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Documento allegato - Turin D@ms Review

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ALMA<br />

TADEMA<br />

E LA NO<br />

STALGIA<br />

DELL’<br />

ANTICO<br />

torna all’indice →<br />

→ Comunicato stampa<br />

→ Informazioni tecniche<br />

→ Colophon<br />

→ Testi istituzionali<br />

→ Saggi dal catalogo:<br />

→ Carlo Sisi<br />

Fra Babilonia e Pompei.<br />

Teoria e immaginazione dell’antico.<br />

→ Eugenia Querci<br />

Nostalgia dell’antico.<br />

Alma-Tadema e l’arte neopompeiana in Italia.<br />

→ Nadia Murolo<br />

Materiali archeologici nei quadri<br />

di Alma-Tadema: alcune considerazioni.<br />

→ Biografia Alma Tadema<br />

→ Sezioni della mostra<br />

→ Elenco delle opere in mostra<br />

→ Scheda catalogo<br />

→ Scheda Compagnia di San Paolo<br />

indice


ALMA<br />

TADEMA<br />

E LA NO<br />

STALGIA<br />

DELL’<br />

ANTICO<br />

torna all’indice →<br />

Alma-Tadema<br />

e la nostalgia dell’antico<br />

Napoli, Museo Archeologico Nazionale<br />

19 ottobre 2007 - 31 marzo 2008<br />

comunicato stampa<br />

Le suggestive scoperte archeologiche di Pompei e dell’area vesuviana,<br />

oggetto di scavi approfonditi nel corso dell’Ottocento, hanno esercitato un<br />

influsso fortissimo sull’immaginario di pittori e scrittori nel corso del secolo,<br />

restituendo un’immagine vivida e straordinariamente presente del<br />

mondo antico, con la sua realtà sociale, politica, quotidiana e artistica.<br />

Alma-Tadema e la nostalgia dell’antico è la mostra promossa dalla<br />

Regione Campania nell’ambito della rassegna “Eventi in Campania 2007”<br />

e dalla Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della<br />

Campania con il sostegno della Compagnia di San Paolo, curata da<br />

Stefano De Caro, Eugenia Querci, Carlo Sisi.<br />

L’esposizione traccia per la prima volta un panorama dello sviluppo della<br />

pittura neopompeiana in Italia, collocandola in un più ampio contesto<br />

internazionale e ponendola a colloquio con le opere del principale e più<br />

riconosciuto cultore del genere: l’artista di nascita olandese, inglese<br />

d’adozione, Lawrence Alma-Tadema (1836-1912). I quattordici “quadrimuseo”<br />

dell’artista rappresentano una straordinaria rinascita del mondo<br />

romano (e in parte minore, greco), con tutto il corredo di antiche suppellettili,<br />

abiti raffinati, ambienti impreziositi da marmi e tripudi di fiori. Con<br />

tecnica raffinata e disegno meticoloso, egli evoca il sogno di un mondo<br />

popolato di donne dall’assorta bellezza, dove la corporea materialità delle<br />

rappresentazioni elude il distaccato idealismo neoclassico e rende struggente<br />

e reale la nostalgia dell’antico. Grazie alla profonda conoscenza<br />

archeologica e letteraria dell’antichità classica, egli riesce a far rivivere, in<br />

una chiave finemente estetizzante, un mondo ormai perduto, dove le<br />

scene del quotidiano assumono le sfumature del mito.<br />

Le monumentali vestigia di Roma, ma ancora di più le rovine e i reperti provenienti<br />

da Pompei, Ercolano e da tutta l’area vesuviana, sono le fonti<br />

d’ispirazione non solo per Alma-Tadema, ma anche per l’ampia schiera di<br />

artisti italiani e stranieri (sessanta opere in mostra) che si accostano al<br />

genere neopompeiano. La loro pittura è destinata ad un ceto alto borghese<br />

che ama riconoscersi, nobilitando così i propri vizi e virtù, nei riti e nei<br />

costumi di una società ormai remota ma anche riproposta nel presente grazie<br />

ai reperti archeologici le cui scoperte erano largamente pubblicizzate.


ALMA<br />

TADEMA<br />

E LA NO<br />

STALGIA<br />

DELL’<br />

ANTICO<br />

torna all’indice →<br />

Il Museo archeologico Nazionale di Napoli, che ospita la mostra, raccoglie<br />

una delle più prestigiose collezioni archeologiche del mondo e custodisce<br />

molti dei preziosi reperti citati, rievocati, rielaborati nei dipinti<br />

degli artisti italiani e di Alma-Tadema.<br />

Una selezione di tali materiali (una cinquantina di reperti archeologici) provenienti<br />

dagli scavi vesuviani (statue, tripodi, candelabri, affreschi) sarà presentata<br />

in mostra, spesso a confronto con i dipinti che ne hanno tratto ispirazione.<br />

Tra le opere archeologiche alcuni arredi pompeiani, soprattutto<br />

bronzi e argenti, vengono esposti per la prima volta dopo essere stati sottoposti<br />

a dedicati interventi di restauro.<br />

Il percorso della mostra, che dedica ampio spazio alla scuola italiana<br />

(Gigante, Palizzi, Muzzioli, Maccari, Miola, Morelli, D’Orsi, Netti,<br />

Bargellini), prende le mosse dai dipinti che ritraggono paesaggi archeologici<br />

(gli scavi di Pompei, gli interni delle case, le scavatrici al lavoro, i turisti<br />

in visita), interpretati in chiave verista o più sottilmente evocativa, per<br />

poi passare, attraverso un salto temporale e logico, alla materiale rievocazione<br />

di quegli antichi luoghi e ambienti, ricostruiti e di nuovo popolati dai<br />

loro abitanti.<br />

L’ampia sezione dedicata alla dimensione quotidiana mostra al visitatore<br />

il ridestarsi delle antiche botteghe, la vita di padroni e clientes, le<br />

scene d’intimità femminile, i rituali religiosi, gli intrattenimenti gladiatorii,<br />

la vita alle terme: temi interpretati dai diversi artisti secondo una visione<br />

sempre peculiare. Si passa poi alle scene legate alla vita di personaggi<br />

storici e alla storia pubblica, per poi arrivare al cuore della mostra: una<br />

selezione di opere di Alma-Tadema, provenienti da importanti collezioni<br />

internazionali, pubbliche e private, dialoga con i materiali archeologici<br />

vesuviani che più hanno agito sull’immaginazione dell’artista.<br />

Completa il percorso espositivo una scelta di documenti e di oggetti<br />

d’arte decorativa del XIX secolo (tavoli, ceramiche), anch’essa ispirata<br />

alle scoperte archeologiche e alla rievocazione dell’antico.<br />

Il catalogo della mostra è edito dalla casa editrice Electa.


ALMA<br />

TADEMA<br />

E LA NO<br />

STALGIA<br />

DELL’<br />

ANTICO<br />

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Titolo Alma-Tadema e la nostalgia dell’antico<br />

Sede Museo Archeologico Nazionale di Napoli<br />

Periodo 19 ottobre 2007 - 31 marzo 2008<br />

Enti promotori Ministero per i Beni e le Attività Culturali<br />

Regione Campania<br />

Direzione Regionale per i Beni Culturali<br />

e Paesaggistici della Campania<br />

Soprintendenza per i Beni Archeologici<br />

di Napoli e Caserta<br />

Soprintendenza archeologica di Pompei<br />

con il sostegno della Compagnia di San Paolo<br />

Curatori della mostra Stefano De Caro<br />

Eugenia Querci<br />

Carlo Sisi<br />

Organizzazione<br />

e comunicazione<br />

Allestimento Corrado Anselmi, Milano<br />

Progetto grafico Tassinari/Vetta<br />

Sponsor tecnici In Più Broker, Arterìa<br />

Catalogo Electa<br />

Electa<br />

con la collaborazione di Civita<br />

Orari Dalle 9 alle 19.30. Chiuso martedì<br />

Tariffe la mostra è inserita nel circuito<br />

Campania Artecard<br />

informazioni tecniche<br />

Prenotazione obbligatoria per gruppi, scuole e visite didattiche<br />

tel. 848800288 /+ 39 081 4422149<br />

Sito internet www.archeona.arti.beniculturali.it<br />

www.electaweb.com<br />

Ufficio Stampa Electa<br />

Enrica Steffenini<br />

tel. +39 02 21563433<br />

elestamp@mondadori.it<br />

Carolina Perreca<br />

tel. +39 081 4297435<br />

comunicazione.napoli.electa@mondadori.it<br />

Soprintendenza archeologica di Pompei<br />

Francesca De Lucia e Raffaella Levèque<br />

tel. +39 081 2486112<br />

delev@iol.it


ALMA<br />

TADEMA<br />

E LA NO<br />

STALGIA<br />

DELL’<br />

ANTICO<br />

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Enti promotori<br />

Ministero per i Beni e<br />

le Attività Culturali<br />

Regione Campania,<br />

Assessorato al Turismo<br />

e ai Beni Culturali<br />

Direzione regionale per<br />

i Beni Culturali e<br />

Paesaggistici della<br />

Campania<br />

Soprintendenza per i<br />

Beni Archeologici delle<br />

Province di Napoli<br />

e Caserta<br />

Soprintendenza<br />

Archeologica di<br />

Pompei<br />

La mostra è stata<br />

promossa da<br />

Progetto co-finanziato<br />

dall’Unione Europea<br />

Asse II, misura 2.1<br />

POR Campania 2000-<br />

2006, Iniziative turistiche<br />

di rilevanza nazionale<br />

ed internazionale<br />

per l’annualità 2007<br />

“Eventi in Campania”<br />

Staff organizzativo<br />

regionale<br />

Ilva Pizzorno,<br />

Alessandro Porzio,<br />

Nadia Murolo,<br />

Gennaro Carotenuto,<br />

Antonio Ciampaglia,<br />

Antonio Ranauro,<br />

Rosalba Iodice<br />

con il sostegno della<br />

Comitato promotore<br />

On. Francesco Rutelli<br />

Ministro per i Beni e le<br />

Attività Culturali<br />

On. Antonio Bassolino<br />

Presidente della<br />

Regione Campania<br />

On. Marco Di Lello<br />

Assessore al Turismo e<br />

ai Beni Culturali della<br />

Regione Campania<br />

Stefano De Caro<br />

Direttore Generale per<br />

i Beni Archeologici<br />

Vittoria Garibaldi<br />

Direttore Regionale per<br />

i Beni Culturali e<br />

Paesaggistici della<br />

Campania<br />

Maria Luisa Nava<br />

Soprintendente per i<br />

Beni Archeologici<br />

delle Province di<br />

Napoli e Caserta<br />

Pietro Giovanni Guzzo<br />

Soprintendente<br />

Archeologo di Pompei<br />

Curatori della mostra<br />

Stefano De Caro<br />

Eugenia Querci<br />

Carlo Sisi<br />

Comitato scientifico<br />

Rosemary Barrow,<br />

Gianluca Berardi,<br />

Enrico Colle,<br />

Luisa Martorelli, Eric<br />

M. Moormann,<br />

Nadia Murolo,<br />

Giuseppe Pucci,<br />

Eugenia Querci,<br />

Carlo Sisi<br />

Comitato di<br />

coordinamento<br />

Maria Luisa Nava<br />

Maria Rosaria Borriello<br />

Luisa Melillo<br />

Collaborazioni<br />

scientifiche<br />

Teresa Giove<br />

Marinella Lista<br />

Paola Rubino<br />

colophon<br />

Alma-Tadema e la nostalgia dell’antico<br />

19 ottobre 2007 - 31 marzo 2008<br />

Coordinamento<br />

per la sicurezza<br />

Angelo Maisto<br />

Antonio Coppola<br />

Segreteria tecnica<br />

Lisa Rapone<br />

Segreteria<br />

Vincenza Chianese,<br />

Patrizia Cilenti


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E LA NO<br />

STALGIA<br />

DELL’<br />

ANTICO<br />

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Enti prestatori<br />

Accademia di Belle Arti<br />

“Pietro Vannucci”,<br />

Perugia<br />

Biblioteca Nazionale<br />

“Vittorio Emanuele III”,<br />

Napoli<br />

Bloomsbury Auction,<br />

Roma<br />

Cecil Higgins Art<br />

Gallery, Bedford<br />

Civico Museo Revoltella<br />

Galleria d’Arte Moderna,<br />

Trieste<br />

Collezione Pérez Simón,<br />

Città del Messico<br />

Comune di Capua<br />

Dahesh Museum of Art,<br />

New York<br />

Galleria Vittoria<br />

Colonna, Napoli<br />

Galleria d’Arte<br />

Ferdinando Donzelli,<br />

Firenze<br />

Galleria d’Arte Moderna,<br />

Milano<br />

Gallerie d’Arte Moderna<br />

e Contemporanea di<br />

Ferrara<br />

Hamburger Kunsthalle<br />

Hood Museum of Art,<br />

Dartmouth College,<br />

Hanover<br />

Indiana University Art<br />

Museum, Bloomington<br />

Musée d’Orsay, Parigi<br />

Musei Civici di Asti<br />

Museo Civico di Castel<br />

Nuovo, Napoli<br />

Museo Correale di<br />

Terranova, Sorrento<br />

Museo Civico d’Arte,<br />

Modena<br />

Museo della Tarsia<br />

Lignea, Sorrento<br />

Museu Nacional d’Art<br />

de Catalunya, Barcellona<br />

Phoenix Art Museum<br />

Philadelphia Museum<br />

of Art<br />

Provincia di Napoli<br />

Royal Academy of Arts,<br />

Londra<br />

Intesa San Paolo -<br />

Sistema Museale<br />

Provinciale di Foggia<br />

Soprintendenza alla<br />

Galleria Nazionale<br />

d’Arte Moderna e<br />

Contemporanea di<br />

Roma<br />

Soprintendenza<br />

Archeologica di Pompei<br />

Soprintendenza per il<br />

patrimonio storico<br />

artistico e<br />

demoetnoantropologico<br />

per le Province di<br />

Milano Bergamo Como<br />

Lecco Lodi Pavia<br />

Sondrio Varese<br />

Soprintendenza Speciale<br />

per il Polo Museale<br />

Fiorentino<br />

Soprintendenza Speciale<br />

per il Polo Museale<br />

Napoletano<br />

Sovraintendenza ai Beni<br />

Culturali del Comune di<br />

Roma<br />

Testi e schede di<br />

Rosemary Barrow (RB)<br />

Gianluca Berardi<br />

Enrico Colle (EC)<br />

Anna Maria Damigella<br />

(AMD)<br />

Graziella Fotìa (GF)<br />

Alba Irollo (AI)<br />

Elena Lazzarini (EL)<br />

Luisa Martorelli (LM)<br />

Maria Benedetta<br />

Matucci (MBM)<br />

Andrea Milanese<br />

Eric M. Moormann<br />

Mariaserena Mormone<br />

(MM)<br />

Nadia Murolo<br />

Claudia Palazzolo<br />

Olivares (CPO)<br />

Francesco Picca (FP)<br />

Patrizia Piscitello (PP)<br />

Giuseppe Pucci<br />

Eugenia Querci (EQ)<br />

Teresa Sacchi Lodispoto<br />

(TSL)<br />

Carlo Sisi<br />

Sabrina Spinazzè (SS)<br />

Le didascalie dei<br />

materiali archeologici<br />

sono di Tiziana Rocco.<br />

Le schede<br />

contrassegnate<br />

dall’asterisco * sono<br />

relative a opere non in<br />

mostra.<br />

Tutte le opere di Alma-<br />

Tadema in catalogo<br />

sono identificate in<br />

base all’Opus Number<br />

assegnato dall’artista e<br />

pubblicato nel catalogo<br />

generale della sua opera<br />

(Swanson 1990).<br />

Il prestito del dipinto di<br />

Lawrence<br />

Alma-Tadema Un<br />

altarino,1883,<br />

acquerello, cm 34,7 x<br />

17,3, Cecil Higgins Art<br />

Gallery, Bedford, è stato<br />

concesso a catalogo<br />

ormai chiuso.<br />

L’opera è pertanto<br />

presente in mostra, ma<br />

non riprodotta in<br />

catalogo.<br />

Organizzazione e<br />

comunicazione<br />

Coordinamento<br />

tecnico-organizzativo<br />

Tiziana Rocco<br />

Collaborazione<br />

all’organizzazione<br />

Luigi Mammoccio<br />

Ufficio stampa<br />

Ilaria Maggi ed Enrica<br />

Steffenini, Electa<br />

Francesca De Lucia<br />

e Raffaella Levêque,<br />

Soprintendenza<br />

Archeologica di Pompei


ALMA<br />

TADEMA<br />

E LA NO<br />

STALGIA<br />

DELL’<br />

ANTICO<br />

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Exhibit design e<br />

coordinamento<br />

generale<br />

Corrado Anselmi<br />

Realizzazione<br />

dell’allestimento<br />

Meloni Fabrizio srl<br />

con Enrico Vandeli<br />

Progetto della grafica<br />

in mostra<br />

Tassinari/Vetta<br />

Apparato didascalico<br />

Eugenia Querci<br />

Tiziana Rocco<br />

Trasporti<br />

Sponsor tecnico<br />

Assicurazioni<br />

Axa Art D’Ippolito C. &<br />

Lorenzano R. sas<br />

Axa Service<br />

Assicurazioni,<br />

Scandicci<br />

Progress Insurance<br />

Broker srl<br />

Broker ufficiale della<br />

Manifestazione<br />

e sponsor tecnico:<br />

Coperture Assicurative<br />

INA Assitalia Spa<br />

Axa Arte<br />

Lloyd's<br />

Restauri<br />

Laboratorio di restauro<br />

della Soprintendenza<br />

per i Beni Archeologici<br />

delle Province di<br />

Napoli e Caserta<br />

Laboratorio di restauro<br />

della Soprintendenza<br />

per il Polo Museale<br />

Napoletano<br />

Studio di<br />

Conservazione e<br />

Restauro d’Opere<br />

d’Arte di Federico<br />

Tempesta, Firenze<br />

Si ringraziano<br />

vivamente tutti gli enti<br />

prestatori,<br />

i collezionisti che<br />

hanno preferito<br />

rimanere anonimi e<br />

tutti coloro che, a vario<br />

titolo, hanno<br />

contribuito allo<br />

sviluppo e alla buona<br />

riuscita<br />

del progetto espositivo<br />

Ana Ara<br />

Antiche Gallerie d’Arte<br />

“ Il Magnifico”, Firenze<br />

Archivio<br />

dell’Ottocento romano<br />

Maria Teresa Benedetti<br />

Laura Benini<br />

Giorgio Bompiani<br />

Mirco Bonfiglioli<br />

Rosario Caputo<br />

Angela Cipriani<br />

Gianluca Confessore<br />

Giancarlo Cosenza<br />

Sofia Crifò<br />

Elena Di Majo<br />

Mercé Doñate<br />

Laura Feliciotti<br />

Ivo Ferraguti<br />

Sandro Fiorentino<br />

Dalma Frascarelli<br />

Luisa Fucito<br />

Manuel García Guatas<br />

Giuliana Gargiulo<br />

Michele Gargiulo<br />

Giovanna Giusti<br />

Riccardo Helg<br />

Vittoria Kienerk<br />

Matteo Lafranconi<br />

Claudia La Malfa<br />

Lola Landa<br />

Maria Paola Maino<br />

Aide Maltagliati<br />

Bruno Mantura<br />

Sonia Marcelli<br />

Anna Maria Marmo<br />

Jerzy Miziolek<br />

Alida Moltedo<br />

Giorgia Montesano<br />

Maurizio Morragreco<br />

Emanuele Natangelo<br />

Eleonora Nunziante<br />

Charles O’Brien<br />

Alberto Olivetti<br />

Anna Querci<br />

Sandra Romito<br />

Krystyna Sadowska<br />

Gaetano Sarnelli<br />

Michela Sartorio<br />

Antonella Sbrilli<br />

Annalisa Scarpa<br />

Angelo Terruzzi<br />

Javier Barón<br />

Thaidigsmann<br />

Anna Maria Troili<br />

Dominika<br />

Wronikowska<br />

Marisa Volpi<br />

Un ringraziamento<br />

particolare<br />

a Juan Antonio Pérez<br />

Simón per la generosa<br />

e fondamentale<br />

collaborazione.


ALMA<br />

TADEMA<br />

E LA NO<br />

STALGIA<br />

DELL’<br />

ANTICO<br />

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testi istituzionali<br />

Saluto con grande interesse e soddisfazione questo importante evento<br />

espositivo. Ancora una volta, dopo il ciclo di mostre “Un Anno al Museo”,<br />

assistiamo a un evento culturale di ampio respiro al Museo Archeologico<br />

Nazionale di Napoli, frutto di un’intensa collaborazione tra le due<br />

Soprintendenze per i Beni Archeologici di Napoli e Caserta e di Pompei,<br />

sotto l’egida della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici<br />

della Campania e in sinergia con l’Assessorato al Turismo e ai Beni Culturali<br />

della Regione Campania, che lo ha inserito nella rassegna “Eventi in<br />

Campania 2007”.<br />

Iniziative come la mostra Alma-Tadema e la nostalgia dell’antico assecondano<br />

e favoriscono un processo, ormai avviato nella città campana, di<br />

riappropriazione del proprio primato intellettuale e culturale; un processo<br />

che questo governo intende favorire e determinare tramite scelte e atti<br />

concreti. L’originalità e il taglio internazionale dato al progetto, così come<br />

l’aspetto interdisciplinare che lo contraddistingue, sapranno incontrare il<br />

favore di un pubblico ampio e diversificato, che potrà ammirare, in un’unica<br />

irripetibile occasione, opere pittoriche e scultoree provenienti da tutta<br />

Italia e dall’estero, ma anche reperti archeologici custoditi da una sede<br />

prestigiosa come il Museo Archeologico Nazionale di Napoli.<br />

La mostra affronta il tema della pittura neopompeiana e del suo più noto<br />

rappresentante, Sir Lawrence Alma-Tadema. Si tratta di un’importante<br />

operazione culturale e di una preziosa risorsa turistica per Napoli e il territorio<br />

campano, luoghi che ancora oggi, come allora nei dipinti di Alma-<br />

Tadema, costituiscono un cuore vitale, plurimillenario, delle culture mediterranee.<br />

Auguro il più grande successo di pubblico ed esprimo l’apprezzamento<br />

e le più vive congratulazioni del Ministero.<br />

Francesco Rutelli<br />

Vice Presidente del Consiglio e Ministro per i Beni e le Attività Culturali


ALMA<br />

TADEMA<br />

E LA NO<br />

STALGIA<br />

DELL’<br />

ANTICO<br />

torna all’indice →<br />

I siti archeologici di Pompei ed Ercolano, fin dai primi ritrovamenti risalenti<br />

a oltre due secoli fa, sono stati fonte d’ispirazione e materia di elaborazione<br />

per il movimento artistico e intellettuale europeo. In particolare,<br />

l’Ottocento reca tracce indelebili delle molteplici e complesse suggestioni<br />

che questo scorcio di Campania ha saputo regalare al talento e all’opera<br />

di numerosi artisti. È per questo motivo che la Regione Campania, nell’ambito<br />

della rassegna “Eventi in Campania 2007”, in collaborazione con<br />

la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici, ha voluto dedicare<br />

una mostra ai capolavori di Lawrence Alma-Tadema, un autentico<br />

punto di riferimento di tutta la pittura neopompeiana. I “quadri-museo”<br />

dell’artista anglo-olandese, vissuto a cavallo tra l’Ottocento e il<br />

Novecento, propongono la rievocazione del vissuto quotidiano di venti<br />

secoli fa in una combinazione tra sogno, mito e realtà. La mostra è arricchita<br />

dalle opere di altri importanti autori della scuola italiana della pittura<br />

neopompeiana (Gigante, Palizzi, Muzzioli, Maccari, Miola, Morelli,<br />

D’Orsi, Netti, Bargellini) oltre che dai numerosi reperti depositati al Museo<br />

Archeologico Nazionale di Napoli. Ogni opera moderna viene, infatti,<br />

affiancata dal ritrovamento antico da cui ha tratto ispirazione, andando<br />

così a ricostruire il percorso di rielaborazione artistica compiuto dall’autore.<br />

Si tratta di un’idea assolutamente originale poiché ricrea le condizioni<br />

stesse entro le quali l’opera è nata.<br />

Questa mostra, d’altro canto, è l’ulteriore dimostrazione di quanto ampio,<br />

ricco e importante sia il patrimonio artistico e culturale della Campania.<br />

Attraverso iniziative ed eventi come questo, stiamo lavorando affinché<br />

esso diventi sempre di più il nostro valore aggiunto per creare sviluppo,<br />

valorizzando il meglio dei nostri territori. Ci sono, infatti, tutte le condizioni<br />

per far diventare questa regione un punto di riferimento mediterraneo<br />

nel panorama dell’evoluzione dei gusti e delle tendenze artistiche. Su questa<br />

strada continueremo a impegnarci in un rapporto di collaborazione<br />

con le altre istituzioni e con tutti coloro che sono impegnati nel mondo<br />

della cultura e dell’arte.<br />

Antonio Bassolino<br />

Presidente della Regione Campania


ALMA<br />

TADEMA<br />

E LA NO<br />

STALGIA<br />

DELL’<br />

ANTICO<br />

torna all’indice →<br />

La mostra Alma-Tadema e la nostalgia dell’antico non poteva non essere<br />

ospitata nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli, e quindi sostenuta<br />

dall’Assessorato Regionale al Turismo e ai Beni Culturali della Regione, che<br />

da anni è impegnato nella valorizzazione del patrimonio archeologico e<br />

monumentale in sinergia con le altre Istituzioni: la Campania è il punto<br />

d’incontro della cultura che la mostra vuole raccontare. Dal 2000 numerose<br />

le mostre realizzate per la promozione turistica della regione. Così, da<br />

poco conclusa Ambre. Trasparenze dall’antico, che ha ottenuto l’apprezzamento<br />

del pubblico, si apre un’altra significativa esposizione, in cartellone<br />

per cinque mesi, per ricordare come le suggestive scoperte archeologiche<br />

di Pompei e dell’area vesuviana, oggetto di scavi approfonditi nel corso<br />

dell’Ottocento, abbiano esercitato un influsso fortissimo sull’immaginario<br />

di pittori e scrittori nel corso del secolo, restituendo un’immagine vivida e<br />

straordinariamente presente del mondo antico.<br />

Esperienze antiche, di enorme importanza culturale, sospinte sia da interesse<br />

propriamente scientifico sia da impulsi più vicini al collezionismo.<br />

Alma-Tadema propone la rinascita del mondo antico, soprattutto romano,<br />

con una tecnica raffinata. Quasi paradossalmente la “nostalgia dell’antico”<br />

viene in Alma-Tadema interpretata in chiave “verista”, coerentemente con<br />

quanto avviene in altri autori che, con soggetti diversi, si aprono a una cultura<br />

romantica. L’artista di origine olandese ricerca invece il mito nel quotidiano,<br />

facendo rivivere l’antico in una chiave finemente estetizzante.<br />

E far rivivere l’antico può servire ai contemporanei a realizzare iniziative<br />

culturali idonee a potenziare l’offerta artistica perché, come abbiamo più<br />

volte sottolineato, in Campania l’arte conta, e con eventi come Alma-<br />

Tadema e la nostalgia dell’antico conta ogni anno sempre di più.<br />

Marco Di Lello<br />

Assessore al Turismo e ai Beni Culturali della Regione Campania


ALMA<br />

TADEMA<br />

E LA NO<br />

STALGIA<br />

DELL’<br />

ANTICO<br />

torna all’indice →<br />

Al valore culturale, all’interesse storico-artistico e al fascino che proverà il<br />

visitatore di questa mostra si unisce un motivo di grande soddisfazione<br />

per la Direzione Regionale ai Beni Culturali e Paesaggistici della Campania.<br />

L’esposizione nasce infatti da un progetto congiunto con le due<br />

Soprintendenze per i Beni Archeologici di Napoli e Caserta e di Pompei,<br />

che l’hanno fortemente voluta e si sono impegnate per realizzarla. Grande<br />

riconoscenza va alla Regione Campania che, nel consolidato quadro della<br />

collaborazione con questa Direzione, ha incluso la mostra nei suoi programmi<br />

di valorizzazione e fruizione turistica “Eventi in Campania 2007”,<br />

consentendone la realizzazione, cui ha contribuito anche la Compagnia di<br />

San Paolo con la sua consueta generosità, già mostrata per precedenti<br />

mostre al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. A tutti va il mio ringraziamento<br />

per il lavoro di sinergia che fin qui si è svolto.<br />

L’esposizione che si presenta ha come obiettivo quello di ricostruire il quadro<br />

iconografico della ricezione dell’antichità classica nel corso del secondo<br />

Ottocento: a partire dal caposcuola Alma-Tadema, attraverso il ricco<br />

filone italiano.<br />

L’argomento è affrontato nelle sue diverse sfaccettature interpretative,<br />

dando perciò spazio anche alla pittura di storia, ispirata dalle evidenze<br />

documentarie e archeologiche del mondo classico, ma anche ai dipinti e<br />

alle rilevazioni eseguite dal vero nei siti archeologici di maggior rilievo da<br />

artisti, architetti e disegnatori professionisti.<br />

Il cuore della mostra è rappresentato da una selezione di opere di Alma-<br />

Tadema che, con tecnica raffinata e disegno meticoloso, evoca il sogno di<br />

un mondo popolato di donne dall’assorta bellezza, dove la corporea materialità<br />

delle rappresentazioni elude il distaccato idealismo neoclassico e<br />

rende struggente e reale la nostalgia dell’antico.<br />

Grazie alla profonda conoscenza archeologica e letteraria dell’antichità<br />

classica, egli riesce a far rivivere, in una chiave finemente estetizzante, un<br />

mondo ormai perduto, dove le scene del quotidiano assumono le sfumature<br />

del mito.<br />

Le monumentali vestigia di Roma, ma ancora di più le rovine e i reperti<br />

provenienti da Pompei, Ercolano e da tutta l’area vesuviana, sono le fonti<br />

d’ispirazione non solo per Alma-Tadema, ma anche per l’ampia schiera di<br />

artisti italiani e stranieri che si accostano al genere neopompeiano. La loro<br />

pittura è destinata a confermare sentimenti nazionali e, ancor più, esotismo<br />

antichizzante, di un ceto alto-borghese che ama riconoscervisi, nobilitando<br />

così i propri vizi e virtù, nei riti e nei costumi di una società ormai<br />

remota ma anche riproposta nel presente grazie ai reperti archeologici le<br />

cui scoperte erano largamente pubblicizzate.<br />

Il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, che ospita la mostra, raccoglie<br />

una delle più prestigiose collezioni archeologiche del mondo e custodisce


ALMA<br />

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E LA NO<br />

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DELL’<br />

ANTICO<br />

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molti dei preziosi reperti citati, rievocati, rielaborati nei dipinti degli artisti<br />

italiani e di Alma-Tadema.<br />

Il percorso espositivo, che dedica ampio spazio alla scuola italiana, prende<br />

le mosse dai dipinti che ritraggono paesaggi archeologici per poi passare<br />

a trattare il tema della dimensione quotidiana e le scene di storia<br />

pubblica. Completa una scelta di documenti e di arte decorativa del XIX<br />

secolo, anch’essa ispirata alle scoperte archeologiche e alla rievocazione<br />

dell’antico. Il tema della mostra, finora rimasto ristretto all’ambito degli<br />

specialisti di storia dell’arte dell’Ottocento e degli archeologi, viene ora<br />

presentato al pubblico, per la prima volta in Italia.<br />

È un onore poter presentare capolavori e opere meno note, ma ugualmente<br />

importanti, in connessione con una selezione di materiali archeologici<br />

del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, che hanno affascinato e<br />

influenzato la produzione dei pittori neopompeiani.<br />

Un ringraziamento particolare va ai numerosi musei internazionali e<br />

nazionali e ai collezionisti privati, che con il prestito delle proprie opere<br />

hanno permesso la realizzazione dell’evento.<br />

Vittoria Garibaldi<br />

Direttore Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Campania


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DELL’<br />

ANTICO<br />

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Il risultato lusinghiero ottenuto con il numero di visitatori dell’ultima<br />

mostra del Museo Archeologico Nazionale di Napoli nell’ambito della rassegna<br />

