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L'OSPITALITA DI ROMA

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Bonzi. In alcune cicalate imbonitrici contenute negli Appunti per il<br />

teatro romanesco, il Belli tra l'altro accenna agli atleti dai muscoli<br />

d'acciaio e dalla portento sa agilità, che mandavano in visibilio gli<br />

spettatori: «... Dopo poi de questo vieranno fora dunque Li du'<br />

Arcidi Romani che son gran bravi giuvenotti con certi quilibbri<br />

ch'è impossibile, per intermezzo...»; «... V'appoggeremo er solito<br />

battajjone de l'Arcidi Romani con sarti, gruppi, forze de l'ottanta,<br />

capriole, scosciate, sterzi de vita, pantomime, piramide de Cagliocestio<br />

e mill'antre sorte de mastramucci...»; « Li giovem Arcidi Romani<br />

che per ggrazzia der cefolo nun se so mai stroppiati, quantunque se<br />

siino messi a risico de la pelle ar servizzio de lor signori, ve faranno<br />

stasera una misticanzina de le più mejo forze che v'anno lavorato<br />

a la pulignacca in tutta la staggione teatrabbile... ».<br />

Ma il misogino personaggio popolare del Belli, sempre diffidente,<br />

come lo sono gli indotti, di fronte alle novità di qualsiasi genere, nel<br />

sonetto Li teatri de Roma del 15 gennaio 1832, attribuendo la straordinaria<br />

bravura degli alcidi all'opera malvagia di Satana, che rende<br />

magicamente reale ciò che è illusione dei sensi, esclama:<br />

Nun ce so' Arcìdi, grazziaddio, quest'anno;<br />

Ché st'Arcìdi so' arte der demonio,<br />

E quer che fanno vede è tutto inganno.<br />

Un accenno agli alcidi, seguito da una volterriana riflessione del<br />

Belli di dubbio gusto su una curiosa combinazione « derivata dalla<br />

affissione di due manifesti contrastanti, posti l'uno sopra l'altro»,<br />

si ritrova infine in un passo dello Zibaldone inedito, nel quale è<br />

nominato il teatro Alibert o delle Dame, ricordato nei Mémoires goldoniani<br />

come il principale teatro della Roma settecentesca, e sito in<br />

via Margutta con l'ingresso su via del Babuino n. 91, non più ricostruito<br />

dopo un incendio che lo distrusse totalmente nella seconda<br />

metà dell'Ottocento. « In Roma si eseguirono al teatro Alibert nel<br />

carnevale 1829 alcune forze da un atleta che si nominava l'Alcide,<br />

cosa in oggi assai comune in Italia dopo l'esempio del francese Mathevet.<br />

Nella quaresima erano ancora rimasti attaccati qua e là pe'<br />

muri delle case nelle strade di Roma alcuni vecchi manifesti teatrali<br />

194<br />

aventi in capo delle figure di ciò che la sera si doveva rappresentare<br />

al teatro. Uno ne vidi io stesso con una figura capovolta e attaccata<br />

per un piede ad una fune, la quale tirava in alto un asino. Casualmente<br />

al disotto era stato attaccato altro affisso publicamente (sic) a<br />

grandi caratteri la stampa accaduta di un'opera ascetica intitolata:<br />

Travagli di N.o S.e G.ù C.a. Curiosa combinazione! quasi che G. C.<br />

fosse venuto al mondo per portar seco al Cielo gli asini onde si<br />

verificasse alla lettera quel passo del Vangelo: "beati pauperes spiritu,<br />

quoniam ipsorum est regnum coelorum"».<br />

Nella seconda metà del secolo, invece, gli acrobati che eccellevano<br />

sugli altri erano per lo più inglesi, come risulta da un passo<br />

in data 27 dicembre 1876 del giornale dei fratelli de Goncourt, ove è<br />

accennata schematicamente la trama d'un romanzo che apparirà poi<br />

nel 1879, Les frères Zemganno; i due protagonisti, Gianni e Nello,<br />

sono appunto due acrobati da circo: « il maggiore la forza, il giovane<br />

la grazia, con qualcosa d'una natura popolarmente poetica che<br />

troverebbe il suo sfogo nel fantastico che il clown inglese suole<br />

aggiungere all'esercizio di forza... ». E inglesi, o creduti tali, sono<br />

pure i due atleti osservati con godimento dal popolano pascarelliano<br />

in uno dei primi sonetti in romanesco. La scena ha luogo in Trastevere<br />

nel politeama della Renella, demolito nel 1880 e sito nel vicolo<br />

dallo stesso nome, corruzione di « arenella», che qui le acque del<br />

Tevere depositavano in gran quantità, formando una spiaggetta (il<br />

vicolo, e la via indicata sulla pianta di Roma del Tempesta nel 1593,<br />

è tra via del Moro e via del Politeama). Il teatrino era pomposamente<br />

denominato Teatro delle Muse: ivi erano recitate le commedie dette<br />

« ai grevi della Renella ». Il sonetto s'intitola Le forze:<br />

La tragedia me piace, e tu lo sai;<br />

Ma le forze che sopra a du' trapezi<br />

A la Renella ho visto fa' a du' ingresi,<br />

Cremente mio, me piaceno più assai.<br />

Vacce, Cremente, ché si tu ce vai,<br />

Vedrai, so' dieci sòrdi bene spesi.<br />

Se so' visti li mari, li cinesi;<br />

Ma quella roba nttn s'è vista mai.<br />

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