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Scoppiai a piangere come una bambina. Non capivo e avevo paura. La donna mi abbracciò e poi tentò di<br />
spiegarmi:<br />
«Ascolta: l’uomo che ti ha ingravidata deve aver fatto un antico rito sul proprio sperma: il maligno è entrato nei semi<br />
e ora cresce dentro di te. È un rito pericoloso... perché il maschio può restare impotente, ma nel tuo caso è andato<br />
a “buon” fine. Da noi, a Jima, solo gli stregoni più esperti sanno farlo e le donne, purtroppo, se ne accorgono trop-<br />
po tardi. Tu sei stata fortunata: puoi ancora salvarlo e salvare te stessa.»<br />
«Va bene. Spiegami come trovare Gerasa.»<br />
«Per raggiungere la Malga delle Ossa deve superare quella cascata e poi voltare a sinistra. Io... beh noi del posto<br />
non oltrepassiamo mai questa vallata. Buona fortuna!»<br />
Il mio accompagnatore mi strinse la mano impacciato e si affrettò a tornare indietro. Io invece non avevo alternati-<br />
ve: dovevo proseguire.<br />
Appena arrivata, capii il perché del nome: l’intonaco esterno della casa era completamente rivestito di ossame e te-<br />
schi. La cosa non mi inquietò più di tanto: da due giorni stavo conoscendo una nuova Primula, più risoluta e cinica.<br />
Mi accolse un vecchio con barba e capelli bianchi, quasi trasparenti, e occhi rossi da albino. Senza che dicessi<br />
niente, appoggiò una mano sulla mia pancia e commentò senza particolare partecipazione.<br />
«Brutta faccenda.»<br />
Mi fece spogliare completamente e sdraiare su un tavolo di legno che solitamente usava per scuoiare gli animali.<br />
Anche questo particolare non mi turbò. Mi spalmò un unguento maleodorante su tutto il corpo, mi depilò comple-<br />
tamente e mi ficcò in bocca un crocefisso. Poi iniziò l’esorcismo.<br />
Gerasa recitava formule in lingua copta e disegnava con un ossicino strani simboli sulla mia pancia, che si gonfiava<br />
sempre più.<br />
«Ecco si è manifestato.»<br />
Commentò accalorato. Il mio ventre era quello di una gestante al nono mese. Ora sentivo il feto e sentivo quell’in-<br />
confondibile desiderio di spingere che chi ha già partorito non può mai dimenticare.<br />
«Non farlo uscire! Non ora! Se lo espelli prima che abbia scacciato il demonio, è la fine. Tienilo dentro.»<br />
Il dolore era insopportabile: mordevo il crocefisso e perdevo sangue dal naso. Serravo le gambe per non fare usci-<br />
re il bambino, che cercava di venire fuori in tutti i modi. Sentivo le sue manine farsi strada nel mio utero. Mi mordeva,<br />
mi graffiava, scalciava per farmi cedere. Si contorceva dentro di me. Era forte e veloce. Gerasa intanto mi aveva<br />
ricoperto la pancia di cubetti di sangue congelato.<br />
«È il tributo di animali sacrificati: dovrebbe stordirlo.»<br />
Ma il feto non interrompeva la sua risalita verso la luce. Dai miei capezzoli fuoriusciva un liquame giallo-marrone e<br />
le mie unghie si erano sbriciolate a furia di grattare sul legno. Pensavo a Marco, a quanto l’avevo amato e a quanto<br />
l’odiavo ora. Mi sentivo una povera idiota caduta nella rete di un sacerdote del male. L’odio mi aiutò a sopportare<br />
gli assalti del bambino, che però era sempre più violento, mentre io mi sentivo ogni istante più debole. Ero quasi sul<br />
punto di abbandonarmi, quando Gerasa mi estrasse il crocefisso dalla bocca, lo incendiò e me lo infilò tra le gam-<br />
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