“Un Anno al Museo”, che la Soprintendenza per i Beni Archeologici<br />

per le Province di Napoli e Caserta ha fortemente promosso di intesa con<br />

la Regione Campania, premia lo sforzo congiunto delle Istituzioni che<br />

hanno inteso offrire al pubblico una serie di eventi di altissima qualità.<br />

Tra queste la punta di diamante è stata la mostra sull’ambra, per la novità<br />

dell’argomento e i magnifici capolavori esposti, che hanno destato<br />

forte interesse nel pubblico italiano e straniero.<br />

Sono certa che la mostra che ora si presenta, Alma-Tadema e la nostalgia<br />

dell’antico, nata dalla feconda collaborazione tra le due Soprintendenze<br />

per i Beni Archeologici di Napoli e Caserta e di Pompei, sotto l’egida della<br />

Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Campania,<br />

otterrà i più ampi successi di critica e di pubblico, contribuendo a migliorare<br />

sensibilmente l’offerta turistica della Regione Campania, che non a<br />

caso ha sostenuto l’evento inserendolo nella rassegna “Eventi in<br />

Campania 2007”.<br />

La mostra traccia per la prima volta un panorama dello sviluppo della pittura<br />

neopompeiana in Italia, collocandola in un più ampio contesto internazionale<br />

e ponendola a colloquio con le opere del principale e più riconosciuto<br />

cultore del genere: l’artista di nascita olandese, inglese d’adozione,<br />

Lawrence Alma-Tadema (1836-1912). I “quadri-museo” dell’artista<br />

rappresentano una straordinaria rilettura del mondo romano, con tutto il<br />

corredo di antiche suppellettili, abiti raffinati, ambienti impreziositi da<br />

marmi e tripudi di fiori.<br />

Il lungo viaggio in Italia del 1863 fu per Alma-Tadema un’occasione<br />

importante per visitare i musei e i siti archeologici, e avere un approccio<br />

diretto con l’antichità. Visitando scavi e musei ebbe l’opportunità di selezionare<br />

i siti, le architetture e i reperti, di cui raccogliere successivamente<br />

la documentazione grafica e fotografica. Tra le antiche città vesuviane fu<br />

Pompei – la Pompei scavata e restaurata in quegli anni da Giuseppe<br />

Fiorelli – il set preferito delle ambientazioni di Alma-Tadema.<br />

Un importante strumento di documentazione per Alma-Tadema fu la<br />

fotografia. Il suo archivio era un vero e proprio database di materiali<br />

archeologici, greci e romani: sculture e decorazioni architettoniche, ma<br />

anche affreschi parietali delle città vesuviane. Tale “museo virtuale di<br />

reperti antichi”, insieme alla documentazione grafica, era uno strumento<br />

di lavoro essenziale per l’artista.<br />

Dopo il viaggio in Italia, la collezione fotografica, già iniziata in precedenza,<br />

si arricchì di numerose immagini dei reperti dagli scavi di Pompei ed<br />

Ercolano esposti al Museo Archeologico di Napoli. Sicuramente, accanto<br />

al British Museum di Londra, il Museo Archeologico di Napoli fu per Alma-


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ANTICO<br />

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Tadema un vero e proprio “manuale dell’antico”, rappresentando con la<br />

varietà di oggetti e materiali la sua fonte più importante e peculiare di<br />

documentazione per il numero e la particolarità degli oggetti. Alma-<br />

Tadema ebbe modo di conoscere le importanti collezioni della Magna<br />

Grecia, le sculture della collezione Farnese e, soprattutto, i numerosi<br />

reperti provenienti da Pompei e dalle città vesuviane. Questi erano presentati<br />

secondo i criteri museografici del tempo, ovvero suddivisi per classi<br />

di materiali e del tutto estrapolati dal loro contesto.Tale visione decontestualizzata,<br />

per classi di materiali, fu anch’essa fonte di ispirazione per<br />

l’utilizzo che il pittore faceva di questi reperti.<br />

Dei materiali del Museo Archeologico di Napoli circolavano anche numerose<br />

riproduzioni artigianali, che Alma-Tadema, come altri artisti<br />

dell’Ottocento, aveva acquistato, sia in scala sia in riproduzioni al vero. In<br />

particolare, l’artista possedeva bronzi degli ateliers Sommer e Chiurazzi,<br />

che detenevano il monopolio della riproduzione delle opere del Museo<br />

Archeologico di Napoli.<br />

Di tutto ciò intende dar conto la mostra, allestita accostando opere pittoriche,<br />

talora celebri di Alma-Tadema, in alcuni casi meno conosciute di<br />

artisti neopompeiani, a una selezione di materiali archeologici che ne<br />

hanno influenzato la produzione. Sono lieta di mostrare i risultati degli<br />

studi e delle ricerche da cui questa mostra scaturisce, grazie al lavoro<br />

comune tra Istituzioni e professionisti di grande qualità. Sono certa che la<br />

novità del tema trattato e la particolare rilettura dell’artista, operata dai<br />

curatori della mostra che ne hanno con sapienza confrontato e accostato<br />

le pitture ai reperti del Museo, saprà stimolare l’interesse del grande pubblico,<br />

decretando il pieno successo dell’iniziativa.<br />

Maria Luisa Nava<br />

Soprintendente per i Beni Archeologici delle Province di Napoli e Caserta


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ANTICO<br />

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La vita di Alma-Tadema trascorre tra l’edizione prima de Gli ultimi giorni<br />

di Pompei e la applicazione delle regole della Altertumswissenschaft.<br />

Dall’antiquaria che cede attenzione all’archeologia, al divenire di questa<br />

una disciplina normata. Ma non troviamo, e di certo non è da meravigliarsi,<br />

echi di questo percorso epistemologico nelle opere del Nostro. In quanto<br />

la sua libera creazione artistica può prendere spunto documentario da<br />

reperti antichi: ma non si può confondere lo spunto con l’ispirazione.<br />

Saremmo, ove ciò fosse avvenuto, di fronte a un illustratore di monumenti<br />

antichi: dagli incisori dei rami che compongono Le Antichità di Ercolano<br />

esposte agli acquarellisti che documentano gli affreschi vesuviani.<br />

Alma-Tadema sogna scene di vita ambientate in un’antichità che, per<br />

essere rigorosa nel dettaglio, rimane comunque fantastica e libera: è la sua<br />

antichità. Non quella che, in parallelo allo scorrere della sua vita e al moltiplicarsi<br />

delle sue opere, gli studiosi si sforzano di intendere in quella che<br />

ritengono sia stata l’originale essenza, grazie a nuovi scavi e scoperte e<br />

all’incessante critica filologica sui testi letterari antichi superstiti.<br />

Che Alma-Tadema abbia preferito, tra tutte le possibili fonti di ispirazione<br />

delle proprie creazioni artistiche, l’antichità classica, oltre che una casualità<br />

che forse gli esperti potranno studiare e chiarire, può essere riportato<br />

all’ultimo spunto di attenzione che la scoperta di Ercolano e Pompei ha<br />

indotto nell’Europa colta. A due generazioni abbondanti da quelle prime<br />

luminose scoperte, il romanzo di Bulwer-Lytton attualizza, e diffonde in<br />

ambienti non più solamente antiquari, l’antica vita disseppellita.<br />

L’accrescersi delle conoscenze, e proprio anche l’impiantarsi della tassonomia<br />

e della categorizzazione nel corso del XIX secolo, rende più articolato,<br />

e possiamo aggiungere oggettivo, quell’improvviso squarcio di luce<br />

sul passato. Che ha lasciato, allora, sbalorditi anche i più acuti fra quanti<br />

se ne sono interessati. Alma-Tadema normalizza visivamente quanto<br />

Bulwer-Lytton aveva, per primo, reso piano, attraverso la formula del<br />

romanzo, a molti lettori. Il tono fantasmatico potrebbe far ricordare Arria<br />

Marcella di Théophile Gautier: ed è segno del tempo che incalza, di una<br />

scienza che non si accontenta più solamente di raccogliere dati ma che<br />

preme per farne sistema, la più recente analisi freudiana della Gradiva. E,<br />

infatti, la pretesa oggettività del Nostro nel rendere gli arredi (così ci limitiamo<br />

a dire, ma Alma-Tadema avrebbe aggiunto e ambientazione generale<br />

e temi illustrati) tende a situare con precisione la libera creazione artistica,<br />

vincolandola, anche qui, a un sistema che gli austeri professori stanno<br />

costruendo, pezzo per pezzo.<br />

L’identificare l’autentico modello dal quale Alma-Tadema ha tratto ispirazione<br />

e documentazione è opera meritoria, ma attiene, se si consente un<br />

paragone, più alla registrazione dei dati climatici che allo studio della<br />

meteorologia. Può, al massimo, documentare rapidità di aggiornamento,


ALMA<br />

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DELL’<br />

ANTICO<br />

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approfondimento delle conoscenze, abilità nell’utilizzazione iconografica<br />

complessiva. Ma senza sfiorare il livello artistico, che è quello che distingue<br />

Alma-Tadema dall’anonima, fitta schiera degli illustratori di monumenti<br />

antichi.<br />

Per gli archeologi di oggi c’è poco da imparare da quei dipinti; il pubblico<br />

più ampio può documentarsi più facilmente su internet. Ma quelle scene<br />

fiorite, rigorose e languide insieme, documentano del fascino e del richiamo<br />

che la visione dell’Antichità induce sulla fantasia artistica. Fosse solo<br />

questo il motivo, varrebbe lo sforzo di conservare quei vetusti monumenti,<br />

renderli noti e visitabili a tanti, illustrarli senza pedanterie.<br />

Fra i milioni di visitatori armati di videocamera potrebbe manifestarsi un<br />

secondo Alma-Tadema. Anche solo per questo, il nostro ingrato lavoro<br />

contro il tempo che erode, contro l’incuria di tanti che sconvolge, deve<br />

continuare a svolgersi.<br />

Pietro Giovanni Guzzo<br />

Soprintendente Archeologo di Pompei


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ANTICO<br />

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Fra Babilonia e Pompei.<br />

Teoria e immaginazione<br />

dell’antico.<br />

Carlo Sisi<br />

saggio dal catalogo<br />

In un quadro elegante di Gustave Boulanger (fig. 1) è rievocata la recita<br />

del Joueur de flûte e de La Femme de Diomède fatta nell’atrio pompeiano<br />

della casa del principe Napoleone in rue Montaigne a Parigi dagli attori del<br />

Théâtre Français, con la partecipazione di Théophile Gautier che aveva<br />

composto il Joueur come prologo alla pièce di Émile Auger. Gli attori abbigliati<br />

all’antica recitano sullo sfondo dell’architettura di Alfred Normand<br />

che, su sollecitazione dell’illustre committente, aveva costruito l’edificio<br />

ispirandosi alla villa di Diomede, alla Casa di Pansa e a quella del Poeta<br />

Tragico; e aveva affidato a Sébastien Cornu la decorazione delle pareti alla<br />

maniera del III stile illusionistico di Pompei. Il fatto di cronaca mondana,<br />

reso singolare dall’eccentricità dell’evento e dalla statura dei suoi protagonisti,<br />

avrebbe acquistato ulteriore aura dal duplice risultato cui programmaticamente<br />

aspirava la composizione pittorica: quello di essere un<br />

elegante travestimento di abitudini e di sentimenti moderni, e inoltre “une<br />

excursion ingénieuse [...] dans le domaine du passé”, come scrisse il critico<br />

La Fizelière nella sua recensione al Salon del 1861 1 .<br />

In effetti l’opera interpretava le aspirazioni di alcuni intellettuali del<br />

Secondo Impero disgustati dal ritmo del progresso e dalla banalità della<br />

vita quotidiana, tentati di conseguenza dal fascino di reclusioni immaginative<br />

e spirituali, da quella “maison de rêve” descritta dallo stesso<br />

Gautier in Mademoiselle de Maupin e tanto simile all’eremo pompeiano<br />

del principe Napoleone. Era in questi recinti metastorici e accessibili a<br />

pochi che giungevano infatti a maturazione le teorie di l’art pour l’art e,<br />

d’altra parte, veniva infranta l’intesa conformistica in base alla quale la<br />

cultura della Restaurazione aveva realizzato l’armonia – nella vita come<br />

nell’arte – fra particolare e generale, natura e istituzioni, presente e storia,<br />

esprimendo la passione immediata, coinvolgente e, in fondo, fiduciosa che<br />

era stata della civiltà romantica.<br />

Sempre nel 1861, Ingres lavorava al Bagno turco e, con l’immaginazione<br />

turbata dalla fragranza di promiscuità orientali, insinuava nel puro alabastro<br />

della forma raffaellesca quelle privatissime sensazioni che dovevano<br />

essere percepite ben oltre il selezionato circolo degli ingristes.<br />

Se si pensa infine che nel 1862 Flaubert pubblicava il romanzo ‘archeologico’<br />

Salammbô con l’intento di trasferire nel mito, disumanizzandolo,<br />

l’oscuro lamento del cuore e dei sensi oppressi dal grigiore della quotidia


ALMA<br />

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na fatica 2 , si può intendere compiutamente la temperatura elevatissima<br />

entro la quale si trovò a operare chi, in quegli anni, avesse inteso confrontarsi<br />

con un’arte che non chiedeva più la comprensione e l’assenso dei<br />

contemporanei ma si concentrava nello sforzo di costituirsi al di fuori dei<br />

rapporti di vita, di operare in traccia di ineffabili sintonie ricercate appunto<br />

nel rêve pompeiano, nel molle fascino dell’Oriente o nella brutale maestà<br />

di Cartagine.<br />

Questa diffusa predisposizione intellettuale ed estetica nei confronti della<br />

bellezza eletta e delle metafore del mito aveva prodotto, sin dagli anni<br />

Quaranta, le composizioni neogreche di Jean-Léon Gérôme e di Charles<br />

Gleyre e quelle, ambientate in scenari quasi cesellati e vividi di lapislazzuli,<br />

di Gustave Moreau. Le scelte giovanili di quest’ultimo, venuto a Roma<br />

per studiare il canone classico, maturarono proprio negli anni in cui l’esaltazione<br />

della libertà – e quindi di vie indipendenti invece che convergenti<br />

– aveva ammesso l’imposizione delle particolarità del sentimento nell’ampia<br />

gamma che poteva includere tutte le espressioni connesse con i<br />

sussulti dell’intimità liberata 3 ; quadri quali la Sera di Gleyre e i Giovani<br />

greci che fanno combattere i galli di Gérôme inducevano inoltre a pensare<br />

che la forma levigata e quasi astraente insegnata in Accademia per servire<br />

da antidoto alle grigie apparenze quotidiane fosse tuttavia capace di<br />

alimentare, in virtù della perfezione formale, pensieri anche inquietanti<br />

intorno alla resurrezione di civiltà sepolte 4 .<br />

La favolosa bellezza pagana dei nudi di Hippolyte Flandrin e di William<br />

Bouguereau – per restare nell’eletto contesto di l’art pour l’art e delle sue<br />

conseguenze nella cultura figurativa europea della seconda metà<br />

dell’Ottocento – trascende infatti l’ordinaria avvenenza del modello reale<br />

perché quei pittori vi seppero innestare fantasie letterarie alimentate<br />

dallo stesso bacino estetico nel quale sbocciarono gli Emaux et camées di<br />

Gautier; non diversamente da come Luigi Mussini, dipingendo nel 1855 il<br />

grande quadro raffigurante Eudoro e Cimodoce, saprà estrarre da Les<br />

Martyrs di Chateaubriand il giusto contemperamento degli affetti, riunendo<br />

nella frescura di un bosco arcadico la perfezione della bellezza antica e<br />

i trepidi sentimenti del cristianesimo rivalutato in tutti i suoi aspetti dalla<br />

castità metodologica del purismo e fatto oggetto, proprio a partire da<br />

quel giro d’anni, di avvincenti traslitterazioni romanzesche e figurative 5 .<br />

“O noble poésie du silence vivant et passionné! Bel art que celui qui, sous<br />

une enveloppe matérielle, miroir des beautés physiques, réfléchit également<br />

les grands élans de l’âme, de l’esprit, du cœur et de l’imagination et<br />

répond à ces besoins divins de l’être humain de tous les temps [...]” 6 .<br />

Queste righe scritte da Gustave Moreau sulla pagina di un album chiariscono<br />

il percorso creativo dell’artista che, resuscitando appunto i fantasmi<br />

del passato, attribuisce a quelle spoglie preziose e fragranti la forza


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DELL’<br />

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espressiva della bellezza impassibile, la volontà di dire chiusa nell’ermetica<br />

avvenenza del gesto ineffabile e dell’allusione colta.<br />

Gli Ateniesi sacrificati al Minotauro (fig. 2), i Pretendenti, Le figlie di Tespio<br />

sono infatti le giovanili immaginazioni di un pittore sedotto dalla mitologia<br />

e fiducioso nelle capacità evocative della forma; così come il quadro<br />

di Alfred de Curzon, Un rêve dans les ruines de Pompéi. Les ombres des<br />

anciens habitants reviennent visiter leurs demeures (fig. 3), si configura<br />

come apice di questo indirizzo estetico coniugando magistralmente analogia<br />

formale e poesia, tanto che un critico contemporaneo, in vena di traslati<br />

letterari, proponeva di intitolare l’opera Songe d’une nuit d’été aux<br />

ruines de Pompéi e Théophile Gautier la recensiva quale parafrasi figurativa<br />

della sua Arria Marcella, ponendo così in evidenza le diverse matrici<br />

dell’ispirazione che diverranno di lì a poco viatico essenziale del pittore<br />

“neopompeiano”: “fantastique par les personnages qui ne sont que des<br />

ombres; réel par l’architecture qui a la solidité de la chose vraie” 7 .<br />

In virtù di questi pensieri e del dibattito critico sollecitato dalle sempre più<br />

frequenti apparizioni di opere d’arte aventi per soggetto le antiche civiltà,<br />

non passò inosservato all’Esposizione fiorentina del 1861 il Bagno pompeiano<br />

di Domenico Morelli (cat. 36) che avviava un genere ancora inconsueto<br />

per l’arte italiana di quegli anni; non a caso richiamando un celebre<br />

modello francese, il Tepidarium dipinto da Théodore Chassériau nel 1853,<br />

che restituiva alla sua originaria funzione la rovina di una delle sale del<br />

bagno pubblico presso la Porta di Stabia, dove un folto gruppo di giovani<br />

donne è ritornato a godere degli ozi sontuosi attribuiti per antonomasia<br />

agli abitanti di Pompei 8 .<br />

Chi, come Giuseppe Rovani, aveva potuto vedere il quadro di Morelli ancora<br />

nello studio milanese dell’artista, si era soffermato con agio ad ammirare<br />

le trasparenze ardite dei panni nell’ombra stillante dell’edificio, la<br />

fedeltà archeologica della ricostruzione architettonica, la “trascuratezza<br />

cercata” della pittura che dimostrava, anche nell’artista napoletano, la<br />

partecipazione commossa all’evocazione del tempo e del luogo 9 .<br />

Altri, come Yorick, intuirono i probabili debiti letterari, la traccia di letture<br />

capaci di dar nomi e caratteri alle bagnanti pompeiane: era forse tra esse<br />

– si chiedeva, nella sua recensione, il critico toscano – la figlia di Arrio<br />

Diomede, l’amante di Glauco dalle belle chiome, discesa a bagnarsi nelle<br />

terme pubbliche dalla sua splendida villa suburbana? L’integrazione narrativa<br />

avanzata da Yorick poteva in effetti coincidere con l’anastilosi letteraria<br />

operata nel romanzo di Bulwer-Lytton, in cui la risorta Pompei diviene<br />

scenario di passioni attuali, di episodi delineati col sussidio della letteratura<br />

classica e l’entusiasmo delle ininterrotte scoperte archeologiche:<br />

componenti, però, sottratte all’esame della filologia e consegnate all’avvincente<br />

arbitrio della ricostruzione romanzesca 10 .


ALMA<br />

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ANTICO<br />

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Nel traffico di una via assolata, nel quartiere delle botteghe, tra fioraie e<br />

servi indaffarati, bighelloni in veste di porpora e, a sfondo, brani di affreschi<br />

negli interni aperti alla vista, Glauco, il protagonista de Gli ultimi giorni<br />

di Pompei, si imbatte in Giulia, la più bella e la più ricca delle donne della<br />

città che, velata e seguita da due schiave, si sta avviando alle terme del<br />

Foro. Può darsi in effetti che da questo spunto narrativo Morelli traesse<br />

materia per la composizione del suo quadro e che rimanesse avvinto dalla<br />

lettura del romanzo, molto diffuso grazie alla frequenza delle sue numerose<br />

traduzioni, proprio per la convivenza in esso della finzione narrativa,<br />

riferita alle passioni dei protagonisti, e della verità storica, ricercata nella<br />

descrizione della città e dei suoi costumi; per cui vi si poteva leggere che<br />

gli abitanti di Pompei “escludevano volentieri la luce dell’ardente loro<br />

cielo, associando nei voluttuosi loro ritiri l’idea del lusso con quella delle<br />

tenebre” 11 . Fra il 1861 e il 1863 Morelli meditava un seguito della storia<br />

letta e poi dipinta con la mente accesa dalla tangibile evocazione dei luoghi,<br />

e poneva quindi mano alla forte istantanea di un triclinio dopo l’orgia<br />

12 , dove l’assopimento scomposto della crapula e la paziente sottomissione<br />

del giovane schiavo ci appaiono come pensieri attuali filtrati attraverso<br />

il fascino turbativo dell’ambientazione antica. Se da una parte la<br />

crudezza del tema avrebbe avuto conseguenze nella polemica restituzione<br />

della storia manifestata in opere, come i Parassiti di Achille D’Orsi (cat.<br />

30), che coniugavano il referto con le istanze sociali; non è d’altro canto<br />

improbabile che l’antitesi di bellezza e decadenza, implicita nella rappresentazione<br />

del soggetto morelliano, dipendesse anche da suggestioni ricavate<br />

dal ‘clima’ del quadro di Chassériau e da analoghi modelli francesi,<br />

come i Romani della decadenza di Thomas Couture 13 , dove l’antico diveniva<br />

tramite di pensieri ulteriori e di privatissime evasioni estetiche: in<br />

Morelli, però, alleviate dal sontuoso fardello parnassiano e animate da<br />

spunti di trepida realtà. Il calidarium delle terme vi appare dunque disadorno<br />

e quasi scabro, come appena estratto dalle secolari scorie del vulcano,<br />

e nella sua ombra il panno luminoso dà risalto alla grazia semplice<br />

della serva contadina; mentre i corpi riversi sul triclinio paion serbare<br />

memoria del groviglio di forme esanimi che Giuseppe Fiorelli estraeva in<br />

quegli anni dalle rovine della città 14 assecondando, attraverso l’impassibile<br />

indagine positiva, il sogno letterario e artistico cresciuto intorno alle<br />

vicende di quelle vite trapassate.<br />

Allora il dato aveva provocato la resurrezione di eventi trascorsi, immaginati<br />

e veri a un tempo (come voleva Morelli), per la pregnanza del referto,<br />

per le implicite suggestioni poetiche, per l’intimo fuoco che li aveva<br />

subito tradotti in impressioni di vita quotidiana, distanti dagli ineffabili<br />

colloqui fra révenants coltivati dai parnassiani francesi 15 . L’abbandono<br />

della monumentalità dell’antico e la sua subordinazione all’accidentalità


ALMA<br />

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ANTICO<br />

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dei fatti e dei caratteri, ai diversi pensieri che l’indagine sul vero sapeva<br />

dedurre dall’ambito letterario e dagli orizzonti inaspettati dischiusi dai<br />

nuovi metodi della ricerca archeologica, venivano conferendo anche a<br />

quel genere storico facoltà di introspezione, di spregiudicata inchiesta su<br />

bellezze antiche e decadenza, narrate come inquietudini presenti. La prefazione<br />

di Dall’Ongaro all’edizione fiorentina del Tito Vezio di Anselmo<br />

Rivalta adombra l’aspirazione ormai diffusa a recuperare da quegli inesauribili<br />

depositi della storia i vizi e le virtù che ne costituivano l’ininterrotta<br />

continuità – epoche in cui “agli elementi latini già trasformati e corrotti<br />

dalle conquiste, si venivano mescolando le cupe e misteriose superstizioni<br />

dell’Egitto e dell’Asia Minore, e l’arte greca e la mollezza orientale finivano<br />

di stemperare la ferrea fibra dei vincitori, già vinti” 16 –, e che potevano<br />

rendere vive e spiranti le reliquie del passato soltanto alla sensibilità di<br />

chi le avvicinasse con trasporto letterario, corroborato però dalla storicità<br />

e verità delle circostanze e dei luoghi: il dato appunto, che si contrapponeva,<br />

nell’arte italiana postunitaria, al sontuoso mito flaubertiano e<br />

all’estetismo evocativo di l’art pour l’art.<br />

Roma e Pompei offrirono a questo proposito scenari emozionanti all’officina<br />

di artisti e letterati convinti delle possibili analogie fra passato e presente,<br />

e il romanzo di Bulwer-Lytton – destinato ad avere grande successo<br />

in Italia grazie soprattutto alla traduzione di Francesco Cusani – rappresentò<br />

un campione di quella capacità evocativa basata sui dati dell’archeologia<br />

e della storia, ma subito rivolta a recuperare sensualità e moniti<br />

nutriti appunto dalla nostalgia di epoche restituite per frammenti alla<br />

conoscenza e alla sensibilità dei moderni 17 . Così, per fare un esempio, la<br />

scena in cui Jone sfiora il volto di Nidia per intuirne la celebrata bellezza,<br />

si avvale dell’immediato corrispettivo archeologico – la cosiddetta Psiche<br />

di Capua (fig. 4) – capace di immettere la finzione narrativa nel flusso dei<br />

dati verificabili: “Non aspettò la risposta Jone, ma parlando, passava lenta<br />

e lieve la mano sul volto chino e un po’ ritroso della greca: su quei lineamenti<br />

che solo un’immagine al mondo può ancora rappresentare e ricordare,<br />

una statua mutilata e pur sempre meravigliosa, della sua città nativa,<br />

della sua stessa Napoli; quel volto pario, innanzi al quale tutta la bellezza<br />

della Venere fiorentina è povera e terrena, quell’aspetto pieno d’armonia,<br />

di giovinezza, di genio, d’anima, in cui i moderni studiosi hanno<br />

creduto di riconoscere l’immagine di Psiche” 18 .<br />

Nel capitolo titolato L’anfiteatro, la descrizione dei ludi gladiatorii attesta,<br />

per fare un altro esempio, il meticoloso aggiornamento dello scrittore su<br />

quanto sino ad allora si sapeva intorno all’argomento: in compagnia dell’egiziano<br />

Arbace entriamo nel circo già gremito di spettatori in tutti i suoi<br />

ordini, dai popularia ai sedili più bassi destinati ai magistrati e agli insigniti<br />

di dignità senatoriale o equestre; siamo invitati a osservare i dipinti che


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ornano il parapetto e il velarium tessuto nella più candida tela di Puglia e<br />

ornato di ampie striature cremisi che, manovrato dai guardiani del circo,<br />

quel giorno non andava a posto come di consueto, “e poi che un largo<br />

squarcio di cielo rimaneva visibile in fondo al baldacchino, per l’ostinato<br />

rifiuto di una parte del velario di allearsi al resto, i mormorii di malcontento<br />

furono alti e generali”.<br />

Ma l’apparizione del rituale corteo dei gladiatori distrae il pubblico e in<br />

special modo impressiona le matrone, delle quali possiamo cogliere il concitato<br />

dialogo: “quello è un retiarius; è armato soltanto, vedi, d’una lancia<br />

a tre punte come un tridente e una rete; non porta armatura, solo la<br />

benda intorno al capo e la tunica. È un uomo fortissimo e combatterà con<br />

Sporo, quel gladiatore là, atticciato, con lo scudo rotondo e la spada sguainata,<br />

ma senza corazza; adesso non ha l’elmetto, perché gli si possa vedere<br />

il viso – com’è intrepido ! – ma a suo tempo calerà la visiera”. Grande<br />

effetto sortiscono poi due gladiatori a cavallo – “portavano la lancia e lo<br />

scudo rotondo splendidamente intarsiato; l’armatura era formata di<br />

bande di ferro intrecciate, ma copriva solo le cosce e il braccio destro;<br />

corti martelletti che arrivavano solo alla sella davano al costume un’aria<br />

pittoresca; le gambe erano nude, i sandali allacciati sopra la caviglia” – che<br />

preludono con le loro evoluzioni allo “spettacolo imponente e terribile”<br />

rievocato da Bulwer-Lytton attraverso una sequenza di dettagli e immagini<br />

19 in grado appunto di collegare, sul filo tesissimo della narrazione, le<br />

crudeltà del passato alle curiosità del lettore moderno in cerca di emozionanti<br />

affinità sul confine di immaginazione e di fedeltà archeologica. I<br />

soggetti gladiatorii dipinti da Jean-Léon Gérôme, a cominciare da Ave<br />

Caesar, morituri te salutant (1859, fig. 5), corrisposero in special modo a<br />

quella esigenza di contemperare fantasia colta e precisione narrativa<br />

intorno a un tema di forte coinvolgimento estetico e morale: la nostalgia<br />

per le epoche antiche – prima alimentata dalle forme elette di l’art pour<br />

l’art quindi dall’attenzione al dato dell’indirizzo realista – aveva portato<br />

infatti il pittore a introdurre nel quadro di storia le stesse analisi condotte<br />

in quegli anni in ambito letterario (si veda, nel dipinto, il velario inceppato<br />

che compare anche nel ricordato episodio degli Ultimi giorni di<br />

Pompei), ottenendo di conseguenza la resurrezione di eventi trascorsi per<br />

cui la precisione dello scenario architettonico e la corrispondenza storica<br />

delle armi e degli ornamenti, perfettamente resi dal magistero formale<br />

accademico, facevano quasi sentire al pubblico dei Salons lo strepito dell’anfiteatro<br />

e le grida canoniche: “jugula, ure, verbera!”. Del resto, già per i<br />

pittori neogreci, il tema scelto doveva essere viatico a integrazioni di<br />

diversa natura poiché, scriveva Edoardo Dalbono nella sua commemorazione<br />

di Gérôme, “invenzione non vuol dir soggetto, ma vuol dire quanto<br />

vede e aggiunge l’artista alla interpretazione del soggetto enunciato” 20 :


