />

per me. Devo farmi in disparte. Però<br />

non riesco a non sentire il suo sapore<br />

(immaginato) – e non riuscirò<br />

a non riascoltarmi nella mente<br />

le sue parole (poche) – studierò<br />

ogni tono e ogni sillaba, cercando<br />

non ciò che c’è ma ciò che io vorrei<br />

ci fosse: non lo ama per davvero,<br />

non è così felice, lo sarebbe<br />

di più con me – lo esprime la sua voce.<br />

No, non lo esprime affatto, non è vero<br />

niente, è mia fantasia, è una bugia<br />

che mi dico da solo. È così dura<br />

la guerra contro la realtà. E dove<br />

metterò le carezze che non vuole,<br />

i baci che non posso darle in bocca?<br />

Oh, non si muore di questo, via, non siamo<br />

ridicoli. «Andiamo a fare un giro<br />

fino al fiume». «Andiamo: c’è un bel sole:<br />

sono contenta di essere tua amica».<br />

Concrete filosofie<br />

sabato 14 luglio 2007, 8.50.37 | molinaro<br />

Ecco un sabato mattina di luglio, anniversario della presa della Bastiglia. In Francia<br />

è festa nazionale, qui no, e anzi ho molto da lavorare per tutto il finesettimana,<br />

però ieri sera mi sono fatto un viaggio deciso al volo, all’ultimo momento, e ci ho<br />

scritto anche una poesia-filosofia, e sia come sia.<br />

CONCRETE FILOSOFIE D’UNA NOTTE DI PRIMA ESTATE<br />

L’amico che ha prestato all’altro amico<br />

un videogioco dove puoi dar fuoco<br />

alle ragazze e mentre muoiono bruciate<br />

pisciarci sopra mi rimprovera perché<br />

faccio trecento chilometri in una sera<br />

fra l’andata e il ritorno per vedere<br />

una ragazza che sta col suo ragazzo<br />

e a me può dedicare solamente<br />

qualche sguardo parola sorriso<br />

nelle brevi fessure del tempo.<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Come puoi farti prendere per il culo,<br />

farti umiliare così? – è la sua tesi.<br />

Ma la ragazza non mi umilia affatto,<br />

non mi dice bugie, è stata chiara<br />

fin dal primo momento, non m’ha illuso<br />

in alcun modo ed è una scelta mia<br />

fare quanti chilometri mi pare<br />

per ritrovarla e poterci parlare:<br />

vederla mi fa bene e non mi nego,<br />

se posso, questo bene.<br />

Ma la ragazza è una bella persona<br />

e certamente ci farei l’amore<br />

se lei volesse se mi amasse se<br />

non avesse il ragazzo o se anche avendolo<br />

non gli fosse fedele insomma se<br />

in un modo qualsiasi ci stesse<br />

per una notte o per un matrimonio<br />

(non limito il futuro con programmi).<br />

Ma la ragazza è una bella persona<br />

e averla amica sempre un po’ più amica<br />

e leggerla e ascoltarla e penetrare<br />

nella sua timidezza e ritrosia<br />

guardandola negli occhi o di profilo<br />

mentre indossa un golfino, perché qui<br />

la notte è fresca e si cena all’aperto,<br />

è un dono alla mia vita e non mi nego,<br />

se posso, questo dono.<br />

Se volessimo usare il gergo in auge<br />

di questi tempi digitali categorici<br />

(ma l’anima è analogica!) diremmo<br />

che il mio è un approccio su vari livelli<br />

flexible targets, flexible goals approach<br />

ma più semplicemente io direi<br />

che lei mi piace e dunque amo vederla<br />

in un modo o nell’altro.<br />

Se il videogioco prestato all’altro amico<br />

serve a sfogare istinti di dominio<br />

sadismo o frustrazione in modo innocuo<br />

mi sa che non funziona. È molto meglio<br />

lasciarsi innamorare, inebriare<br />

dalla giostra dei giorni, riconoscere<br />

che non c’è alcun potere contro il tempo<br />

che ci divora ma stasera è buono<br />

stare a parlare col bicchiere in mano.<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

C’è chi se non ha tutto butta via<br />

pure quello che ha. Io preferisco<br />

vivere quel che c’è, senza con ciò<br />

vietarmi di sognare tutto il resto<br />

– c’è sempre un resto perché il desiderio<br />

la fantasia il pensiero il sentimento<br />

sono infiniti. E la vita no.<br />

M’ha invitato a una festa a casa sua<br />

e penso che ci andrò: conoscerò<br />

la via dove cammina la mattina,<br />

la stanza dove ha pensato parole,<br />

il suo paese, il suo cortile, il cane.<br />

La cassazione<br />

domenica 15 luglio 2007, 9.26.38 | molinaro<br />

Pagina 63 di 200<br />

Una mia amica (una delle migliori, una persona che stimo davvero molto) ieri<br />

sera, venuta a sapere, privatamente chiacchierando, fortunatamente per viali<br />

passeggiando (non viviamo sempre davanti a un computer), i nomi dei due<br />

amici miei a cui si accenna nella poesia che ho messo qui ieri, nei primi versi,<br />

quelli che si scambiano videogiochi sadici (o almeno l’hanno fatto in un paio di<br />

occasioni), essendo che conosce anche lei i due soggetti, mi ha detto: «Basta,<br />

quei due sono tagliati via per sempre dalle mie frequentazioni» (non so se fossero queste le parole<br />

esatte, non le ricordo testualmente, ma il concetto è chiaro).<br />

Lei è una tipa esigente in tutto, che si tratti di persone o di gelati. Questo da un lato mi rende «più<br />

orgoglioso» di essere nella cerchia dei suoi amici, ma dall’altro mi dà una qualche ansietà: quella<br />

sensazione che devi stare attento (e dunque un po’ innaturale) perché al minimo errore vieni espulso,<br />

non so se rendo l’idea; e, anche, la sensazione che l’amicizia sia sottoposta a precise condizioni.<br />

Forse è naturale che l’amicizia sia sottoposta a precise condizioni. Forse no. Per me che non la<br />

distinguo molto dall’amore (sono varianti dello stesso sentimento e me ne accorgo soprattutto nei tristi<br />

casi di perdita: il vuoto lasciato da un amico che ti molla o da una «fidanzata» che ti molla brucia di<br />

fiamme quantomeno simili) non è tanto naturale, probabilmente, che l’amicizia sia sottoposta a<br />

precise condizioni. L’amore di sicuro non lo è. Non per me, almeno.<br />

Certo mi sembra strano che sia rifiutata una persona, prima amica o amante e amata, per un episodio<br />

o per un dettaglio. Ho sempre pensato che probabilmente l’episodio o dettaglio è una scusa, la punta<br />

di un iceberg non percepito prima, o la goccia che fa traboccare un vaso. L’improvvisa cassazione di<br />

un amico o di un moroso dovrebbe avere radici più profonde e lontane. O forse davvero si può<br />

troncare una relazione (d’amicizia, d’amore) per un dettaglio, per un episodio, per un singolo tratto del<br />

carattere, venuto alla luce da un momento all’altro?<br />

Anni fa un amico, un certo Guido, uno con cui chiacchieravo bene e giocavo a biliardo, troncò<br />

l’amicizia così all’improvviso in un giorno, per cause imprecisate. Federica e, più recentemente, Elisa,<br />

le ho «perse», all’improvviso, per un dettaglio forse, per un gesto, per una parola – così parrebbe – e<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

oltretutto senza capire neppure quale fosse il dettaglio, quale il gesto. Sono vuoti dolorosi. A essere<br />

sincero fino in fondo, devo dire che li percepisco addirittura come violenze, come stupri in negativo,<br />

non so spiegare bene (*). Sei amico, sei amante, sei moroso, fidanzato, e da un giorno all’altro non lo<br />

sei più, sei tagliato via – è un taglio che sanguina – e spesso, appunto, per un dettaglio emerso, per<br />

un gesto, per una parola (così pare, ma non so se crederci del tutto).<br />

Boh! Forse è naturale, sono strano io che non ho mai cassato una persona in questo modo, è un<br />

discorso già fatto anche in questo blog, che non lascio mai le ragazze, che per me tutto continua, nel<br />

pensiero come nella realtà. Mah! Forse sono inutili farneticazioni. La realtà è che è domenica e che<br />

prima di scrivere questo pezzettino ho già lavorato quattro ore a bozze che devo consegnare lunedì,<br />

domani, e ne ho ancora un sacco, e non ho neppure fatto colazione. In casa sono rimasto senza<br />

niente, vado al bar a prendere cappuccino e brioscia (nel bar dove ciò costa € 1,50 naturalmente, non<br />

in quello dove costa € 2,05!).<br />

(*) Ci provo, a spiegare un po’. Se una azione X, nella fattispecie un rapporto amoroso-sessuale, può anche<br />

essere una violenza (il caso dello stupro o del plagio o delle molestie), allora analogamente una azione non-X,<br />

nella fattispecie la cessazione di un rapporto amoroso-sessuale, può anche essere una violenza – certo non<br />

punibile dalla legge, ma percepita tuttavia come violenza. Sia la azione X sia la azione non-X alterano uno stato<br />

emotivo precedente nella persona che subisce l’azione stessa; è questa alterazione che può anche essere<br />

violenta; quindi dire che lasciare una persona può essere una violenza non mi sembra improprio. Per arrivare a<br />

fare l’amore con qualcuno ci vuole un percorso delicato di corteggiamento, contatto, intesa, comunione (può<br />

durare minuti o mesi ma comunque ci vuole). Smettere di fare l’amore presuppone un processo altrettanto<br />

delicato. In sua mancanza (il taglio netto), può esserci violenza. Boh? Non sono mica uno psicologo, l’ho buttata lì<br />

come m’è venuta!<br />

Né il bene né il male né niente: pensieri d'un caldo versosera<br />

martedì 17 luglio 2007, 19.28.50 | molinaro<br />

Pagina 64 di 200<br />

Tumori. Il mio barbiere ha riaperto bottega, sono andato adesso a farmi tosare. Dopo due<br />

mesi che era chiuso per malattia. Operato di un tumore che di norma non lascia speranze e<br />

uccide in fretta (forse il peggiore di tutti, stando alla statistica). Mi è sembrato in forma,<br />

allegro. Certo, il male può riattaccare, ma a quel punto potremmo dire che tutti possiamo<br />

ammalarci in qualsiasi momento di qualsiasi cosa. Lui deve avere una sessantina d’anni,<br />

forse tra i sessanta e i sessantacinque, diciamo. Sinceramente pensavo che non avrebbe<br />

riaperto più. E invece.<br />

Tumori. Una mia amica aspetta l’esito di una biopsia. In un punto delicato e pericoloso (non uno dei tumori<br />

«femminili», no, è un’altra cosa). Lei di anni ne ha ventuno. Sono preoccupato. Naturalmente lo è anche lei. Ci si fa<br />

coraggio. Speriamo in bene.<br />

Orrori. È la seconda volta che lo incontro su un autobus. È un uomo di età imprecisabile e ha una malattia che non<br />

so che cosa sia, è tutto coperto di protuberanze carnose grosse come ciliegie, dappertutto, il viso le mani il collo, tutto<br />

quello che il vestito lascia vedere. Emette anche un odore insopportabile, molte persone scendono dall’autobus.<br />

Sembra uscito da un film dell’orrore, è ripugnante. Lo so che mi sto esprimendo in modo violento e «politicamente<br />

scorretto», ma è così, le parole non possono (non devono) coprire la realtà. Penso alla sua infelicità di intoccabile,<br />

inavvicinabile. Accanto a lui ragazze fresche, appetitose (quelle che resistono e non scendono dal bus, almeno). Dura<br />

la vita.<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Pagina 65 di 200<br />

Bruttezza. Anche senza arrivare alla malattia ripugnante di cui al paragrafo precedente, ci sono persone la cui<br />

bruttezza è devastante. Certo, è bello ciò che piace. Certo, si può essere brutti e simpatici. Certo, non idolatriamo<br />

l’apparenza. Si vive per altri valori. Certo. Ma oltre un certo limite la bruttezza non è un’opinione: deformità<br />

evidenti, obesità anneganti, figure prive di ogni forma. A quel livello la bruttezza mi sembra un handicap, non<br />

diverso dalla mancanza di una mano o da una difficoltà di deambulazione o dalla sordità o altro. Compromette la vita<br />

di relazione, rende più difficile l’equilibrio emotivo: è un handicap. Osservando certe persone, di entrambi i sessi, mi<br />

è successo di pensare: preferirei essere mutilato di una mano che essere così brutto. Mi creerebbe meno difficoltà.<br />

Non so se è un vizio mio di «troppo esteta», ma non credo. Oltre un certo limite la bruttezza è un handicap, solo che<br />

riconoscerlo socialmente peggiorerebbe la situazione: «sei così brutto che ti diamo una pensione di invalidità» è una<br />

frase che non credo faccia piacere. Dunque non c’è niente da fare.<br />

Pudore. Guardavo una panchina vuota in piazza Statuto e immaginavo, così camminando nel caldo meridiano (fa<br />

questi scherzi) due che ci facessero l’amore, nudi, o anche non nudi: la gente avrebbe guardato curiosa ma anche<br />

scandalizzata, qualcuno avrebbe gridato commenti anche non gentili, poi qualcun altro avrebbe chiamato la polizia o<br />

i vigili e ci sarebbe stata la denuncia per avere offeso il pudore, nel suo comune senso. Pensavo alla costruzione<br />

culturale secolare che ha prodotto questo: astraendo e astraendo (e mentre camminavo e pensavo «astraendo e<br />

astraendo» muovevo le braccia, me ne sono accorto, le ruotavo per sottolineare l’intensità dell’astrazione: spesso,<br />

quando cammino da solo e penso, mi sa che mi prendono per pazzo) non c’è nulla di oggettivamente brutto o<br />

condannabile in due che fanno l’amore su una panchina in piazza Statuto. Magari anzi sono molto belli da vedere<br />

mentre lo fanno. Eppure è una vista insopportabile, da punire; mentre si sopporta (sia pure con sforzo) la vista<br />

dell’uomo sull’autobus uscito da un film dell’orrore (e la si sopporta giustamente: ci manca solo che, con la sfiga che<br />

già ha, gli si vieti l’autobus). Ma perché i due che trombano invece no, non sono sopportabili? Ce ne siamo costruiti<br />

di garbugli in testa sulla sessualità, in questi dieci o quindicimila anni di storia. Forse è impossibile liberarsene.<br />

Amen.<br />

Pudore. Una sera da mia madre (io non ho televisore e va bene così) guardavo un reality show – o forse non era un<br />

reality show, è una terminologia che conosco poco: comunque, uno spettacolo in cui della gente andava a raccontare i<br />

suoi sentimenti e a litigare con altri con cui invece forse doveva riconciliarsi, c’era una ragazza che aveva tradito il<br />

ragazzo e gli chiedeva perdono in televisione e lui non la perdonava, e interveniva tutta la famiglia, la madre a dire<br />

che fa bene mio figlio a non perdonare quella troia (no, non credo sia stata pronunciata la parola troia, ma tante volte<br />

l’eufemismo è più tagliente di ciò che eufemizza). Non potevo spegnere perché non volevo interferire con la visione<br />

di mia madre (anche se credo stesse sonnecchiando), e allora mi sono alzato e sono andato in cucina per non sentire<br />

più, perché mi veniva da vomitare, perché ciò che passava sullo schermo era avvilente, volgare, insopportabile.<br />

Dunque anch’io ho il mio pudore; è solo un pudore diverso. Non trovo nulla di volgare od offensivo in due che<br />

trombano su una panchina di piazza Statuto, ma in due che si dicono cattiverie davanti a un pubblico voglioso e<br />

feroce, prostituendo i sentimenti, lì sì, trovo la quintessenza della volgarità e dell’offesa. Però lo trasmettono in prima<br />

serata. Farebbero meglio a trasmettere film di Moana Pozzi buonanima, dove c’è assai più finezza e rispetto.<br />

La vecchia autoradio. Ho portato l’auto nella mia officina di fiducia, il cui titolare mi prende sempre per il culo<br />

perché di auto non capisco una mazza, ma è simpatico. C’è da aggiustare la lucina che illumina il cruscotto (in realtà<br />

non funziona da quando l’ho comprata, ma prima o poi dovevo decidermi, se viaggio di notte non vedo neanche a che<br />

velocità sto andando) e poi secondo me anche la spia della benzina. Almeno: se ne accende una piccolina in alto a<br />

destra, tutta nascosta, ma secondo me è di emergenza, la riserva della riserva, e dovrebbe accendersene una grande<br />

vicino alla lancetta del serbatoio, in mezzo, non è così nella Panda? Mi era sembrato... Ma il titolare dell’officina, un<br />

tipo molto paterno con i capelli grigi, mi fa bonariamente: «Guardi, io le credo anche, ma è sicuro che ci sia una spia<br />

della benzina qui? E perché poi dovrebbero essercene due?». Mi sono sentito un po’ scemo, però a me sembrava che<br />

ci fosse, e poi quell’altra è tutta defilata, però chissà, forse mi confondo con la Uno che avevo prima. Bah! Fa lo<br />

stesso. E poi gli ho dato da montare anche la vecchia autoradio che mi ha regalato Cesare venerdì. Su quella Panda<br />

usata c’erano già le casse, e allora ho pensato di metterci l’autoradio, così le sfrutto. È vecchia e mangia le cassette,<br />

non legge i ciddì, ma insomma, io poi un po’ di cassette le ho ancora, ho i Canti picareschi di David Riondino su<br />

cassetta, che mi piacciono molto: Maracaíbo, balla al Barracuda, sì ma balla nuda, Zazà, e l’impiegatino asburgico<br />

che beve Gewürztraminer e ama l’imperatore, e la grande aragosta e le suore di Vigevano che correvano sui trampoli,<br />

era l’estate del cinquantatré. Insomma, quello dell’officina ha guardato l’autoradio con una faccia che subito gli ho<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

detto, come per scusarmi: «Non è nuovissima». «Dire che non è nuovissima è un eufemismo, comunque proviamo a<br />

montarla, a volte i miracoli succedono», ha risposto.<br />

La luna di Chiara. E poi ho pensato che Beethoven ha composto il Chiaro di Luna (anche se forse non è stato lui a<br />

chiamarla così, la sonata per pianoforte in do diesis minore n. 14 op. 27 n. 2) e allora ho scritto la Luna di Chiara,<br />

così, tanto per scrivere, perché ne avevo voglia. Non è una poesia, è il testo per una canzone da musicare. Che<br />

differenza c’è? Non lo so, forse nessuna, molte poesie sarebbero musicabili, ma questa qui l’ho scritta con<br />

l’intenzione di fare un testo per una canzone. Avrei anche un abbozzo di musica in testa, ma dato che non so suonare<br />

quasi neanche il citofono e tantomeno so scrivere musica, basta così. E quello nella foto è un motocarro che ho<br />

fotografato a Lisbona nel 2004.<br />

LUNA DI CHIARA<br />

Luna di gesso, luna di cartone,<br />

luna di vetro in posa su un bancone,<br />

luna tolta da un cielo sempre caldo,<br />

luna venduta nei negozi in saldo.<br />

Luna rinfusa, luna paccottiglia,<br />

luna che non ce n’è che ti somiglia,<br />

luna-Taiwan spacciata come rara<br />

– no, non è questa la luna di Chiara.<br />

Luna di Chiara non l’avete vista:<br />

da troppi inverni la tiene nascosta:<br />

non è di plastica né cartapesta:<br />

è viva, cresce, lo spazio non basta.<br />

Luna di Chiara è luna sottile:<br />

può lacerarsi fra il ponte e le vele:<br />

ruba lo specchio all’orgoglio del sole:<br />

c’è chi s’inquieta, chi imbraccia il fucile.<br />

Luna di Chiara è vergine cauta:<br />

non la calpesta nessun astronauta.<br />

Luna di Chiara è astuta bagascia:<br />

non fa capire se prende o se lascia.<br />

Luna di Chiara non è una conquista:<br />

io l’ho incontrata senza farlo apposta<br />

– un attimo negli occhi m’è rimasta:<br />

credimi, è stato un attimo di festa.<br />

Habeas Corpus<br />

giovedì 19 luglio 2007, 7.59.27 | molinaro<br />

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Per un’opera a cui collaboro, ho dovuto lavorare redazionalmente alcuni pezzi dell’Habeas<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Corpus Act, fondamentale (mi dicono) documento del diritto inglese, del 1679. Non siamo<br />

riusciti a trovarne una versione italiana «ufficiale», preesistente, e ci siamo lanciati in una traduzione a più mani che<br />

si è rivelata complicatissima, snervante. Incuriosito, sono andato allora in giro per varie fonti a cercare di capire che<br />

cos’è l’Habeas Corpus in generale, che evidentemente precede, come concetto, l’atto inglese del 1679: mi sa di<br />

diritto romano, o giù di lì. Beh, insomma, è in latino, no? E d’altra parte se ne parla spesso in discussioni<br />

contemporanee sul diritto, sulla democrazia, sulla trasparenza, sulla libertà. Sembrerebbe una cosa importante.<br />

Ora, lo so che dicendolo pubblicamente mi espongo a una figura di merda, ma io, dopo avere letto decine di pagine<br />

sull’argomento, non ho capito assolutamente di che cosa si tratti. Forse sono allergico al giuridichese. Ma non lo<br />

capisco proprio, che cos’è l’Habeas Corpus. In genere trovo, come spiegazione, che è «un qualcosa» contro la<br />

detenzione preventiva, «un qualcosa» sul diritto a essere giudicati presto da un’autorità competente. Però non capisco<br />

i termini in sé. Non capisco neanche a quale corpus ci si riferisca, né chi sia il destinatario dell’esortativo habeas.<br />

Abbi il corpo del detenuto? O di chi? Ma poi chi lo deve avere? O abbi tu il tuo corpo, cioè la disponibilità di te<br />

stesso? O abbi il corpo... del reato? O forse corpus in qualche altro senso ancora? Forse la chiave è proprio capire chi<br />

è il tu dell’habeas. E questo non lo trovo spiegato da nessuna parte, ho fatto dei lunghi giri su vari <strong>siti</strong>... Insomma,<br />

dichiaro la mia ignoranza: pur avendo lavorato redazionalmente parte del testo dell’Habeas Corpus Act (che significa<br />

poi metterlo in un italiano decente, o almeno provarci – quando il concetto è garbuglioso, non è facile illimpidirlo), io<br />

a tutt’oggi non so rispondere alla domanda: «che cos’è l’Habeas Corpus?» Certo, colpa mia, sicuramente, che sono<br />

allergico alla terminologia dei diritti (nulla, nulla, nulla capisco di leggi, decreti, atti processuali e roba del genere, è<br />

proprio una lingua a me aliena – e questo mi preoccupa un po’, perché la legge, per essere uguale per tutti, dovrebbe<br />

essere comprensibile a tutti, o quantomeno provarci), ma colpa anche di un mondo delle leggi, appunto, che forse da<br />

sempre è stato lontano dalla gente. D’altronde, in Inghilterra nel 1679 credo che poca gente parlasse latino, e quindi<br />

per i sudditi di Sua Maestà l’habeas corpus poteva anche essere una minestra di verdure. Insomma, qualcuno mi dice<br />

in modo semplice che cos’è l’Habeas Corpus? A questo punto sono curioso davvero, accidenti! Sembra una cosa<br />

importante anche per il diritto di oggi! <strong>Qui</strong>ndi andrebbe un po’ spiegata... I due nella foto sanno certamente di che<br />

cosa si tratta, se hanno scritto quello striscione, però va spiegato! Insomma!<br />

Savona e dintorni<br />

venerdì 20 luglio 2007, 8.48.38 | molinaro<br />

Stasera vado a una festa in un paese alle spalle di Savona. Si prevede una cena a base di<br />

cozze o, come si dice in Liguria, muscoli. Prendo l’auto, mi caccio nel traffico dei<br />

vacanzieri, e ci vado. Poi tornerò a Torino nella notte. Una sfacchinata, sì, ma sono<br />

affezionato a quella zona, appena nell’entroterra, dietro Savona. Ci ho trovato paesaggi,<br />

tensioni, emozioni, amici, musica, poesia, lunghe notti chiare, un amore ricambiato con una<br />

ragazza sfavillante (poi finito perché pare che tutto abbia a finire, in questa fragile vita<br />

mortale) e un amore non ricambiato con una ragazza più sfavillante ancora ma vagamente fidanzata con un altro<br />

(beh, nessuno è perfetto!). Mi sembra che tutto ciò sia moltissimo, per una zona così piccola, un raggio di una ventina<br />

di chilometri, e allora ci sono affezionato, e stasera vado a mangiare le cozze.<br />

Intanto vi offro una poesia scritta nel 2003 appena un po’ più in là, dove comincia Genova. Che fra Savona e Genova,<br />

è tutta una fascia di terra amabile, anche se io, come dice la poesia, vagamente straniero lo sono ovunque.<br />

PASSAGGIO A V.<br />

Spiaggia di Vesima, buttato sui sassi<br />

a torso nudo coi miei vecchi jeans,<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

con le scarpe da profugo romeno,<br />

la faccia di randagio fuori età.<br />

Mi chiede una bambina: «Sei straniero?»<br />

Sento le pietre calde sulla schiena.<br />

Socchiudo gli occhi. Le rispondo: «Sì».<br />

LA STRANIERA<br />

domenica 22 luglio 2007, 13.27.55 | molinaro<br />

Sarà che collaboro a una rassegna stampa sull’immigrazione per<br />

una lodevole associazione (www.fieri.it). Sarà che faccio<br />

volontariato in un gruppo che offre alcuni servizi agli immigrati.<br />

Sarà che Torino è una città multietnica e mi accade di partecipare<br />

in occasioni multietniche. Sarà, più semplicemente, che sono un<br />

vagabondo. Fatto sta che oggi mi è venuta una poesia<br />

sull’immigrazione. Non so se è una poesia «civile». Tutta la poesia è civile. E<br />

comunque la cosa non ha importanza. Forse è una poesia d’amore. Insomma è una<br />

poesia, per quel che vale, ed eccola qua.<br />

LA STRANIERA<br />

Si è integrata – o così sembra. Parla<br />

la loro lingua, con qualche esitazione.<br />

Cucina le verdure; ha preparato<br />

una festa stasera.<br />

Loro arrivano<br />

un po’ per volta.<br />

Io ero già lì<br />

ad aspettare, apparecchiando il tavolo<br />

con lei, nel mio silenzio.<br />

Sono uomini, tutti uomini: se hanno<br />

una donna, non l’hanno portata.<br />

Uno di loro è il suo fidanzato,<br />

il fidanzato della donna straniera:<br />

lo riconosco perché lei gli dà un bacio.<br />

Mangiano, bevono. Dicono battute<br />

sulle solite cose: le serate<br />

al mare, le automobili, le moto,<br />

le case da comprare – e poi le donne.<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Lei, la straniera, cerca di rispondere<br />

a tono – oppure invece si ritrae<br />

aggrottandosi – oppure nasconde<br />

un disappunto in un gesto qualsiasi.<br />

Questo nuovo paese non è il suo<br />

ma un’immigrata si deve adattare.<br />

Il fidanzato è un poco più gentile<br />

e le offre un riparo. Gli altri ruttano<br />

e vagamente forse compatiscono<br />

l’amico che s’è preso questa donna<br />

kosovara o macedone o boema,<br />

non lo sanno neppure di preciso.<br />

Il fidanzato è un poco più gentile<br />

ma neppure lui sa. Le lontananze<br />

non s’imparano parlando o promettendo:<br />

devi averle percorse.<br />

Sto in silenzio<br />

e mangio la verdura. La straniera<br />

ha negli occhi altri cieli e altri ragazzi<br />

lasciati. Ma non c’era sicurezza<br />

laggiù, non c’era pane e anche l’amore<br />

era un bene di lusso che trovavi<br />

un giorno sì e troppi giorni no.<br />

<strong>Qui</strong> invece pane e amore hanno una certa<br />

garanzia, norma CE, quality control,<br />

benché ci scappi a volte qualche frode<br />

di mafia. Hanno una certa garanzia:<br />

pazienza se il sapore non è forte<br />

né dolce come là nelle pianure<br />

tra la Vltava e il Labe.<br />

Sto in silenzio,<br />

vedo le bianche nubi velocissime<br />

nell’azzurro degli occhi: mi son perso<br />

nei paesi più ostili e seducenti,<br />

dove nessuno sapeva chi ero. Neanche oggi<br />

sanno chi sono. Io sono qui per sbaglio.<br />

L’immigrata concede sguardi brevi<br />

ai miei sguardi. Diffida del mio essere<br />

diverso: teme io voglia riportarla<br />

subdolamente ai suoi sogni precari,<br />

quei sogni senza casa e senza parte<br />

in cui soffrire ancora. Cosa voglio?<br />

Perché non sto al mio posto? Ho parenti<br />

dell’Est? O sto giocando con un poco<br />

d’imparaticcio nel volontariato?<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Le direi: Vieni via perché ti amo<br />

e ti conosco, perché sarà bello<br />

restare insieme. Non le dico nulla.<br />

Sono lontano da lei e dagli altri<br />

che ormai, più brilli, scoreggiano pure.<br />

Ripongo i piatti lavati nel vecchio<br />

mobile in legno e vetro.<br />

Sto in silenzio.<br />

Saluto e torno verso casa, nella<br />

notte ormai fonda. Vado. Ho il privilegio<br />

di non avere patria – ma non basta. Lei<br />

si è integrata – o così sembra. Parla<br />

la loro lingua, con qualche esitazione.<br />

L'ombelico del poeta e l'autogrill di Guccini<br />

martedì 24 luglio 2007, 9.34.17 | molinaro<br />

In un messaggio di questo blog ho messo due poesie-invettive contro due canzoni di Mogol-<br />

Battisti. Invettive perché? Perché trovo che siano testi maschilisti, egocentrici ed egolatrici,<br />

canzoni di pseudamore dove lei viene ridotta a una cosa anche un po’ stupida.<br />

Contro due testi vagamente commerciali (benché Battisti abbia cantato pure canzoni<br />

emozionanti, colonne sonore di feste d’adolescenza) è forse fin troppo facile scagliare<br />

invettive di quel tipo. Ma stamattina ho pensato che un certo maschilismo, un certo<br />

egocentrismo e una certa egolatria si trovano spesso anche in ben più «nobili» canzoni e poesie.<br />

Stavo canticchiando una canzone di Francesco Guccini che mi piace molto (e che continuerà a piacermi molto),<br />

Autogrill, e notavo alcune cose. Sì, qui c’è una ragazza più vera, più delineata, presa in un gesto concreto (la ragazza<br />

dietro al banco mescolava birra chiara e Seven-up), descritta con più cura (il sorriso da fossette e denti era da<br />

pubblicità... bella d'una sua bellezza acerba, bionda senza averne l'aria, quasi triste come i fiori e l' erba di scarpata<br />

ferroviaria... specchiò alla soda-fountain quel suo viso da bambina), insomma c’è lo sguardo rivolto a lei. Lei esiste,<br />

possiamo pensare che esista. E meno male, Guccini è Guccini, non è Mogol-Battisti.<br />

Eppure. Eppure anche qui subito ci si ripiega al proprio interno: i sogni miei segreti li rombavano via i TIR... il<br />

silenzio era scalfito solo dalle mie chimere, che tracciavo con un dito dentro ai cerchi del bicchiere... e io sentivo<br />

un’infelicità vicina. Beh, è inevitabile, si dirà: la poesia è interiorità. Sì, certo. Ma la ragazza sembra pian piano<br />

ridursi a una componente della scena, a un’immagine (come i visi alle pareti di quel piccolo autogrill), a una<br />

componente non tanto diversa da quella del paesaggio fisico (basso il sole all'orizzonte colorava la vetrina, e<br />

stampava lampi e impronte sulla pompa da benzina).<br />

Alla scena il soggetto narrante (poetante, cantante?) imprime un tocco proprio, fa un gesto, non si limita alla<br />

contemplazione: misi un disco nel juke-box per sentirmi quasi in una scena di un film vecchio della Fox. Però ecco, è<br />

ancora una scena letteraria, è un film vecchio della Fox, e sembra quasi una scusante la frase successiva: per non<br />

gettarle in faccia qualche inutile cliché<br />

Pagina 70 di 200<br />

picchiettavo un indù in latta di una scatola di tè. Fra l’altro sull’efficacia decliscettizzante di tale picchiettamento mi<br />

permetto di nutrire qualche ragionevole dubbio.<br />

La sensazione è che a questo punto sia già tutto finito, tutto ridotto a un gioco di pensiero. E infatti c’è quella che<br />

secondo me è una frase chiave della canzone: Ma nel gioco avrei dovuto dirle... Ecco: «ma» (perché «ma»? che cosa<br />

si oppone?), «nel gioco» (gioco: dunque è pre-scritta l’impossibilità che sia realtà), «avrei dovuto» – come, avresti<br />

dovuto? e perché non lo fai? che cosa o chi te lo impedisce?<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

I due versi successivi, contenenti ciò che «avrebbe dovuto» dirle, sono bellissimi: non la vedi, non la tocchi oggi la<br />

malinconia? Non lasciamo che trabocchi: vieni, andiamo, andiamo via. Può essere significativo il fatto che, non<br />

molto tempo fa, questi versi io li abbia scritti su un biglietto che ho dato a una ragazza, che vedevo in una luce simile,<br />

in una malinconia simile, e ho voluto (non «avrei voluto») dirglielo, e gliel’ho detto. Non è venuta via con me, ma ci<br />

ho provato. Non rinuncio mai senza provare.<br />

Poi nella canzone l’atmosfera si rompe, come è naturale, entra gente nell’autogrill, tutto torna a essere qualsiasi<br />

(anche la ragazza?) e lui si alza e se ne va per la sua strada (mi chiamò la strada bianca) dove non c’è sicuramente<br />

posto per la barista dell’autogrill – avrà ben altro da fare. A conferma della ribanalizzazione della ragazza (chissà,<br />

forse ormai non è più nemmeno bionda senza averne l’aria), il nostro le lascia addirittura un nichel di mancia – cazzo,<br />

almeno questo poteva risparmiarcelo però, è davvero brutto.<br />

Ora, non so neppure cosa voglio dimostrare, probabilmente nulla, parlo così per parlare, e la canzone è comunque<br />

bella. Però... Però mi è successo di osservare una ragazza dietro il bancone di un autogrill – o in qualsiasi altro luogo<br />

del pianeta. Mi è successo di trovarla bella, bella di una sua bellezza. Di cominciare a desiderarla, di cominciare,<br />

massì, a innamorarmene. Se tante volte non ho detto vieni, andiamo, andiamo via è stato solo per timidezza. Non<br />

perché pensassi che era solo un gioco. Non perché la vedessi solo come una tessera di un mosaico. Non perché mi<br />

servisse solo per farci pensieri, fantasticherie, poesie o canzoni. Chi se ne frega delle poesie e delle canzoni. Vieni,<br />

andiamo, andiamo via davvero. Qualche volta mi è riuscito di dirlo. Qualche (rara) volta siamo andati via. Amare<br />

(una donna, ma anche la realtà, il mondo, insomma tutto) è slanciarsi, muoversi, avanzare, agire. È non poter stare<br />

fermo, cazzo! Non è chinarsi su un foglio o su una chitarra. Quello viene dopo, quello viene per raccontare, per<br />

riprendere, per forse (presuntuosamente) eternare un qualcosa – ma prima lo devi vivere, vivere tutto, rischiare,<br />

rischiare anche di conoscerla, di vedere com’è diversa, di prenderla con te, la ragazza che mescola birra e gazzosa,<br />

forse sposarla, farci tre figli, andare ad abitare al suo paese, conoscere sua madre e il suo cane. Forse: non è detto che<br />

accada, ma forse. Se no, se già in partenza lei è solo un pezzo della scena di un film vecchio della Fox, beh, allora è<br />

una cazzata, un’egolatrica masturbatoria solipsistica cazzata. Ed è anche, ora esagero ma chi se ne frega, una<br />

vigliaccheria. Se i poeti sono questi inconcludenti coglioni innamorati solo del loro naso e della loro penna, fanno<br />

bene le ragazze a fidanzarsi con gli agenti immobiliari. E vaffanculo. Scusate, ho trasceso ma mi bruciava un po’<br />

dentro.<br />

L’amore vero non è tanto quello che strappa i capelli, ma quello che ti strappa da te stesso, dalla contemplazione<br />

compiaciuta del tuo ombelico del cazzo. Le poesie vengono dopo. E soltanto quelle che vengono dopo sono le più<br />

belle. Le altre sono letteratura, solo letteratura, e ne ho le palle piene. E scusatemi ancora, e la canzone di Guccini è<br />

comunque bella e la canticchierò ancora, e stasera vado a Venezia a trovare una donna e non un mio sogno, e di ciò<br />

sono felice, e buona giornata a tutti voi.<br />

Al mare!<br />

venerdì 27 luglio 2007, 11.13.38 | molinaro<br />

da un lato Qohelet dice:<br />

Pagina 71 di 200<br />

Oggi pomeriggio vado al mare, e ci resto per qualche giorno. Una breve vacanza. Mi sento<br />

pieno e vuoto, meravigliato e stanco, entusiasta e malinconico. Una lucente ghirlanda<br />

aggrovigliata. Al mare festeggerò anche il mio LIV compleanno. Scritto alla romana suona<br />

bene, insomma, ai uònt tu liv. E andiamo avanti, finché ce n’è.<br />

D’altronde è così da sempre. Anche nella Bibbia c’è un po’ tutto e il contrario di tutto. Se<br />

Vanità delle vanità, vanità delle vanità, tutto è vanità. Che profitto ha l'uomo di tutta la fatica che<br />

sostiene sotto il sole? Una generazione se ne va, un'altra viene, e la terra sussiste per sempre.<br />

Anche il sole sorge, poi tramonta, e si affretta verso il luogo da cui sorgerà di nuovo. Il vento soffia<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

verso il mezzogiorno, poi gira verso settentrione; va girando, girando continuamente, per<br />

ricominciare gli stessi giri. Tutti i fiumi corrono al mare, eppure il mare non si riempie; al luogo<br />

dove i fiumi si dirigono, continuano a dirigersi sempre. Ogni cosa è in travaglio, più di quanto<br />

l'uomo possa dire; l'occhio non si sazia mai di vedere e l'orecchio non è mai stanco di udire. Ciò<br />

che è stato è quel che sarà; ciò che si è fatto è quel che si farà; non c'è nulla di nuovo sotto il sole.<br />

C'è forse qualcosa di cui si possa dire: «Guarda, questo è nuovo?» Quella cosa esisteva già nei<br />

secoli che ci hanno preceduto. Non rimane memoria delle cose d'altri tempi; così di quanto<br />

succederà in seguito non rimarrà memoria fra quelli che verranno più tardi. Io sono stato re<br />

d'Israele a Gerusalemme, e ho applicato il cuore a cercare e a investigare con saggezza tutto ciò<br />

che si fa sotto il cielo: occupazione penosa, che Dio ha data ai figli degli uomini perché vi si<br />

affatichino. Io ho visto tutto ciò che si fa sotto il sole: ed ecco tutto è vanità, è un correre dietro al<br />

vento. Ciò che è storto non può essere raddrizzato, ciò che manca non può essere contato. Io ho<br />

detto, parlando in cuor mio: «Ecco io ho acquistato maggiore saggezza di tutti quelli che hanno<br />

regnato prima di me a Gerusalemme; sì, il mio cuore ha posseduto molta saggezza e molta<br />

scienza». Ho applicato il cuore a conoscere la saggezza, e a conoscere la follia e la stoltezza; ho<br />

riconosciuto che anche questo è un correre dietro al vento. Infatti, dove c'è molta saggezza c'è<br />

molto affanno, e chi accresce la sua scienza accresce il suo dolore.<br />

Dall’altro lato la ragazza innamorata del Cantico dei Cantici dice:<br />

Pagina 72 di 200<br />

Baciami dei baci della tua bocca, poiché le tue carezze sono migliori del vino. I tuoi profumi hanno<br />

un odore soave; il tuo nome è un profumo che si spande; perciò ti amano le fanciulle! Attirami a<br />

te! Sono scura ma bella: è il sole che mi ha abbronzata. I figli di mia madre si sono adirati contro<br />

di me; mi hanno fatta guardiana delle vigne, ma io, la mia vigna, non l'ho custodita. Il mio amico è<br />

per me come un sacchetto di mirra, che passa la notte sul mio seno. Il mio amico è per me come<br />

un grappolo di cipro delle vigne d'En-Ghedi. Come sei bello, amico mio, come sei amabile! Anche il<br />

nostro letto è verdeggiante. Le travi delle nostre case sono di cedro, i nostri soffitti sono di<br />

cipresso. Qual è un melo tra gli alberi del bosco, tal è l'amico mio fra i giovani. Io desidero<br />

sedermi alla sua ombra, il suo frutto è dolce al mio palato. Egli mi ha condotta nella casa del<br />

convito, l'insegna che stende su di me è amore. Fortificatemi con schiacciate d'uva passa,<br />

sostentatemi con mele, perché sono malata d'amore. La sua sinistra sia sotto il mio capo, la sua<br />

destra mi abbracci! Ecco la voce del mio amico! Eccolo che viene, saltando per i monti, balzando<br />

per i colli. L'amico mio è simile a una gazzella, o a un cerbiatto. Eccolo, egli sta dietro il nostro<br />

muro e guarda per la finestra, lancia occhiate attraverso le persiane. Il mio amico parla e mi dice:<br />

«Àlzati, amica mia, mia bella, e vieni, poiché, ecco, l'inverno è passato, il tempo delle piogge è<br />

finito, se n'è andato; i fiori spuntano sulla terra, il tempo del canto è giunto, e la voce della tortora<br />

si fa udire nella nostra campagna. Il fico ha messo i suoi frutti, le viti fiorite esalano il loro profumo.<br />

Àlzati, amica mia, mia bella, e vieni». Il mio amico è mio, e io sono sua: di lui, che pastura il<br />

gregge fra i gigli. Sorgi, vento del nord, e vieni, vento del sud! Soffiate sul mio giardino, perché se<br />

ne spandano gli aromi! Venga l'amico mio nel giardino e ne mangi i frutti deliziosi! Io dormivo, ma<br />

il mio cuore vegliava. Sento la voce del mio amico che bussa e dice: «Aprimi, sorella mia, amica<br />

mia, colomba mia, o mia perfetta! Poiché il mio capo è coperto di rugiada e le mie chiome sono<br />

piene di gocce della notte». Io mi sono tolta la gonna; come me la rimetterei ancora? Mi sono<br />

lavata i piedi; come li sporcherei ancora? L'amico mio è bianco e vermiglio, e si distingue fra<br />

diecimila. Il suo capo è oro finissimo, le sue chiome sono crespe, nere come il corvo. I suoi occhi<br />

paiono colombe in riva a ruscelli, che si lavano nel latte, montati nei castoni di un anello. Le sue<br />

gote sono come un'aia d'aromi, come aiuole di fiori odorosi; le sue labbra sono gigli, e stillano<br />

mirra liquida. Le sue mani sono anelli d'oro, incastonati di berilli; il suo corpo è d'avorio lucente,<br />

coperto di zaffiri. Le sue gambe sono colonne di marmo, fondate su basi d'oro puro. Il suo aspetto<br />

è come il Libano, superbo come i cedri. Il suo palato è tutto dolcezza, tutta la sua persona è un<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

incanto. Tal è l'amore mio, tal è l'amico mio. Mettimi come un sigillo sul tuo cuore, come un sigillo<br />

sul tuo braccio; perché l'amore è forte come la morte, la gelosia è dura come il soggiorno dei<br />

morti. I suoi ardori sono ardori di fuoco, fiamma potente. Le grandi acque non potrebbero spegnere<br />

l'amore, i fiumi non potrebbero sommergerlo. Se uno desse tutti i beni di casa sua in cambio<br />

dell'amore, sarebbe del tutto disprezzato.<br />

E io dico che è tutto vero, tutto è vanità e tutto è amore, e vado al mare. Però... mi sento più innamorato che vano.<br />

Nonostante i LIV anni, mi sento più la ragazza dalla pelle bruna che il re investigatore di saggezze. Basta, vado<br />

qualche giorno al mare, ho lavorato tantissimo, mi riposerò un po’, guarderò l’azzurro, dormirò. Domani è un altro<br />

giorno. Passate buone giornate, voi. Il mio coetaneo David Riondino, anche lui LIV quest’anno, non avrà l’autorità<br />

della Bibbia, ma il ritornello della sua canzone Crepuscolo del Novecento mi sembra una delle cose più sensate che<br />

siano mai state scritte: «Tu prendi il tempo buono, perché presto finirà, e gòditi il tempo cattivo, perché non durerà».<br />

Zoagli<br />

domenica 29 luglio 2007, 15.43.37 | molinaro<br />

La tentazione di scrivere due righe anche dal mare è forte, pure con un modem lentissimo e un portatile<br />

IBM già antico, pagato 150 euro al mercatino dell'usato, con la tastiera inglese che ho impostato come<br />

italiana e trovo i tasti a memoria. D'altronde un redattore purista non può sopportare di mettere gli<br />

apostrofini al posto delle accentate, c'è un limite a tutto... Un giro in spiaggia, un concerto a Genova ieri<br />

sera, e poi molto riposo, molto dormire. Zoagli è un posto tranquillo, nonostante la stagione di punta. Il<br />

vizio di scrivere permane (ho scritto a un amico una lettera di otto pagine a mano, domani gliela spedisco),<br />

ma si fa anche dell'altro. L'amica che è meco cucina ottimo pesce, io ho fatto il bucato e steso le magliette<br />

al sole dietro casa, ed è un bell'effetto di colori. Lascio scorrere le immagini e i pensieri, passeggio,<br />

discorro, e ogni volta che mi viene sonno dormo. Non è male, in sostanza. Guardo le scritte sui muri e<br />

sulle scogliere, ci sono lunghe storie d'amore con botta e risposta, slanci e abbandoni raccontati con spray<br />

o pennarelli. Prevalgono quelle cattivelle, ma forse è solo perché chi è felice non sta tanto a scriverlo sui<br />

muri. Una cattivella ma fantasiosa è sulla passeggiata a mare a levante e dice: "Gaia troia: [segue una<br />

lista di una ventina di nomi maschili alcuni dei quali con accanto la cifra "2", credo a significare che per<br />

esempio di Alessandri o Roberti nella vita di Gaia ce ne sono stati due], totale 25, troia". Va da sé che mi<br />

piacerebbe immediatamente conoscerla questa Gaia dai venticinque uomini attestati su muro. Che poi<br />

magari non è vero niente, e comunque venticinque non sono mica tanti. Beh, certo dipende anche dall'età,<br />

se Gaia ha poniamo quindici anni sono un buon numero, ma... Vabbè. Stasera andiamo a sentire un coro<br />

nella chiesa del paese. Cosette così, e via, là. Passatevi buone giornate.<br />

Geografia<br />

domenica 29 luglio 2007, 18.48.40 | molinaro<br />

Poi mi è venuta una poesia, questa qui sotto. E adesso una doccia, una cena, e fuori, nella serata in riva<br />

al domestico mar Ligure. Domestico non è un insulto per un mare, e forse neppure per diverse altre cose.<br />

GEOGRAFIA<br />

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non voglio sapere dove vai<br />

voglio sapere che torni<br />

Guido Catalano<br />

Pagina 73 di 200<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Tornato da Venezia e da un amore<br />

amato bene, senza riposarmi vado<br />

dall’amica a Torino, che mi parla<br />

di gioie e di dolori e penso a un’altra<br />

che manda baci da Vicenza e a una<br />

che baci non ne manda, da Savona.<br />

Non c’è nessuna dispersione, c’è<br />

soltanto un senso di tempo che passa<br />

o spazio (dicono che sia la stessa<br />

cosa, io non saprei), c’è uno squagliarsi<br />

di vita e tutto ciò non ha rimedio<br />

né in un amore né in molti né in nessuno.<br />

È come è, non c’è nulla da aggiungere<br />

né da togliere, la vita è stata aggiunta<br />

e sarà tolta, non c’è un senso, ma<br />

lasciate che io corra qualche giorno<br />

ancora per Venezia, per Vicenza<br />

e Torino e Savona e ogni altro luogo.<br />

Tre cosette oggi<br />

lunedì 30 luglio 2007, 21.15.41 | molinaro<br />

GIORNO DI VACANZA<br />

Zoagli, 29 luglio 2007<br />

Oggi ho scritto tre cosette in versi. Sarà il mare che mi fertilizza. Peggio per voi! Non faccio<br />

vita balneare, ma per fortuna questa parte di Liguria è affascinante e piena di risorse, con i<br />

monti che cadono direttamente nelle acque. La spiaggia è solo una delle tante possibilità per<br />

chi ha qualche ora libera qui. Poi si può salire in alto, passeggiare, mangiare un’ottima<br />

granita di mandorla, e scrivere.<br />

Mi piace lavare a mano le magliette di diversi colori<br />

e stenderle sul filo dietro casa.<br />

Metto quella azzurra accanto a quella arancione.<br />

L’aria di mare qui le asciuga in fretta.<br />

I calzini neri danno meno soddisfazione<br />

ma fanno pure la loro figura, ciascuno<br />

con la sua molletta. Le mollette sono alcune<br />

di legno e altre di plastica, alcune bianche<br />

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Pagina 74 di 200<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

e altre gialle. Antonella prepara<br />

il pesce con gli aromi e le melanzane ripiene.<br />

PESCE<br />

Il sole è tramontato già da qualche minuto<br />

ma le cicale fanno gli straordinari<br />

sui pini arrampicati alla scogliera.<br />

Io penso al pesce. Lo so che non c’entra,<br />

ma penso al pesce che mi ha dato Chiara<br />

quando sono stato a casa sua.<br />

Pesce già sventrato e sviscerato<br />

con le sue belle mani. Una ragazza<br />

che sa sventrare e sviscerare i pesci<br />

a me fa sangue, m’eccita. Sei anni<br />

or sono m’ero innamorato d’una<br />

pescivendola del mercato di Porta Palazzo:<br />

aveva anche lei belle mani, i capelli<br />

mossi, ondulati – e anche con lei<br />

non c’era stato niente proprio niente da fare.<br />

COLOR PARADISO<br />

«Il cielo è porcellana trasparente,<br />

ha quel colore come del paradiso»<br />

– dice Antonella ed è vero e lo scrivo<br />

non per rubarle l’idea ma perché<br />

lei non lo scrive e qualcuno deve farlo.<br />

È vero, ho visto anch’io, la trasparenza<br />

del cielo in questo minuto è porcellana<br />

sottile: è evidente. Sì però è evidente<br />

ora che lei l’ha detto, non lo era<br />

prima che lo dicesse. Allora credo<br />

che lei davvero sappia pure che<br />

colore ha il paradiso, ma su questo<br />

non posso dare una conferma mia,<br />

io non arrivo a tanto. Io trascrivo.<br />

Due cosette anche oggi<br />

martedì 31 luglio 2007, 20.52.38 | molinaro<br />

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Pagina 75 di 200<br />

Oggi, alla vigilia del mio compleanno, sono stato a fare<br />

una gita alle Cinque Terre, e a Riomaggiore ho scritto due<br />

poesie. La prima si intitola appunto Riomaggiore, perché<br />

non sapevo come intitolarla diversamente. La seconda si<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

intensa.<br />

RIOMAGGIORE<br />

Non sono in riva al mare:<br />

il mare è in riva a me<br />

e mi osserva. Le mie onde<br />

sono le stesse da milioni di anni.<br />

Lui le vede ogni attimo diverse.<br />

Digital<br />

venerdì 3 agosto 2007, 0.17.54 | molinaro<br />

intitola Scena. È stata una giornata emotivamente molto<br />

Non sto guardando il cielo:<br />

il cielo sta guardando me.<br />

Le mie nuvole sono soltanto vapore.<br />

Per lui hanno forme ogni attimo diverse.<br />

Nella mia eternità lui lo guardo morire<br />

invidiando il suo tempo che finisce.<br />

SCENA<br />

È meglio piangere d’un pianto colorato<br />

che far l’amore d’un amore sbiadito.<br />

Il mio caffè, il vino nel bicchiere.<br />

Issa la vita agli alberi le vele:<br />

il vento di morte la fa navigare.<br />

Scendiamo piano per le scale al mare.<br />

Svelta lei toglie la blusa e la gonna,<br />

a torso nudo s’immerge nell’acqua.<br />

Resto seduto sui sassi a guardare.<br />

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Pagina 76 di 200<br />

Oggi tra un viaggio e l’altro, per di qua e per di là, ho scritto queste due<br />

cose. Forse c’entrano l’una con l’altra. L’innamoramento non è digitale, è<br />

analogico. Quando si fa l’amore non ci sono punti staccati da contare,<br />

non ci sono valori numerici. E l’innamoramento è connaturato alla<br />

persona come la carica elettrica alla particella, e, come della carica<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

andare a dormire.<br />

LASCIAMO STARE LE COSE COSÌ<br />

Se si potesse travasare l’innamoramento<br />

da una persona all’altra come un liquido<br />

(ho in mente cinque o sei donne, facciamo sette)<br />

disporrei diversamente<br />

sia il mio verso di loro sia il loro verso di me.<br />

elettrica, non se ne capisce granché, è così e basta. Forse è meglio<br />

Il mio verso di loro è già meno squilibrato<br />

(ha meno deviazione standard, credo si dica in statistica,<br />

ma non sono sicuro, forse è meno scarto dalla norma)<br />

perché di tutte sono innamorato almeno un po’:<br />

non ce n’è nessuna che ne abbia proprio zero.<br />

Il loro verso di me è peggio distribuito<br />

perché qualcuna con lo zero credo ci sia.<br />

Sì, lo travaserei da una all’altra, dosando diversamente.<br />

Per far coincidere il massimo innamoramento mio<br />

con il massimo innamoramento suo, dico di una di loro?<br />

Potrei travasare il loro o il mio o entrambi. Uhm. Sì. Boh.<br />

Ma forse è meglio che non si possa travasare,<br />

mi sa che combinerei solo dei casini.<br />

Lo concentrerei tutto in una<br />

o lo livellerei equamente come nei vasi comunicanti?<br />

No, mi sa che è una stronzata.<br />

Lasciamo stare le cose così.<br />

Certo che però...<br />

No, lasciamo stare le cose così.<br />

PUNTI DISCRETI<br />

In un mondo digitale la circonferenza non esiste.<br />

Se sono punti staccati, discreti, per quanto piccoli e numerosi,<br />

è un qualcosìgono (un tantissimìgono) ma non una circonferenza.<br />

<strong>Qui</strong>ndi quel problema della quadratura del cerchio<br />

è roba superata, non pensateci più. Cancellato.<br />

Il nostro tempo è il tempo dei problemi cancellati,<br />

e d’altronde mica si potevano risolvere, è più pratico così.<br />

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Pagina 77 di 200<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Digitale, digitale, l’analogico è superato,<br />

tutto è fatto di punti staccati. Staccati, staccati!<br />

L'insalatona<br />

venerdì 3 agosto 2007, 9.30.04 | molinaro<br />

Ieri sono stato in giro tutto il giorno e sono tornato a Zoagli verso le nove di sera, in treno.<br />

