Pamph<strong>il</strong>j sul Gianicolo da Andrea Busiri Vici, dove ancora oggi si possono vedere, assai mal ridotti a causa <strong>della</strong> lunga permanenza all’aperto. Il contesto di esposizione al quale i due tondi rinviano è quello di uno spazio dedicato all’attività intellettuale, sia esso a carattere di scuola f<strong>il</strong>osofica come quella concepita ad Afrodisia sia all’interno di una dimora privata, in una biblioteca vera e propria o in un altro ambiente <strong>della</strong> casa, comunque allusivo alla cultura ellenizzante del proprietario. I Fasti con <strong>il</strong> calendario (CIL VI 6638), venuti in luce nel 1712 in un ambiente <strong>della</strong> v<strong>il</strong>la imperiale, dapprima ricomposti e conservati nel ricco Museo lapidario del cardinale Alessandro Albani e poi passati nei Musei Capitolini, menzionano tra i Ministri Domus Augustae quattro addetti alla cura <strong>della</strong> biblioteca, confermando l’esistenza di questa già nel I secolo d.C. Sappiamo, del resto, che Adriano si intratteneva nell’esercizio dell’otium litterarum proprio nella biblioteca <strong>della</strong> v<strong>il</strong>la di Anzio, custode delle famose opere di Pitagora (Ph<strong>il</strong>ostr., Vita Apoll., VIII, 20). Qui al pari <strong>della</strong> v<strong>il</strong>la di Tivoli – dove sono stati rinvenuti ritratti di <strong>il</strong>lustri pensatori greci – l’Imperatore avrebbe potuto voler esibire la sua profonda adesione ai modelli culturali greci. Certamente Adriano, che, secondo le fonti (Ph<strong>il</strong>ostr., Vita Apoll., VIII, 20) riservò alla v<strong>il</strong>la di Anzio una particolare pred<strong>il</strong>ezione rispetto alle altre residenze imperiali e <strong>il</strong> cui intervento diretto è confermato dalle datazioni delle strutture ed<strong>il</strong>izie, nonché dalla lastra in giallo antico con un sig<strong>il</strong>lo in piombo (CIL X 6697) recante <strong>il</strong> suo ritratto ritrovata nel 1698 (fig. 2), lasciò tracce del suo passaggio nel programma decorativo e architettonico del complesso residenziale, che, però, si sovrapposero alle scelte progettuali dei precedenti e successivi frequentatori. A proposito <strong>della</strong> decorazione statuaria <strong>della</strong> v<strong>il</strong>la imperiale, se è vero che sussiste la difficoltà di collegare gli antichi rinvenimenti con essa piuttosto che con altre emergenze monumentali dislocate nel ter- 4 Anzio e Nerone. Tesori dal British Museum e dai Musei Capitolini ritorio, tuttavia siamo a conoscenza che un’indagine mirata alla ricerca dei suoi “tesori” venne condotta dal cardinale Alessandro Albani. Ad età adrianea sono state datate le due statue in bigio morato che rappresentano entrambe Esculapio, sebbene una di essa sia stata trasformata dal restauratore Carlo Antonio Napolioni in Giove, secondo un gusto che preferiva inesattezze iconografiche piuttosto che duplicati, adottato all’interno <strong>della</strong> collezione Albani, ove esse pervennero. Alla metà del I secolo d.C. sono state, invece, ricondotte le due statue in nero antico di un Satiro danzante e di un Atleta rinvenute insieme alle precedenti, tra <strong>il</strong> 1718 e <strong>il</strong> 1728, in ambienti di uso termale annessi alla v<strong>il</strong>la imperiale, la cui pianta mist<strong>il</strong>inea è chiaramente documentata, con <strong>il</strong> posizionamento dei singoli rinvenimenti, da disegni del XVIII secolo attribuiti a Pier Leone Grezzi e pubblicati da François de Polignac. Va, quindi, rifiutato <strong>il</strong> collegamento delle sculture con l’area termale individuata tra V<strong>il</strong>la Sarsina e V<strong>il</strong>la Pamph<strong>il</strong>j (oggi Adele). Le prime due fecero parte del gruppo di sculture che nel 1733 Alessandro Albani vendette a Clemente XII, entrando a far parte del nuovo Museo Capitolino (inv. 655; inv. 659), mentre le altre, rimaste in proprietà del cardinale, andarono ad abbellire la sua nuova v<strong>il</strong>la sulla Salaria. Qui trovò collocazione anche la statua di Pallade che Giuseppe Rocco Volpi presentò in un’incisione, probab<strong>il</strong>mente per esigenze editoriali, con restauri che non furono poi eseguiti e che non corrispondono a quelli attuali (figg. 8a-8b). A divergere è soprattutto la testa: quella che la statua conserva oggi a V<strong>il</strong>la Albani non è, infatti, pertinente. Il Satiro e l’Atleta furono tra le opere confiscate nel 1798 dai commissari francesi per <strong>il</strong> nuovo Museé Central des Arts di Parigi. Alla caduta di Napoleone, <strong>il</strong> principe Carlo Albani, erede del cardinale Alessandro, non era in condizioni economiche tali da poter riportare a Roma tutto ciò che gli era stato sequestrato e decise di metterne in vendita una parte. Erano gli anni in cui
Fig. 7. Statua di contadino con capretti. San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage. Anzio e Nerone. Tesori dal British Museum e dai Musei Capitolini