Rescritto di Adriano a Caio Minucio Fundano riportato da Eusebio di ...
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Impero romano e<br />
religioni straniere<br />
L’impero romano tollerava che i popoli soggetti conservassero e<br />
rispettassero le proprie tra<strong>di</strong>zioni religiose a con<strong>di</strong>zione che<br />
queste:<br />
• avessero una chiara connotazione nazionale (non fossero cioè universalistiche)<br />
• non contrastassero con ciò che nel mondo romano veniva considerato, lecito,<br />
giusto in linea con le proprie norme morali<br />
• venissero contemporaneamente accolte le <strong>di</strong>vinità romane e, particolarmente in<br />
età imperiale, si prestasse il culto dovuto alla dea Roma ed ai <strong>di</strong>vi imperatores<br />
(o si giurasse sul genio dell’imperatore)<br />
– Le religioni che rispondevano ai criteri sopra in<strong>di</strong>cati godevano dello statuto <strong>di</strong><br />
religio licita<br />
– Le religioni che non rispondevano ai criteri sopra in<strong>di</strong>cati venivano qualificate<br />
come superstitiones<br />
• In particolare “Era superstitio ogni religione che implicasse un timore eccessivo degli dèi,<br />
particolarmente pericolosa poi se il culto suscitava forti emozioni (morbus animi) e se i fedeli si<br />
riunivano in privato o <strong>di</strong> notte” (F. Sini, Sua cuique civitati religio. Religione e <strong>di</strong>ritto pubblico in<br />
Roma antica, Torino 2001, pp. 60-61).<br />
• Significativo in tal senso il caso del senatus consultum de bacchanalibus, Emesso <strong>da</strong>l Senato nel<br />
186 a.C. su iniziativa <strong>di</strong> Catone, per proibire il culto trane in casi accezionalissimi preventivamente<br />
autorizzati <strong>da</strong>l Senato