Non avevo mangiato nulla per tutto il giorno; ho pensato di concedermi un’insalatona nel<br />

meno caro dei ristoranti della piazzetta (che non è economicissimo, ma gli altri tre sono<br />

inabbordabili, almeno per me, sono assurdi). Avevo la mia maglietta azzurra da tre per<br />

cinque euro al mercato, forse un po’ sbrindellata, una borsa a tracolla e un sacchetto di<br />

plastica in mano: normale corredo da viaggio. La barba non fatta, vabbè. C’era un casino di<br />

tavolini liberi, anche defilati, anche neppure apparecchiati. Chiedo a un ragazzuolo se c’è posto per cenare. Ah non so<br />

devo chiedere ma credo di no, mi fa. Arriva una tipa un po’ meno ragazza e mi dice: Ah no, adesso no, come minimo<br />

ci vuole un’ora, è tutto occupato.<br />

Va bene, mettiamo che fosse tutto prenotato (occupato no: era vuoto!), la gente cena tardi, mettiamo che fossero<br />

prenotatissimi anche i tavolini piccoli defilati, quelli dove si sta comodi da soli, che in due già ci si ingombra.<br />

Mettiamo che proprio non ci fosse posto. Non facciamo le solite dietrologie da intellettuale di sinistra.<br />

Però cazzo a me è proprio sembrato che mi abbiano mandato via perché non gli piacevo. Non si sono neppure scusati,<br />

no, bruschi. Affanculo, sono andato a dormire senza cena, che in Occidente si mangia sempre e comunque troppo e<br />

un giorno di digiuno non fa male a nessuno.<br />

Poi stamattina ho scritto questa specie di poesia, che non c’entra assolutamente nulla. Buona giornata!<br />

SMS<br />

Quando mi scrive un messaggino arrabbiato<br />

(o che sembra arrabbiato: i messaggi sms<br />

non hanno voce né tono e sono brevi,<br />

spesso si fraintendono) a me viene<br />

subito il batticuore<br />

e potrei dire che la causa è l’amore<br />

e sarebbe romantico e andrebbe bene,<br />

come causa, potrei fermarmi lì<br />

mentre cerco di rimediare o non rimediare<br />

con miei messaggi a lei.<br />

Invece vado avanti a pensare<br />

se forse non è l’amore ma un orgoglio,<br />

o se è il timore di perderla, una cosa che,<br />

mi hanno spiegato da sempre,<br />

è ben diversa dall’amore. Credi di amare una<br />

solo perché hai paura di perderla? Quello<br />

è solo egoismo! Discorsi così mi rintronano<br />

le orecchie fin da quand’ero bambino<br />

o quasi. Pensandoci, venivano<br />

tutti da adulti che non è che amassero tanto.<br />

Forse dicevano pure stupidaggini.<br />

So badare alla mia casa, so fare il bucato,<br />

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Pagina 78 di 200<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

so anche passeggiare da solo fantasticando<br />

e so cenare da solo al ristorante cinese senza grandi<br />

malinconie. Dunque se ho paura di perdere<br />

qualcuna, non sarà che la amo?<br />

Certo, poi ci sono tutte quelle altre faccende,<br />

quelle sere che ho voglia e scoperei<br />

non dico chiunque ma una ventina di nomi<br />

li ho subito in mente, anche di più, d’accordo,<br />

ma intanto magari le amo davvero e poi insomma<br />

questa è la conferma che i discorsi sull’amore<br />

sono tutti un po’ delle cazzate<br />

anche se non potremo mai smettere di farne<br />

perché è logico parlare delle cose importanti<br />

vuoi mica parlare solo di Juve e Toro<br />

e la nuova Fiat Cinquecento e com’è quel vestitino<br />

nella vetrina in via Garibaldi o della fame nel mondo<br />

che, messa nel contesto, è come il vestitino,<br />

e poi vedete che quando si parte<br />

con questi discorsi non si finisce più, si sbrodola,<br />

e va bene che parlare è pure naturale<br />

però l’amore alla fine è meglio farlo,<br />

il vestitino se si può tu fa’ che indossarlo<br />

e la fame nel mondo tu riduci i consumi<br />

e basta, ora rispondo al messaggino<br />

e l’arrabbiatura passa e forse ci ameremo noi<br />

alla faccia di tutto e di tutti e vado in paese<br />

a prendere un caffè e alla Posta a spedire<br />

un libro a un amico che è da un po’ che devo mandarglielo.<br />

In riva alla riviera<br />

venerdì 3 agosto 2007, 12.48.31 | molinaro<br />

Oggi la questione pranzo l’ho risolta con tre yogurt (frutta e cereali) presi<br />

dal panettiere. Prima però sono stato su una panchina e ho quasi<br />

inevitabilmente scritto la cosa che metto qui sotto, In riva alla riviera.<br />

Andrebbe dedicata, oltre che al De Andrè in epigrafe, anche alla<br />

Szymborska che mi ha stimolato sul concetto di «partecipare» (si veda<br />

Conversazione con una pietra, in Vista con granello di sabbia, Adelphi,<br />

Milano 1998, nona edizione maggio 2007, pagg. 49-51), e a Clara che mi<br />

ha regalato per il mio compleanno il libro della Szymborska, ma si rischia<br />

di diventare pedanti: in sostanza, tutto alla lunga è dedicabile a tutto,<br />

perché tutto influenza tutto, come sappiamo da sempre.<br />

IN RIVA ALLA RIVIERA<br />

Passan le villeggianti<br />

con gli occhi di vetro scuro<br />

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Pagina 79 di 200<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Rientro a Torino<br />

passan sotto le reti<br />

che asciugano sul muro.<br />

Fabrizio De Andrè<br />

Estraneo alle villeggianti<br />

ma estraneo anche ai pescatori<br />

osserva le une e gli altri<br />

con occhi quasi uguali.<br />

Le villeggianti il petto e le cosce,<br />

i pescatori le squame e i calzoni:<br />

ma non può partecipare.<br />

Lo guardano con diffidenza perché<br />

si è seduto su una panchina neppure lato mare<br />

anzi con le spalle al mare<br />

e scrive su un quadernetto.<br />

Una volta che scriveva su un taccuino stando in piedi<br />

in un posto qualsiasi che poi per caso<br />

era un posteggio di automobili,<br />

uno gli si è avvicinato e gli ha detto allarmato:<br />

Scusi ma qui la sosta è permessa, no?<br />

Eppure non era vestito da vigile urbano,<br />

era piuttosto malvestito; e questa cosa<br />

non è un’invenzione, è successa davvero:<br />

lui racconta le cose successe davvero<br />

ma non può partecipare.<br />

lunedì 6 agosto 2007, 15.51.22 | molinaro<br />

Finita la settimana di giri al mare, rieccomi a Torino con un<br />

lunedì che non vuole ingranare, mille cose da fare. Ieri sera<br />

a Savona ho sentito il concerto di Zibba alla festa di<br />

Rifondazione Comunista, ed è stato emozionante, coinvolgente.<br />

Forse ad aumentare l’emozione è stata la persona che avevo<br />

accanto, ma comunque Zibba e il suo complesso sono molto<br />

bravi. Se nel disco solo una canzone o due mi avevano preso veramente, dal<br />

vivo ho percepito che tutte o quasi trasmettevano qualcosa di molto intenso.<br />

Il sito zibbiano lo trovate qui a sinistra nelle «pagine amiche» (Zibba e<br />

Almalibre).<br />

E adesso sono di nuovo a Torino, tento di lavorare, e prima ho scritto una<br />

poesia su un abbraccio.<br />

UN ABBRACCIO<br />

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Pagina 80 di 200<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Abbracciarti è stato abbracciare una nuvola<br />

– anzi: diventare una nuvola con te:<br />

così fresco e leggero non m’ero sentito<br />

mai – neppure da bambino – come ieri quando<br />

ho immerso il viso nei tuoi capelli ricci:<br />

m’han bene accolto, avevano l’odore<br />

che non è odore: è la cosa che senti<br />

se respiri all’aperto dopo caduto il vento,<br />

dopo riapparso il sole.<br />

È stata<br />

la danza di due corpi senza peso<br />

né ingombro, o d’uno solo mescolato:<br />

e vuol dire, vuol dire, per me lungo e goffo:<br />

è stato un minuto – no che dico molto meno<br />

di un minuto – non importa – le nuvole<br />

non hanno un tempo per le loro forme.<br />

Ignara – o no – tu sei tornata a casa.<br />

Ho imboccato l’autostrada di notte:<br />

nel buio tumultuava la battaglia<br />

di sogno e nostalgia, di meraviglia<br />

e sbaglio, di lottare e rinunciare.<br />

Bar Corallo<br />

martedì 7 agosto 2007, 14.43.42 | molinaro<br />

Pagina 81 di 200<br />

Il solito bar è chiuso per ferie e allora ho preso il caffè nel bar accanto. Ho letto sullo<br />

scontrino che si chiama bar Corallo. Forse ci sarà scritto anche sull’insegna ma non l’avevo<br />

mai notato. Si chiamava bar Corallo anche quello di una frazioncina di Vercelli dove<br />

andavamo a bere da ragazzi. Non c’è più da molti anni quel bar. A bere lì, intorno al 1970,<br />

eravamo sovente l’amico Vispo, che è morto un anno e mezzo fa proprio di troppo bere,<br />

l’amico Denis, che si è perso per meandri psichiatrici, l’amico Livio, il più sano di tutti, che<br />

aggiusta le mietitrebbie, e io, che poi sono diventato astemio in tempo utile. A volte giocavamo a biliardo, stecca<br />

all’italiana, cinque pirolini, ma con le buche, come si usava allora. Non fu mai chiarito se il pirolino centrale, quello<br />

rosso, buttato giù da solo valesse otto punti, come il filotto, o cinque. Buttato giù con altri ne valeva quattro, su<br />

questo non ci pioveva. A proposito, sta piovendo su Torino oggi. «Il pleure dans mon coeur comme il pleut sur la<br />

ville. Quanto ha ragione Verlaine! Anche se ogni stagione è buona per piangere», cita e scrive Chiara a pagina 40 del<br />

suo libro. Mi piacerebbe offrirle stagioni buone per ridere, ma pare che non tocchi a me farlo - pure, credo che ne<br />

sarei capace - presuntuoso, certo.<br />

Il bar Corallo, oltre gli amici dispersi, mi ha fatto venire in mente Rosa, che abitava lì a due passi. Una delle ragazze<br />

che ho corteggiato invano nella mia adolescenza. Scrivevo per lei ingenue poesie. Non mi ha mai cagato neppure di<br />

striscio. Rifiuto su tutta la linea. La mia principale attività fra i 15 e i 21 anni è stata quella di ricevitore di rifiuti<br />

(praticamente, un cassonetto). Poi ci sono stati periodi migliori, per fortuna.<br />

I rifiuti erano formulati nei modi più svariati, bruschi o gentili, ma l’effetto era lo stesso. Me ne viene in mente uno,<br />

quello di Rita, sarà stato il 1971, che alle mie timide profferte ribatté un «per carità, parliamo d’altro». Sì, me li<br />

ricordo tutti a memoria, certo che me li ricordo, è logico.<br />

Giusto stamattina, 36 anni dopo, da una ragazza a cui timidamente riprofferivo l’amor mio sincero mi sono beccato<br />

uno «spero non ricomincerai con il solito discorso». Che assomiglia molto al «per carità, parliamo d’altro».<br />

Ah, mi sono sentito come a vent’anni! Cioè malissimo. Un po’ il timore che invecchiando la percentuale di rifiuti<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

torni ad avvicinarsi a quella dei vent’anni ce l’ho. Dovrei mettere la testa a posto, stare con una donna, una sola e<br />

basta, forse – la cosa che non mi è mai riuscita. Bah! Se non mi riesce non mi riesce. Anche se quella di stamattina<br />

magari la sposerei, perché poi le cose folli vanno fatte e rifatte (se no che vita è?), ma certo se lei mi dice «spero non<br />

ricomincerai con il solito discorso», ho idea che questo matrimonio non s’ha da fare, né domani né mai.<br />

Ora non voglio lamentarmi. Qualcuna a cui piace fare l’amore con me c’è, e lo si fa, e sono stato ben più fortunato<br />

dei due amici del bar Corallo, uno morto e l’altro impazzito. Il terzo, quello delle mietitrebbie, invece magari è<br />

contento, ma è da un po’ che non lo sento. Livio, se leggi questo blog, fatti vivo. La stagione del taglio del riso non è<br />

ancora cominciata, qualche momento libero dovresti averlo.<br />

Ma sì, va abbastanza bene. È solo che io vorrei tutto, naturalmente, e non ho il senso del tempo. Rosa adesso sarà una<br />

signora cinquantenne, ma io la vedo sempre come in questa poesia, che trovate a pagina 148 del solito libro:<br />

AI CAPPUCCINI NEL 1972<br />

Che sole giallo! L’orecchino brilla<br />

nell’aria d’oro. Rosa è in paradiso<br />

seduta sul gradino. Che favilla<br />

d’argento è il suo sorriso<br />

di bimba buona! Il tramonto odoroso<br />

di legno e foglie<br />

chiude tutto in un cerchio prezioso.<br />

Devo solo ricordarmi che, anche se Antonella dice che ne dimostro al massimo 42 (chissà perché poi proprio 42 e<br />

non 41 o 43) e so che è sincera (se ne dimostrassi 65 me lo direbbe senza alcuna pietà, con il suo meraviglioso<br />

trasparente disarmante candore), di anni ne ho 54. Questo cacchio di dettaglio a me non viene mai in mente, quando<br />

ci provo con una ventenne, a me sembra di essere come lei, proprio non mi ricordo, non mi accorgo, mi sembra tutto<br />

così normale. Però il bar Corallo di quella frazioncina di Vercelli è chiuso da tanti, tanti anni, al suo posto dev’esserci<br />

un’agenzia immobiliare o qualcosa del genere. E questo è un fatto. Però... Però succede ancora tante volte che il<br />

tramonto odoroso di legno e foglie chiude tutto in un cerchio prezioso. E in quel cerchio mi sento sempre uguale, con<br />

la stessa voglia di baci.<br />

Ma va bene. Stasera probabilmente avrò baci, e baci buoni. E non sposerò quella che stamattina mi ha detto «spero<br />

non ricomincerai con il solito discorso». Tutto non si può. Forse.<br />

Ed è subito sera<br />

martedì 7 agosto 2007, 15.15.38 | molinaro<br />

Pagina 82 di 200<br />

È in treno, sta venendo a Torino da me. Arriverà fra meno di tre ore. Volevo mettere la casa un po’ a posto e non l’ho<br />

fatto. Ho perso tempo a pensare a mille cose. Anche a lei, sì. Forse faremo l’amore, è abbastanza probabile ma non<br />

certo, perché l’amore non è mai certo. Ho pensato a lei e ad altre 999 cose. Stamattina ho dialogato con quella che mi<br />

ha detto lo «spero non ricomincerai con il solito discorso» di cui al messaggio precedente. Poi ho pensato che oggi è<br />

il compleanno di D., una delle ragazze che ho amato di più, e il suo compleanno è curioso, perché lei è nata<br />

esattamente mentre io facevo l’amore per la prima volta: è nata quel giorno di quell’anno. Ho pensato che domani<br />

operano C. di una cosa non benigna, ma speriamo guaribile guaribilissima. Ora telefono a C. che è agitata – è<br />

naturale. Poi mi faccio una doccia e mi concentro sulla splendida donna che è in treno e sta arrivando da me. Devo<br />

anche cambiare le lenzuola, non ricordo da quanto tempo non le cambio. Ho mandato ad A. un pacco con un albero<br />

fatto di fil di ferro, ho prenotato la cena stasera al Pastis, telefono anche a mia figlia adesso, e poi... Poi ho un sacco<br />

di lavoro. Io non capirò mai quelli che se non hanno lavoro si annoiano. Ci sono milioni e milioni di altre cose<br />

importantissime da fare ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, e si perde beatamente un sacco di tempo, ed è subito sera<br />

come dice Quasimodo che comunque non è poi quel grande poeta.<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Incrociamo le dita<br />

mercoledì 8 agosto 2007, 10.07.36 | molinaro<br />

Per una mia grande amica che oggi è sotto i ferri del chirurgo, per una cosa non proprio benigna. Forza.<br />

Andrà tutto bene. Sei fortissima e bellissima. Ti voglio bene. Guarirai perfettamente.<br />

Foto libre (libre da privacy?)<br />

mercoledì 8 agosto 2007, 17.41.19 | molinaro<br />

Tolta la tetta di D. dal messaggio n. 59 (anche se non è detto che a D. spiacesse!).<br />

A S. invece avevo chiesto espressamente se potevo usare foto come questa qui<br />

del messaggio n. 61 per pubblicizzare il mio romanzo (è quello che nella foto lei sta<br />

leggendo, distesa sul mio letto), e lei mi aveva detto di sì, e infatti avevo mandato in<br />

giro mail pubblicitarie con foto di lei leggente, così. <strong>Qui</strong>ndi ecco un esempio di foto<br />

che non dovrebbe violare la privacy. A ogni buon conto, per maggior sicurezza, ne<br />

prendo una dove il suo viso è dietro il libro. A proposito, il libro «Io sto come mi pare» è esaurito (è andato<br />

bene...) ma forse lo ristamperanno.<br />

La felicità<br />

mercoledì 8 agosto 2007, 18.43.34 | molinaro<br />

Non è inedita, è dal libro, ma oggi ho voglia di proporla qui, in questo giorno<br />

piovoso d'agosto a Torino. La felicità, così come il suo opposto, è un tema che vale<br />

in qualsiasi giorno.<br />

LA FELICITÀ<br />

a Erica Pampararo<br />

La felicità è una merce rara e deperibile<br />

va consumata fresca<br />

non contiene coloranti né conservanti<br />

non si può surgelare né inscatolare<br />

arriva su strani banchetti<br />

i banchetti di felicità<br />

lontani dai soliti mercati<br />

non arriva frequentemente<br />

non si sa quando arriva<br />

e se arriva non viene venduta<br />

perché non ha prezzo ma<br />

la prende il primo che passa<br />

e se nessuno la prende<br />

non va in magazzino<br />

non si ritrova nei saldi<br />

resta persa sprecata gettata via<br />

neppure riciclabile<br />

proprio sprecata buttata via e anzi<br />

i residui non consumati<br />

sono inquinanti<br />

possono danneggiare l’ambiente<br />

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Pagina 83 di 200<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

perciò se vedi un banchetto di felicità<br />

affretta il passo e prendila<br />

non disperderla<br />

consumala tutta presto fino all’ultima briciola.<br />

(da La parola rinvenuta, Genesi Editrice, 2006, pag. 543)<br />

Cardi e soffioni<br />

giovedì 9 agosto 2007, 8.53.43 | molinaro<br />

Profili<br />

giovedì 9 agosto 2007, 9.39.00 | molinaro<br />

Poesia recuperata<br />

giovedì 9 agosto 2007, 22.40.27 | molinaro<br />

Una poesia scritta al volo stamattina.<br />

CARDI E SOFFIONI<br />

a Clara Vajthò<br />

Nel prato ci sono cardi e soffioni, hai visto.<br />

I cardi sono più aspri e meno amabili.<br />

I soffioni sono più morbidi e invitanti,<br />

ma ogni colpo di vento ne porta via un pezzo.<br />

Considerato peraltro che anche i cardi<br />

a fine stagione marciscono,<br />

scelgo i soffioni. Anzi no:<br />

scelgo un po’ tutto. Prendo tutto. Tutto. E tu?<br />

Pagina 84 di 200<br />

Guardavo un po' di questi profili che ci sono negli "spazi" di <strong>Libero</strong>.it, e notavo che<br />

nelle "tre cose odiate" molto spesso compaiono la falsità e l'ipocrisia. C'è un sacco<br />

di gente che odia la falsità e l'ipocrisia. Certo, anch'io le odio. Ma mi sorge<br />

spontanea una domanda. Se così tanta gente odia la falsità e l'ipocrisia, come mai<br />

al mondo ce n'è una valanga? Non sarà che anche a noi che diciamo di odiarle,<br />

ogni tanto un pizzico di falsità e di ipocrisia fa comodo? E quello che a noi sembra<br />

un pizzico a un altro sembra una trave, e viceversa? Non è una provocazione, è una domanda che pongo<br />

a me stesso, e ci penso su. A volte anche la limpidezza è qualcosa che si recita. C'è tanta strada da fare.<br />

Buona giornata!<br />

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Questa poesia avrebbe fatto comodamente in tempo a entrare nel librone uscito lo scorso<br />

novembre. Ma la scartai. A dire il vero non la trascrissi neanche sul computer. Fino a pochi<br />

minuti fa era scarabocchiata su un foglietto e basta, con il suo luogo e la sua data, Pesaro 18<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

luglio 2006. Probabilmente non mi era parsa riuscita, forse mi era sembrata ambigua. Anche<br />

adesso, rileggendola, non riesco a capire se è ironica o no (a conferma che gli autori non necessariamente sanno<br />

quello che scrivono). Ho sempre un po’ di paura a recuperare una poesia che avevo scartato, perché penso che se<br />

l’avevo scartata ci doveva essere un motivo, forse pensavo proprio che era brutta e avevo ragione, e mi sbaglio<br />

adesso a recuperarla. Eppure ritrovandola ora, a più di un anno di distanza, mi sembra che un suo senso ce l’abbia. E<br />

allora eccola qui. Bella o brutta che sia.<br />

LA FEDELTÀ DELLA PANCHINA<br />

Questa panchina di via Collenuccio<br />

mi è molto più fedele di casa mia.<br />

Casa mia mi è fedele fino a un certo punto.<br />

Può lasciarmi, se non pago l’affitto.<br />

Può diventare lercia, se non faccio le pulizie.<br />

Mi pone un sacco di condizioni,<br />

quasi quasi mi ricatta.<br />

Questa panchina no. È mia<br />

quando mi ci siedo.<br />

Non devo né pagare affitto né fare pulizie:<br />

è mia per sempre senza condizioni.<br />

(Salvo che il comune di Pesaro decida<br />

di toglierla, ma ciò starebbe fra gli eventi<br />

imponderabili, come i terremoti.)<br />

Questa panchina di via Collenuccio<br />

mi è fedele in modo perfetto.<br />

Mia per sempre, finché vivrò e saprò camminare.<br />

Questa è la fedeltà senza difetto.<br />

POESIA SCRITTA DIRETTAMENTE SUL BLOG<br />

venerdì 10 agosto 2007, 15.01.06 | molinaro<br />

Ecco, voglio fare una specie di poesia direttamente sul blog. Da<br />

adesso a fra un’ora al massimo, perché poi devo partire per Mallare.<br />

Una poesia «de l’art», nel senso della commedia. Improvvisata. Senza<br />

pretese. Senza neanche la pretesa di essere una poesia. Ma scritta<br />

così, di getto, direttamente sul blog. Ecco, adesso la comincio.<br />

POESIA SCRITTA DIRETTAMENTE SUL BLOG<br />

Il pomeriggio del dieci agosto giorno pascoliano<br />

in cui stanotte forse vedremo cadere le stelle<br />

(me nessuna stella cadrà nella mia rete)<br />

(no, l’idea di rete non mi piace, diciamo che<br />

nessuna stella cadrà accanto a me)<br />

sono qui nella mia casa a Torino<br />

ho in bocca ancora il sapore di una donna bionda<br />

che dopo l’amore mi ha scritto una poesia<br />

una poesia bella, l’ha scritta lei per me,<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

per una volta s’è invertito il ruolo consueto,<br />

e io con lei ho scritto cose sulle panchine<br />

per la prima volta in vita mia, ho scoperto<br />

che il pennarello bianco da panchine<br />

si chiama uniposca, poi ho comprato delle scarpe<br />

con un tipo di laccio che non avevo mai visto<br />

e lei invece non aveva mai mangiato<br />

la farinata di ceci fatta nella teglia,<br />

e dunque ogni giorno nella vita<br />

c’è qualcosa di nuovo, ma adesso<br />

parto per andare a una festa sui monti liguri<br />

in campeggio, e ci vado soprattutto per vedere<br />

una che non è che mi voglia poi tanto vedere,<br />

e che non mi concederà di conoscere<br />

il suo sapore e tantomeno scriverà poesie per me.<br />

Non è che la cosa mi sembri ingiusta, è così,<br />

è come è. La donna con cui ho fatto<br />

l’amore ieri, oltre al sapore e alla poesia,<br />

mi ha lasciato cinque cassette, forse sei,<br />

dovrei alzarmi e andare a vedere,<br />

sono di là sparpagliate sul letto, me le ha date<br />

perché Cesare mi ha regalato per la mia Panda<br />

una vecchia autoradio presa da una sua<br />

vecchia auto, che non mangia i CD ma le cassette,<br />

e allora mi va di avere cassette, e fra quelle<br />

che mi ha lasciato lei ieri ce n’è una di De Andrè<br />

che si intitola Mi innamoravo di tutto,<br />

ecco, appunto, ci siamo capiti.<br />

E c’è anche Anime salve cassetta originale,<br />

dico cassetta originale non copiata,<br />

secondo me è una rarità, è un oggetto<br />

molto prezioso e molto particolare.<br />

La donna con cui ho fatto l’amore ieri<br />

e quella con cui non lo farò stasera<br />

hanno quasi lo stesso nome, due varianti<br />

dello stesso nome, la donna con più anni<br />

ha la versione più arcaica-latina,<br />

la più giovane la versione più italo-moderna,<br />

ma poteva anche essere il contrario<br />

perché alla fine i nomi girano come girano.<br />

Arsenio mica ci verrebbe a una festa in campeggio<br />

perché ha mal di schiena, io ci vado<br />

anche se sono ben più vecchio,<br />

per vedere quella che non mi vuole poi tanto,<br />

e poi per vedere gli altri amici, davvero,<br />

anche per questo, non è che lo scrivo<br />

per divagare o per dare un contentino,<br />

insomma. Dopo le piogge di ieri<br />

è venuto fuori un sole limpidissimo,<br />

se resta così ed è così anche in Val Bormida<br />

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Pagina 86 di 200<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

le stelle cadenti mi sa che si possono<br />

vedere davvero, io però alla storia<br />

del desiderio non è che ci credo molto,<br />

ne ho viste cadere non molte ma cinque o sei sì<br />

e un paio di volte ho fatto in tempo a esprimere<br />

il desiderio ma col cazzo che s’è avverato.<br />

Poi il desiderio di stasera sarebbe fin troppo<br />

evidente, e peraltro c’è da dire che è uno<br />

dei due desideri che neanche i geni delle lampade<br />

degli aladini possono realizzare (l’ho imparato<br />

in un film di Walt Disney), pare che i geni<br />

lampadicoli non possano fare le seguenti<br />

due cose: resuscitare un morto o far innamorare<br />

qualcuno. La prima andrebbe contro l’ordine<br />

dell’universo, che anche i geni devono<br />

rispettare, e la seconda sarebbe contro<br />

il libero arbitrio, e posso anche capirlo, mettiamo<br />

che una vecchia orrenda racchia trovasse<br />

una lampada-di-aladino, magari dal rigattiere,<br />

e saltasse fuori il genio e quella esprimesse<br />

il desiderio che io mi innamori di lei,<br />

voglio dire, potrebbero girarmi le palle, no?<br />

<strong>Qui</strong>ndi far innamorare non lo può proprio nessuno,<br />

o succede o non succede. Io sì dicevo<br />

m’innamoro un po’ di tutto, ma non di tutto<br />

nella stessa misura, comunque insomma<br />

vada come vada, oggi sembra davvero<br />

una bella giornata. Sì, ragazzi, è il dieci agosto,<br />

un giorno che fa pensare alle svariate estati<br />

passate, io per la cronaca ho fatto l’amore<br />

per la prima volta il 7 agosto 1972,<br />

avevo diciannove anni appena compiuti,<br />

non precocissimo, non lo sono stato in nulla,<br />

tranne forse in una sorta di malinconia<br />

per la quale dicevano, quando avevo dieci anni,<br />

che ero un «bambino vecchio» (gentili!),<br />

in paga ora diventerò un «vecchio bambino»<br />

così chiuderò il cerchio, o forse è come<br />

dice mia madre, che io non sono mai cambiato,<br />

mai in tutta la mia esistenza,<br />

dice che a sette anni avevo la maturità<br />

di un quindicenne – e adesso anche.<br />

In realtà non è proprio così, certe cose<br />

sono anche cambiate. Oggi ho pranzato<br />

con mio figlio (il secondo) che è tornato<br />

dal campeggio in Spagna, a proposito,<br />

per stasera io non ce l’ho mica la tenda,<br />

ma mi arrangio, c’è posto in una tenda<br />

di Cesare, poi ci sarebbe posto anche in quella<br />

dove dorme da sola chi-so-io ma lì temo<br />

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Pagina 87 di 200<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

che non dormirò, neanche se le prometto<br />

che si dorme bravini bravini da fratellini.<br />

È arrivato adesso un sms di Franco,<br />

uno di quei suoi sms un po’ pazzi dove dice<br />

che il mondo sta finendo, o parla del pelo<br />

di Paola, ma finché c’è il pelo di Paola<br />

forse il mondo non finisce. Forse.<br />

Mah, insomma, sarà meglio che io concluda<br />

e che mi faccia una doccia. Va ben che nel viaggio<br />

in macchina, con questo sole, suderò<br />

di nuovo come una capra (sudano le capre?)<br />

ma una doccia prima di partire la faccio,<br />

capitasse davvero di dormire con qualcuna,<br />

benché sia un’eventualità del tutto improbabile.<br />

No, non è che mi lavo solo per le donne,<br />

però diciamo è un incentivo, ecco.<br />

Intanto non sono riuscito a sentire l’altra amica<br />

che hanno operato ieri, no ormai l’altro ieri<br />

(il tempo, il tempo!), è andata bene pare,<br />

ma è un male insidioso, guarirà ma non è<br />

una cosa da niente, proverò a richiamarla,<br />

magari non può rispondere perché ha intorno<br />

quei rompiballe dei suoi genitori<br />

che credono che io sia il suo amante,<br />

vecchio amante corruttore, ma si sbagliano<br />

(magari avrei preferito che non si sbagliassero,<br />

ma invece si sbagliano, siamo diventati<br />

amicissimi e basta, anche se ci vediamo<br />

spessissimo, anche se a volte dormiamo insieme,<br />

capisco che è difficile crederci, certo,<br />

ma è proprio così), insomma basta,<br />

speriamo che tutto vada bene per tutti,<br />

noi speriamo che ce la caviamo come diceva<br />

un best seller di anni fa ormai obliato<br />

(giustamente), mi faccio la doccia,<br />

e anche la barba, mi vesto e vado a Mallare.<br />

Ho scritto per circa quaranta minuti<br />

e non ho nessuna intenzione di rileggere.<br />

Non è questione di fare della spontaneità,<br />

la spontaneità può essere anche nelle poesie<br />

molto elaborate, non è quello, è che oggi<br />

mi andava di fare così, adesso, qui.<br />

Un paio di poesie anche in questa domenica preferragostana<br />

domenica 12 agosto 2007, 13.03.31 | molinaro<br />

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Un paio di poesie scritte in questa mattina di domenica d’agosto. Fra un lavoro e l’altro,<br />

perché in questi giorni devo lavorare molto, anche se è domenica, anche se è d’agosto. C’est<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

la vie! Guadagnassi almeno bene – invece non guadagno granché. Sui giornali è tutto pieno<br />

di discorsi su cose di soldi che sembrano importanti per il mondo, ma io non ci capisco un accidente, e neppure<br />

m’importa, non ho idea di che cosa siano un bond, un prime rate o un subprime (quest’ultimo è nuovo, lo trovo per la<br />

prima volta sul giornale di oggi – la prima volta per me, s’intende), e lo spread per me è soltanto una parola che sui<br />

<strong>siti</strong> porno statunitensi indica quando le modelle hanno le gambe disunite. Che può essere un bel vedere.<br />

GIOCARE CON LE PAROLE<br />

Giocare con le parole, giocare con la realtà.<br />

La realtà non è accondiscendente, fa a modo suo,<br />

scompiglia sempre ogni tattica. Le parole<br />

sembrano più docili, più disponibili, però<br />

neppure loro si piegano al tuo gioco:<br />

spesso si rivoltano, s’impennano,<br />

dicono di meno o di più o d’altro e non puoi<br />

dominarle, ti devi adattare. Sono loro<br />

che giocano con te. Sei tu il principiante,<br />

quello che perde sempre. Puoi tentare<br />

di perdere un po’ meglio, d’impegnarti<br />

fino all’ultima mossa. Di perfezionarti,<br />

capire qual è la loro strategia, costringerle<br />

a svelarti qualcosa – qualcosa di te.<br />

CRONACA D’UNA FESTA IN MONTAGNA LA NOTTE DI SAN LORENZO<br />

Ho avuto freddo da solo nella tenda<br />

dopo la festa alla Colla di San Giacomo,<br />

796 metri sul livello del mare,<br />

accampati nel prato, ma potevo<br />

prevederlo, dovevo portarmi<br />

qualche coperta in più, era chiara<br />

la prospettiva: di notte fa freddo<br />

anche il dieci d’agosto. Da lì<br />

si vede il mare in lontananza, con le navi,<br />

Finale Ligure e un cielo stellato<br />

profondo, come fossero più strati<br />

di stelle a varie distanze, le sfere<br />

del paradiso di Dante.<br />

Noi di sotto<br />

abbiamo cantato e suonato (anche<br />

mangiato e bevuto, certo) alla luce<br />

d’un fuoco di legna e di poche candele:<br />

il rito che da secoli propizia<br />

il miracolo della comunione.<br />

Ci siamo divertiti (per usare<br />

più semplici parole) ed è bastato<br />

un aggancio, una strofa conosciuta<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

a memoria per essere più amici,<br />

per ridere e giocare. Chi poteva<br />

ha poi fatto l’amore, ma d’amore<br />

ce n’è per tutti dappertutto in queste<br />

notti magiche ancora, intatte notti<br />

quando il tempo dà un turno di riposo<br />

al suo eterno mestiere.<br />

La mattina<br />

(complici il freddo e la mia imprevidenza)<br />

mi sono alzato assai prima degli altri<br />

e sono sceso a piedi giù in paese<br />

a comprare un giornale e la focaccia<br />

per tutti, e l’ho portata su e s’è fatta<br />

colazione e ci si è lavato il viso<br />

nella fontana fresca. Poi ciascuno<br />

è tornato pian piano alla sua vita.<br />

Ebbene sì, altre quattro<br />

lunedì 13 agosto 2007, 0.06.21 | molinaro<br />

Lo so che rischio l’overdose, ma non è un flusso che si possa regolare.<br />

Poi magari sto un sacco di giorni senza scriverne. Ma oggi ne ho scritte<br />

altre quattro. È vero che potrei non metterle qui. Ma mi piace metterle<br />

qui. Troppo male in fondo non faranno. Ho fatto una passeggiata al<br />

Valentino, era pieno al novanta per cento di stranieri, si vede che i<br />

torinesi o sono andati in ferie o sono chiusi in casa o frequentano altre<br />

zone del capoluogo subalpino. La città m’è sembrata quieta e un poco imbambolata. Poi nella<br />

sera s’è fatta più dolce. E queste sono le quattro poesie.<br />

PICCOLE ONDE<br />

Il Po è increspato di piccole onde<br />

che assomigliano a certi intonaci smaltati<br />

che non usano più. Il Po è verde carciofo<br />

qui a Torino fra la sponda del Valentino<br />

e l’altra sponda sotto la collina.<br />

Le piccole onde è il vento che le fa<br />

e fa sbattere la finestra dell’Imbarchino<br />

e non ci sono altre onde perché<br />

anche i canottieri sono andati in vacanza,<br />

c’è solo qualche kayak sotto riva.<br />

Fra la pergola e l’acqua alcune rose<br />

hanno già il frutto che dalle mie parti<br />

chiamano gratacǜl, altre sono ancora in fiore:<br />

qui non stanno a potarle. È Ferragosto.<br />

Una ragazza discute sui colori<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

dei fenicotteri; l’ultimo sole dà ai mattoni<br />

quel colore che hanno solo i mattoni di sera<br />

con l’ultimo sole. Un ragazzo gesticola.<br />

Il cielo viaggia su toni discreti:<br />

tramonta piano piano con un bianco<br />

che non è proprio bianco ed un azzurro<br />

che non è proprio azzurro. Questa<br />

tranquillità mi traversa e m’abbraccia<br />

in un panico quieto, sorridente.<br />

Il vento svolta e rovescia un bicchiere<br />

di plastica che rotola sul tavolo.<br />

PICCOLA FILASTROCCA PER CLAUDIA<br />

Claudia bambina che litiga a scuola,<br />

Claudia che le compagne la lasciano sola.<br />

Claudia così strana da diventar qualunque,<br />

Claudia che non si arriva mai al dunque.<br />

Claudia che disegna facciate di chiese,<br />

Claudia lo stesso disegno per un mese.<br />

Claudia che nello specchio vede niente,<br />

Claudia che il suo profumo non lo sente.<br />

Claudia che studia economia in facoltà,<br />

Claudia architettura il lavoro non lo dà.<br />

Claudia che intona barattoli a tovaglie,<br />

Claudia combina mutandine e maglie.<br />

Claudia che ride e nessuno la vede,<br />

Claudia che piange e nessuno ci crede.<br />

Claudia accende passione e desiderio,<br />

Claudia nessuno la prende sul serio.<br />

Claudia che sposa l’estate con l’inverno,<br />

Claudia la storia una riga di quaderno.<br />

Claudia che tutti han qualcosa da dire,<br />

Claudia non c’è chi s’impegni a capire.<br />

Claudia ci fosse uno che rinuncia a qualcosa!<br />

Claudia licenziata con tre versi e una rosa.<br />

Claudia innalzata, esaltata, travisata,<br />

Claudia imprigionata. Claudia non amata.<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Claudia l’iperbole, il sole, la stella,<br />

Claudia non vedono che è appena bella.<br />

Claudia che è mia figlia e mia sorella.<br />

Claudia tante cose da scoprire e da inventare.<br />

Claudia ora basta con questo incasinare.<br />

Claudia non c’è troppo tempo da sprecare.<br />

Claudia tu e io ci daremo da fare.<br />

LINGUE<br />

Due romenelle alla fermata aspettano<br />

un autobus sbagliato. Dico loro:<br />

Duminica nu trece cinzeci doi<br />

aici. Trebuie să luaţi şaizeci patru! (*)<br />

Mi guardano stupite e diffidenti.<br />

Conosco lingue che forse non dovrei;<br />

non ne conosco che forse dovrei.<br />

[(*) La domenica qui non passa il cinquantadue, dovete prendere il sessantaquattro.]<br />

FIORI BLU E SPACCHETTI<br />

La piccola cameriera del ristorante cinese<br />

di via Gioia quasi angolo corso Vittorio<br />

ha un semplice vestitino corto a fiori blu<br />

con gli spacchetti ai fianchi, semplici anche loro,<br />

con gli spacchetti ai fianchi che le arrivano<br />

ben sopra la retta immaginaria che prolunga<br />

la base del triangolo rovesciato a punta in giù<br />

che i poeti del Seicento chiamavano boschetto<br />

o prato dell’amore, o qualcosa del genere.<br />

Ha gambe bianche e sode, gambe semplici<br />

come il vestito e come gli spacchetti;<br />

è tutto semplice, sì, ma congegnato<br />

bene per catturare un desiderio:<br />

con il viso, le braccia e il portamento<br />

mette una voglia davvero non da poco<br />

di cingerla, cercare sotto i fiori<br />

blu cosa c’è, portarla a far l’amore in una stanza<br />

o al fiume. Non si può. Prendo un caffè.<br />

Poesia per la vigilia di Ferragosto<br />

martedì 14 agosto 2007, 5.59.57 | molinaro<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

MERCE E LAVORO<br />

Vigilia di Ferragosto, città deserta (ma poi neanche tanto), tutti in ferie<br />

(ma poi neanche tutti), e io per fare il bastian contrario ci metto una<br />

poesia sul lavoro e sulla merce, scritta ieri in treno passando per Milano<br />

(Milano è sempre la sede più giusta per scrivere di merce e di lavoro,<br />

no?). Buon Ferragosto a chicchessia, comunque!<br />

Il lavoro è mercificato – si lamenta<br />

qualche anima bella in sinistra apparente.<br />

Il lavoro è mercificato? Non direi.<br />

Alla merce si presta una certa attenzione.<br />

Si cerca di venderla al prezzo più alto.<br />

La merce è ben protetta. Sulla merce<br />

si fanno studi amorevoli. Ci si cura<br />

che la merce sia libera, senza frontiere.<br />

La sua patria è il mondo intero! Della merce, dico.<br />

La sua legge è la libertà! Della merce, dico.<br />

I sacerdoti del tempio del mercato<br />

(nessuno scaccia i mercanti dal tempio – in realtà<br />

nessuno mai li ha scacciati – in realtà<br />

sono loro, da sempre, a costruire i templi<br />

– in realtà da sempre è un mercato il tempio)<br />

officiano i riti dell’adorazione della merce,<br />

recitando le nuove formule eucaristiche:<br />

«È da merce che deriva la parola mercato.<br />

In principio era la merce. La merce è il verbo.<br />

La merce è il padre, il mercato è il figlio,<br />

la multinazionale è lo spirito santo<br />

che procede dalla merce e dal mercato:<br />

con la merce e il mercato è glorificata».<br />

La merce è grande e il mercato è il suo profeta.<br />

Chiesa moschea e sinagoga sono<br />

la stessa merce in tre distinte ipostasi,<br />

sono la stessa sostanza della merce.<br />

Nel contesto di questa nuova religione<br />

(forse neppure così nuova, in fondo)<br />

la moderna religione della merce e del mercato,<br />

mercificare è sinonimo di santificare.<br />

Il lavoro no, non è mercificato.<br />

Il lavoro è merdificato – e così sia.<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

La tenda a ore<br />

martedì 14 agosto 2007, 10.05.33 | molinaro<br />

Altra piccola poesia derivata da una buona idea osservata ieri in riva a un lago con<br />

l’amica.<br />

LA TENDA A ORE<br />

Su una panchina in riva al lago, fra<br />

bambini in bicicletta e pescatori<br />

si fa quel che si può: la lingua in bocca,<br />

la mano sotto il reggiseno, i corpi<br />

abbracciati in diverse posizioni<br />

più o meno scomode.<br />

È bello qui<br />

passare un pomeriggio dopo un viaggio<br />

per incontrarci, raccontarci cose<br />

e stare a lungo in silenzio a guardare<br />

noi stessi e il mondo.<br />

Però un’altra volta<br />

ci procuriamo anche noi una tenda<br />

piccola da campeggio, che si monta<br />

in tre minuti, come abbiamo visto<br />

che han fatto una ragazza e il suo ragazzo<br />

a pochi metri da noi sotto gli alberi.<br />

La tenda a ore, piantata e spiantata<br />

nel tempo giusto d’un fare l’amore.<br />

Sembra una buona idea. Però non ditelo<br />

ai sindaci, se no poi quelli prendono<br />

provvedimenti. I sindaci, oramai<br />

persino quelli di sinistra, odiano<br />

i vagabondi amanti sognatori:<br />

odiano chi non lascia giù denaro,<br />

odiano chi non si fa registrare<br />

nelle strutture alberghiere. Malvagi<br />

sindaci, che vi venga un accidente.<br />

Sul lungolago o nel giardino, sulla<br />

panchina o nel prato o nell’aiuola<br />

fiorita o nella più spoglia piazzuola<br />

o nel vicolo o dietro la stazione<br />

delle corriere o nel sottopassaggio<br />

ci baceremo sempre con la stessa<br />

gioia. E voi dovreste ringraziarci:<br />

una città senza baci sarebbe<br />

un livido fantasma di città.<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Sì, la prossima volta ci prendiamo<br />

una piccola tenda e la mettiamo<br />

in riva al lago per una o due ore:<br />

e ci facciamo per bene l’amore.<br />

Da un phone center di via del Campo<br />

mercoledì 15 agosto 2007, 11.01.20 | molinaro<br />

Sono a Genova di Ferragosto, Genova deserta, Genova dove tutto è chiuso. Quasi tutto. In via del Campo<br />

c'è questo phone center aperto. Il gestore sembra indiano, così a occhio, o pachistano, o cingalese... da<br />

quelle parti, insomma. Chissà perché sono entrato qui e mi sono messo al computer. Forse perché fuori<br />

c'è un caldo un po' afoso. Ieri ho portato al mare mia madre, a Levante. Ora sono in viaggio verso<br />

Ponente e dunque passo da Genova. Genova è sempre un posto che mi affascina. È come quelle donne<br />

non bellissime ma che ti colpiscono per un non so che, e non smettono mai più di colpirti, e il non so che<br />

rimane per sempre un non so che. Un amore che non passa. Come quasi tutti i veri amori.<br />

Adesso poi mangio qualcosa e proseguo verso Ponente. Forse mi fermo a Varazze da un'amica che è in<br />

vacanza lì e forse - ma è meno probabile - anche da un'altra amica che lavora lì e oggi è a una festa al<br />

Nautilus. L'amica che è in vacanza lì mi ha spiegato che il Nautilus è un grande stabilimento balneare,<br />

probabilmente di quelli con annessi e connessi. Vedrò. Forse. E di sera vado a Savona a sentire Cesare e<br />

Mac che leggono poesie in una sorta di spettacolo alla Festa provinciale di Rifondazione Comunista, nel<br />

quartiere di Zinola.<br />

E poi nella notte torno a Torino che ho molto lavoro da fare. Genova deserta ferragostana. Cammino in<br />

questi vicoli e penso ancora a Marì. Poi penso a Clara, poi penso a Romina. Poi penso a Malvina. Poi<br />

penso a Claudia, a Chiara, a Elisa, a Federica. Forse ci vuol poco ad agganciare un mio pensiero. O forse<br />

è così che ha da essere, è normale, l'umanità è una rete cerebrale, noi siamo i suoi neuroni e io ho molte<br />

sinapsi. Penso alla festa della scorsa settimana alla Colla di San Giacomo. Ad Anita che dice che uso<br />

parole desuete. È dolce anche Anita. Per essere un mondo che fa schifo, di cose dolci ne ha tante. Sarà<br />

per quello che scrivo poche poesie politiche (anche se Cesare le preferisce) e scrivo tante poesie d'amore.<br />

Ma in fondo cantare l'amore è un gesto politico. Il libero mercato, le multinazionali, lo sfruttamento, la<br />

devastazione ambientale e la guerra sono frutto della pulsione di morte, come osserva giustamente il mio<br />

amico Franco di Torino. Allora scrivere d'amore, dare spazio alla pulsione di vita, è anche una lotta<br />

politica. E d'altronde lo dicevamo, nel 1968, che il personale è politico (e viceversa). Ora non lo si dice<br />

più? Mi preoccupa il fatto che ci sia chi scinde la sua vita emotiva dalla sua vita sociolavorativa. Fare una<br />

cosa del genere vuol dire o essere schizofrenici o dichiararsi schiavi. Io no, io mi emoziono sempre, e mi<br />

innamoro di tutto.<br />

Non sarò un grande lavoratore, non sarò un grande niente, ma mi sento un uomo. E adesso la pianto che<br />

mi scade il tempo che ho noleggiato in questo phone center. Che è anch'esso un posto affascinante. Nella<br />

Genova chiusa, è un posto aperto. Un ragazzo sta comprando un dvd, forse per un pomeriggio in casa<br />

con gli amici, altri stanno telefonando forse in paesi lontani, un altro osserva un poster, io scrivo nel blog, e<br />

siamo tutti qui insieme, con tutte le lingue diverse che parliamo, e con i nostri desideri, forse meno diversi<br />

fra loro di quanto lo siano le lingue.<br />

Buon Ferragosto!<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Favoreggiamento di strage<br />

giovedì 16 agosto 2007, 11.02.34 | molinaro<br />

Per un lavoro di rassegna stampa che faccio per avere il pur poco panem che non mi danno<br />

certo i carmina, devo comprare spesso Il Sole 24 Ore, giornale economico e di cose varie<br />

gestito, a quanto mi dicono, dalla Confindustria. Ho notato che spesso il suddetto quotidiano<br />

pubblica intere pagine con la mappatura degli autovelox e, più in generale, dei controlli<br />

della polizia stradale in giro per l’Italia. La stessa cosa fanno altri giornali, radio private, <strong>siti</strong><br />

internet, eccetera. Tutta una strategia per sfuggire ai controlli, insomma. Esistono anche<br />

navigatori satellitari con l’indicazione degli autovelox, e pare che si stia diffondendo una vernice spray che, spruzzata<br />

sulla targa, impedisce alle telecamere di leggerla – e più o meno tutti ne sono entusiasti e vorrebbero provarla (e<br />

dicendo tutti non parlo di ragazzacci, ma di seri professionisti, lavoratori, padri di famiglia).<br />

Io questa cosa non riesco a digerirla. M’indigna, mi scandalizza, non so che farci ma m’indigna. Già trovo abbastanza<br />

assurdo che gli autovelox siano segnalati in loco. A Torino ce n’è uno, in un importante corso non lontano da casa<br />

mia, che è annunciato da pannelli luminosi, cartelloni, segnaletica orizzontale, avvisi di ogni tipo. Il messaggio che<br />

ne ricavo io è che lì, e soltanto lì, bisogna rispettare il limite di velocità. Un chilometro più avanti, passato il<br />

«pericolo», puoi riprendere tranquillamente a guidare come un pazzo.<br />

Pare che, in Italia, se l’autovelox non è segnalato l’automobilista pirata possa farsi annullare la multa invocando la<br />

privacy o qualcosa del genere. Assolutamente ridicolo. E ho sentito buoni cittadini piemontesi lamentarsi perché i<br />

vigili stavano dentro una zona pedonale a dare la multa a chi ci era abusivamente entrato: secondo loro, sarebbero<br />

dovuti stare all’inizio della zona, a deviare il traffico. Vigili ridotti a segnali stradali, insomma. Perché i segnali<br />

stradali sono ridotti a nulla: chi li guarda più? Tranne forse quelli che segnalano la presenza dell’autovelox...<br />