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che nel caso nostro significa rappresentare l’antico come scenario di passioni<br />

attuali, di episodi delineati col sussidio della letteratura classica e<br />

l’entusiasmo destato dalle sempre più frequenti scoperte archeologiche.<br />

Un’escursione a Pompei poteva del resto lasciare nell’artista l’impressione<br />

d’una vita da poco interrotta se ancora si vedevano dipinti sui muri gli<br />

avvisi di imminenti munera (“venti coppie di gladiatori appartenenti a<br />

Decimo Lucrezio Satrio Valente, sacerdote per la vita di Nerone, figlio di<br />

Cesare Augusto, e dieci coppie di gladiatori appartenenti a Decimo<br />

Lucrezio Valente suo figlio gareggeranno dall’8 al 12 aprile. Ci sarà un programma<br />

completo di combattimenti con bestie feroci e tende di riparo”);<br />

come pure una visita al Museo Nazionale di Napoli era la migliore occasione<br />

per arricchire il repertorio delle armi con la visione diretta di galeae,<br />

galerii, ocreae, baltei, lì raccolti insieme alle altre preziose testimonianze<br />

della civiltà pompeiana. Gérôme dà prova d’aver studiato quei reperti<br />

in una serie di statuette di gladiatori modellate con le attenzioni ricostruttive<br />

di un archeologo (cat. 33, 34), nel celeberrimo Pollice verso (1873) e<br />

nella monumentale scultura (1878) che dallo stesso dipinto ricava le sole<br />

figure del reziario e del mirmillone, dove più evidente appare la fedele<br />

riproduzione dell’elmo decorato con scene della caduta di Troia conservato<br />

nel Museo di Napoli, dettaglio che vincola entrambe le opere al dato<br />

storico ma dal quale esse traggono anche lo spunto per pensieri attuali filtrati<br />

attraverso il fascino turbativo dell’ambientazione antica 21 .<br />

“L’antichità non è morta nel mondo moderno; un ardore d’investigazioni<br />

s’è messo negli intelletti, e rimossi li schermi tra popolo e popolo, riceviamo<br />

per gli aperti spiragli come uno spirito nuovo; i pregiudizi di scuola boccheggiano<br />

tra le querimonie senili di chi sente sguizzarsi di mano la vita, e<br />

bestemmia, pur moribondo, la luce che gli spunta sugli occhi. Le lingue e le<br />

letterature sono già divenute problemi di storia e la storia una scienza.<br />

Abbiamo deposto, ed era già tempo, i logori calzari d’Arcadia in cui siam<br />

nati, per mettere i piedi nella sacra terra abitata dal vero” 22 . Neppure la filologia<br />

restava esente da quella partecipata indagine sulle vicende dell’antichità<br />

se, nel 1868, Gaetano Trezza preludeva al suo corso di letteratura latina<br />

con l’esortazione a introdurre il passato nello studio dei fenomeni<br />

umani essendo l’antico “parte organica del moderno” e il fatto un’evoluzione<br />

ideale di forme eterogenee e non una “specie stabile”, di riferimento<br />

assoluto. In contrasto aperto con la rigidità del dettato accademico, il<br />

richiamo agli studi classici come a linfe rigeneranti il pensiero moderno,<br />

lucrezianamente definite vitaï lampada, doveva dunque richiamare in vita<br />

i mondi defunti, e non tramite colte analogie ma attraverso la predisposizione<br />

sperimentale della cultura positiva, capace appunto di fondere il lirismo<br />

della tragedia classica con il realismo del dramma contemporaneo.


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Antonio Ciseri, impegnato dal 1873 a dipingere la grande scena dell’Ecce<br />

Homo! (fig. 6), avrebbe condiviso quella esplorazione del passato affidandosi<br />

alle pagine della Vie de Jésus di Ernest Renan, che gli consentiranno di<br />

evitare le convenzioni stilistiche e narrative della pittura sacra a favore,<br />

nell’ordine, dell’analisi imparziale delle fisionomie e delle attitudini; dell’oggettiva<br />

messa a fuoco del contesto architettonico, riprodotto con acribia<br />

archeologica; dello scandaglio dei sentimenti che rimanda alle inquietudini<br />

della civiltà di fine secolo, nel dipinto adombrate dalla fede o dal<br />

dubbio dei diversi protagonisti 23 .<br />

Sempre in quegli anni, Raffaello Sorbi (cat. 22 e fig. 7) dipingeva scene<br />

romane nelle quali il forte risalto dato alla descrizione degli ambienti – il<br />

più delle volte ricostruiti sotto la guida del prezioso repertorio di Guhl e<br />

Koner 24 – riverberava sugli episodi narrati suggestioni di verità, a loro volta<br />

accentuate dai ritratti attualissimi di uomini e donne coinvolti nell’avventura<br />

dell’atelier e divenuti attori di eventi che il pittore sottraeva all’epopea<br />

per convertirli in semplice dato di cronaca, in istantanea ricavata dall’accurata<br />

indagine sui costumi di Roma, spesso con un’ardita messa a<br />

fuoco di caratteristiche fisiche e morali.<br />

In linea con quanto accadeva nelle arti figurative, nella filologia positivista<br />

e, in sintesi, nel complice dialogo fra discipline diverse ma per molti<br />

aspetti affini, Giuseppe Rovani scriveva La giovinezza di Giulio Cesare componendo<br />

una sequenza di Scene romane nelle quali il recupero dei più<br />

minuti particolari della vita quotidiana e, insieme, la rappresentazione di<br />

stati passionali spesso anomali e patologici, miravano a studiare il protagonista<br />

come “umano poliedro” formato di qualità molteplici e opposte,<br />

non escluse le “debolezze e le aberrazioni del sentimento e del senso” 25 .<br />

Rovani intendeva innanzi tutto collegare con immediatezza attualizzante<br />

i fatti di Roma antica a quelli dell’esperienza contemporanea: sia nel<br />

descrivere la caratteristica dei luoghi – “Il Palatino era il quartiere dove<br />

sorgevano i palazzi del più vetusto patrizio romano (i nobiloni dei quattro<br />

quarti d’allora). Esso, come dice Ampère, era a Roma quel che il sobborgo<br />

St.Germain è a Parigi. Era la nostra Porta Nuova, il Borgo Nuovo, la via de’<br />

Bigli, la via Monforte; quel che si vuole insomma” 26 –, sia nel delineare icasticamente<br />

le peculiarità di famosi comprimari – “Allora giovane ancora<br />

(Sallustio) faceva quel che oggi si direbbe il giornalista, e redigeva coll’aiuto<br />

d’altri, e segnatamente di Cesare, il Commentarium rerum urbanarum;il<br />

Moniteur d’allora; perché Roma fu la prima ad avere una gazzetta [...]” 27 .<br />

A un livello più emozionante, la pagina letteraria condivide con la pittura<br />

espedienti cromatici e luministici che avvalorano l’indagine inquieta sui<br />

caratteri, come avviene in un episodio del romanzo di Rovani quando la<br />

luce lunare si posa sulle figure di Cesare e di Cetego “tagliando il viso di<br />

quest’ultimo, di maniera che la parte inferiore era in ombra, spiccando


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netta la superiore, la quale pareva uscire, come di soppiatto e sospettosa,<br />

da una selva densissima di capegli a larghe anella, che [...] insieme coi<br />

sopraccigli congiungentisi fitti all’inizio della linea nasale, davano un<br />

aspetto terribilmente fantastico a quella testa giovanile, cui Cesare artista<br />

ed esploratore di caratteri guardò a lungo” 28 . Sono i casi in cui la ricognizione<br />

archeologica e le componenti della narrazione subordinano il vero<br />

storico agli ‘squilibri’ dell’animo umano, alla predilezione scoperta per le<br />

anomalie e le abiezioni che connota il ribellismo di veristi e scapigliati e<br />

dà materia a nuove interpretazioni della vita antica e dei suoi controversi<br />

personaggi, a cominciare da Nerone e dal sontuoso e tragico contesto<br />

delle sue azioni efferate. Applicando all’analisi dei fenomeni sociali e culturali<br />

dei suoi anni la scienza statistica, Domenico Gnoli trovava, per<br />

esempio, che le parole “orgia”, “ebbrezza”, “agonia”, “febbre”, “convulsione”,<br />

erano divenute così frequenti in letteratura da costituire un lessico<br />

poetico della trasgressione, ammesso là dove prima quelle stesse parole<br />

rivestivano significati ributtanti 29 .<br />

Il quadro di Siemiradzki Le torce di Nerone viene allora portato a esempio<br />

della nuova attitudine a privilegiare gli affetti “che fan ballare i nervi”, rappresentando<br />

appunto l’efficace contrasto fra la tortura dei cristiani accusati<br />

dell’incendio di Roma e il sadismo dell’imperatore immerso nel lusso<br />

e nell’orgia: elegante nelle sue voluttà, quasi attraente nella sua ferocia,<br />

Nerone incarna in questo caso l’ideale dell’“essere diverso”, del “patire per<br />

eccezione” cui aspirava la cultura antiaccademica di quegli anni, tanto che<br />

l’Enobarbo diviene protagonista di drammi e di opere in musica – la più<br />

celebre quella composta da Arrigo Boito –, di quadri dipinti senza reticenze<br />

come quelli celebratissimi di Piloty e Kaulbach 30 , di poemi, come<br />

l’Ahasver in Rom di Robert Hamerling, i cui versi contengono l’esplicito<br />

richiamo al piacere incontrollato che gli scapigliati paragonavano ai desideri<br />

violenti e conflittuali della sensibilità moderna (“Altre ebbrezze or<br />

domandano i sensi; / Non la gioja, ma l’orgia furente / E dell’orgia gli strepiti<br />

immensi”) 31 .<br />

Accanto alla provocatoria riabilitazione di Nerone quale uomo in rivolta, i<br />

grandi eventi nei quali si fondevano coraggio e crudeltà davano adito a<br />

inaspettate metafore delle anomalie e dei conflitti sociali in atto nella<br />

società postunitaria: in campo artistico, la prevalenza di temi pompeiani<br />

e, più in generale, romani all’Esposizione di Napoli del 1877 32 rappresentò<br />

la massima affermazione di quel genere e di conseguenza la prima occasione<br />

ufficiale per motivare da un punto di vista critico l’ammissione del<br />

soggetto antico fra le questioni sollevate, da metà secolo, intorno all’autonomia<br />

dell’artista e al concetto di vero anche nelle rappresentazioni<br />

storiche. All’Esposizione di Torino del 1880 l’arte del boudoir sarà d’altra<br />

parte sconfitta dalla “verità non abietta” dei motivi ricavati dalla storia


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antica, tanto più che in quella occasione gli artisti avevano puntato su<br />

soggetti eroici e di esplicito significato morale e politico, come dimostrarono<br />

il gruppo Cum Spartaco pugnavit del massone Ettore Ferrari, che<br />

ribadiva l’interpretazione umanitaria dello Spartaco di Vincenzo Vela e gli<br />

spiriti libertari del popolare romanzo di Raffaello Giovagnoli; o come l’altro<br />

gruppo del Combattimento del reziario col mirmillone di Eugenio<br />

Maccagnini, che fissava in monumentale evidenza l’inesorabile destino<br />

dell’uomo sottoposto ai capricci del potere 33 .<br />

L’impegno ideologico aveva allora sollecitato un classicismo impervio e<br />

senza pregiudizi nella rappresentazione dello strazio, fosse stato quello<br />

dell’eroe proletario o del martire cristiano, e, di conseguenza, l’affondo<br />

spettacolare e il puntiglio didascalico dichiaravano di subordinare la forma<br />

alla preminenza del gesto retorico: un classicismo, si direbbe, di intonazione<br />

carducciana, tra “epodi” e “odi barbare”, che insieme al monito civile e<br />

alla vis polemica ammetteva tuttavia la bellezza oggettiva di rivisitazioni<br />

antiche “lavorate come una tazza greca”, oppure temperate al fuoco di<br />

un’immaginazione sontuosa (“Da i gradi alti del circo ammantellati / Di<br />

porpora, esse ritte / Ne i lunghi bissi, gli occhi dilatati, / Le pupille in giù<br />

fitte, / Abbassavano il pollice nervoso / De la mano gentile, / [...] / E le<br />

nipoti di Camilla, pria / Di cedere le mani / A i ferri, assaporavano l’agonia<br />

/ De’ cerulei Germani”) 34 .<br />

Episodi di crudeltà o di clemenza egualmente enfatizzati dallo scenario<br />

tumultuante dell’anfiteatro si potevano trovare rappresentati, negli anni<br />

Ottanta, in quadri molto graditi al mercato internazionale e ricercati<br />

soprattutto per la loro dipendenza dalla pittura antichizzante di Gérôme,<br />

della quale si ammiravano ancora la lucida oggettività della ricostruzione<br />

storica, intesa come “divinazione perfetta di mondi lontani”, e la coltivata<br />

letterarietà dei contenuti, che allargava gli orizzonti narrativi seguendo la<br />

convinzione ormai diffusa che la storia fosse per l’arte come un immenso<br />

magazzino “dov’essa sceglie quel che meglio convenga allo spirito e alle<br />

idee del suo tempo” rivestendolo infine “de’ propri panni” 35 . Dipinti di<br />

Carlo Ademollo come Il monaco Almadio impedisce gli spettacoli gladiatorii<br />

(1880) dimostrano infatti la fortuna del pittore francese, conosciuto<br />

in Italia grazie alla diffusione delle incisioni della casa Goupil, e documentano<br />

altresì l’affermazione di uno stile narrativo che nuovamente mirava<br />

a svincolare la rappresentazione dei soggetti antichi da metafore civili e<br />

morali, a vantaggio di più cordiali intese sul piano della colta contemplazione<br />

estetica o dell’avventurosa narrazione.<br />

Son queste le ultime figurazioni di un genere artistico destinato a esaurirsi<br />

con la crisi dello storicismo e delle varie declinazioni del principio di<br />

verità, tant’è che Camillo Boito, visitando l’Esposizione Nazionale di<br />

Torino, scriveva a proposito del quadro di Netti: “Finiscono a parere stan-


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tii i Triclinii, sebbene a rallegrare il convito, oltre alle donne ignude e agli<br />

uomini briachi fradici e inghirlandati di fiori, vi sieno gladiatori feriti o<br />

morti lunghi distesi per terra” 36 .<br />

Avranno maggior spazio, a partire dagli anni Ottanta, i sostenitori di una<br />

“pittura di idee” opposta all’erudizione archeologica e alla sensualità<br />

pagana degli epigoni di Gérôme: la luce mediterranea che illumina gli<br />

affreschi del Senato di Cesare Maccari (fig. 8) e certe visioni della Magna<br />

Grecia dipinte da Francesco Netti sono alcuni indizi della nuova aspirazione<br />

dell’artista volta a esprimere nella figurazione l’evidenza di bellezze<br />

tangibili e le risonanze interiori contenute, in misura analoga, nelle rievocazioni<br />

pittoriche di Alma-Tadema e favorite in Italia dall’apporto del classicismo<br />

tedesco e dalle mitologie preziose del Decadentismo letterario 37 .<br />

L’opera d’arte aspira d’ora in avanti a essere “natura ripensata” 38 capace di<br />

“far sentire l’umanità anche dove la figura umana non è presente” 39 ,<br />

secondo un’evoluzione teorica ed estetica che coinvolge persino chi, come<br />

Luigi Capuana, aveva condiviso con Verga la battaglia verista: “quando<br />

siamo costretti dalla meschina realtà e dobbiamo respirare la pesante aria<br />

moderna, sforziamoci di impregnarla di sottili aromi, estratti da fiori esotici,<br />

che hanno virtù di insolite ebrezze; e assottigliamo così la materiale<br />

brutalità del vero, da ridurla almeno a simbolo, ad apparenza che vi faccia<br />

pensare a tutt’altra cosa che al vero” 40 . Se, in questa particolare accezione<br />

estetico-letteraria, le Scene tiberiane di Rocco De Zerbi potevano aver<br />

ispirato le tele di Giovanni Muzzioli e, di pari passo, la prosa immaginosa<br />

di Adolfo Venturi impegnato a ritrascrivere la biografia del pittore modenese<br />

in brani levigati e dannunzianamente traboccanti di immagini 41 , non<br />

è da escludere che la rêverie pagana dei Poemi conviviali di Giovanni<br />

Pascoli presiedesse alla riconversione simbolista del genere storico-antico<br />

quale si avverte nell’arte italiana dell’ultimo decennio del secolo.<br />

Sono soprattutto gli Idilli di Giulio Bargellini (fig. 9) a sostenere questa<br />

svolta idealizzante, e a condividere le evasioni alessandrine coltivate nella<br />

cerchia aristocratica del Convito, dove la dialettica fra realtà e immaginazione<br />

che aveva originato la moderna rivisitazione dell’antico cede alla<br />

fascinazione del tema raro, del traslato allegorico, alla misteriosa risonanza<br />

delle immagini alleviate da ogni contingenza terrena e finalmente consegnate<br />

all’ineffabilità del simbolo: donne in attesa di approdi divini (“Non<br />

forse hanno veduto a fior dell’onde / un qualche dio, che come un grande<br />

smergo / viene sui gorghi sterili del mare?) 42 ; giovani legati da corrispondenze<br />

appassionate di sensi e di intelletto, che abitano residenze marmoree<br />

(“Tra mare e cielo, sopra un’erta roccia / la Scuola era del coro: era, di<br />

marmo / candida, la sonante arnia degli inni) 43 ; conviti intrecciati di<br />

umane tenerezze (“Oh! Nulla, io dico, è bello di più, che udire / un buon<br />

cantore, placidi, seduti / l’un presso l’altro, avanti mense piene / di pani


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biondi e di fumanti carni, / mentre il fanciullo dal cratere attinge / vino, e<br />

lo porta e versa nelle coppe”) 44 ; trionfali apparizioni sulla riva del mare<br />

(“[...] Ed ecco dalla nave / scese una schiera di settanta capi / bruni, tutti<br />

fioriti di corimbi, / e su la spiaggia stettero. Un chiomato / citaredo sedé<br />

sopra un pilastro, / e preso lui gli auleti con le lunghe / tibie alla bocca.<br />

[...]”) 45 ; consoli, guerrieri e schiavi di Roma, atteggiati per un ultimo ricordo<br />

sullo sfondo della città ancora pagana (“[...] Roma dormiva. Agli archi<br />

quadrifronti / battea la luna: e il Tevere sonoro / fioria di spuma percotendo<br />

ai ponti. / Alto fulgeva col suo tetto d’oro / il Capitolio [...]”) 46 .<br />

1 Si veda in L’art en France 1978, p. 314, e,<br />

inoltre, Sisi 1989, pp. 27-34.<br />

2 Lukàcs 1970, pp. 235 e ss.<br />

3 Si veda a proposito Del Bravo 1973, pp.<br />

107-115.<br />

4 Ivi, p. 113.<br />

5 Si veda Sisi 2005, pp. 29-33.<br />

6 H. Rupp, in Musée Gustave Moreau 1983, p.<br />

14.<br />

7 L’art en France 1978, pp. 337-338.<br />

8 Ivi, pp. 323-324.<br />

9 Le osservazioni di Giuseppe Rovani sono<br />

riportate dalla ‘Gazzetta di Milano’, 4-7<br />

novembre 1861 e si leggono in Levi l’Italico<br />

1906, p. 112. Alcune parti del presente<br />

saggio sono riprese da Sisi 1993, pp. 174-<br />

189.<br />

10 Bulwer-Lytton 1955.<br />

11 Tra le innumerevoli traduzioni italiane del<br />

romanzo, la più utorevole è considerata<br />

quella di Francesco Cusani<br />

(Cusani 1871, III, p. 105).<br />

12 Del dipinto, rimasto incompiuto, si parla<br />

in Levi l’Italico 1906, p. 113,<br />

e con ulteriori informazioni in Disegni e<br />

autografi 1975, p. 30.<br />

13 Domenico Morelli poté vedere i due<br />

dipinti nel suo viaggio a Parigi del 1855.<br />

14 Fiorelli 1873 b .<br />

15 Avviato in Francia dalla pubblicazione, fra<br />

il 1824 e il 1838, dei quattro volumi de Les<br />

Ruines de Pompéi di C.F. Mazois, il gusto per<br />

la rievocazione romantica della città<br />

dissepolta trova significative manifestazioni<br />

a partire dal ricordato quadro di Alfred de<br />

Curzon; cfr. L’art en France 1978, pp. 323-<br />

324, n. 90, e pp. 337-338, n. 205.<br />

16 Si veda la prefazione di F. Dall’Ongaro al<br />

racconto storico di A. Rivalta, Tito Vezio<br />

ovvero Roma cento anni avanti l’era cristiana,<br />

Firenze 1867, pp. VIII-IX.<br />

17 Per l’indirizzo archeologico del romanzo<br />

storico dopo il 1848 e, in particolare, sul<br />

concetto di modernizzazione della storia<br />

e l’interpretazione soggettiva della stessa si<br />

rimanda a Lukàcs 1970.<br />

18 Bulwer-Lytton 1955, p. 162.<br />

19 Ivi, pp. 431-446.<br />

20 Dalbono 1915, p. 113.<br />

21 Si veda in Sisi 2003.<br />

22 Trezza 1962, pp. 1009-1010.<br />

23 Si veda il capitolo relativo all’opera in<br />

Antonio Ciseri 1991, pp. 86-104.<br />

24 Guhl, Koner 1875.<br />

25 Si fa qui riferimento ai concetti espressi<br />

nel Preludio in Rovani 1873.<br />

26 Ivi, vol. I, cap. II, p. 35.<br />

27 Ivi, vol. I, cap. II, p. 51.<br />

28 Ivi, cap. V, pp. 107-108.<br />

29 Gnoli 1876, pp. 55-75.<br />

30 Ivi, p. 56.<br />

31 I versi sono tratti dal poema di R.<br />

Hamerling, qui riportati nella traduzione di V.<br />

Betteloni, Nerone (Assuero in Roma), Roma<br />

1877 (seconda edizione).<br />

32 Si vedano i titoli numerosi e i relativi<br />

commenti in Abbatecola 1877, e inoltre gli<br />

scritti di Netti 1980, pp. 141 e ss., e Bindi<br />

1876, pp. 17-18, 24.<br />

33 Mimita Lamberti 1982 a ,<br />

pp. 42-44.<br />

34 Carducci 1879.<br />

35 Gnoli 1876, p. 64.<br />

36 Si veda in Civiltà dell’Ottocento 1997, p.<br />

588, 17.218 (scheda a cura di C. Farese<br />

Sperken).<br />

37 Si veda a proposito Scotoni 1981, pp. 18-<br />

19.<br />

38 Capuana 1905, p. 224.<br />

39 Corradini 1897.<br />

40 Capuana 1905, p.221.<br />

41 Agosti 1991.<br />

42 G. Pascoli, L’ultimo viaggio. XXIV. Calypso,<br />

in Poemi conviviali (1904).<br />

43 Ivi, L’inno eterno.<br />

44 Ivi, Solon.<br />

45 Ivi, I vecchi di Ceo.V. L’inno nuovo.<br />

46 Ivi, In occidente.


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TADEMA<br />

E LA NO<br />

STALGIA<br />

DELL’<br />

ANTICO<br />

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Nostalgia dell’antico.<br />

Alma-Tadema e l’arte<br />

neopompeiana in Italia.<br />

Eugenia Querci<br />

saggio dal catalogo<br />

Se si eccettuano alcuni contributi isolati, tra cui il fondamentale saggio di<br />

Carlo Sisi Umbertini in toga 1 , esiste un vuoto bibliografico sull’arte neopompeiana<br />

motivato, oltreché dal naturale superamento primonovecentesco<br />

di linguaggi e contenuti ormai desueti rispetto alle nuove urgenze<br />

della società e della storia, dall’ostracismo di natura ideologica alimentato<br />

dalla critica dominante soprattutto tra gli anni Quaranta e Sessanta del<br />

Novecento. La stessa definizione di arte neopompeiana (includendo in<br />

questa anche la scultura) è sostanzialmente assente nei dizionari e nei<br />

manuali e, eccettuando interventi critici recenti focalizzati su temi limitrofi<br />

o intersecanti la questione neopompeiana, il termine è scarsamente<br />

utilizzato anche nella saggistica storico-artistica.<br />

Mancano studi specifici e ricognizioni su scala nazionale del panorama<br />

degli artisti che hanno affrontato le tematiche neopompeiane, sia in<br />

forma episodica, sia come pratica sistematica e di mestiere. Una disamina<br />

che al contrario, anche effettuata senza rigorose pretese di sistematicità,<br />

rivela scenari complessi e presenze inattese. Obiettivo di questa<br />

mostra è proprio quello di disegnare un primo quadro d’insieme, cercando<br />

di cogliere le diverse venature e implicazioni. Trattando soprattutto la<br />

scuola italiana, si è scelto di collocarla nel più ampio panorama internazionale,<br />

mettendola a colloquio con le opere del principale e più riconosciuto<br />

cultore del genere: l’artista di nascita olandese, inglese d’adozione,<br />

Lawrence Alma-Tadema (1836-1912). Pur rilevando in molti casi sostanziali<br />

differenze tra l’intonazione tademiana e quella nostrana, fondamentale<br />

è il comune punto di partenza: Pompei. Da qui, l’arte della seconda<br />

metà dell’Ottocento prende spunto come bruciante motivo reale e, a un<br />

tempo, condensato iconografico di suggestioni letterarie e trasposizioni<br />

immaginative, aspirando a ricomporre, in un irresistibile tableau vivant,<br />

quell’antichità classica che in Roma trovava da sempre la massima valenza<br />

simbolica. Ma la Roma imperiale o repubblicana, la sua vita politica, il<br />

linguaggio monumentale dell’architettura, la nobiltà dei sentimenti e<br />

delle aspirazioni ideali, naturali interlocutori della tradizione accademica,<br />

rispondono solo in parte alle necessità della società di fine Ottocento.<br />

Occorre passare dalla sfera dell’ethos al terreno vivo e prosaico della realtà<br />

umana, e Pompei costituisce la parola chiave, l’innesco che permette<br />

all’immaginazione di agganciare e richiamare al fluire vibrante della vita


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E LA NO<br />

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DELL’<br />

ANTICO<br />

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quella dimensione quotidiana che i monumenti romani, nella loro magnifica<br />

imponenza, non hanno potuto conservare. Lo aveva già inteso<br />

Madame de Staël: “A Roma non si trovano altro che resti di pubblici<br />

monumenti, e questi non rammentano altro che la storia politica dei<br />

secoli passati. Ma a Pompei vi è la vita privata degli antichi, che si presenta<br />

tal quale essa era” 2 .<br />

Non occorre e non è possibile qui ripercorrere le vicende degli scavi di<br />

Pompei (ma anche Ercolano, Stabia, Oplontis, Boscoreale). È noto il ruolo<br />

fondamentale avuto dall’approccio sistematico e divulgativo di Giuseppe<br />

Fiorelli nella conoscenza della vita di queste città, ma soprattutto il potere<br />

suggestivo esercitato dal metodo dei calchi da lui messo a punto, testimonianza<br />

impressionante di dolore e istantaneità della morte da lasciare<br />

ancora oggi senza fiato. Perfino Auguste Rodin, che a ben altra antichità<br />

usa rivolgere lo sguardo, quella rinascimentale e della statuaria classica,<br />

pare trasfondere in molti dei suoi gessi (tra i tanti Le Jongleur e La Martire,<br />

Parigi, Musée Rodin) quello stesso spasmo muscolare e quelle superfici<br />

scabre e irregolari, come consunte pur nell’orrida corposità.<br />

Senza contare lo stimolo esercitato sull’immaginazione di letterati e artisti<br />

da parte di quelle prime opere illustrate dedicate agli scavi, in cui l’inserzione<br />

all’interno delle rovine ricostruite di figure umane rese con vivacità,<br />

come già nella Pompeiana di William Gell (Londra, 1832), crea l’illusione<br />

dell’antico nuovamente abitato dai suoi defunti. Impostazione che guida<br />

anche François Mazois nel redigere Les Ruines de Pompéi (Parigi, 1824-<br />

1838), che appunto mirava a integrare “la storia dei costumi con la storia<br />

dell’arte”. Infine scopo magistralmente conseguito ne Le case e i monumenti<br />

di Pompei disegnati e descritti (1854-1896), illustrata dai fratelli<br />

Niccolini con splendide tavole litografiche ricche di suppellettili antiche.<br />

