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Dialoghi n. 2001/1 (gennaio-marzo 2001)

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LA COSTITUZIONALIZZAZIONE DEL GIUSTO PROCESSO 23<br />

513 cod. proc. pen., così come integrato dalla più volte citata sentenza costituzionale<br />

del 1988.<br />

Sebbene nessuna adeguata argomentazione sia stata poi addotta a fondamento<br />

della ritenuta manifesta infondatezza della quaestio legitimitatis dell’art. 513, co. 2<br />

cod. proc. pen., va qui soprattutto rilevato come l’ordinanza in esame abbia creduto<br />

di poter mitigare il giudizio pur parzialmente negativo espresso sulla forma di<br />

contraddittorio offerto dal meccanismo delle contestazioni acquisitive (espressamente<br />

definito «insoddisfacente»), richiamandosi a quel severo divieto «legale di<br />

valutazione a carico» che ne costituirebbe il temperamento e riferendosi dunque –<br />

per quanto si possa comprendere dalla lettura della laconica motivazione del provvedimento<br />

– alla previsione dell’art. 500, co. 4 o cod. proc. pen.<br />

Tale disposizione processuale, invero, «garantisce» che la dichiarazione assunta<br />

mediante il meccanismo della contestazione acquisitiva potrà essere valutata come<br />

prova dei fatti in essa affermati solo se sussistono altri elementi di prova che ne<br />

confermano l’attendibilità.<br />

In realtà, la norma in esame pone soltanto un criterio di valutazione della prova,<br />

del tutto analogo a quello stabilito dall’art. 192, co. 3 o cod. proc. pen.<br />

Ed allora, va fermamente ribadito come non sia consentito neppure ipotizzare<br />

la validità concettuale di un meccanismo che utilizza un criterio di valutazione per<br />

condizionare la legittimità dell’acquisizione di una prova, quando, in realtà, la prova<br />

stessa non può ritenersi legittimamente assunta ( 1 ): nessun criterio legale di valutazione<br />

del mezzo di prova, per quanto «severo» o restrittivo, può costituire un<br />

«commodus discessus» rispetto all’ineludibile constatazione che una prova illegittimamente<br />

acquisita (e tale è, oggi, la prova non assunta in contraddittorio) è una<br />

prova non utilizzabile ai fini della decisione, qualunque ne sia il grado di persuasività.<br />

Tuttavia, come si osservava all’inizio, l’attenzione dei due diversi collegi del<br />

Tribunale veneziano non appare rivolta tanto all’art. 513, co. 2 o cod. proc. pen.,<br />

quanto all’art. 210, co. 4 o cod. proc. pen., ossia al diritto al silenzio riconosciuto<br />

all’imputato in un procedimento connesso che abbia precedentemente reso la dichiarazione<br />

contra alios.<br />

Occorre ammetterlo: eliminando questo diritto, si elimina o, comunque, si<br />

semplifica enormemente il problema.<br />

E una simile «semplificazione» appariva, almeno prima dell’entrata in vigore<br />

dell’art. 111 Cost., non incompatibile con il dettato costituzionale, poiché la facoltà<br />

di non rispondere attribuita al dichiarante sul fatto altrui, se e fino a quando la<br />

( 1 ) Cfr., per analoghi rilievi, A. Nappi, Il contraddittorio dimenticato. L’attuazione del «111» sembra limitarsi<br />

a un corollario, inDiritto & Giustizia, 2000, fasc. n. 26, pag. 5.

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