In Italia la privacy è quella cosa che serve a evitare le multe e a non pagar le tasse (contro ogni controllo fiscale<br />

invocano la privacy!). Nessuno vuole mai essere sanzionato se sbaglia. Nessuno vuole mai pagare niente. Le leggi<br />

valgono solo per gli altri.<br />

Io, se non fosse che non ho potere e sarei travolto e ucciso da una mandria di avvocati prezzolati, denuncerei Il Sole<br />

24 Ore (e tutti gli altri giornali e radio e <strong>siti</strong> internet che fanno la stessa cosa) per apologia di reato e favoreggiamento<br />

di strage. Ipocriti di merda, piangono sui ragazzi morti sulle strade e poi insegnano a evitare i controlli. Ipocriti di<br />

merda.<br />

Mondo cane. Che poi già mi girano le palle a dover comprare Il Sole 24 Ore, e lo si può ben capire leggendo il mio<br />

Recitativo contro i treni rapidi, a pag. 453-455 de La parola rinvenuta, il libro che potreste anche farmi il favore di<br />

comprare (vedi riquadro in alto a sinistra nel blog!). La poesia ve la metto qui sotto, evidenziando in colore la strofa<br />

che spiega perché soffro a comprare Il Sole 24 Ore. Questo in fondo è un blog di poesie, il resto è accessorio. Baci, e<br />

buon day after di Ferragosto.<br />

RECITATIVO CONTRO I TRENI RAPIDI<br />

I treni rapidi<br />

hanno i finestrini che non si aprono<br />

quindi non sono veri treni<br />

ma capsule o supposte<br />

come gli abominevoli aeroplani<br />

e le automobili climatizzate.<br />

I treni rapidi<br />

hanno il supplemento rapido<br />

a volte Intercity a volte Eurostar<br />

e sono tutti soldi buttati,<br />

un insulto a chi ha bisogno per mangiare.<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

I treni rapidi<br />

arrivano troppo rapidi<br />

e questo toglie tutto il gusto<br />

del quieto paesaggio, dell’odore di piscio<br />

o rosmarino delle stazioncine.<br />

I treni rapidi<br />

sono come mangiare al fast food,<br />

sono una sveltina con una puttana<br />

frettolosa e costosa,<br />

sono la macchina fotografica<br />

di un turista giapponese.<br />

I treni rapidi<br />

a volte poi non sono in perfetto orario<br />

e intralciano il traffico<br />

facendo ritardare i diretti<br />

e i regionali che devono attendere<br />

che sfrecci la loro prepotenza:<br />

è sopruso di classe.<br />

I treni rapidi<br />

hanno dentro una cattiva compagnia,<br />

gente che legge stampa di destra<br />

o peggio ancora stampa finanziaria<br />

e dà ordini e appuntamenti col cellulare<br />

allargandosi come una piovra.<br />

I treni rapidi<br />

sono una sventura ambientale,<br />

sono correre troppo che fa male,<br />

sono perdere tutte le occasioni<br />

passando oltre da veri coglioni.<br />

I treni rapidi sono una trappola!<br />

Questo mondo è pieno di trappole!<br />

E tutta la gente ci cade peggio dei topi!<br />

Come fanno a non vedere<br />

i finestrini bloccati?<br />

I finestrini piombati vuol dire<br />

che il treno è per Auschwitz!<br />

È talmente evidente! Idioti!<br />

I treni rapidi<br />

sono celle frigorifere d’obitorio,<br />

sono la follia che separa la via<br />

dal suo contorno, sono la non andata<br />

e il non ritorno e non vedere<br />

né l’inizio né la fine del giorno.<br />

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Pagina 97 di 200<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

I treni rapidi<br />

sono la perdita del senso del viaggio<br />

dunque del senso del tempo della vita,<br />

sono una cosa che prima di cominciare<br />

è già finita.<br />

Basterebbe non prenderli.<br />

Ma ho visto ahimè in una stazione<br />

un treno regionale coi finestrini ermetici,<br />

un treno regionale a due piani,<br />

truccato da rapido sigillato<br />

con l’aria condizionata che spacca le ossa.<br />

Un treno regionale moderno<br />

perché nessuno, per povero che sia,<br />

riesca mai più a fuggire dall’inferno.<br />

Uno spettacolo andato non benissimo<br />

giovedì 16 agosto 2007, 14.21.03 | molinaro<br />

Pagina 98 di 200<br />

Ieri a Savona c’è stato, alla festa di Rifondazione Comunista, uno spettacolo di musica e<br />

poesia. A leggere le loro poesie erano Cesare Oddera e Francesco «Mac» Vico,<br />

accompagnati da un gruppo di musici fra cui l’ottimo Zibba. Si tratta di tre miei amici,<br />

Cesare, Mac e Zibba, e quindi adesso avrò qualche difficoltà a «recensire» lo spettacolo.<br />

Perché, ecco, non mi è piaciuto, non tantissimo.<br />

Non è per le poesie, che in maggioranza già conoscevo, e delle quali alcune mi piacciono<br />

molto, altre abbastanza e altre meno, come è naturale. Ma è lo spettacolo in sé che non è riuscito a imporsi. La scelta<br />

di leggere in mutande e accappatoio non aveva alcun collegamento con le poesie lette né con le cose dette fra una<br />

poesia e l’altra. Restava una trovata isolata, così, scoordinata, e aveva pure una sfumatura di «vorrei ma non posso»<br />

rispetto all’eventuale leggere nudi (che, almeno in riferimento a uno dei soggetti, sarebbe stato assai più gradito a una<br />

ragazza che avevo accanto e che me l’ha detto – eh no, non vi rivelerò mai chi è!).<br />

La musica restava un sottofondo poco avvolgente e poco fruibile, quasi anonimo: non riusciva a farsi ricordare. Ma,<br />

soprattutto, lo spettacolo finiva con l’essere costituito «soltanto» da una sequenza alternata di letture di poesie da<br />

parte dei due autori, con poche parole di introduzione per ognuna, e con una musica sacrificata alle spalle. Non c’è<br />

stato nessun episodio, diverso dalla lettura, a intercalare o a integrare. Anche il finale è stato costituito «solo» da una<br />

lettura di un’altra poesia, sia pure a due voci, sia pure una poesia di Ernesto «Che» Guevara.<br />

E la trovata di mettere sul palco anche un uomo in giacca e cravatta che per tutto il tempo è rimasto semplicemente<br />

seduto a leggere un giornale, idea che di per sé poteva avere un senso, restava però come le mutande e l’accappatoio,<br />

qualcosa di slegato, isolato.<br />

Insomma, alla fine rimaneva un po’ un’impressione di cose a caso messe insieme con il fil di ferro, senza un progetto<br />

efficace. E il pubblico, direi giustamente, è rimasto un po’ distaccato, freddo, con pochi applausi di cortesia, e un<br />

paio di applausi veri solo alle poesie in sé più forti.<br />

Mi rendo conto che non è una «recensione» po<strong>siti</strong>va e spero di non mettere in crisi l’amicizia, adesso! Sono abituato<br />

a essere sincero, lo sono stato anche sul lavoro di altri, ho recentemente vagliato con una certa severità modi e stili<br />

pure di una ragazza che avrei voluto (e vorrei) in ogni modo «conquistare» (e questa è davvero la prova del fuoco per<br />

un’onestà critica e intellettuale!). Credo che la vera amicizia non sia incrinata dalla sincerità, anzi. E ogni critica è<br />

uno stimolo a far meglio. E d’altronde Cesare e Mac hanno non di rado liberamente criticato mie poesie, giustamente,<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

e non per questo li ho mandati a quel paese. E dunque, così sia, sullo spettacolo di ieri a Savona ho detto la mia.<br />

La serata ferragostana alla festa savonese di Rifondazione nel complesso è stata bella. Ci sono arrivato verso sera<br />

dopo aver pranzato a Varazze con un’altra mia amica; il tempo era incerto e la pioggia è stata una continua minaccia<br />

che però ha risparmiato cena e spettacolo (a parte una spruzzatina nel finale). Ho rivisto persone che non vedevo da<br />

un po’, ho conosciuto un paio di ragazze nuove, ho chiacchierato e riso alla tavolata di amici, ho fumato il narghilè<br />

con Fabio e con le suddette ragazze nuove, ho discusso di politica (embè, era la festa di Rifondazione Comunista:<br />

non sia solo cotechino, come già si obiettava alle feste dell’Unità). E poi ho ripreso la mia ormai quasi solita<br />

autostrada, che adesso chiamano la Verdemare, e me ne sono tornato a Torino a lavorare.<br />

(Nella foto, Cesare e «Mac» – regolarmente vestiti! – in una lettura di poesie a Genova il 20<br />

maggio 2006)<br />

A.<br />

venerdì 17 agosto 2007, 7.15.06 | molinaro<br />

Oggi, 17 agosto, sono 14 anni da quando ho fatto l’amore la prima volta con A. (e<br />

curiosamente ieri è stato un anno dalla prima volta con C. e dopodomani saranno 16 anni da<br />

quando ho conosciuto M. e si vede che i giorni intorno a Ferragosto sono propizi a nuovi<br />

amori; anche la prima volta assoluta mia fu un 7 agosto – da quella gli anni passati sono<br />

35). La storia con A. è attualmente sospesa, distaccata – anche se abbiamo passato insieme<br />

l’unica settimana di vacanza al mare di quest’anno, tra fine luglio e inizio agosto. È una<br />

storia che a tutti può sembrare strana, la storia «libera», la storia che, senza bugie né nascondimenti, «coabita» con<br />

altri amori. Ma non resta in ombra, non fa da sottofondo, non è una relazione di comodo, anzi ha la sua meravigliosa<br />

importanza. Io (lo si sarà capito) non sono molto portato per l’amore esclusivo ed escludente, per l’amore unico. A<br />

differenza di altri uomini, però, neppure lo pretendo: vedo l’amore germogliare bene in una certa libertà generale,<br />

bilaterale (o multilaterale), spontanea. Il mio modo di trepidare in amore è bene riassunto da due versi di Guido<br />

Catalano che già ho messo in epigrafe a una mia poesia qui imblogata nel messaggio n. 51 del 29 luglio scorso: non<br />

voglio sapere dove vai / voglio sapere che torni. So che è difficile crederlo, ma è così. Non me ne faccio un<br />

programma ideologico, potrei in qualsiasi momento incappare in un amore esclusivo e geloso, benché mi paia<br />

improbabile; ci sono andato vicino un paio di volte, ma non era mai una promessa o un impegno, era un dato di fatto<br />

(pensare a una sola donna spontaneamente), durato in entrambi i casi qualche mese. Quanto al matrimonio, fu una<br />

storia a parte, forse un lungo malinteso (che pure ha dato i suoi frutti). Insomma, A. è stata la donna che per oltre un<br />

decennio meglio si è armonizzata alla mia vita, e io alla sua. Ora, da poco più di un anno, c’è un distacco, un<br />

allontanamento. Che curiosamente (?) si è verificato all’inizio del 2006, in un periodo in cui non avevo altre storie in<br />

corso, prima del bacio a R. del 10 aprile 2006, e dopo un biennio 2004-2005 sostanzialmente monogamico (anche se<br />

non per scelta determinata). Va bene, a parte tutte queste faccende, la sostanza è che oggi è l’anniversario di una<br />

storia importante e lunga e adesso sospesa, distaccata – ci vediamo di tanto in tanto, passiamo qualche ora insieme,<br />

amichevolmente, ma non si fa più l’amore, ci si fa solo un po’ di compagnia, e abbastanza di rado. Le darò un colpo<br />

di telefono, ma forse non gradirà neppure il ricordo di questo quattordicesimo anniversario. E allora io lo ricordo qui,<br />

con tre poesie fra le tante dedicate a lei (molte sono nel libro, altre inedite). Ne scelgo tre, dal libro, e le metto qui. E<br />

poi mi metto al lavoro. Buona giornata.<br />

CAMERA CON RIVERBERI<br />

«Non mi dispiace<br />

di avere fatto<br />

con te l’amore»<br />

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ad Antonella<br />

Pagina 99 di 200<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

dice la piccola magra monella<br />

con le tettine a goccia<br />

bianche appena di un bianco di bichini<br />

portato per un giorno o due di sole.<br />

Pare uscita da un film di Truffaut,<br />

da banlieue parigina:<br />

mi guarda gli occhi<br />

con la franchezza larga di chi sa<br />

i tuoi stessi crocicchi, le panchine…<br />

«Neanche a me dispiace» le rispondo.<br />

Sembra un dialogo idiota<br />

mentre l’ultima luce della sera<br />

accenna i nostri corpi sul lenzuolo<br />

stropicciato e sudato.<br />

Invece, è la sua dichiarazione<br />

a me – e a lei la mia – di rispetto<br />

e d’amicizia: la complicità<br />

seria dei bimbi che giocano insieme.<br />

(Volendo, lo si può chiamare amore,<br />

ma senza enfasi, come si chiama<br />

un bicchiere bicchiere e un tetto tetto.)<br />

ANTONELLA<br />

È un quieto sabato mattina. Qualcuno<br />

chiacchiera sotto la finestra aperta<br />

nell’estate già presa.<br />

Andrò a comprare un giornale fragrante<br />

e passerò nelle strade che vivono<br />

di voci, sguardi, passi, rumori…<br />

È un quieto sabato mattina. Sarebbe<br />

triste – forse angoscioso – se non fossi<br />

tu qui con me a leggere il tuo libro.<br />

GLI ESOTICI FRUTTI<br />

Ho mangiato un platano fritto con lo zenzero<br />

servito su un piatto dipinto a fiori azzurri<br />

da Antonella, mentre fuori sul mare<br />

infuria il vento nella notte nera.<br />

Il frutto più pregiato è l’Antonella:<br />

la fidanzata meno appariscente<br />

che governa discreta il mio harem di passioni<br />

e guarda entrare e uscire le fanciulle<br />

che sempre curiosano e mai s’innamorano,<br />

che vengono e vanno e si portano via<br />

un souvenir di versi e mi lasciano in cambio<br />

libri di nostalgia che Antonella riordina<br />

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Pagina 100 di 200<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

con amore gentile agli scaffali:<br />

poi qualche sera li leggiamo insieme<br />

bevendo un caffè fatto nel pentolino<br />

con la cannella e i chiodi di garofano.<br />

Poesia per me<br />

venerdì 17 agosto 2007, 7.37.14 | molinaro<br />

Una mia amica ha scritto una poesia per me e me l’ha mandata<br />

ieri sul telefonino: poesia via sms. Mi sembra molto bella. Ci ho<br />

pensato su 24 ore prima di decidere di metterla qui – ho pensato<br />

che forse doveva essere solo per me – o forse no, è una poesia, la<br />

poesia è sempre per tutti coloro che sanno leggerla – chissà – poi<br />

a decidermi è stato un verso della poesia stessa, quello delle<br />

ghirlande da appendere fuori – allora appendo qui, qui fuori, la poesia, la poesia di<br />

una poetessa brava che mi ama. Sapete, io scrivo tanto, forse troppo, ma è raro per<br />

me essere oggetto di una poesia, essere io il muso (nel senso del maschile della<br />

musa) ispiratore. Ed è bello esserlo, ogni tanto.<br />

PER TE<br />

Vorrei offrirti un ballo di ragazza<br />

che volteggiando in tondo su se stessa<br />

ti porti in dono un po’ di giovinezza<br />

che tu possa intrecciare coi tuoi versi<br />

e far ghirlande da appendere fuori<br />

che la gente che passa può vedere<br />

mentre alza la testa un po’ per caso<br />

e sapere che è questo che sai fare<br />

sai afferrare le frange del tempo<br />

e trasformare l’amore in amore.<br />

Son troppi i colori del mondo<br />

sabato 18 agosto 2007, 18.54.22 | molinaro<br />

C.<br />

SON TROPPI I COLORI DEL MONDO<br />

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Pagina 101 di 200<br />

A Torino, dopo una mattinata con un’amica e un pomeriggio di lavoro,<br />

qui da solo nella casa verso sera, con un senso di deserto e di viaggio, di<br />

mancanza e d’attrazione, ho fatto quello che faccio di solito, ho scritto<br />

una poesia, ed è questa.<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Ebbene così sia. Non ho una chiara<br />

geografia, non radici, non borghi<br />

natii selvaggi, non itache né<br />

zacinti – no: ho strade, strade, strade<br />

e nostalgie di strade, ho l’andatura<br />

quasi impaziente di chi sta partendo.<br />

E tuttavia ho nello zaino case,<br />

ho le impronte e i dettagli delle case:<br />

la mossa degli scuri nelle ore,<br />

il combaciare dei suoni, l’odore.<br />

E tuttavia mi posso ancora perdere<br />

nel sogno strano d’abitare qui<br />

dove stai tu – d’abitarci davvero,<br />

in questa striscia fra la strada e il bosco<br />

sospeso sulla valle – quasi fosse<br />

una cosa possibile o normale.<br />

No. Riparto. Come sempre riparto.<br />

Porto con me lo strepito del treno<br />

inaspettato sul binario che<br />

sembrava morto, sotto il tuo cortile.<br />

Porto le gocce d’azzurro degli occhi,<br />

il gioco della ghiaia, il sentimento<br />

dell’erba, della blusa, il retrogusto<br />

della brace e del pesce. Lascio te<br />

al tuo signore, a chi saprà difendere<br />

la tua camera, l’orto, la cucina.<br />

Non c'è più un buon posto dove andare<br />

domenica 19 agosto 2007, 13.12.56 | molinaro<br />

Intorno al fuoco di fine maggio<br />

cantammo insieme una dolce preghiera:<br />

son troppi i colori del mondo,<br />

non li puoi chiudere in una bandiera.<br />

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Mercanti di liquore, Santa Sara<br />

Pagina 102 di 200<br />

Ultimamente leggere i giornali mi mette di cattivo umore, ed è successo anche oggi. Un po’<br />

per le notizie, un po’ per il modo in cui vengono date. I giornali sono diventati, quasi tutti,<br />

un vero tormento. E un vero tormento è il mondo «sociopolitico», con la sua regressione<br />

liberticida. Non c’è più un buon posto dove andare! Così oggi dopo averli letti, i giornali, ho<br />

scritto questa non poesia. Buona domenica.<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

NOTIZIE DI OGGI<br />

Notizie di oggi: l’islam rompe le palle anche in Malesia,<br />

ad Albenga multano le puttane perché in abiti succinti,<br />

a Torino chi accusa i preti pedofili resta senza avvocati.<br />

Ora: io ho una lista di paesi teocratici e/o forcaioli e/o dittatoriali<br />

e/o bigotti dove evito di viaggiare (per fare alcuni esempi,<br />

il Texas, l’Iran, l’Irlanda, l’Egitto, il Vaticano, la Tunisia,<br />

la California, la Russia, la Cina, la Nigeria, l’Arabia e così via)<br />

e credo che la Malesia fosse già compresa per altri motivi<br />

(pena di morte in vigore), però che palle davvero questo rigurgito<br />

d’oscura religione che sopprime libertà e ragione.<br />

Ora io dico, posso inserire anche Albenga fra i luoghi da evitare<br />

(per la festa di Erli posso passare da dietro, da Ormea)<br />

ma con Torino come faccio, che ci abito? [Quanto sia difficile<br />

mettersi contro i preti l’ho già sperimentato di persona,<br />

del resto, e con molto dolore.] Mi sa che dovrò lasciar perdere<br />

la lista nera, viaggiare un po’ dove càpita: al massimo, uscendo<br />

da certi postacci, mi scuoterò via la loro polvere dai piedi<br />

(per chiudere, guarda te, con una citazione evangelica, Matteo 10, 14,<br />

che già aveva in sé tutto un germe d’intolleranza ab ovo).<br />

Le porte dei cessi<br />

lunedì 20 agosto 2007, 22.51.13 | molinaro<br />

Oggi sono andato a Milano per un lavoro, e sul treno Torino-Milano ho scritto due poesie.<br />

Una risposta preventiva a una domanda che molti si faranno sulla prima: no, non sono<br />

rimasto chiuso nel cesso del treno. Quella sulle porte dei cessi è una meditazione che porto<br />

avanti da molti decenni, e che finalmente, oggi, fra Novara e Magenta, ha trovato modo di<br />

esprimersi in versi. Buone cose a tutti voi.<br />

LE PORTE DEI CESSI E ALTRE COSE COSÌ (TROVAR CLUS)<br />

Le chiusure migliori per le porte dei cessi<br />

sono quelle esterne al corpo della porta,<br />

quelle visibili e maneggiabili nella loro interezza.<br />

Per intenderci: un gancetto o qualcosa del genere,<br />

per esempio un ferretto che ruotando di 180 gradi<br />

va a inserirsi dietro un fermo, dal quale<br />

si può facilmente rimuovere con le mani.<br />

Le chiusure interne al corpo della porta, invece,<br />

se si rompono sei fottuto, resti chiuso nel cesso.<br />

Forse questo discorso è legato alla mia claustrofobia,<br />

però mi sembra che sarebbe un vantaggio per chiunque<br />

la certezza di non restare mai chiuso in un cesso;<br />

e dunque non capisco perché non facciano<br />

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Pagina 103 di 200<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

tutte le chiusure così, esterne all’uscio e maneggevoli.<br />

L’umanità è stupida. Creare difficoltà<br />

inutili e paure inutili è proprio stupido, eppure<br />

lo fanno regolarmente, non capisco perché.<br />

Lo fanno un po’ in tutti i campi dell’esistenza.<br />

Per esempio il gioco di parlare per sottintesi,<br />

di dire non dicendo, di lasciare all’intuito, discorrendo,<br />

io lo odio perché non ci capisco mai un cazzo,<br />

talvolta con gravi conseguenze per me e per gli altri,<br />

e comunque con un senso d’ansietà persistente.<br />

Si obietterà che sono io che sono scemo,<br />

che non ho intuito, che non so leggere fra le sillabe,<br />

insomma un’obiezione come quella della claustrofobia<br />

per i cessi, già, ma anche qui direi che sarebbe utile<br />

per tutti, e non danneggerebbe neppure i bravi intuitori,<br />

se si parlasse chiaro, che comunque è più sicuro,<br />

più garantito, più tranquillo, più leale e più semplice.<br />

<strong>Qui</strong>ndi, rivolgendo il discorso all’intera umanità,<br />

e all’Onu, a Human Rights Watch, ad Amnesty eccetera,<br />

propongo solennemente che si mettano alle porte dei cessi<br />

chiusure a vista, sempre maneggiabili, e che si dica<br />

ciò che si pensa con dettagliata chiarezza.<br />

Ma so che non mi ascolteranno, continuerò a trovare<br />

nei cessi quelle inquietanti precarie chiavette<br />

e nei discorsi la voglia di non farsi capire.<br />

IN-CITAZIONE A GIOCO (DAMMI CINQUE VERSI)<br />

C’è chi ne dubita, ma questa mia poesia<br />

dichiara leali le ali di Chiara:<br />

certifica che Chiara sa volare<br />

– e pazienza se fra le corde dell’altalena<br />

non la prenderò come fa il vento alla schiena.<br />

Anniversario con vetri<br />

martedì 21 agosto 2007, 15.13.27 | molinaro<br />

Pagina 104 di 200<br />

Dopo quella prima volta che facemmo l’amore, passò quasi un anno prima che io ci<br />

scrivessi su una poesia. La poesia non ha tempi fissi, come tutti sanno. Può arrivare dopo un<br />

attimo o mai. Naturalmente. Dopo questo quattordicesimo anniversario passato alla finestra<br />

(in senso molto proprio) ci sono voluti solo quattro giorni prima di scrivere questa poesia<br />

qui. Ah, quella nella foto non è la finestra della casa di allora né quella della casa di adesso,<br />

è la finestra di una casa intermedia, dove ho abitato per tre anni fra il 1997 e il 2000. Era<br />

piccola, al pianterreno, nel cucinino dovevano starci tutti i libri con quei tre piatti e quelle due casseruole, ma era<br />

bella anche lei. Tutte le case dove si è amato sono belle. Il letto era stretto e non tanto comodo, ma ha conosciuto il<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

profumo di Federica, di Grazia, di Kerstin, di Tiziana, di Sandra, di Anna e d'altre che il mio canto qua e là appella.<br />

ANNIVERSARIO CON VETRI<br />

È venuta a casa mia come 14 anni fa<br />

casa mia non è la stessa casa di allora<br />

anche noi siamo un poco diversi – ma non tanto –<br />

mi ha detto: «Laviamo i vetri che se no tu<br />

non ti entra neanche più la luce in casa, pigro<br />

come sei a fare i lavori» e dato che faceva caldo<br />

si è tolta la camicia e aveva un reggiseno grazioso<br />

come quello che le ho slacciato 14 anni fa<br />

quando abbiamo fatto l’amore la prima volta<br />

e anche lei era molto graziosa e perciò le ho messo<br />

le mani sulle spalle e l’ho scossa un po’ e ha detto:<br />

«Lascia stare, mi sono tolta la camicia solo perché<br />

fa caldo a lavare i vetri» e abbiamo lavato i vetri<br />

che effettivamente ce n’era bisogno e adesso vedo<br />

meglio i tetti di fronte e il campanile. Non so<br />

perché l’amore non lo facciamo più, forse qualcosa<br />

intuisco, ma non sono sicuro, di fatto<br />

devo dire che di preciso non lo so. È bello<br />

anche lavare i vetri insieme, è molto meglio<br />

che non vedersi mai, questo è certo, ma l’amore<br />

perché non lo facciamo più<br />

io di preciso non è che lo so.<br />

Corpi, colline, tutto<br />

mercoledì 22 agosto 2007, 9.56.51 | molinaro<br />

Mi sono alzato alle sei e trenta, ho lavorato tre ore filate, poi ho<br />

scritto questa poesia un po’ malinconica, ora bevo un caffè e<br />

riprendo a lavorare, mentre il vento muove la tenda verde sul<br />

terrazzo e la mancanza di senso urla dalle strade. La mancanza<br />

di senso c’è sempre, ovunque e da sempre e per tutti e per<br />

ogni cosa. È solo che talvolta non urla, talvolta ci dà tregua. E a<br />

volte invece urla. Ma adesso basta, adesso torno al lavoro.<br />

PASSANDO PER IL COLLE DI CADIBONA<br />

Può essere che il profilo di queste colline<br />

o mezze montagne, fra il Piemonte e la Liguria,<br />

resti più a lungo del profilo del corpo di lei,<br />

e che la piega accogliente della gora ombrosa<br />

duri oltre la piega accogliente delle cosce,<br />

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Pagina 105 di 200<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

e che l’azzurro umido del cielo sopra i boschi<br />

permanga un tempo dopo l’azzurro degli occhi.<br />

Ma questi paragoni cronologici, usati<br />

spesso in discorsi retorici d’equivoca morale<br />

per stabilire improprie gerarchie nel creato,<br />

non mi riguardano: io sono mortale e già un po’ vecchio,<br />

il mio punto di vista non è quello di Dio<br />

ma quello d’un passante che s’allontana e lascia<br />

il corpo, le colline, le cosce, il bosco, gli occhi.<br />

La foto del messaggio precedente<br />

mercoledì 22 agosto 2007, 15.01.20 | molinaro<br />

Pagina 106 di 200<br />

La foto del messaggio precedente, il messaggio n. 80 di questo blog, con le tre<br />

ragazze che si mangiano lo yogurt, è simpatica, è carina. Mi piace. L’ho presa da<br />

un fotoservizio su internet, ma non credo che mi faranno storie per i diritti. È<br />

roba d’oltreoceano, probabilmente. Non credo che mi faranno storie perché è un<br />

fotoservizio di quelli dove le modelle sono molto anonime. Foto qualsiasi, che<br />

girano così. Insomma: è la prima foto di un fotoservizio porno di bassa lega. Ci<br />

avran speso trecento dollari a dir tanto. Nelle foto successive le tre ragazze si<br />

spogliano, si toccano e fanno varie cose che non staremo qui a elencare,<br />

ovviamente. Perché ho messo quella foto nel messaggio n. 80, accanto a una<br />

poesia un po’ malinconica? Non lo so di preciso (non sono di quegli uomini che<br />

sanno sempre quello che fanno, vorrà dire che magari il Padre mi perdonerà,<br />

Luca 23, 34), ma forse è perché mi dà un’idea da un lato della fuggevolezza delle<br />

cose (di quando sarà la foto? saranno ancora ragazze quelle ragazze? in ogni<br />

caso, poi non lo saranno più) e dall’altro della relatività di certe valutazioni. Le<br />

ragazze sono carine e fresche anche nelle foto successive del servizio, quelle foto<br />

che se le mettessi qui verrei censurato e bandito. Per me, le altre foto di quel<br />

servizio sono fresche e simpatiche quanto la prima: le ragazze anziché lo yogurt<br />

leccano qualcos’altro, che non è mica peggio di uno yogurt, alla fin fine. Non so<br />

bene cosa voglio dire, ma non importa. Vado a braccio. Forse è che la bellezza, il<br />

tempo, i sensi, i pensieri, l’amore, la natura, lo spirito, il desiderio, l’affanno, la<br />

meraviglia, la perdita, la trepidazione, la vita, è tutta una cosa unica, tutto un<br />

turbinare, dentro il quale cerchiamo di fare puerili classificazioni per orientarci. E<br />

non ci orientiamo lo stesso, perché non esiste una direzione da seguire. Siamo<br />

soli e siamo liberi, che ci piaccia o no, e quel che possiamo fare è solo tenerci per<br />

mano, quando e finché ci riusciamo. Buon pomeriggio.<br />

(Ora mi aspetto pure che il solito saputello dica: oh, ingenuo d’un Molinaro, si<br />

vede benissimo anche in quella prima foto che quelle tre sono garçonnes da<br />

pornoservizi. Beh, caro il mio saputello, io non ci credo, lo dici adesso e dici una<br />

scemenza, anche perché le garçonnes da pornoservizi non esistono – così come,<br />

in senso sartriano, non esistono i camerieri – il famoso aneddoto di Sartre e il<br />

cameriere lo sapete tutti, no?)<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Confidenza e fiducia (e valigie)<br />

mercoledì 22 agosto 2007, 17.14.57 | molinaro<br />

Pagina 107 di 200<br />

Mi dice un amico oggi pomeriggio, in una lunga telefonata con<br />

argomenti misti (donne, rapporti umani, amicizie), che non è<br />

bene credere incondizionatamente alle parole che ci vengono<br />

dette, neppure se ci vengono dette da un amico, da una<br />

persona che stimiamo, da una persona che consideriamo<br />

onesta e sincera. Tantomeno da una fidanzata. Dice che tutti<br />

possiamo mentire o almeno “aggiustare” la verità. E che quindi le parole di<br />

chiunque vanno soppesate, valutate, interpretate. Mi fa un esempio, volutamente<br />

leggero e banale:<br />

– Un ragazzo della compagnia ti racconta che gli hanno rigato l’auto mentre era<br />

posteggiata. Tu gli credi, Carlo?<br />

– Mah... Ovviamente sì, gli credo, perché non dovrei?<br />

– Ecco, mettiamo che invece se la sia rigata da solo contro un muretto,<br />

prendendo male una svolta. Poi non ha voglia di essere preso per il culo, di<br />

sentirsi dire che è pirla, che non sa guidare, eccetera. E allora racconta che<br />

gliel’hanno rigata mentre era posteggiata.<br />

Devo ammettere che in qualche misura l’amico ha ragione. Una cosa così può<br />

succedere, anzi mi è proprio successa quando avevo vent’anni, al ritorno da un<br />

viaggio in Romania. Mi ero fatto fregare la valigia in un modo talmente idiota,<br />

talmente da scemo, intortato da uno furbo a Bucarest (ah, questi romeni! spero<br />

di non fomentare razzismi contro i nostri fratelli neocomunitari, adesso, eh! non<br />

fate di tutte le erbe un fascio!), che mi ero vergognato di raccontarlo ai miei<br />

genitori e agli amici, e l’avevo raccontato in un modo un po’ diverso, anzi proprio<br />

in un modo di fantasia.<br />

Roba di 34 anni fa, ma è la dimostrazione, sulla mia pelle, che l’amico può avere<br />

ragione. Allora bisogna sempre soppesare, valutare, considerare, non credere<br />

mai al cento per cento?<br />

Non so. Lui sicuramente esagera nella... soppesazione, e secondo me si complica<br />

la vita, con una dietrologia continua su ogni discorso. Io preferisco,<br />

fondamentalmente, credere a ciò che mi viene detto. Anche se le sue ragioni<br />

sono valide, non lo nego. Forse ci vuole una via di mezzo. Ma io preferisco<br />

credere, soprattutto se chi mi sta parlando è un amico (o una fidanzata). Del<br />

resto, fra persone mature, il fenomeno del mentire-per-non-sembrare-pirla<br />

dovrebbe, dico dovrebbe, diminuire. Oggi la faccenda della Romania la<br />

racconterei giusta, magari facendoci su una risata.<br />

Anzi, mi sa che adesso ve la devo raccontare, ormai. Solo che è un inganno<br />

complicato. Proverò a condensare. Io già allora parlavo romeno, discretamente,<br />

anche se lo studiavo solo da un anno. Chiacchierando a Bucarest con gente del<br />

posto, feci la conoscenza di qualche ragazza (tutto bene). E anche di un tipo che<br />

parlava un poco l’italiano e che mi avanzò una strana richiesta, una cosa così:<br />

senti, potrei venire un po’ in giro con te e far credere di essere italiano, così<br />

riesco a rimorchiare? In effetti le fanciulle erano più disponibili con gli stranieri<br />

(su questo c’è tutto un discorso da fare ma non ora). Non che l’idea mi piacesse<br />

molto, ma da timido accettai, pensando fra l’altro che, tanto, le ragazze si<br />

sarebbero accorte che non era poi troppo italiano, lui. Così girammo un po’. Nei<br />

“peggiori quartieri” di Bucarest (i più affascinanti, del resto: ci sarei andato<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

comunque). Era l’ultimo o il penultimo anno in cui era permesso ai romeni<br />

ospitare in casa stranieri: molto turismo funzionava così, un turismo economico,<br />

stroncato appunto un anno o due dopo da Ceauşescu che vietò l’ospitalità nelle<br />

case private. <strong>Qui</strong>ndi avevo trovato una camera a casa di una famiglia. E qui<br />

scatta il giochino. L’amico pseudo-italiano viene con me nella casa della famiglia<br />

che mi ospitava, e io, un po’ a malincuore (e un po’ da coglione) lo presento<br />

come “mio amico italiano, che ha fatto il viaggio con me”. Lui tranquillo,<br />

baccaglia la figlia del padrone di casa e le amiche, fa il dandy, e io pensavo<br />

davvero che il suo scopo fosse solo quello. E poi? E poi si va in giro, si visitano<br />

posti, si beve. E poi lui se ne va per i fatti suoi, forse con una ragazza. Fin qui,<br />

che dire? Un furbastro romeno che si accompagna a un italiano per fingersi<br />

straniero e rimorchiare.<br />

Già. Ma quando torno dalla famiglia che mi ospitava, la mia valigia non c’è più.<br />

Spiegazione del padrone di casa: «È venuto il tuo amico e mi ha detto che avete<br />

trovato una camera migliore, e che portava la valigia... Mi spiace! Dov’è che<br />

avete trovato una camera migliore?»<br />

Ora: se il padrone di casa sia stato davvero intortato dal furbastro pseudoitaliano,<br />

o se fossero tutti d’accordo, non lo sapremo mai. Ma la cosa certa è che<br />

io fui un vero coglione. E non osai raccontarlo, allora, agli amici e ai miei.<br />

Inventai una balla. Adesso invece lo racconto con la massima serenità. Non è più<br />

un problema.<br />

Il problema è che, forse, ci cascherei ancora. Ma a vivere diffidando non ci<br />

riesco, è troppo faticoso. Perciò poco fa, alla fine della telefonata, ho<br />

semplicemente detto al mio amico che abbiamo un modo diverso di intendere<br />

queste cose, e che il mondo è bello perché è vario. Certo a lui a Bucarest la<br />

valigia non l’avrebbero fregata. Ma non si vive di sole valigie.<br />

Strani meccanici<br />

giovedì 23 agosto 2007, 11.01.31 | molinaro<br />

Pagina 108 di 200<br />

Ieri sera non mi funzionavano gli anabbaglianti della Panda. Mi era già<br />

successo una settimana fa, e dopo qualche ora avevano ripreso a funzionare.<br />

Ieri sera di nuovo non si accendevano. Stamattina si accendono, ma,<br />

consapevole del fatto che non è saggio girare con fanali che un po’ si<br />

accendono e un po’ no, vado da un elettrauto. Lo trovo dopo un’ora buona,<br />

perché è ancora agosto. Gli spiego il problema, lui prova e dice: «Ma si<br />

accendono». Grazie, lo so che adesso si accendono, però ogni tanto non si accendono, ed è un<br />

problema, no? «Eh, ma se si accendono, non posso farci niente, non so dove mettere le mani». Ma ci<br />

sarà qualche contatto che non tiene bene, un fusibile, un qualcosa... io non me ne intendo, ma ci sarà<br />

un qualcosa da fare. «Eh, ma se si accendono, se adesso funzionano, io non posso mica sapere dove<br />

mettere le mani».<br />

Insomma, niente da fare, me ne sono andato via con il problema non risolto. Sabato sera devo andare<br />

sull’Appennino, anzi sulle Alpi, insomma lì al confine fra le due catene montuose, e se a un certo<br />

punto mi si spengono gli anabbaglianti, che faccio? Guido a fari spenti nella notte alla mogolbattisti o<br />

tengo fissi gli abbaglianti fregandomene d’accecare chi m’incrocia?<br />

E sono qui a pormi alcune domande sulla professionalità delle persone, e anche sul bisogno che<br />

hanno di lavorare. Da me tutti i lavori li vogliono presto e bene, di solito molto presto e bene, e io<br />

cerco di farli, e in genere ci riesco. Quando ho bisogno io di un lavoro fatto, invece, mi sembra sempre<br />

di essere un questuante e un imbecille, uno che chiede una cosa strana, un rompiballe. Non so, sarà<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

il mio karma. Forse non sono adatto a questa società. E forse sono anche l’unico che ha bisogno di<br />

lavorare per mangiare. Strano, però. Non c’è la crisi?<br />

Il barattolo chiuso<br />

venerdì 24 agosto 2007, 11.47.16 | molinaro<br />

Stamattina sono pieno di sonno, perché sono tornato alle quattro<br />

di notte da Finale Ligure, dove ho passato alcune ore con una<br />

persona importante: deciso così all’improvviso, va bene così, via<br />

(e gli anabbaglianti della Panda sono rimasti accesi). Fra un<br />

tentativo di lavorare e un colpo di stanchezza, fra un pensiero e un<br />

altro pensiero, ho scritto questa poesia qui. Il primo verso<br />

naturalmente è davvero una frase di un’amica, una frase di oggi – io parto sempre da<br />

qualcosa che c’è, non so inventare nulla. C’è già così tanto!<br />

IL BARATTOLO CHIUSO<br />

«Li sto lasciando appassire in un barattolo chiuso»<br />

– dice: parla dei suoi anni, pochi, ventitré<br />

se non sbaglio; poi attenua la frase con un «forse»<br />

– un forse aiuta a non restare annichiliti,<br />

gli occhi serrati contro il muro della vita.<br />

Vorrei dirle – e le dico – «rompi quel barattolo»<br />

ma lo so che non c’è una via d’uscita: le lucciole<br />

o le lasci disperdere nel prato vive e libere<br />

o con la mano le catturi e in mano muoiono:<br />

in un modo o nell’altro tu resti a mani buie.<br />

No. C’è. Qualcosa c’è. C’è andare, correre,<br />

fermarsi, rimanere, ripartire, ritornare<br />

finché c’è fiato – e nelle mani vuote<br />

sarà il sole che ci metterà la luce o un chiaro<br />

di luna o stelle o fuoco o lampadina.<br />

Non è facile. È proprio avere niente<br />

stare così con tutto in giro e non sapere mai<br />

se lo trovi o non lo trovi. Ma in qualsiasi vita<br />

anche nella più bene amministrata<br />

finisce prima la mano che la luce.<br />

Vento<br />

venerdì 24 agosto 2007, 20.59.43 | molinaro<br />

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Pagina 109 di 200<br />

Ma sì, vado a letto presto stasera, scrivo questo messaggio e poi spengo la baracca e vado a<br />

dormire. Se ci riesco, perché sono un po’ inquieto. Sento dell’autunno nell’aria, ho sentito<br />

per un attimo odore di stoppie bruciate e di castagne, e dato che non è proprio possibile, qui<br />

nel quasi centro di Torino, vuol dire che anche gli odori possono essere immaginari, e<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

sembrare veri. E poi sono indietro con il lavoro, ma domani alla festa in Val Bormida ci<br />

vado lo stesso.<br />

Pareva che si facesse a casa di Chiara, per il rischio del maltempo. Poi invece è prevalsa la fiducia (speriamo,<br />

speriamo!) e si farà alla Colla di San Giacomo, accampandosi lì. Chiara e Mac vanno su prima, a cominciare a<br />

preparare. Spero che vengano almeno tutte le persone che c’erano alla festa di San Lorenzo, quella delle stelle cadenti<br />

(cfr. la seconda poesia del messaggio n. 67 – divertente fare rimandi interni come fosse quasi un trattato scientifico!).<br />

E che vengano altre persone. Tu se vuoi venire vieni. Non c'è il numero chiuso.<br />

Da ragazzo non amavo molto le feste in compagnia. Ero un orso scontroso. Adesso invece mi piace far festa, se è una<br />

bella compagnia, e quella di domani lo è.<br />

Certo che la percorro spesso in questo periodo la Torino-Savona. L’ho fatta, avanti e indietro, la notte scorsa, e la<br />

rifaccio la notte prossima. D’altronde alla Colla di San Giacomo (ma anche a Cadibona e a Mallare) in treno è<br />

difficile arrivarci. Tantopiù di sera! Il treno lo uso per Milano, Vicenza, Venezia e Vercelli, le mie mete ferroviarie<br />

più frequenti. Anche per Genova, naturalmente, quando ci vado.<br />

La frase dell’amica, da cui ho tratto la poesia del messaggio scorso (n. 84), mi ha un po’ scosso. Mi vien da dire,<br />

parafrasando il titolo di un film che vidi con Malvina: non sottovalutate le conseguenze della mancanza d’amore. Si<br />

può far finta per anni che tutto vada bene. Ma poi viene al pettine, la mancanza d’amore. Fra persone a me care fra di<br />

loro, e fra persone a me care e me, c’è come un fermento, in questo periodo, di amori e non amori. Tutto un fermento.<br />

Che non sai bene se si ride perché amor risponde, o se si piange forte perché non sente. Cambia come il cielo quando<br />

soffia un vento forte. Resta spesso indecifrabile.<br />

Sì, sta soffiando un vento forte. Qualcosa porterà, lo sento.<br />

(Nella foto, il cielo sopra Torino, uno di questi giorni, visto dal mio balcone.)<br />

Bambini, verità, poesia<br />

sabato 25 agosto 2007, 8.36.55 | molinaro<br />

La frase della figlia quattrenne di Romina, da lei riportata in un commento al messaggio<br />

precedente (Oggi il vento è di tanti colori, come noi, mamma), mi fa riflettere sulla poesia e<br />

sulla verità. Mia figlia Lucia, all’età di tre anni scarsi, dopo un’allegra giornata di gioco e<br />

scoperte a un tratto si rabbuiò. Pensai che le fosse accaduto qualcosa e le domandai che cosa<br />

avesse. Mi rispose, scuotendo il capo: «È già passato tutto un giorno».<br />

I bambini spesso ricavano la verità dalle cose, senza piegarla a preconcetti. Vedono il colore<br />

del vento e il passare del giorno. Le loro non sono metafore, sono osservazioni della realtà.<br />

Credo che la poesia, quando funziona, faccia la stessa cosa. Mette nei versi la verità della realtà, quella verità intima<br />

della realtà che l’occhio adulto nasconde sotto schemi e abitudini, non accorgendosi più della nudità del re – perché<br />

ormai gli disegna gli abiti addosso senza guardare.<br />

Nei momenti di grazia il poeta e l’innamorato non sono dei visionari fantastici inventori che plasmano un mondo che<br />

non c’è: al contrario, sono gli unici che hanno il privilegio di vedere – per un attimo – ciò che veramente c’è. Come il<br />

bambino.<br />

E io, quali verità enuncio? La mia è una maieutica della natura oltre che dell’umanità: solo parlando con le persone e<br />

con le cose riesco a far dire a loro certe verità che poi metto nei versi. E le metto nei versi perché in nessun altro<br />

luogo saprei metterle. Poi mentre scrivo già forse le altero, perché non ho più la purezza del bambino, sono solo un<br />

imperfetto scribacchino. Ma questo è un altro discorso.<br />

Una poesia che non sono riuscito a scrivere e un po' di racconto di festa<br />

domenica 26 agosto 2007, 15.08.58 | molinaro<br />

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Pagina 110 di 200<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

La ragazza con gli occhi finalmente azzurri<br />

tiene la vita in mano. Quando arriva<br />

il braccio grigio del vento<br />

decide lei se farsene abbracciare.<br />

La sua imprendibile complessità...<br />

Pagina 111 di 200<br />

No, non funziona. Quando una poesia non funziona è meglio smettere. Senza sprecare energia<br />

inutilmente. Il pensiero comincia a ritorcersi all’indietro, la mente si fa troppo affollata, scattano<br />

censure, correzioni, i se e i ma, il possibile lettore entra in campo troppo presto, vede la sposa mentre<br />

si veste, così non va, così non va. Già sul finalmente del primo verso c’era troppa ressa, troppo da<br />

spiegare, che la prima volta l’ho vista di sera e non ero sicuro del colore dei suoi occhi, ci avevo visto<br />

sì un raggio azzurro però, e poi era venuto il discorso con due suoi amici che entrambi mi avevano<br />

detto: «Azzurri? Ma no che non sono azzurri. Ma non li ha scuri?». E io da poeta incerto a dubitare di<br />

averli visti azzurri solo io, dubitare ma in un certo senso anche compiacermene, la vanità del vedere<br />

più dentro. Poi ci sono stati incontri di giorno, al sole, nel chiaro, ed erano azzurrissimi, e c’erano<br />

anche gli amici, e uno di loro ha convenuto: «Sono azzurri, indiscutibilmente azzurri». Finalmente. Ma<br />

quando su un avverbio pesa tutto questo pensiero, non riesci più a scrivere la poesia. La poesia è una<br />

fettina d’orizzonte che se ne frega, devi scrivere finalmente con leggerezza, non importa cosa vuol<br />

dire.<br />

E poi, tiene la vita in mano – anche qui troppo casino, che non è mica tanto vero, lei non è una<br />

ragazza così sicura di sé, o meglio, è sicura come lo è la natura, che non sa quel che fa ma lo fa con<br />

la massima sicurezza (se la interpretiamo darwinianamente, almeno: l’evoluzione è del tutto casuale,<br />

nella sua perfezione). E allora dico troppo o troppo poco, non c’è misura.<br />

Ho agganciato l’immagine successiva a due citazioni (niente di male, la poesia si nutre di poesia, io<br />

spero sempre di essere plagiato, vorrebbe dire che servo a qualcosa): il braccio grigio del vento che è<br />

per la bimba dal bel musetto di García Lorca, e il decide lei se farsene abbracciare che echeggia un<br />

verso di una canzone di Max Manfredi: «Volevo una canzone come una donna di malaffare, / di tutti e<br />

di nessuno, come una lingua, come un altare. / Tutti in fila al lavatoio, quando all’alba si va a lavare, /<br />

tutti in fila sul portone, lei solo sceglie chi deve entrare». Questa è meno evidente, ma, dato che<br />

l’avevo in testa, «è».<br />

La sicurezza che la poesia era ormai abortita l’ho avuta scrivendo la sua imprendibile complessità.<br />

Versicolo astratto. Concettino che sarebbe discutibile anche in un trattato filosofico, figuriamoci in una<br />

poesia. Questo non significa che in lei non ci sia un’imprendibile complessità. Significa solo che io non<br />

sono capace di scriverla. Non sono capace di dire la sua semplice complessità (il contrario della<br />

complessa semplicità gucciniana: «maturo o meno io ne ho abbastanza della complessa tua<br />

semplicità»), non sono abbastanza bravo per raccontare come lei, senza far nulla, mi regala New<br />

York a Cadibona, varcando con noncuranza la siepe che divide il viaggiato dal non viaggiato: o quasi,<br />

se fosse – ma non lo è – possibile, vincendo la partita a scacchi contro la nera signora del limite.<br />

Non sono capace, appunto, e allora è meglio raccontare semplicemente la festa di ieri sera alla Colla<br />

di San Giacomo, sopra Mallare. Il prato, il bosco, il monte, il mare in lontananza, la luna quasi piena,<br />

la fontana, il silenzio: non è uno sfondo da cartolina. In realtà gli sfondi da cartolina esistono solo per<br />

coloro che hanno perso la naturale capacità di essere davvero nei posti, di dimorare in un luogo<br />

(foss’anche per pochi minuti) anziché solo passarci, e di partecipare al luogo (se cammini su un prato,<br />

quel prato non è più soltanto un prato: è un prato con te che ci cammini, è tuo e sei suo: muoversi nel<br />

mondo è un continuo sposalizio, se non sei un imbecille).<br />

Non si era in tanti. C’erano solo tre persone conosciute da me nel profondo (mi sono fermato due o tre<br />

minuti per trovare questa cazzo di espressione conosciute da me nel profondo: quanto ciarpame ho<br />

addosso, quanti fronzoli, quante paure – perché non ho potuto scrivere la parola che mi era venuta in<br />

mente per prima, tre persone amate?): Cesare, Mac e Chiara. Non che gli altri fossero estranei, quasi<br />

tutti li avevo già visti. Nel complesso si era forse una dozzina, o una quindicina.<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Ciò che s’è portato per la festa era birra, vino e mezza porchetta, cotta lì sul fuoco con uno spiedo<br />

costruito con legno del bosco, un falò da giovani marmotte (abbiamo poi lasciato tutto pulito e intatto,<br />

niente rumenta in giro e tutta la sicurezza necessaria a non rischiare incendi o altri danni: siamo brave<br />

giovani marmotte); e nel capanno in muratura un altro fuoco, per scaldare un po’ la notte. Il fuoco<br />

dentro il capanno l’ho curato più io, che non prendeva, ci si davan da fare con poco costrutto, ed è<br />

divampato solo quando ci ho soffiato sopra in un modo delicato e vigoroso che so – ma sarebbe<br />

impudico narrare i sogni che ho agganciato a questo fatto, in sé banale e scarsamente significante.<br />

Ciò che s’è portato per la festa era necessario perché ci vuole un nucleo intorno al quale aggregare le<br />

cose importanti, le persone – non si può fare una festa astratta – ma non è la cosa importante. Io<br />

sono astemio e pochissimo carnivoro, ho bevuto acqua della fontana e mangiato quasi nulla, ma sono<br />

stato molto felice. Probabilmente la felicità è calorica, perché non ho avuto fame ieri, e neppure oggi a<br />

pranzo ho mangiato.<br />

Peraltro il rito della mezza porchetta cotta sul fuoco ha avuto qualcosa d’affascinante, bagliori di<br />

sacrifici antichi, ho ancora nella maglietta l’odore di legno, fumo e carne (sì, l’ho rimessa stamattina, la<br />

stessa – mi laverò più tardi – mi piace tenermi le cose addosso). Naturalmente è venuta per un terzo<br />

cruda, per un terzo giusta e per un terzo bruciata, ma non è un cattivo risultato per gente inesperta.<br />

C’è stato da mangiare abbastanza per tutti.<br />

Un momento più magico è stato quando abbiamo cantato, un po’ in disparte, noi quattro, Cesare,<br />

Mac, Chiara e io. Per la prima volta ho sentito Chiara cantare – e perdonatemi, questo ho sentito<br />