Il Bagno pompeiano (1861) di Domenico Morelli è, in ambito italiano, il<br />

primo dipinto d’ispirazione neopompeiana. Ritrae un luogo reale, l’apodyterium<br />

delle Terme Stabiane riportate alla luce in quegli anni e ricostruite<br />

da Morelli con alcune licenze nella definizione delle finiture decorative 3 .Il<br />

confronto è immediato con il Tepidarium (1853, Parigi, Musée d’Orsay) di<br />

Théodore Chassériau 4 , presentato al Salon parigino del 1855: nel solco di<br />

Delacroix, Chassériau unisce un languido scenario orientalista da hammam<br />

algerino, fitto di suggestioni erotiche, alla fine ricostruzione archeologica<br />

delle Terme del Foro di Pompei. È proprio questo dipinto, visto direttamente<br />

al Salon, a muovere per la prima volta Morelli sulla strada del suo<br />

Bagno pompeiano ma, a distanza di sei anni, in quella “voluttà semplice”<br />

voluta da Morelli, i retaggi compositivi accademici si sostanziano in<br />

maniera contundente dei colori e delle luci del vero resi con una pennellata<br />

vibrante. Entrambi i dipinti nascono dalla suggestione di Pompei, ma<br />

Morelli, che dopo il Triclinio (cat. 31) abbandonerà il genere, compie quel


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DELL’<br />

ANTICO<br />

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salto che ci introduce a pieno titolo nel mondo della pittura neopompeiana,<br />

nel reame del ridestamento sensoriale ed estetico di un’antichità<br />

classica resa viva, destituita della sua aura di inarrivabile idealità.<br />

A partire da Morelli, il genere neopompeiano è ampiamente coltivato nell’ambito<br />

napoletano, con diverse declinazioni, da artisti di varia provenienza,<br />

il calabrese Enrico Salfi, il siciliano Giuseppe Sciuti, il lucano<br />

Michele Tedesco 5 , e partenopei come Camillo Miola e Francesco Netti,<br />

che, attraverso il contatto con lo scintillante virtuosismo cromatico di<br />

Mariano Fortuny e il solare luminismo della scuola paesaggista napoletana<br />

(che alle rovine vesuviane dedica ampia attenzione), adottano una fattura<br />

sciolta ma sicura, imprimendo i colori del vero alle loro cronache dell’antico<br />

ricreate sulla scorta degli autori classici latini. Lo snodo morelliano<br />

e napoletano sembra inoltre fecondare, attraverso la ricettiva mediazione<br />

di Eleuterio Pagliano (Zeusi e le modelle, 1889, Milano, Galleria<br />

d’Arte Moderna) anche l’ambito milanese e braidense, sul quale agiscono<br />

d’altro canto, per tutti gli anni Sessanta, gli influssi dell’art pompier esposta<br />

ai Salon. Seppure con cadenza sporadica, in area lombarda si cimentano<br />

nei soggetti neopompeiani artisti tra loro diversi: Mosè Bianchi, per<br />

esempio, che passa dalle sensuali languidezze alla Gleyre di Cleopatra<br />

(1865, Milano, Galleria d’Arte Moderna) alla sciolta e raffinata divagazione<br />

del Bagno pompeiano (cat. 36), percorso da allettanti richiami orientalisti.<br />

Ma anche Federico Faruffini che, ancora una volta sotto lo stimolo<br />

dell’arte parigina da Salon, concepisce l’impegnativo e discusso Le orge di<br />

Messalina (1867), dove coniuga il gusto storicista per la fastosa ricostruzione<br />

archeologica di ambienti e particolari d’arredo antichi, alla prova del<br />

nudo, infine alla rappresentazione di passioni sfrenate e squilibri dell’intelletto<br />

interpretati da figure storiche tradizionalmente simbolo di devianza.<br />

Nel panorama milanese si muovono anche personaggi come Ludovico<br />

Pogliaghi che, accanto alle opere di carattere religioso, si cimenta nella<br />

pittura di storia affontata con taglio cronachistico. Eclettico collezionista<br />

di opere d’arte antica (egizie, greco-romane, rinascimentali, barocche e<br />

settecentesche) riunite in una casa-museo a Sacro Monte di Varese,<br />

Pogliaghi lega il suo nome all’imponente lavoro di illustrazione della Storia<br />

di Roma di Francesco Bertolini (Fratelli Treves, Milano 1886) 6 .<br />

Passaggi fondamentali, nella diffusione del nuovo genere pittorico, sono le<br />

mostre napoletane come le Promotrici del 1876-1877, quando si registra<br />

un’autentica fioritura di soggetti ispirati all’antico, maturati sulla scorta di<br />

profonde conoscenze o più amatoriali infatuazioni archeologiche. Si scontrano<br />

in questi anni due differenti concezioni, quella dell’art pour l’art, per<br />

cui il bello risiede nella forma svincolata da ogni impegno etico, e quella<br />

che attribuisce preminenza all’altezza e alla nobiltà concettuale del soggetto.<br />

A giudicare dai premi via via assegnati, sembra che sia il soggetto a


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ANTICO<br />

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prevalere sulla forma. In polemica con questo orientamento, favorito<br />

anche dai critici-letterati, l’Esposizione Nazionale di Torino del 1880 registra<br />

l’intervento di Ippolito Castiglioni che, in polemica con Camillo Boito,<br />

Tullo Massarani, Enrico Panzacchi, si scaglia contro gli abbellimenti “ruffiani”<br />

dei seguaci di Fortuny, la pedanteria erudita nella scelta dei soggetti,<br />

la trascuratezza della forma in nome del sentimento, sostenendo che “il<br />

soggetto è sempre un pretesto per far dell’arte” 7 .<br />

La prima Mostra Internazionale di Roma del 1883, tenuta a Palazzo delle<br />

Esposizioni, sancisce d’altro canto l’affermazione di dipinti e sculture ispirati<br />

alla storia romana repubblicana e imperiale, traguardata attraverso il<br />

filtro dell’attualità post-unitaria. Numerose sono le sculture che interpretano<br />

singoli personaggi fortemente simbolici, come il notevole Giulio<br />

Cesare di Ettore Ximenes 8 .<br />

Il dipinto Il fatto di Virginia di Miola, presentato appunto in questa occasione,<br />

nasce con l’intento di richiamare l’antica vis romana, attingendo<br />

come suggestiva fonte iconografica a Pompei, che riplasma l’immagine di<br />

Roma come una città di provincia palpitante di vita, dalle dimensioni<br />

misurate e senza sfarzi decorativi. Un’immagine sostanziata anche delle<br />

impressioni d’esuberante animazione delle strade e dei vicoli di Napoli 9 .<br />

Se Morelli nel suo Bagno pompeiano aveva scelto un frammento di vita<br />

popolato d’interpreti senza nome, cui lo spettatore colto poteva restituire<br />

un’identità sulla scorta di ricostruzioni letterarie contemporanee (si<br />

veda il saggio di Carlo Sisi), scultori come Vincenzo Gemito o pittori come<br />

Saverio Altamura infondono nel genere neopompeiano umori patriottici<br />

da leggersi alla luce dell’attualità postrisorgimentale. Un abbinamento<br />

adottato anche da Cesare Maccari, con forte investimento simbolico, nei<br />

celebri affreschi di Palazzo Madama. In Dulce pro patria mori 10 , presentato<br />

a Roma nel 1883, Altamura mostra il campo di battaglia con i corpi<br />

ammassati dei soldati della X legione, quasi un ricordo de La Barricade di<br />

Ernest Meissonier (Parigi, Musée du Louvre): un richiamo ai valori della<br />

patria “in questo tempo di materialismo eccessivo, di indecorose transazioni,<br />

di vigliacche apostasie” 11 . Un dipinto forse debole sotto il profilo<br />

“pittorico”, ma “artisticamente” valido, poiché coglie “la poesia della storia,<br />

cioè il vero unito al concetto” 12 .<br />

Alcuni commentatori potevano scusare eventuali cadute ‘tecniche’ in<br />

nome dell’idea, ma la fattura accurata e brillante s’accompagnava il più<br />

delle volte ai soggetti neopompeiani. Come per l’art pompier 13 , per molta<br />

parte di questa produzione, anche quando narrativa, la questione si gioca<br />

tutta sulla téchne, capace di mantenere le opere di artisti tra loro diversi<br />

su un livello di gratificazione estetica tale da rendere perdonabili eventuali<br />

cedimenti contenutistici. Mai come in questa fase contenuto e forma<br />

divengono due insiemi distinti e non necessariamente comunicanti.


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Lo nota già Rocco De Zerbi nel commento alla Mostra Nazionale di Belle<br />

Arti di Napoli del 1877, in cui osserva un fiorire di artisti che “perfezionano<br />

la forma, il procedimento, il mezzo, il mestiere, la verità del tono, la<br />

verità del colore, la verità di luce e d’ombra” 14 . Ma, ammonisce il critico,<br />

non basta parlare agli occhi, “bisogna giungere al cuore, e o turbarlo o<br />

affascinarlo o inebriarlo – o turbamento, o ebbrezza, o fascino – senza<br />

questi sintomi non v’è arte” 15 . Anche sulla scorta delle teorie di Théophile<br />

Gautier, queste vibrazioni del sentimento, dell’anima, dei sensi, potevano<br />

del resto originare esclusivamente dalla sofisticata perfezione formale,<br />

divenendo il tema un mero pretesto come nella Sappho dello svizzero<br />

Charles Gleyre (1867, Losanna, Musée Cantonal des Beaux-Arts, fig. 1); ma<br />

anche nelle squisite finitezze lucenti di raso di Federico Maldarelli (fig. 2 e<br />

cat. 19), che nella lezione purista coniugata alle teorie del vero trova la<br />

misura di un nuovo idealismo risolto nella forma: corporeo e atemporale<br />

insieme. Non il “sublime” nella forma propugnato da Luigi Mussini, che<br />

comprendeva “la linea, il gesto, la nobile espressione del concetto” 16 , ma il<br />

bello tale in quanto non eterno, infiltrato da quei sentori di corruttibilità<br />

diffusi dai princípi del naturalismo ravvisabili per esempio nella Fabiola di<br />

Maccari (Siena, collezione Chigi Saracini, fig. 3), che nelle vicende della<br />

morta e risorta città di Pompei trovava un culmine di significazione.<br />

Certamente, per i primi passi del filone neopompeiano, la lezione francese<br />

è fondamentale. È la graduale, ritrovata fortuna dei temi legati all’antichità<br />

classica, a partire dagli anni Quaranta in Francia, dopo la crisi dei<br />

davidiani, a permettere, pur con le dovute correzioni d’angolazione, il fiorire<br />

del genere neopompeiano.<br />

Già Paul Delaroche, con il suo storicismo cronachistico, aveva indicato un<br />

nuovo possibile approccio alle vicende della storia, testimone raccolto poi<br />

da Jean-Léon Gérôme attraverso la mediazione ingresiana. Se Antioco e<br />

Stratonice di Ingres (Chantilly, Musée Condé), presentato al Salon del<br />

1840, già mostra, nell’accurata raffigurazione di decorazioni murali e suppellettili<br />

antiche, la strada di una fedeltà al dato documentario come possibile<br />

potenziamento della suggestione pittorica pur nel dominio della<br />

linea, è Gérôme, al centro della cerchia dei Neo-Greci 17 , a comprendere lo<br />

straordinario potere insito in una rievocazione dell’antico rivestita delle<br />

spoglie del quotidiano. Un metodo applicato con costanza, in concomitanza<br />

con le richieste della Maison Goupil, ai soggetti greco-romani, storici,<br />

orientalisti.<br />

L’incontro tra Alma-Tadema e Gérôme a Parigi nel 1864, al ritorno dal<br />

primo viaggio dell’artista inglese in Italia, dopo la ‘rivelazione’ di Pompei,<br />

sembra coincidere con la maturazione della pittura neopompeiana di<br />

Alma-Tadema. Quell’accentuazione epico-enfatica che Gérôme non cessa<br />

di imprimere alla narrazione delle cronache della storia e dei frammenti


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del reale (basti vedere Pollice verso, 1872, Phoenix Art Museum e Le ultime<br />

preghiere, The Walters Art Museum, Baltimora), viene epurata già nei<br />

primi dipinti di soggetto romano di Alma-Tadema.<br />

Pur affiancato da altri artisti come Edward Poynter, Alma-Tadema rappresenta<br />

l’artista neopompeiano internazionalmente più noto in grado, grazie<br />

alle formidabili conoscenze archeologiche e alla tecnica impeccabile,<br />

di rievocare l’antico quasi illusionisticamente, in una dimensione non aulica<br />

bensì intima e raffinata. Nelle sue opere è pienamente soddisfatto il<br />

desiderio già espresso, nel 1834, da Edward Bulwer-Lytton dopo aver visitato<br />

le rovine di Pompei: “[...] popolare nuovamente quelle strade deserte,<br />

ricomporre quelle affascinanti rovine, infondere nuova vita in quei corpi<br />

sopravvissuti; attraversare quell’abisso di diciotto secoli e donare una<br />

seconda vita alla Città dei Morti!” 18 . E Alma-Tadema attraversa quell’abisso<br />

con un veleggiare leggero, sospeso tra mito e realtà: ricompone una<br />

società scomparsa, con tutta la sontuosa ricchezza o l’ordinaria semplicità<br />

dei suoi arredi, oggetti, costumi e abitudini, sempre traguardati attraverso<br />

il filtro dell’attualità sociale di fine Ottocento. Alma-Tadema, sentenzia<br />

Ugo Fleres nel 1883, “si slancia indietro attraverso i secoli e pianta<br />

il suo cavalletto nella vera vita pagana” 19 .<br />

Se da un lato l’esito più immediato dei suoi dipinti è quello di appagare<br />

un ampio pubblico, non necessariamente colto, dall’altro l’estrema finezza<br />

tecnica, la sensibilità cromatica e luminosa, la complessità compositiva,<br />

la vaghezza dilettosa e senza tempo delle sue ambientazioni, lo apparentano<br />

pienamente al filone estetizzante anglosassone. Filone estetizzante<br />

che per artisti coevi come Frederic Leighton o Albert Moore tende<br />

però a spostare la visione, nella rarefazione delle atmosfere e nella mitizzata<br />

bellezza dei corpi, verso esiti trasfiguranti e simbolisti. L’orizzonte di<br />

questi artisti è una Grecia favolosa e depurata di ogni accidente, in una<br />

visione apollinea dell’antichità classica (mentre in Alma-Tadema e nei<br />

neopompeiani prevale, anche iconograficamente, la pur controllata componente<br />

dionisiaca) che lascia poco o nessuno spazio agli elementi del<br />

quotidiano: un colloquio con l’antico che si sostanzia dell’ammirazione<br />

per la statuaria classica, tradotta nei corpi torniti, nella purezza del disegno,<br />

nella latente astrazione delle ambientazioni e dei tratti fisionomici<br />

che si ricollega all’estetica preraffaellita. Una contaminazione non estranea<br />

anche a molte opere di Alma-Tadema, dove talune figure mostrano<br />

l’interrogativa fissità di antichi oracoli, dove l’elaborata bellezza femminile<br />

e maschile rinnova senza fine un’impossibile promessa di felicità terrena<br />

e libertà dei sensi, dove la corporea materialità delle rappresentazioni<br />

rende struggente e reale la nostalgia dell’antico. Nei dipinti di Leighton,<br />

osserva acutamente Richard Jenkyns, “il domestico si fa monumentale” e,<br />

aggiungiamo noi, si tratta di un domestico affidato alla sottigliezza delle


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sfumature emotive, all’inafferrabilità delle vibrazioni del sentimento, più<br />

che al dettaglio materiale e decorativo. L’antico di Alma-Tadema è visto<br />

invece con gli occhi di un collezionista che gode nell’assemblaggio, spesso<br />

incoerente, dei capolavori del decoro e della statuaria greco-romana: la<br />

sua resurrezione dell’antico sarebbe stata impensabile senza quella wunderkammer<br />

a cielo aperto chiamata Pompei.<br />

Già Francesco Netti aveva definito i dipinti di Alma-Tadema “quadrimuseo”<br />

20 e non c’è dubbio che il riferimento iconografico principale,<br />

soprattutto per la produzione del decennio 1864-1875, sia, più propriamente,<br />

quello della “casa-museo”; gli esempi sono innumerevoli, ma<br />

basterà citare la stessa dimora di Alma-Tadema in Grove End Road a<br />

Londra, il Museo di Gian Giacomo Poldi Pezzoli a Milano,Villa San Michele<br />

di Axel Munthe a Capri, la casa “petit musée” di Gustave Moreau a Parigi:<br />

in parte museo, in parte cabinet de curiosités, in cui lo sguardo può vagare<br />

tra piccoli bibelot ed eclatanti capolavori. La cultura materiale di fine<br />

Ottocento tende inesorabilmente ad accumulare oggetti secondo una<br />

foga feticista e onnivora che gradatamente, nell’intersecarsi degli umori<br />

decadenti, si raffina nel culto dell’oggetto prezioso, sintesi di qualità estetiche<br />

irripetibili.<br />

E nei dipinti di Alma-Tadema gli oggetti sono spesso i reali protagonisti,<br />

posti sullo stesso piano della figura umana: in Un sacrificio a Bacco (1889,<br />

cat. 61) la baccante che si staglia ieratica sulla sinistra del dipinto è materialmente<br />

ed esteticamente equiparata, quasi accorpata, al prezioso cratere<br />

in argento del tesoro di Hildesheim posto ai suoi piedi. Lo stesso si<br />

può dire de La processione verso il tempio (1882, cat. 63), in cui la giovane<br />

donna fulva coronata di pampini è ‘offerta’ allo sguardo del visitatore<br />

composta in un assemblaggio di importanti oggetti antichi e autentiche<br />

minuzie, come la piccola statuina in bronzo sorretta dalla mano della giovane<br />

donna. Del resto, è proprio in questi anni che le ditte Sommer e<br />

Chiurazzi diffondono nelle case borghesi, attraverso le proprie fonderie di<br />

Napoli, l’oggettistica pompeiana ed ercolanense.Alcuni artisti, come Ettore<br />

Forti, si specializzano in dipinti di piccolo-medio formato in cui il gusto<br />

popolare per l’aneddoto s’unisce all’esposizione di una variegata oggettistica<br />

archeologica: in sinergia con le esigenze del mercato, Forti crea una<br />

messe di scenette dalle tinte vivaci in cui i personaggi, per lo più ripetitivi<br />

e ben distinti in stereotipate categorie psicologiche, sono intenti in azioni<br />

quotidiane oppure occupati in effusioni condite di fatua malizia.<br />

I quadri-museo di Alma-Tadema, come il sontuoso La galleria di statue<br />

(1874, cat. 62), si distanziano dall’antico atemporale proposto dalla casamuseo<br />

neoclassica, in cui si privilegia il bello archetipico della statuaria<br />

greco-romana. I repertori di sculture, dipinti e oggetti proposti da Alma-<br />

Tadema sono invece calati in una dimensione quotidiana che conferisce


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credibilità a un passato ricostruito soggettivamente, creando l’illusione<br />

seducente della “storia recuperata” 21 e vivente. Come è noto, Alma-<br />

Tadema è un conoscitore espertissimo, costantemente aggiornato in<br />

materia archeologica, servendosi, oltre che di libri, di misurazioni e osservazioni<br />

eseguite personalmente durante le sue visite agli scavi e di un<br />

vastissimo repertorio di fotografie di vari autori che ritraggono, oltre ad<br />

ambientazioni pompeiane erotico-arcadiche con giovinetti nudi e rovine<br />

(Wilhelm von Plüschow, Wilhelm von Gloeden), soprattutto immagini<br />

degli scavi vesuviani e oggetti conservati nei musei più importanti<br />

(Giorgio Sommer e altri). Ma non c’è sequenza cronologica nell’ordinamento<br />

delle immagini, bensì raggruppamenti in base al soggetto, il che<br />

allontana metodologicamente l’artista dall’opera-documento, eliminando<br />

l’equivoco di una pittura archeologica filologicamente impeccabile: trionfano<br />

invece la manipolazione di materiali e dimensioni, l’accostamento<br />

antigerarchico di oggetti di diversa epoca e provenienza, in un’eclettica<br />

varietà paragonabile, oltreché a una collezione, all’assortimento di una<br />

galleria antiquaria: un tema, non a caso, spesso raffigurato nei dipinti di<br />

Alma-Tadema. Le sue opere acquistano, in questa traccia, il carattere di<br />

autentici Gesamtkunstwerk, “storia globale” del gusto e delle inclinazioni<br />

di una società in un dato tempo.<br />

Se il filtro interpretativo è quello dell’attualità, come dobbiamo intendere<br />

questi “vittoriani in toga” 22 ? Sulla stessa traccia di Bulwer-Lytton, le opere<br />

di Alma-Tadema partono da un assunto tanto semplice quanto poderoso<br />

per gli esiti immaginativi: gli antichi e i moderni sono fatti della stessa<br />

carne, “mossi dalle stesse passioni ed emozioni” 23 . Le forme sociali che,<br />

nelle diverse stagioni della storia, incanalano, organizzano e disciplinano<br />

questa natura secondo diverse priorità, non mutano nel profondo la sua<br />

sostanza. Pur variando le modalità, questo principio agisce tanto per<br />

Alma-Tadema quanto per tutta la pittura neopompeiana, che dipinge un<br />

altrove fisico e temporale con un’operazione raffrontabile, per certi versi,<br />

a quella orientalista, ma afferma un principio esattamente inverso: non<br />

evasione nella distanza bensì sorprendente contiguità.<br />

In questo orizzonte acquista significato anche la conturbante rinascita del<br />

paganesimo antico cui Alma-Tadema dà vita nei suoi dipinti: una pittura<br />

sostanzialmente sollevata da implicazioni concettuali o preoccupazioni<br />

spirituali, bensì puro godimento estetico e diletto dei sensi. Ma l’edonismo<br />

di fondo che domina le sue opere non impedisce di leggerle anche come<br />

un tributo all’affermarsi dell’irrazionalismo di fine secolo, all’interesse, diffuso<br />

anche dagli studi antropologici, verso magia e superstizione, verso<br />

una visione del mondo sollevata dalla responsabilità e dalla problematicità<br />

del messaggio cristiano. Acquista senso in tale orizzonte la frequente<br />

raffigurazione dei culti dionisiaci nelle opere di Alma-Tadema e in genera-


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le dei neopompeiani: “ogni epoca è capace di vedere solo quei simboli<br />

dell’Olimpo che può riconoscere e assimilare in virtù dello sviluppo dei<br />

suoi strumenti di visione interiore”, avrebbe più tardi sostenuto Aby<br />

Warburg 24 . È evidente, però, che il dionisismo di Alma-Tadema rimane in<br />

superficie, avulso dalla problematicità nietzschiana, bensì impegnato in<br />

una celebrazione della bellezza come dato essenzialmente materiale,<br />

esprimibile attraverso lo splendore abbagliante della forma e della sostanza<br />

degli oggetti, e grazie alla sicurezza della tecnica pittorica.<br />

Come è noto, una più larga conoscenza della pittura di Alma-Tadema da<br />

parte del pubblico italiano si ha all’indomani della Mostra Internazionale<br />

di Roma del 1883, seguita alla prima mostra retrospettiva dell’artista alla<br />

Grosvenor Gallery di Londra (1882-1883). Di Alma-Tadema, che quell’anno<br />

visita Roma e si trattiene a lungo a Pompei, sono in mostra a Palazzo<br />

delle Esposizioni i due acquerelli Un domanda e La scala, e tre oli “che l’incisione<br />

ha popolarizzato” 25 , Lo studio del pittore, Il gabinetto dello scultore,<br />

Le feste vendemmiali. Non si tratta di una rivelazione, dato che Alma-<br />

Tadema è legato all’Italia da un’intensa familiarità, connessa ai suoi ripetuti<br />

viaggi (1863, 1875, 1878, 1883) e ai rapporti stretti a partire dagli<br />

anni Sessanta con l’ambiente napoletano, con Giovan Battista Amendola<br />

e Morelli, di cui diviene amico e corrispondente 26 , argomenti approfonditi,<br />

in questo stesso catalogo, da Luisa Martorelli e Alba Irollo. Ma sono molti<br />

i contatti anche con gli artisti della cerchia romana. Nella capitale lavorano<br />

Luigi Bazzani e Roberto Bompiani, specializzati nel genere neopompeiano<br />

già negli anni Settanta, e molti altri artisti legati ad Adolphe Goupil<br />

(si veda il saggio di Gianluca Berardi); senza contare l’attività<br />

dell’Academia de España al Gianicolo 27 , i cui pensionanti, come Joaquín<br />

Sorolla, Arcadio Mas Fondevila (cat. 41), Manuel Ramírez Ibáñez, si cimentano<br />

nelle tematiche neopompeiane attraverso la mediazione di fortunismo<br />

e pittura pompier. A Roma lo stesso Alma-Tadema incontra gli artisti<br />

del Caffè Greco e visita lo studio del polacco Henryk Siemiradzki che in via<br />

Gaeta si era costruito, non lontano dal Villino Maccari in piazza Sallustio,<br />

una dimora in stile eclettico-antico. L’artista inglese è poi in amichevoli<br />

rapporti con Guglielmo De Sanctis: presso il Fondo De Sanctis del Museo<br />

di Roma sono infatti conservate tre fotoincisioni di dipinti di Alma-<br />

Tadema affettuosamente dedicate “à mon ami De Sanctis” 28 .<br />

Senza contare che l’ampia circolazione di incisioni 29 che riproducono le<br />

opere del pittore anglosassone contribuisce (come nel caso di Gérôme) a<br />

diffondere il nome e l’iconografia tademiana. Carlo Bonatto Minella sembra<br />

conoscere le opere di Alma-Tadema quando nel 1878 esegue La religione<br />

dei trapassati (Torino, Galleria Civica d’Arte Moderna e<br />

Contemporanea, fig. 6): pur basato sui modelli iconografici della pittura<br />

vascolare greca (cfr. Guhl, Koner 1875, fig. 321), è accostabile all’analogo


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Un’offerta votiva (1873, opus CXVIII, collezione privata 30 ) dell’artista inglese,<br />

portando però il soggetto sul terreno della rievocazione malinconicamente<br />

toccante di un’antichità più sognata che materialmente riportata<br />

alla vita. Era d’altro canto consuetudine di artisti e critici viaggiare oltre<br />

confine per visitare le mostre europee: al Salon parigino del 1873,<br />

Telemaco Signorini dichiara interesse per l’arte di James Tissot e Alma-<br />

Tadema 31 , e all’Esposizione Universale di Parigi del 1878 Diego Martelli, di<br />

dichiarato credo verista, spende parole di apprezzamento per l’opera di<br />

Alma-Tadema, di cui ammira la sensibilità coloristica, quasi un’eco dei<br />

veneziani e di Veronese 32 .<br />

Non mancano polemiche in merito ai dipinti dell’artista anglosassone<br />

esposti a Roma nel 1883: Ferdinando Fontana, quell’anno in forte contrasto<br />

con De Zerbi 33 , nota come altri suoi contemporanei la rigidità delle<br />

figure, le pose poco naturali, il disegno secco e meticoloso. Ma nel complesso<br />

le reazioni della critica sono positive. Luigi Bellinzoni, tradendo un<br />

approccio languido e sentimentale, definisce gli acquerelli, inseriti nella<br />

prima sala “gentile e profumata come un canestro di rose”, come un<br />

“incanto di grazia inventiva e di fattura” 34 , mentre gli oli rivelano la profonda<br />

conoscenza del mondo antico, tale da fare di Alma-Tadema un<br />

“Winkelmann della pittura moderna” 35 .<br />

Ma soprattutto è D’Annunzio a catalizzare l’attenzione attorno ad Alma-<br />

Tadema, dedicandogli un celebre articolo sul “Fanfulla della Domenica” 36<br />

in cui, commentando l’esposizione romana, dimostra ammirazione per<br />

“quelle fini fioriture architettoniche e quelle suppellettili sacre e quegli<br />

ornamenti eleganti”, a contatto con i quali “le carni prendono una nitidezza<br />

gemmea”. D’Annunzio ha impresse negli occhi quelle fanciulle eteree e<br />

attonite, le loro chiome fulve che incorniciano visi diafani illuminati da un<br />

sole che più che la potenza del Mediterraneo esprime i riverberi argentei<br />

dei cieli anglosassoni. La suggestione di queste visioni agisce a lungo sulla<br />

sua penna, fino a manifestarsi con enfasi trasfigurante, attraverso il meccanismo<br />

ecfrastico 37 , ne Il Piacere (1889), suo romanzo d’esordio.<br />

Alma-Tadema è accostato da D’Annunzio ai Preraffaelliti di cui si fa sostenitore,<br />

contribuendo a diffondere il gusto estetizzante della loro pittura<br />

nell’ambiente artistico che frequenta a Roma, riunito, a partire dal 1889,<br />

attorno al conte Giuseppe Primoli e al principe Baldassarre Odescalchi.<br />

Nei primi anni Novanta, Primoli è anche autore di curiosi tableaux vivant<br />

in cui lui stesso, la marchesa San Felice e Giulio Aristide Sartorio mimano,<br />

forse non senza ironia, scene neopompeiane con anfore, buccheri e pelli di<br />

leopardo (Roma, Fondazione Primoli). Sartorio sembra particolarmente<br />

risentire delle indicazioni dannunziane, producendo a partire dalla fine<br />

degli anni Ottanta alcuni dipinti d’ambientazione neopompeiana-tademiana,<br />

per lo più dispersi e noti attraverso fotografie d’epoca (fig. 5).