Chiara cantare non riesco a non dirmelo in testa che sulla musica di ho visto Nina volare di De Andrè,<br />

la vita è una ghirlanda, c’è il braccio grigio del vento che da García Lorca è passato nella poesia<br />

abortita qui sopra e c’era già in cinque versi miei di qualche giorno fa l’idea che non la prenderò come<br />

fa il vento alla schiena, e il vento alla schiena di De Andrè è probabile che passi per García Lorca –<br />

ieri c’erano coltelli (per la porchetta) ma non maschere di gelso. Ho sentito anche per la prima volta<br />

me stesso cantare, almeno in un paio di canzoni, con gli attacchi giusti, le parole a memoria e non<br />

troppa stonatura: Dio, dammi ancora mille anni, mi servono tante ripetizioni, sono così indietro con il<br />

programma, ne ho da masticare e sputare!<br />

Va bene, la pianto. Comunque abbiamo cantato bene insieme. Cesare ha detto di essere felice e<br />

innamorato e Mac e io gli abbiamo prontamente rimbeccato che sapremo ricordargli che la felicità<br />

esiste – e lui l’ha ammesso davanti a testimoni, ormai – appena riprenderà a lamentarsi dell’infinito<br />

male di vivere. Chiara è dovuta andare via un po’ prima. L’ho accompagnata alla fontana a riempire<br />

sei bottiglie d’acqua da portare a casa, acqua buona, e le ho detto ciao sulla sua vecchia auto che sta<br />

per portare a rottamare.<br />

Poi nella notte è arrivato anche un gruppo di sciamannati che, lì accanto, ha montato una specie di<br />

rave party (moderato) con generatore, casse, musica techno e cose così. Secondo me quella musica<br />

techno e il generatore a benzina e le casse ad alto volume violentavano il genius loci di quello scorcio<br />

lunare, meglio rispettato da noi con il fuoco, le candele e la chitarra acustica. Ma chissà se ho il diritto<br />

di sentenziare così.<br />

Eppure nel gruppo dei ravisti c’è stato uno che, appena saputo che sono «un poeta» (colpa di Cesare,<br />

che mi presenta a tutti così), ha tirato fuori da una borsona alcuni foglietti e mi ha preso in disparte per<br />

leggermi i suoi versi, chiedendomi un giudizio. Sono stato alquanto evasivo, ehm.<br />

Siamo un popolo di santi, navigatori e poeti (milioni di poeti!) che raramente si fermano dopo cinque<br />

versi se la poesia abortisce: non hanno i miei blocchi più o meno severi. Non importa. Sono tornato a<br />

Torino nella notte, i fanali della Panda accesi (fortunatamente – ma devo farli vedere ancora da un<br />

elettrauto) sull’autostrada quasi deserta, la luna tramontata. Sono arrivato a casa. Ho buttato sul letto<br />

le mie mani vuote e mi sono addormentato.<br />

1000 sulla Carretera<br />

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Pagina 112 di 200<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

martedì 28 agosto 2007, 15.34.16 | molinaro<br />

Poco fa ho fatto ho avuto l'onore di essere il millesimo a passare sulla Carretera<br />

Boreal. La cosa mi ha riempito di gioia e l'ho immortalata (vedi immagine). O forse<br />

è che ogni scusa è buona per fare una piccola pausa dal lavoro. Il lavoro è assai, la<br />

paga è poca, le altre cose da vivere sono assai, ma piantiamola di lagnarci, che,<br />

come scrissi in una poesia del 1993, esserci è già tanto. Anzi, ve la metto qui (la<br />

poesia, intendo). Il correttore di bozze della casa editrice milanese che la pubblicò<br />

continuava a correggermi interro in interno. E invece è interro, ovviamente. Ah, i correttori di bozze,<br />

razza malnata. Oh, ehm, veramente è parte del mio lavoro. Già. Il redattore è anche un correttore di<br />

bozze. Amen.<br />

ORRORE DI NULLA<br />

Non è vero che il peggio<br />

è per quelli che restano.<br />

Io piango per chi parte,<br />

non per il curvo crocchio<br />

che fa cerchio all’interro.<br />

La vita ha le punture,<br />

soffoca, stringe, torce;<br />

ma respiri e riprese<br />

sono altra gioia fresca.<br />

Oh, esserci è già tanto!<br />

Dio mio, riannusare<br />

altre terre di marzo,<br />

altri aromi di fuochi.<br />

Ma di chi è partito<br />

non sappiamo più nulla.<br />

Ma me c’as fa a vulèj ben a ün pare&#269;?<br />

mercoledì 29 agosto 2007, 18.55.09 | molinaro<br />

Pagina 113 di 200<br />

È una cosa che mi raccontò mia madre un po’ di anni fa, e adesso mi è venuta in<br />

mente, intanto che al telefono parlavo con un’amica che si sente abbandonata da<br />

tutti, che dice che non è mai stata amata, che di lei non importa a nessuno. È<br />

scoppiata a piangere.<br />

Da bambino, sui tre-quattro anni, ero scontroso, riottoso, mi rivoltavo come una<br />

biscia a ogni contatto fisico. Veniva di tanto in tanto a trovarci una parente, non importa chi, credo una<br />

parente alla lontana, e provava a volte a farmi una carezza, o qualcosa del genere. Io reagivo appunto<br />

come una biscia, con uno scatto brusco e una pronta fuga. La parente un giorno commentò: Ma me<br />

c’as fa a vulèj ben a ün pareč? Che nel dialetto del contado vercellese esprime: Ma come si fa a voler<br />

bene a uno così?<br />

Non voglio assolutamente prendermela con i miei genitori, adesso; siamo tutti (anche loro!) portatori<br />

di altri genitori, in una catena che si perde nella notte del tempo. Indubbiamente oggi (forse anche ieri)<br />

la psicologia e la pedagogia si porrebbero una domanda preliminare a quella della parente che veniva a<br />

trovarci, una domanda quasi ovvia: Ma perché un bambino di tre-quattro anni reagisce come una<br />

biscia a una carezza? C’è però da dire che all’epoca il comportamento non era visto in modo così<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

negativo. Probabilmente il vero uomo doveva essere una biscia scontrosa. Sui bavaglini scrivevano<br />

non baciatemi (ma perché cazzo?) e c’erano autorevoli signori che dicevano che prendere in braccio<br />

un bambino significava viziarlo. Certo, alcuni zingari romeni (lo so da fonte certa e diretta) tengono i<br />

bambini lontani dal fuoco perché non si abituino a stare al tepore, per il loro bene. Ma è una cosa<br />

diversa.<br />

Ecco, mi è venuta in mente questa cosa della mia infanzia e ho provato una grande tenerezza verso la<br />

mia amica, che è una ragazza sui vent’anni. Non è detto che la sua storia sia simile, magari lei non<br />

reagiva come una biscia alle carezze. Non è questo il punto. È che spesso abbiamo dentro qualcosa che<br />

ci fa allontanare dagli altri, che fa sì che gli altri dicano Ma me c’as fa a vulèj ben a ün pareč? Non lo<br />

facciamo apposta; eppure è una specie di «colpa», e alla fine risultiamo antipatici, sdegnosi,<br />

presuntuosi, egocentrici, insensibili e altezzosi – e chi vuoi mai che ci voglia bene?<br />

Col tempo passa, però. Un pochino passa, e come diceva Stefano Benni in quella poesia di cui ho la<br />

cassetta recitata da Diletta, che adesso l’ho risentita che ho il mangiacassette che prima non l’avevo<br />

più, prima o poi l’amore arriva. È un lavoro di gruppo. Un po’ siamo noi che a poco a poco ci<br />

accorgiamo che si può non scattare come bisce contro una carezza. Un po’ è qualcun altro che<br />

finalmente, anziché domandarsi Ma me c’as fa a vulèj ben a ün pareč?, semplicemente ci prova.<br />

Amica mia di cui non voglio mettere il nome qui, ma tu lo sai se leggi, io ti voglio bene, qualcosa<br />

capisco del tarlo che hai dentro da sempre (o da quel punto remoto d’infanzia che resta infinitamente<br />

insondabile: quando uno comincia a essere biscia?), non tutto capisco ma qualcosa sì, e tu lo sai: non<br />

ti abbandonerò mai, finché vivo. Ci sarà felicità, ci sarà.<br />

Il ciondolo<br />

giovedì 30 agosto 2007, 9.38.22 | molinaro<br />

Per la prima volta, una poesia con riferimento al blog (blog related<br />

direbbero gli yankees, forse). Era naturale che accadesse, la poesia<br />

nasce da tutte le cose della vita, e visto che adesso c’è anche il blog...<br />

Inoltre domani è l’anniversario del bacio di cui al quintultimo verso. E<br />

dunque.<br />

IL CIONDOLO CHE HO MESSO IN CIMA AL BLOG<br />

Il ciondolo che ho messo in cima al blog<br />

non è più in mio possesso. Me l’avevi<br />

solo prestato – l’avevi precisato – e così<br />

quando ci siamo lasciati te l’ho restituito,<br />

conservandone la fotografia. Quando<br />

ci siamo lasciati: non so bene quando è stato,<br />

ma dato che non ti vedo da quattro anni<br />

e mi dicono che vivi con un altro, suppongo<br />

che ci siamo lasciati. Sono cose<br />

che non capisco mai bene, lo sai,<br />

succedono così, capisco sempre dopo.<br />

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Pagina 114 di 200<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Il ciondolo starà lì in cima al blog<br />

finché ci sarà il blog: a me non piacciono<br />

quei bar che cambiano aspetto ogni anno,<br />

preferisco Mescita vini dal 1912,<br />

fratelli Pautasso & succ. Amo la permanenza.<br />

Il ciondolo è una margherita dorata<br />

girevole, che simula quel gioco<br />

del m’ama non m’ama, con più varietà:<br />

ogni petalo ha una risposta diversa.<br />

A me è venuto appassionatamente<br />

e l’ho lasciato così. Tu poi l’hai usato<br />

altre volte, con altri? Che risposte<br />

t’avrà mai dato? È stato un bell’amore<br />

fra te e me – io lo farei ancora,<br />

scendere a Principe e trovarti lì<br />

e andare al parco di Nervi – che vuoi mai,<br />

amo la permanenza, te l’ho detto.<br />

Era bello quel ciondolo, comunque;<br />

e il tuo bacio ha fatto di San Giuseppe di Cairo<br />

uno dei luoghi migliori del mondo<br />

– con Altare Cadibona e Mallare<br />

e poi Genova naturalmente – almeno<br />

hai migliorato la mia geografia.<br />

Alleanza<br />

venerdì 31 agosto 2007, 13.23.06 | molinaro<br />

ALLEANZA<br />

Parto dalla stazione di Como San Giovanni.<br />

Il treno, benché svizzero, è in ritardo. Dico:<br />

– Sono contento di queste ore passate con te,<br />

però adesso mi sento malinconico, disperso.<br />

– Anch’io mi sento nello stesso modo.<br />

– Potremmo essere più alleati.<br />

– Come si fa per essere alleati?<br />

Provo a spiegare alleati e m’ingarbuglio<br />

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Pagina 115 di 200<br />

Una trasferta dal pomeriggio alla mattina, in una città in riva al lago, una<br />

sera e una notte con un’amica, la pioggia alla stazione, il Cisalpino (treni<br />

regionali compatibili non ce n’erano!) pieno di gente molto<br />

mitteleuropea, Milano di corsa, poi sono di nuovo qui. Rimettiamoci al<br />

lavoro.<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

come sempre m’accade se provo a spiegare<br />

le varie pertinenze dell’amore.<br />

Lei giustamente tace. Allora dico:<br />

– Nelle risaie il riso è biondo, quasi<br />

maturo. – Non si vede l’acqua, allora.<br />

– No, non si vede. Forse stanno già vuotandole<br />

per la mietitura. Il mio amico Livio<br />

(da tanto non so di lui) sarà impegnato:<br />

cura, prepara e aggiusta le mietitrebbie,<br />

le grandi macchine che tagliano, tirano su<br />

e separano i chicchi dalla paglia.<br />

Dopo un silenzio lei dice:<br />

– Questa è alleanza: sapersi raccontare<br />

la poesia della vita che scorre. Tu<br />

me l’hai portata in dono.<br />

(Sì, è qualcosa. Non basta a colmare<br />

l’incolmabile. Certo. Ma è qualcosa.)<br />

Amor che a nullo amato amar perdona<br />

sabato 1 settembre 2007, 19.03.35 | molinaro<br />

Settembre<br />

domenica 2 settembre 2007, 9.25.24 | molinaro<br />

Pagina 116 di 200<br />

Stavo pensando che quel famoso verso di Dante, amor che a nullo amato<br />

amar perdona, variamente interpretato, invocato e contestato, su di me<br />

un po’ funziona. Però a senso unico. Sì. Entro incerti limiti, con incerte<br />

eccezioni, essere amato mi fa innamorare. A vari livelli forse (ma in<br />

amore a parlare di livelli bisogna stare attenti, non è il pubblico impiego,<br />

le acque si confondono facilmente), in vari modi forse, ma direi che è<br />

così. Adesso come adesso, faccio l’amore con due donne che hanno cominciato loro ad<br />

amarmi, e mi hanno preso pian piano, e io al principio non ero preso per niente, e poi invece<br />

sì, e ho la sensazione che sia stato proprio il loro amore a farmele amare. O almeno,<br />

soprattutto quello, come detonatore, unito certo ad altre affascinanti qualità.<br />

Invece però nell’altro senso non funziona affatto. Le volte che mi sono innamorato io<br />

violentemente e ho trovato un «no», riversare amore su amore non ha per nulla modificato<br />

la situazione. Altrimenti «chi so io» mi cadrebbe fra le braccia. Eh! Ma sì, diciamolo con un<br />

sorriso, a livello di battuta. In fondo Dante l’ha espresso in forma chiara: amor che a nullo<br />

amato amar perdona. Non ha mica scritto amor che a nulla amata amar perdona!<br />

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Oggi devo lavorare disperatamente tutto il giorno (che sia domenica è irrilevante) altrimenti<br />

resto davvero troppo indietro. Ma dato che è cominciato un altro settembre, metto qui una<br />

poesia del 1984 che si intitola appunto Di settembre. È già stata pubblicata in tre libri,<br />

pensate: prima nell’antologia del Premio Montale (Scheiwiller, Milano, 1986), poi nella<br />

raccolta Il gioco che vale la candela (Genesi, Torino, 1988), e infine nel librone<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

«onnicomprensivo» La parola rinvenuta (Genesi, Torino, 2006). Settembre è un mese che<br />

mi è sempre piaciuto, benché sia stato anche il mese della morte di mio nonno (10 settembre 1960) e di mio padre (23<br />

settembre 1976), nonché il mese in cui sono finito con il motorino sotto un’autocisterna (11 settembre 1969); ma dato<br />

che mi sono salvato quest’ultimo evento non è del tutto negativo. Basta, vado a lavorare.<br />

DI SETTEMBRE<br />

Ogni tanto, di settembre, può quasi sembrare<br />

che tutto giri bene.<br />

Con quei primi vapori che riavvivano<br />

la pelle e scendono nei polmoni come una bevanda<br />

che mussi appena e abbia corpo, con quel sole<br />

più domestico, meno incandescente, meno superbo,<br />

come se finalmente avesse capito,<br />

con l’imbrunire che torna a prendere il suo posto<br />

e sgombra in fretta i prati dove i bimbi<br />

hanno sgranato le spighe sottili della piantaggine,<br />

con quell’aria tranquilla che consola le foglie<br />

sul limitare della passione d’oro antico<br />

e del mistero, con quel cielo di un blu non intenso<br />

ma pingue, ma vicino, con l’acqua che preme<br />

e si prepara a rimescolare le carte,<br />

può sembrare davvero che tutto giri bene<br />

e che l’insetto rovesciato, già irrigidito,<br />

che spinge d’ali con sempre meno forza<br />

brulicando di zampe verso la sua vita che svanisce,<br />

sia uno come noi, uno che non ha saputo ancora<br />

la storia ulteriore, il dopo, il di più.<br />

L'amore, la mancanza, i bagnini, che so io!<br />

lunedì 3 settembre 2007, 12.55.40 | molinaro<br />

Pagina 117 di 200<br />

Se ne parli tanto è perché ne hai mancanza, dice lei – può essere:<br />

io d’amore parlo tanto, in tanti modi, sotto tanti aspetti. Forse la<br />

mancanza è incolmabile. Ma mentre penso questo, penso anche<br />

all’antica, triturata, millenaria domanda: che cos’è l’amore? Per<br />

sentire la mancanza di qualcosa bisognerebbe almeno sapere di<br />

che cosa, no? O forse neppur questo è detto, spesso si sentono<br />

mancanze imprecisate.<br />

Stamattina lo svegliarmi con un desiderio forte e preciso dentro il basso ventre (là<br />

dove Guccini dice che c’è o c’era l’incoscienza – con l’incoscienza dentro al basso<br />

ventre e alcuni audaci in tasca «l’Unità» – ma nel mio ho idea che ci sia sempre stata<br />

troppo poca incoscienza: immenso desiderio sì ma troppo poca incoscienza) mi ha<br />

fatto immaginare un dialogo con un amico, che qualche giorno fa mi aveva detto,<br />

rimbeccando un mio discorso che era riuscito forse (al di là della mia intenzione,<br />

credo) troppo idealistico: non mi dirai che non hai mai scopato con qualcuna senza<br />

esserne innamorato!<br />

A volte io penso immaginando di dialogare con qualcuno, non so se è una cosa<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

patologica, comunque mi succede e amen. Ho pensato-dialogato così:<br />

Pagina 118 di 200<br />

– Stamattina mi sono svegliato con una voglia tale, che scoperei qualsiasi ragazza<br />

appena carina che ci stesse; e invece sono a casa da solo e mi metto a lavorare.<br />

– Ah, lo vedi? Dunque scoperesti eccome con qualcuna senza esserne innamorato,<br />

per la scopata e basta.<br />

– Sì. Il desiderio stamattina spazia su tutte le femmine ragionevolmente desiderabili.<br />

Me ne sono già venute in mente una cinquantina, conosciute o solo viste, per<br />

esempio due ieri sera a Porta Susa splendide. E potrei andare avanti a pensarci e<br />

trovarne altre centinaia. Eppure continuo a negare che esista la «scopata e basta».<br />

– Ti contraddici, allora! Oh, immagino che adesso tirerai fuori la solita vecchia<br />

citazione: Mi contraddico, forse? / Ebbene, allora mi contraddico / (sono vasto,<br />

contengo moltitudini), di Walt Whitman, Song of Myself, 51-53. Citazione abusata! Do<br />

I contradict myself? / Very well then I contradict myself / (I am large, I contain<br />

multitudes).<br />

– No. Cioè sì, quello è vero comunque, che mi contraddico e sono vasto, ma adesso<br />

no. Adesso non mi contraddico. Anche se in questo momento vedo le ragazze a cui<br />

penso quasi come in una vignetta satirica sul bagnino romagnolo, non mi<br />

contraddico lo stesso.<br />

– Vignetta? Com’era?<br />

– C’era il bagnino che sognava e nel fumetto-sogno il suo universo femminile<br />

costituito da una miriade di donne stese a cosce aperte, disegnate in modo<br />

stilizzatissimo, praticamente una sequenza di wwwww. Tutte assolutamente uguali.<br />

– E dunque! Tutte uguali, tutte buone per una scopata e basta. Ti contraddici<br />

eccome!<br />

– No. A proposito, lo sai che finalmente ho convinto un elettrauto a prendersi cura<br />

degli anabbaglianti della mia Panda? Dice che forse è l’interruttore, ma verificherà<br />

tutti i contatti.<br />

– Non divagare. Spiegami come pretendi di non contraddirti, visto che desideri una<br />

donna qualsiasi per sfogarti il basso ventre eppure sostieni che non esiste la<br />

«scopata e basta».<br />

– Oh, guarda che anche la Anto e la Cla dicono che comunque una scopata è<br />

importante, e quindi già è riduttivo sempre e comunque svilirla con un «e basta».<br />

– Non svicolare.<br />

– Non svicolo e ti spiego. Oggi sarò da solo e lavorerò e, se proprio non ce la farò a<br />

resistere, al basso ventre provvederò da solo (oh, mica ce ne vergogniamo, eh!) [Per<br />

la grafìa vergogniamo cfr. qui.] Ma facciamo l’ipotesi follemente ottimistica che invece<br />

una delle trecento ragazze qualsiasi fra dieci minuti, per un motivo qualsiasi, suoni<br />

alla mia porta e mi dica: Ehi, Carlo, passavo di qui e m’è venuta un’ispirazione, che<br />

ne dici, ci facciamo una scopata?<br />

– Ipotesi davvero ottimistica.<br />

– Sì, diciamo impossibile; ma facciamo finta che. Allora io la bacio e la abbraccio, la<br />

accarezzo, ci sono tutti i preliminari, poi ci buttiamo sul mio letto (magari prima tolgo i<br />

libri, la borsa, le cartelline, le biro, i fogli, l’ombrello, la felpa, il caricabatterie, gli<br />

occhiali di riserva e quell’appendiabiti – sai, di giorno ho sempre carenza di piani<br />

orizzontali su cui appoggiare qualsiasi cosa e uso anche il letto, una volta esauriti i<br />

tavoli e le sedie) e una volta sul letto ci spogliamo e proviamo a farci questa<br />

benedetta scopata. Dico proviamo perché non è mai detto che riesca, non è mai<br />

sicuro, no?<br />

– Beh, certo, proprio sicuri al cento per cento non si può mai essere.<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

– Appunto. <strong>Qui</strong>ndi se riesce bene è già una gran cosa. Continuiamo con l’ottimismo<br />

e diciamo che riesce bene, sì. A quel punto la scopata è fatta.<br />

– E tu ti sei tolto la voglia, con una ragazza qualsiasi. Proprio una «scopata e basta»,<br />

vedi?<br />

– Già, apparentemente hai ragione. Ma c’è un ma. La ragazza qualsiasi è una<br />

ragazza qualsiasi prima. Ma dopo che ci siamo baciati, accarezzati, coccolati,<br />

spogliati pian piano sul mio letto, e soprattutto dopo che la scopata è riuscita bene, ti<br />

posso garantire che quella ragazza io non potrei più dimenticarla neanche se<br />

campassi mille anni. Dunque, come potrei ancora definirla qualsiasi? E come potrei<br />

parlare di una «scopata e basta»? Vedi che non può proprio esistere una cosa del<br />

genere. E non esiste neppure far l’amore senza essere in qualche modo innamorati,<br />

perché, se una non la dimentico mai più, vuol dire che me ne sono un po’<br />

innamorato, no? Ma qui naturalmente si sconfina nel campo delle infinite definizioni<br />

dell’amore.<br />

– Beh, se la metti così...<br />

Visto che il dialogo me lo sono inventato io, l’amico finisce con il darmi più o meno<br />

ragione (anche se mai del tutto!). Lo scopo del messaggio comunque non era dire<br />

che stamattina mi sono svegliato con più voglia di scopare che di lavorare (questo<br />

non è molto originale!), ma disquisire un poco sull’amore, sulla sua mancanza, su<br />

che cosa è. L’inutil disquisizione! È amore voler far l’amore, è amore essere contenti<br />

se l’altro sta bene, è amore aiutare qualcuno senza contropartite, è amore<br />

contemplare con stupore la vita di qualcuno, è amore un’infinità di altre cose, alcune<br />

collegate al sesso e altre no (se non nel senso generale – freudiano? non vorrei dir<br />

cazzate, m’intendo poco di psicanalisi – per cui tutto è collegato al sesso).<br />

E allora? E allora niente, sarà meglio rimettermi a correggere bozze, che di tempo ne<br />

ho già perso abbastanza. Con oggi, primo lunedì di settembre, ricomincia davvero in<br />

pieno il tran tran della città. Buone cose a tutti.<br />

Gatti, corvi, sindaci e puttane<br />

mercoledì 5 settembre 2007, 11.31.28 | molinaro<br />

Pagina 119 di 200<br />

Certi provvedimenti di tolleranza zero che vengono proposti in questi giorni in Italia,<br />

da sindaci, da parlamentari e da altri uomini politici e non, mi hanno fatto tornare in<br />

mente una storia a fumetti che lessi sulla rivista Linus tanti anni fa. Erano quelle<br />

storie che stanno in una pagina, una dozzina di vignette o forse meno. Era quel<br />

fumetto con quel pigro corvo (credo fosse un corvo) che nel frigo aveva sempre<br />

cibo vecchio, e con altri vari suoi amici uccelli, una città di uccelli su alberi-case.<br />

Non ricordo proprio come si chiamassero, che fumetto fosse; se qualcuno lo sa lo metta in un commento!<br />

Nella storia a cui mi riferisco, un tale di questa comunità di uccelli lanciava una campagna contro i gatti: si<br />

sa che i gatti sono naturali nemici degli uccelli (se ci riescono se li mangiano). Ma per non essere<br />

politicamente scorretto contro i «poveri» gatti, il manifesto della campagna faceva un discorso più o meno<br />

così: Noi non abbiamo niente contro i gatti. La colpa non è dei gatti. I veri colpevoli sono i padroni dei gatti,<br />

questi ignobili cittadini che prendono i gatti in casa: è colpa loro se qui è pieno di gatti. <strong>Qui</strong>ndi noi vogliamo<br />

colpire i padroni dei gatti, sono i padroni dei gatti il nostro obiettivo. Ma come possiamo agire contro i<br />

padroni di gatti? È ovvio: colpendoli in ciò che hanno di più caro. Cioè colpendo i gatti!<br />

Ecco, la tolleranza zero che invocano lorsignori va a colpire una marea di poveracci: accattoni, lavavetri,<br />

venditori di rose o di occhiali, suonatori di fisarmonica, puttane a buon mercato. Però si ripara dietro il<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

discorso che bisogna colpire chi li sfrutta. Sono gli sfruttatori delle puttane il nostro obiettivo. Ma come<br />

possiamo colpire gli sfruttatori? È ovvio: colpendoli in ciò che hanno di più caro (o quantomeno di più utile<br />

e redditizio). Cioè colpendo le puttane!<br />

Ora, io non voglio fare lo snob di sinistra. Capisco che il lavavetri al semaforo, se insiste troppo, è<br />

fastidioso. Capisco che forse un venditore di rose va bene ma se mentre ceni in trattoria ne passano<br />

cinque o sei rompono già un po’ le palle. Capisco che un viavai di auto che contrattano con le puttane<br />

sotto la tua finestra è un panorama che alla lunga forse stanca. Anche se francamente non sono questi i<br />

problemi che affliggono la mia vita. Proprio no. E anzi per esempio i venditori cinesi di occhiali a tre euro<br />

sono la mia salvezza perché così quelli buoni li tengo in casa per scrivere, leggere e lavorare, ma in giro,<br />

per brevi necessità vaganti, mi porto quelli da tre euro, che ne rompo o perdo un paio al mese. E i<br />

suonatori ambulanti (se non sono proprio bambinetti) mi rallegrano, danno un po’ di vita alla città: ce ne<br />

sono alcuni bravissimi. Ecco.<br />

Comunque non è con le retate di accattoni e puttane che si risolvono i problemi. E poi questa «crociata<br />

contro l’illegalità» è pelosissima, è di un ipocrita che fa schifo. Come scrive oggi don Vinicio Albanesi sul<br />

Manifesto in una lettera aperta ai sindaci: «Il lato debole delle vostre recenti iniziative è il doppio passo<br />

che usate costantemente nei confronti dei cittadini che amministrate. Voi non invocate sempre legalità, ma<br />

sopportate molte illegalità sul vostro territorio, quando esse sono a beneficio degli abitanti “doc”:<br />

abusivismo nell’edilizia, nel commercio, nella pubblicità, nell’uso dei beni pubblici, nell’accoglienza etc.<br />

Non controllate, come dite, il vostro territorio, ma sopportate (e alimentate) una diffusa legale illegalità.<br />

Siete molto prudenti o assenti nei confronti dei ceti che contano: diventate severi se i livelli di illegalità<br />

“disturbano” l’equilibrio dell’illegalità nostrana».<br />

Già. È giusto ieri che mi sono sentito rivolgere un ammiccante non le faccio la fattura, così risparmia dieci<br />

euro di IVA. La legalità piace solo se applicata agli altri. Se arriva il vigile a contestarti che hai<br />

parcheggiato in tripla fila bloccando il traffico, è un rompicoglioni: vada piuttosto a caccia di venditori di<br />

rose (fra i quali, detto per inciso, ci sono molti laureati).<br />

Sia come sia, Veltroni dichiarando testualmente che bisogna essere più severi contro le prostitute mi sa<br />

che si è giocato il mio voto alle primarie. Anche se non è che ci siano grandi alternative. Ma votare uno<br />

che finisce a prendersela con le puttane è troppo. Voglio votare la Sinistra, non l'Inquisizione.<br />

La piega sulla Mesopotamia<br />

mercoledì 5 settembre 2007, 14.22.38 | molinaro<br />

Pagina 120 di 200<br />

Sarà che ho recentemente lavorato (sempre da redattore, mica da autore o studioso,<br />

s’intende) a opere sul cristianesimo e a opere su religioni orientali e cose simili, ma oggi mi<br />

è venuta un’idea, un’immagine sulla religione, su come si è sviluppata. Oh, è un’immagine<br />

da poeta, non da scienziato o da storico, quindi non state a confutarmela su quei piani. Tanto<br />

non capirei!<br />

Pensate a un quaderno aperto con la piega sulla Mesopotamia, o da quelle parti, e con una<br />

pagina appoggiata sull’Occidente e l’altra appoggiata sull’Oriente. Giù nella piega mesopotamica ci sono le prime<br />

religioni, le religioni della Madre Terra. La terra genera, nutre, riaccoglie in sé, genera di nuovo, e così via. Di fatto, è<br />

più o meno quello che ci succede davanti agli occhi, appunto, e quei primi uomini ci hanno costruito la loro<br />

(semplice?) religione. Ma a un certo momento, nell’evoluzione della nostra capatosta, questo essere generati, nutriti e<br />

ritrasformati in terra deve aver cominciato a lasciarci vagamente insoddisfatti. E che senso ha, e a che cosa serve, e<br />

allora ma io che ci sto a fare, e tutto è vano, e che palle! Allora gli uomini sono usciti dalla piega (la piega, il solco, la<br />

rima vulvare) e sono andati a scrivere religioni più gratificanti sulle due pagine. Quelli che sono andati a scrivere<br />

sulla pagina d’Oriente, si sono ingegnati di sottrarsi alla Madre Terra e alle sue precarie rigenerazioni puntando decisi<br />

sul nulla, chiamato in vari modi (il più popolare è nirvana, credo). Un grande impegno spirituale per riuscire a<br />

smettere di vivere e rivivere in immemori innumerevoli altre vite, e per conquistare finalmente il vuoto, l’estinzione<br />

di tutto. E vabbè. Contenti loro. Quelli che sono andati a scrivere sulla pagina d’Occidente invece si sono inventati<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

teorie per vivere eternamente loro stessi, proprio ciascuno di loro, Anselmo Pautasso for ever, con un dio unico,<br />

molto personale, maschio (per non confondersi con la Madre Terra, quella femmina lubrica bagascia ingoiatrice!), un<br />

dio-io, anche lui con il suo preciso nome, per sempre. E vabbè. Se sentivano questa necessità, come biasimarli? Non<br />

fosse che con le varie religioni hanno fatto sfracelli, non mi sentirei di biasimarli. L’angoscia della mortalità è dura, è<br />

dura non sapere un cazzo e non avere nessuna soluzione. Ma tant’è, io non so un cazzo e non ho soluzione, e ci scrivo<br />

pure una poesia e la metto qui sotto. Quanto alla mia idea-immagine su come si è sviluppata la religione, ribadisco<br />

che è solo una fantasticheria poetica, insomma una cazzata, non state a filosofarci tanto su, che non vale la pena!<br />

VERSO SERA<br />

No io non è che ho una soluzione<br />

non dico universale non ce l’ho<br />

neppure personale quando il sole<br />

comincia – te ne accorgi – a tramontare<br />

ho accettato il mio essere triste<br />

dietro tutti i sorrisi di carta<br />

fa quasi bene accettare la tristezza<br />

capire che non c’è la soluzione<br />

che questa è la realtà e che potrà<br />

abbracciarmi la malinconia<br />

– e con gli anni potrà venirmi incontro<br />

una minima dose di schizofrenia<br />

quanto basterà per potermi guardare<br />

da fuori – guardare l’uomo vecchio<br />

che piangerà quel suo essere vecchio<br />

piangerà perché non saprà fare altro<br />

naturalmente non saprà – e ridere<br />

di nascosto di lui, come fanno i ragazzini.<br />

La mosca nella tastiera<br />

giovedì 6 settembre 2007, 0.31.38 | molinaro<br />

Pagina 121 di 200<br />

Nella scuraglia (citazione scarpiana) di questa fresca notte che precede un viaggio<br />

verso affascinanti lidi, resto ancora sveglio un poco e penso che in amore (o<br />

insomma in quella cosa fra donna e uomo che siamo soliti chiamare amore) quasi<br />

sempre si raccoglie qualcosa dove non si è seminato, e non si raccoglie nulla dove si<br />

è seminato. D’altronde una cosa così la dice anche il Vangelo da qualche parte.<br />

Qualche giorno fa una piccola mosca s’è infilata nella tastiera qui dell’elaboratore<br />

elettronico, fra la T e la Y e il 6, e non è più uscita. Sarà morta e le sue secche spoglie resteranno lì per<br />

sempre. Ma la morte di un insetto non ci turba, lo dice anche Wisława Szymborska.<br />

Tornando all’amore, spesso si dà ciò che mai si chiederebbe, e si chiede ciò che mai si darebbe. Ho visto<br />

talvolta uomini spaccarsi le ossa per andare incontro a opinabili capricci di fanciulle, e ho visto più spesso<br />

uomini inguaribilmente infedeli pretendere fedeltà. Ma perché scrivo queste inutili parole? M’attende una<br />

donna che nega di essere bionda, ma io affermo che lo è: ha qualcosa di dorato non solo nei capelli. E<br />

nell’abbraccio infine non c’è né seminare né raccogliere: c’è un’erba spontanea da accarezzare, perché<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

cresca meglio. Non c’è dare né prendere, c’è meravigliarsi di qualcosa che accade. C’è un piccolo miracolo<br />

che non potrà mai essere garantito – forse avverrà ma forse no – e non potrà mai essere negato – forse non<br />

avverrà ma forse sì.<br />

Non c’è da fare nessun giuramento, come in questa poesia di Guido Gozzano, nella quale fra l’altro non<br />

sono mai riuscito a capire in modo proprio definitivo che cos’è il redo.<br />

IL GIURAMENTO<br />

Ritorna col redo,<br />

mi guarda sott’occhi;<br />

un bacio le chiedo:<br />

mi fissa nelli occhi<br />

con occhi sicuri -<br />

e vuole<br />

che giuri.<br />

- O molle trifoglio,<br />

o mani di gelo!<br />

Che bene ti voglio!<br />

Ti giuro sul cielo! -<br />

Solleva una mano,<br />

mi dice:<br />

"è lontano!".<br />

- Che sete di baci!<br />

Morire mi pare.<br />

Ah! Come mi piaci!<br />

Ti giuro sul mare! -<br />

Riflette un secondo,<br />

mi dice:<br />

"è profondo!".<br />

Biancheggia sospesa<br />

in fondo al tratturo<br />

la Chiesa. - Ti giuro<br />

fin sopra la Chiesa! -<br />

Sorride bambina,<br />

mi dice:<br />

"è calcina!".<br />

- Il fieno ci copra.<br />

Ah! T’amo di fiamma!<br />

Ti giuro fin sopra<br />

la testa di mamma: -<br />

Mi guarda supino,<br />

mi dice:<br />

"assassino!".<br />

M’irride, ma poi<br />

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Pagina 122 di 200<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

si piega "...m’inganni?"<br />

- Ti giuro, se vuoi,<br />

pei belli vent’anni! -<br />

Solleva lo sguardo,<br />

mi dice:<br />

"bugiardo!".<br />

Stamattina l'aria è limpida<br />

sabato 8 settembre 2007, 9.45.29 | molinaro<br />

IL MIO PAESE<br />

Guido Gozzano<br />

Stamattina l’aria è limpida, sono tornato ieri da un breve viaggio e<br />

stasera riparto per un altro breve viaggio, e nel frattempo devo portare<br />

avanti del lavoro e fare qualche commissione, però prima ho scritto tre<br />

poesie, che sono anch’esse poesie di viaggio, forse, o forse tutto è<br />

viaggio, più semplicemente.<br />

Ho impiegato molto tempo a ritrovare<br />

la strada. Tutto è cambiato o forse sono io<br />

che non ricordo. Quanto torni al paese<br />

dopo una vita da migrante e non hai<br />

neppure fatto fortuna, ti guardano<br />

da straniero. Infatti sono straniero<br />

– e non lo sono: conosco la lingua:<br />

per me è tutto vecchio e tutto nuovo<br />

contemporaneamente. Questo è<br />

un vantaggio nel decifrare gli alberi<br />

e i muri e le panchine mescolando<br />

la memoria svagata all’entusiasmo<br />

dello scoprire per la prima volta.<br />

Così da qualche parte c’è il tuo mondo,<br />

il bosco non è mai stato tagliato.<br />

Su sentieri dove non ho camminato<br />

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Mi accorgo ora di aver perso una poesia<br />

e visi<br />

e voci<br />

e quegli alberi tutti scritti sono tutti stati tagliati<br />

non c’è quasi più il mio bosco<br />

non c’è quasi più il mio mondo.<br />

Chiara Borghi<br />

Pagina 123 di 200<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

saprei condurti come guida esperta<br />

a ritrovare i tronchi incisi e anche<br />

quelli che non avevi mai inciso<br />

– e la poesia che credi d’aver perso.<br />

Non si perdono, sai, le poesie:<br />

lasciano un seme che attende nel secco<br />

le nuove piogge per rigermogliare.<br />

La poesia non è le parole<br />

ma ciò che le fa scrivere: il gonfiarsi<br />

d’una ferita, lo sbocco di sangue<br />

dal labbro della terra, la perenne<br />

inquieta trepida urgenza del vivere.<br />

Ho impiegato molto tempo a ritrovare<br />

la strada. E ora infine, a dire il vero,<br />

non sono neanche sicuro che sia<br />

il mio paese. Eppure ne conosco<br />

la lingua e ne ritrovo i tronchi incisi.<br />

E tanto basta.<br />

LA DONNA CHE MI PORTA PER LE CALLI<br />

La donna che mi porta per le calli<br />

a volte ci si perde pure lei:<br />

troviamo un ramo chiuso o che s’affaccia<br />

su un canale – e si deve tornare<br />

indietro, ma c’è tempo per un bacio.<br />

La donna che mi porta per le calli<br />

è a casa sua per tutta la città:<br />

così restiamo intimi fra noi<br />

senza bisogno di chiudere porte<br />

né mettere gli scuri alle finestre.<br />

GIOCO D’ACQUE<br />

Quest’anno l’acqua ha una parte importante<br />

negli amori e nel resto: Romina per mano<br />

sul lago di Fimon, Grazia a parlare<br />

sottovoce sul lago di Como, la laguna<br />

che accompagna i pensieri di Clara,<br />

Claudia sul lungomare di Finale,<br />

Chiara sui sassi del torrente Neva.<br />

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Pagina 124 di 200<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Quest’anno l’acqua ha una parte importante.<br />

D'altronde fu così anche in passato:<br />

Francesca sulla Sesia, Rosalena<br />

al torrente Rantiva, Diletta sul Po,<br />

Antonella alle rive del Ticino,<br />

Federica con la pioggia nei capelli<br />

sull'erba presso il Tevere, Marina<br />

camminando nel porto di Genova.<br />

L'acqua ha una parte importante in amore.<br />

Odiare la vita<br />

sabato 8 settembre 2007, 12.04.15 | molinaro<br />

Tornavo poco fa a casa dopo essere stato alla Farmacia della Consolata a comprare una<br />

medicina naturale per mia madre, che la trovo solo lì, e passando davanti a una chiesa leggo<br />

un grosso manifesto che dice: «Chi non odia la propria vita non può essere mio discepolo».<br />

Una frase orribile, una frase che contiene in sé tutto il fanatismo di tutte le religioni. Sì, lo<br />

so che è una frase attribuita a Gesù Cristo (ma i Vangeli sono stati compilati, elaborati e<br />

selezionati dal potere della Chiesa); sì, lo so che bisogna «contestualizzare» (verbo caro a<br />

un mio caro amico!); ma è una frase orribile lo stesso. Chi odia la propria vita è pronto, certo, a essere discepolo,<br />

perinde ac cadaver, di qualsiasi potere che riesca a catturare la sua disperazione. Chi odia la propria vita, secondo la<br />

mia umile opinione, non può amare neppure la vita degli altri e tanto meno aiutare il prossimo suo. Chi odia la<br />

propria vita, in compenso, può schiantarsi con un aereo carico di gente contro un palazzo pieno di gente (New York,<br />

sei anni fa), così come può sgozzare la propria figlia perché indossa la minigonna (Brescia, l’anno scorso), così come<br />

può affogare nel grasso fra un televisore e un hamburger applaudendo la guerra. Tutto in nome di Dio. Sempre in<br />

nome di Dio.<br />

[Forse odiano la vita perché non sopportano l'idea di amare qualcosa che cambia, che è in bilico, che finisce. E non si<br />

accorgono che la loro è un'atroce professione di non fede.]<br />

Festa d'una notte di fine estate<br />

domenica 9 settembre 2007, 15.15.06 | molinaro<br />

Pagina 125 di 200<br />

Stamattina il barista mi ha fatto sul cappuccino una graziosa foglia disegnata versando il<br />

latte, davvero graziosa, e questo mi ha fatto pensare a Monica, per via della cosa detta a<br />

pagina 311 del grosso libro. Poi adesso scrivendo di una foglia graziosa mi sono venuti in<br />

mente gli occhi grandi color di foglia della graziosa-bambina-puttana di via del Campo.<br />

Così mi disperdo in mille pensieri e concentrarmi è difficile.<br />

Hanno ragione a non fidarsi di me le fanciulle: la mia fragile geografia di donne e campagne<br />

s’appunta a dettagli trascurabili. Sulla mia scheda carburante, ora che devo usare di nuovo un po’ di più l’auto per<br />

raggiungere posti non ferroviabili, otto timbri su nove sono dell’area di servizio Lidora Ovest. Già il fatto che io<br />

continui a usare la scheda carburante anche se non detraggo più niente di spesa (le leggi sono cambiate e poi<br />

comunque onestamente l’auto la uso «per lavoro» forse nel 5% dei casi, un po’ poco!) è vagamente maniacale: è che<br />

mi piace farmi fare il timbro: finché non la trasformeranno anch’essa in qualche fredda vaccata elettronica è bella, la<br />

scheda – guardate l’immagine – con tutti quei timbri su carta che ricordano un viaggio. Quand’ero bambino mi<br />

piaceva se mi mandavano a pagare le bollette alla Posta perché sulla ricevuta del versamento mettevano il bollo<br />

lineare dell’ufficio accettante, il bollo frazionario, il bollo circolare con data, il cartellino gommato del bollettario di<br />

accettazione, ritagliato con le forbici, maestose forbici da ufficio, e la firma dell’impiegato rigorosamente con<br />

inchiostro nero o nero bluastro. Opere d’arte di cui s’è persa la memoria.<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Pagina 126 di 200<br />

Ma perché mi fermo a Lidora Ovest? Per tre motivi. Uno, è l’ultima area prima di Altare, venendo da Torino, e<br />

spesso esco dall’autostrada ad Altare. Due, è situata nel comune di Cosseria, dove abita Cristina, una ragazza<br />

deliziosa con la quale non sono riuscito ad approfondire molto, ma per la quale comunque c’è una poesia a pagina<br />

507. Tre, ci lavora Alessandra, che conosco solo a livello di ciao come va salutami Cesare e gli altri, ma che ha un<br />

bel musetto, e spero sempre di trovare lei di turno, perché mi piace vederla, e poi anche per scambiare davvero, alla<br />

faccia di Guccini, qualche parola con la ragazza che dietro al banco mescolava birra chiara e Seven Up, e il sorriso<br />

da fossette e denti era da pubblicità. Ora sapete in che modo seleziono le aree di servizio in cui fermarmi. Seleziono<br />

così anche quasi tutto il resto del mondo, a dire il vero.<br />

Ma volevo raccontare qualcosa della festa di ieri. Ieri insomma, dopo essermi fermato a Lidora Ovest a mettere venti<br />

euro di benzina, farmi controllare la pressione delle gomme (l’anteriore sinistra era ben sgonfia) e salutare<br />

Alessandra, sono arrivato a Mallare per la festa-cena a base di formaggi (e frutta) detta appunto formaggiata, che sta<br />

diventando una tradizione di fine estate fra noi amici.<br />

Sono arrivato che c’era già qualcuno, poi la compagnia s’è completata. Una tavolata di formaggi, salumi, frutta e<br />

vino. Una decina di amiche e amici – qualcuno che si conosce dall’infanzia, qualcuno da anni, qualcuno da mesi. Mi<br />

sono innamorato anche di queste feste (ma, si sa, io m’innamoro di tutto!) perché c’è armonia, c’è vicinanza, c’è<br />

gioia, e si crea un mondo che, per tre o quattro o cinque ore, è tutto lì, non è disperso. È quasi leggibile, è quasi vero.<br />

Scopro stamattina che ieri sera c’è stata un’importante partita di calcio, ma nessuno di noi l’ha vista e nessuno ne ha<br />

parlato; c’è stato anche il V-day di Beppe Grillo e nessuno di noi se n’è accorto – ma non è disimpegno, è ricaricarsi,<br />

è ritrovare sé stessi, è il necessario silenzio (anche se si parla, si canta e si fa musica) dove cessa l’assedio assordante<br />

del mondo «globalizzato».<br />

Quest’anno ho partecipato di più, a queste feste tra Savona e la Val Bormida, e ho partecipato di più per via di<br />

Chiara, lo ammetto con la massima serenità – la ragazza che non avrò mai se non come amica e che anzi non dovrei<br />

neppure corteggiare – ma ci metto il mio tempo a rassegnarmi. La ragazza con la quale, come ha osservato<br />

giustamente Mac, non c’è verso, anche se scrivo per lei molti versi. Ma in fondo, se questo mio ostinarmi in una<br />

missione impossibile ha avuto l’effetto collaterale di avvicinarmi di più ad altri amici (oltre che a Chiara stessa,<br />

infine: ora almeno «la conosco» un po’ di più – amore non è solo far l’amore), non sarà poi stato male. Mi ha<br />

profondamente emozionato questa bella estate (in senso vagamente pavesiano) savonese (e, su un altro mio versante,<br />

veneta). Viaggi di un giorno o due che hanno rappresentato le mie «ferie» (non ho fatto altre vacanze chissà dove,<br />

non ho denaro, e forse non ne avevo poi neppure voglia: ci sono infiniti misteri in cui immergersi a pochi chilometri<br />

da casa), viaggi fra amiche e amici e amori ricambiati e non ricambiati, viaggi in paesaggi sempre più domestici,<br />

sempre più miei, a incontrare le pietre, le strade, gli usci / e i ciuffi di parietaria attaccati ai muri, / le strisce delle<br />

lumache nei loro gusci, / capire tutti gli sguardi dietro agli scuri, come dice ancora il nostro Guccini.<br />

Scusatemi se è una frase retorica, ma solo l’amore fa conoscere i luoghi. Una settimana a Sharm el Sheik è una<br />

cartolina che si dimentica presto in un cassetto; Venezia Vicenza Savona Cadibona Mallare e la Val Bormida da un<br />

anno in qua sono terra mia, la terra che non perdi mai più. Questo è il viaggio che amo viaggiare.<br />

L’amore è irrazionale ma spesso gioca a rivelare affinità percettibili: alla festa di ieri sera Chiara e io ci<br />

assomigliavamo, eravamo quelli che facevano più fatica a togliere la maschera dei giorni usati, e forse quelli che lo<br />

desideravano di più. Quelli che facevano più fatica a intonare la voce al canto. Quelli che ogni tanto dubitavano di far<br />

davvero parte del gruppo. Quando una banda di ragazzini in campagna deve saltare un ruscello per andare nell’altro<br />

prato, ci sono i primi, i più svegli, che zompano di là senza quasi accorgersene. Poi ci sono quelli un po’ più<br />

circospetti che misurano la distanza e dopo un attimo si decidono a spiccare il balzo. Poi ci sono quelli imbranati,<br />

impauriti, quant’è lungo il salto da fare, la tentazione di dire «ma che mi frega di andare sull’altro prato» e di<br />

restarsene isolati, la paura di finire con un piede in acqua e gli altri che ridono, che vergogna, e poi infine, magari il<br />

secondo o il terzo giorno che la compagnia va su quel prato, la decisione di provarci, sia come sia, la corsa, il piede<br />

sull’ultima pietra, lo slancio, tutto quello che puoi, il cuore che batte a mille, l’altro piede sull’erba di là, lo sforzo del<br />

ginocchio, ci sei! Hai fatto niente, hai fatto ciò che gli altri della compagnia non si sono neanche accorti di fare, un<br />

piccolo salto su un ruscelletto, non te ne potrai certo vantare, però dentro di te è un oro olimpico, e sorridi, con il<br />

cuore che stenta a rallentare, mentre raggiungi il gruppo a giocare.<br />

Mi dirai che non è vero, Chiara, ma io ieri ho visto te e me così, ed è anche per questo che ti voglio bene. Ora la<br />

pianto se no dici che ti corteggio e non devo e mi mandi a cagare e va bene basta.<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Le tre ragazze che conosco da più tempo ieri sera erano bellissime, alla formaggiata. Anita s’è tagliata i suoi lunghi<br />

capelli e sta bene così, arruffata, è un passerotto con una voce limpida come l’anima, una faccia da schiaffi e da baci,<br />

che solo a guardarla tu già sorridi e stai meglio. Ha nello sguardo stupore e disincanto ma il disincanto buono, quello<br />

che serve a fare spazio per altri stupori. Sonia, vestita elegante con qualche saggia scopertura, rivela una figurina<br />

aggraziata, incisa decisa precisa eppure sinuosa, invitante come un sentiero fra le colline, gioco di luce e d’ombra, di<br />

pietra dura e più morbida terra. Chiara anche lei elegante, gli occhi mutevoli come certe giornate di vento, le spalle<br />

solide e fragili, un corpo che è fiero così senza sembrarlo, le gambe selvatiche, le belle mani che si muovono a scatti.<br />

Quando fuma una sigaretta, anche se credo che fumi da molto (e smetti, che fa male alla pelle e a tutto!), il gesto del<br />

braccio e delle labbra è quello di chi fuma la sua prima sigaretta, senza molta convinzione, più per farlo che per<br />

sentirlo, e anche questo è un segno che... No, niente. Niente. Mie fantasie, credo. La fantasia può fare male se non sai<br />

bene come domarla, tanto per insistere nelle citazioni gucciniane.<br />

Cesare, Mac e Alessio erano in buona forma esistenziale e musicale, e anche Luca e Balla erano a loro agio, e anche<br />

Lella, l'amica di Sonia. La cagnetta di Chiara, Zoe, correva di qua e di là attaccandosi un po’ a tutto. È cucciola, ha<br />

solo cinque mesi. Quando l’ho presa in braccio io s’è quietata e quasi addormentata: forse le mie mani sono calmanti<br />

per gli esseri viventi di sesso femminile, non solo della specie umana. Le donne della mia vita ricordano, quasi tutte,<br />

le mie mani, perché sono belle (così dicono) e perché al contatto tolgono dolori e tensioni (così dicono). Forse potevo<br />

fare il pranoterapeuta, occasione sprecata. Ma forse funziona solo con le donne che amo (ed eventualmente i loro<br />

cani?), e allora no, non potevo fare il pranoterapeuta.<br />

Alessio alla fisarmonica, Cesare e Mac e anche Luca e Anita alle chitarre, alle voci un po’ tutti: la musica è stata<br />

buona. E, più tardi, sono stati buoni i discorsi sulla vita. Quando la compagnia è giusta, non si parla di sport e motori:<br />

il discorso, dopo l’opportuno cazzeggio d’allegria iniziale, si indirizza spontaneamente verso cose importanti.<br />

Del vino non so dire, essendo astemio (l’acqua di quelle montagne comunque è ottima); tra i formaggi ce n’erano<br />

alcuni davvero deliziosi, e poi anche semplicemente il grana con le pere è un gran bel mangiare. C’era dell’uva dolce<br />

e croccante, nera, bianca e dorata, moscatella. E i fichi secchi. E le noci. Non ci vuole poi molto, non c’è neanche da<br />

cucinare, solo preparare le cose, disporle. Ed essere amici.<br />

Sono ripartito verso Torino che erano le quattro passate, non avevo sonno, ho guidato con calma nella notte, sono<br />

arrivato a casa con le prime luci del mattino e una falce sottile di luna calante che sorgeva piano all’orizzonte. Ho<br />

voglia di raccontare la festa a Claudia e di massaggiarle un po’ la schiena. Ho voglia di tutto. Stasera mangio il<br />

risotto da mia madre.<br />

La password<br />

lunedì 10 settembre 2007, 22.35.44 | molinaro<br />

Pagina 127 di 200<br />

L’altra sera chiacchierando con un amico gli dicevo che una mia (e sua) amica mi aveva<br />

dato la password della propria casella di posta, perché io gliela controllassi e leggessi e le<br />

riferissi i messaggi, di persona o al telefono, essendo lei senza computer per lunghi periodi.<br />

E gli spiegavo che la cosa mi provocava quasi un qualche disagio, forse perché io invece la<br />

mia password tendenzialmente non l’avrei mai data a nessuno. Lui un po’ si scandalizzava<br />

della mia malfidenza, e sosteneva che se la dai a un amico, la password, non hai di che<br />

preoccuparti, perché un amico non ti spierà e non ti farà danni, e la userà solo per lo scopo che gli hai richiesto.<br />

Ora, a criticare la mia malfidenza era lo stesso amico che sostiene che in determinate circostanze tutti possiamo<br />

mentire (fa l’esempio del ragazzo che ha rigato l’auto facendo una manovra imbranata contro un muretto ma per non<br />

essere preso in giro racconta agli amici che gliel’hanno rigata mentre era posteggiata); e che quindi nessun discorso,<br />

neppure del migliore amico o della fidanzata, va preso per oro colato: bisogna sempre interpretarlo e vagliarlo.<br />

Ecco un esempio di punti di vista diversi, forse derivati da esperienze <strong>personali</strong> diverse. A me non viene in mente che<br />

le persone che mi parlano, specie se amiche, possano mentire. In compenso mi viene in mente che esistono<br />

circostanze in cui io stesso potrei fare una spiata nella casella di posta di una persona, avendo la password, e non<br />

resisterei. Magari con motivazioni «d’amore», ma sarebbe sbagliato lo stesso – epperò non resisterei.<br />

Federica quasi due anni fa è sparita dalla mia vita senza farsi mai più trovare, senza dirmi più una sola parola. Ma<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

fino a un attimo prima eravamo in una confidenza piena e totale (e infatti la sua sparizione mi addolora<br />

immensamente – un taglio così improvviso – ne ho già parlato in questo blog). Eravamo in una confidenza tale che,<br />

se necessario, credo che lei mi avrebbe dato la sua password perché io le leggessi e riferissi la posta. Ecco. Mettiamo<br />

che me l’avesse data e che successivamente non l’avesse mai cambiata. Ebbene, io nei mesi successivi, persa ogni<br />

traccia di lei, e ancora oggi, stasera, non resisterei affatto, e andrei ad aprire la sua casella, per cercare di scoprire che<br />

cosa fa, a chi scrive, chi le scrive, insomma qualcosa della sua vita che tanto mi manca. Lo farei «per amore e per<br />

nostalgia», certo non per danneggiarla, ma non è una buona scusa: spiare la posta altrui è comunque una pessima<br />

azione. Però so che lo farei.<br />

Ecco: forse le cose su cui non ci fidiamo degli altri sono le medesime su cui non ci fidiamo neanche di noi stessi. Io<br />

la password della mia casella la darei solo in caso proprio di estremissima necessità. E mi sa che, finita la necessità,<br />

la cambierei. E forse l’amico si sentirebbe offeso dalla mia malfidenza, ma d’altronde io potrei sentirmi offeso dal<br />

suo «interpretare e vagliare» le parole mie o di persone a me care, e così sarebbe un’offesa continua. Meglio capire<br />

che abbiamo tutti i nostri punti deboli, e non offenderci affatto. Siamo tutti diversi e imperfetti. E buona notte.<br />

Il tempo è il tempo; e il nonno, e il cucchiaino<br />

lunedì 10 settembre 2007, 22.57.00 | molinaro<br />

Stasera c’è un po’ di malinconia, non credo sia l’autunno che viene, l’autunno è una<br />

stagione dolce, e poi oggi a Torino la giornata è stata ancora pienamente estiva. No, è<br />

qualcosa che si percepisce ogni tanto: il tempo che passa, le cose che sfuggono. Il tempo<br />

passa sempre e le cose sfuggono sempre, certo; ma è come un treno ben molleggiato che fila<br />

sui binari, è abbastanza silenzioso e non lo senti – solo in certi momenti sobbalza su uno<br />

scambio all’entrata di una stazione, o frena a un segnale, o rimbomba su un ponte di ferro, e<br />

allora ti accorgi che sta andando, per un istante o per qualche minuto – e ci pensi; poi torna il quasi silenzio – e di<br />

nuovo non ci pensi più.<br />

Quarantasette anni fa moriva mio nonno (oggi è l’anniversario) e io ero con lui sotto il fico in cortile, dove si sentì<br />

male per l’infarto; e ventisei anni fa nasceva Chiara (oggi è il suo compleanno) e io ero già un uomo sposato e<br />

impiegato (salvo poi, molto dopo, cessare di essere entrambe le cose!). La mia vita dunque in questo 10 settembre si<br />

estende oltre tutti quegli anni, e il tempo è il tempo, e se io mi sento un ragazzo è una cosa mia d’anima, ma il tempo<br />

è il tempo.<br />

Poi il treno torna silenzioso e non ci penso più. Mio nonno era simpatico e mi dava retta anche se ero un bambino, era<br />

uno dei pochi: gli adulti di norma trattano i bambini come deficienti. Mi insegnò a scrivere, prima in stampatello poi<br />

in corsivo. Oggi direbbero che fece male, perché poi in prima elementare mi annoiavo, già sapendo. Ma all'epoca non<br />

sottilizzavano su questo, prima sapevi una cosa meglio era. Una volta gli domandai se per sciogliere lo zucchero<br />

nell'acqua bisogna proprio girarla con il cucchiaino, o se invece, aspettando molto tempo, lo zucchero si scioglie da<br />

solo. Non mi rispose male, anzi facemmo l'esperimento: mettemmo lo zucchero in un bicchier d'acqua, senza girare<br />

con il cucchiaino, e aspettammo il giorno dopo. Lo zucchero non si sciolse. È solo grazie a mio nonno, e non agli<br />

adulti saccenti che non spiegano niente, se oggi so davvero che lo zucchero non si scioglie senza girare con il<br />

cucchiaino. Altrimenti avrei il dubbio ancora adesso, come su tante altre cose.<br />

Work, coffee &amp; valium<br />

giovedì 13 settembre 2007, 7.58.58 | molinaro<br />

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Pagina 128 di 200<br />

Stamattina, fra un’oretta, vado in un’azienda (una nota casa editrice). Di solito<br />

lavoro in casa, ma ogni tanto ci vuole un po’ di contatto diretto, e allora vado in<br />

azienda. Ci ho lavorato, dentro quell’azienda, per più di un quarto di secolo, mi<br />

hanno dato anche la medaglia e il diploma (vedi immagine), poi... sono diventato<br />

precario. Collaboro dall’esterno. <strong>Libero</strong> professionista! Succede, nulla di strano, un<br />

po’ è stata una mia scelta e un po’ no. D’altronde, se in amore ho la testa di un<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

ragazzo (così mi dicono spesso), è giusto che anche la posizione lavorativa sia coerente: i ragazzi sono<br />

tutti precari nel lavoro, no? E dunque!<br />

Le aziende sono strane. Chi ci lavora prende un sacco di caffè. Il lavoro è strano. Forse io sono strano. A<br />

me per lavorare non serve il caffè, anzi. Cerco di non prendere niente, ma nelle giornate in cui proprio non<br />

riesco a lavorare, quando il culo mi balza via dalla sedia e ogni pensiero fugge in tutte le direzioni, per<br />

riuscire a lavorare prendo dieci gocce di un blando tranquillante, o almeno mi faccio una tisana, tipo<br />

camomilla. L’esatto opposto del caffè. Devo essere un po’ anormale. Sarà che la stanchezza riesco a<br />

vincerla con la voglia, di solito, non c’è bisogno di caffè. È la non voglia che non so mai come vincerla, mi<br />

manda fuori di testa, mi fa impazzire, il mondo è meraviglioso e io butto via la vita davanti a un computer,<br />

è follia, è sacrilegio... Allora, per lavorare, prendo dieci gocce di tranquillante. Altro che caffè!<br />

Oggi è il cinquantacinquesimo anniversario del matrimonio dei miei genitori. Cioè, lo sarebbe, perché mio<br />

padre è morto trentun anni fa, all’età di cinquantuno. Lavorava tutto il giorno... Ci dev’essere qualcosa di<br />

sbagliato.<br />

La carte postale<br />

giovedì 13 settembre 2007, 16.46.58 | molinaro<br />

Tornando dal lavoro in quell’azienda di cui al messaggio<br />

precedente, ho trovato una cartolina. Così, prima di rimettermi al<br />

lavoro in casa, ho scritto una poesia. Non che fosse obbligatorio.<br />

Ma è successo. D’altronde ogni scusa è buona per ritardare il<br />

momento di rimettersi a lavorare, no? Solo che poi si deve andare<br />

avanti fino a notte fonda, perché il lavoro è quello che è, e resta lì,<br />

non si fa mica da solo.<br />

LA CARTE POSTALE<br />

I fuochi artificiali su Montmartre<br />

dentro la carte postale da Parigi<br />

non sono veri, li hanno disegnati<br />

dopo: sono davvero artificiali.<br />

Anche la chiesa pare una statuina<br />

dentro una bolla con la neve finta.<br />

Ci sono stato, credo, sette volte<br />

a Parigi: da solo, con gli amici,<br />

con una donna, con un’altra donna,<br />

pure in viaggio di nozze. Sono andato<br />

a puttane, a Parigi, sono andato<br />

al Musée Marmottan dove ci sono<br />

soleil levant e l’arrivée d’un train,<br />

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Pagina 129 di 200<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

due dipinti che amo; ho visitato<br />

periferie lontane col metrò.<br />

E ci ho mangiato anche il primo kebab<br />

della mia vita e ho visto una vetrina<br />

piena di topi morti, era una ditta<br />

di derattizzazione, certi topi<br />

impagliati più grossi d’una volpe.<br />

La carte postale però non mi ricorda<br />

niente di tutto questo, non è cosa<br />

di nostalgie: mi ricorda la mano<br />

che me l’ha scritta nove giorni fa<br />

(ed è arrivata stamani: la Posta<br />

non è stata veloce), mi ricorda<br />

che qualcuno a Parigi s’è fermato<br />

un minuto a pensare di mandarmi<br />

la cartolina, e l’ha fatto, ci ha messo<br />

un francobollo azzurro, l’indirizzo<br />

ricordato a memoria oppure preso<br />

da un’agendina, ha cercato una buca<br />

e ha imbucato. È per questo che salgo<br />

più svelto e più felice i quattro piani<br />

di scale verso casa e sorridendo<br />

apro la porta e mi verso dell’acqua<br />

che bevo avidamente, poi mi metto<br />

di buona lena al tavolo, al lavoro.<br />

Poesia chiama musica (sul lago d'Orta)<br />

venerdì 14 settembre 2007, 12.33.50 | molinaro<br />

Con la consueta mia tempestività (succede domani!) vi dico della<br />

manifestazione POESIA CHIAMA MUSICA: sabato 15 settembre 2007,<br />

ore 16, Spazio Verde della Fondazione Calderara, Vacciago di Ameno<br />

(Lago d’Orta): lettura di poesie intercalata da intermezzi musicali per<br />

flauto, clarinetto, violino e violoncello, in prima esecuzione assoluta.<br />

Voce recitante: Maria Pilar Perez Aspa. Progetto di Davide Anzaghi. La<br />

cosa interessante è che sono pezzi di musica classica nuovi, composti ispirandosi a poesie. E<br />

io cosa c’entro? C’entro, perché di Pippo Molino sarà eseguito (da Andrea Favalessa) il brano<br />

Rami 1, per violoncello solo, ispirato alla mia poesia Numeri, che sta nel libro a pagina 528 e<br />

che comunque, per l’occasione, vi ripropongo qui sotto. Se qualcuno vuole venire... Se<br />

qualcuno vuole venire da Torino, anzi, gli do un passaggio in macchina, a condizione che<br />

dopo venga con me anche a Carcare (SV) alla cena di compleanno di un’amica, che mi ha<br />

detto «porta chi vuoi». Se qualcuno è qualcuna, è meglio. Ma insomma, vediamo!<br />

NUMERI<br />

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Pagina 130 di 200<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Su una panchina<br />

a Giulia Vay e a Mauro Ferrari<br />

Chissà perché un poeta a Marcarolo<br />

si rattristava scoprendo che i suoi<br />

versi migliori, quando ne contava<br />

compiaciuto le sillabe, svelavano<br />

d’essere endecasillabi. Che male<br />

c’è? Mi sa che parlava per parlare,<br />

pavoneggiando la sua disperata<br />

sete di sconvolgenti novità<br />

di lessico e di ritmo per vestire<br />

con l’ultima fantastica trovata<br />

la vecchia amante sempre più appassita.<br />

Intanto una ragazza ci serviva<br />

al tavolo la pasta e l’insalata:<br />

un bel viso, due mani, cinque dita<br />

per ogni mano, due fragili seni,<br />

due occhi azzurri e una testa biondina.<br />

venerdì 14 settembre 2007, 19.56.21 | molinaro<br />

Oggi ho scritto su una panchina di corso Cairoli (no, non direttamente sulla panchina: su un<br />

quadernetto, stando seduto sulla panchina) questa strana poesia. Strana poi perché? Non lo<br />

so, mi è venuto da dire così. È sera, è autunno, ho ancora del lavoro da fare.<br />

BILOBA MATRIS<br />

Oggi, quattordici settembre del duemila e sette,<br />

su una panchina di un corso verso le sei di sera<br />

ho chiuso gli occhi e ho sentito il rumore<br />

del traffico e l’odore sia del traffico<br />

sia dell’autunno. Mi è sembrato tutto uguale<br />

a un’altra volta che avevo fatto lo stesso gesto<br />

– sedermi su una panchina e chiudere gli occhi –<br />

più di trent’anni fa.<br />

Dunque sono rimasto un minuto<br />

a pensare al mondo che avrei visto aprendo gli occhi:<br />

mi è parso di arrivarci come sempre da molto lontano,<br />

di sperare vagamente qualcosa di strano,<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

e nel rumore e nell’odore della città e dell’autunno<br />

nulla di diverso da trent’anni fa<br />

nulla di diverso nelle mie narici o nelle orecchie<br />

nulla di diverso nel mio cuore<br />

sono stanco ma sono sempre stato stanco<br />

ho voglia ma ho sempre avuto voglia<br />

ho nostalgia ma ho sempre avuto nostalgia.<br />

Mi sono alzato e ho fatto mente locale<br />

per sincronizzarmi alla sera di oggi,<br />

quattordici settembre del duemila e sette:<br />

posso essere figlio padre nonno fidanzato sposo<br />

– più probabilmente nulla di tutto ciò –<br />

ho camminato verso casa con il passo<br />

del forestiero guardingo e curioso, di quello<br />

che tutti lo conoscono ma nessuno gli parla<br />

perché non sai che cosa raccontargli,<br />

perché non sembra mai uno dei nostri.<br />

Una poesia scritta nel 1983 per il 1968 e una ieri per ieri<br />

domenica 16 settembre 2007, 17.03.56 | molinaro<br />

Oggi è il 16 settembre e mi è venuta in mente una poesia che scrissi all’inizio degli anni<br />

Ottanta, riferita a un 16 settembre già allora un po’ lontano, il 16 settembre 1968 (la poesia<br />

è a pagina 110 del librone, chi l’avesse – boh, un duecento copie sono state vendute,<br />

qualcuno dovrà ben avercelo!). Non è una data storica per il mondo, è un ricordo solo mio.<br />

Ero andato a una cena con amici in riva a un lago. C’ero andato per stare con gli amici, ma<br />

forse soprattutto per corteggiare Chiara, una mia compagna di scuola che mi piaceva<br />

tantissimo. Lei però stava con un altro (il cui nome precede il suo nel verso della poesia), quindi era un po’ idiota il<br />

mio corteggiarla. Bah, roba di quasi quarant’anni fa, ero un quindicenne stupidello, oggi non lo rifarei... forse. Però<br />

mi era rimasto il ricordo di una bellissima serata, c’erano gli amici e forse all’epoca «guardare» l’amata già mi<br />

bastava: così una dozzina d’anni dopo ce l’avevo ancora molto bene in mente e scrissi la poesia. Dopo la poesia è<br />

passato un altro quarto di secolo. Uff! Il tempo, il tempo, che palle! Insomma, rimane solo una poesia in un libro.<br />

Oppure rimangono infinite indicibili altre cose, è impossibile saperlo davvero. Lingua mortal non dice. La poesia si<br />

intitola Leopardiana perché lo è.<br />

Ma ieri sono stato di nuovo in riva a un lago (e poi la sera a cena con amici, per un compleanno); in riva al lago c’era<br />

una manifestazione di musica e poesia che è stata abbastanza bella. Mentre ascoltavo la musica e le poesie, e poi<br />

ancora un po’ dopo, ho preso dalla tasca un quadernetto e una biro e ho scritto un’altra poesia. La poesia scritta ieri si<br />

intitola Il percorso. Mi permetto di offrirvi qui sotto prima la poesia scritta ieri per una cosa sentita dentro di me ieri,<br />

e poi la poesia scritta venticinque anni fa per una cosa sentita dentro di me quarant’anni fa. Tutto un po’ resta, un po’<br />

cambia, un po’ si evolve. Le cose possono anche migliorare, forse. No? Forse sì.<br />

IL PERCORSO<br />

Il cielo, il cielo! Si fa presto a dire.<br />

Lui prima lo guardò per darsi un tono.<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Dopo s’accorse che è meraviglioso.<br />

La ruggine sul riccio di ringhiera,<br />

un topo grigio sbuca da un chiusino.<br />

Un’ortensia sfiorita, una lampada liberty<br />

dai colori scrostati, la siepe ritagliata.<br />

L’ombra del ghirigoro alla parete.<br />

E sulla ruggine il dito di Clara.<br />

Parti da cose piccole, poi torna<br />

alle piccole cose, dopo il volo.<br />

Il volo dove? – chiede – Il volo dentro<br />

te stesso, il volo che non prevedevi:<br />

l’unico che ti può portare fuori.<br />

LEOPARDIANA<br />

Vacciago di Ameno, 15 settembre 2007<br />

Il sedici settembre sessantotto<br />

(era proprio quel giorno, non è un gioco<br />

cretino di assonanze) passeggiavo<br />

sotto la pioggia (pioveva davvero,<br />

non è un’invenzione letteraria)<br />

col Roberto e col Claudio, con la Chiara,<br />

con la Paola e con la Paoletta<br />

lungo la riva del lago, a Baveno,<br />

e lingua mortal non dice<br />

quel ch’io sentivo in seno.<br />

Torino, settembre 1983<br />

Puttane e analisi psicopoetiche<br />

mercoledì 19 settembre 2007, 9.07.43 | molinaro<br />

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Nell’escalation di insulti che c’è stata per tre giorni su questo<br />

blog contro una mia amica (nella sequenza di commenti che ieri<br />

ho necessariamente cancellato) ho notato che si è arrivati, nel<br />

finale, ai termini soliti: zoccola, baldracca, insomma puttana.<br />

Spesso, anche partendo da critiche a comportamenti che non<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Pagina 134 di 200<br />

hanno nessun legame con la sfera sessuale (mi pare che<br />

all’inizio si criticasse l’egocentrismo, egoismo, insensibilità, orgoglio attribuito alla<br />

persona in questione), si arriva lì, alla parola magica, puttana. Sì, se l’insultato è<br />

femmina in genere si arriva lì, sia che l’insultante sia maschio sia che l’insultante<br />

sia femmina. Puttana è l’insulto per eccellenza, il padre di tutti gli insulti per una<br />

donna. Non esiste l’equivalente per un uomo, non esiste un insulto padre di tutti<br />

gli insulti al maschile, e anche questo è significativo. E dire che, quando non<br />

indica un preciso mestiere (e raramente lo indica), puttana significa<br />

semplicemente un comportamento sessuale femminile libero e disponibile: con<br />

un pizzico di provocazione, potrei dire che indica un comportamento normale,<br />

non represso. Allo specchio della morale borghese degli anni Cinquanta, il<br />

decennio in cui sono nato, tutte le donne con cui sono stato in vita mia sono<br />

puttane, senza eccezione alcuna. Oggi molti (non tutti) la pensano un po’<br />

diversamente, per fortuna, ma puttana è rimasta una parola magica nel bene e<br />

nel male. Attira tantissimo. Se questo messaggio fosse stato intitolato Cavolfiori<br />

e analisi psicopoetiche, avrebbe destato molto meno l’attenzione.<br />

Quando un uomo dice puttana la sua voce cambia, succede anche al più<br />

emancipato degli uomini. Ascoltate Via del Campo cantata da De Andrè, meglio<br />

se in una delle prime versioni: Via del Campo c’è una graziosa... Via del Campo<br />

c’è una bambina... Via del campo c’è una puttana... Vi accorgerete che su<br />

puttana la voce cambia, prende un’enfasi diversa, diventa più spessa, s’incrina<br />

leggermente, tradisce qualcosa di indicibile.<br />

La puttana nel senso più profondo del termine è una creatura mitologica; io ne<br />

ho dichiarato esplicitamente l’inesistenza nella poesia Le sgualdrine non esistono<br />

(pag. 163 de La parola rinvenuta). La puttana è il miraggio e il timore di ogni<br />

uomo, è la creatura più desiderata e più odiata, la donna che è libera e<br />

disponibile e dunque inafferrabile, incontrollabile, non catturabile, la donna che<br />

sa farti far bene l’amore, quella che dà realtà al sogno più intimo e<br />

inconfessabile, te lo esplicita e te lo mette in discussione, mescolandosi a esso<br />

con naturalezza. La puttana è il sogno che, uscendo dal cerchio della fantasia<br />

onanista, diventa verità vissuta, ti apre i cassetti dove non hai mai voluto<br />

guardare, scompiglia le carte, ti fa scoprire che il piacere è una cosa che puoi<br />

toccare davvero, fuori dagli ermi meandri del tuo chiuso cervello impaurito –<br />

epperò non ti appartiene, non è un oggetto di tua proprietà. La puttana è la fata,<br />

la creatura phantasy che a un tratto s’incarna, ti dice di essere persona fisica,<br />

libera, reale e indipendente come te, ti dice: Bien, et alors? Che cosa sai fare,<br />

ragazzo? E tu fuggi e la insulti, normalmente.<br />

Vengo all’analisi psicopoetica. Ci sono due mie poesie, scritte entrambe circa<br />

venticinque anni fa, che, messe una accanto all’altra, mi hanno fatto capire<br />

(adesso: non quando le scrissi) alcune cose di me stesso. Una è la già citata Le<br />

sgualdrine non esistono; l’altra è Parabola (pag. 144). Anche se dovreste<br />

comprarvelo, quel cazzo di libro, ve le metterò qui sotto, per comodità.<br />

Poesia come autopsicanalisi un quarto di secolo dopo. Ci ho molto riflettuto<br />

stanotte. In Le sgualdrine non esistono c’è sotto sotto la ricerca (ma già<br />

dichiarata impossibile in partenza, fin dal titolo) di una che mi faccia star bene<br />

sessualmente. Totalmente bene, bene davvero. Questo è il concetto, fra le righe<br />

del testo poetico: la puttanella entusiasta, giovinetta / che si butta in braccio a<br />

cento con allegra / spensierata fiducia, per prurigine schietta / della carne e del<br />

sangue. Ci sono un sacco di aggettivi (e io sono noto per l’avarizia di aggettivi,<br />

pare che ci siano mie intere pagine senza aggettivi – non l’ho mai fatto apposta,<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

giuro): entusiasta, giovinetta, allegra, spensierata, schietta. Il sesso contento, il<br />

sesso vero e contento: eccolo lì il miraggio.<br />

L’altra poesia, Parabola, apparentemente ha un altro argomento, eppure nel<br />

profondo parla della stessa cosa: trovare una realtà di cui innamorarsi, trovarla<br />

fuori da sé stessi, nella vita vera. Ma anche lì si dichiara un’impotente<br />

impossibilità: l’esiliato disperatamente s’innamora (per inciso: è l’unico punto di<br />

tutta la mia produzione poetica e letteraria in cui compare l’avverbio<br />

disperatamente) ma di che cosa? Di un nome di sua lingua su una prora. Ha<br />

aperto gli occhi, è uscito dal guscio, ha trovato un mondo ostile in cui nulla gli<br />

era domestico, ha viaggiato, è giunto in un porto straniero, ma «per<br />

innamorarsi» cerca qualcosa che appartiene ancora al luogo della partenza, che è<br />

irreale (l’anima dipinta altrove, dunque fuori dalla vita vissuta, dallo spazio e dal<br />

tempo).<br />

<strong>Qui</strong>ndi, nella mia auto-psicanalisi, vedo che con quelle due poesie un quarto di<br />

secolo fa dichiaravo, nel profondo, che non esiste la donna e non esiste l’amore.<br />

E adesso, oggi, come la vedo la questione? In divenire, in divenire! Ma ne<br />

parleremo un’altra volta forse.<br />

Dopodiché, le poesie sono poesie, sono testi letterari che hanno il loro valore in<br />

sé (Parabola è anche nella breve silloge che mi valse il Premio Montale che<br />

l’amico Cesare cita continuamente!), e lasciamole stare, sono arte e non<br />

psicanalisi. Però credo di aver cominciato a star meglio quando ho cominciato a<br />

capire che la donna esiste nella realtà e non solo nel sogno (affanculo gli<br />

stilnovisti!), e che ci si può innamorare anche di qualcosa/qualcuna che non sta<br />

nella tela dipinta dalla mia fantasia. Anzi, è solo così che è davvero un<br />

innamorarsi – e non un narcisistico triste solitario specchiarsi. Buona giornata,<br />

gente, e non scrivetemi più insulti fra di voi sul blog, tanto più adesso che avete<br />

capito che nella mia Weltanschauung «puttana» è una sublime qualità!<br />

LE SGUALDRINE NON ESISTONO<br />

Se qualcuno conosce una sgualdrina,<br />

una puttanella,<br />

me la presenti! Ma che sia vera e bella.<br />

Ho cercato per anni. Ho creduto alla gente:<br />

«Quella! La sgualdrinella!» – e sono andato<br />

ogni volta a vedere, ma ho trovato solo<br />

qualche ragazza un po’ nervosa, non facile<br />

nemmeno da discorrere o abbracciare,<br />

reduce da pochi amori complicati.<br />

Ho cercato per anni. Ho creduto ai libri:<br />

e ho rastrellato gli ambienti e le categorie<br />

ivi raccomandate: cameriere, postine,<br />

damigelle annoiate, ragazzette cresciute<br />

a strada e osteria, segretarie scosciate.<br />

Non ho trovato niente: normalissime donne<br />

che s’arrangiano gli interessi loro<br />

come tutte, con i progetti e pochi maschi.<br />

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Pagina 135 di 200<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Ma la puttanella entusiasta, giovinetta<br />

che si butta in braccio a cento con allegra<br />

spensierata fiducia, per prurigine schietta<br />

della carne e del sangue, non esiste.<br />

È un’invenzione popolare e letteraria.<br />

(Che peccato, però! Che squallore!)<br />

PARABOLA<br />

L’anima mia è un quadro che dipinsi<br />

ad occhi chiusi in un tempo che non so,<br />

e il soffio della terra ne ha fissato<br />

piano piano i colori.<br />

Il bimbo tenne il braccio<br />

ripiegato sul volto, perché i bimbi<br />

hanno paura. Ma l’uomo, più forte,<br />

osò aprire le mani e guardare.<br />

Allora quasi nulla che domestico<br />

mi fosse io vidi. Solamente, a volte,<br />

un suono un volo un arco una fanciulla<br />

trovo che già conobbi<br />

alla mia tela, forse<br />

quando ancora ero altrove.<br />

E disperatamente m’innamoro:<br />

come l’esiliato quando legge<br />

all’improvviso nel porto straniero<br />

dove cammina pensoso fra gli odori<br />

un nome di sua lingua su una prora.<br />

URLARE<br />

giovedì 20 settembre 2007, 10.22.15 | molinaro<br />

Pagina 136 di 200<br />

Mi è venuto in mente all’improvviso stamattina. Ero al secondo anno d’università, poteva<br />

essere l’autunno-inverno del 1973. Uscivo dall’aula di un corso affollato – ma non ricordo<br />

che materia fosse. In corridoio una mia compagna di corso, una ragazza alta, un po’<br />

«cavallona», di cui non ricordo il nome (forse Carla, ma non sono sicuro), mi disse<br />

all’improvviso: «Ma a te non viene mai voglia di urlare?». All’epoca la mia risposta, timido<br />

e chiuso com’ero, fu un mezzo sorriso d’incerto assenso, forse del tutto invisibile. Ma le<br />

rispondo adesso, in leggero ritardo, e la risposta è «sì». Ho voglia di urlare.<br />

Sono rimasto seduto nel prato, mentre gli altri che lodavano la libertà dei prati hanno fatto vite ben diverse e lontane,<br />

mi hanno lasciato lì scusandosi con il dire «scherzavamo» (vedi la poesia qui sotto, scritta nel 1984, a pag. 137 del<br />

solito libro); ho trovato altre compagnie, altre vie, altre donne; ho fatto esperienze così belle che non le avrei sperate<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

a vent’anni. Non è che la mia vita faccia schifo. Devo lavorare molte ore al giorno per un pugno di euro, ma non sarò<br />

certo l’unico. Abito da solo, ma è stata una mia scelta che non rinnego. Scrivo, vivo, conosco, talvolta amo, talvolta<br />

persino sono amato. Ho 54 anni e quasi tutte dicono che potrei dichiararne almeno una decina in meno. Toccando<br />

ferro, finora ho goduto di discreta salute, in casa non ho nessun medicinale (cosa che stupisce molti, quasi quanto<br />

l’assenza del televisore e del forno). Frequento amiche e amici giovani e simpatici, che vedo abbastanza spesso.<br />

Pubblico poesie qua e là, partecipo a varie cose di letteratura. Ho due splendidi figli e due nipotini. I miei rapporti<br />

umani sono infinitamente migliori oggi che quando avevo venti o trent’anni.<br />

Eppure. Eppure. Ho una voglia tremenda di urlare. E non urlo.<br />

LA CELIA<br />

All’uomo seduto nel prato tornarono poi,<br />

una sera, i vecchi compagni dell’adolescenza,<br />

e fra i bicchieri gli fecero un discorso, dicendo:<br />

«Noi si celiava. Credevamo che tu lo sapessi.<br />

Non si può vivere tutta la vita da randagi.<br />

Tutti noi già da tempo ci siamo trovati un lavoro<br />

e abbiamo case decenti e buone mogli e figlioli».<br />

L’uomo guardò l’erba fervida d’insetti<br />

che il sole bagnato del tramonto lustrava di rosa morente,<br />

rispose: «Venite pure a trovarmi, qualche volta»<br />

I marinai se ne innamoreranno<br />

sabato 22 settembre 2007, 11.18.07 | molinaro<br />

Mi fa male il braccio destro, specie il gomito. Forse saranno le<br />

dodici ore al giorno passate ultimamente a zompettare fra topo<br />

e tastiera, forse ho trasportato borse un po’ troppo pesanti,<br />

forse il nipotino tenuto sull’avambraccio, forse le due ore di<br />

massaggi a C. a scioglierle i nodini dei muscoletti, forse qualche<br />

telefonata troppo lunga con il cellulare tenuto all’orecchio, forse<br />

le seghe, forse che ho provato a sollevarmi attaccato alla sbarra di un’altalena,<br />

forse i primi acciacchi dell’età, forse qualche orrenda malattia all’articolazione,<br />

forse uno strappo che non me ne sono accorto, forse niente, comunque mi fa<br />

male il braccio destro e devo pur comunicare questa strabiliante notizia<br />

all’universo. Ciò non mi ha impedito di scrivere stamattina questa specie di<br />

poesia sottostante. Buon sabato.<br />

I MARINAI SE NE INNAMORERANNO<br />

Daresti la vita per le cose a cui tieni. Ne sei certa? E per la vita<br />

che cosa daresti? Cosa sono le cose? Le cose t’hanno fatto<br />

del male, lo sai. Resti come Felicita in un verso di Gozzano<br />

in campagna, ma la villa non è più ridente o mai lo è stata<br />

(s’inventano i poeti tante cose): c’è un angolo ambiguo<br />

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Pagina 137 di 200<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

in ogni casa, c’è un orco che passa vicino al paradiso:<br />

non ti mangia, soltanto ti sussurra: non è vero, non è vero.<br />

Gli orchi non sono gli stupidi bestioni delle fiabe popolari:<br />

ci sanno fare, gli orchi. Tu impaurita da naufragi immaginari<br />

ti domandi se t’ama davvero il marinaio reduce da traversate<br />

negli oceani che tu non solcherai. Passerà la nottata. Ma tu<br />

guarda bene dentro la luce del mattino, che è sincera e disegna<br />

un paesaggio diverso da quello dei tuoi sogni notturni.<br />

Un paesaggio più bello – tu ora, lo so, non ci credi – più bello<br />

di quelli dei sogni. Il sogno è come una mamma<br />

premurosa e apprensiva: ti svezza, ti prepara, t’insegna<br />

a conoscere le forme elementari – ma poi è gelosa<br />

e non vuole che tu parta, si fa triste se tu parti. Se tu parti<br />

ti sentirai cattiva per un giorno. Se non parti<br />

diventerai ogni giorno più cupa e cattiva. Non c’è<br />

peggior naufragio che il naufragio immaginario.<br />

Daresti la vita per le cose a cui tieni: a vivere non tieni?<br />

Io non sono nessuno per sputare consigli ma vorrei<br />

consigliarti lo stesso: non sognare di dare la vita<br />

per qualcosa o qualcuno: mettiti bene sveglia e dai la vita<br />

per la tua vita: sarà la tua vita qualcosa e lo sarà<br />

per te e per qualcuno. I marinai se ne innamoreranno.<br />

Senza titolo<br />

sabato 22 settembre 2007, 16.19.49 | molinaro<br />

DUE PASSI<br />

Oggi mi è arrivata nella mente e nella penna un’altra poesia. Così metto<br />

anche questa nel blog. Non che sia obbligatorio mettere nel blog una<br />

poesia appena la scrivo. Infatti non sempre lo faccio. Ma adesso sono<br />

qui, al computer, ci devo lavorare ancora, mentre fuori è un così bel<br />

pomeriggio, e allora mi viene voglia, e ce la metto. Perché poi è questo,<br />

è la voglia, no? Che altro?<br />

Non penso che i giovani d'oggi non abbiano valori. Semplicemente penso<br />

che noi siamo troppo affezionati ai nostri, di valori, per capire quelli dei<br />

giovani. Che avranno a loro volta modo di farsi valere.<br />

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(Fabrizio De Andrè, intervistato dopo un concerto a Roma nel 1998)<br />

Pagina 138 di 200<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Che accade, infine? Ti prendo una mano<br />

o neppur questo: ti guardo e capiamo<br />

che è molto più lunga la muraglia<br />

di quel che si può andare in una vita:<br />

nessuno può abbracciare con lo sguardo<br />

un orizzonte completo; le tracce<br />

dei sentieri cercavano qualcosa<br />

che s’è perso come si perderà<br />

ciò che cerchiamo noi. Però la terra<br />

è benevola al nostro balbettare<br />

parole nuove, al nostro entusiasmarci<br />

d’una scoperta piccola, al brillare<br />

così breve degli occhi che s’incontrano<br />

nel chiaro dolce, prima che sia sera.<br />

Fedeli estremisti<br />

lunedì 24 settembre 2007, 11.15.11 | molinaro<br />

Pagina 139 di 200<br />

Tranquilli, non sto per parlare dei soliti estremisti islamici (o cattolici). No, restiamo nel<br />

campo delle cose d’amore, insomma di quella cosa fra donne e uomini. Una mia giovane<br />

amica, o fidanzata, insomma una mia giovane amica con cui talvolta si fa l’amore, qualche<br />

tempo fa ha conosciuto un ragazzo su internet (proprio qui, in questo ambito di blog e di<br />

<strong>Libero</strong> Community). Dopo un po’ di messaggi hanno deciso di vedersi e si sono visti. E si<br />

sono anche trovati bene. Ottima cosa! È sempre un’ottima cosa quando un po’ di questo<br />

virtuale in cui sguazziamo diventa reale. Io spero sempre che mi succeda. Sennonché, il ragazzo in questione, fin dal<br />

primo giorno ha cominciato a smaniare e protestare, appena venuto a conoscenza del fatto che lei ha un altro, anzi<br />

alcuni altri. Le ha detto bruscamente: «Devi scegliere. Non voglio solo le briciole di te».<br />

Io questa faccenda che bisogna scegliere (e dunque escludere, recidere, amputare, mutilare la propria - e in fondo<br />

anche l’altrui - vita) non l’ho mai bene accettata, neppure in un matrimonio; e so di essere poco capito e molto<br />

criticato perciò, ma non so che farci. Però insomma, in un fidanzamento ufficiale, in un matrimonio, sono abituato a<br />

che il problema venga posto (che io lo accetti o no).<br />

Ma è mai possibile che una cosa del genere avvenga pure al primo incontro con una ragazza conosciuta su internet?<br />

Cioè, succede che trovo una che può piacermi, e io piacere a lei, così sembra da qualche messaggio scambiato; ci si<br />

manda qualche mail; poi ci si telefona; poi le propongo di vederci e lei accetta; poi la vedo e ci si piace. Accidenti, ma<br />

quando succede una cosa del genere io sono al settimo cielo, e l’ultima, ma proprio l’ultimissima cosa che mi<br />

verrebbe in mente sarebbe imporre dei limiti, pretendere scelte, cominciare fin da subito a creare problemi! Ma siamo<br />

pazzi?<br />

Se una ragazza mi piace, se addirittura sono innamorato di lei, subito (ma anche dopo) ciò che desidero è che si stia<br />

bene insieme, che ci si dia qualcosa di buono, abbracci carezze sesso sensazioni affetto piacere vicinanza comunione<br />

conforto intreccio d’anima e corpo, tutte le cose belle fra una donna e un uomo. Che lei dia le stesse cose anche a un<br />

altro, o ad altri, non rientra fra le mie preoccupazioni. Ciò che conta è quello che scambia con me; se lo scambia<br />

anche con altri, vuol dire che ne è capace, che ha spazio libero, che forse ama la vita e le persone. Accidenti, se dico<br />

di me stesso che «sono vasto, contengo moltitudini», non sarò così egocentrico da non poter pensare che anche lei «è<br />

vasta, contiene moltitudini».<br />

Per me è così. Ora, lo so bene che il mio discorso è poco condiviso in tanti rapporti «di coppia», fidanzamenti,<br />

matrimoni e simili. Ci sono abituato. Ma che l’estremismo del possesso fedele esclusivo salti fuori già al primo<br />

incontro, questo sinceramente mi stupisce. Non ci vedo nessun germe d’amore. Ci vedo un egoismo invadente che<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

travolge tutto fin dall’inizio.<br />

Bah! Poi, più conosco gente, più mi rendo conto che gli uomini sono peggio delle donne. Qualche ragazza capace di<br />

condividere serenamente un uomo con altre donne l’ho trovata. Non una moltitudine, ma ne ho trovate. Uomini<br />

capaci di condividere serenamente una donna con altri uomini, uhm, fatemi pensare... ecco... no, beh, sembrava...<br />

però... oh, sì, insomma, qualcuno ce ne sarà, ma non me ne viene in mente nessuno.<br />

Detto poi per inciso: l’amore che mi dà l’amica-fidanzata di cui sopra, quella che il tal ragazzo non vuol condividere,<br />

io non lo definirei mai «briciole». Accade di rado fisicamente, anche per ragioni pratico-logistiche, ma nel pensiero è<br />

una presenza quotidiana, ed è importante. Per me è importante.<br />

Strane cose. L’ultimo amore fulminante-passionale ricambiato che ho avuto (ormai qualche anno fa) era pure quello<br />

condiviso (lei aveva qualcun altro) ma è stato assolutamente meraviglioso e lo colloco fra le cose migliori della mia<br />

esistenza. Oggi c’è un amore più pacato e profondo (ma non privo di passione) che mi sta prendendo via via di più, e<br />

anche lì ci sono condivisioni. E poi c’è tutto il resto. E poi si vedrà, domani è un altro giorno. Il braccio mi fa un po’<br />

meno male, devo finire diversi lavori. Buona settimana a tutti!<br />

Le «famose» mie lettere ai giornali<br />

lunedì 24 settembre 2007, 21.39.43 | molinaro<br />

Una volta scrivevo molte lettere ai giornali. E me ne pubblicavano molte, anche più di<br />

cinquanta all’anno. Soprattutto su Stampa, Repubblica e Manifesto, e poi su Cuore e sul<br />

Vernacoliere, e occasionalmente altrove. Nell’immagine ne vedete una pubblicata su Cuore<br />

che creò un po’ di scompiglio, eufemisticamente parlando. [Molto dolorosa per me.] Sì, per<br />

una ventina d’anni (anche di più) almeno cinquanta lettere pubblicate all’anno, fa... mille<br />

lettere pubblicate? Sì, si potrebbe fare un libro, ma non so se sarebbe poi così interessante.<br />

Io non potrei curarlo, comunque, perché quasi tutte quelle lettere le ho perse: sono un pessimo conservatore delle mie<br />

cose, così come Avellaneda è una pessima incitatrice di vita (questa è una frase criptata che credo possa capire solo<br />

una persona al mondo, una persona che purtroppo non vedo da tanto). Bisognerebbe andare a spulciare negli archivi<br />

dei giornali o nelle biblioteche, con pazienza, giornale per giornale, una ventina di annate e più, e raccogliere le<br />

lettere. Se io fossi molto famoso, lo potrebbe fare un volenteroso studente per una tesi di laurea: «La componente<br />

grafomaniaca in Carlo Molinaro: una vita di lettere ai giornali. Consonanze e dissonanze con la produzione poetica.<br />

Alcuni appunti» (alcuni appunti fa sempre figo in fondo a un titolo, agli accademici fa venire un orgasmo). Ma non<br />

sono famoso, e niente tesi! Però è stato divertente scrivere quelle centinaia e centinaia di lettere su di tutto un po’.<br />

Una sul Vernacoliere, mi ricordo, era intitolata Viva le troie; una su La Stampa proponeva l’abolizione del sistema<br />

contributivo per le pensioni e l’assegnazione di mille euro al mese a chiunque avesse compiuto sessant’anni,<br />

indipendentemente da che cosa avesse fatto o versato nella vita: égalité almeno nella vecchiaia. E via farneticando!<br />

Oh, ma ogni tanto ne scrivo ancora, eh! Di meno, ma ne scrivo ancora.<br />

Calipso<br />

giovedì 27 settembre 2007, 1.17.12 | molinaro<br />

DISCORSO DI CALIPSO<br />

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Pagina 140 di 200<br />

Che cosa si può fare quando ci si è alzati alle sei del mattino, si è<br />

lavorato tutto il giorno, e si è smesso di lavorare verso mezzanotte? Si<br />

potrebbe per esempio andare a dormire. Ma invece a me stanotte è<br />

venuta questa poesia, e non potevo non scriverla. E già che l’ho scritta,<br />

ve la metto qui. E poi, per le due e mezzo, a dormire ci vado davvero.<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Mi parli ancora d’Itaca, vorresti<br />

prendere il mare per tornare a casa<br />

– ma quale casa, Ulisse? Non rimane<br />

intatto ciò che tu lasciasti, giovane,<br />

su quella striscia di terra scoscesa:<br />

e se l’isola pure, per miracolo<br />

fosse la stessa, non ritroveresti<br />

nulla del paesaggio che ha dipinto<br />

l’inquieta fantasia per le stagioni<br />

del lungo viaggio fra le meraviglie:<br />

la tua Itaca è il sogno che hai sognato,<br />

è la tua creatura, il desiderio.<br />

Racconteranno ch’io volessi offrirti,<br />

per trattenerti, l’immortalità.<br />

Fandonie di giullari che non sanno.<br />

T’offro solo un amore, vedi: sono<br />

fatta di carne che tu puoi toccare,<br />

di cuore che alle tue carezze balza,<br />

d’anima che s’affaccia agli occhi e ride<br />

se tu sorridi, di vulva che s’apre<br />

umida quando tu vuoi penetrare.<br />

Io sono vera, Ulisse: tu mi temi<br />

per questo: tu non sai fare battaglie<br />

d’amore o d’altro nella realtà:<br />

ti muovi bene solo nel tuo mito.<br />

Itaca è il tuo pretesto, navigare<br />

è la tua fuga. La sposa fedele<br />

è la tua maschera: copre di bronzo<br />

sonante la tua angoscia e la paura<br />

di vivere e rischiare. Sei un vile,<br />

re di tempeste, astuto giocoliere<br />

che ti nascondi in un trucco di scena!<br />

Ma io ti amo. Se tu partirai<br />

verrò con te, che piaccia o no agli dei:<br />

ti seguirò discreta, sarò l’ombra<br />

delle tue ombre, sarò l’improvviso<br />

dubbio, sarò la mano che per sbaglio<br />

tu toccherai e sentirai toccare<br />

fuori dal cerchio: dove vita è vita<br />

e morte è morte e l’amore è amore.<br />

Allora baceremo la petrosa<br />

Itaca, e belli sì, belli da piangere.<br />

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Pagina 141 di 200<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Secondo discorso di Calipso<br />

venerdì 28 settembre 2007, 17.20.04 | molinaro<br />

Al discorso di Calipso, Ulisse ha risposto. Non possiamo trascrivere qui tutta la risposta di<br />

Ulisse, un monologo lungo e intenso: avremmo bisogno del suo permesso scritto e non<br />

sappiamo come fare; le procedure della Siae per i testi provenienti dai Campi Elisi (o Isole<br />

dei Beati) e più in generale dai Regni dell’Oltre non sono ancora ben definite (ma ci stanno<br />

lavorando: non vogliono mica rinunciare a spremere diritti anche da lì, oltre che dalle letture<br />

di poesie benché inedite e dai balli al palchetto!) e quindi soprassediamo. Ma di come ha<br />

risposto Ulisse ci sono tracce comprensibili nella replica di Calipso; e questo secondo discorso di Calipso invece lo<br />

possiamo mettere qui tranquillamente.<br />

SECONDO DISCORSO DI CALIPSO<br />

Navigatore bambino! Ti spaventa<br />

trovarmi bella subito in quest’isola<br />

troppo bella – e dici che nessuna<br />

(delle tue donne avute, innumerevoli)<br />

s’è mai offerta d’esserti compagna<br />

nel viaggio – e ti ripari col propormi,<br />

in vece tua, l’equipaggio intero<br />

della tua nave, uomini valenti<br />

per le mie bramosie – quasi io fossi<br />

una puttana da sbarco. In compenso<br />

ti chiedi come io possa volere<br />

un povero guerriero come te – e dici:<br />

«Niente in me è delicato, niente è degno<br />

d’amore sconsiderato». Bambino!<br />

Bambino! Hai navigato mille mari<br />

e non hai visto mai l’amore in faccia.<br />

Non ha padroni il cuore, non c’è siepe<br />

a limitare l’anima. Nessuno<br />

può comprare né zefiro né ostro:<br />

la dolce brezza soffia quando soffia<br />

e cessa quando cessa. Se io t’amo<br />

ti posso accompagnare in ogni luogo.<br />

Oh quanto grande è l’infinito e quanto<br />

è grande il vuoto dentro l’infinito!<br />

Per questo ci si lega a qualche bitta<br />

d’un qualsiasi molo, a un sagomarsi<br />

claudicante, al bagliore smerigliato<br />

d’un calore possibile in un uscio.<br />

Non sono una vestale, marinaio,<br />

non la vergine sacra a qualche altare:<br />

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Pagina 142 di 200<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

potrei davvero prendere lussuria<br />

da tutta la tua nave questa notte.<br />

Ma domattina ancora ti direi<br />

che se tu parti io parto, perché t’amo.<br />

Bambino immortalato nel poema,<br />

uomo grande, di te non sanno nulla<br />

gli aedi né i compagni né le donne<br />

né tu stesso. Deponi lo scudo,<br />

non difendere il tuo ruvido petto<br />

dall’abbraccio della fragile mia spalla,<br />

dal tepore della mammella candida.<br />

Sarà la prima volta d’una gioia<br />

non recitata a mente – non dovrai<br />

vergognarti se come un ragazzino<br />

imberbe sentirai i tuoi occhi piangere.<br />

Musica genovese<br />

sabato 29 settembre 2007, 2.30.06 | molinaro<br />

Un premio! Ho vinto un premio organizzato a Genova dal Teatro della Tosse per un testo da<br />

musicare. Raccoglievano la scorsa estate in giro per la Liguria testi poetici musicabili, e poi<br />

ne sceglievano uno. E hanno scelto il mio! Poffarbacco! Domenica 30 sulle pagine genovesi<br />

di Repubblica ci dovrebbe essere un articolo a riguardo. Il mio testo sarà stampato sul<br />

programma della nuova stagione del Teatro, e poi avrò la possibilità di lavorare con qualche<br />

valente musicista per musicarlo, o per imparolare una musica loro, o insomma per provare a<br />

fare una o più canzoni, si vedrà. Sono contento! È la prima volta che Genova ricambia il mio amore letterario con un<br />

premio o qualcosa del genere. [Il mio amore-amore l’aveva già ricambiato con i baci di Marì, che valgono più di un<br />

Nobel, anche se stanno ormai nel passato, e da allora il Polcevera e il Bisagno, e anche il Leiro, e pure il Letimbro, ne<br />

hanno buttata d’acqua a mare, e con l'acqua qualche sogno, ma non tutti.] Sono contento e ringrazio chicchessia, gli<br />

organizzatori, la tosse, la repubblica, gli amici che mi hanno fatto avere il bando, il chebabaro di via del Campo e<br />

anche le due ispiratrici del testo, cioè la Luna e la Chiara. Il testo insomma è questo qui sotto. Se poi alla Luna di<br />

Chiara preferite il Chiaro di Luna, fate voi!<br />

LUNA DI CHIARA<br />

Luna di gesso, luna di cartone,<br />

luna di vetro in posa su un bancone,<br />

luna tolta da un cielo sempre caldo,<br />

luna venduta nei negozi in saldo.<br />

Luna rinfusa, luna paccottiglia,<br />

luna che non ce n’è che ti somiglia,<br />

luna-Taiwan spacciata come rara<br />

– no, non è questa la luna di Chiara.<br />

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Pagina 143 di 200<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Luna di Chiara non l’avete vista:<br />

da troppi inverni la tiene nascosta:<br />

non è di plastica né cartapesta:<br />

è viva, cresce, lo spazio non basta.<br />

Luna di Chiara è luna sottile:<br />

può lacerarsi fra il ponte e le vele:<br />

ruba lo specchio all’orgoglio del sole:<br />

c’è chi s’inquieta, chi imbraccia il fucile.<br />

Luna di Chiara è vergine cauta:<br />

non la calpesta nessun astronauta.<br />

Luna di Chiara è astuta bagascia:<br />

non fa capire se prende o se lascia.<br />

[Lo so che quella nell'immagine non è Genova, è Savona. Embè?]<br />

L'articolo sul concorso di Genova<br />

domenica 30 settembre 2007, 8.07.13 | molinaro<br />

Oggi è apparso sulle pagine genovesi di «Repubblica» l'articolo sul concorso poeticantautori,<br />

lo potete vedere (spero) cliccando qui. Un bell'articolo, c'è il testo della<br />

poesia, c'è la storia del concorso, ci sono le motivazioni della giuria. Secondo<br />

Giorgio Calabrese, membro della giuria e decano della scuola dei cantautori<br />

genovesi, mi sono meritato il podio anche perché ho osato parlare in termini nuovi<br />

di «Selene, giovane e bella come la raffigurano gli artisti» (vedi nell'articolo). Nel<br />

mondo ci sono strane misteriose corrispondenze di senso, a volte penso che tutti noi, anche quando<br />

perfetti sconosciuti, siamo collegati da un destino, per quanto capriccioso e dispettoso esso sia. Buona<br />

domenica!<br />

Cosette belle<br />

lunedì 1 ottobre 2007, 12.43.39 | molinaro<br />

Sabato scorso ho visto un bello spettacolo, fatto da un gruppo che si chiama Officina 04 e<br />

agisce in campo teatrale e più in generale artistico. Lo spettacolo si intitola Ercole<br />

Saviniano signore di Bergerac ed è liberamente tratto da Cyrano de Bergerac di Edmond<br />