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Un’antica riproduzione di Un caloroso benvenuto di Alma-Tadema (1878,<br />

Oxford, Ashmolean Museum), conservata presso gli Eredi Sartorio, conferma<br />

la traccia di questo interesse verso l’artista, mentre sarebbe da vagliare<br />

con attenzione il contenuto delle Carte Pietro Giorgi, recentemente<br />

depositate alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma 38 .<br />

La datazione delle opere tademiane di Sartorio non è chiara, ma pare evidente<br />

che esse riflettono una genesi sofferta e non del tutto coerente,<br />

frutto di una molteplicità di stimoli e forse anche della confusione creata<br />

dalle valutazioni di D’Annunzio (e non solo) tra temperie preraffaellita e<br />

tademiana, certamente limitrofe, talvolta intrecciate (si veda la produzione<br />

di John William Waterhouse), ma non sovrapponibili. Confusione poi<br />

superata da Sartorio nei dipinti bizantini e simbolisti.<br />

Le ricerche di Sartorio sono raffrontabili con quelle condotte da Giulio<br />

Bargellini 39 a Firenze a partire dal 1889, anno in cui, ventenne, dipinge<br />

Mestizia (Foto Alinari, ubicazione ignota). Li accomuna la predilezione per<br />

gli intrecci sentimentali-amorosi, lo stretto taglio orizzontale, la vaghezza<br />

dei riferimenti archeologici, lontana dall’erudizione di Alma-Tadema ma,<br />

allo stesso tempo, non estranea a molti dei suoi dipinti degli anni Ottanta<br />

più liberi dal citazionismo del primo decennio.<br />

A queste date, l’ambiente fiorentino risulta già pienamente fecondato dai<br />

dipinti ispirati alla storia di Roma del modenese Giovanni Muzzioli che, già<br />

nel 1876, vi aveva esposto La vendetta di Poppea (cat. 48), concepito sulla<br />

scia di Gustave Boulanger e Gérôme, continuando poi a specializzarsi nel<br />

genere neopompeiano con un’angolazione sempre più tademiana:<br />

all’esposizione di Parigi del 1878, infatti, ha modo di osservare, secondo<br />

quanto testimonia Adolfo Venturi 40 , i dipinti dell’artista inglese, di cui tradurrà<br />

poi le suggestioni archeologiche e d’ambientazione in opere raffinate<br />

come Al tempio di Bacco (1881, cat. 28), reinterpretato in scultura da<br />

Luigi Preatoni nel 1884 41 ,e L’offerta nuziale (esposto a Torino nel 1884, cat.<br />

27). Seguono poi capolavori come I funerali di Britannico (esposto a<br />

Bologna nel 1888, cat. 47), in cui vibra una forza espressiva del tutto peculiare,<br />

aliena dalla composta rarefazione ritratta da Alma-Tadema, più affine,<br />

forse, alla carica drammatica e al senso del pathos tipico dell’arte storicista<br />

francese dell’epoca, capace di far convivere retaggi romantici e<br />

accuratezza verista.<br />

Del resto, Muzzioli produce anche, sospinto dalle indicazioni mercantili<br />

impartite da Luigi Pisani soprattutto tra fine anni Ottanta e primi anni<br />

Novanta, dipinti di piccolo-medio formato in cui trionfano, analogamente<br />

alle opere contemporanee di Raffaello Sorbi e Amos Cassioli, scene<br />

galanti, talvolta leziose, ambientate in eleganti interni marmorei (Il<br />

responso delle nozze, ubicazione sconosciuta 42 ). Giovanni Fattori ha forse<br />

in mente alcune di queste opere più frivole quando definisce criticamen-


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te Giovanni Muzzioli come un “Almatadema [sic] in decadenza” 43 .La<br />

Galleria Pisani, analogamente alla linea di mercato di Goupil ed Ernest<br />

Gambart per Alma-Tadema, sembra favorire i soggetti neopompeiani,<br />

commerciando opere scenografiche e di notevole forza espressiva, in linea<br />

con il gusto internazionale geromiano, come La corsa delle bighe nel Circo<br />

Massimo di Carlo Ademollo (ubicazione sconosciuta 44 ), tema allora molto<br />

in voga come testimoniano numerosi e più seriali dipinti di Ettore Forti,<br />

ma anche The Chariot Race di Alexander von Wagner (Manchester Art<br />

Gallery). È lecito pensare che su Bargellini agisca anche l’influsso di<br />

Muzzioli, sebbene la sua resa dei soggetti tradisca il più delle volte una differente<br />

intonazione, talvolta quasi misticheggiante, più facilmente conciliabile<br />

con gli umori preraffaelliti-simbolisti respirati a Roma da Sartorio<br />

grazie alla mediazione dannunziana.<br />

Gli anni Novanta vedono un’affermazione internazionale assoluta di<br />

Alma-Tadema: alla World’s Columbian Exhibition di Chicago del 1893 45<br />

viene affermato che quello di Alma-Tadema, che presenta Un passo di<br />

Omero, è probabilmente il nome più popolare dopo quello del presidente!<br />

In Italia, negli stessi anni, Alma-Tadema espone alla prima Biennale di<br />

Venezia (1895) e alla celebre Festa dell’Arte e dei Fiori di Firenze (1896-<br />

1897), dove presenta l’Autoritratto donato agli Uffizi (1896, cat. 55). A<br />

consacrare la fama italiana di Alma-Tadema contribuirà infine la voce<br />

autorevole del mensile illustrato “Emporium” che, nell’ambito di una politica<br />

pubblicistica volta alla valorizzazione di tutta l’arte inglese orbitante<br />

attorno al preraffaellismo e alle correnti estetizzanti (Rossetti, Burnes<br />

Jones, Poynter, Millais), gli dedica nel 1897 un lungo articolo ampiamente<br />

illustrato a firma Helen Zimmern 46 . A suggello di questo lungo rapporto<br />

con l’Italia, nel 1912 47 , anno della morte dell’artista, entra a far parte<br />

delle collezioni dell’Accademia di San Luca, per donazione dell’autore, un<br />

Autoritratto in cui Alma-Tadema, nella stessa posa dell’autoritratto degli<br />

Uffizi, si ritrae con il cappello di paglia, feriale e dimesso, al lavoro su una<br />

tela senza cornice che ci piace immaginare sia ancora da compiere.<br />

È curioso che un romanzo come À rebours di Joris-Karl Huysmans (1884),<br />

testo cardine della poetica simbolista e dello spirito decadente, ci fornisca<br />

una delle possibili chiavi di lettura della temperie culturale che ha permesso<br />

l’affermazione del genere neopompeiano. Entriamo nella biblioteca del<br />

protagonista del romanzo, Des Esseintes. Su tutta la cultura letteraria latina<br />

cala, tagliente e senza appello, la condanna del protagonista: per Des<br />

Esseintes solo Petronio è in grado di procurare un autentico godimento:<br />

“[...] eccolo finalmente un acuto osservatore, un fine analista, un pittore<br />

meraviglioso”, sentenzia il protagonista. Il Satyricon, di cui anche Alma-<br />

Tadema possiede una copia nella vasta biblioteca 48 , è per lui un autentico<br />

romanzo verista: una “fetta di vita romana tagliata nel vivo” dove l’auto-


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re “dipinge in una lingua da orafo i vizi d’una civiltà decrepita, d’un impero<br />

che si va sfasciando” 49 . In queste parole prende corpo un topos della<br />

pittura e in generale dell’arte neopompeiana, ovvero l’istintivo confronto<br />

tra l’opulenta e materialista società borghese di fine Ottocento e quella<br />

romana imperiale, satolla e corriva, già infiltrata dei germi che avrebbero<br />

causato, nel collidere con la ‘rivoluzione’ cristiana, il futuro disfacimento.<br />

È, in qualche misura, l’atteggiamento che ritroviamo nei sontuosi dipinti<br />

neopompeiani di Siemiradzki. Nel fastoso Orgia romana al tempo dei<br />

Cesari (San Pietroburgo, Museo Russo), l’artista immagina scenari di lascive<br />

sfrenatezze che amplificano, estremizzandolo, il senso di dissoluzione<br />

dei valori e corruzione dei costumi che già Thomas Couture aveva impresso<br />

al suo celebre dipinto I Romani della decadenza (1847, Parigi, Musée<br />

d’Orsay), ispirato a Giovenale. Ma se nel dipinto di Couture resiste ancora<br />

un senso di classica e ariosa compostezza, il rigore metrico della quinta<br />

architettonica, l’intensa significatività del gesto di sicura derivazione<br />

accademica, nell’opera di Siemiradzki prevalgono il disordinato ammasso<br />

dei corpi, la flacca grassezza dei ventri, i violenti contrasti luministici in<br />

un’atmosfera notturna e losca che costituisce il reale commento alla<br />

scena. Anche nel dipinto più celebre di Siemiradzki Le torce di Nerone<br />

(1876, Cracovia, Muzeum Narodowe, fig. 7), eseguito a Roma e presentato<br />

in tutta Europa, a partire dall’Accademia di San Luca a Roma (1876), in<br />

un trionfante tour d’ammirate ovazioni, permane un atteggiamento ambiguo:<br />

sebbene il tema principale sia quello del martirio cristiano celebrato<br />

con esibita e indifferente crudeltà dallo scellerato per eccellenza, il Divo<br />

Nerone, ai sacrificandi non è lasciata che un’angusta porzione della scena.<br />

In una spettacolare ambientazione architettonica, sorprendente anticipazione<br />

del futuro Vittoriano a Roma 50 , una folla di uomini e donne, che<br />

incarna tutte le categorie e tutte le classi della società romana d’epoca<br />

imperiale, prende posizione in questa pantomima della lussuosità, licenziosa<br />

e crapulona, che tuttavia non sembra incorrere in un’effettiva condanna<br />

da parte dell’autore.<br />

Due mondi, quello pagano e quello cristiano, del tutto incomunicanti. Ma<br />

da quel mondo antico è distante anche l’uomo moderno, tormentato dai<br />

tumulti dell’anima e dalla “tempra nervosa”, stordito dal rêve e dal sentimento.<br />

Al mondo romano si può guardare, è il caso di Rocco De Zerbi,<br />

come a un’èra perduta di libero e sensuale “rigoglio del sangue”: “Amore,<br />

pel Romano, era possedere; il godimento era l’orgia, l’orgia alla quale le<br />

nostre forze non reggono. […]. L’ubbriachezza nostra è opposta a quella<br />

del mondo romano. L’orgia della birra ha vinta l’orgia del Falerno” 51 .<br />

Per l’uomo (e l’artista) moderno, De Zerbi disegna due Rome, entrambe<br />

capaci di corrispondere ai bisogni della sua epoca: una terribile e affascinante,<br />

la grande Roma, quella dei Silla e dei Cesari, dove regna “la vertigi-


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ne dell’insaziabilità, del poter suscitare ed abbattere, del creare e distruggere”,<br />

l’altra, la piccola Roma, quella elegante e piena di gusto, comoda e<br />

posata (borghese) di Orazio, “una pozza piena d’acqua di rose” opposta<br />

alla vertigine oscura dell’Impero.<br />

“Il culmine del vizio è il soglio dei Cesari. Su quel soglio si levano pingui<br />

profumi che ubriacano gli imperatori di vanità sublime e terribile […] e il<br />

papato è stato erede dei Cesari”, conclude De Zerbi. Dunque è ancora sulla<br />

natura umana che si fissa l’obiettivo, sulla sostanziale immutabilità delle<br />

sue aspirazioni e dei suoi squilibri, come anche delle sue qualità.<br />

Guardiamo due facce della stessa medaglia: le familiari scene da cortile di<br />

Camillo Miola (Orazio in villa, cat. 49), piene di garbo brioso e verità di<br />

tono, e il Nerone di Siemiradzki che uccide con indifferenza sublime.<br />

L’imperatore sanguinario, il primo persecutore dei cristiani, l’artista paradossale<br />

ed egotico, l’uomo lascivo e volubile, tiranneggiato dalle proprie<br />

debolezze, immorale: in una parola Nerone. La sua è senza dubbio una<br />

delle figure più popolari nella letteratura 52 e nell’arte italiane, anzi europee,<br />

tra fine Ottocento e primi Novecento, la cui narrazione prende spunto<br />

dai princípi veristi, si intreccia ai languori di un incipiente decadentismo<br />

e a tutti quegli studi che, sotto diverse angolazioni, ripercorrono e riesaminano<br />

la storia della prima èra cristiana.<br />

Citando Paul Saint Victor, nel 1891, Enrico Callegari 53 descrive Nerone: “un<br />

giovane uomo biondo, miope, nervoso, un po’ grasso, gracile di gambe e<br />

dall’aria indecisa. Aveva molto del dandy moderno; ne aveva i tic, l’insolenza,<br />

la passione equestre, l’amore per le coulisses”. Nerone, dunque,<br />

come un moderno, tale anche nella sua versione più domestica, che ne<br />

sottolinea la venatura patetica e risibile, le inclinazioni viziose e sconciamente<br />

trasgressive dell’“istrione da taverna”; ed ecco il noto Nerone travestito<br />

da donna di Emilio Gallori, che Camillo Boito aveva descritto come<br />

“una donnaccia”, dalle mani polpute, le braccia nude, le spalle cicciose che<br />

canta e recita in un teatro da trivio 54 . Un’attrazione per l’equivoco (condannato<br />

o meno) che solletica le fantasie di fine Ottocento, in un salto<br />

temporale che dal lupanare pompeiano, scoperto sotto la guida di Fiorelli,<br />

porta ai bordelli parigini di Henri de Toulouse-Lautrec.<br />

Ma la rievocazione di un’antichità popolata di personaggi di dubbia moralità,<br />

dediti all’appagamento dei propri bisogni e desideri materiali, inclini<br />

all’ebbrezza, lassi e concupiscenti, si tinge delle più diverse sfumature,<br />

come nel caso dell’enorme gruppo scultoreo di Ernesto Biondi I Saturnali<br />

(1888-1899, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, fig. 4) 55 , preceduto<br />

dal ‘caso’ creato dai Parassiti di D’Orsi (cat. 30) e, non a caso, apprezzato<br />

anche da Domenico Morelli. Una scena di pura decadenza, fisica e<br />

morale. Due mondi, quello patrizio e quello plebeo, si intrecciano e si fondono<br />

in un comune destino di annientamento e scomparsa. Biondi,


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agguerrito socialista, anticlericale ma severo fustigatore dei costumi, disegna<br />

“tipi eterni”, trasfonde nel gruppo, alle soglie del nuovo secolo, tutto<br />

il disgusto, l’amarezza, la preoccupazione per il materialismo del suo<br />

tempo, per la vacuità d’ideali e sentimenti che non riempie più le speranze<br />

postunitarie, in una prospettiva che non vuole essere storica, bensì<br />

umana e universale.<br />

1 Sisi 1993. Come interventi successivi si<br />

vedano Sisi 1997-1999; Mazzocca 1997-<br />

1999; Ascione 2003, pp. 84-93; Martorelli<br />

2005; Frezzotti 2006, pp. 41-47.<br />

2 M. de Staël, Corinne ou l’Italie, Parigi 1807.<br />

Edizione consultata de Staël 1985, p. 300.<br />

3 Martorelli 2005, p. 62.<br />

4 Chassériau 2002, pp. 366-369.<br />

5 Si veda il dipinto Filelleni della Magna<br />

Grecia, esposto a Bologna nel 1888, e il<br />

relativo commento ne<br />

L’Illustrazione Italiana 1888.<br />

6 Pogliaghi realizza le tavole da cui vari<br />

incisori ricavano le illustrazioni per più di<br />

mille pagine di testi e immagini. Alcune<br />

tavole originali sono riprodotte, attraverso<br />

fotoincisioni dell’Ospizio di San Michele di<br />

Roma, in Una raccolta di 180 tavole<br />

riproducenti opere d’arte (s.a.) conservata<br />

presso la Biblioteca di Archeologia e Storia<br />

dell’Arte, Roma, Palazzo Venezia (BIASA).<br />

7 Castiglioni 1880, p. 18.<br />

8 Riprodotto in incisione in Chirtani 1883.<br />

9 Lo nota anche Bulwer-Lytton all’inizio del<br />

primo capitolo di The last days of Pompeii<br />

(1834) descrivendo l’arrivo di Clodio in Via<br />

Domitiana: “era affollata di passanti e carri e<br />

mostrava tutta quella gaia e animata<br />

esuberanza di vita e movimento che<br />

troviamo ai nostri giorni per le strade di<br />

Napoli” (traduzione dell’autore).<br />

10 Riprodotto in incisione in Chirtani 1883.<br />

11 Lazzaro 1883, p. 38.<br />

12 Ibidem.<br />

13 Si veda in proposito Luderin 1997.<br />

14 De Zerbi 1877, p. 46.<br />

15 Ibidem,p.47<br />

16 Mussini 1893.<br />

17 Il termine Néo-Greques è coniato da<br />

Claude Vignon nel 1852 (Vignon 1852).<br />

Sui rapporti tra Alma-Tadema e i Neo-Greci<br />

si veda Whiteley 1996, pp. 69-76.<br />

18 Edward Bulwer Lytton, The last days of<br />

Pompeii, prefazione all’edizione del 1834. La<br />

presente traduzione è dell’autore.<br />

19 Fleres 1883. Sulla mostra del 1883, si<br />

veda Piantoni, in Il Palazzo delle Esposizioni<br />

1990, pp. 109-121.<br />

20 Netti 1938, p. 145; Netti 1980, p. 231.<br />

21 L’espressione è utilizzata da Mottola<br />

Molfino 2003, p. 99, a proposito degli<br />

allestimenti museali di secondo Ottocento.<br />

22 Definizione utilizzata da Forbes 1973.<br />

23 Alma-Tadema 1909.<br />

24 Cfr. Gombrich 2003, p. 166.<br />

25 Bellinzoni 1883, p. 105. I titoli sono<br />

quelli utilizzati nei cataloghi d’epoca.<br />

26 Cfr. Picone Petrusa 1991, vol. 2, pp. 510-<br />

513, 520.<br />

27 Sull’argomento González, Martí 1996.<br />

28 Ringrazio Teresa Sacchi Lodispoto per<br />

l’utile segnalazione.<br />

29 Ne dà chiarissima testimonianza<br />

Francesco Netti (Netti 1938, p. 144)<br />

commentando le opere esposte alla mostra<br />

di Roma del 1883: “una bella incisione della<br />

Festa della vendemmia ricomparisce<br />

periodicamente nelle vetrine dei negozianti<br />

di stampe da quattro o cinque anni; e coloro<br />

che sfogliano i giornali illustrati inglesi,<br />

conoscono Lo studio dello scultore […] e Il<br />

gabinetto di un amatore”.<br />

30 Riprodotto in Alma-Tadema 1996, p. 178.<br />

31 Monti 1984, pp. 101-108.<br />

32 Dini, Dini 1996, p. 189.<br />

33 Fontana 1883.<br />

34 Bellinzoni 1883, p. 27.<br />

35 Ibidem,p.105<br />

36 D’Annunzio 1883.<br />

37 Pieri 2001.<br />

38 Bruno Mantura accenna al contenuto di<br />

alcune di queste lettere in Giulio Aristide<br />

Sartorio 1989, pp. 20-22.<br />

39 Presso il Museo di Roma di Palazzo<br />

Braschi si trova, nel Fondo Bargellini, un<br />

gruppo di riproduzioni a stampa di dipinti di<br />

Alma-Tadema, senza date, dediche o<br />

iscrizioni, a testimoniare il supporto<br />

documentario ricercato dall’artista alla<br />

produzione di questi anni.<br />

40 Cfr. Modena Ottocento e Novecento<br />

1991, p. 116.<br />

41 Riprodotto come L. Preantoni [sic], Al<br />

tempio di Bacco, in Ricordo della Pubblica<br />

Esposizione 1884. Devo la segnalazione di<br />

questo album, che raccoglie alcune opere


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E LA NO<br />

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DELL’<br />

ANTICO<br />

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neopompeiane importanti oggi disperse, a<br />

Teresa Sacchi Lodispoto, Archivio<br />

dell’Ottocento Romano.<br />

42 Riprodotto in Raccolta di 180 tavole,<br />

cit., serie III, tav. 23, Roma, BIASA.<br />

43 Lettera indirizzata nel 1887 a Diego<br />

Martelli, in Giovanni Fattori 1983, p. 242.<br />

44 Riprodotto in Raccolta di 180 tavole,<br />

cit., serie III, tav. 22, Roma, BIASA.<br />

45 Cfr. “The World’s Columbian Exposition<br />

of 1893” in http://columbus.gl.iit.edu/, sito<br />

web dell’Illinois Institute of Technology che<br />

fornisce informazioni rigorose e complete<br />

(testi e immagini dei cataloghi compresi)<br />

su questo evento di rilevanza mondiale.<br />

46 Zimmern 1897. La Zimmern era già<br />

autrice di un ampio intervento<br />

monografico su Alma-Tadema pubblicato a<br />

Londra nel 1886<br />

(Zimmern 1886).<br />

47 L’artista aveva esposto anche l’anno<br />

prima a Roma, nel padiglione inglese della<br />

mostra del Cinquantenario: Galleria di<br />

sculture (n. 119), Il bacio (n. 120), Ritratto<br />

del prof. George Aitchison (n. 121).<br />

48 Barrow 2001, p. 39.<br />

49 Huysmans 1994, p. 47.<br />

50 Il 9 gennaio 1878, due anni dopo<br />

l’esposizione a Roma, presso l’Accademia di<br />

San Luca, dell’imponente dipinto di<br />

Siemiradzki Le torce di Nerone,il<br />

Parlamento italiano decide di erigere un<br />

monumento al Re Padre della Patria<br />

Vittorio Emanuele II, morto quell’anno. È<br />

possibile che il dipinto di Siemiradzki,<br />

stabilitosi a Roma già nel 1872 e lì<br />

residente fino alla morte (1902), abbia<br />

costituito motivo di ispirazione per il<br />

progetto del Vittoriano. Per le vicende e la<br />

storia del Vittoriano si confrontino:<br />

Antellini 2003 e Brice 2005.<br />

51 De Zerbi 1877, p. 59.<br />

52 Numerose e diverse le opere che<br />

potremmo citare: la commedia Nerone di<br />

Pietro Cossa (1871), il poema di Robert<br />

Hamerling Nerone: Assuero a Roma (1872),<br />

Lucio Domizio Nerone Claudio Imperatore.<br />

Baloccagine fiorentina di Diego Martelli<br />

(1872), la tragedia Nerone di Arrigo Boito,<br />

rappresentata postuma nel 1924, il<br />

melodramma Nerone, di Attilio Catelli<br />

(1888), infine il classico Quo vadis di<br />

Henryk Sienkiewicz (1894-1896). Senza<br />

contare il noto romanzo di Alexandre<br />

Dumas padre dedicato all’amante di<br />

Nerone Actè (1838).<br />

53 Gli interventi di Callegari (Callegari<br />

1890, Callegari 1891) erano stati preceduti<br />

da quello di Domenico Gnoli, Nerone<br />

nell’arte contemporanea (Gnoli 1876).<br />

54 Boito 1877 b , pp. 333-334.<br />

55 Per una più ampia trattazione cfr.<br />

Frezzotti 2006, pp. 41-47.


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ANTICO<br />

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Materiali archeologici nei quadri di<br />

Alma-Tadema: alcune considerazioni<br />

Nadia Murolo<br />

saggio dal catalogo<br />

Alma-Tadema non è un archeologo. Né è sua intenzione esserlo.<br />

Pur apparendo ai suoi contemporanei come “un ricercatore instancabile di<br />

cose antiche” 1 , il suo rapportarsi con gli spazi e le strutture architettoniche<br />

dell’antichità, con le più svariate suppellettili, è altro, evidentemente,<br />

da quello di uno specialista.<br />

Pur suscitando ammirazione per la ricchezza e i dettagli degli oggetti<br />

riprodotti nei suoi quadri (paragonati a veri e propri ‘musei’), il suo approccio<br />

all’antico e ai suoi materiali è segnato dall’intrecciarsi di esperienze di<br />

documentazione e di interventi di manipolazione sugli oggetti così come<br />

sulle strutture, che gli permettono di farli scivolare dalla dimensione di<br />

reperti archeologici a quella di edifici abitati, di oggetti in uso o di opere<br />

d’arte pienamente fruibili nella loro integrità.<br />

Le forme e le fonti della documentazione sui materiali archeologici<br />

“My first visit to Italy was a revelation to me. It extended my archaeological<br />

learning to such a degree that my brain soon become hungry for it” 2 .<br />

Per Alma-Tadema le visite ai musei e ai siti archeologici durante il lungo<br />

viaggio in Italia del 1863, e in quelli che seguirono, furono occasioni ineguagliabili<br />

per conoscere l’antichità con un approccio diretto, senza alcuna<br />

forma di mediazione. Poté veder riuniti nelle grandi raccolte dei maggiori<br />

musei italiani 3 , veri e propri ‘ammassi’ di opere d’arte antica (esposte<br />

secondo i criteri positivistici dominanti al tempo) e li ripropose poi, nell’effetto<br />

di accumulo, in alcuni spettacolari dipinti (Una galleria di statue<br />

nella Roma augustea, La galleria di statue (cat. 62), Il collezionista di quadri<br />

al tempo di Augusto, La galleria di quadri (fig. 1), Appassionato d’arte<br />

romano del 1868 (fig. 2), Appassionato d’arte romano del 1870,<br />

Giocoliere, Festa della vendemmia. Ebbe modo di confrontarsi direttamente<br />

con i grandi monumenti di Roma e soprattutto di conoscere le peculiarità<br />

delle città vesuviane, con gli edifici e i tessuti urbani riemersi in oltre<br />

un secolo di scavi archeologici. Di Pompei riprodusse alcuni scorci in<br />

Ingresso in un teatro romano, Il mercato dei fiori, Un altarino, Un’esedra<br />

(cat. 65) riportando le rovine alla loro antica integrità, rivitalizzandole con<br />

i colori degli intonaci e delle stoffe, popolandole di personaggi. Visitando<br />

scavi e musei ebbe l’opportunità di selezionare i siti, le architetture e i<br />

reperti di cui raccogliere successivamente la documentazione grafica e<br />

(ormai soprattutto) fotografica, di fare rilievi e disegni, di ricopiare iscri


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zioni e particolari architettonici, di fare rapidi schizzi degli oggetti che<br />

maggiormente lo interessavano. Della sua pratica del disegno dal vero e<br />

delle sue elaborazioni ci restano diversi bozzetti che riuniscono insieme<br />

oggetti della stessa tipologia 4 e sviluppi grafici – nella ben collaudata tecnica<br />

che risaliva già alla pubblicazione della prima collezione di antichità<br />

di William Hamilton 5 – come quello realizzato per trasformare la decorazione<br />

dello stamnos del Pittore del Deinos al Museo Archeologico di<br />

Napoli 6 (fig. 4) in una pittura parietale nel dipinto Una festa privata.<br />

Lo strumento che più caratterizza il modo con cui Alma-Tadema si documentava<br />

sui materiali archeologici è, però, la fotografia 7 . Il suo archivio,<br />

organizzato con criteri tematici, comprendeva un gran numero di immagini<br />

di reperti greci e romani: in prevalenza sculture e decorazioni architettoniche<br />

ma anche le immancabili riproduzioni di affreschi parietali<br />

delle città vesuviane. Esso costituiva il suo personale data base di materiali<br />

archeologici, un vero e proprio ‘museo virtuale di reperti antichi ’ cui<br />

l’artista attingeva in maniera sistematica e che, insieme alla documentazione<br />

grafica e alle copie di reperti archeologici di cui pure disponeva, era<br />

per lui, così come i colori e i pennelli, uno strumento di lavoro fondamentale<br />

8 . Dopo il viaggio in Italia del 1863 la collezione fotografica, già iniziata<br />

in precedenza, si arricchì di numerose immagini dei reperti dagli scavi<br />

di Pompei ed Ercolano esposti al Museo Archeologico di Napoli. Il quadro<br />

Tibullo nella casa di Delia del 1866 (fig. 3 e cat. 56), con l’inserimento nell’arredo<br />

di diversi oggetti provenienti dai siti vesuviani, di cui possedeva<br />

copie fotografiche 9 , dimostra che il sistema di elaborazione delle immagini<br />

pittoriche partendo da spunti fotografici era pienamente consolidato. Il<br />

suo archivio comprendeva in gran numero le serie di fotografie realizzate<br />

dai maggiori fotografi di antichità come souvenir, per una clientela di turisti<br />

colti, dei siti più frequentati al tempo: le immagini di Pompei, molto<br />

ben documentata, sono di Michele Amodio, Robert Rive e Giorgio<br />

Sommer 10 , che collaborò a lungo con il direttore degli scavi Giuseppe<br />

Fiorelli. Anche Atene, e in particolare l’Acropoli della città antica, di cui si<br />

realizzavano in quegli anni lo scavo e il restauro 11 , è ben documentata nel<br />

suo archivio con fotografie di William Stillman; tra queste, l’immagine con<br />

vista del fregio del Partenone dalle impalcature 12 presenta la stessa inquadratura<br />

con cui fu realizzato Fidia mostra agli amici il fregio del Partenone 13 .<br />

L’endiadi disegno dal vero-fotografia, quali strumenti di documentazione<br />

del pittore, è ben rappresentata nella scelta di farsi fotografare mentre è<br />

impegnato a far rilievi e a disegnare nella Casa di Sallustio a Pompei.<br />

Come molti altri artisti dell’Ottocento Alma-Tadema possedeva, inoltre,<br />

una collezione di riproduzioni di oggetti antichi, sia in scala sia in proporzioni<br />

pari al vero: in marmo, bronzo, terracotta o realizzati con la recente<br />

tecnica della galvanoplastica. Tali riproduzioni, ben distinte dagli oggetti


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antichi falsificati, ma al tempo stesso non esenti da integrazioni moderne<br />

in stile, rientravano pienamente nel gusto eclettico dell’epoca e allo stesso<br />

tempo risultavano funzionali per il suo lavoro. Tra queste, alcune dei<br />

vasi in argento più spettacolari del tesoro di Hildesheim, rinvenuto nel<br />

1865, di cui fece uso ricorrente nelle sue composizioni 14 : il grande cratere<br />

a campana decorato a sbalzo con girali ed eroti, la patera lobata 15 e molto<br />

probabilmente anche la patera con, sul fondo, Atena in trono a rilievo.<br />

Aveva, inoltre, bronzi degli ateliers Sommer e Chiurazzi (che detenevano il<br />

monopolio della riproduzione delle opere del Museo Archeologico di<br />

Napoli) 16 oltre, ovviamente, alle meno costose ceramiche, anche queste<br />

spesso oggetto di rielaborazioni se non di vere e proprie falsificazioni da<br />

parte degli artigiani ottocenteschi i quali, approcciandosi con notevole<br />

autonomia agli originali, le riproducevano realizzando in diversi casi veri e<br />

propri pastiches di tecniche, forme e decorazioni evidentemente improbabili<br />

che pure ritornano in alcuni suoi quadri 17 .<br />

Anche la sua biblioteca privata fu per Alma-Tadema un’importante fonte<br />

di documentazione. Con i suoi oltre quattromila volumi 18 essa costituiva,<br />

certamente, una delle più ricche raccolte di tema storico e archeologico<br />

nell’Inghilterra vittoriana 19 .<br />

Ma, al di là dell’antichità riprodotta o descritta, è soprattutto quella nota<br />

per esperienza diretta, nelle visite ai musei e ai siti archeologici, a fornire,<br />

come ricordato, documentazione e soprattutto ambientazione per le sue<br />

composizioni. Tra i tanti visitati, il British Museum di Londra e il Museo<br />

Archeologico di Napoli costituirono, sicuramente, i poli di maggior interesse;<br />

veri e propri ‘manuali dell’antico’ squadernati nella loro varietà di<br />

oggetti e materiali, nella loro vivacità di colori accompagnarono negli anni<br />

la sua pittura. Nel grande museo britannico ebbe modo di avvicinarsi alle<br />

diverse realtà archeologiche del mondo antico 20 , conoscere le collezioni<br />

Hamilton e Townley e i complessi delle decorazioni architettoniche del<br />

Partenone e del tempio di Apollo a Basse 21 , e poté, inoltre, familiarizzare<br />

con alcune classi di materiali tra cui le cosiddette “tanagrine”, statuette<br />

greche femminili di terracotta policroma che ritorneranno con le loro eleganti<br />

silhouettes nei suoi quadri, riprodotte come ninnoli d’arredo o riecheggiate<br />

di frequente negli abbigliamenti e nelle pose dei personaggi<br />

femminili 22 . Al Museo Archeologico di Napoli, di certo la sua fonte più<br />

importante e peculiare di documentazione per il numero e la particolarità<br />

degli oggetti, Alma-Tadema conobbe soprattutto la grande varietà di<br />

reperti dalle città vesuviane. Anche questi, evidentemente, erano presentati<br />

secondo i criteri museografici del tempo, già tipici dell’allestimento<br />

borbonico, suddivisi cioè per classi e del tutto privati del loro contesto originario,<br />

per cui, per esempio, intere sezioni di affreschi parietali staccate<br />

dagli edifici erano incorniciate ed esposte come quadri e gli emblemata dei


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mosaici, originariamente decorazioni pavimentali, erano murati alle pareti.<br />