Rostand. Lo allestiscono nei posti più svariati, e il pubblico segue gli attori in diversi<br />

ambienti. Sabato sera la cosa è avvenuta sulle scalinate della basilica di Superga. Molto<br />

emozionante. Bravo Cyrano (Saulo Lucci) e bravi tutti. Guardate chi sono, quello che fanno<br />

e quello che hanno in programma, sul loro sito. E poi in tema di cose belle ascoltatevi anche questo Guccini. E poi<br />

stanotte ho dormito tre ore scarse, per finire un lavoro, e adesso esco un po’ all’aria, che se no divento muffa da<br />

computer, e la muffa non mi piace. Fosse almeno la mussa!<br />

L'arte e la fica<br />

lunedì 1 ottobre 2007, 17.57.15 | molinaro<br />

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Quando sono uscito di casa, sarà stato un’ora fa, ho fatto due passi, ho comprato tre cachi e<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

due pere (sia i cachi sia le pere di provenienza romagnola), poi mi sono seduto al tavolino di<br />

un bar, ho preso un caffè d’orzo (cioè un orzo: cosa c’entra il caffè?) in tazza grande, ho scritto il mio nome e la data<br />

di nascita sull’abbonamento mensile del tram di ottobre (bisogna farlo!) e ho scritto anche una poesia. La poesia<br />

adesso è su un foglietto, e penso che la trascriverò qui. Così, tanto per fare qualcosa. Direi che si ricollega al grande<br />

ciclo delle mie poesie sulla fica, la saga vulvocentrica presente soprattutto nei libri jokeriani, da Allo sbocco del<br />

vortice fino a Entro incerti limiti (ma adesso è tutto raccolto nel famoso librone La parola rinvenuta). La fica a volte<br />

è una sineddoche, a volte è un’aura, a volte è un soffio, a volte è Demetra, a volte è terra, è odore animale – a volte è<br />

semplicemente fica.<br />

L’ARTE E LA FICA<br />

Distinguere l’arte dalla fica,<br />

Cesare, non lo so se è cosa d’arte<br />

né cosa fica. Già il verbo distinguere<br />

si distingue per ambiguità: il distinto<br />

signore è quasi sempre un indistinto<br />

puttaniere che ha i soldi per pagare<br />

e disprezzare. So che qualche fica<br />

è artefatta – e forse qualche arte<br />

è ficafatta. Se scrivo una poesia<br />

d’amore, sì, d’amore in senso semplice,<br />

l’amore che intendiamo noi giullari<br />

– non dico Cristo o Gandhi o i santi màrtiri<br />

e non dico nemmeno Che Guevara –<br />

dico per una donna: la cosa che fa scrivere<br />

è che vorrei la fica di colei.<br />

Poi certo, certo, certo, si capisce,<br />

non solo quella: c’è l’anima, lo sguardo,<br />

c’è viaggiare una sera, c’è stupirsi<br />

d’un suo passo o d’un gesto. Ma la fica<br />

comunque la vorrei ogniqualvolta<br />

scrivo versi d’amore con arte<br />

per una donna. Distinguere dunque<br />

non è poi così facile – direi:<br />

non è poi necessario. L’arte c’è<br />

quando c’è. La fica uguale:<br />

c’è quando c’è. Sia l’arte sia la fica<br />

si possono cercare ma sia l’una<br />

sia l’altra non si lasciano trovare<br />

quando vuoi tu, ma solo quando accade.<br />

E così me ne sto con la mia luna<br />

adolescente e non distinguo niente.<br />

Bloganotte<br />

lunedì 1 ottobre 2007, 22.46.28 | molinaro<br />

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Pagina 145 di 200<br />

Stasera voglio andare a letto presto, insomma prima di mezzanotte. Ma ho ancora voglia di<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

scrivere due righe. Scriverle qui. Sono quasi quattro mesi che questo blog esiste. È nato per<br />

caso, un pomeriggio, mi pare, senza nessuna premeditazione. Non ho neppure esagerato nel domandarmi a che cosa<br />

serve. Adesso ho visto che ci sono blog molto specialistici, che trattano un determinato argomento; blog di immagini,<br />

blog letterari, blog che scelgono una linea, un tono. Poi ci sono i blog di puro cazzeggio, ciao buona notte, oggi ho<br />

fatto questo e quello, sono triste sono allegro, un saluto a te, uno anche a te.<br />

Il mio blog è un po’ tutti quei blog e un po’ nessuno. Forse è un po’ originale (se mi consentite di dirlo): già dal modo<br />

di porsi, intitolato Carlo Molinaro, che sono io e non uno pseudonimo, e con i collegamenti al sito letterario e a<br />

quello di lavoro dove trovate pure l’indirizzo di casa e il telefono: ne esisteranno sicuramente (non ho vagato per tutta<br />

la rete), ma fino a oggi non ho trovato nessun blog così diretto, così aperto. Non dico che sia un pregio, e neppure un<br />

difetto: è come è: a me è venuto di farlo così.<br />

Nei messaggi di questo blog ci può essere una mia poesia (questo è un caso abbastanza frequente), magari appena<br />

scritta, o più raramente presa da un mio libro di anni fa. Qualche volta, una poesia altrui, una segnalazione, il<br />

racconto di uno spettacolo visto (come il Cyrano di sabato scorso), la cronaca di un episodio, la storia di una giornata<br />

fra amici o di una festa.<br />

Certo, non c’è omogeneità: c’è di tutto un po’. È un salottino dove racconto qualcosa a caso a chi passa per caso (un<br />

salottino aperto, si entra anche senza bussare, senza doversi vestire in un certo modo e senza portare i cioccolatini) e<br />

dove, anche se non frequentissimamente, qualcuno racconta qualcosa a me, lasciando un commento. Non offro<br />

pasticcini, al massimo qualche verso che talvolta a qualcuno può piacere, e allora sono contento se è un regalo.<br />

E così si va avanti. Stasera mi sento di andare sul personale – come sempre, si dirà – ma ancora un po’ di più. Sono<br />

giornate in cui lavoro molto e arrivo a sera stanco, e sono lavori tirati, ingarbugliati. L’editoria. Molti quasi me la<br />

invidiano: eh, tu lavori nell’editoria. Sì, ragazzi, ma faccio il redattore, l’editor, mica il direttore editoriale. Pasticcio,<br />

preparo, rimescolo e rattoppo testi altrui. Trovate che sia poi così una meraviglia? A me piace scrivere in proprio, ma<br />

per quello non mi paga nessuno. La paga dell’editor è scarsa, io per fortuna non sono un consumista, compro<br />

pochissime cose, quasi niente, eppure spesso mi trovo in difficoltà.<br />

Se qualcuno ha sottomano un lavoro da offrirmi, un lavoro qualsiasi, sì insomma non dodici ore in miniera, ma che<br />

ne so, stare mezza giornata a dare informazioni a uno sportello (non proprio a lui: alle persone che vi si affacciano,<br />

intendo), consegnare pacchi, lucidare maniglie, vendere biglietti, o una portineria con un orario ragionevole, o aiutare<br />

in un negozio, insomma come dicono negli annunci qualsiasi lavoro purché serio (anche non serio, ma un po’<br />

regolare: contratto, contributi), me lo proponga che lo valutiamo. Mica voglio l’oro e i diamanti, a me 999 euro al<br />

mese netti sarebbero manna, quanto cazzo credete che si guadagni con l’editoria? Non sto scherzando. <strong>Libero</strong> a<br />

partire dal 1° dicembre, diciamo, perché i lavori editoriali che ho in corso li devo finire, mantengo sempre gli<br />

impegni presi.<br />

A proposito di lavoro: domani una mia carissima amica, una a cui voglio molto bene, comincia una supplenza in una<br />

scuola media. So che è il lavoro che le piace, e le auguro che miracolosamente duri tutto l’anno, anche se è difficile.<br />

E adesso vado a dormire, e auguro la buona notte a tutti: a mia figlia con la sua famiglia, a mio figlio, alla mia ex<br />

moglie che fra un mese si risposa, a mia madre che è vecchia (ma poi in fondo ha solo 23 anni più di me), a mia<br />

sorella, agli amici, Cesare, Mac, Marco, Livio, Fabio, Franco quello di Torino e poi chi non mi viene in mente<br />

adesso, alle amiche, Malvina, Claudia, Chiara la Vecchia (in senso pliniano), Alice, Gabriella e poi chi non mi viene<br />

in mente adesso, a quelle che un po’ sono amiche e un po’ le amo e un po’ mi amano (alcune) oppure no, ci sono<br />

situazioni variegate, Clara, Romina, Chiara la Giovane (sempre in senso pliniano), Antonella, alle desaparecidas,<br />

Federica, Elisa, alle ex fidanzate ancora amiche, Grazia, Diletta, Sandra, Claudia la prima, Francesca, alle ex<br />

fidanzate non più amiche, Marì, Valentina, Chiara quella di mezzo (variante pliniana aggiuntiva), Anna, Angelica,<br />

Tiziana, a quelle con cui si è fatta solo una scopata una volta, Silvana, Assunta, Paola, a quelle con cui ci ho solo<br />

provato (qui i nomi sono troppi) e via dicendo, sarebbe molto complesso dare ogni sera a tutti la buona notte. E se<br />

arriva anche di là, buona notte a mio padre, alla zia Rina, a Monica, a Franco quello di Celle Ligure e al Vispo.<br />

Se vado avanti così finisce che faccio tardi anche stasera, meglio concludere. Che sia una buona notte per tutti.<br />

Mi sa che stavolta ho fatto del blog un uso proprio scemo. Ma chi se ne frega. Buona notte.<br />

Le bolle e l'acciaio<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

mercoledì 3 ottobre 2007, 13.46.42 | molinaro<br />

Oggi nella breve pausa dal lavoro che mi sono concesso per l’ora<br />

di pranzo ho mangiato mozzarella e pomodoro e ho scritto una<br />

poesia. La mozzarella e pomodoro non posso condividerla<br />

vobiscum, la poesia sì. Il medico dice che forse dovrei prendere un<br />

quarto di compressa al giorno di Atenololo, per la pressione alta.<br />

Però io ho un’altra teoria: non sarà che ho la pressione alta (non<br />

drammaticamente, però un po’ alta sì) perché faccio cose sotto pressione per circa<br />

20 ore al giorno? Forse è lì che devo agire, più che farmacologicamente. Vabbè.<br />

Oltre tutto Atenololo è un nome così cretino, sembra un alcol derivato dalla scuola<br />

minore di Atene. Vabbè. La poesia la metto qui sotto.<br />

[Un amico mi dice che sono sempre al centro della scena, che sono egocentrico,<br />

sempre lì in prima persona, nelle mie poesie e forse anche altrove. Sarà. Ma ci sono<br />

tanti modi di entrare in scena. Io, è vero, di solito ci entro direttamente, con la mia<br />

faccia e il mio corpo, e sono lì, proprio io, davanti alla platea. Lui di solito, nelle sue<br />

poesie e forse anche altrove, preferisce creare personaggi che fa entrare in scena e<br />

che muove da dietro le quinte, tirandone i fili. Scelta rispettabile, stile valido, il suo<br />

come il mio. Ma non credo faccia differenza a livello di presenza: chi tira i fili impronta<br />

di sé la scena non meno di chi vi entra in carne e ossa, attore e regista nudo.]<br />

LE BOLLE E L’ACCIAIO<br />

Non si sa mai: l’amore rutilante,<br />

splendente di colori arcobaleno,<br />

fiero nel sole, leggero, volante,<br />

può essere una bolla di sapone<br />

e scoppiare e diventare niente.<br />

L’amore un po’ più grigio, più nascosto,<br />

magari ambiguo, con qualche sospetto<br />

di carenza d’affetto da colmare,<br />

di convenienza pratica, di patto<br />

freddo, può durare come acciaio.<br />

Però queste metafore da poeti<br />

sono aria fritta anzi sono stronzate.<br />

L’amore-bolla, finché vola al vento,<br />

è amore-amore ed è meraviglioso.<br />

E infine anche l’acciaio non è eterno.<br />

Anche se va a capo ogni tanto, non è una poesia: è un semplice pensierino<br />

della sera<br />

mercoledì 3 ottobre 2007, 22.39.22 | molinaro<br />

Scorre rapido il tempo.<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

È già sera. Di lavoro ho prodotto<br />

molto meno di quel che avrei voluto<br />

– mi tireranno un po’ il culo –<br />

eppure sono stanco.<br />

Sul diario della allora ragazzina<br />

che mi ha regalato la ora ragazza<br />

leggo Oggi 23 settembre<br />

mi sono innamorata di [segue nome<br />

e cognome]. Che freschezza<br />

innamorarsi tutta in un giorno<br />

e scriverlo sul diario.<br />

Vorrei che lo riscrivesse oggi<br />

e fosse mio quel nome e cognome<br />

ma ora è laureata e io sono vecchio<br />

– dunque è soltanto una farneticazione<br />

da evitare. Sono stanco.<br />

Scorre rapido il tempo.<br />

Ma quanto, quanto se ne butta via!<br />

Non dovrei cenare così spesso al cinese,<br />

probabilmente, ma la cameriera<br />

è carina e il menù costa sei euro<br />

caffè compreso.<br />

Del resto il pollo con mandorle<br />

non è un cibo cattivo. A me piace.<br />

Del resto è un privilegio non da poco<br />

ricevere in regalo un diario segreto<br />

che nessuno, nessuno, nessuno ha mai letto<br />

prima di me. Basta non ricamarci<br />

troppo sopra: prenderlo come un regalo<br />

di confidenza preziosa – ciò che è.<br />

Scorre rapido il tempo.<br />

L’amico romeno a cui ho dato qualche aiuto<br />

(traduzioni, annunci, referenze, recapito<br />

presso di me) mi ha regalato uno scaffale.<br />

Così ho aperto scatole di cose<br />

per sistemarle nel nuovo scaffale<br />

e sono saltate fuori lettere di tanti anni fa:<br />

lettere di ragazze, di donne<br />

con dentro dell’amore così vero<br />

che io escludo possa essere finito.<br />

No, c’è ancora tutto. Scorre il tempo<br />

e sono stanco sì però ho voglia<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

di progettare e fare. Domattina<br />

lavorerò in modo più razionale<br />

per portarmi più avanti. Cercherò,<br />

finito questo, lavori diversi.<br />

Prenderò le cose con forza e calma.<br />

C’è da cambiare. Forse anche abitare<br />

con qualcuno. C’è da fare.<br />

Andiamo avanti. Nell’immediato<br />

domani sera vedo Claudia se tutto va bene,<br />

venerdì sera c’è la presentazione del libro<br />

di Luisa e giovedì della prossima settimana<br />

quello di Chiara alla libreria Massena.<br />

Ma domani devo fare assolutamente<br />

cento pagine di editing, non una di meno.<br />

Con serietà, avanti, andiamo avanti.<br />

Scorre rapido il tempo, non lasciamo<br />

che scorra invano.<br />

Ancora si lavora, ancora si sogna, ancora<br />

ci s’innamora. Ci sono<br />

grandi progetti per questo presente.<br />

Scorre rapido il tempo, sono già<br />

le 23.39 e ora clicco e vado a dormire.<br />

Tossendo a Genova la mia &quot;canzone&quot;<br />

giovedì 4 ottobre 2007, 16.07.52 | molinaro<br />

Giovedì 11 ottobre a Genova, alle sei del pomeriggio, alla Fondazione Luzzati<br />

- Teatro della Tosse, in piazza Renato Negri 6/2, sarà presentata la stagione<br />

2007-2008 del Teatro della Tosse. Ci sarà musica dal vivo in Lengua<br />

Serpentina (vedi immagine) e sarà anche letta, da un attore della Tosse, la<br />

mia poesia-canzone Luna di Chiara, vincitrice del concorso dei poeticantautori<br />

(vedi il messaggio n. 116).<br />

Io non ci sarò, perché ho un concomitante impegno la sera a Torino, la presentazione del libro di<br />

Chiara - curiosa coincidenza di nomi, anche un po' affascinante, no?<br />

Ma se tu ci vuoi andare, la mia poesia-canzone ci sarà!<br />

Se invece sei dalle parti di Torino, la sera dell'11 ottobre, vieni alla libreria Massena 28 (in via<br />

Massena 28, ça va sans dire) alle 21.15 e mi ci trovi a presentare il libro di Chiara, con Chiara<br />

stessa e (spero) tanta bella gente simpatica.<br />

Tutte queste parole, questi versi<br />

venerdì 5 ottobre 2007, 14.54.38 | molinaro<br />

Tutte queste parole, questi versi.<br />

Un castello di carte di cristallo.<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Luccica sì. Però basta un voltarsi<br />

d’una bava di brezza inavvertibile<br />

o un gesto goffo, una mossa sbagliata<br />

e cade giù. Non solo si sparpaglia<br />

ma si frantuma. Tutto quel lavoro.<br />

Che m’importa. In un refolo d’aria<br />

c’è più vivere che nei castelli.<br />

Starò disteso con gli occhi socchiusi<br />

ad aspettare. Qualcuno verrà.<br />

Non sentirò i suoi passi. Sarà aprendo<br />

gli occhi – per uno scatto involontario<br />

d’un nervo – che lo troverò vicino.<br />

[nell'immagine, la pagina del mio diario del 3 giugno 1969 - il numero 5786 in verde accanto alla data è il<br />

conteggio dei giorni della mia vita fino a quel giorno, compreso - ho smesso di contarli quando ho smesso<br />

di tenere un diario - mica tanto tempo fa, a dire il vero]<br />

[la poesia invece l'ho scritta pochi minuti fa]<br />

Canzonetta dei te<br />

sabato 6 ottobre 2007, 11.24.49 | molinaro<br />

Ecco, una canzonetta scritta stamattina, fra una pagina e l’altra del<br />

lavoro. Poi viene a trovarmi un’amica e pranziamo sul terrazzo, adesso<br />

che è tutto pulito e liberato dal ciarpame! Ho comprato persino una<br />

tovaglietta su una bancarella. Il cielo è velato ma direi che sul terrazzo<br />

c’è un buon clima.<br />

[Nell'immagine, foto presa sul mio terrazzo, con amica che ha voluto posare<br />

in posizione secondo me pericolosissima - siamo al quarto piano - io non volevo, avevo paura!]<br />

CANZONETTA DEI TE<br />

(I te. Giusto così senza accento: non voglio parlare<br />

d’infusi diffusi fra gli indiani o gli inglesi.)<br />

(No: penso a tutti i te che ci sono nella mia vita<br />

e in particolare – certo, certo! – negli amori.)<br />

Te che ti vedo e parliamo ancora ma da un anno<br />

anzi ormai più di un anno non facciamo più l’amore<br />

e dici che si stanno sciogliendo dei nodi<br />

– e ne sciogliamo uno ogni tre o quattro mesi:<br />

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ad A., C., C., R., C., G. e F.<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

se sono tanti, come pare, non basterà la vita.<br />

Te che ho cominciato ad amarti dopo averti vista nuda<br />

e ho faticato a vederti nuda non perché tu non volessi<br />

ma perché il mio sguardo esitava a guardarti:<br />

aveva paura di trovarti troppo vecchia<br />

anche se in fondo sei più giovane di me<br />

– ma sai lo sguardo lui è fatto così.<br />

Te che ti sposerei senza prima vederti nuda<br />

(e conosco tanta gente che nuda t’ha vista)<br />

così, verrei a stare al tuo paese,<br />

a incontrare le pietre le strade gli usci<br />

se tu volessi – giocherei questo azzardo<br />

fingendo tutta la vita in una canzone<br />

e scommettendo che diventa realtà.<br />

Te che t’ho ritrovata dieci anni dopo<br />

e ci diamo baci rari ma freschi come mattine<br />

e non facciamo nessun progetto particolare<br />

se non continuare a vederci ogni tanto e baciarci<br />

e far l’amore le poche volte che possiamo.<br />

Te che ci parliamo per ore e poi se non parliamo<br />

dopo tre giorni sento già la tua mancanza<br />

e a volte dormiamo pure nello stesso letto<br />

senza toccarci come fratellino e sorellina<br />

salvo un poco di massaggi sulla schiena<br />

e fatico a pensare i miei mesi senza te.<br />

Te che ci siamo guardati negli occhi alla stazione<br />

e abbiamo capito che siamo ancora buoni amici<br />

e c’è forse anche dell’altro ma la notte a casa tua<br />

non abbiamo osato, non ci sembrava il caso,<br />

siamo rimasti lentamente a raccontare<br />

il complesso dipanarsi delle vite.<br />

Te che sei sparita e non mi rispondi<br />

e ormai ho quasi rinunciato a cercarti,<br />

forse non saprò mai che cosa è andato storto<br />

dopo anni così lunghi d’amicizia e d’amore:<br />

non riesco a pensare che non durino ancora<br />

ma devo rassegnarmi che invece così sia.<br />

Credo di avere fatto sette strofe<br />

con sette te ma potrei continuare:<br />

la diagnosi, secondo la dottrina tradizionale,<br />

è che non sono innamorato di nessuna<br />

– però quante dottrine tradizionali già<br />

sono state superate o smascherate<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

da nuove scoperte, da nuovi orizzonti.<br />

Così io te io credo te di amarti te proprio<br />

e scrivo questa piccola canzonetta dei te<br />

e dichiaro che è una canzonetta d’amore<br />

poi la concludo ti bacio e ritorno a lavorare.<br />

La torta, la metro, l'assenza, il terrazzo, le cosce, l'incredula disperazione, la<br />

bellezza<br />

domenica 7 ottobre 2007, 12.59.29 | molinaro<br />

Mi telefona mia madre: «Ho fatto la torta Duchessa, stasera devi venire<br />

assolutamente». In realtà vado a cena da lei a Vercelli quasi tutte le<br />

domeniche, ma oggi è proprio obbligatorio. Erano anni che le chiedevo di<br />

rifare la torta Duchessa: la faceva tanto tempo fa, poi non più – è un<br />

dolce di cioccolato, burro, noci e panna, una bomba calorica. Chissà<br />

perché ha deciso proprio adesso di accontentarmi. Forse le ultime volte<br />

mi ha visto un po’ deperito o depresso.<br />

Sono uscito e ho preso la metropolitana, il nuovo pezzo di metropolitana che hanno<br />

inaugurato ieri o l’altro ieri. Adesso arriva a Porta Nuova ed è comoda. E c’è una stazione<br />

proprio all’imbocco di via Massena, così all’invito per la presentazione del libro di Chiara ho<br />

appena aggiunto: «metropolitana Re Umberto». Mica roba da niente. Invece la stazione della<br />

metro più vicina a casa mia è Principi d’Acaja. <strong>Qui</strong> a Torino la toponomastica è molto<br />

sabauda.<br />

Ho riletto la canzonetta dei te, quella scritta ieri, e ho constatato che fra le sette «te» non è<br />

inclusa Marì, uno dei miei amori più forti del XXI secolo. Vorrà dir qualcosa? Vorrà dir che<br />

non era poi così forte? Secondo me no, assolutamente no. Vuol solo dire che le cose vengono<br />

in mente così come vengono, a volte alcune a volte altre. Se l’avessi scritta oggi forse sarei<br />

partito proprio da Marì, ma l’ho scritta ieri ed è andata diversamente. D’altronde è dichiarato<br />

che le magnifiche sette sono solo una rappresentanza di un gruppo più esteso, per fortuna<br />

mia. È assente anche Diletta, grandissimo amore. Quella della canzonetta non è una top<br />

seven, è un pensiero buttato giù a caso in un qualsiasi mattino.<br />

Ora che il terrazzino di casa mia è pulito, pensavo di organizzare una lettura di poesia sul<br />

terrazzo. Non è enorme ma neppure piccolo. In dieci ci si sta. Per le sedie... aspetta che<br />

guardo quante ne ho in casa. Un attimo.<br />

Ecco, ho sette sedie propriamente definibili come tali, ma si possono adattare al ruolo di<br />

sedia altre entità compatibili. Che ne dite? Lettura di poesia sul terrazzo, suona bene, certo<br />

adesso si va verso l’inverno, però può essere un’idea. Ha qualcosa di romano, ma soprattutto<br />

qualcosa di dolce. Ci pensiamo.<br />

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Stamattina rifacendo il letto... cioè, non esageriamo: ributtando sul letto la coperta alla bell’e<br />

meglio, mi sono venute in mente, precise, le cosce di Federica. Federica aveva (non so se ha<br />

tuttora) un modo speciale di lasciarsi andare sul letto dischiudendo le cosce, e anche un<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

modo speciale di premermele sui lombi mentre io entravo in lei. Mi metteva particolarmente<br />

a mio agio e dimostrava sé stessa particolarmente a suo agio, con benèfici effetti sull’umore,<br />

sul piacere e anche su un’altra cosa. Pure il pensiero di stamattina credo che sia del tutto<br />

casuale, magari derivato da un sogno notturno, o da qualche inconscio coincidere<br />

d’immagini. I pensieri si concatenano in modi incontrollabili.<br />

Clara mi ha raccontato di aver raccolto un gatto morente, vittima della strada, e di avere<br />

visto nei suoi occhi una disperazione incredula, nell’andare incontro alla morte – e di essere<br />

stata colpita profondamente dallo sguardo di quel gatto. Clara è una delle donne più sensibili<br />

che io conosca. Forse, con tutte le nostre presunzioni e religioni e filosofie, nell’ultimo istante<br />

moriamo anche noi umani come i gatti, con negli occhi una disperazione incredula: ma<br />

possibile, ma possibile che sia così, ma possibile che io muoia? Come se non lo avessimo mai<br />

saputo. Forse qualcosa dentro di noi è gatto, e non sa.<br />

Cesare dice che l’uomo è allo stesso tempo amico e nemico della bellezza. Credo che abbia<br />

ragione, anche se tutto è ancora più ingarbugliato, anche se la bellezza forse certe volte è un<br />

qualcosa che, alle persone e alle cose, gliela decidiamo noi, come decidiamo il sorriso alla<br />

passante di quella canzone: quella quasi da immaginare / tanto di fretta l'hai vista passare /<br />

dal balcone a un segreto più in là / e ti piace ricordarne il sorriso / che non ti ha fatto e che<br />

tu le hai deciso / in un vuoto di felicità.<br />

Ecco che è lunedì mattina<br />

lunedì 8 ottobre 2007, 9.00.04 | molinaro<br />

Altra settimana, ma avendo lavorato anche il sabato e la domenica non mi accorgo tanto del<br />

cambio. Il superlavoro che faccio è indubbiamente molto fruttuoso (nell’immagine, il saldo<br />

del mio conto stamattina), però tante volte vorrei fare qualcosa di manuale e tranquillo, con<br />

orari ben delimitati, non so, il magazziniere, qualcosa del genere.<br />

Questa settimana è poi densa di occasioni poetiche. Domani pomeriggio, martedì, sarò<br />

impegnato al Circolo dei Lettori in una presentazione reciproca con Guido Catalano<br />

nell’ambito del festival Torino Poesia (il programma completo delle manifestazioni di Torino Poesia, con un sacco<br />

di cose interessanti, è qui). E giovedì sera alla libreria Massena presento il libro di Chiara: venite, che vale la pena:<br />

chi non c’è mai stato scoprirà anche uno spazio culturale molto interessante.<br />

E vabbè. Rimettiamoci al lavoro. Buon lunedì, ragazze e ragazzi.<br />

Da un abbiocco<br />

martedì 9 ottobre 2007, 7.11.39 | molinaro<br />

Pagina 153 di 200<br />

Dormo poco in queste notti, poi succede che in mezzo al<br />

pomeriggio, in un improvviso senso di quiete, m’addormento ma<br />

non del tutto, un po’ sì e un po’ no, e un po’ penso e un po’ dormo,<br />

e un po’ guardo e un po’ sogno, e ieri è andata così, e ci ho scritto<br />

una poesia. Adesso ho da lavorare poi dopo pranzo c’è la<br />

presentazione incrociata con Guido Catalano, come dicevo nel<br />

messaggio di ieri. Buondì.<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

DA UN ABBIOCCO<br />

Un filo d’aria spinge una tendina<br />

a sporgersi da un taglio di finestra<br />

nel pomeriggio fermo. M’addormento<br />

a tratti e a brevi tratti mi risveglio<br />

mischiando il sogno in sonno al quasi sogno<br />

dello sguardo che fruga nella luce<br />

sparpagliata nello spazio fra i muri<br />

cercando scene al proprio immaginare<br />

o soprattutto impreviste comparse<br />

fuori tema, persone che rivelino<br />

la novità: questo è un altro teatro,<br />

il programma di sala era sbagliato:<br />

alla finestra s’affaccia qualcuno<br />

che non conosco e non è storia mia:<br />

merita dunque muovermi, scoprire.<br />

Poesie incrociate<br />

mercoledì 10 ottobre 2007, 8.40.22 | molinaro<br />

Pagina 154 di 200<br />

Ieri il pomeriggio di «presentazioni incrociate» al Circolo dei Lettori è andato bene. Guido<br />

Catalano e io ci siamo letti vicendevolmente (cioè io ho letto poesie sue e lui poesie mie),<br />

ma soprattutto abbiamo dialogato e detto e fatto cose varie. Mi sembra che l’effetto sia stato<br />

buono. A me è piaciuto il modo in cui Guido mi ha letto, e penso che a lui sia piaciuto<br />

abbastanza come l’ho letto io. Il filo tematico che abbiamo seguito è stato, più o meno,<br />

quello dell’amore e della solitudine. Le poesie che abbiamo letto come gran finale sono<br />

state la mia Questa solitudine non è poi così agevole da sopportare (pag. 567-568 del mio librone) e la sua I sombi<br />

(che è sul suo blog). Comunque ve le metto tutte e due qui sotto.<br />

Poi io mi sono lanciato anche in una sperimentazione, cioè lipperlì ho «detto» una poesia di ispirazione catalaniana.<br />

Cioè ho inventato, improvvisato una poesia (d’amore) assumendo uno stile catalaniano. Voleva essere un omaggio e,<br />

anche, voleva mostrare che la contaminazione, la fusione, la vicinanza di esperienze poetiche può essere fertile, utile,<br />

po<strong>siti</strong>va. Credo che i gruppi, le «scuole», le correnti, o qualcosa del genere, nascano così, scoprendo affinità: non le<br />

puoi creare a comando, e recenti esperienze lo dimostrano. Il rischio era quello della parodia, o addirittura della presa<br />

per il culo, lo so, ma credo/spero di averlo evitato: ho scelto di «fare» una poesia d’amore, che emotivamente dentro<br />

di me era troppo forte per poter scadere in parodia. Ne è uscita una poesia d’amore per una donna, con dentro una<br />

enclave d’amore per un’altra donna, sostenuta anche da una componente visiva (un gesto d’amore di una delle due<br />

donne manifestato nel fatto che lei mi aveva rivoltato il colletto della camicia, della camicia che avevo addosso<br />

proprio lì durante la lettura: una vecchia camicia consunta ma a cui sono affezionato, e lei mesi fa mi ha rivoltato il<br />

colletto, per renderlo un po’ meno liso, un lavoro di cucito, e a me questo è sembrato un gesto d’amore): poesia, arte<br />

visiva-gestuale, improvvisazione vera (decisa sul momento), contaminazione di stili in praesentia: questa è<br />

sperimentazione di livello, a noi le avanguardie milanesi ci fanno un baffo!<br />

Il titolo della poesia è Il verso lapsus, e deriva dal fatto che una delle due donne (l’altra, non quella del colletto) mi ha<br />

scritto alcune poesie «di diniego» (anche questo potrebbe essere un genere letterario nuovo), cioè poesie per dare un<br />

due di picche, però piuttosto belle, e dove l’innamorato alla fine cerca sempre uno spiraglio di non diniego (l’anello<br />

che non tiene, il filo da sbrogliare che finalmente ci metta nel mezzo di una verità, come scrive Montale) e in questo<br />

caso il verso di lei, della fanciulla, è scioglierò la tua fantasia con il mio ghiaccio, che è certo un diniego,<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

l’intenzione di gelare le fantasiose avances dell’altro, però quel verbo sciogliere è un po’ un lapsus, più o meno<br />

freudiano, perché non è adatto, ci sarebbe voluto appunto un gelerò o qualcosa del genere, perché nella sequenza<br />

sintagmatica sciogliere+fantasia+ghiaccio la struttura profonda (si vedano gli studi di Saussure e dello strutturalismo<br />

linguistico, la grammatica generativa, con intersezioni alla psicanalisi e alla teoria antropologica dei modelli<br />

ancestrali nel subconscio collettivo) indica che ciò che può sciogliersi è casomai il ghiaccio, e a scioglierlo è la<br />

fantasia, e dunque! Più semplicemente, tutto questo indica quanto un innamorato può arrampicarsi sugli specchi per<br />

vedere un non diniego in un diniego.<br />

Ma questa poesia non la leggerete mai (al massimo ne emergeranno tracce in poesie che scriverò, ma diverse), perché<br />

non è mai stata scritta, è stata solo detta, e non c’erano (credo) registratori, e chi era là l’ha ascoltata (se è stato<br />

attento), e nessun altro mai la ascolterà né leggerà. L’arte in un solo attimo, come le statue di ghiaccio e i castelli di<br />

sabbia, ecco.<br />

Sì, Guido e io abbiamo fatto della sperimentazione di livello, lasciatemelo dire! Insomma, si fa qualcosa, quel che si<br />

può, finché siamo qui, facciamo cose di livello, finché non arriva la livella, quella di Totò. Da bambino mi piaceva un<br />

sacco stare al passaggio a livello a veder passare i treni, dopo che si erano abbassate le sbarre facendo dlin dlon dlin<br />

dlon, ma adesso li hanno sostituiti quasi tutti con sottopassaggi, perché la gente non ha più voglia di soffermarsi,<br />

hanno tutti fretta. Sì, che vita di corsa. Adesso corro dalla commercialista ma al ritorno devo ricordarmi di comprare<br />

almeno la carta igienica se no finisce che devo pulirmelo con le Pagine gialle, come facevo ai tempi dell'università.<br />

I SOMBI<br />

vampiri?<br />

no<br />

lupi mannari?<br />

no no<br />

spettri?<br />

nemmanco<br />

mostri spaziali?<br />

neanche<br />

demoni?<br />

ma figurati<br />

ciò che più io temo<br />

che mi fan tanto ma tanto spavento<br />

ma tanto<br />

son: i sombi<br />

i sombi son i morti che tornano<br />

essi camminano morti purulenti<br />

lenti camminano gli cadono i pezzi<br />

ma non si fermano e sono tanti<br />

che uno pensa tanto io scappo<br />

ma loro sono anche più di cento<br />

e non si fermano<br />

mai<br />

tu se hai un fucile devi sparargli la testa<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

l’unico modo e sparargli la testa<br />

allora cadono<br />

ma ce ne son altri dietro<br />

e altri ancora dietro<br />

e dietro ancora<br />

e altri<br />

escono di dappertutto<br />

da sotto la terra<br />

da dietro le porte<br />

dalle botole<br />

dalle finestre<br />

dal soffitto<br />

scardinano rompono piano piano<br />

e ti trovi circondato<br />

voglion mangiarci le nostre carni<br />

e se ti mordono poi<br />

ti viene il male<br />

e diventi anche tu un sombo<br />

essi basta loro di graffiarti<br />

con l’unghìolo sombico<br />

basta giuro un piccolo graffio<br />

e tu ti sombifichi<br />

diventi un sombo<br />

allora se tu vedi anche fosse tua sorella amata<br />

che è stata anche solo un po’ ma poco graffiata<br />

allora tu mi dispiace<br />

devi ammazzarla<br />

spararle in testa subito<br />

prima che diventi un sombo femmina<br />

e se tu invece a te capita<br />

che un sombo ti graffia o anche solo ti da un morsichino<br />

allora tu devi avere coraggio<br />

essere sincero con te stesso<br />

e spararti una palla nella testa<br />

se non c’è soprattutto nessuno che ti aiuta farlo<br />

fallo<br />

qualcuno ha detto che pena i sombi<br />

che pena poverini i sombi<br />

sono metafora sociale i sombi<br />

ma che metafora e metafora sociale stupidone!<br />

trovati circondato da trenta sombi<br />

dentro una casa di legno<br />

o nella tua macchina in panne<br />

o in un bosco buio senza luna<br />

allora lì poi ti voglio vedere la metafora sociale<br />

quando ti mordono la chiappa<br />

allora lì<br />

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Pagina 156 di 200<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

ti voglio<br />

la metafora<br />

mamma mia speriamo mai di no<br />

Guido Catalano<br />

QUESTA SOLITUDINE NON È POI COSÌ AGEVOLE DA SOPPORTARE<br />

Premessa. Non voglio fare discorsi da artista maledetto,<br />

tantomeno discorsi retorici sulla solitudine del poeta. Metto le mani avanti.<br />

Pensavo solo che Cesare Pavese all’incirca alla mia età<br />

(qualche anno di meno se non sbaglio)<br />

si è ucciso. Non ci risulta che avesse il cancro né altri gravi problemi;<br />

aveva un certo successo,<br />

pubblicava dai migliori editori o comunque da buoni editori;<br />

non aveva grane economiche, era in crescita;<br />

credo potesse permettersi di «vivere dello scrivere», cosa che io non potrò mai.<br />

Eppure si è ucciso.<br />

Forse c’è qualcosa che isola, demarca, disadatta l’artista – qualcosa così.<br />

Prendiamo questo mio vivere libero<br />

che a me pare l’unico possibile<br />

e che soprattutto mi pare aperto, amorevole, disponibile,<br />

rivolto agli altri con un sorriso complice.<br />

Questo mio vivere viene perlopiù respinto al mittente<br />

come una lettera non desiderata,<br />

come se fosse mostruoso, egoista, odioso, inaccettabile.<br />

Certo, non so se tutto ciò sia in qualche modo legato all’essere poeti.<br />

Forse sarebbe stata questa la mia visione (e passione) del mondo<br />

anche se non avessi mai scritto un solo verso.<br />

O forse invece un legame c’è. Chi potrà mai dirlo.<br />

Questo avere una vita direi meravigliosa da offrire e gli altri<br />

te la risputano in faccia come fosse merda fresca.<br />

Questa solitudine non è poi così agevole da sopportare.<br />

Mah.<br />

Queste sono parole così, parole che forse non servono a nulla.<br />

Magari Cesare Pavese aveva tutt’altri motivi per uccidersi, non lo sapremo mai.<br />

Io del resto non ho alcuna intenzione di uccidermi:<br />

sono troppo pigro per mettermi a fare una cosa che col tempo viene da sé.<br />

E comunque la mia vita è meravigliosa e amorevole<br />

– e andate a farvi fottere.<br />

Questa solitudine non è poi così agevole da sopportare, ecco tutto.<br />

Ma ci sono altre solitudini e altre difficoltà e ognuno ha la sua croce e amen.<br />

Basta. Non voglio fare discorsi da artista maledetto;<br />

se (poniamo) sono un artista è perché sono benedetto;<br />

prendo un caffè e faccio ancora due passi sul lungomare di Pesaro.<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Il contatore<br />

giovedì 11 ottobre 2007, 0.00.13 | molinaro<br />

La serata di Chiara<br />

Carlo Molinaro<br />

Il contatore del blog gira molto più in fretta di quello del sito. Mentre scrivo, il sito conta<br />

17.469 visitatori dal 5 dicembre 2000: cioè in quasi sette anni. Il blog conta 17.367 visitatori<br />

dal 4 giugno 2007: cioè in poco più di quattro mesi: è il momento del sorpasso. In quattro<br />

mesi il blog ha contato visitatori come il sito in sette anni. Povero sito, andate a vederlo<br />

ogni tanto. Capisco che è più statico, lo aggiorno raramente, però insomma!<br />

Va bene. Le città sono donne, Venezia è Clara, Vicenza è Romina, Savona è Chiara,<br />

Genova è Marì, Parma è Federica, Como è Grazia, Monopoli è Sandra, Friburgo è Francesca, Villastellone è Diletta,<br />

Vigevano è Antonella, Oleggio è Valentina, Ivrea è Claudia, Cosseria è Cristina, Bucarest è Rita, Vercelli è nulla,<br />

Torino è un’altra Claudia, Pesaro è Elisa, Borgo d’Ale è Alice, Milano è Angelica, Torino è anche Tiziana, Mazara<br />

del Vallo è Titty, Montevarchi è Serena, Napoli è Isabella e così via. Rimane vero anche se alcune di queste donne<br />

non le vedo da anni, così come alcune di queste città. La geografia amorosa è per sempre. Si può arricchire di nuovi<br />

luoghi, ma non può perderne.<br />

Giornate di lavoro intenso, di poca resa, di un qualche affanno, questo precipitoso ottobre. Ma prendiamo le pause<br />

giuste per le cose buone. Non facciamoci travolgere. Stasera, giovedì, c’è la presentazione del libro di Chiara, e lo so<br />

che l’ho già detto alcune volte, ma come non dirlo ancora nel giorno giusto? Nell’immagine, Chiara alla cena del suo<br />

compleanno, un mese fa. Foto fatta col telefonino, al volo.<br />

La sera dopo, venerdì, domani insomma, nello stesso luogo presenta le sue poesie Guido Catalano: un’altra serata che<br />

merita. La libreria Massena secondo me può diventare a Torino un punto d’incontro importante (no, non ho nessuna<br />

partecipazione agli utili, è un parere disinteressato). Fra l’altro, è anche una libreria che vi fa arrivare i libri, se li<br />

chiedete, per esempio anche il mio (ecco, qua sono già un po’ meno disinteressato), ma comunque tutti quelli dei<br />

«piccoli», che se li chiedete in altre librerie magari vi mandano gentilmente a quel paese. Ci sono ancora copie<br />

disponibili delle Poesiole doppiosensuali di Clara Vajthò, e da domani ce ne saranno di Il tempo è scaduto di Chiara<br />

Borghi, e c’è anche Izet Sarajlić, per completare la trilogia che misi nel secondo messaggio di questo blog, agli<br />

albori. Sicché!<br />

venerdì 12 ottobre 2007, 1.04.15 | molinaro<br />

Pagina 158 di 200<br />

La presentazione del libro di Chiara è andata bene. C’era abbastanza<br />

gente, considerando che a presentarsi era un’esordiente che, non<br />

essendo di Torino, non poteva contare nemmeno sulla cerchia degli amici<br />

che vanno alle presentazioni per amicizia appunto, si sa com’è!<br />

Gente che ha partecipato, anche, con domande, osservazioni, discorsi.<br />

Una serata viva. Chiara ha raccontato sé stessa e io ho raccontato<br />

Chiara e tutti e due abbiamo raccontato il libro e ne abbiamo letto qualche pagina (poche,<br />

perché le pagine stralciate da un racconto possono facilmente annoiare). Ho letto fra l’altro la<br />

descrizione di Genova che riporto qui sotto. Poi si è tirato tardi a mangiare qualcosa e a<br />

bere, anche se a quel punto Chiara è dovuta andare via perché è venuto a prenderla il suo<br />

fidanzato che poi stamattina lei deve essere a scuola alle otto meno un quarto. Se no poteva<br />

fermarsi a dormire da me, da me c’è posto, la mia casa è ospitale. Bene. Adesso a dormire ci<br />

vado io, contento che la serata alla libreria Massena sia andata bene, bene per tutti. La<br />

libreria Massena è proprio un bel posto che fa delle belle cose (c’è il collegamento al suo sito<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

nelle pagine amiche di questo blog).<br />

A Genova le scale si intersecano le une con le altre e si sovrappongono in geometrici giochi di vicoli stretti<br />

e gallerie di ciottoli.<br />

La giornata prende vita su quelle scale, nel salirle e nello scenderle prudente, con le ginocchia che<br />

tremano un poco e l’occhio buttato a terra, lanciato su ogni gradino come una mano tesa a fare<br />

conoscenza.<br />

Le ore che Genova ti concede sono un saliscendi di emozioni e parole a raffica, come uscite da una radio<br />

impazzita, che alla fine diventano scontate – e allora si tace e ci si ferma immobili, ci si mette alla finestra<br />

a guardare le luci delle case sulla collina che disegnano un presepe. Mi accorgo che solo pochi sanno<br />

immaginarlo.<br />

Quando imbrunisce, Genova accende i neon, gialli, rossi ma soprattutto verdi, delle osterie dove si va a<br />

bere e si tira tardi.<br />

Genova accende i riflettori e diventa teatro, palcoscenico di una rappresentazione grottesca: si mette a<br />

brillare con il trucco pesante sugli occhi, come una prostituta del centro storico. L’insegna della Campari<br />

s’improvvisa stella cometa se la fissi un po’ stringendo le palpebre dalla piazza della stazione Principe.<br />

C’è una Genova distinta sulla circonvallazione a monte, una Genova che sta zitta quando ti vede e non ti<br />

saluta, ma ti guarda.<br />

Genova non m’assomiglia se non per il buio del mare che confonde e infonde una nostalgia sottile.<br />

Genova ti conquista, ora dopo ora, mentre la percorri e ripercorri per fermate e numeri di bus. Genova ti<br />

seduce come un amante che si nega al telefono quando lo chiami e che ti rifiuta ogni invito, ma che ti<br />

richiama sempre il mattino dopo per sapere che cosa hai fatto la sera senza di lui.<br />

Le case a Genova si arrampicano le une sulle altre, sono peluche su un armadio minuscolo, sono cozze<br />

nere su uno scoglio scosceso, sono la creazione di un bimbo con le costruzioni a mattoncini.<br />

Genova è ardesia, asfalto e mare in successione, dalla spianata di Castelletto. Genova è una maga che<br />

non regala niente, ti fa sudare ogni cosa e ti tende tranelli, ti costruisce labirinti per farti perdere, perché<br />

non vuole essere scoperta.<br />

Genova è una ricca signora, legnosa e magra, che si cambia d’abito più volte durante il giorno, bara<br />

quando gioca a carte in salotto, circuisce i suoi amanti e poi li inganna e li abbandona.<br />

(da Il tempo è scaduto, di Chiara Borghi, Edizioni Joker, Novi Ligure 2007, pp. 47-48)<br />

Poesia scritta testé<br />

venerdì 12 ottobre 2007, 14.24.56 | molinaro<br />

LA TAZZA DI ANTONELLA<br />

L’ha comprata che ci conoscevamo<br />

da poco, ed è sempre rimasta<br />

in casa mia. È una tazza rotonda<br />

senza manico, color terracotta,<br />

d’una misura strana: troppo grande<br />

per il caffè, però troppo piccola<br />

per il tè o la tisana. Io la uso<br />

per il caffè, che mi piace allungato.<br />

Saranno dieci anni che la uso.<br />

Ha un’incrinatura. Da due o tre anni<br />

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Pagina 159 di 200<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

ha un’incrinatura che, come fanno<br />

le incrinature, nel tempo va avanti:<br />

parte dal bordo, s’incurva e prosegue<br />

più o meno orizzontale: ha ormai percorso<br />

quasi metà della circonferenza.<br />

Penso ogni volta: devo buttarla via<br />

prima che mi si rompa nelle mani.<br />

Poi penso: no, perché buttarla via?<br />

– finché dura la uso, ma devo prepararmi<br />

all’idea che si rompa, devo essere<br />

pronto, per non restarci troppo male.<br />

Ma veramente non c’è nessun metodo<br />

per non restarci male. Non c’è modo<br />

di prepararsi. Si può solo scegliere<br />

se buttare la tazza al primo allarme<br />

(il male adesso, dare un pugno e via<br />

nascondendo nel colpo l’amarezza)<br />

o tenerla, tenerla finché dura<br />

(il male un giorno, un qualsiasi giorno<br />

incredulo e improvviso tradimento).<br />

Io scelgo la seconda. Sia perché<br />

ogni caffè è un caffè guadagnato<br />

nella bella tazzina color terracotta<br />

– e sia perché l’anno scorso una tazza<br />

gialla, solida, intatta, di quelle<br />

da colazione, mentre la sciacquavo<br />

così d’un tratto mi s’è rotta in mano<br />

e m’ha tagliato malamente, ho perso<br />

sangue nel lavandino – e non aveva,<br />

all’apparenza, alcuna incrinatura.<br />

Torino, 12 ottobre 2007, all’ora di pranzo<br />

[anche l'immagine, raffigurante la tazza in questione, è di pochi istanti fa, «in diretta»: scattata con il<br />

telefonino e mandata sul computer via mail - a volte ancora mi sconcertano queste moderne tecnologie.<br />

Eh? come? ma sì, certo che la tazza esiste, eccola lì: non sono capace di inventare le cose, sono un<br />

semplice descrittore del mondo, del mondo che c'è]<br />

Terzo discorso di Calipso<br />

venerdì 12 ottobre 2007, 19.24.43 | molinaro<br />

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Al secondo discorso di Calipso, dopo che al primo, Ulisse ha risposto ancora (si vedano i<br />

messaggi 114 e 115). Come al solito la Siae, sezione Campi Elisi, impedisce la<br />

pubblicazione qui del discorso di Ulisse (ma prima o poi si troverà un accordo: sentiremo<br />

anche il parere di Al Gore, adesso che gli hanno dato il Nobel per la pace). <strong>Qui</strong>ndi mettiamo<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

solo il discorso di Calipso, con la quale abbiamo un rapporto privilegiato di concessione<br />

copy free. Il dialogo fra quei due comunque ha un certo interesse, io trovo. Dai tempi di Omero certe sfere interiori<br />

non sono poi cambiate granché.<br />

TERZO DISCORSO DI CALIPSO<br />

Non c’è amore che non generi dolore<br />

o invidia o gelosia. Per me ti voglio:<br />

non è un capriccio il mio. Se tu tornassi<br />

a Itaca, la tua fedele sposa<br />

la tratteresti come le altre donne:<br />

tappe del tuo viaggio. Dopo un mese<br />

o un anno ti riavrebbe la tua smania<br />

del folle volo: la tua smania, la sola<br />

che non tradisci. Tu viaggerai per sempre:<br />

solo la nera morte fermerà<br />

il pellegrino in cerca di stupore.<br />

L’hai detto tu: nessuna mai s’è offerta<br />

d’accompagnarti in viaggio – ed è l’unico modo<br />

per esserti compagna. Io sì, mi offro,<br />

e non per sete d’avventura: so<br />

ben viaggiare da sola, cosa credi? Ma<br />

è che ti amo, non capisci questo?<br />

Ti è così nuovo un amore disposto<br />

a condividere la navigazione<br />

nei flutti dell’ardire e del conoscere?<br />

Sì, vedo dai tuoi occhi che ti è nuovo.<br />

Ora mi dici che vuoi accettare<br />

per questa notte di stringerti a me:<br />

che vuoi sentire calore e speranza<br />

dentro di me (sarà la mia speranza<br />

che vuoi sentire – tu crudele – o non<br />

sarà la tua speranza, che rinneghi?)<br />

e ripartire all’alba – e affermi altero:<br />

«Scioglierò la tua fantasia con il mio ghiaccio».<br />

Che stramba frase: di natura è il ghiaccio<br />

che si scioglie, non è la fantasia.<br />

La lingua può tradire qualche volta<br />

segreti di cui l’anima ha timore,<br />

prode che tutto credi di sapere!<br />

Ma vieni dunque: facciamo l’amore<br />

come tu vuoi, nella mia grotta, e all’alba<br />

ripartirai da solo, se vorrai,<br />

ancora solo per l’inquieto mare.<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Io spero certo di scioglierti il ghiaccio<br />

e di partire insieme a te, ma se<br />

troppo duro sarà il tuo non volere<br />

tu partirai, non te lo impedirò.<br />

Sai dove avrai rimpianto del mio amore,<br />

Ulisse? Non nei luoghi dove andrai,<br />

non fra i palazzi regali o le tende<br />

o i villaggi o le isole incantate<br />

dove le donne non ti mancheranno<br />

e ti si apriranno e colmeranno<br />

le voglie al corpo e allo spirito i vuoti<br />

per qualche dolce amplesso intorpidito.<br />

No: io non ti mancherò nelle tue isole.<br />

Ti mancherò da morire fra isola e isola,<br />

ti mancherò nel viaggio, sì, nel viaggio:<br />

nella tua patria vera, quando tu<br />

sei tu, quando il tuo sogno è realtà<br />

ma non trova uno sguardo in cui conoscersi.<br />

Allora tu rimpiangerai Calipso.<br />

Sarò, per sempre, la sola che s’è offerta<br />

d’accompagnarti, sarò l’unica nomade<br />

capace di seguirti, la tua sposa<br />

vera: quella che sa sciogliere i nodi<br />

nelle burrasche del tuo strazio, altro<br />

che i nodi d’un domestico telaio<br />

nella casa serena in cui – lo sai –<br />

non troveresti la quiete che non cerchi.<br />

Uomo, conosci te stesso! Ma ora<br />

facciamo l’amore, vieni qui nella mia grotta:<br />

forse l’abbraccio potrà ciò che non possono<br />

milioni di parole in versi o in prosa.<br />

Un errore di lettura<br />

sabato 13 ottobre 2007, 18.31.15 | molinaro<br />

Pagina 162 di 200<br />

Oggi a Genova mi ha colpito una scritta su un muro. L’ho letta e l’ho fotografata (vedi<br />

immagine). Però al primo colpo non l’ho mica letta giusta. Sapete, quelle scritte in spagnolo<br />

sui muri di solito parlano di carceri (da bruciare) e di ribellione alla repressione. Scritte<br />

politiche, anche se di una politica molto «esistenziale» (giustamente). Influenzato da ciò,<br />

dopo a travez de al posto di lágrima ho letto un qualcosa di indistinto e confuso che ho<br />

interpretato come «griglia» (lagrija, lagrilla, boh? qualche fantasiosa cazzata così), ovvero<br />

«inferriata». Non sapendo bene lo spagnolo, nella fretta e nella luce un po’ così, ho letto ciò che mi aspettavo di<br />

leggere, anziché quello che c’era scritto. È un fenomeno noto: l’interpretazione precede la percezione e la adatta. Lo<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

sanno bene i correttori di bozze, che devono esercitare l’occhio a controllare carattere per carattere, perché a una<br />

lettura veloce normale, in genere, se al posto, che ne so, di deposito c’è scritto deposiro, non te ne accorgi, perché<br />

«sai» che ci va deposito e deposito leggi automaticamente. Beh, io sono andato un po’ oltre, nel malintendere, ma ero<br />

pure un po’ appannato, e insomma ho interpretato la scritta così: «Qualsiasi stella guardata attraverso un’inferriata è<br />

una croce». Che poi un suo senso ce l’aveva. E ho cominciato a elucubrare un embrione di poesia sul fatto che<br />

l’immensa distanza di una stella può equivalere a un’inferriata, e se la distanza fra me e la stella è incolmabile, se non<br />

ho speranza di raggiungerla, anche da libero, da non prigioniero, è come se ne fossi separato da un’inferriata. Poi<br />

però ho riguardato la scritta nella foto che avevo scattato e mi sono accorto che non c’era, dopo a travez de, una<br />

misteriosa parola a me sconosciuta che potesse voler dire «griglia, inferriata», ma c’era la più facilmente traducibile<br />

parola lágrima. <strong>Qui</strong>ndi: Toda estrella mirada a travez de una lágrima es una cruz. E dunque: «Qualsiasi stella<br />

guardata attraverso una lacrima è una croce». Meno politico forse, ma più «poetico» e intenso, partecipe anche di una<br />

concreta fisicità, a rafforzare la metafora: un punto luminoso visto attraverso una goccia di liquido – o un velo di<br />

pianto – prende a volte davvero la forma di croce. Ecco dunque, non ci ho fatto su nessuna poesia, la scritta in sé lo è<br />

già. Una poesia sul muro. Non l’avevo letta giusta. A volte succede di non leggere bene le scritte. A volte succede di<br />

non leggere bene neanche le persone, ma questo è un altro discorso.<br />

Coraggio, amore, tempo, parole e così via<br />

lunedì 15 ottobre 2007, 11.08.15 | molinaro<br />

Vicino, lontano. Amore, non amore. Reciproco, non reciproco.<br />

Parole. Coraggio. Stamattina pensavo che a morire d’un colpo di<br />

pistola facendo i rivoluzionari ci vuole coraggio, ma a morire di<br />

cancro in un ospedale dopo mesi di inutile degenza fra tubicini e<br />

fialette ce ne vuole forse di più. Qualcosa si può decidere e<br />

qualcosa no. Parole, parole. Forse le poesie d’amore, benché<br />

anch’esse non servano poi a nulla infine, sono le parole meno inutili. Muovono da un<br />

sentimento verso un sentimento. È qualcosa. Ne metto qui una che ho scritto l’altro<br />

giorno in treno. L’amore. Il coraggio. Le svolte. Passare la giornata a lavorare non so<br />

se è coraggio o vigliaccheria, o niente di tutto questo. So solo che lo sto facendo.<br />

CLARA<br />

Ha gli occhi chiari e io la trovo bionda<br />

nei capelli ribelli, nella pelle,<br />

anche nel pelo rado fra le cosce:<br />

benché lei neghi la sua bionditudine.<br />

Scrive per me le poesie d’amore<br />

più belle che nessuna abbia mai scritto.<br />

Siamo curiosi delle nostre cose:<br />

sovente ci parliamo fitto fitto.<br />

Altre volte però stiamo in silenzio<br />

e ci esploriamo come una campagna<br />

dove forse uno è stato, forse no:<br />

trova insieme ricordi e roba nuova.<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Uno sfogo inconsulto non è un insulto<br />

lunedì 15 ottobre 2007, 17.12.50 | molinaro<br />

Di solito non indulgo a sfoghi inconsulti, anche perché lo sfogo inconsulto è solo una<br />

piccola parte di verità. Però in fondo anche tutto il resto è solo una piccola parte di verità.<br />

Allora adesso ho deciso di indulgere a questa non poesia che è uno sfogo inconsulto. Scritta<br />

(giuro) in venti minuti, non uno di più, e va la beccate com’è. Tenendo presente che mi sta<br />

già passando, sono già di nuovo più ottimista, ma ogni tanto c’è qualche momento di sfogo<br />

inconsulto e allora perché reprimerlo?<br />

[Nell'immagine, ciò che avrei voluto vedere, nei miei sogni, sulla strada fra Mallare e San Giacomo quest'estate! Che<br />

c'entra? Niente! Perché?]<br />

LA LETTERA DI CONSUELO<br />

(che in realtà non c’entra nulla)<br />

Enfin. Senza ritmo, così, buttiamo fuori<br />

una specie di non poesia. Oggi m’ha scritto<br />

improvvisamente<br />

Consuelo dicendo di sicuro non ti ricorderai di me.<br />

Invece mi ricordo benissimo, Consuelo, di Genova,<br />

con tutto il suo cognome un po’ sardo e l’indirizzo<br />

ben su nell’entroterra, lungo il Bisagno, oltre l’autostrada:<br />

perché non mi sarei dovuto ricordare?<br />

Saranno passati dieci anni, forse dodici, un’inezia.<br />

La gente si dimentica.<br />

Devo rivedere quella poesia che piaceva a Diletta,<br />

quella dell’autobus del cuore,<br />

che dicevo che il mio cuore è un autobus pieno<br />

di persone e ricordi. I ricordi vabbè.<br />

Ma le persone, mi sa che sono scese.<br />

La stessa Diletta chi l’ha vista più o sentita?<br />

Qualche mese fa le ho mandato un sms e la risposta è stata:<br />

Non mandarmi sms a quest’ora che dormo.<br />

Federica è quella che è scomparsa più bruscamente,<br />

lei ha il record della scomparsa brusca, sparita.<br />

Però di gente scomparsa ce n’è tanta.<br />

Sì, parlo soprattutto di donne ma non solo.<br />

Quell’amico, amico si fa per dire, che mi ha usato<br />

(ma sì diciamolo: basta buonismo: mi ha usato)<br />

per un suo progetto culturale del cazzo<br />

e poi finito quello chi l’ha più visto?<br />

E quell’altro, con tutte le sue analisi<br />

sulla mia psicologia, forse alla fine<br />

voleva trombarmi la moglie, che poi<br />

stavamo ormai separandoci quindi non è<br />

che fosse tutto quel problema senonché<br />

a lei non piaceva proprio per niente,<br />

e dopo diecimila discorsi e critiche varie<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

e proclami di amicizia quella vera, minchia,<br />

s’è dileguato da un giorno all’altro?<br />

Questo per dire che non sono solo le ragazze,<br />

non solo le donne. Voglio dire, cazzo,<br />

tutti abbiamo tante cose da fare,<br />

io questa non poesia la scrivo in mezz’ora di respiro<br />

fra un lavoro e l’altro, però il tempo lo trovo.<br />

Cioè non so, voglio dire, ma come si fa<br />

a staccarsi così? Dicono che eh cosa vuoi<br />

la vita separa. Sticazzi! La vita separa<br />

chi vuol farsi separare. Gente via da tanti anni,<br />

o anche da molto meno, cioè anche la Claudia,<br />

avrà da fare, va bene, ma cagarmi un attimo,<br />

io l’ho ascoltata per un anno di fila<br />

a qualsiasi ora per qualsiasi suo problema<br />

ed ero felice di farlo, ora va bene<br />

che in queste cose non c’è compensazione<br />

è deprimente anche solo pensarci, a una compensazione,<br />

però possibile che non le venga voglia<br />

più di dirmi una parola, così d’un tratto, stop!<br />

Ecchecazzo, ecchecazzo, ecchecazzo!<br />

Va bene, ci sono le fasi, le situazioni,<br />

le realtà che cambiano – anche quelle, poi,<br />

non è mica che cambino tutte da sole,<br />

un po’ forse sì, succedono, ma un po’ tanto<br />

le facciamo succedere noi, se no che viviamo<br />

a fare? non decidiamo niente?<br />

Belin di Giuda, mi sento un po’ solo e agitato,<br />

e non fatemi la morale che dovevo stare sposato<br />

in bella coppia fissa che neanche quella<br />

era la soluzione, no, qui è un’altra faccenda,<br />

Monica di Roma s’incazzava perché per rispondere<br />

al telefono lasciavo raffreddare gli spaghetti,<br />

ma cazzo a me sembra normale anteporre<br />

chi mi vuol parlare alla temperatura degli spaghetti<br />

che cazzo mi frega della temperatura degli spaghetti!<br />

sono sempre stato troppo disponibile<br />

però mi è sempre sembrato giusto così<br />

cazzo cazzo cazzo<br />

forse è una questione di priorità<br />

è vero io non ci ho mai tenuto a mangiar bene<br />

e non ci ho mai tenuto al lavoro<br />

così non ho fatto molta carriera anzi nessuna<br />

non ho mai messo il lavoro al primo posto<br />

questo è verissimo<br />

neanche l’università l’ho mai messa al primo posto<br />

anzi diciamolo che non me ne fregava un cazzo<br />

ho fatto Lettere tanto per leggere qualche libro<br />

e poi bon, un lavoro l’avevo trovato<br />

ma mica c’entrava con la vita<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

e che palle, la priorità è un’altra<br />

non il lavoro gli studi e neppure in un certo senso<br />

la famiglia, perché la famiglia è compresa<br />

nelle persone, quindi basta dire che contano<br />

le persone ed è detto tutto,<br />

ma insomma, poi precisamente<br />

la priorità è un’altra cosa<br />

io non dimentico ma vengo sempre dimenticato<br />

non mi caga nessuno in nessun ambiente diciamolo<br />

perché non rompo le palle a nessuno<br />

neanche rompere le palle è mai stata una priorità per me<br />

scrivo le mie poesie mica vado a sleccazzar intellettuali<br />

ecchecazzo<br />

ma poi no questi sono dettagli<br />

non è questo<br />

la priorità è un’altra<br />

e qui mi avvalgo di una cosa di cui si sono avvalse con me<br />

molte donne incazzate e qualche uomo,<br />

cioè la famosa terribile frase<br />

hai capito benissimo (e io non capivo, è crudele)<br />

oppure è inutile spiegartelo (ma prova!)<br />

per una volta me ne avvalgo io e dico<br />

che se la priorità non avete capito qual è<br />

è inutile spiegarvela<br />

affanculo<br />

sono qui da solo a lavorare<br />

cazzo state facendo<br />

affanculo<br />

affanculo<br />

affanculo.<br />

(Consuelo, guarda che tu non c’entri nulla, è stato solo un involontario spunto la tua lettera, sono sicuro che lo<br />

capisci, questo sì, eh! Sono felicissimo che tu mi abbia riscritto dopo dieci anni, anzi! Andiamo avanti! Spero!)<br />

Riflessione più calma sullo sfogo inconsulto di ieri<br />

martedì 16 ottobre 2007, 10.49.45 | molinaro<br />

Pagina 166 di 200<br />

Lo sfogo di ieri è stato trovato divertente dalla maggior parte di quelli che l’hanno letto e<br />

sono contento che sia così. Era appunto uno sfogo, scritto in versi (se versi si possono<br />

chiamare). Oggi prendiamo la cosa con più calma. In realtà un po’ preoccupato lo sono, più<br />

seriamente parlando. C’è una sottile linea rossa che divide il prendere le cose con sorridente<br />

ironia, con uno sguardo po<strong>siti</strong>vo sulla vita e sull’essere, dall’altra versione, la versione<br />

dell’angoscia. Da giovane quella sottile linea la varcavo spesso e quindi so bene quel che<br />

dico. Da più (ehm) maturo, sono riuscito quasi sempre a far prevalere la versione sorridente, nei meandri delle<br />

giornate, anche davanti agli inevitabili dolori, drammi e delusioni che di ogni vita sono parte. Però la linea rossa è lì,<br />

non è distante, la strada è stretta e non puoi allontanartene troppo, è un po’ come la muraglia di montaliana memoria.<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

E adesso percepisco un periodo di rischio, a volte mi sento barcollare. Camminiamo tutti lungo un precipizio, questo<br />

è certo; la differenza è il passo, diritto e sicuro o più incerto. A farti cadere può essere un sasso sconnesso, una buca,<br />

una frana, ma più probabilmente una vertigine in un punto qualsiasi, dove il sentiero magari non presenta difficoltà<br />

particolari. A volte, in questo periodo, provo sintomi di quella vertigine.<br />

Ci posso scherzare sulla nostalgia di una Claudia che non mi cerca più, di una Federica scomparsa, di una Chiara che<br />

non mi dà speranze d’amore, sulla dispersione, sulla lontananza; posso cercare di sorridere nelle mie giornate di<br />

lavoro solitario al computer; posso prendermi in giro da solo perché m’innamoro di ragazze troppo giovani per me;<br />

posso pensare che c’è chi mi ama, e anche se sta a tanti chilometri di distanza mi ama lo stesso e ci si vede quando si<br />

può, e ci si scrive; posso guardare ai lati po<strong>siti</strong>vi, fra cui il principale oggettivamente sono i miei figli, però i figli<br />

giustamente sono e devono essere persone autonome con la loro vita (ormai non ho più figli sotto i vent’anni); posso<br />

concentrarmi sulle poche amicizie solide, sulle cose che bene o male so fare, sui valori in cui credo, insomma su tutto<br />

ciò che è il bene di vivere, in contrapposizione al male.<br />

Ma non posso nascondere che non è un grandissimo momento. La maggior parte delle poesie che ho scritto<br />

quest’anno potrebbero formare un libro-canzoniere per qualcuna che fin dall’inizio mi ha detto (in tutta onestà):<br />

«Toglitelo dalla testa». Cinque anni fa c’era stata una simile concentrazione di poesie, anche allora un piccolo<br />

canzoniere per una singola donna (pure pubblicato in un libretto: Sospeso sogno), con una piccola differenza: lei<br />

c’era stata, l’amore si faceva.<br />

A chi legge le poesie non gliene può fregare di meno, lo so; lo dice giustamente Vecchioni: tanto che importa / a chi<br />

le ascolta / se lei c’è stata o non c’è stata e lei chi è (da Luci a San Siro).<br />

Ma io ho deciso di fare di questo blog non solo un luogo letterario (scelta discutibile, ma è la mia) bensì anche una<br />

specie di diario personale, e allora queste cose le racconto, e sia come sia.<br />

Va bene, torno al lavoro. Segnalo ancora un po’ meglio che alcune mie poesie sono state pubblicate qui. Dato che<br />

sono stati così gentili da pubblicarle, almeno segnalarlo. Oltre tutto alcune non sono state messe finora da<br />

nessun’altra parte, neppure in questo blog, dunque sono ineditissime e le trovate solo lì!<br />

Su, dai, Carlo, lavora, il tempo passa per tutti, e domani viene a trovarti una che ti vuole bene, smettila di lamentarti,<br />

che sei noioso. Con tanta gente che sta ben peggio, eh! Noioso!<br />

[Nell'immagine: quello che i miei occhi penetranti vedevano quando la mia compagna di corso Nadia<br />

andava alla lavagna durante un seminario a Palazzo Nuovo, Facoltà di Lettere, nel 1974. Infatti non ho la<br />

minima idea di quale fosse l'argomento del seminario, ma chi se ne frega. Sono sicuro che non era poi<br />

così importante.]<br />

Un inedito di tre anni fa<br />

mercoledì 17 ottobre 2007, 12.56.14 | molinaro<br />

Pagina 167 di 200<br />

Non è che, tutte le poesie che ho scritto, le ho pubblicate. Certo<br />

che no. Ma non ho molta roba nei cassetti perché spesso ciò che<br />

non pubblico poi lo butto rapidamente via. Se mi piace, lo tengo e<br />

alla prima occasione lo pubblico. Se non mi piace, perché tenerlo?<br />

Lo butto via. Con qualche eccezione. Qualche poesia infilata qua e<br />

là in qualche cassetto rimane. Stamattina ne ho trovata, per puro<br />

caso, una del 12 dicembre 2004. Che avevo scartato. Rimasta dunque ineditissima:<br />

forse anzi nessuno mai l’ha letta, neppure un amico in confidenza. Ritrovandola oggi,<br />

mi pare che un suo senso ce l’abbia. Fra l’altro parla a un certo punto di tempi già<br />

scaduti prima che e più oltre dice che non scade il tempo. Un nesso con il discorso di<br />

Chiara sul tempo scaduto: solo che nel 2004 non conoscevo Chiara e forse lei non<br />

aveva neppure ancora cominciato a pensare o scrivere Il tempo è scaduto. Mi piace<br />

immaginare (anche se mi è sempre difficile crederci veramente) che possano<br />

esistere delle pre-corrispondenze, dei percorsi che annunciano futuri incontri. Ma<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

così, senza pretese, intendiamoci. Probabilmente questa poesia l’avevo scartata<br />

perché troppo «mentale», troppo «di testa». E in effetti sì, un po’ lo è. Però c’è dentro<br />

qualcosa che oggi mi fa pensare, e mi vien voglia di metterla almeno qui sul blog. E<br />

visto che è una voglia facile da togliermi, me la tolgo.<br />

REVANCHE D’ENFANT<br />

Ecco: un odore di pesci lontani<br />

forse visti ma forse immaginati<br />

tra fogne e fossi, tra quartieri e laghi<br />

per mute passeggiate e frutta giù<br />

nell’erba, le formiche nere grosse<br />

su ceppi marci d’alberi tagliati:<br />

è l’odore di legno e d’acqua ferma<br />

nell’aria corta all’argine del fiume:<br />

lo scintillare d’un coccio di vetro,<br />

voci dopo il canneto, il macinare<br />

della pietra alla cava – l’improvviso<br />

umido della sera – un disoriente<br />

di tempi già scaduti prima che.<br />

Ecco: un’immobile corsa all’impronta<br />

di nessun passo, l’indecifrata mappa<br />

di sentieri allusivi, senza cigli:<br />

vuoi o non vuoi, è l’inganno iniziatico<br />

preteso come prova per entrare<br />

dove non ami entrare – è la risata<br />

di moribonde vite inconosciute<br />

che t’inseguono fino dentro casa.<br />

È tutto falso.<br />

Ecco: un pugno di nulla l’ho tenuto<br />

con cura nel mio angolo e so che<br />

ho fatto bene – mi lascio a me stesso:<br />

così mi prenda un flusso d’incoscienza<br />

che redima le scorie, digerisca<br />

i colpi a vuoto sul fumo che pare<br />

nascondere misteri e non è che<br />

fiato d’un drago banale, fantoccio<br />

per disviare, per assimilare<br />

il tagliente bambino all’uomo innocuo,<br />

docile secchio di calcina spenta.<br />

Nel mio pugno di nulla ho conservato<br />

gli odori deboli, i persi colori<br />

di cui voci ridicole volevano<br />

privarmi: ho ricomposto un paesaggio<br />

e ho visto che è buono e che non scade<br />

il tempo: tra le spume e i sotterranei<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

guizzano i pesci come sempre, come<br />

avevo già intuito – ho buone mani<br />

per afferrare, naso per fiutare<br />

e occhi per guardare e appena qualche<br />

cicatrice, ma vecchia: stringo forte<br />

il mio coltello, credevate e invece<br />

non m’avete fregato e io non sono<br />

uno dei vostri.<br />

Storie che finiscono<br />

giovedì 18 ottobre 2007, 17.35.23 | molinaro<br />

RIMEMBRANZA IN GENNAIO<br />

1.<br />

Così scintillante. Così<br />

come t’ho vista non sarai mai più,<br />

perché la cifra della tua bellezza<br />

è custodita nella mia pupilla.<br />

2.<br />

Ci vuole un verso aspro, che non ceda<br />

alla tentazione del ritmo<br />

per dire il tuo bacio, un sapore<br />

di ferro e di geranio: ne parlo<br />

con cognizione di causa<br />

perché ti ho baciata e perché<br />

da bambino mangiavo i gerani<br />

e facevo capanne di lamiera.<br />

So che potevi essermi compagna.<br />

3.<br />

Quel saputello che ti bacia adesso<br />

scommetto che non sa fare disegni<br />

sui tovaglioli. Scommetto che ride<br />

nei momenti sbagliati, e non ti ascolta.<br />

Sei l’unica, la sola<br />

Torino, 12 dicembre 2004<br />

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Parlavo stamattina, con un’amica, di storie che finiscono o non finiscono.<br />

E adesso mi è venuta in mente una poesia che in un certo senso tratta<br />

dell’argomento. Una poesia di «dopo un amore». È a pag. 341-342 di La<br />

parola rinvenuta, e l’ha scelta e letta, fra altre, Guido Catalano al Circolo<br />

dei Lettori quando abbiamo fatto la «presentazione incrociata» martedì 9<br />

ottobre scorso (vedi messaggio n. 129). Eccola qui sotto.<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

sua fidanzata? E con ciò? Sapessi<br />

quante ridicole coppie qualsiasi<br />

in fedeltà perenne inacidiscono!<br />

4.<br />

Però ti auguro giorni sereni.<br />

La mia tristezza non è gelosia.<br />

È il fauno malinconico che vede<br />

partire ninfe verso la stazione<br />

che per tunnel di plexiglas le porta<br />

alla caserma del tinello buono.<br />

5.<br />

Al Gerbido con l’auto di tuo padre<br />

fare l’amore al vuoto suburbano<br />

per riempirlo di noi. Era importante.<br />

Dove ti porta l’altro? A Tenerife<br />

o al bar delle Colonne dov’è pieno<br />

di stronzi e non c’è niente da riempire?<br />

6.<br />

E se l’auto non c’era, a Porta Nuova<br />

l’ultimo treno per Villastellone<br />

partiva a mezzanotte meno un quarto<br />

e il tempo ci bastava per giocare<br />

con l’arco luminoso della notte.<br />

7.<br />

Inutile tentare di recuperare.<br />

Ma la fine dell’amore<br />

ha bisogno di un poco di rituale<br />

come la fine della vita, un laico<br />

saluto con valore apotropaico.<br />

8.<br />

Neanche più una sera in pizzeria.<br />

Come cigola il carro che allontana<br />

vita da vita, che strazio di ruote<br />

a sfangare nei solchi.<br />

9.<br />

Basta. Non ci riprovo più. È patetico.<br />

Insomma, è storia andata. Chiuso. Stop.<br />

Se ci vediamo lunedì mattina<br />

alle undici in corso Raffaello<br />

angolo via Giuria?<br />

Altri libri, e altro<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

venerdì 19 ottobre 2007, 0.48.01 | molinaro<br />

Pagina 171 di 200<br />

Stasera sono stato di nuovo alla libreria Massena, c’era la<br />

presentazione di un libro di Paolo Bonesso, scrittore torinese: Le<br />

felicità nascoste. Mentre aspettavo che cominciasse la<br />

presentazione, ho visto su uno scaffale la traduzione italiana del<br />

libro dell’uruguaiano Mario Benedetti La tregua (da non<br />

confondersi con quella del nostro Primo Levi, non c’entra nulla).<br />

Non sapevo che fosse uscita una traduzione italiana, vedo che è del settembre 2006.<br />

Io l’avevo letto qualche anno prima in spagnolo, me lo aveva prestato Federica. L’ho<br />

comprata, stasera, questa traduzione. Non perché mi servisse: ho nel cuore il testo<br />

spagnolo (non sono un grande ispanista, ma con calma, e magari con un vocabolario<br />

da consultare ogni tanto, un libro in spagnolo lo leggo fluentemente). L’ho comprata<br />

pensando a Federica. Faccio le cose per strani insensati motivi. È un libro bello e<br />

crudele, forse come la ragazza che me lo aveva prestato. Il finale mi aveva fatto<br />

piangere (lo dico senza alcun pudore!): non lo svelo, casomai qualcuno volesse<br />

leggere il libro (Mario Benedetti, La tregua, traduzione di Francesco Saba Sardi,<br />

Edizioni Nottetempo, Roma 2006, pp. 256, euro 12). Par buono anche il libro di<br />

Paolo Bonesso, e ho comprato pure quello (andrò in rovina); l’autore in libreria ha<br />

letto alcuni brani, fra cui quello che trascrivo qui sotto, e che in qualche modo si<br />

collega, si collega alla Tregua di Benedetti, si collega a Federica sparita nel nulla, si<br />

collega ai discorsi sul distacco, insomma si collega. Si collega. Non è male, come<br />

scrittura, anche se qua e là c’è qualche luogo comune tipo «il profumo della sua<br />

camicia indaco, le sue labbra che sapevano di sesamo, le sue ciglia tremanti sulla<br />

mia guancia» oppure «se fosse pioggia o lacrime ciò che avevamo sopra e intorno<br />

agli occhi» (Rain and tears are the same, but in the sun you’ve got to play the game,<br />

cantava il bambino di Afrodite nel maggio del 1968, Parigi bruciava e io ballavo con<br />

le prime ragazzine timide che non sapevo come prendere – anche adesso non so<br />

bene come prenderle, è una vita che vado per tentativi così, ogni tanto ci azzecco,<br />

ma non imparo mai come, credo che succeda per caso).<br />

Sì, c’è qualche luogo comune (se voi me li trovate giustamente nella Chiara io poi li<br />

trovo giustamente dappertutto, garde à vous, so essere una vera merda! ma<br />

scherzo, dai!) e c'è qualche stonatura di sintassi, però ci sono pure emozioni vivaci,<br />

sì, qualcuna persino vera, e gradevoli atmosfere, nelle prime pagine che ho letto<br />

stasera. Se volete anche questo libro, noi qui non siamo avari di segnalazioni (e<br />

senza niente in cambio, mai): Paolo Bonesso, Le felicità nascoste, Edizioni di<br />

LucidaMente (www.lucidamente.com), inEdition editrice, Bologna 2007, pp. 210, euro<br />

14. Intanto ecco il brano qui di seguito (è a pag. 65).<br />

Estela prese qualche giorno di vacanza e venne con me alla Reserva Esteros del Iberà. Non osavo<br />

chiederle perché era tornata indietro, senza luce, con il fanalino penzolante e mi avesse chiesto<br />

perché ero tanto triste.<br />

Le risposi che, forse, era per il suo stesso motivo. Si limitò a ribattere, seccamente: «Non credo».<br />

Poi scese nel silenzio e, in quel momento, Estela assomigliò come una goccia d’acqua<br />

all’Argentina: stessa bellezza, stessa disperazione, stessi occhi da infinito addio, stesse barche che<br />

andavano e tornavano, stesso mare, stesse carezze di vento, stessa meravigliosa aria di perdizione<br />

e di santità. Estela era uguale al suo paese e non avrebbe mai potuto abbandonarlo.<br />

Trascorremmo quattro giorni su una barca, in mezzo al pantano, fra caimani, lontre e scimmie.<br />

Estela sorrideva e nei suoi occhi chiari si raccoglievano altre nubi, nuove tempeste.<br />

Non riuscii a sapere niente di lei, se non che le piacevano le sere d’estate e le rose. Per quattro<br />

giorni fummo ciò che è la corrente per il condor, ciò che è il deserto per le creature che in esso<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

abitano, un bacio per chi ha bisogno di un bacio.<br />

Le domandai se potevo rimanere a Corrientes ancora un po’: l’avrei aspettata all’uscita dal lavoro<br />

e saremmo andati a cena a La Cueva del Pescador, il suo ristorante preferito. Probabilmente, con<br />

questa richiesta, scatenai i suoi ricordi e si rabbuiò. Quando finisce un amore, tutto è un campo<br />

minato: qualunque parola, foglia che cade, profumo d’incenso, città, ricetta di pesce, romanzo o<br />

canzone, solleva memorie vivissime e brucianti.<br />

Mi disse che me ne sarei dovuto andare subito, che era stato un errore tornare indietro con la<br />

bicicletta. L’abbraccio con cui mi cinse prima di entrare nel mio passato non sono riuscito a<br />

dimenticarlo. In esso c’erano tutte le rovine che sono contenute in un distacco. Ricordo il<br />

profumo della sua camicia indaco, le sue labbra che sapevano di sesamo, le sue ciglia tremanti<br />

sulla mia guancia e i suoi pensieri che non sapevano dove andare, che non riconoscevano se fosse<br />

pioggia o lacrime ciò che avevamo sopra e intorno agli occhi, che non riuscivano a distinguere se<br />

quell’addio fosse giusto o sbagliato, ma soltanto deciso.<br />

Poche ore dopo ero diretto a Buenos Aires. Avevo anticipato il rientro. Attraversai la città, la mia<br />

città preferita, a occhi chiusi, e giunsi in aeroporto.<br />

Quando salii sull’aereo sapevo che quella era l’ultima volta che vedevo la mia terra, la mia amata<br />

terra d’Argentina. Era l’ultima volta: troppi ricordi, memorie di dolore, struggimenti, amori<br />

appena sbocciati e già morti, figli mai nati, rimasti dentro la Pampa e nel sole.<br />

Ho continuato ad amare quella terra come se sulla stessa avessi combattuto una guerra e perso<br />

tutte le battaglie, anche se dall’addio di Estela non ci sono ritornato mai più.<br />

Pressioni e dispersioni<br />

venerdì 19 ottobre 2007, 13.10.08 | molinaro<br />

Pagina 172 di 200<br />

Mi sono comprato il coso per misurarmi da me la pressione arteriosa, visto che il medico mi<br />

ha detto di tenerla sotto controllo. Adesso, cinque minuti fa, è 132-89. Spero che non sia un<br />

reato dirlo qui nel blog, perché nel libretto delle istruzioni c’è scritto fra l’altro di<br />

conservare l’apparecchio «in luoghi a cui non abbiano accesso persone che non sono in<br />

grado di esprimere il proprio consenso». La privacy sta diventando un fenomeno isterico, un<br />

segno dell’isolamento della persona nella nostra società. Forse la privacy fa salire la<br />

pressione.<br />

Saranno più di due settimane che non vedo né sento Claudia. Avrà altro da fare, avrà molti impegni, o per sue ragioni<br />

psicologiche non vorrà sentirmi. Al telefono non risponde, ora non la chiamo più perché non sono un rompicoglioni.<br />

O avrà qualche risentimento per qualcosa? Tempo fa mi aveva accusato di una cosa che non ho mai fatto, non una<br />

cosa importante, ma comunque non l’ho mai fatta, sono innocente, vostro onore. Vorrei vederla una sera, almeno. Ci<br />

siamo visti quasi tutti i giorni per un anno e certo, certo, non poteva durare così, però l’improvviso brusco silenzio mi<br />

addolora. In una relazione d’amicizia. Diceva che ero il suo migliore amico. Forse non lo sono più. O forse è normale<br />

un silenzio di qualche settimana, forse sono io troppo ansioso.<br />

Forse c’è qualcosa di sbagliato in me. Persone vicinissime, in rapporti di forte amicizia o d’amore, mi scompaiono<br />

così da un giorno all’altro, troncano dal mattino alla sera oppure semplicemente smettono di rispondermi, si<br />

dissolvono nel nulla. A me sembra una cosa terribile, peggio che prendere un pugno o uno schiaffo o una coltellata,<br />

ma forse sono solo io a percepire la cosa in questo modo, e invece per loro è normalissimo. Tutto regolare.<br />

Certo che quando Claudia era agitata o triste io schizzavo fuori di casa e andavo da lei, ogni volta che ha avuto<br />

bisogno di ascolto o di conforto, non le ho mai detto «non posso». Un pomeriggio per esempio mi ha chiamato<br />

mentre stavo andando in un’azienda per un lavoro importante. Ho telefonato all’azienda inventandomi che avevo<br />

avuto un incidente e non potevo raggiungerli, e sono andato da lei. Altre volte mi ha tenuto sveglio fino all’alba e io<br />

all’alba poi dovevo lavorare ed ero uno straccio, altro che pressione arteriosa: ma ero felice che lo facesse! Mi sa che<br />

sono io che sbaglio. Gli altri dicono molto spesso «non posso», «ho da fare», «sentiamoci più tardi» o «domani» o<br />

«la prossima settimana». Io, agli amici e alle fidanzate, quasi mai. Praticamente mai. Sono io che sono sbagliato.<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Bisogna farsi desiderare. Bisogna essere un po’ stronzi, diciamola tutta. Ma mentre lo scrivo non ci credo. Non può<br />

essere così.<br />

Conservare l’apparecchio «in luoghi a cui non abbiano accesso persone che non sono in grado di esprimere il proprio<br />

consenso». Privacy, privacy! Perché, nell’era della comunicazione, aneliamo sbavanti al suo esatto opposto,<br />

l’isolamento, i fatti miei sono solo miei e guai a chi si avvicina. E quando uno non mi serve più, vada per la sua<br />

strada che io vado per la mia.<br />

Forse devo uscire dall’adolescenza e scoprire che è così, è proprio così. Ma no, è troppo una merda. Scusatemi, allora<br />

resto nell’adolescenza, dove comunque mi sono sempre preso tutte le mie responsabilità in modo assai maturo.<br />

Cazzo.<br />

Nel racconto Stand by me di uno Stephen King ancora giovane, c’è uno che a un certo punto dice qualcosa così (cito<br />

a memoria, non ho il libro, me l’aveva prestato Cesare e dopo averlo letto gliel’ho restituito, naturalmente): «Gli<br />

amici ti tirano a fondo, ti fanno annegare con loro, devi scrollarteli di dosso se vuoi fare la tua strada».<br />

Cazzate. A vent’anni ho rinunciato all’Università di Firenze per non allontanarmi da una ragazza che neppure mi<br />

cagava. Lo rifarei. La strada che ti fa buttar via le persone è la strada della competizione, dell'esclusione, della<br />

sopraffazione, delle lotte a coltello per il successo, alla fine è la strada del capitalismo, del liberismo, di questa<br />

trionfante economia di giungla. Non per nulla King è statunitense (ed è diventato poi autore di best seller). Andateci<br />

voi su quella strada se vi piace. Io prendo un altro sentiero, che attraversa semplici paesi e qualche amore rubato ogni<br />

tanto.<br />

Ho rimisurato la pressione (bisogna pure giocare con un giocattolo nuovo) adesso, finito di scrivere, ed è 148-94. Per<br />

forza, se mi fate incazzare!<br />

In paga metto qui sotto una poesia dedicata a Claudia. Buona giornata a tutti.<br />

[nell’immagine, il cielo dalla mia finestra stamattina poco prima delle otto: è bello, no?]<br />

GLI STRACCETTI<br />

Chi è che non vorrebbe toglierteli<br />

gli straccetti di cui ti sei vestita<br />

stasera – lo farei anch’io qui adesso<br />

nella luce di miele di questo caffè<br />

– lo farei volentieri anche se<br />

sono ben preso da un’altra maestosa<br />

ragazza azzurra, da una bianca mandorla<br />

acerba, da una bruna montanara<br />

e da altre donne superbe e festose<br />

di svariati colori e svariati profumi<br />

– quegli straccetti te li toglierei<br />

senza pensare ad altro, in solo omaggio<br />

alla gioia, alla vita, alla fuggente<br />

felicità – ma soprattutto a noi,<br />

a noi qui ora, qui adesso, qui a bere<br />

una tisana d’erbe, in questa sera che non è<br />

mai stata prima e non sarà mai più.<br />

Sogni da buttare<br />

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Pagina 173 di 200<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

domenica 21 ottobre 2007, 0.36.38 | molinaro<br />

Vigilia del battesimo del nipotino. Ma stanotte leggo e scrivo di sogni. Penso che i sogni<br />

non sono quella cosa che certa gente pensa che siano. I sogni sono una molla dentro, una<br />

tensione, un motore. Che a volte gira a vuoto, ma non vuole girare a vuoto, non è il suo<br />

destino quello di girare a vuoto: è solo una disgrazia che a volte gli succede. E allora ho<br />

scritto questa cosa, ispirata un po’ dai versi che ho messo in epigrafe. Ma adesso vado a<br />

dormire davvero perché domani mattina cerimonia, e mi dovrò mettere la camicia e la<br />

giacca, l’unica che ho ma dovrebbe andar bene.<br />

SOGNI DA BUTTARE<br />

Se ho sonno<br />

è perché mi hai tenuto sveglio<br />

tutta la notte<br />

a scriverti una lettera<br />

che come tante<br />

non ti ho spedito.<br />

Perché lo so, non avevi voglia di riceverla.<br />

E allora mi fai scrivere<br />

pensare e comporre sogni<br />

da buttare.<br />

Francesco Molinaro<br />

Un sogno è un sogno e dicono: «Beati<br />

i sognatori, quegli acchiappanuvole,<br />

hanno sempre di che pagarsi, inventano<br />

un mondo tutto loro». Chi dice così<br />

è un po’ invidioso e un po’ ironico, forse<br />

non sa sognare o non vuole. E si prende<br />

la stoccata ciranesca di Guccini:<br />

io sono solo un misero cadetto di Guascogna<br />

però non la sopporto la gente che non sogna.<br />

Sì ma secondo me c’è un malinteso.<br />

Non è così di nuvole, non è<br />

di rose e fiori questo bel sognare,<br />

non è da poetucoli svenevoli.<br />

Cazzo, chiariamo!<br />

Il sogno è una cosa molto seria,<br />

molto importante, che quando ti prende<br />

ti mette spalle al muro e ti costringe<br />

a vivere le cose più reali<br />

con la forza del sogno, una forza tremenda<br />

che cambia il mondo e cambia te, una voglia<br />

che ti fa teso come corda tesa,<br />

non puoi star fermo, sei pronto a scattare<br />

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Pagina 174 di 200<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

come una bestia selvatica, corri<br />

fino all’ultimo fiato. Citerei<br />

un’altra canzone di un più grande<br />

artista genovese che mi pare<br />

inquadri meglio la cosa: Sognai<br />

talmente forte che mi uscì il sangue dal naso.<br />

(Sono i notai che arrivano a cent’anni<br />

tranquilli e ben pasciuti,<br />

raramente i poeti.)<br />

Rapporti d'ansia<br />

lunedì 22 ottobre 2007, 12.09.08 | molinaro<br />

Pagina 175 di 200<br />

Con tutto il lavoro che ho da fare oggi, già non dovrei neppure<br />

scrivere questo, dovrei lavorare e basta. Eppure, eppure. Non si<br />

può mettere la vita in un ripostiglio, come robaccia, e correre<br />

solo su e giù per le scale mobili del lavoro. O forse si può ma è<br />

un delitto. Così credo. Così mi pare.<br />

Ho addosso una specie di ansia. Legata a tante cose (anche al lavoro stesso, sì,<br />

anche al tempo che scorre, all’età, ad altre cose), ma oggi legata soprattutto ai<br />

rapporti umani.<br />

Venerdì scorso un’amica mi ha criticato per un commento troppo sbrigativo sul<br />

suo blog, e poi ha aggiunto che deve elaborare un discorso sul valore del tempo<br />

dedicato agli amici, in un’ottica di rispetto e dignità. E io già sono in ansia, temo<br />

di avere sbagliato, sì ho fatto un commento sbrigativo ma è che lei me l’aveva<br />

chiesto e forse io invece non mi veniva niente da dire e ho voluto commentare lo<br />

stesso perché lei me lo aveva chiesto, era una roba su una città in cui anch’io<br />

sono stato. E avevo fretta, e forse dovevo aspettare un altro momento, o dire che<br />

non avevo nulla da dire, ma aspettare poi magari passa troppo tempo, ho voluto<br />

fare così per fare, perché me lo aveva chiesto, quando mi chiedono le cose cerco<br />

di farle subito, non so se è lo stesso motivo per cui uscivo a imbucare le lettere<br />

per Diletta alle due di notte, no forse no, non lo so, e poi in quel caso lo faceva<br />

anche lei, eravamo pari. L’ansia dell’impegno quella ce l’ho, lo so; come lavoro<br />

vorrei tanti piccoli lavori che cominciano il mattino e finiscono in giornata,<br />

compiuti, che non stai la notte che dopo devi ancora finire, magari per mesi,<br />

magari è per quello che faccio il poeta e non il romanziere, magari è per quello<br />

anche altre cose. Se mi chiedi una cosa io comincio a farla nel minuto in cui me<br />

la chiedi, se no entro in ansia. Il 99% delle volte va così, l’1% è che proprio<br />

oggettivamente non posso. Ah, Dio mio.<br />

Mi rendo conto che quella del commento sul blog può essere una cazzata, non<br />

perderò, spero, un’amicizia ultradecennale per un commento sbrigativo, eppure<br />

l’ansia ce l’ho.<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Pagina 176 di 200<br />

Sarà che a volte mi sembra di avere perso rapporti umani per ancor meno, ossia<br />

per nessun motivo (nessun motivo a me noto, s’intende).<br />

L’ansia la dà qualsiasi rapporto umano a cui tieni, un po’ è naturale, anzi credo<br />

che sia un termometro dell’importanza del rapporto. Clara mi scrive che non sa<br />

se ha senso un rapporto con uno come me con tutti i miei fantasmi e mi viene<br />

l’ansia. Un’ora dopo mi scrive che mi vuole bene e mi passa l’ansia. E così via.<br />

Sfido che ho la tachicardia. È perché non vorrei mai perderla. Clara, non la<br />

tachicardia.<br />

E le scomparse esistono, non dico la morte, quella è un altro discorso, dico le<br />

scomparse in vita. Federica l’ho quasi metabolizzata, Elisa forse anche, ogni<br />

tanto ne parlo perché comunque le cicatrici restano per sempre però credo di<br />

averle metabolizzate anche se ovviamente spero che mi telefonino fra un minuto<br />

ma quello è ovvio che io lo speri (o no? io spero sempre tutto). Però Claudia?<br />

Claudia mi sta facendo soffrire in un modo che forse non prevedevo neppure, mi<br />

manca da morire, dopo un anno a vedersi e/o sentirsi quasi tutti i giorni adesso<br />

un muro di silenzio. Tre settimane, non è che sia un secolo, ma è il modo che mi<br />

ferisce. Non una parola. Se telefono non risponde. Ovvio che adesso non<br />

telefono neanche più, uno si sente un rompipalle. Può avere mille impegni, ma<br />

una parola... Perché fa così? Non è successo nulla che giustifichi una rottura.<br />

Magari domani mi telefona e mi dice: «Ma perché te la sei presa? Avevo molto<br />

da fare, non avevo tempo. Non è successo nulla». Magari invece non mi telefona<br />

mai più. Come Federica. Ho un’ansia addosso. Che cosa c’è di così sbagliato in<br />

me?<br />

Poi la domanda diventa: sono fatto sbagliato perché le persone mi scompaiono,<br />

o le persone scompaiono a tutti e sono fatto sbagliato perché patisco che le<br />

persone mi scompaiano?<br />

Una mi rimprovera per un commento affrettato, in pratica credo che mi<br />

rimproveri distrazione e poco tempo dedicato. Credo, non lo so, me lo dirà,<br />

penso che me lo dirà. Un’altra invece, a cui ho dedicato attenzione totale (se mi<br />

chiamasse in questo istante andrei da lei e in culo ogni lavoro urgentissimo,<br />

uscirei senza neanche spegnere il computer), mi ricambia con un improvviso<br />

silenzio. Lo chiamerei silenzio assordante se non fosse ormai diventato un luogo<br />

comune, per colpa di certi giornalisti incapaci che quando ci si inventa<br />

un’espressione nuova poi la usano settecento milioni di volte a sproposito e la<br />

fan diventare vuota come una pubblicità commerciale. Più propriamente lo<br />

chiamo silenzio crudele. E sarò sbagliato io, e mi sarà presto spiegato, dal<br />

saggio di turno, che ha ragione lei, e che io non capisco un cazzo; ma io lo sento<br />

crudele e avrò almeno il diritto di dirlo, come lo sento. Senza pretese. Lo dico.<br />

Va bene che non esistono rapporti equilibrati, va bene che la disponibilità è<br />

variabile (a me viceversa – viceversa? – l’altra amica rimprovera appunto poca<br />

disponibilità quantomeno a commentare un blog, credo), ma anche nei periodi di<br />

«stanca», un minimo, una parola. Io non mi ricordo di avere mai inflitto a<br />

nessuno la tortura di un silenzio così. Se sbaglio, se ricordo sbagliato, la persona<br />

a cui l’ho inflitto me lo faccia notare. Ma non credo proprio.<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Che poi anche nel caso del commento sbrigativo sul blog dell’altra amica gioca<br />

l’ansia di comunque fare, di comunque rispondere. Mi chiedi un commento e te<br />

lo faccio anche se non mi viene. Forse, patendo così tanto il silenzio, patendo<br />

così tanto la non risposta altrui, mi ripugna fare io la stessa cosa, e invece in<br />

quel caso avrei dovuto: non mi viene niente da dire su quell’argomento del tuo<br />

blog, taccio. Magari spiegandolo, perché il silenzio assoluto, il muro vuoto, la<br />

barriera incomprensibile, quella mai, no, mai, neanche a un criminale,<br />

figuriamoci a un amico.<br />

Sono ansioso e sbagliato. Comunque Claudia potresti darmi un colpo di<br />

telefono, porca puttana (è un’interiezione, non è al vocativo). Quell’esame l’hai<br />

fatto? Ma la laurea triennale la prendi a novembre o no? Ma come va con quel<br />

nuovo tipo? Ma come stai? Ma non pensi mai che uno che ti vuole bene a non<br />

saper più nulla di te sta male? Ma sono io così anormale? La mia vita senza te è<br />

minestra senza sale (questa è una citazione molto dotta –eh!– che solo tu puoi<br />

capire), si vede che io per te invece sono stato un giocattolo da buttare via. E lo<br />

dico e me ne frego se sono patetico, so essere patetico e persino ridicolo quando<br />

ci vuole. Perché sì, a volte ci vuole: lo stile obbligato uccide. Noblesse tue.<br />

Cazzo!<br />

Un epitalamio (grosso modo)<br />

martedì 23 ottobre 2007, 13.48.01 | molinaro<br />

Insomma, epitalamio. L’epitalamio dovrebbe essere una<br />

composizione bene elaborata, con versi regolarissimi<br />

(distici elegiaci? un esametro e un pentametro? tutti ben<br />

messi i dattili e i trochei? mah, non ricordo più bene la<br />

metrica antica), e questa invece è una cosa buttata giù<br />

alla svelta, di getto, senza pensarci. Ma forse c’è un<br />

senso. I miei auguri in ogni caso sono sinceri, adesso sì.<br />

EPITALAMIO<br />

(per un matrimonio che si celebra ai primi di novembre)<br />

Sono contento che adesso ti risposi<br />

con uno che ti ama e ti rispetta.<br />

Anch’io t’ho rispettata a modo mio<br />

– ma è stato un modo forse troppo mio –<br />

e amata non lo so, mancava sempre<br />

qualche cosa all’amore, ci è mancato<br />

fin dall’inizio e per vent’anni e due figli<br />

abbiamo fatto senza – e sì, sì, in fondo<br />

è stata anche quella un’impresa, diciamo:<br />

un’impresa minore, di quelle che nei libri<br />

le scrivono in piccolo e all’esame non le chiedono.<br />

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Pagina 177 di 200<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Nei primi tempi c’era del buono.<br />

Ricordo che sul Gargano facevamo l’amore<br />

anche tre volte al giorno.<br />

Però la sera io bevevo lo stesso<br />

e mi sognavo le ragazze di Mattinata,<br />

sette brune e una bionda.<br />

C’era del buono ma era già malato<br />

con quel sempre troppo vino sopra il tavolo,<br />

con il mio rifugiarmi nel minuto d’ombra<br />

fra ora e ora, con le idee ritirate<br />

e mai discusse, miscredente che leggevo<br />

con bella voce l’epistola in Valsesia<br />

per la gioia dei bravi montanari<br />

– no, bravi no, ora non esageriamo.<br />

Ce n’è anche di stronzi la sua parte.<br />

C’era del buono ma forse era possibile solo<br />

avendo messo l’anima da parte<br />

e posto in campo una viceanima docile,<br />

adattabile a prezzo di fughe<br />

più o meno disperate,<br />

più o meno tollerate.<br />

Per vent’anni non ho sentito musica<br />

che mi piacesse. Ho scoperto Guccini<br />

dopo averti lasciata. Da un lato<br />

è stato divertente, dopo: mi sembrava tutto nuovo<br />

ed era di vent’anni prima solo che<br />

io non c’ero mai stato in quei vent’anni.<br />

Devo ancora capire che cazzo è successo<br />

nel «fatidico 1977» di cui parlano pure adesso<br />

su riviste e giornali. Io non ricordo<br />

nulla di particolare in quell’anno. Proprio nulla.<br />

Ero entrato in un tuo mondo separato<br />

fatto di camicette romene e musica d’organo<br />

e passeggiate e far la spesa al PAM.<br />

Non ricordo nient’altro. Non ti faccio<br />

nessuna colpa di questo, ero io<br />

che non ero capace di alzare la testa.<br />

E andava bene così, per vent’anni<br />

è andata bene così. Bene si fa per dire.<br />

Mi sono sentito ogni giorno in difetto,<br />

questo è quanto. Non ero io la domenica al parco<br />

a sentire alla radio la partita.<br />

Era qualcuno che io fingevo d’essere,<br />

un marito (quasi) normale. Forse me la studiavo<br />

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Pagina 178 di 200<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

addirittura, quella normalità.<br />

Con quali risultati, è da discutere.<br />

Infatti dopo non l’ho più sentita,<br />

la partita alla radio.<br />

Bisognava pur fare qualcosa.<br />

Anche tu sapevi! Ricordo che mi dicesti<br />

che temevi che un giorno mi sarei innamorato<br />

davvero di qualcuna.<br />

Sembra quasi un discorso dell’assurdo.<br />

Molte vite lo sono.<br />

Mi dispiace le volte che t’ho fatta piangere<br />

(ricordo tutto molto bene, non credere),<br />

una volta persino uno schiaffo<br />

(ma dato piano, con valore simbolico,<br />

quasi a implorarti di farla finita con me,<br />

che io non ne avevo il coraggio)<br />

e gli oggetti distrutti, quel candelabro d’argento,<br />

orribile dono di nozze di non so chi,<br />

che feci a pezzi e tu volevi ricomporre:<br />

ma erano troppo diverse le vite<br />

che volevamo ricomporre, troppo diverse.<br />

Diverse anche se poi non avevamo idea<br />

di come fossero, di come le volessimo.<br />

Però diverse, sicuramente diverse.<br />

Ricordo le delusioni, le insufficienze<br />

d’uno scenario messo su alla bell’e meglio<br />

e recitato senza grande convinzione:<br />

credevamo che la vita fosse quella,<br />

che non potesse dare molto di più.<br />

Questo ci accomunava. Era ben poco.<br />

C’era sì tenerezza, c’era gioco a volte,<br />

ma non complicità, quella mai: restavamo guardinghi,<br />

sempre in difesa: perché il vero tesoro<br />

era celato e non era condiviso.<br />

Celato anche a noi stessi.<br />

Ho sempre voluto far l’amore con altre;<br />

è stato quello il mio più grande desiderio<br />

pure nell’anno in cui ci siamo sposati!<br />

Quando ho smesso di bere ho cominciato<br />

poi persino a riuscirci. Ma non credo che questo<br />

sia stato una mancanza di rispetto<br />

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Pagina 179 di 200<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

verso di te. Stavo solo scoprendo<br />

qualcosa che avrei dovuto scoprire<br />

comunque: amare ed essere amato io davvero,<br />

non la parte monca di me che avevo messo<br />

in scena fin da piccolo, credo<br />

per paura o viltà.<br />

Doveva succedere. Ma non credo<br />

di averti mancato di rispetto. T’ho fatta<br />

soffrire, questo sì, ma rispettata<br />

ti ho sempre rispettata, a modo mio<br />

– se anche è stato un modo troppo mio.<br />

È perché non andava il modo mio<br />

in tutte le tue cose, che tutto è finito<br />

quando ho imparato – molto tardi – a vivere<br />

senza più svicolare: a modo mio.<br />

Che è la cosa giusta da fare per tutti, suppongo.<br />

Ricordo tuttavia momenti teneri,<br />

un cammeo preso a Firenze, il gioco<br />

di muovere le dita dei piedi,<br />

i tre giornali che tu mi compravi<br />

quando giacevo a letto il giorno dopo la sbronza.<br />

So che nemmeno questa poesia è granché.<br />

Non sono mai riuscito a fare granché per te.<br />

Sono contento che adesso ti risposi<br />

con uno che ti ama e ti rispetta.<br />

(Io resto scapolo, credo che sia meglio.)<br />

(Però non si sa mai, magari trovo<br />

una pazza furiosa, da vivere insieme<br />

liberamente! No, non credo che esista.)<br />

Avec le temps<br />

mercoledì 24 ottobre 2007, 22.31.32 | molinaro<br />

Oggi ho scritto diverse inconcludenti e anche lagnose stronzate. Poi per fortuna ho avuto la buona<br />

ispirazione di cancellare tutto. E preferisco mettere qui soltanto questa bella tristissima canzone di Léo<br />