Tale visione decontestualizzata, per categorie, incoraggiava, evidentemente,<br />

l’impiego per singoli elementi che il pittore faceva di questi reperti.<br />

Tra le antiche città vesuviane fu Pompei il set preferito delle ambientazioni<br />

di Alma-Tadema. La Pompei visitata e disegnata dal pittore era fondamentalmente<br />

la Pompei scavata e restaurata da Giuseppe Fiorelli 23 , concretamente<br />

fissata nel plastico di sughero che lo stesso archeologo faceva<br />

realizzare in quegli anni 24 . Una città, a quell’epoca, riportata alla luce<br />

per metà circa della sua estensione, nella parte a ovest della Via di Stabia;<br />

una città dalla conservazione ineguale che nelle zone indagate negli anni<br />

più lontani era già ridotta a un rudere con i muri sbrecciati e le pitture<br />

sbiadite, mentre in quelle di esplorazione più recente mostrava la possenza<br />

delle murature e i colori vivi degli affreschi anche se le case e gli edifici<br />

pubblici erano ancora senza tetti, riparati piuttosto solo da modeste<br />

tettoie. Le ricostruzioni complete degli ambienti con gli alzati e con i<br />

sistemi di copertura erano al tempo, infatti, soltanto disegnate dagli illustratori<br />

dell’opera dei fratelli Niccolini Le case ed i monumenti di Pompei<br />

disegnati e descritti (1854-1896) 25 , come già in passato dai pensionnaires<br />

dell’École des Beaux-Arts, e fu forse proprio il successo indiscusso di queste<br />

‘ricostruzioni per immagini’ – presenti sia nelle illustrazioni delle grandi<br />

pubblicazioni scientifiche sia nei quadri di soggetto ‘antico’ (di cui i<br />

dipinti di Alma-Tadema rappresentano una delle massime espressioni<br />

europee) – a spianare la strada al metodo del restauro di ricostruzione<br />

inaugurato con l’intervento sulla Casa dei Vettii (scavata nel 1894-1895)<br />

a opera di Michele Ruggiero e proseguito, nella generazione successiva, da<br />

Vittorio Spinazzola sugli edifici dei Nuovi Scavi di Via dell’Abbondanza 26 .<br />

La ricostruzione inventiva delle strutture e degli spazi<br />

Pur se essenzialmente vera, l’affermazione che le case antiche di Alma-<br />

Tadema sono quelle di Pompei va mitigata nel senso che il pittore le reinterpreta<br />

in chiave grandiosa e sfarzosa; mai meschine come pure spesso<br />

erano in realtà, mai povere, esse diventano nei suoi quadri ampie e sontuose,<br />

dotate sempre di colonne e pavimenti marmorei, di statue di<br />

marmo e bronzo, come potevano essere solo le domus e le villae dell’aristocrazia<br />

romana.<br />

La rappresentazione dello spazio domestico si fa più aderente agli<br />

ambienti delle domus pompeiane nella riproduzione di pareti decorate ad<br />

affreschi e squarci di giardini. È il caso, per esempio, del triclinio in cui è<br />

ambientato Tibullo nella casa di Delia (cat. 56) che sul fondo ripropone la<br />

sintassi di una parete di III-IV stile (la loro classificazione a opera di A. Mau<br />

avverrà solo nel 1882) con l’inserimento di quadri (l’unico ben visibile<br />

sembra, però, un pastiche) e decorazioni accessorie, come il pannello cen-


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trale con il sileno funambolo che, invece, trova un riscontro puntuale da<br />

Pompei 27 . Uno degli spazi preferiti nell’immaginario del pittore è l’atrio,<br />

certamente ispirato a modelli pompeiani e tuttavia più solenne e ricco,<br />

corinzio, ovvero con più colonne per lato, piuttosto che tetrastilo, con l’alto<br />

tetto munito di sontuosi cassettonati e architravi decorati con fregi e<br />

con il particolare delle grondaie fittili a testa leonina o di cane, più fedele<br />

di altri elementi agli originali.<br />

Questa ricostruzione inventiva degli atri ricorre in Appassionato d’arte<br />

romano del 1868 (fig. 2), in Appassionato d’arte romano del 1870, in<br />

Giocoliere e in Festa della vendemmia. L’inquadratura del primo dipinto si<br />

concentra su un lato dell’ambiente ponendo in primo piano un angolo<br />

della vasca dell’impluvium e la pavimentazione musiva. La parete di fondo,<br />

non sviluppata in tutta la sua altezza, più che richiamare una sintassi di III<br />

stile presenta un affollarsi di quadri non coerenti con l’impianto decorativo;<br />

all’estremità sinistra c’è un’apertura che dà su un peristilio di cui si<br />

intravedono le colonne ioniche e il fregio. L’atrio nella seconda versione di<br />

Appassionato d’arte romano è ancora più imponente e più ampia è l’inquadratura<br />

con cui è presentato. È un atrio corinzio esastilo con fregio di<br />

grifi sulla trabeazione su cui si alzano balaustre che segnano lo sviluppo di<br />

un secondo piano (la sua veduta è, però, interrotta dall’estremità superiore<br />

del quadro); le pareti sono decorate all’incirca alla maniera del III stile<br />

e il soffitto a grottesche, le aperture su spazi esterni sono solo suggeriti,<br />

sul fondo, dal portone chiuso all’estremità delle fauces. Anche in<br />

Giocoliere è riprodotto sostanzialmente lo stesso spazio architettonico<br />

ma l’inquadratura ne copre un solo angolo, come in una zoomata fotografica;<br />

manca il secondo piano e c’è, invece, una resa puntuale delle trabeazioni<br />

del tetto, mentre sono riproposte in maggior dettaglio, e con qualche<br />

modifica della composizione, le decorazioni ad affresco delle pareti e<br />

del soffitto. Lo spazio dell’atrio è espanso ancor di più nella larga composizione<br />

di Festa della vendemmia dove la profondità dei piani della composizione<br />

e gli ‘sfondamenti’ prospettici richiamano, forse, come modello<br />

le architetture tipiche delle pitture di IV stile. La struttura è sempre corinzia<br />

esastila, l’ampio spazio centrale non coperto, su cui si alzano balaustre,<br />

è decorato come il resto dell’ambiente da statue in marmo e pitture; l’ingresso<br />

sul fondo, all’estremità destra, è incorniciato da un portale con<br />

girali di acanto che riprende fedelmente quello dell’edificio di Eumachia 28<br />

e lascia intravedere un piccolo scorcio del paesaggio.<br />

Ancora edifici pompeiani sono alla base delle riproduzioni di alcuni<br />

ambienti termali, tra cui quello di Un’abitudine prediletta dove è ricostruito,<br />

introducendo alcune soluzioni autonome nella resa dei motivi decorativi,<br />

il tepidarium della sezione maschile delle Terme Stabiane (qui destinato,<br />

però, a un’utenza femminile) con le nicchie per il deposito degli abiti


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lungo le pareti, la volta di stucco baccellato e la vasca circolare per i bagni<br />

tiepidi. Il quadro Thermae Antoninianae, invece, si rifà ai grandi impianti<br />

termali romani e, pur richiamandosi nel titolo alle Terme di Caracalla,<br />

ripropone quasi puntualmente la struttura della grande aula centrale delle<br />

Terme di Diocleziano 29 .<br />

A monumentali modelli di architetture urbane, inoltre, modificati nella<br />

composizione con evidente autonomia e tagliati spesso di netto nelle<br />

inquadrature, si rifanno le messe in scena di quadri come Un’udienza da<br />

Agrippa, Dopo l’udienza, Il trionfo di Tito e La primavera del 1899.<br />

Un caso a sé è, infine, quello della riproduzione in Un’esedra (cat. 65) della<br />

tomba a schola della sacerdotessa Mamia eretta sulla Via dei Sepolcri a<br />

Pompei. La ripresa dell’ubicazione e dell’architettura è fedele 30 , completata,<br />

quest’ultima, dall’aggiunta arbitraria di due acroteri a palmetta posti a<br />

coronamento dei pilastrini laterali, e il rivestimento in tufo nell’originale<br />

sostituito con il più pregiato marmo; l’antica funzione del sepolcro-sedile<br />

per viandanti è riproposta con l’inserimento di un gruppo di personaggi<br />

che coprono con le loro figure buona parte dell’iscrizione 31 rendendola<br />

quasi illeggibile. La stessa struttura, liberata da ogni elemento di contesto<br />

e con diverse varianti decorative, sarà riproposta in molte composizioni<br />

successive 32 come spazio conclusus che accoglie i personaggi della scena<br />

e allude, giocando sul nitore del marmo che si staglia sugli sfondi luminosi<br />

dei paesaggi mediterranei, alle grandi esedre e ai sontuosi peristili delle<br />

lussuose villae maritimae del golfo di Napoli.<br />

La trama sottile del ricorrere degli oggetti antichi<br />

Si è discusso su quanto Alma-Tadema fosse un approfondito conoscitore<br />

dei materiali archeologici e su quanto fosse attento – e in qualche modo<br />

anche partecipe – al dibattito su alcuni aspetti della ricerca archeologica<br />

del suo tempo 33 . Dal suo modo di selezionare, presentare e contestualizzare<br />

i materiali emerge una dimensione per certi aspetti contraddittoria: su<br />

alcuni temi si dimostra sorprendentemente aggiornato mentre riguardo ad<br />

altri cade in qualche ingenuità; d’altra parte la libertà che dimostra nel<br />

gestire gli oggetti può spiegare, in diversi casi, le sue scelte.<br />

Si è insistito, inoltre, sulla sua precisione nel riprodurre i dettagli archeologici<br />

evidenziando che tale abilità, da una parte, trasmette all’osservatore<br />

una sensazione di realismo e dall’altra lo coinvolge nella sfida erudita a<br />

cogliere le citazioni e a riconoscere nei dipinti gli oggetti esposti nei musei 34 .<br />

Sicuramente Alma-Tadema si avvaleva, lo abbiamo visto, di un notevole<br />

bagaglio di documentazione, ma su questa operava forti interventi di selezione,<br />

modifica e interpolazione, tanto che i materiali archeologici risultano<br />

inseriti nelle sue composizioni con un procedimento eclettico di “interpolazione<br />

creativa” di immagini tratte da fonti differenti 35 .


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Nel riprodurre gli oggetti antichi, infatti, il pittore spesso interveniva su di<br />

essi: li manipolava, li modificava, li sottoponeva a un processo di restauro-rifacimento<br />

che li riportava all’originaria integrità (o presunta tale,<br />

come per esempio nel mosaico della battaglia di Isso in Appassionato<br />

d’arte romano del 1868 (fig. 2); li trasformava modificandone il materiale<br />

costitutivo 36 e le dimensioni originarie; in alcuni casi, poi, ne cambiava la<br />

funzione inserendoli in contesti differenti 37 . Inoltre riproponeva i medesimi<br />

oggetti in diverse composizioni, spesso anche lontane nei tempi di esecuzione<br />

(basti pensare alla piccola oinochoe d’argento, al pendente d’oro<br />

con maschera di sileno o ancora al set da bagno in bronzo) 38 tessendo una<br />

trama sottile di ricorrenze che, al di là delle esigenze funzionali, può essere<br />

letta come una ‘marca d’autore’ e rendendo, così, ancor più stimolante<br />

il gioco delle citazioni e dei riconoscimenti.<br />

La presenza di anacronismi in alcuni dipinti con composizioni di materiali<br />

cronologicamente o culturalmente incoerenti è un altro aspetto da<br />

prendere in considerazione.Talvolta si tratta di un anacronismo solo apparente,<br />

giacché, in verità, sono raffinate citazioni da connaisseur: così per gli<br />

oggetti di antiquariato di epoca greca classica o ellenistica che arredano<br />

ricche domus romane (Appassionato d’arte romano del 1868, fig. 2,<br />

Appassionato d’arte romano del 1870, Giocoliere, Festa della vendemmia)<br />

o sono esposti in gallerie commerciali di opere d’arte (Una galleria di statue<br />

nella Roma augustea, La galleria di statue, cat. 2, Il collezionista di quadri<br />

al tempo di Augusto, La galleria di quadri, fig. 1). Allo stesso modo la<br />

presenza di alcuni oggetti egizi in quadri di contesto greco e romano non<br />

è il segno di anacronismi, inammissibili in un frequentatore di musei come<br />

Alma-Tadema, ma la citazione di oggetti ritenuti più intensamente carichi<br />

di significati rituali, come le statuine di Bes in La processione verso il tempio<br />

(cat. 63), Un oleandro e Un sacrificio a Bacco (cat. 61), o di preziosa<br />

cultura esotica (la statuina di faraone in Prosa), o ancora indicativi di<br />

nazionalità, come le cassettine degli ushabty che fanno da contenitori per<br />

gli oggetti del saltimbanco egizio in Giocoliere. Anacronismi apparenti<br />

sono inoltre provocati anche dall’inserimento in contesti antichi di oggetti<br />

di produzione moderna o di forte rielaborazione moderna su frammenti<br />

antichi che Alma-Tadema non poteva identificare come tali: per esempio<br />

l’oinochoe ad alto collo 39 in Tibullo nella casa di Delia (fig. 3), il bacino<br />

in marmo rosso con sostegno configurato come Scilla e la scultura<br />

dell’Eracle bambino che strozza i serpenti di G. della Porta 40 in La galleria<br />

di statue (cat. 62) e il candelabro in marmo in stile neoattico decorato con<br />

sfingi e trampolieri 41 in Festa per la vendemmia.<br />

In altri quadri, invece, gli anacronismi sono più evidenti e derivano dal<br />

mancato riconoscimento delle cronologie e degli ambiti di appartenenza<br />

(peraltro al tempo ancora incerti anche presso gli archeologi specialisti)


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ANTICO<br />

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dei materiali utilizzati, come nel caso di alcune pitture funerarie italiche<br />

proposte (in assenza di pitture greche certe) come decorazioni parietali di<br />

templi e di case in contesti definiti come greci (La processione verso il tempio,<br />

cat. 63, Donna greca e Il soldato di Maratona) 42 o di alcuni vasi ed elementi<br />

d’arredo di epoca romana più disinvoltamente inseriti in ambienti in<br />

cui si svolgono scene per il resto connotate come greche anche nei titoli<br />

(Vino greco, cat. 60), La cena (greca) 43 . Ma una scelta ancor più forte nella<br />

gestione dei materiali archeologici rispetto a tutte quelle che abbiamo sino<br />

a ora evidenziato – e che si intreccia profondamente con la conoscenza dei<br />

materiali stessi – è la dimensione del “non visibile”, del “tagliato fuori dall’inquadratura”<br />

su cui ha efficacemente insistito da tempo E. Prettejohn 44 .<br />

Queste soluzioni compositive sono interpretate come allusive alla dimensione<br />

necessariamente lacunosa della conoscenza e della comprensione<br />

del mondo antico; il segno, cioè, dei dati irrimediabilmente persi, di quei<br />

lost data di cui lo stesso Alma-Tadema prendeva atto non solo vedendo i<br />

materiali archeologici musealizzati, ma soprattutto confrontandosi con la<br />

realtà della irriducibile incompletezza nella nostra percezione del mondo<br />

antico anche nello scavo archeologico di siti come Pompei.<br />

Questo approccio ricorre nelle manipolazioni dell’artista sui diversi tipi di<br />

materiali archeologici ma risulta soprattutto efficace nella rappresentazione<br />

delle sculture e delle pitture antiche, con soluzioni che si possono<br />

considerare, ormai, paradigmatiche 45 .<br />

D’altronde la consapevolezza che parte consistente delle sculture delle collezioni<br />

dei musei archeologici era copia 46 di originali greci ancor più antichi<br />

e irrimediabilmente persi, così come lo erano le pitture parietali e i mosaici<br />

figurati che tornavano alla luce nelle città vesuviane ha segnato, di certo,<br />

il modo di rapportarsi di Alma-Tadema con queste classi di materiali.<br />

Alla base c’era, comunque, una conoscenza ampia e consolidata degli<br />

oggetti: notevole era, infatti, la documentazione di cui egli disponeva per<br />

la scultura e la pittura, composta non solo da un ricco bagaglio di immagini<br />

ma anche da testimonianze delle fonti letterarie antiche. Notevole<br />

doveva essere, poi, la suggestione delle forme di musealizzazione di questi<br />

stessi materiali che pure gli erano familiari: La galleria di quadri (fig. 1)<br />

ripropone una delle sale degli affreschi del Museo Archeologico di Napoli,<br />

La galleria di statue (cat. 62) ha alla base del suo impianto compositivo la<br />

sala dell’Agrippina e dei busti dei Cesari dei Musei Capitolini, fissata nella<br />

sua monumentalità da una fotografia Sommer.<br />

Su questi spazi reali si innestava, quindi, un processo di rielaborazione in<br />

cui si andavano a intrecciare l’estrapolazione e la ricollocazione dei singoli<br />

elementi, la concentrazione volutamente anacronistica delle opere d’arte,<br />

le modifiche di materie e dimensioni, le inversioni delle posizioni gerarchiche,<br />

la rappresentazione di quanto era perduto attraverso le immagini


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interrotte o negate. Ecco dunque, per esempio, la statua di Sofocle riproposta<br />

in bronzo e i quadri di Timante e M. Ludio esposti insieme o, ancora,<br />

il bacino con piede configurato, manufatto di non particolar pregio, che<br />

occupa il centro della composizione e il quadro con la battaglia di Isso<br />

confinato all’estremità della scena 47 .<br />

Alla sua vasta conoscenza di esemplari di pittura e di scultura Alma-<br />

Tadema attingeva in modo ricorrente punteggiando le sue composizioni<br />

di richiami ai dipinti antichi e soprattutto alla grande statuaria, ai rilievi e<br />

alla piccola plastica, rinnovando così, di quadro in quadro, la sfida erudita<br />

con l’osservatore 48 . Inoltre, la scelta di riprodurre il fregio del Partenone<br />

colorato come doveva essere in antico in Fidia mostra ai suoi amici il fregio<br />

del Partenone se da un lato rientra perfettamente nel suo modo di<br />

ricomporre l’antichità, riportando gli oggetti nella loro originaria dimensione,<br />

dall’altro è segno della sua attenzione per il dibattito che proprio in<br />

quegli anni cresceva intorno al colore della scultura antica 49 .<br />

L’interesse di Alma-Tadema per la ceramica antica si concentra sulle produzioni<br />

a figure rosse attiche e della Magna Grecia e sulle produzioni della<br />

Gallia romana di cui possedeva bozzetti con serie di forme vascolari,<br />

sezioni di vasi e acquerelli con riproduzioni a colori di singoli esemplari 50 .<br />

I vasi a figure rosse ricorrono essenzialmente in quadri di ambientazione<br />

greca 51 , soprattutto in rappresentazioni di banchetti e simposi (La siesta<br />

ecc.) ma è Le donne di Anfissa che presenta il numero e la varietà maggiori<br />

di esemplari, così come richiedeva il soggetto stesso 52 . Le forme utilizzate<br />

da Alma-Tadema sono le più tradizionali dei repertori delle officine<br />

attiche e magnogreche, anche se non mancano alcuni pastiches 53 , mentre<br />

i soggetti delle decorazioni, talvolta non ben distinguibili, risultano quasi<br />

sempre coerenti con le forme cui sono abbinati, come l’hydria con Eracle<br />

in La processione verso il tempio (cat. 63), lo skyphos con civetta e la lekythos<br />

con Eros alato in Decoratrici di ceramica o il piatto da pesce con<br />

fauna marina in Le donne di Anfissa. Sempre a ceramiche attiche e magnogreche<br />

si rifanno, inoltre, le pitture murali inserite come sfondo in Una<br />

festa privata, Tra speranza e timore, Vino greco (cat. 60) e La cena (greca)<br />

che si rivelano, a ulteriore dimostrazione dell’autonomia con cui Alma-<br />

Tadema gestiva i materiali archeologici di cui disponeva, la trasposizione<br />

in affreschi di pitture vascolari 54 . La modesta ceramica gallo-romana è,<br />

invece, il tema principale del grande quadro, poi suddiviso in tre tele,<br />

Adriano in Inghilterra: visita a una bottega anglo-romana di vasaio 55 (cat. 64<br />

per la parte tagliata e ridipinta intitolata Un vasaio anglo-romano): una<br />

produzione seriale di scarso pregio artistico, ben documentata al British<br />

Museum, che costituiva uno dei principali temi di studio della nascente<br />

archeologia romano-britannica (non a caso il protagonista del dipinto è<br />

l’imperatore del Vallum Hadriani). Oltre che in questo quadro l’interesse di


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Alma-Tadema per il lavoro artigianale dei ceramisti è ancor più evidente<br />

in Decoratrici di ceramica dove, a dispetto delle tante firme maschili sui<br />

vasi attici, sono due decoratrici a dipingere in rosso (invece che lasciarle<br />

non dipinte a risparmio) palmette e girali su vasi verniciati di nero.<br />

Gli elementi d’arredo, gli utensili – e quant’altro rientra nell’instrumentum<br />

domesticum –, documenti della vita quotidiana che gli scavi nelle città<br />

vesuviane continuavano a restituire mettendo in luce la dimensione ‘privata’<br />

della vita dei pompeiani, erano un’altra tipologia di materiali che<br />

interessava notevolmente il pittore. La fonte primaria di documentazione<br />

era, evidentemente, il Museo Archeologico di Napoli ma anche di questi<br />

materiali, che in alcuni casi rientrano nelle produzioni di vero e proprio<br />

artigianato artistico, circolavano numerose riproduzioni 56 : l’ammasso di<br />

candelabri e lucerne raffigurati sullo sfondo insieme a statue di bronzo di<br />

piccole e medie dimensioni di Una galleria di statue nella Roma augustea<br />

e di La galleria di statue (cat. 62) richiama l’allestimento del Museo<br />

Archeologico di Napoli ma anche i cataloghi di vendita dei riproduttori.<br />

Questi oggetti, nella loro varietà e specificità costituivano veri e propri<br />

‘marchi di fabbrica’ di ambientazioni pompeiane e quindi, per traslato, dell’antichità<br />

romana, e ricorrevano chiaramente anche nei repertori dei pittori<br />

“neopompeiani” 57 .<br />

Nello specifico dei dipinti di Alma-Tadema in molti casi è stato possibile<br />

giungere a una puntuale identificazione degli esemplari riprodotti con<br />

quelli del Museo Archeologico di Napoli, come per il tavolino con gambe<br />

pieghevoli, lo sgabello e la stufa samovar 58 in Tibullo nella casa di Delia<br />

(fig. 3 e cat. 56), il candelabro portalucerne 59 in La galleria di statue (cat.<br />

62) o ancora la statuetta di sileno portalampada in Vino greco (cat. 60) e<br />

il candelabro ad altezza regolabile in Giocoliere 60 .<br />

La riproduzione accurata e dettagliata di iscrizioni greche e latine è ricorrente<br />

nei quadri di Alma-Tadema 61 e si realizza in un’ampia gamma di<br />

soluzioni. Appare già consolidata alla metà degli anni Sessanta in Ingresso<br />

in un teatro romano, con la lunga iscrizione parietale dipinta in rosso, l’annuncio<br />

della messa in scena di una commedia di Terenzio, e perdura sino<br />

alle ultime produzioni, come in Preparativi al Colosseo del 1912 dove a un<br />

segmento di epigrafe su marmo leggibile sullo sfondo si aggiunge il meticoloso<br />

dettaglio dei numeri incisi e dipinti di rosso sugli schienali dei sedili.<br />

La diversità dei supporti e delle tecniche e la varietà dei contenuti delle<br />

iscrizioni si intrecciano di quadro in quadro con un gioco sottile di richiami:<br />

sono epigrafi in greco o in latino iscritte su superfici di marmo, in alcuni<br />

casi con la semplice ma regolare incisione delle lettere, in altri casi con<br />

la loro coloritura in rosso porpora o ancora con l’applicazione di lettere in<br />

bronzo 62 ; sono iscrizioni realizzate a mosaico su soglie e pavimenti 63 , sono<br />

sbalzate su bronzo o ricamate su tappezzerie 64 , sono graffite o dipinte su


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pareti, cornici, anfore o su altri grandi contenitori 65 . Riproducono iscrizioni<br />

ufficiali o tracce della vita quotidiana e in alcuni casi, poi, il testo è costituito<br />

da un gruppo di versi tratti da componimenti poetici che chiosano<br />

le scene raffigurate 66 . Anche nel caso delle iscrizioni la suggestione del<br />

dato archeologico lacunoso, non più comprensibile pienamente, si realizza<br />

con il ‘gioco’ del messaggio frammentato e interrotto. In alcuni casi il<br />

testo è reso con caratteri troppo piccoli per essere leggibile ed è collocato<br />

sullo sfondo, in altri è parzialmente coperto dalla sovrapposizione di<br />

oggetti o personaggi, in altri, infine, come nel caso di Un passo di Omero<br />

(cat. 66), è troncato dall’inquadratura del dipinto.<br />

Per realizzare le iscrizioni Alma-Tadema prende spunto, ancora una volta,<br />

dalle diverse fonti documentarie di cui dispone, ma soprattutto utilizza i<br />

testi che ha visto di persona e ha puntualmente ricopiato, in particolare a<br />

Pompei. Tra le riproduzioni fedeli di iscrizioni del corpus pompeiano, in<br />

Un’esedra (cat. 65) compaiono, oltre all’epigrafe del sepolcro di Mamia,<br />

anche un’epigrafe su un cippo confine della tomba di M. Porcio 67 rinvenuta<br />

accanto a quella della sacerdotessa; l’iscrizione elettorale in cui il tribuno<br />

pretoriano T. Suedio Clemente sostiene la candidatura di M. Epidio Sabino 68<br />

è, invece, collocata liberamente al lato del thermopolium raffigurato in Il<br />

mercato dei fiori; l’iscrizione otiosis locus hic non est / discede morator 69 ,rinvenuta<br />

su un muro in Via del Lupanare, è riprodotta in nero su una parete<br />

intonacata in Un altarino, cui segue, con gli stessi caratteri paleografici, in<br />

un gioco di epoche e ruoli, la firma del pittore. Infine l’epigrafe M.OLCO-<br />

NIUS.M.F. 70 su una soglia di marmo in Festa per la vendemmia è stata puntualmente<br />

ricopiata dal pavimento dell’odeion di Pompei come documenta<br />

anche il disegno che Alma-Tadema fece del monumento 71 .<br />

I lost data e gli oggetti ‘interrotti’ – Il gioco delle inversioni gerarchiche<br />

e gli oggetti camuffati<br />

In Le rose di Eliogabalo con la metafora del sommerso e del riemerso si<br />

declina ancora una volta il suggestivo modello di lettura dei lost data.<br />

Dalla coltre di petali di rosa riemergono piccoli oggetti preziosi e raffinati:<br />

sono gioielli di alta oreficeria, sono le pregiate coppe murrine, sono gli<br />

intarsi in madreperla e le ageminature in argento che rifiniscono i piedi dei<br />

mobili del triclinio.<br />

La fonte letteraria 72 ci racconta la crudeltà del giovane imperatore che per<br />

puro divertimento faceva morire i suoi ospiti soffocati da una pioggia di<br />

petali di rose ma il richiamo alla tragica fine dei pompeiani – certamente<br />

Alma-Tadema aveva visto i calchi dei loro corpi realizzati dal Fiorelli – è<br />

altrettanto forte: i piccoli oggetti preziosi, i visi e le mani dei personaggi<br />

del dipinto riemergono a tratti dalla impalpabile coltre di petali di rose<br />

così come dalla grumosa coltre di lava riemergevano a tratti i resti degli


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uomini e i frammenti degli oggetti sepolti dall’eruzione. Entrambe le piogge<br />

leggere, di petali di rose e di grumi di lapillo – ci narrano le fonti –<br />

coprirono e soffocarono fino a uccidere.<br />

Anche l’inversione delle posizioni degli oggetti rispetto a una gerarchia<br />

compositiva tradizionale, quale segno caratterizzante delle composizioni<br />

di Alma-Tadema, è stata efficacemente evidenziata già da tempo 73 per<br />

alcuni dipinti, tra cui Una galleria di statue (cat. 62).<br />

Uno dei quadri dell’artista, Festa della vendemmia, offre lo spunto per sottolineare<br />

la valenza di questo modello interpretativo anche da un punto di<br />

vista specificamente archeologico, dell’archeologia della cultura materiale<br />

cioè, e non solo della storia dell’arte antica. Il tema bacchico, evidentemente,<br />

permea tutta la composizione in un richiamo complesso che intercorre<br />

tra gli oggetti con i loro significati puntuali e i loro valori simbolici, ma il<br />

centro della scena, sottolineato dall’irraggiarsi delle tibiae delle suonatrici,<br />

su cui convergono con i loro movimenti e i loro sguardi i personaggi in<br />

primo piano, è tenuto da un semplice dolio in terracotta grezza con coperchio,<br />

un recipiente di uso comune per conservare il vino 74 , qui coronato con<br />

un tralcio d’edera e poggiato su un treppiedi di bronzo, per nulla pertinente<br />

al suo uso, ma che ne enfatizza la posizione e quindi il ruolo. In una collocazione<br />

marginale all’estremità destra della scena, dopo due anfore da<br />

trasporto, invece, camuffato tra grappoli d’uva in un cesto di vimini e reso<br />

in monocromo blu su blu – che spegne l’effetto di forte contrasto cromatico<br />

del vetro cammeo – c’è il “vaso blu”, uno degli oggetti più pregiati<br />

delle collezioni del Museo Archeologico di Napoli 75 , anch’esso legato, in una<br />

sfera molto più alta e raffinata, al consumo del vino.<br />

Il gioco sottile di Alma-Tadema dell’inversione delle posizioni gerarchiche<br />

nella composizione e quindi della diversa sottolineatura dei ruoli torna<br />

ancora una volta: si propone in una dimensione estrema tra il pregio del<br />

vaso in vetro cammeo e l’ordinarietà del dolio e proprio in questo suo<br />

definirsi punta il fuoco su una classe di materiali di uso comune, documento<br />

della cultura materiale del mondo romano, che gli scavi a Pompei<br />

e negli altri siti vesuviani degli ultimi decenni andavano riscoprendo e su<br />

cui andava crescendo, progressivamente, l’interesse degli studiosi. L’ ‘ironia’<br />

dell’artista che evidenzia oggetti di scarso valore a scapito di oggetti<br />

di pregio è allo stesso tempo l’interesse dell’autore che presta attenzione<br />

al dibattito contemporaneo tra i fautori della tradizione delle arti maggiori<br />

e i rivalutatori delle arti minori.


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1 Netti 1906, p. 231. Cfr. il saggio di L.<br />

Martorelli in questo catalogo.<br />

2 Alma-Tadema 1909, p. 295.<br />

3 Durante il primo viaggio in Italia e nei<br />

successivi visitò la Galleria degli Uffizi a<br />

Firenze, i Musei Vaticani, i Musei Capitolini, e<br />

altre raccolte romane oltre che il Museo<br />

Archeologico di Napoli.<br />

4 Cfr., per esempio, il bozzetto con<br />

pettinature femminili da sculture antiche<br />

(Disegni Alma Tadema Portfolio CXVII, n. E.<br />

2623) e il bozzetto con ceramiche<br />

magnogreche (Disegni Alma Tadema Fiche<br />

19192 E 5).<br />

5 Le Antiquités étrusques, grecques et<br />

romaines furono pubblicate a Napoli nel<br />

1766-1767 a cura di P.F.H. d’Hancarville con<br />

tavole di P. Bacci. Cfr. Vases and Volcanoes<br />

1996.<br />

6 MANN, inv. 81674. Cfr. inoltre i disegni da<br />

decorazioni vascolari raccolti in Disegni Alma<br />

Tadema Portfolio LXXXI.<br />

7 Pohlmann 1996.<br />

8 Aveva la consuetudine di procurarsi diverse<br />

inquadrature dei pezzi che più lo<br />

interessavano. Molte delle sue fotografie,<br />

inoltre, documentano l’attenzione per le<br />

riproduzioni dettagliate dei particolari.<br />

9 Braciere-samovar, che compare anche in Il<br />

mercato dei fiori, MANN, inv. 72968 e tavolo<br />

MANN, inv. 72995 riprodotti nella fotografia<br />

Foto Alma-Tadema Birmingham CXIX 11089.<br />

10 Cfr. Fanelli 2007.<br />

11 Melucco Vaccaro 2000, pp. 178-179. Vlad<br />

Borrelli 2003, pp. 113-117.<br />

12 La fotografia è del 1868 circa (Foto<br />

Alma-Tadema Birmingham LXXVIII, 9890).<br />

13 Pohlmann 1996, p. 120, osserva che la<br />

data della pubblicazione della fotografia,<br />

successiva alla realizzazione del dipinto, non<br />

può essere stata modello per la<br />

composizione; una posizione così categorica<br />

non è condivisibile dal momento che<br />

sicuramente immagini come questa<br />

circolavano tra gli “addetti ai lavori” anche<br />

prima della loro pubblicazione.<br />

14 Il cratere, per esempio, è riprodotto in<br />

Dopo l’udienza (con una leggera modifica del<br />

profilo), Un sacrificio a Bacco (come vaso<br />

utilizzato per il rituale), in Confidenza<br />

indesiderata (come vaso da fiori), in L’ora<br />

d’oro e in Un’abitudine prediletta (come<br />

recipiente impiegato nei bagni termali); la<br />

patera lobata in La cena (greca), Un’udienza<br />

da Agrippa, Preparativi al Colosseo; la patera<br />

con Atena compare in primo piano in La<br />

galleria di statue.<br />

15 La patera lobata compare sul camino del<br />

suo studio in una fotografia del 1884, cfr.<br />

Treuherz 1997, p. 47, fig. 28.<br />

16 La riproduzione avveniva tramite calchi<br />

in gesso e le fonderie Chiurazzi avevano nel<br />

tempo creato una formidabile gipsoteca di<br />

modelli con oltre tremila calchi. Cfr. il saggio<br />

di L. Martorelli in questo catalogo con<br />

relativa bibliografia.<br />

17 Per esempio un’imitazione di un aryballos<br />

attico a figure rosse decorato con un<br />

improbabile elmo crestato è riprodotta in La<br />

siesta (versione californiana), in Scriba<br />

romano che compila messaggi e in<br />

Confidenze mentre pastiches che rielaborano<br />

la forma del lébes gamikòs sono in entrambe<br />

le versioni di La siesta, in Una festa privata e<br />

in Decoratrici di ceramica.<br />

18 Barrow 2004, p. 30.<br />

19 Possedeva, per esempio, una copia<br />

dell’opera Les ruines de Pompéi di F. Mazois<br />

da una cui immagine trasse spunto per<br />

dipingere il thermopolium di Il mercato dei<br />

fiori.<br />

20 È il caso della conoscenza dell’arte e<br />

dell’artigianato egizio che Alma-Tadema<br />

basò e consolidò essenzialmente sullo studio<br />

della collezione del British Museum, mentre<br />

si recò in Egitto solo nel 1902. Barrow 2004,<br />

pp. 22-27 e p. 179.<br />

21 Furono acquistati dal British<br />

rispettivamente nel 1772, 1805, 1816, 1818.<br />

Il fregio del tempio di Apollo a Basse è<br />

inserito in Un sacrificio a Bacco (cat. 61), in<br />

La modella dello scultore e in La primavera<br />

del 1894.<br />

22 Cfr. La processione verso il tempio (cat.<br />

63) e Appassionato d’arte romano del 1868<br />

(fig. 2). Per le donne-tanagrine cfr. Pesca, Un<br />

poeta favorito, Le donne di Anfissa,<br />

Prospettiva privilegiata o ancora Favoriti<br />

d’argento.<br />

23 A Giuseppe Fiorelli 1999.<br />

24 Sampaolo 1993.<br />

25 Edita in quattro volumi dai fratelli<br />

Niccolini tra il 1854 e il 1896, è stata riedita<br />

nel 2004 da Franco Di Mauro a cura di S. De<br />

Caro.<br />

26 De Caro 2006, p. 326. Sulle città<br />

vesuviane come soggetti ideali per la<br />

riprduzione grafica di architetture e oggetti<br />

antichi cfr. da ultime Lyons, Reed 2007.<br />

27 MANN, invv. 9119 e 9163; il medesimo<br />

soggetto compare anche in Il mercato dei<br />

fiori.<br />

28 Il portale dell’edificio di Eumachia a<br />

Pompei era uno dei soggetti preferiti del<br />

pittore tanto che ne volle una riproduzione<br />

in bronzo come ingresso del suo studio e ne<br />

inserì ben due riproduzioni nella scenografia<br />

che curò per l’allestimento del Giulio Cesare<br />

di H. Tree. Lo dipinse anche, con una variante<br />

nel profilo della cornice, in La galleria di<br />

statue (cat. 62) e ne ripropose un segmento<br />

in Un saluto silenzioso.


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ANTICO<br />

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29 In epoca rinascimentale su progetto di<br />

Michelangelo la grande aula centrale era<br />

stata trasformata nella chiesa di Santa Maria<br />

degli Angeli; Alma-Tadema aveva fotografie<br />

di entrambi i complessi termali.<br />

30 La tomba per la sua forma peculiare e il<br />

suo buono stato di consevazione è stata<br />

riprodotta in diverse vedute dal vero. Cfr. il<br />

dipinto di Ph. Hackert Due tombe a forma di<br />

esedra in Zanker 1993, p. 135, fig. 71.<br />

31 CIL X, 998.<br />

32 Esedre sono riprodotte, per esempio, in<br />

Una dichiarazione, Il riposo, Bisbigli di<br />

mezzogiorno, Favoriti d’argento,<br />

L’improvvisatore, Non chiedermelo più, La<br />

voce della primavera; in una struttura a<br />

esedra è ambientato anche Un passo di<br />

Omero (cat. 66) mentre l’esedra di Autunno<br />

del 1874 presenta un’epigrafe sulla spalliera<br />

del sedile sul modello dell’esedra di Mamia.<br />

33 Barrow 2004 con relativa bibliografia.<br />

34 Barrow 2004, p. 25.<br />

35 Lippincott 1990, p. 40.<br />

36 È il caso, per esempio, dei rytha a testa di<br />

cervo: il modello è, molto probabilmente,<br />

l’esemplare del MANN, inv. 69174 in bronzo<br />

ed esso è riprodotto in oro in La processione<br />

verso il tempio (cat. 63), in entrambe le<br />

versioni di La siesta, in Saffo ecc., è invece in<br />

argento in Festa della vendemmia e così via.<br />

37 È il caso, per esempio, della sfinge in<br />

bronzo trasformata in fontana in Un bagno,<br />

mentre con la sua originaria funzione di<br />

elemento decorativo per mobile (cfr. Foto<br />

Alma-Tadema Birmingham CXIX, 11082)<br />

compare in Promesse di primavera.<br />

38 L’oinochoe riprende l’esemplare in bronzo<br />

del MANN, inv. 69082 e ricorre in<br />

Un’udienza da Agrippa (1875), Un bagno<br />

termale (1876), La processione verso il<br />

tempio (1882), Un sacrificio a Bacco (1889)<br />

(cat. 61), Il trionfo di Tito AD 71 (1885), Un<br />

saluto silenzioso (1889), Tra speranza e<br />

timore (1876) (di dimensioni maggiori), Le<br />

rose di Eliogabalo (1888) e La conversione di<br />

Paola per opera di San Girolamo (1898). Il<br />

pendente è molto simile a quello del Louvre<br />

in oro, configurato a testa di Acheloo e<br />

decorato a granulazione, ma richiama anche<br />

le protomi di sileno della collana d’oro con<br />

protomi, ghiande e fiori di loto da Ruvo del<br />

MANN, inv. 24883 e ritorna, sempre come<br />

oggetto d’ornamento femminile in Donne<br />

gallo-romane (1865), Festa della vendemmia<br />

(1870), e ancora in La conversione di Paola<br />

per opera di San Girolamo (1898). Il set da<br />

bagno MANN, inv. 69904 a-f è riprodotto in<br />

Balneator (1877) e Il bacio (1891).<br />

39 Si tratta di un pastiche di frammenti<br />

antichi pertinenti a oggetti diversi realizzato<br />

in epoca moderna di cui circolavano<br />

riproduzioni fotografiche Sommer. Già<br />

MANN, inv. 69089, è stata di recente<br />

smontata. Cfr. Rolley 1996, p. 232, n. 15.19.<br />

Ringrazio Angela Luppino e Andrea Milanese<br />

della Soprintendenza Archeologica di Napoli<br />

e Caserta per le ricerche d’archivio.<br />

40 MANN, inv. 5821. Il solo bacino è antico<br />

e proviene da Pompei, il sostegno<br />

configurato fu probabilmente predisposto<br />

per l’esposizione nel Museo Palatino della<br />

regina Carolina Murat, cfr. Borriello 1997, p.<br />

286, n. 14.9 e Borriello 2002,<br />

p. 392, n. 96. La statua di G. della Porta,<br />

attualmente nella Pinacoteca di<br />

Capodimonte, era all’epoca nelle collezioni<br />

del MANN; si tratta di un bronzo raffigurato<br />

come tale in Giocoliere mentre in La galleria<br />

di statue è riprodotto in marmo.<br />

41 Il candelabro riprodotto nel dipinto<br />

compone, con un altro molto simile, MANN,<br />

invv. 6781, 6782, una coppia della quale si è<br />

fortemente discussa l’autenticità: Borriello<br />

1997 p. 286,<br />

n. 14.7; Bosso 2005.<br />

42 Nei primi due quadri è raffigurato<br />

l’affresco tombale con “Il ritorno del<br />

guerriero” da Nola MANN, inv. 9363; nel<br />

terzo una lastra dell’affresco tombale con<br />

“danzatrici” da Ruvo MANN, inv. 9355. Lo<br />

stesso anacronismo ricorre in Il tempio di<br />

Venere di Sciuti (cat. 25) dove è riprodotta<br />

un’altra lastra, MANN, inv. 9357, del<br />

medesimo affresco.<br />

43 Rispettivamente la statuetta di sileno<br />

portalampada MANN 72199 e una coppa<br />

d’argento su piede (cfr. MANN 25696) e la<br />

patera lobata dal tesoro di Hildesheim e<br />

coppette d’argento tipiche di contesti<br />

romani.<br />

44 Prettejohn 1996, in particolare pp. 34-35.<br />

45 In Rivali inconsapevoli sono raffigurate<br />

soltanto le gambe della statua del Gladiatore<br />

seduto di Palazzo Altemps; in Il collezionista<br />

di quadri al tempo di Augusto (e in La galleria<br />

di quadri) del quadro di Apelle, il più<br />

importante della galleria, è raffigurato solo il<br />

retro della tavola su cui era dipinto.<br />

46 Gasparri 1994.<br />

47 I quadri di riferimento sono quelli<br />

paradigmatici per queste due classi di<br />

materiali: Una galleria di statue nella Roma<br />

augustea, La galleria di statue (cat. 62), Il<br />

collezionista di quadri al tempo di Augusto, La<br />

galleria di quadri (fig. 1).<br />

48 Anche nei quadri di piccole dimensioni<br />

c’è posto per un richiamo alla scultura<br />

antica. Cfr., per esempio, Una baccante, dove<br />

inserisce il rilievo del MANN, inv. 6688 con<br />

Apollo e le Grazie di cui pure il pittore aveva<br />

una riproduzione fotografica (cfr. Foto Alma-<br />

Tadema Birmingham LXVIII, 9529).


ALMA<br />

TADEMA<br />

E LA NO<br />

STALGIA<br />

DELL’<br />

ANTICO<br />

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49 Cfr. Barrow 2004, pp. 43-45 con relativa<br />

bibliografia. È da osservare, però, che il fregio<br />

del tempio di Apollo a Basse, che pure<br />

ritorna più volte nei suoi quadri, è sempre<br />

raffigurato senza colore così come tutta<br />

l’altra scultura in marmo.<br />

50 Cfr. nota 4; cfr., inoltre, le sezioni di un<br />

cratere apulo e di un cratere attico a volute<br />

(Disegno Alma Tadema Fiche 192 A 2) e<br />

l’acquerello con piatto da pesce campano a<br />

figure rosse (Disegno Alma Tadema Fiche<br />

192 C 2).<br />

51 La lekythos attica (così come le statuette<br />

tanagrine), in Appassionato d’arte romano<br />

del 1868 è normalmente interpretata come<br />

un oggetto d’antiquariato posseduto dal<br />

collezionista.<br />

52 Rappresenta l’episodio narrato nei<br />

Moralia di Plutarco (249-250) in cui le Taiadi<br />

in fuga furono rifocillate dalle donne della<br />

città di Anfissa.<br />

53 Cfr. nota 17.<br />

54 Le prime due derivano rispettivamente<br />

dallo stamnos attico del cosiddetto Pittore<br />

del Deinos MANN, inv. 81674 e dal cratere a<br />

campana apulo della cerchia del Pittore<br />

dell’Iliupersis MANN, inv. 82130.<br />

55 Alcuni esemplari di coppe di questa<br />

classe compaiono in Festa della vendemmia.<br />

56 In Tibullo nella casa di Delia (cat. 56), per<br />

esempio, è raffigurato un candelabro<br />

decorato alla sommità con una sfinge<br />

(MANN s.n.i.) che rientra tra gli oggetti<br />

riprodotti negli atelier Sommer e Chiurazzi<br />

(cfr. il catalogo Sommer del 1886).<br />

57 Cfr., per esempio, il braciere in bronzo<br />

MANN, inv. 73104 in Bagno pompeiano di<br />

D’Agostino (cat. 35), il tripode con satiri<br />

MANN, inv. 27874 in Donna romana di<br />

Altamura (cat. 20).<br />

58 MANN, inv. 72995 (il medesimo tavolino<br />

è riprodotto anche in Appassionato d’arte<br />

romano del 1868 (fig. 2) e in Donna e fiori),<br />

MANN, inv. 74009, MANN, inv. 72968.<br />

59 MANN, inv. 72191; il medesimo<br />

candelabro compare anche in Catullo legge<br />

le sue poesie nella casa di Lesbia.<br />

60 MANN, inv. 72199 (il medesimo bronzo<br />

ritorna anche nell’Antiquario di Forti e in<br />

Ione e Nidia di Maldarelli) e MANN, inv.<br />

111228.<br />

61 Sono gli anni del crescente interesse per<br />

gli studi epigrafici e delle pubblicazioni dei<br />

grandi Corpora.<br />

62 Cfr., per esempio, Un’esedra (cat. 65),<br />

Autunno del 1874, Xante e Faone, La<br />

conversione di Paola per opera di San<br />

Girolamo, Il bacio, Un’udienza da Agrippa.<br />

63 Cfr., per esempio, Un imperatore romano<br />

A.D. 44.<br />

64 Cfr., per esempio, Un poeta favorito, Voti<br />

d’amore.<br />

65 Cfr. Il mercato dei fiori, Un altarino, La<br />

galleria di quadri (fig. 1), Festa della<br />

vendemmia, Bacco e Sileno, Autunno del<br />

1877.<br />

66 Cfr. Un poeta favorito, La primavera del<br />

1894.<br />

67 CIL X, 997. Il margine destro della<br />

medesima iscrizione ritorna anche in Una<br />

domanda (cat. 68).<br />

68 CIL IV 1059. Il pittore aveva ricopiato<br />

puntualmente l’iscrizione, cfr. Disegno Alma<br />

Tadema CLX E 2846.<br />

69 CIL IV, 813.<br />

70 CIL X, 845.<br />

71 Cfr. Disegno Alma Tadema CXLIX, E. 2823.<br />

L’epigrafe in lettere di bronzo sul pavimento<br />

dell’orchestra dell’odeion fu erroneamente<br />

integrata in un restauro ottocentesco con il<br />

gentilizio Olconius (scritto senza l’aspirata<br />

iniziale) invece che Oculatius. Alma-Tadema<br />

la riprodusse puntualmente perpetuando<br />

l’errore epigrafico (mentre scrive<br />

correttamente il nome della gens Holconia<br />

sulla tunica di un servo in Un’esedra, cat. 65).<br />

72 Scriptores Historiae Augustae, De vita<br />

Eliogabali, 21.5.<br />

73 Prettejohn 1996, p. 33 ss.<br />

74 Alma-Tadema doveva aver visto anche<br />

esemplari di doli interrati che riprodusse in<br />

Autunno del 1877.<br />

75 MANN, inv. 13521; il vaso era stato<br />

rinvenuto in una sepoltura pompeiana nel<br />

1834.


ALMA<br />

TADEMA<br />

E LA NO<br />

STALGIA<br />

DELL’<br />

ANTICO<br />

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Lawrence Alma-Tadema (1836-1912)<br />

biografia<br />

Lawrence Alma-Tadema è uno dei pittori più conosciuti dell’epoca vittoriana,<br />

apprezzato soprattutto per i suoi dipinti ispirati all’antichità classica,<br />

in particolare greco-romana. Grazie alle approfondite conoscenze<br />

archeologiche e storiche, Alma-Tadema ricrea verosimili ambientazioni<br />

neopompeiane, fitte di oggetti per lo più ispirati a reperti archeologici<br />

reali, molti provenienti dagli scavi di Pompei e dell’area vesuviana e conservati<br />

al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.<br />

Nasce l’8 gennaio 1836, nel villaggio di Dronrijp in Olanda, ma viene<br />

naturalizzato inglese nel 1873. Destinato ad una carriera giuridica, ottiene<br />

infine di iscriversi all’Accademia di Belle Arti di Anversa, in Belgio, dove<br />

si forma sotto l’influenza di Gustave Wappers, pittore di storia d’ispirazione<br />

romantica. Frequenta poi Louis de Taeye, con cui divide casa e studio<br />

tra il 1855 e il 1858, ed entra nello studio di Henri Leys, che conferma<br />

l’orientamento verso la pittura romantica di storia e di genere interpretata<br />

con fedeltà ai dettagli ambientali. In quest’epoca Alma-Tadema si<br />

appassiona alle vicende della dinastia Merovingia, che traduce in vari<br />

dipinti storici con cui attira le prime attenzioni di pubblico e critica. Si<br />

accosta anche ai soggetti tratti dal mondo egizio.<br />

Nel 1861, lascia Anversa e si sposta in Germania, poi a Londra; nel 1863<br />

ha luogo il matrimonio con la prima moglie Marie Pauline Gressin<br />

Dumoulin de Boisgirard. Il viaggio di nozze porta la coppia in Italia, dove<br />

visitano anche Roma, Napoli e soprattutto Pompei. L’Italia costituisce per<br />

l’artista, secondo i suoi stessi ricordi, un’autentica rivelazione, esercitando<br />

un’influenza fondamentale e duratura sulla sua carriera.<br />

L’anno seguente Alma-Tadema conosce il mercante belga Ernest Gambart,<br />

che diventerà il suo promotore e rappresentante commerciale. In quest’epoca<br />

l’artista inizia a produrre dipinti ispirati al mondo romano e alle<br />

ville pompeiane, genere coltivato con costanza durante il lungo soggiorno<br />

a Bruxelles, dove Alma-Tadema si trasferisce con la famiglia nel 1865. I<br />

dipinti neopompeiani contribuiscono al suo successo e alla sua fama,<br />

soprattutto in Gran Bretagna, dove questo tipo di soggetti è molto<br />

apprezzato e coltivato, sebbene con approccio diverso, da altri artisti<br />

come Edward Poynter.<br />

Morta la prima moglie nel 1869, dopo lo scoppio della guerra franco-prussiana<br />

nel 1870, si trasferisce a Londra, dove incontra la futura seconda<br />

moglie Laura Epps, anche lei pittrice, presentatagli dal pittore preraffaellita<br />

Ford Madox Brown.


ALMA<br />

TADEMA<br />

E LA NO<br />

STALGIA<br />

DELL’<br />

ANTICO<br />

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Nel 1873 diviene cittadino britannico. Gli anni Settanta sono dominati da<br />

un grande successo commerciale e di pubblico; nel 1879 diviene membro<br />

della Royal Academy of Arts di Londra.<br />

Nel frattempo è stato ancora una volta in Italia (1875), visitando varie<br />

città tra cui Firenze e Roma, dove compra numerose foto di architetture e<br />

oggetti antichi.<br />

Nel 1878 è a Pompei, dove si intrattiene schizzando, disegnando, misurando<br />

e studiando le rovine.<br />

Tra il 1882 e il 1883 la Grosvenor Gallery di Londra, dedica ad Alma-<br />

Tadema un’importante mostra personale.<br />

Nel 1883, quando alcune sue opere vengono esposte alla Mostra internazionale<br />

di Belle Arti di Roma, l’artista è di nuovo a Pompei, dove trascorre<br />

molto tempo. In quest’epoca i suoi dipinti diventano meno “enciclopedici”<br />

e colmi di oggetti preziosi e citazioni, puntando di più a cogliere la<br />

suggestione delle atmosfere.<br />

Nel 1884 compra a Londra la casa appartenuta all’amico James Tissot,<br />

ristrutturandola completamente in uno stile eclettico (mobili, decorazioni<br />

e oggetti in stili diversi) che riflette il suo gusto originale, la sua passione<br />

antiquaria e l’interesse per l’antichità in generale: alcuni mobili del suo<br />

studio sono ispirati a manufatti pompeiani.<br />

In questi anni Alma-Tadema mette insieme un’enorme biblioteca e uno<br />

straordinario archivio fotografico di tema per lo più archeologico, di cui si<br />

serve per le sue ricerche e i suoi quadri. Conduce un’intensa vita sociale ed<br />

è in generale benvoluto dalla comunità artistica londinese.<br />

A partire dagli anni Novanta si osserva un progressivo calo produttivo. I<br />

soggetti dei dipinti sono sempre più semplificati e privi di oggetti. Prevale<br />

su tutto la fascinazione per il cielo e il mare Mediterraneo, per scene di<br />

incontri e liaison sentimentali ambientate in bianche terrazze affacciate<br />

sul mare. Nel 1892 Alma-Tadema diventa membro della Japan Society di<br />

Londra e nel 1906 membro onorario del Royal Institute of British<br />

Architects, che lo invita a tenere una conferenza sull’architettura antica in<br />

virtù delle sue approfondite conoscenze in materia.<br />

Muore nel 1912 a Wiesbaden.


ALMA<br />

TADEMA<br />

E LA NO<br />

STALGIA<br />

DELL’<br />

ANTICO<br />

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Introduzione<br />

percorso della mostra<br />

Alma-Tadema e la nostalgia dell’antico<br />

Per la prima volta in Italia, la mostra offre una panoramica dell’arte ‘neopompeiana’,<br />

che cioè si ispira, nella seconda metà dell’Ottocento, alla<br />

suggestione degli scavi di Pompei e dell’area vesuviana e, più in generale,<br />

all’antichità e all’archeologia classiche. Dipinti e sculture di artisti italiani<br />

dialogano con le opere del pittore olandese, naturalizzato inglese,<br />

Lawrence Alma-Tadema (1836-1912).<br />

Perché Alma-Tadema<br />

Alma-Tadema è internazionalmente riconosciuto come il più coerente e<br />

raffinato cultore del genere neopompeiano: i suoi ‘quadri-museo’, carichi<br />

di oggetti, statue, suppellettili, evocano il sogno di un mondo antico nuovamente<br />

riportato in vita, di struggente bellezza e ricercata eleganza, vicino,<br />

nell’interpretazione data dall’artista, ai bisogni e ai desideri dell’uomo<br />

dell’Ottocento.<br />

Il Museo Archeologico Nazionale di Napoli<br />

Il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, che ospita la mostra, raccoglie<br />

una delle più prestigiose collezioni archeologiche del mondo e custodisce<br />

molti dei reperti citati, rievocati, rielaborati nei dipinti degli artisti italiani<br />

e di Alma-Tadema. Una corposa selezione di questi oggetti provenienti<br />

dagli scavi vesuviani viene presentata in mostra.<br />

Il percorso espositivo<br />

La mostra segue un percorso ideale che porta il visitatore dalla raffigurazione<br />

di paesaggi archeologici còlti dal vero, alla materiale rievocazione di<br />

quegli antichi luoghi e ambienti, ricostruiti e di nuovo popolati dai loro<br />

abitanti.


ALMA<br />

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DELL’<br />

ANTICO<br />

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Gli scavi<br />

Il paesaggio archeologico<br />

Le opere, dedicate alla rappresentazione realistica o evocativa del paesaggio<br />

archeologico, sono disposte sui due lati di un asse centrale, che idealmente<br />

richiama il rettilineo di una strada pompeiana. Come in una passeggiata<br />

tra le rovine, i dipinti aprono scorci sul panorama degli scavi col<br />

Vesuvio sullo sfondo, ma anche sui cumuli di detriti, sui resti di botteghe,<br />

sui particolari di case e vedute d’interni, in quegli anni portati alla luce o<br />

sistematicamente studiati su vasta scala dall’archeologo Giuseppe Fiorelli,<br />

poi dal collaboratore Michele Ruggero.<br />

Tanti occhi, una sola Pompei<br />

Una Pompei vista con tanti occhi: quelli della popolana-scavatrice che si<br />

ferma a riflettere sull’antico; quelli della turista borghese che, persa nelle<br />

proprie riflessioni, si isola nell’ombra di un peristilio; quelli dei visitatori<br />

colti e curiosi, che disegnano e studiano i reperti; quelli degli aristocratici<br />

che delle suggestive rovine fanno lo scenario dei propri intrattenimenti.<br />

Pittura dal vero<br />

Artisti diversi, tutti di area napoletana, dipingono dal vero sotto un sole<br />

brillante, ognuno adottando un punto d’osservazione diverso, talvolta aiutandosi<br />

con la fotografia, rendendo le rovine una materia palpitante e viva<br />

che tramanda l’immagine di una Pompei popolare, ma non ancora invasa<br />

dal turismo di massa.