Ferré. Domani è un altro giorno.<br />

Per lei che cresce<br />

venerdì 26 ottobre 2007, 8.47.31 | molinaro<br />

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Pagina 180 di 200<br />

Continua a piovere con un certo impegno stamattina su Torino.<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Devo uscire, passare in un’azienda e alla Posta. Meglio, così<br />

non sto tutto il tempo a lavorare al computer, come è successo ieri dall’alba a<br />

mezzanotte. Devo anche mangiare un po’ più decentemente: ieri ho pranzato<br />

con un chebab e cenato con una scatoletta di tonno e una bustina di grissini. No,<br />

non ho usato i grissini per tagliare il tonno, anche perché quello del discount si<br />

sfascia da solo appena aperta la scatoletta. Fra tonno e grissini ho scritto anche<br />

questa piccola poesia. Ma ora adelante, sotto con il lavoro. In qualche autogrill<br />

qualche giovane cameriera starà forse specchiando alla soda fountain la sua<br />

faccia da bambina, per qualche piazza starà correndo una lepre pazza. Io sto con<br />

le mie vecchie bozze da correggere.<br />

PER LEI CHE CRESCE<br />

Sciopero dei treni<br />

La niña del bello rostro<br />

sigue cogiendo aceituna<br />

con el brazo gris del viento<br />

ceñido por la cintura.<br />

Federico García Lorca<br />

Adesso impari quasi ad atteggiarti,<br />

ad avere uno stile, a costruire<br />

le frasi, i modi giusti per l’intreccio.<br />

Fai bene, è necessario. Però è quando<br />

te ne dimentichi e scrivi alla svelta<br />

una riga sul foglio come viene<br />

che sento nella gola grigia battere<br />

la consapevolezza puntigliosa<br />

dell’abbraccio di vento che ci sposa.<br />

sabato 27 ottobre 2007, 23.58.01 | molinaro<br />

FRA VENTI MINUTI<br />

Si prepara una domenica a Milano: la presentazione di Clara e un<br />

pranzo fra amici. Ma c’è sciopero dei treni piemontesi e ci tocca<br />

andare con la Panda. Che sfiga. Proprio adesso dovevano<br />

scioperare e proprio in Piemonte! Certo avranno le loro ragioni. Ma<br />

io, in paga, metto qui una poesia, presa dal mio libro, con l’arrivo<br />

di un treno a Milano. A pag. 401 de La parola rinvenuta. Ecco!<br />

Fra venti minuti arriveremo a Milano.<br />

Forse meno, sfilano le luci rade di Rho.<br />

La ragazza si dipinge le unghie di verde chiaro,<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

verde smeraldo, blu turchese, azzurro,<br />

e lascia il mignolo rosa, non dipinto.<br />

L’uomo ritira il walkman e il telefono.<br />

Un’altra donna toglie delle foto<br />

dalla busta gialla e bianca del laboratorio<br />

e le mostra a un’amica che si affaccia<br />

alla spalliera del sedile, dietro.<br />

Fra un quarto d’ora saremo a Milano.<br />

L’anziana un poco secca si mette la sciarpa<br />

e l’odore della città s’infila nel vagone.<br />

L'amore ha vent'anni<br />

martedì 30 ottobre 2007, 13.37.57 | molinaro<br />

Oggi ho scritto una breve poesia, ispirata da una discussione (se<br />

discussione si può chiamare) che si è dipanata sulla Posta del<br />

fegato. Discorsi più o meno vani sulle età dell’amore, sugli squilibri<br />

nei rapporti, cose del genere, per carità magari anche sensate, ma<br />

in definitiva (secondo me) inutili. Ho pensato, in un lampo, che<br />

l’amore ha vent’anni. Questo non significa che non ci siano<br />

meravigliose amanti (e meravigliosi amanti) di cinquant’anni e più. Certo che no. Ma<br />

l’amore, lui, proprio lui in persona, ha vent’anni, da sempre e per sempre.<br />

Nell’antichità veniva raffigurato giovane, e così in tutti i secoli, e Romeo e Giulietta<br />

non sono certo cinquantenni, come neppure Paolo e Francesca. E Vittorio Sereni, in<br />

una delle poesie più grandi di tutto il Novecento non solo italiano (secondo me), Mille<br />

miglia, scrive in chiusura: Ma nulla senza amore è l’aria pura / l’amore è nulla senza<br />

la gioventù. E per Guccini nella famosa Locomotiva gli eroi (e quindi gli amanti, che<br />

sono sempre eroi – e viceversa!) sono tutti giovani e belli. È così naturale! Così<br />

evidente! Questo non deve deprimerci, dico soprattutto noi che abbiamo già una<br />

certa età, no, non deve deprimerci. È la vita, è tutto regolare, è tutto come è. Ma<br />

negare che l’amore abbia vent’anni, come si fa? Buona giornata a tutti, di tutte le età.<br />

L’AMORE HA VENT'ANNI<br />

L'amore ha sempre vent'anni. Noi no:<br />

noi ci disfà l'alterna indifferenza<br />

delle stagioni, noi ci prende il grigio<br />

del cielo e dei capelli – ma restiamo<br />

innamorati del ventenne amore<br />

e ne teniamo un poco in una tasca<br />

ben custodito, da poter guardarlo<br />

di tanto in tanto per saperci ancora<br />

vivi, perché la verità è che<br />

la vita senza amore non esiste<br />

e l'amore, per sempre, ha vent'anni.<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Ho visto vecchi piangere d'amore<br />

martedì 30 ottobre 2007, 16.48.15 | molinaro<br />

HO VISTO VECCHI PIANGERE D’AMORE<br />

Ho visto vecchi piangere<br />

nel semibuio d’un monolocale<br />

o nel salotto d’un ospizio o anche<br />

nell’indifferenza affettuosa<br />

d’una famiglia.<br />

Ho visto ragazzini piangere<br />

nell’angolo d’un cortile<br />

cinti dal braccio d’ombra d’un’assenza<br />

traditi da un amico o lasciati<br />

da una ragazza.<br />

La differenza è<br />

un tempo avanti tutto ancora<br />

da vivere e una forza nelle gambe<br />

– o invece gambe stanche<br />

e tempo ormai scaduto.<br />

Ma il ragazzino in lacrime non pensa<br />

alla vita davanti – pensa solo<br />

a chi gli manca – il vecchio non pensa<br />

alla morte vicina – pensa solo<br />

a qualcuno lontano.<br />

Quando non c’è più abbraccio la ferita<br />

sanguina uguale a quindici o a cent’anni<br />

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Un po’ c’entra e un po’ non c’entra, con la poesia del messaggio precedente. Non ha<br />

importanza che c’entri o non c’entri. Mi è venuta così, in un pomeriggio grigio pensando<br />

che forse ora faccio una pausa dal lavoro ed esco a mangiare un panino. In casa ho quattro<br />

cachi e uno yogurt, ma forse esco a mangiare un panino. Ha aperto un nuovo<br />

chebabivendolo nel primo tratto di via San Donato, vicino al bar che fa ancora cappuccino e<br />

brioscia e un euro e cinquanta totale, magari lo provo. Intanto questa qui sotto è la poesia.<br />

L’amore che hai vissuto<br />

non è tempo perduto<br />

l’amore che hai sognato<br />

è tempo anticipato<br />

Clara Vajthò<br />

Io sento solo freddo. Abbiamo giocato<br />

a fare i grandi e poi lo siamo diventati.<br />

Chiara Borghi<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

un abbandono è un abbandono sempre<br />

ciò che si perde rimane perduto<br />

ho visto vecchi piangere d’amore.<br />

Senza titolo<br />

mercoledì 31 ottobre 2007, 14.51.23 | molinaro<br />

NOMPOESIA DI VARIE COSE FATUE<br />

Che poi la Petarda mi dice che<br />

potevo anche non andare a capo<br />

perché si legge bene tutta di seguito<br />

e quindi è prosa, ma a me<br />

gira di andare a capo.<br />

Cioè pensavo all’innamoramento e amore<br />

– cosa nuova, eh? –<br />

e subito allora penso Alberoni<br />

ma Alberoni penso Lido<br />

e Lido penso Clara<br />

così ci allontaniamo subito da quel libro<br />

di Alberoni Francesco<br />

che secondo me è abbastanza pessimo.<br />

Che poi l’Alberoni del libro<br />

mi ricorda Gargiulo<br />

o Gargiullo<br />

o Margiullo<br />

o qualcosa del genere, adesso non mi viene.<br />

Ecco pensavo: se non sono innamorato<br />

non riesco a fare un cazzo<br />

parlo anche di lavoro<br />

e questo mi provoca guai<br />

una volta uno me l’ha proprio detto:<br />

«Se fai quella faccia<br />

non mi vien voglia<br />

di darti il lavoro».<br />

Era un lavoro che faceva cagare<br />

come il 99,9% dei lavori<br />

ma ne avevo bisogno<br />

avrei dovuto stamparmi<br />

un bel sorriso entusiasta sul muso<br />

ma non ci riesco, non ci riesco mai.<br />

E pensavo: ma quello lì nel caso del lavoro<br />

è innamoramento o amore?<br />

Io a naso direi innamoramento<br />

perché se non sono entusiasta<br />

proprio entusiasta al culmine<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

roba da innamoramento<br />

non riesco a far niente di buono. È un casino.<br />

Va ben che a volte non ce n’è bisogno,<br />

basta produrre una roba così, passabile.<br />

Però poi magari ti fanno il culo.<br />

Il mondo del lavoro è bastardo bastardissimo.<br />

Fra uomo e donna<br />

se non c’è l’innamoramento è grigia.<br />

Quell’amico della Val Bormida<br />

dice che m’innamoro delle immagini<br />

più che delle persone, ma io contesto:<br />

dentro le immagini ci sono le persone<br />

e ogni persona, come la vedi, è un’immagine.<br />

E poi mi va di studiare le persone<br />

guardarle bene<br />

sono capace di andare a una cena<br />

dove non sono neanche tanto a mio agio<br />

solo per guardare una<br />

anche fidanzata con un altro che è lì con lei<br />

sì per guardarla<br />

perché va bene, immagine, sì,<br />

ma l’immagine dev’essere reale,<br />

non frutto dei miei voli di fantasia.<br />

Insomma, insomma, insomma.<br />

Certo l’entusiasmo è tutto:<br />

anche nel mio periodo alcolico<br />

che fu una brutta faccenda<br />

nelle (rare) giornate in cui avevo<br />

qualcosa che m’entusiasmava davvero<br />

manco ci pensavo a bere<br />

infatti ho smesso quando mi sono innamorato<br />

(perché innamoramento è uguale a entusiasmo,<br />

su questo non ci piove)<br />

poi l’amore è passato<br />

ma ormai avevo smesso<br />

e certe cose tragiche per fortuna<br />

quando uno ha smesso ha smesso.<br />

L’immagine, certo, conta una luce, un gesto,<br />

e forse in un anno di...<br />

di non so che con una giovane amica<br />

questo ha generato non dico malintesi<br />

ma differenti interpretazioni<br />

lei mi offriva frutta del suo giardino<br />

e se restava un pezzo solo<br />

lo spezzava coi denti e mi offriva la metà<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

e mentre parlavamo le massaggiavo la schiena<br />

o le carezzavo una coscia<br />

o l’aiutavo a mettersi un orecchino<br />

e a volte lei mi telefonava<br />

mentre era al cesso e sentivo la pipì<br />

e qualche sera siamo stati in collina<br />

con uno sfolgorare di città ai nostri piedi<br />

e un profumo di fiori da svenire<br />

e il cielo con la sua brava luna<br />

e tutto questo<br />

ma forse soprattutto il pezzetto di frutta<br />

spezzato coi denti e offerto con le dita<br />

alle mie labbra, per me<br />

vale più di cento scopate<br />

(quello non l’abbiamo mai fatto, dico scopare)<br />

e allora è chiaro che adesso mi manca<br />

come la più fidanzata delle fidanzate<br />

e allora forse ha ragione<br />

adesso a eclissarsi<br />

anche se insomma secondo me<br />

se ne poteva parlare.<br />

Ma sì ma sì che l’entusiasmo è tutto<br />

e l’innamoramento fa sognare, questo<br />

non lo nego, ma sono sogni molto concreti<br />

– i poeti sono uomini concreti, ho scritto<br />

in una poesia ispirata da una di cui<br />

ero certamente molto innamorato –<br />

poi a me l’innamoramento mica passa<br />

così facilmente<br />

mi dura un sacco di tempo<br />

la maggior parte anzi degli innamoramenti<br />

della mia vita non mi sono mai passati<br />

li ho ancora adesso<br />

forse è per questo che non li distinguo<br />

dall’amore, oh, quell’Alberoni,<br />

che sì Alberoni penso Lido e quindi Clara<br />

ma poi andando più indietro nel tempo<br />

agli Alberoni di preciso stava Francesca<br />

che nel 1970 il Vispo e io<br />

siamo stati a casa sua per quindici giorni<br />

e ci siamo visti tutta la Mostra del Cinema<br />

e suo zio ci pagava tutti i biglietti<br />

e a mezzanotte nella grande casa<br />

ci offriva da bere e chiacchierava con noi,<br />

e ragazzi cazzo era importante anche lo zio<br />

perché è vero che nel 1970<br />

non avevo una ragazza<br />

ma non avevo neppure un adulto che parlasse<br />

erano un sacco le cose che non avevo<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

anche se cercavo lo stesso di entusiasmarmi<br />

a varie cose come per esempio<br />

la rivoluzione e spaccare un po’ tutto.<br />

Insomma, così. Il Vispo poi è morto,<br />

credo perché non è riuscito a entusiasmarsi.<br />

Ma che cazzo stavo dicendo? Ah sì,<br />

l’innamoramento, che se dicono che deve evolversi<br />

in amore perché da solo non dura,<br />

mah, dovessi dire io personalmente<br />

ho visto finire più amori che innamoramenti.<br />

Ma sarà che vedo le cose a modo mio,<br />

magari non è che faccio testo,<br />

anzi di sicuro non faccio testo.<br />

Io se m’innamoro secco adesso mi sa che mi sposo,<br />

se trovo una che mi vuole io la sposo anche.<br />

Se la amo non so se la sposo,<br />

amarsi va bene anche convivere o vedersi così,<br />

ma se m’innamoro e lei ci sta a sposarmi<br />

io la sposo: sono in un momento così, sposabile.<br />

Un po’ rischioso forse, non so se per me<br />

o per l’eventuale candidata;<br />

al momento il problema non si pone,<br />

non ho avuto disponibilità al matrimonio<br />

da parte di donne che mi ci sono innamorato.<br />

Eh beh vorrei vedere. Non sono un gran partito<br />

né un gran tornato (sì, questa è una battuta<br />

che fa cagare, ma dato che lo è un po’ tutta<br />

la poesia, questa poesia, a far cagare,<br />

ce la lascio, che si abbina bene<br />

come gli oggetti in casa di quell’amica<br />

quella della frutta del suo giardino dico:<br />

ha la manìa del fare pandàn).<br />

Bah, poi mi sa che m’è passato l’entusiasmo<br />

di scrivere questa stronzata.<br />

Dunque smetto.<br />

Però decido di inventare una nuova parola<br />

per definire queste leggiadre composizioni:<br />

la non poesia, però scritto tutto attaccato<br />

che diventa nompoesia,<br />

e perché perché perché,<br />

perché la n prima della p diventa m,<br />

lo sapete benissimo, non rompete i coglioni.<br />

Le regole fonetiche bisogna rispettarle.<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

[nell'immagine, una mia fotopoesia, faccio anche quelle cose lì]<br />

[perché nessuno mai in vita mia mi ha pagato per fare qualcosa che mi piacesse? il lavoro è così, deve<br />

non piacere, è la sua legge]<br />

Primo novembre<br />

giovedì 1 novembre 2007, 7.00.25 | molinaro<br />

Novembre. Giornata piena di lavoro come tutte in questo periodo.<br />

Ma voglio mettere qui una poesia di un bel po’ di anni fa, dedicata<br />

a un primo novembre a Vercelli. E alla solitudine, credo. Dovrebbe<br />

essere del 1986, anno più anno meno. Pubblicata prima nel libro Il<br />

gioco che vale la candela, del 1988, poi in La parola rinvenuta,<br />

dell’anno scorso, a pag. 176. Buon novembre a tutti. Mi sembra<br />

bene festeggiare i capidimese, e non solo i capidanno.<br />

PRIMO NOVEMBRE<br />

Il pomeriggio d’Ognissanti a Vercelli<br />

le case sono il posto più triste.<br />

Si sente il ronzio di un piccolo aereo,<br />

deietta paracadutisti in un cielo grigio<br />

che non lascia alzare nemmeno lo scampanio<br />

delle chiese per le messe vespertine<br />

dove un poco di gente per annoiarsi va.<br />

Ed è davvero la festa dei morti,<br />

o forse della Morte: qui il buio fa paura<br />

scendendo piano nelle stanze vuote,<br />

così vuote che nemmeno se un bimbo parla<br />

le può riempire, queste case inutili.<br />

<strong>Qui</strong> le persone sono un accessorio<br />

o un soprammobile. Il cimitero è una discarica.<br />

L’occhio non ha riposo, si brucia<br />

come falena sulla prima luce,<br />

corre a cercare il fumo delle stoppie,<br />

la vecchia nebbia che l’aveva illuso.<br />

<strong>Qui</strong> non c’è stato niente, mai niente, mai niente;<br />

guai se il fumo e la nebbia si dissolvono.<br />

È la festa dei morti, quelli veri<br />

che la terra discioglie e che non risorgeranno.<br />

[nell'immagine, ricordo di un viaggio a trovare Federica, con offerta speciale Le notti di Trenitalia,<br />

viaggiando di notte seduti, solo 15 euro da Torino a Roma]<br />

Quattro poesie al volo stamattina. Mi correggo: cinque<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

giovedì 1 novembre 2007, 11.28.45 | molinaro<br />

Stamattina mi sono venute quattro piccole poesie. Sono ispirate da quattro donne diverse e<br />

lo so, lo so, che questa è una pessima strategia. Non dovrei metterle qui insieme! Ma al<br />

diavolo le strategie, al diavolo le tattiche – sono tutte falsificazioni. Sia come sia. Non ci<br />

metto le dediche, così non facciamo casini. Oltre tutto, se mettessi la dedica con la sola<br />

iniziale del nome, servirebbe ben poco a distinguere: tre su quattro cominciano con la stessa<br />

lettera! Confusione! Va ben, dai, fra un abbraccio e una mancanza, continua la danza... Anzi<br />

mi sta venendo una quinta poesia, appunto, su abbraccio e mancanza e danza, vedete, vengono così, mica si fa<br />

apposta, due parole ronzano nell’orecchio e patatràc; l’ultima la metto per prima.<br />

LA DANZA<br />

Fra un abbraccio e la sua mancanza<br />

c’è un tempo così breve, così breve,<br />

che quasi già la senti, la mancanza,<br />

mentre stai nell’abbraccio: sì però<br />

già speri un altro abbraccio, ancora uno:<br />

così la vita, puttana ballerina<br />

di bassifondi che non dà puntelli,<br />

se la trovi la trovi, certo in qualche<br />

localaccio del porto: ti prende ti lascia:<br />

con te o senza, continua la danza.<br />

BUTTERÒ LE CASSETTE<br />

Butterò le cassette con la musica<br />

che ascoltavamo in macchina io e te.<br />

Non voglio riascoltarle io da solo<br />

o con un’altra. Vedi com’è strano:<br />

non è mai stata una storia d’amore<br />

– noi l’abbiamo chiamata un’amicizia,<br />

parola vasta – fosse quel che fosse,<br />

adesso è una vertigine d’assenza.<br />

FISARMONICA DI STRADA<br />

Questa mattina è ripassato l’uomo<br />

con la fisarmonica, accompagnato<br />

da una ragazza bionda<br />

che mi ha salutato quando mi sono sporto<br />

dal balcone a vedere e ascoltare.<br />

Saluta tutti quelli che s’affacciano,<br />

naturalmente, ma questo nulla toglie<br />

al saluto, così fresco e gentile<br />

nel grigio impallidito del novembre.<br />

Ho pensato a te, a come hai confezionato,<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

l’altro giorno, le monete da lanciare.<br />

Non sono bravo nel confezionare:<br />

io le ho messe semplicemente dentro<br />

una busta di cellophane di fazzolettini di carta<br />

(ce n’erano ancora tre, li ho tolti e li ho appoggiati<br />

sullo scaffale dove c’è di tutto, hai presente,<br />

e ho messo le monete e ho chiuso<br />

con il lembo adesivo) – e ho lanciato,<br />

badando di non beccare qualcuno in testa.<br />

Ma non c’era molta gente per strada stamattina.<br />

Anche la vicina di pianerottolo<br />

si è sporta e ha gettato qualcosa, e anche<br />

una ragazza dalla casa di fronte,<br />

da un alloggio che mi sembra di studenti.<br />

<strong>Qui</strong>ndi va tutto abbastanza bene e io<br />

ti voglio bene anche oggi ora che<br />

mi rimetto al lavoro sui testi da correggere.<br />

LA BAMBINA IN TE<br />

La vedo bene la bambina in te,<br />

la vedo certe volte proprio bene,<br />

quando fai il muso perché sul tuo blog<br />

non ci va mai nessuno tranne me<br />

e raramente il tuo ragazzo, oppure<br />

stringi le spalle e fai l’indifferente<br />

se lui non ti risponde, o quando dici<br />

che sei riuscita a vendere tre libri,<br />

o quando stai con una compagnia<br />

che non ti fila e sei indispettita<br />

ma non lo fai capire. Certe volte<br />

s’affaccia proprio agli occhi la bambina<br />

e t’illumina tutta. E non importa<br />

se la nascondi, le dici stai brava<br />

e fai la grande e la saggia: lei c’è,<br />

lei per fortuna non ti lascia mai.<br />

QUESTI BACI VIA SMS<br />

Questi baci via sms<br />

non sono mai a sufficienza<br />

ma è meglio che star senza<br />

almeno dicono che ci siamo ancora<br />

almeno richiamano i baci quelli veri<br />

sulla panchina vicino alla stazione<br />

o in riva al piccolo lago che tu sai<br />

o meglio ancora a casa mia sul letto<br />

dove tolto l’ingombro dei vestiti<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

i baci sono buoni e tutto il resto<br />

questi baci via sms<br />

sono qualcosa però i baci veri<br />

cerchiamo di ridarceli un po’ presto.<br />

Fuori i poveri!<br />

venerdì 2 novembre 2007, 12.03.07 | molinaro<br />

Quarto discorso di Calipso<br />

Dal «Corriere della sera» di oggi:<br />

rrrrrrrrr<br />

Il dispo<strong>siti</strong>vo è attivato già da ieri: questa mattina cominceranno le procedure di<br />

espulsione. Il decreto legge del governo sarà reso operativo subito, come ha<br />

stabilito il capo della polizia Antonio Manganelli che ha allertato questure e prefetture sul monitoraggio dei<br />

romeni e dei rom presenti nel nostro paese. Sono migliaia quelli che rischiano di dover lasciare l'Italia<br />

entro qualche giorno. Perché, come sottolinea lo stesso prefetto, “l'elemento determinante sarà la<br />

pericolosità sociale degli individui che verrà stabilita non solo esaminando i precedenti penali di<br />

ognuno, ma anche il tenore di vita e dunque la capacità di sostentamento che fornisce la percentuale<br />

di rischio per la commissione di eventuali reati”.<br />

rrrrrrrrrrrr<br />

Traduzione: adesso abbiamo il potere di cacciar via tutti quelli che non hanno soldi. Uhm. La mia capacità<br />

di sostentamento è sempre al limite, con il lavoro precario e malpagato... Mi cacceranno? Ah già, ma sono<br />

cittadino italiano, dove possono cacciarmi? Mah, non si sa mai. Non si sa mai. [Immagino che mafiosi e<br />

magnaccia non saranno cacciati: quelli si sostentano benissimo!]<br />

sabato 3 novembre 2007, 15.44.58 | molinaro<br />

Dici che non mi porti sulla nave<br />

perché volgare è la ciurma: una donna<br />

della mia classe non può sopportarla.<br />

Ma che scusa puerile! Accanto a te<br />

sarei lieta: chi è lieto non s’angustia<br />

nel sopportare: di certo saprei<br />

ridere d’una mandria d’ubriachi<br />

che rutta e peta divorando pesce.<br />

Dici che non prometti fedeltà:<br />

non la chiedo. Desidero viaggiare<br />

con te. Non voglio legarti le mani,<br />

né legare le mie. Sono libera.<br />

Ora non stiamo a ripetere ogni volta tutto lo spiegone. Per capire i discorsi di Calipso,<br />

andate a vedere i primi tre, nei messaggi n. 114, 115 e 133. Questo qui sotto è,<br />

naturalmente, il quarto, di un dialogo che continua.<br />

QUARTO DISCORSO DI CALIPSO<br />

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Pagina 191 di 200<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Studierò le tue stelle, per seguirti:<br />

forse già le conosco più di te.<br />

Ulisse, il tormentoso lungo viaggio<br />

ha confuso i tuoi sogni con le ombre<br />

della notte e i fantasmi: non sai più<br />

che cosa è vero, non sai più che cosa<br />

credere, ti nascondi sotto il manto<br />

d’un’illusione. La mia strada invece<br />

è chiara: a mostrarmela è l’amore,<br />

un dio che non si sbaglia. Tu non vuoi<br />

prestare orecchio al suono della voce<br />

che senti in te: eppure parla forte,<br />

bene distinta dalle tue chimere:<br />

è voce nuova, mai udita prima.<br />

Se non mi vuoi sulla nave non posso<br />

costringerti – e se anche lo potessi<br />

non lo farei: l’amore è libertà.<br />

Non c’è bisogno d’accampare scuse<br />

di compagni volgari o dell’azzardo<br />

del rude viaggio: pensi che una ninfa<br />

abbia timore del mare o degli uomini?<br />

Mi sono innamorata e so chi sei<br />

perché ti vedo meglio di te stesso.<br />

Osserva il sole basso all’orizzonte:<br />

sembra colmare di fuoco la terra<br />

e il cielo. Ma fra un’ora sarà buio,<br />

sarà del fuoco ricordo e rimpianto.<br />

Breve è la corsa della vita, uomo:<br />

quando l’amore ti passa vicino<br />

conóscilo e sii pronto ad afferrarlo.<br />

Stirpe d'artisti?<br />

lunedì 5 novembre 2007, 11.15.28 | molinaro<br />

Pagina 192 di 200<br />

Stirpe d’artisti. Chissà. Non so. Credo che ogni individuo sia una persona a sé stante, nuova.<br />

Però è vero che nella mia famiglia un ramo d’arte e follìa (le due cose raramente vanno<br />

disgiunte) c’è, almeno dal lato materno. Il padre di mia madre suonava il pianoforte a un<br />

buon livello, suo fratello faceva l’inventore, e pare abbia inventato l’euritmoforo, che<br />

sarebbe il padre di tutti gli stabilizzatori di corrente, da quello che si metteva una volta sotto<br />

il televisore fino alle moderne «unità di continuità» (UPS). Gli diedero un diplomino e gli<br />

rubarono l’idea, naturalmente. Ecco, l’arte non so, ma farsi fregare, nella mia famiglia, quello sì, da sempre. Il<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

bisnonno con i lavori nelle risaie era riuscito a mettere insieme un gruzzolo, ma lo versò in una banca che<br />

prontamente fallì, e perse tutto. All’epoca non esistevano quelle robe interbancarie che adesso dovrebbero (forse)<br />

tutelare in casi del genere. Credo che nella mia famiglia nessuno abbia mai capito come funzionano le cose nel<br />

mondo del lavoro e degli affari. E questo pur avendo lavorato duramente (almeno alcuni). Io stesso lavoro molto ma<br />

non ho la minima idea di come funzioni il mondo del lavoro. A volte ho la sensazione che dovrei conoscere delle<br />

cose, o delle persone, o dei meccanismi; invece lavoro ma non conosco nulla, non ricordo le persone delle aziende,<br />

non so mai bene che cosa sto facendo. Comunque lo faccio, il lavoro, e finora in qualche modo sono sopravvissuto<br />

nella misteriosa giungla economica in cui nulla mi è domestico né chiaro. E va bene. Forse mi è già andata bene.<br />

Tornando all’arte di famiglia, mia madre dipinge. Non è una maestra dell’arte, ma è una buona disegnatrice e sa usare<br />

i colori, fa quadri perlopiù realistico-fotografici, a volte onirici, di un onirico un po’ freddo, controllato. Che poi<br />

l’arte moderna, e lo dico tranquillamente non essendo vincolato da nessun interesse o conventicola (qualche<br />

vantaggio c’è, a essere un tagliato fuori!), è al 99,9% un bluff. Per esempio: si prende un giocattolo di plastica,<br />

prodotto industriale, lo si mette al centro di una stanza bianca, si fa dire qualcosa a un critico prezzolato dal sistema,<br />

si chiama il tutto «installazione», si dà un titolo (che ne so, Oltre la roggia, oppure Il sogno di Agnese: è<br />

assolutamente lo stesso) e lo si vende per un milione di dollari. Chi vende merda per un milione di dollari è<br />

ovviamente uno schiavo del potere, ma si presenta spesso come «innovativo» e «indipendente». Siamo qui tutti ad<br />

aspettare il bambino che griderà all’arte moderna: «Il re è nudo!», ma temo che ormai anche i bambini siano<br />

embedded. Ci hanno fregati. Tornando alla modesta arte di mia madre, probabilmente anche i suoi quadri potrebbero<br />

essere studiati e ci si potrebbero leggere dentro un sacco di cose, volendo. Ne metto uno, il più recente che ha dipinto,<br />

finito un mese fa, nell’immagine di questo messaggio. Rappresenta i tavolini all’aperto di un bar di Torino, il Pastis<br />

in piazza Emanuele Filiberto (...se il titolare del Pastis è in ascolto e vuole comprare il quadro, per 2000 euro è suo.<br />

Facciamo 1800. Beh, ci provo anch’io, no? <strong>Qui</strong> i soldi mancano!). Ecco, per esempio il cuore rosso, molto rosso<br />

(guardate come spicca) messo fra i capelli della ragazza a destra ha un suo senso ben preciso. Forse l’ha perso la<br />

ragazza al centro, quella con le gambe accavallate che mettono un sacco di voglia: le è volato via e si è impigliato nei<br />

capelli dell’altra. E si potrebbe fare una bella pagina di indagine psico-iconografica sul senso del cuore volato via, sul<br />

collegamento fra le due donne, sulla femminilità in genere, sui trapianti di cuore e sui viaggi spaziali. E il tipo a<br />

sinistra? È pensieroso e furbo nello stesso tempo. Rappresenta forse il trentenne rampante e cinico, pronto a tuffarsi<br />

nella giostra della post new economy? Probabile! Ma se fosse invece uno sfigato travestito? E qui tre pagine<br />

sull’ambiguità del tratto disegnato. E la ruota della bicicletta? Forse simboleggia un anelito ecologico, oppure è da<br />

collegarsi al mito del vigore della giovinezza? E il fatto che le sedie siano verdi? E il paletto in primo piano a destra è<br />

un simbolo fallico? Ha, sulla punta, del rosso simile a quello del cuore, ed ecco pronto tutto il discorso fra sesso e<br />

sentimenti, altre due pagine almeno. Basta chiacchierarci su un po’, trovare un critico prezzolato dal regime<br />

mondiale, e poi anche questo quadro di mia madre lo si può vendere per un milione di dollari, come la merda in<br />

mezzo alla stanza bianca. Solo che mia madre, nella saggezza dei suoi 77 anni suonati, direbbe: «Tutte cazzate, ho<br />

solo dipinto quello che c’era lì» (si esprime sempre in modo colorito). E così rovinerebbe tutto. Eh, bisogna saperci<br />

fare, per essere artisti milionari. Soprattutto (in cauda venenum) è molto importante non essere artisti, ma faccendieri.<br />

Le due cose insieme non vanno quasi mai. Loro fanno i soldi ma ci odiano perché noi siamo più felici.<br />

I frutti delle rose<br />

mercoledì 7 novembre 2007, 14.24.41 | molinaro<br />

I FRUTTI DELLE ROSE<br />

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Pagina 193 di 200<br />

C’è un bel sole limpido chiaro, e una poesia così al volo, sui frutti delle<br />

rose, e poi davvero scendo giù a mangiare dal cinese che in frigo non<br />

m’è rimasto niente. Tanto fino alle tre dovrebbe essere aperto. Buon<br />

pomeriggio.<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Le rose all’angolo di corso Duca e corso Einaudi<br />

sono appassite però han fatto il loro frutto,<br />

quella peretta colorata rosso ruggine<br />

che in italiano non so come si chiama;<br />

in piemontese è gratacùl, in romeno credo măceşi<br />

ma in nessun’altra lingua lo so.<br />

Da molto tempo non scendevo dal tram<br />

a questo incrocio, penso più di un mese.<br />

Solitamente scendevo qui per andare da lei;<br />

oggi soltanto per consegnare una lettera.<br />

C’è un bellissimo sole. Devo farmi<br />

aprire il portone da qualcuno per raggiungere<br />

le buche della posta. Suono il primo<br />

campanello in basso a sinistra. Non risponde<br />

nessuno. Suono il primo in basso a destra.<br />

Nessuno. Allora il secondo dal basso<br />

a destra. Risponde un anziano, dico «Scusi<br />

dovrei consegnare una lettera in buca».<br />

«Eh? Come?» risponde. «Dovrei consegnare<br />

una lettera in buca», ripeto più forte.<br />

Non so se ha capito – ma apre il portone.<br />

Meno male. Infilo la lettera in buca,<br />

la lascio cadere dentro lentamente,<br />

penso «è inutile» ma la lascio cadere<br />

lo stesso nella buca, lentamente.<br />

Riattraverso l’aiuola delle rose.<br />

È bello che a Torino agli incroci dei corsi<br />

mettano rose rosse, e secondo me è bello<br />

pure lasciarle appassire d’autunno,<br />

lasciare che mostrino il frutto – chissà<br />

com’è il nome italiano – anche se<br />

qualche buon cittadino del quartiere<br />

immagino dica che andrebbero potate<br />

prima, che così fanno disordine.<br />

I buoni cittadini del quartiere<br />

si fottano. Ripassa il tram, ritorno<br />

a casa mia, c’è ancora un bellissimo sole<br />

e ho fame, guardo in frigo cosa c’è,<br />

se no scendo a mangiare un piatto di pasta<br />

dal cinese qui sotto, che sono simpatici<br />

e danno un buon pranzo completo a cinque euro.<br />

Lavorare o raccogliere foglie<br />

giovedì 8 novembre 2007, 8.19.27 | molinaro<br />

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Pagina 194 di 200<br />

Un bel mattino sereno, vorrei uscire a correre nei prati, vorrei fare l’amore, vorrei colorare<br />

dei fogli, vorrei camminare per la città a guardare le persone, vorrei scrivere lettere ad<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

amiche, vorrei raccogliere foglie secche al parco, invece mi accingo al lavoro. Sarà sensato<br />

tutto ciò? Magari è da questo che nascono le stragi inspiegabili, come rispondevo a Chiara qui (commento al<br />

messaggio intitolato De[motiva]). Ma cerchiamo di mediare, barcamenarci, adattare la realtà e noi stessi a una vita<br />

possibile. Però nel mondo c’è qualcosa che non va! Buona giornata a tutti.<br />

Ah, una cosa: stasera alla libreria Massena, in via Massena 28 a Torino, verso le nove e mezzo presento un libro di<br />

Luisa Rinaldi, Come l’acqua che scorre (A&B Editrice, Acireale-Roma 2006). È un’autobiografia soprattutto<br />

artistica e mentale (lei è pittrice oltre che scrittrice) dove si parla anche dell’esperienza negativa e traumatizzante in<br />

una setta religiosa. Se passate di lì...<br />

Forte e chiaro<br />

venerdì 9 novembre 2007, 12.10.04 | molinaro<br />

FORTE E CHIARO<br />

Il vento soffia forte e chiaro<br />

stamattina su Torino, forte e chiaro<br />

come un discorso fra amici: pulisce<br />

il blu del cielo e scuote le finestre.<br />

Così se qualche amico si nasconde<br />

dietro discorsi oscuri, se un’amica<br />

incerta fra l’amore e l’amicizia<br />

sceglie il nulla – e se il nulla s’insinua<br />

fra le povere nostre cose umane<br />

non diamo colpe al vento: il vento soffia<br />

chiaro e forte: lui sa cosa dice<br />

e cosa vuole: pulisce il blu del cielo<br />

e scuote le finestre.<br />

Il vento scuote tutte le finestre,<br />

non sceglie questa sì e questa no.<br />

È che noi, allarmati dalla luce,<br />

spesso tiriamo giù le tapparelle<br />

perdendoci lagnosi dentro il piccolo<br />

stupido buio della nostra stanza.<br />

Quei bambini che giocano<br />

venerdì 9 novembre 2007, 22.15.30 | molinaro<br />

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Pagina 195 di 200<br />

Stamattina su Torino soffia un vento forte e chiaro, e neppure freddo: c’è una luce<br />

d’autunnale primavera, c’è tutto un vortice di cose leggere, e qui al quarto piano vibrano i<br />

vetri e ronza la tettoia del terrazzo. E mi è venuta questa poesia. Buona giornata, ragazze e<br />

ragazzi. Non buttiamole via le giornate, non buttiamole via.<br />

Un mio amico mi ribadiva pochi giorni fa di non amare la poesia di Vittorio Sereni. I gusti<br />

sono gusti, ma ci sono due poesie almeno di Sereni che per me sono capolavori. Una è Mille<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

miglia, di cui forse ho già parlato in questo blog (non ne sono sicuro: forse). L’altra è Quei<br />

bambini che giocano. È una poesia che parla del tradimento: il tradimento della storia, il tradimento del futuro, il<br />

tradimento della vita, il tradimento di un’amicizia o di un amore. Il tradimento fa male. Il tradimento non è (secondo<br />

me) quando in una cosiddetta coppia uno dei due va a letto con un altro. Quella è una baggianata: almeno, a me non<br />

importa nulla se la mia amica, fidanzata, compagna o moglie fa l’amore con altri, non credo all’amore embedded,<br />

credo solo all’amore libero. Ma questo non mi mette al riparo dal tradimento, perché il tradimento è ben altro. Il<br />

tradimento è quando un’amicizia detta e creduta eterna viene spezzata come un ramo secco. È quando un amore che<br />

ti ha illuso si rivela finto. È quando ti hanno fatto credere che – e invece. Il tradimento è rabbia e dolore, è un colpo di<br />

frusta sui muscoli delle gambe: dopo camminerai ancora, perché il sentiero continua. Ma camminerai meno bene,<br />

meno spedito, meno ottimista, meno sicuro, con meno desiderio e meno entusiasmo. Sì. Poi passa. Tutto passa. Ma<br />

intanto.<br />

Quei bambini che giocano<br />

un giorno perdoneranno<br />

se presto ci togliamo di mezzo.<br />

Perdoneranno. Un giorno.<br />

Ma la distorsione del tempo<br />

il corso della vita deviato su false piste<br />

l'emorragia dei giorni<br />

dal varco del corrotto intendimento:<br />

questo no, non lo perdoneranno.<br />

Non si perdona a una donna un amore bugiardo,<br />

l'ameno paesaggio d'acque e foglie<br />

che si squarcia svelando<br />

radici putrefatte, melma nera.<br />

"D'amore non esistono peccati",<br />

s'infuriava un poeta ai tardi anni,<br />

"esistono soltanto peccati contro l'amore".<br />

E questi no, non li perdoneranno.<br />

Vittorio Sereni<br />

(da Gli strumenti umani, Milano 1965)<br />

Hombre al borde de un ataque de nervios<br />

domenica 11 novembre 2007, 9.42.15 | molinaro<br />

Pagina 196 di 200<br />

Una ha dormito qui da me, però sulla brandina in cucina. Una si è arrabbiata perché non ho<br />

risposto al suo sms di buona notte ieri sera (probabilmente è arrivato molto più tardi di<br />

quando l’ha spedito, succede, non fidatevi dei sms). Una mi sollecita perché le scriva delle<br />

cose, e basta. Una dopo un anno di «amicizia amorosa» assolutamente splendida mi ha<br />

buttato nella pattumiera da un giorno all’altro. Una dopo anni d’amore si è dissolta nel<br />

nulla. Una dopo promesse d’amore mi ha respinto stizzita. Ieri sera stavo a sentire Guccini e<br />

mi veniva da piangere, poi mi son rotto il cazzo e ho cercato, al posto di Guccini, una canzone che è un’assoluta<br />

cagata, di un certo Adán «Chalino» Sánchez, messicano, improponibile. Però il profondissimo testo (ehm) rispecchia<br />

il mio stato d’animo. Ma solo per un minuto, poi passa. Perché poi ci ricasco e preferisco morir por amor che morir<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

sin amor. Tanto se muere comunque. E allora! Buona «estate di san Martino» a tutti.<br />

ME CANSÉ DE MORIR POR TU AMOR<br />

me cansé de seguirte los pasos<br />

de servir de tu ángel guardian<br />

me cansé de entregartelo todo<br />

me cansé de amar por amar<br />

me cansé de robarte un te quiero<br />

de vivir de tu amor limosnero<br />

me cansé de morir por tu amor<br />

de sentir decepción sin un te quiero<br />

me cansé de querer por querer<br />

a una estatua de sal a una estatua de hielo<br />

me cansé de morir por tu amor<br />

Della bicicletta e dell'inutilità del prevedere<br />

domenica 11 novembre 2007, 13.44.13 | molinaro<br />

Massì, va! Amore, sogno, vita. La mia bicicletta è proprio un rottame, devo decidermi a<br />

toglierla dal cortile se no mi sa che cominceranno a protestare per il «decoro». Magari la<br />

porto in periferia e la abbandono, forse qualcuno la adotta (anche se è veramente scassata).<br />

Non guardatemi così male, non è un cane! Le biciclette non soffrono (forse). E poi così le<br />

do una possibilità: se la consegnassi agli appo<strong>siti</strong> servizi della raccolta rifiuti differenziata,<br />

la farebbero a pezzi subito. Invece abbandonandola in periferia magari qualcuno, più<br />

ingegnoso e meccanico di me, riesce a recuperarla a un qualche funzionamento. Poi in primavera me ne prendo una<br />

nuova, se ci riesco. Certo che un po’ anche a una bicicletta ci si può affezionare. Ho portato due ragazze ancora<br />

abbastanza recentemente (insomma, cinque o sei anni fa) sulla canna di quella bici. Che è una cosa che non fa quasi<br />

più nessuno. Una volta si usava molto. Ma insomma, una bicicletta è solo una bicicletta. Tutto passa.<br />

L’impermanenza!<br />

Ho sempre avuto paura della vecchiaia. Ci ho pensato poco fa osservando una vegliarda scheletrica su una sedia a<br />

rotelle. Sì, lo so che ogni età ha qualcosa di buono, che a ogni cosa ci si abitua, che tutto è relativo. Però la vecchiaia<br />

non mi entusiasma granché lo stesso. Non ho soluzioni per la vecchiaia. E l’ho sempre saputo, lo sapevo già a<br />

vent’anni, che non ero il tipo da avere soluzioni per la vecchiaia, e che ci avrei patito forse più che altri. Amo troppo<br />

la giovinezza. Non so che farci. Lo so.<br />

Non sono sprovveduto come sembro. Ci sono un sacco di cose che so benissimo, e che so benissimo anche da tanto<br />

tempo. Il problema è che, con uno scatto ulteriore di saggezza che diventa antisaggezza, so anche che saperle non mi<br />

serve a un cazzo. Figuriamoci (per fare un esempio a caso) se non lo sapevo che la meravigliosa quotidiana vicinanza<br />

con una fanciulla che so io non poteva durare. Lo sapevo benissimo. È già durata tanto (quello che speravo è che<br />

finisse in modo meno brusco, salvando dell’amicizia, ma tant’è, e poi chissà, questo lo spero ancora, in fondo, diamo<br />

tempo, già, tempo, sempre lui, il tempo). Ecco: ma il fatto di saperlo benissimo da prima, rende l’evento meno<br />

doloroso? Secondo me no, neanche un cicinìn. Lo lascia doloroso uguale. <strong>Qui</strong>ndi è una sapienza perfettamente<br />

inutile, se non dannosa.<br />

Per la vecchiaia è lo stesso, per la morte pure, e così per altre cose ancora: prevederle è inutile. Ci sono faccende che<br />

prevedere è utile: per esempio se prevedi che un cornicione stia crollando, magari ti sposti e ti salvi. Ma se il<br />

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Pagina 197 di 200<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

cornicione che crolla è la fine di un amore o è la vecchiaia o è la morte, non c’è proprio nulla da fare: dove cazzo ti<br />

sposti? Te lo becchi lo stesso sul cranio, previsto o imprevisto è uguale.<br />

Comunque oggi a Torino c’è il sole; di che tempo farà domani non me ne frega niente; ho sempre odiato le previsioni<br />

meteorologiche. Una volta almeno erano quasi tutte sbagliate; ma adesso, con quelle minchie di satelliti che<br />

inquinano la stratosfera, ci azzeccano pure, ed è un fastidio.<br />

xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx<br />

[l'immagine è tratta da un simpatico sito naturista - ho fatto per quattro o cinque anni le vacanze in luoghi naturisti e<br />

non è stato niente male]<br />

<strong>Qui</strong>nto discorso di Calipso<br />

martedì 13 novembre 2007, 0.30.32 | molinaro<br />

Questa volta, sfidando le ire della Sezione Campi Elisi della SIAE, penso<br />

occorra citare almeno qualche verso della parte di Ulisse. Ulisse ha detto<br />

fra l’altro: «A me pare tu voglia seguirmi più per il viaggio / che per<br />

l’amore. / Il tuo non è amore. / La tua è disperazione per una vita / che<br />

ti sei tenuta stretta ma che ora ti è sfuggita». È un tema forte per gli<br />

uomini, questo. Lo sarà anche per le ninfe? Sentiamo che cosa ha<br />

risposto Calipso. Le puntate precedenti sono nei messaggi n. 114, 115, 133 e 154.<br />

QUINTO DISCORSO DI CALIPSO<br />

Mi vedi dunque vecchia. Certo è l’occhio<br />

che t’inganna, per qualche sortilegio:<br />

il corpo delle ninfe non invecchia.<br />

Forse un dio t’ha concesso di vedere<br />

figurato nel corpo il tedio antico<br />

dell’anima? Il tedio non risparmia<br />

uomini, satiri, naiadi, dei:<br />

forse è per noia che anche Zeus va a caccia<br />

di fanciulle mortali da trombare.<br />

Ma per vincere il tedio mille modi<br />

avrei, Ulisse – se volessi un viaggio<br />

avventuroso, partirei da sola:<br />

credi che non potrei? Sono capace<br />

di andare ovunque, nelle pure selve<br />

come nei porti odorosi di piscio,<br />

popolati di troie e malfattori.<br />

Il mio tedio, se c’è, non è diverso<br />

dal tuo – perché noi siamo tutti uguali<br />

in questo, dall’Olimpo fino all’ultima<br />

bettola di Corinto o Mitilene.<br />

La differenza che non vuoi capire<br />

è che ti amo. Se tu vuoi viaggiare<br />

viaggio con te – se preferisci stare<br />

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Pagina 198 di 200<br />

15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

in una breve striscia di montagna,<br />

resto con te. Già conosco abbastanza<br />

il mistero del mondo: so che un piccolo<br />

paese me contiene tanto quanto<br />

l’immenso impero di Mesopotamia.<br />

Tu cerchi l’arte, la τέχνη, la casa,<br />

la domestica pax, la sposa, i lari:<br />

e intanto navighi e navighi. Ma<br />

è l’amore – il suo guizzo – che ci fa<br />

trovar noi stessi. Se non m’ami vai,<br />

vattene solo per il tuo cammino,<br />

non cercare più scuse e non negare<br />

l’amore mio. Noi vivremo le vite<br />

che il destino darà – rimpiangeremo<br />

questa gioia sprecata, ma faremo<br />

come tutti: dimenticheremo.<br />

Trash blog<br />

martedì 13 novembre 2007, 22.49.22 | molinaro<br />

Pagina 199 di 200<br />

Ho sempre odiato quei programmi televisivi dove la gente va a sputtanare i propri<br />

sentimenti, i reality show credo che si chiamino, il trash, o qualcosa del genere. Non ne ho<br />

visti molti, anzi per intero non ne ho visto nessuno, ma i pezzetti colti qua e là nelle varie<br />

case telemunite che mi è capitato di frequentare (io come è noto non ho il televisore) mi<br />

sono bastati.<br />

Vedo però che qualcosa di simile può accadere anche sui blog; benché a un livello<br />

leggermente più dignitoso, perché comunque più personale e sentito, e meno spettacolarizzato. Tempo fa c’era stata<br />

una tipa che era venuta qui sul mio blog a insultare di brutto una mia amata amica. Adesso, in questi giorni, c’è una<br />

certa Pandora che, sul blog di Chiara, copre di insulti me, Chiara stessa e altre persone. Alcuni epiteti simpatici che<br />

mi ha rivolto: bavoso, viscido, senza coglioni, perdente, stronzo, nato morto, coglione, ridicolo, meschino, frustrato.<br />

Ma il problema non è questo. L’insulto è un gesto non verbale, persino quando è scritto. Se anche usa parole dotate di<br />

un significato, glielo toglie, riducendosi sempre a una specie di rutto o scoreggia. Lo sanno bene i guitti, che usano<br />

insulti e rutti e scoregge allo stesso modo, da Plauto in qua.<br />

La cosa che rattrista è che talvolta, prima che si sprofondi nell’ingiuria, ci sono idee, concetti che potrebbero essere<br />

discussi: la stessa Pandora (che invito a insultarmi qui e non sul blog dell’innocente Chiara) l’altro giorno mi aveva<br />

rivolto messaggi taglienti sì ma «su cui si poteva parlare». Solo che la mia pacata risposta ha provocato il naufragio<br />

nella melma dell’insulto. E allora vuol dire che non era vero che Pandora voleva parlare, discutere. Peccato, perché<br />

quando non insulta riesce a esprimersi con una certa efficacia di linguaggio, e anche a centrare talune questioni<br />

importanti. Ma poi improvvisamente è dominata da una volontà di offendere che non so da dove scaturisca.<br />

Comunque, se il mondo è bello perché è vario, anche il piccolo mondo virtuale del blog forse è bello perché è vario.<br />

Quella dell’insulto è una varietà malinconica, perché chiude la comunicazione, e ogni comunicazione chiusa è<br />

un’occasione perduta. Ma esiste, e ne prendiamo atto.<br />

[nell’immagine: quando avevo un anno di età, le ragazze a Torino erano così - dunque non venite a dirmi che il<br />

mondo non è migliorato - è migliorato parecchio, per fortuna]<br />

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15/11/2007


Carlo Molinaro<br />

Desiderio semplice<br />

Ieri 14 novembre 2007, 17.26.08 | molinaro<br />

Gli scontri, pettegolezzi, qua e là insulti, che ruotano spesso intorno a<br />

una delle cose più belle del mondo, mi hanno ispirato una piccola,<br />

piccolissima poesia, proprio piccola e semplice, fatta per dire come è<br />

piccola e semplice, eppure grande e meravigliosa, la cosa bella intorno<br />

alla quale purtroppo ci siamo abituati da sempre a sollevare tanto<br />

torbido, forse per paura della vita, forse per paura di noi stessi. Non è la<br />

critica rivolta all’umanità impura da parte del purissimo poeta, per carità! Tutt’altro! Nel<br />

torbido ci sono anch’io, è così radicato che a toglierlo tutto non riuscirò mai, però almeno ci<br />

provo, provo a illimpidirmi, come, quando e quanto posso. So – da qualche anno so – che è<br />

fatica spesa bene.<br />

DESIDERIO SEMPLICE<br />

Vorrei semplicemente<br />

il mio sguardo nel tuo sguardo<br />

un sorriso<br />

la mia mano nella tua mano<br />

le mie labbra sulle tue labbra<br />

la mia lingua nella tua bocca<br />

la mia anima nella tua anima<br />

il mio liṅgaṃ nel tuo yoni<br />

la tua anima nella mia anima<br />

la tua lingua nella mia bocca<br />

le tue labbra sulle mie labbra<br />

la tua mano nella mia mano<br />

un sorriso<br />

il tuo sguardo nel mio sguardo<br />

semplicemente vorrei.<br />

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Pagina 200 di 200<br />

15/11/2007

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