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DELL’<br />

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Vita Quotidiana<br />

Immaginare il quotidiano<br />

Dalla contemplazione del paesaggio archeologico si passa alla sua ricostruzione.<br />

Nell’ampia sezione dedicata alla dimensione quotidiana, costellata<br />

di reperti archeologici inerenti i dipinti, pittori ma anche scultori<br />

immaginano di ricostruire quelle rovine e far risorgere le antiche case e<br />

botteghe, ridando corpo a tutti gli aspetti della vita di ricchi e plebei: l’intimità<br />

domestica, gli ozi, le cerimonie pagane, gli intrattenimenti gladiatorii,<br />

il rito delle terme.<br />

La citazione dei reperti<br />

Con maggiore o minore fedeltà, gli artisti-archeologi citano o reinterpretano<br />

antichi reperti, oggetti semplici o lussuosi osservati nei musei più<br />

importanti o studiati su quei libri illustrati (con incisioni o litografie a<br />

colori) che nel corso dell’Ottocento rendono popolari soprattutto gli<br />

oggetti di provenienza vesuviana.<br />

Rispecchiarsi nell’antico<br />

L’immagine dell’antico che ne risulta, pur verosimile e credibile, reca in<br />

realtà le tracce del pensiero e della sensibilità ottocentesca che in quell’immagine<br />

tende a rispecchiarsi. Dalle donne che filano ai crapuloni gonfi<br />

di cibo e bevande, l’antico si presta tanto alla semplice celebrazione della<br />

pace domestica, tipica dell’agio borghese, quanto alla critica della decadenza<br />

dei costumi e del materialismo dell’Italia postunitaria.<br />

La storia<br />

La storia come cronaca<br />

Una sezione speciale è dedicata alla rievocazione dell’antico non più popolato<br />

di personaggi anonimi, ma di personalità risonoscibili, le cui vicende<br />

sono tramandate dai grandi scrittori latini, come Svetonio e Tacito. Ma non<br />

si celebrano le gesta clamorose o le battaglie memorabili, soggetti tipici<br />

della pittura di storia neoclassica. Oggetto d’attenzione sono invece i delitti<br />

e i drammi interiori, gli svaghi e gli ozi campestri, che fanno somigliare la<br />

storia degli antichi alla cronaca dell’Ottocento. Da un lato, della storia ci<br />

viene mostrato l’aspetto più domestico e familiare, riconoscibile nelle semplici<br />

vicende biografiche del poeta Orazio o del commediografo Plauto.<br />

Dall’altro si narrano episodi più eclatanti della storia romana, prediligendo<br />

vicende fosche che illuminano la crudeltà e la miseria della natura umana,<br />

come nel caso del sanguinario imperatore Nerone.


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Alma-Tadema<br />

Alma-Tadema, l’Italia, Pompei<br />

Alma-Tadema ha un rapporto strettissimo con l’Italia, che visita più volte<br />

nel corso della sua vita, intessendo rapporti d’amicizia con numerosi artisti,<br />

tra cui Domenico Morelli e Giovan Battista Amendola. Nel 1863 è per<br />

la prima volta a Roma, attratto dalla storia del tardo impero e del primo<br />

Medioevo, ma la successiva tappa a Pompei chiarisce definitivamente la<br />

sua passione per la storia romana, repubblicana ed imperiale, e per l’ambiente<br />

mediterraneo.<br />

Archeologo e artista<br />

A Pompei misura e disegna le rovine come un vero archeologo. Matura le<br />

sue conoscenze tramite lo studio sul campo e la lettura di libri di ogni tipo,<br />

dal romanzo storico, ai classici latini, ai manuali d’architettura e archeologia.<br />

Questa preparazione viene riversata nelle sue opere, che non si risolvono<br />

in erudite esposizioni di oggetti: i reperti sono manipolati con libertà,<br />

i soggetti attualizzati secondo il punto di vista di un uomo<br />

dell’Ottocento, la bellezza femminile e maschile è modellata su modelli<br />

anglosassoni e interpretata secondo un fine estetismo.<br />

Le opere in mostra<br />

Vengono toccate le tappe fondamentali del percorso dell’artista, attraverso<br />

dipinti di ampio formato, usualmente concepiti su commissione di<br />

facoltosi clienti, ma anche di piccolo formato, prodotti per il mercato e<br />

destinati agli spazi misurati delle case borghesi. Accanto ai dipinti, viene<br />

presentata una ricca scelta di materiali archeologici che hanno stimolato<br />

l’immaginazione dell’artista, tutti conservati nel Museo Archeologico di<br />

Napoli.


ALMA<br />

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ANTICO<br />

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Le arti applicate<br />

Il gusto eclettico e lo stile neopompeiano<br />

Verso metà Ottocento si diffonde in Europa un eclettismo che porta alla<br />

rilettura di tutti gli stili storici, tra cui anche quello pompeiano. Si fa strada<br />

un gusto archeologizzante che nelle decorazioni predilige i violenti<br />

accostamenti cromatici dei riquadri rossi e neri delle pareti pompeiane.<br />

Un gusto adatto ad adornare le pareti degli edifici pubblici, come ministeri,<br />

teatri o musei, dove la borghesia umbertina ama ritrovarsi.<br />

Come la decorazione parietale, anche l’arredamento (mobili, oggetti)<br />

risente del gusto pompeiano, sebbene siano più rari gli esempi a noi noti.<br />

Tavoli intarsiati, porcellane dipinte, diffondono invenzioni originali ma<br />

anche rivisitazioni di soggetti tratti da dipinti italiani e stranieri, resi celebri<br />

dalle incisioni o dalle grandi esposizioni internazionali.<br />

Un interessante esempio dello stile decorativo pompeiano è quello legato<br />

al progetto (pareti e arredi) per le quattro “sale pompeiane” volute da<br />

Giuseppe Fiorelli nel Museo Archeologico di Napoli, destinate ad ospitare<br />

il riallestimento della prestigiosa collezione di statue in bronzo del museo.


ALMA<br />

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ANTICO<br />

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Gli scavi<br />

Alessandro La Volpe<br />

Panorama di Pompei<br />

Napoli, Galleria “Vittoria Colonna”<br />

Una veduta degli scavi di Pompei<br />

col Vesuvio sullo sfondo, forse<br />

presa dai cumuli di terreno<br />

solitamente lasciati ai margini<br />

delle aree appena portate<br />

alla luce.<br />

Laezza<br />

Panorama di Pompei<br />

Napoli, Galleria “Vittoria Colonna”<br />

Tre contadini in costume, gli scavi<br />

di Pompei osservati in<br />

prossimità dell’imbocco di Via<br />

delle Scuole e in lontananza il<br />

Vesuvio fumante.<br />

Michele Cammarano<br />

Veduta degli scavi di Pompei<br />

collezione privata<br />

Dalla Torre di Mercurio, punto di<br />

vista utilizzato anche da fotografi<br />

dell’epoca, il dipinto abbraccia<br />

l’intero paesaggio archeologico<br />

con le colline vesuviane sullo<br />

sfondo.<br />

Filippo Palizzi<br />

Gli scavi di Pompei<br />

1865<br />

collezione privata<br />

Palizzi si interessa agli scavi dopo<br />

una visita a Pompei e Pestum nel<br />

1864. Qui immagina una<br />

popolana-scavatrice che depone<br />

la cesta per riflettere sull’affresco<br />

appena riemerso.<br />

elenco delle opere<br />

Filippo Palizzi<br />

Studio di uno scavo (Pompei)<br />

1864<br />

Roma, Galleria Nazionale<br />

d’Arte Moderna<br />

I resti di un’architettura<br />

monumentale, frammenti di<br />

colonne e di trabeazioni, sono<br />

colti dal vero e in piena luce,<br />

esaltando il carattere di attualità<br />

di una realtà appena esumata.<br />

Enrico Gaeta<br />

L’arco trionfale del Foro di Pompei<br />

1873 ca.<br />

Napoli, Museo di Capodimonte<br />

L’insolita inquadratura risulta<br />

presa dall’interno dell’arco<br />

onorario imperiale, sulla strada<br />

che fiancheggia il Tempio di<br />

Giove, a nord-est del Foro di<br />

Pompei.<br />

Teodoro Duclere<br />

Veduta del Foro<br />

dopo il 1860<br />

Sorrento, Museo Correale Terranova<br />

Duclere si interessa a Pompei<br />

durante la sua collaborazione al<br />

progetto editoriale di Fausto e<br />

Felice Niccolini Le Case e i<br />

monumenti di Pompei,<br />

pubblicato a partire dal 1854.<br />

Teodoro Duclere<br />

Bottega<br />

dopo il 1860<br />

Sorrento, Museo Correale Terranova<br />

Si tratta di una bottega di Pompei<br />

ampiamente descritta<br />

dall’archeologo Giuseppe Fiorelli,<br />

caratterizzata da un pilastro<br />

affrescato con Venere e Mercurio,<br />

oggi perduto.


ALMA<br />

TADEMA<br />

E LA NO<br />

STALGIA<br />

DELL’<br />

ANTICO<br />

torna all’indice →<br />

Enrico Gaeta<br />

Veduta della casa così detta<br />

dell’Argenteria<br />

collezione privata<br />

È l’atrio secondario con colonne<br />

ioniche della Casa dell’Argenteria<br />

(scavata tra il 1829 e il 1835), così<br />

detta per il ricco complesso di<br />

vasellame d’argento che vi fu<br />

ritrovato.<br />

Giacinto Gigante<br />

Casa di Cornelio Rufo<br />

1862<br />

Sorrento, Museo Correale Terranova<br />

Giacinto Gigante<br />

Casa di Cornelio Rufo<br />

1861<br />

Napoli, collezione privata<br />

L’ambientazione dei due dipinti è<br />

un luogo reale di Pompei,<br />

riconoscibile dai due sostegni con<br />

forme animali del cartibulum,<br />

tavolo usualmente posto nell’atrio<br />

delle case romane, e dall’ermaritratto<br />

di Cornelius Rufus sullo<br />

sfondo, conservata<br />

nell’Antiquarium di Pompei.<br />

Marco de Gregorio<br />

Signora a Pompei-La casa dei<br />

capitelli colorati<br />

collezione privata<br />

Una turista a Pompei: dietro di lei<br />

il peristilio dalla Casa detta anche<br />

di Arianna, una delle più grandi e<br />

decorate di Pompei, assai<br />

danneggiata dai bombardamenti<br />

alleati del 1943.<br />

Giacinto Gigante<br />

Cena notturna nella casa<br />

di Sallustio<br />

1859<br />

Sorrento, Museo Correale Terranova<br />

Nelle rovine della casa di Sallustio<br />

a Pompei, un gruppo di<br />

aristocratici ha organizzato una<br />

cena al chiaro di luna; tre popolani<br />

improvvisano un intrattenimento<br />

per allietare gli ospiti.


ALMA<br />

TADEMA<br />

E LA NO<br />

STALGIA<br />

DELL’<br />

ANTICO<br />

torna all’indice →<br />

Vita quotidiana<br />

Enrico Salfi<br />

Venditore di anfore a Pompei<br />

1883 ca.<br />

Milano, Galleria d’Arte Moderna<br />

Salfi è un appassionato studioso<br />

delle rovine vesuviane: una scena<br />

di semplice quotidianità è qui<br />

ambientata in una delle tante<br />

botteghe ancora oggi visibili a<br />

Pompei.<br />

Roberto Bompiani<br />

Salutatio matutina<br />

1899<br />

Milano, Galleria d’Arte Moderna<br />

Sono raffigurati i clientes,<br />

persone che in cambio di<br />

protezione<br />

o assistenza materiale, erano al<br />

servizio di notabili romani,<br />

omaggiandoli ogni mattina con<br />

il proprio saluto.<br />

Gaetano d’Agostino<br />

I saltimbanchi a Pompei<br />

1877<br />

Comune di Capua<br />

Lo spunto è la commedia Hecyra<br />

di Terenzio di cui, sulla cornice,<br />

è riportato un verso del secondo<br />

prologo: in esso si rivela al<br />

pubblico che alla prima della<br />

rappresentazione era stato<br />

preferito uno spettacolo di<br />

funamboli.<br />

Luigi Bazzani<br />

Interno pompeiano<br />

1882<br />

New York, Dahesh Museum<br />

Bazzani si basa sulla diretta<br />

conoscenza dei materiali<br />

archeologici: il tavolo con i grifi<br />

alati al centro del dipinto è quello<br />

della Casa di Meleagro a Pompei.<br />

Cesare Mariani<br />

Gelosia<br />

Firenze, collezione privata<br />

L’attento studio archeologico si<br />

lega qui ad un’iconografia<br />

maliziosa che attribuisce agli<br />

antichi la sensibilità e la<br />

psicologia dell’uomo<br />

dell’Ottocento.<br />

Francesco Saverio Altamura<br />

Donna romana<br />

1881<br />

Foggia, Galleria Provinciale d’Arte<br />

Moderna e Contemporanea<br />

(proprietà San Paolo IMI - Banco<br />

di Napoli) A destra, su un tavolo<br />

marmoreo, poggia il famoso<br />

tripode bronzeo con satiri itifallici<br />

rinvenuto a Pompei nel 1755<br />

e conservato nel Museo<br />

Archeologico Nazionale di Napoli.<br />

Federico Maldarelli<br />

La vestizione<br />

1864<br />

Roma, collezione privata<br />

Sebbene non illustri un episodio<br />

preciso, Maldarelli trae<br />

probabilmente ispirazione dal<br />

romanzo di Edward Bulwer-Lytton<br />

Gli ultimi giorni di Pompei (1834).


ALMA<br />

TADEMA<br />

E LA NO<br />

STALGIA<br />

DELL’<br />

ANTICO<br />

torna all’indice →<br />

Raffaello Sorbi<br />

Scena pompeiana<br />

1879<br />

collezione privata<br />

Due patrizie filano ed elargiscono<br />

cure materne in un peristilio:<br />

un’immagine sovrapponibile alle<br />

tante scene d’intimità domestica<br />

della pittura di secondo<br />

Ottocento.<br />

Francesco Sagliano<br />

L’ultimo giorno dei baccanali<br />

1867<br />

Napoli<br />

Amministrazione Provinciale.<br />

Due fanciulle rendono omaggio<br />

all’erma di Pan. Dal soffitto pende<br />

una lucerna trilicne in bronzo, un<br />

reperto del I secolo a.C.<br />

conservato al Museo Archeologico<br />

di Napoli.<br />

Amos Cassioli<br />

L’offerta a Venere<br />

1875-1885 ca.<br />

Firenze, Galleria d’Arte Moderna<br />

di Palazzo Pitti<br />

Sulla parete affrescata di rosso<br />

a destra, il motivo ornamentale<br />

monocromo con menadi danzanti<br />

è tratto da studi su stoffa eseguiti<br />

dal pittore forse per decorare<br />

ventagli.<br />

Giuseppe Sciuti<br />

Il tempio di Venere<br />

1876<br />

Roma, Galleria Nazionale<br />

d’Arte Moderna<br />

Tre fanciulle recano un omaggio<br />

floreale alla dea dell’Amore la cui<br />

statua, liberamente ispirata alla<br />

Venere Capitolina, è custodita da<br />

un vecchio sacerdote.<br />

Roberto Bompiani<br />

Sacerdotessa di Minerva<br />

1875-1880<br />

Roma<br />

collezione privata<br />

Sulla destra si intravede in<br />

controluce, sullo sfondo di un atrio<br />

con colonne, una statua di<br />

Minerva, riconoscibile dall’elmo e<br />

dallo scudo rotondo.<br />

Giovanni Muzzioli<br />

L’offerta nuziale<br />

1884 ca.<br />

Trieste, Civico Museo Revoltella<br />

Il rito nuziale è studiato nei minimi<br />

dettagli, come il velo rosso della<br />

donna (flammeum). L’altare in<br />

marmo è basato su un esemplare<br />

romano conservato agli Uffizi di<br />

Firenze.<br />

Giovanni Muzzioli<br />

Al tempio di Bacco<br />

1881<br />

Roma, Galleria Nazionale<br />

d’Arte Moderna<br />

La scena bacchica è ambientata<br />

nella Roma imperiale del I secolo<br />

d.C., con la danzatrice Vistilia, la<br />

prostituta ricordata da Tacito negli<br />

Annali, coperta di una pelle<br />

maculata.


ALMA<br />

TADEMA<br />

E LA NO<br />

STALGIA<br />

DELL’<br />

ANTICO<br />

torna all’indice →<br />

Ernesto Biondi<br />

Testa di donna patrizia<br />

(modello per i Saturnali)<br />

1888-1899 ca., gesso<br />

Roma, collezione privata<br />

Modello di una delle figure de I<br />

Saturnali, monumento bronzeo<br />

della Galleria d’Arte Moderna di<br />

Roma, la testa mostra<br />

un’acconciatura ispirata a<br />

esemplari romani d’età flavia.<br />

Achille D’Orsi<br />

I Parassiti<br />

1877<br />

gesso patinato color bronzo,<br />

Napoli, Museo di Capodimonte<br />

Due crapuloni, satolli di cibo e di<br />

vino, sono accasciati su un triclinio<br />

modellato su analoghi esemplari<br />

rinvenuti a PompeieErcolano.<br />

Domenico Morelli<br />

Il triclinio o Il triclinio<br />

dopo l’orgia<br />

1860-1862 ca.<br />

Roma, Galleria Nazionale<br />

d’Arte Moderna<br />

In un triclinio all’aperto, struttura<br />

tipica nelle zone meridionali e<br />

frequente a Pompei, uno schiavo,<br />

al lavoro, getta un’occhiata sui<br />

corpi dei bacchettanti<br />

abbandonati nel sonno.<br />

Francesco Netti<br />

Lotta dei gladiatori durante una<br />

cena a Pompei<br />

1880 ca.<br />

Napoli, Museo di Capodimonte<br />

Il gladiatore ucciso viene<br />

trascinato via mentre il vincitore,<br />

che indossa un elmo confrontabile<br />

con reperti da Pompei, viene<br />

esaltato dall’entusiasmo delle<br />

giovani donne.<br />

Jean-Léon Gérôme<br />

Reziario<br />

1859 ca.<br />

bronzo<br />

Phoenix, Phoenix Art Museum<br />

Jean-Léon Gérôme<br />

Mirmillone<br />

1859-1873 ca., bronzo, Phoenix,<br />

Phoenix Art Museum<br />

I due gladiatori sono ispirati a un<br />

bronzetto (II sec.) conservato<br />

presso la Bibliothèque Nationale<br />

di Parigi, ma anche a reperti del<br />

Museo Archeologico Nazionale<br />

di Napoli.<br />

Gaetano d’Agostino<br />

Bagno pompeiano (o La vita<br />

romana sotto Claudio)<br />

Roma, collezione privata<br />

- D. Morelli, Bagno pompeiano,<br />

1861 (non in mostra ma in<br />

catalogo)<br />

Una donna, introdottasi nelle<br />

terme maschili, giace abbracciata<br />

al suo amante: la probabile fonte<br />

letteraria è la VI satira di<br />

Giovenale, contro le donne di<br />

costumi dissoluti.


ALMA<br />

TADEMA<br />

E LA NO<br />

STALGIA<br />

DELL’<br />

ANTICO<br />

torna all’indice →<br />

Attilio Simonetti<br />

Attrice pompeiana<br />

1863-1864<br />

Milano, Pinacoteca di Brera<br />

in deposito presso Civiche<br />

Raccolte d’Arte. Il giovane<br />

Simonetti si ‘esercita’ sul genere<br />

neopompeiano: al nudo sensuale<br />

accosta un un flautista di sapore<br />

arcadico seduto su un cartibulum,e<br />

maschere teatrali greche.<br />

Federico Maldarelli<br />

Pompeiana al bagno<br />

1871<br />

collezione privata<br />

L’ambientazione rimanda<br />

all’apodyterium (spogliatoio)<br />

femminile con pareti a nicchie delle<br />

Terme Stabiane di Pompei.<br />

La donna sosta sulla vasca per il<br />

bagno in acqua fredda.<br />

Mosè Bianchi<br />

Bagno pompeiano<br />

1892 ca.<br />

collezione privata<br />

L’autore assembla motivi tardoantichi,<br />

elementi ercolanensi, ma<br />

anche egizi, come le due sculture<br />

leonine poste sul bordo del<br />

frigidarium (vasca per il bagno<br />

freddo).<br />

Alessandro Pigna<br />

Frigidarium<br />

1882<br />

Roma, Galleria Comunale d’Arte<br />

Moderna e Contemporanea<br />

Sullo sfondo, un letto con protomi<br />

animali raffrontabile con quello<br />

funerario in bronzo proveniente da<br />

una tomba di Amiterno, nelle<br />

collezioni dei Musei Capitolini<br />

di Roma.<br />

Arcadio Mas Fondevila<br />

Fanciullo pompeiano<br />

1879<br />

Barcellona, Museu Nacional<br />

d’Art de Catalunya<br />

L’ambientazione rimanda a Pompei<br />

non con circostanziate citazioni<br />

archeologiche ma per via evocativa,<br />

attraverso l’acceso colore rosso<br />

‘pompeiano’ delle colonne<br />

stuccate.<br />

Erulo Eroli<br />

Suonatore di nacchere<br />

1875 ca.<br />

Roma, collezione privata<br />

Su un pilastro è sistemata una<br />

statua di Venere accovacciata,<br />

disegnata su una delle tante copie<br />

romane dell’originale in bronzo<br />

attribuito allo scultore Doidalsas di<br />

Bitinia (III secolo a.C.).<br />

Giulio Bargellini<br />

Eterno Idioma<br />

1899 ca.<br />

Firenze, Galleria d’Arte Moderna di<br />

Palazzo Pitti<br />

Una scena romantica, in cui<br />

l’artista raffigura sè stesso: a destra<br />

trattiene la mano di una fanciulla,<br />

emblema della musa ispiratrice, a<br />

sinistra canta alcuni versi<br />

accompagnato dalle note di un<br />

organo.


ALMA<br />

TADEMA<br />

E LA NO<br />

STALGIA<br />

DELL’<br />

ANTICO<br />

torna all’indice →<br />

La storia<br />

Aslan d’Abro Pagratide<br />

(Funus Indictivum) Funerale d’un<br />

console presso Miseno nell’epoca<br />

dell’impero Romano<br />

1877<br />

Napoli, Museo di San Martino<br />

(in sottoconsegna alla Prefettura<br />

di Napoli)<br />

Il funus indictivum, funerale<br />

pubblico di un console romano la<br />

cui descrizione è basata sulla<br />

Pragmateia di Polibio, si staglia su<br />

una veduta di Capo Miseno con<br />

Monte di Procida sul fondo.<br />

Cesare Maccari<br />

Quo usque tandem<br />

1881-1887<br />

Roma, Galleria Nazionale<br />

d’Arte Moderna<br />

Studio preparatorio per l’affresco<br />

di palazzo Madama, a Roma,<br />

raffigurante Cicerone che<br />

pronuncia l’invettiva contro<br />

Catilina. “Quo usque tandem”è<br />

appunto l’inizio della prima<br />

Catilinaria.<br />

Camillo Miola<br />

Il fatto di Virginia<br />

1882<br />

Napoli, Museo di Capodimonte<br />

A terra è Virginia, giovane plebea<br />

uccisa dal padre (nella folla con il<br />

pugnale in mano) per sottrarla<br />

alle bramosie non corrisposte del<br />

decemviro Appio Claudio.<br />

Giovanni Muzzioli<br />

I funerali di Britannico<br />

1888<br />

Ferrara, Gallerie d’Arte Moderna<br />

e Contemporanea Museo<br />

dell’Ottocento<br />

Nerone fa avvelenare Britannico,<br />

potenziale minaccia al trono<br />

imperiale. I sostegni del tavolo su<br />

cui è riversa la sorella di<br />

Britannico, Ottavia, sono ispirati<br />

a quelli della casa di Cornelio<br />

Rufo a Pompei.<br />

Giovanni Muzzioli<br />

La vendetta di Poppea<br />

1876<br />

Modena, Museo Civico d’Arte<br />

Medievale e Moderna<br />

Nerone e Poppea sono quasi<br />

nascosti dall’ombra del velabro<br />

sospeso: un servo porta la testa<br />

di Ottavia, prima moglie di<br />

Nerone, sacrificata per volere di<br />

Poppea che le subentra come<br />

imperatrice.<br />

Camillo Miola<br />

Orazio in villa<br />

1877, Napoli<br />

Museo di Capodimonte<br />

Un momento di gioco e di festa,<br />

durante i Saturnali, nella villa<br />

Sabina che Orazio aveva ricevuto<br />

in dono da Mecenate.


ALMA<br />

TADEMA<br />

E LA NO<br />

STALGIA<br />

DELL’<br />

ANTICO<br />

torna all’indice →<br />

Camillo Miola<br />

Plauto mugnaio<br />

1864<br />

Napoli, Museo Civico<br />

di Castelnuovo<br />

Un episodio della vita di Plauto: a<br />

seguito di un cattivo<br />

investimento, il commediografo<br />

Plauto si vide costretto a lavorare<br />

presso un mugnaio girando le<br />

macine.<br />

Giulio Bargellini<br />

Pigmalione<br />

1896<br />

Roma, Galleria Nazionale<br />

d’Arte Moderna<br />

Si tratta della leggenda dello<br />

scultore di Cipro, Pigmalione, che<br />

si invaghisce della statua da lui<br />

modellata ottenendo, con la<br />

supplica e il sacrificio ad Afrodite,<br />

che essa si animi.<br />

Alma-Tadema<br />

Giovan Battista Amendola<br />

Ritratto di Laura Alma-Tadema<br />

bronzo<br />

collezione privata<br />

Amendola, amico e protetto di<br />

Alma-Tadema, conosciuto a<br />

Napoli, ne eseguì un ritratto in<br />

marmo, disperso, insieme ad una<br />

statuetta d’argento raffigurante la<br />

seconda moglie, qui replicata in<br />

bronzo.<br />

Giovan Battista Amendola<br />

Venere che avvolge la chioma<br />

1886<br />

bronzo<br />

collezione privata<br />

Amendola segue un’impostazione<br />

simile a quella del dipinto del<br />

maestro olandese Una modella<br />

dello scultore (1877).<br />

Jean-Léon Gérôme<br />

Danzatrice con il cerchio<br />

1891<br />

bronzo dorato<br />

Bloominton, Indiana University<br />

Art Museum<br />

Gérôme inserisce questo soggetto<br />

in diversi dipinti, in un costante<br />

gioco di autocitazione. Lo stesso<br />

Alma-Tadema raffigura la statuina<br />

in Ore dorate (1908).


ALMA<br />

TADEMA<br />

E LA NO<br />

STALGIA<br />

DELL’<br />

ANTICO<br />

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L. Alma-Tadema<br />

Autoritratto<br />

1896<br />

Firenze, Galleria degli Uffizi,<br />

Corridoio Vasariano<br />

L’autoritratto viene<br />

appositamente eseguito, su<br />

esplicita richiesta, per la Galleria<br />

degli Uffizi di Firenze, delle cui<br />

collezioni entra a far parte nel<br />

1896.<br />

Riproduzione retroilluminata:<br />

L. Alma-Tadema<br />

Tibullo nella casa di Delia<br />

1866<br />

Boston, Museum of Fine Arts<br />

opera non in mostra<br />

Il poeta Tibullo declama un<br />

componimento all’amante Delia<br />

nella sua casa, un tipico<br />

ambiente pompeiano fitto di<br />

oggetti, come la stufa di bronzo<br />

rinvenuta in una villa vicino a<br />

Stabia.<br />

L. Alma-Tadema<br />

Agrippina visita le ceneri<br />

di Germanico<br />

1866<br />

Città del Messico<br />

collezione Pérez Simon<br />

Modello di fedeltà muliebre,<br />

Agrippina contempla<br />

mestamente lo scrigno con le<br />

ceneri del marito Germanico<br />

all’interno di un cinerarium<br />

finemente ricostruito.<br />

L. Alma-Tadema<br />

La scala<br />

1870<br />

New York, Dahesh Museum<br />

La cornice, architettonicamente<br />

costruita, può essere considerata<br />

parte integrante dell’opera, poichè<br />

inquadra e allo stesso tempo<br />

amplia l’angusto spazio pittorico.<br />

L. Alma-Tadema<br />

Un altarino<br />

1883<br />

Cecil Higgins Art<br />

Dietro la ghirlanda tesa dalla<br />

donna, un’iscrizione latina<br />

presente a Pompei in Vico del<br />

Lupanare Otiosis locus hic non est.<br />

Discede Morator/ Non c’è posto<br />

per gli sfaccendati. Via di qua<br />

perditempo!, maliziosamente<br />

riferito al flautista.<br />

L. Alma-Tadema<br />

L’architetto del Colosseo<br />

1875<br />

Città del Messico<br />

collezione Pérez Simon<br />

Alma-Tadema, che possedeva<br />

approfondite conoscenze<br />

architettoniche, immagina<br />

l’artefice del Colosseo mentre<br />

medita sui complessi problemi<br />

costruttivi del monumento.<br />

L. Alma-Tadema<br />

Vino greco<br />

1873<br />

Città del Messico<br />

collezione Pérez Simon<br />

Il modello sono le tante scene di<br />

simposio che decorano vasi greci<br />

antichi, in cui spesso compare<br />

anche la suonatrice di aulos qui<br />

raffigurata di profilo.


ALMA<br />

TADEMA<br />

E LA NO<br />

STALGIA<br />

DELL’<br />

ANTICO<br />

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L. Alma-Tadema<br />

Un sacrificio a Bacco<br />

1889<br />

Amburgo, Hamburger Kunsthalle<br />

Un bambino è iniziato al culto di<br />

Bacco. Il Gruppo scultoreo con<br />

uomini che cuociono un cinghiale,<br />

a sinistra, è conservato presso il<br />

Museo Archeologico di Napoli.<br />

L. Alma-Tadema<br />

La galleria di statue<br />

1874<br />

Hanover, Dartmouth College,<br />

Hood Museum of Art<br />

Un mercante d’arte mostra ad un<br />

collezionista una vasca, copia<br />

dell’originale in marmo rosso<br />

scavato a Pompei. Il supporto, su<br />

cui è avvolto il mostro Scilla, è<br />

un’aggiunta successiva.<br />

L. Alma-Tadema<br />

La processione verso il tempio<br />

1882<br />

Londra, Royal Academy of Arts<br />

Sullo sfondo di una processione,<br />

una donna vende statuette e<br />

oggetti votivi. Accanto a lei un<br />

vaso greco (hydria) a figure rosse,<br />

con Eracle e Leontè, ed un<br />

elegante tripode etrusco.<br />

L. Alma-Tadema<br />

Un vasaio anglo-romano<br />

1884<br />

Parigi, Musee d’ Orsay<br />

Il dipinto è una delle tre porzioni<br />

in cui Alma-Tadema divise l’opera<br />

originale, con l’imperatore<br />

Adriano in visita ad un’officina<br />

per la produzione ceramica nella<br />

Britannia romana.<br />

Riproduzione retroilluminata:<br />

L. Alma-Tadema<br />

La galleria di pittura<br />

1874<br />

Burnley,Towneley Hall Art Gallery<br />

and Museum<br />

Con ironia, Alma-Tadema ritrae al<br />

centro in piedi Ernest Gambart,<br />

mercante di opere d’arte e suo<br />

rappresentante europeo,<br />

circondato da membri della sua<br />

famiglia.<br />

L. Alma-Tadem<br />

Un’esedra<br />

1871<br />

Città del Messico<br />

collezione Pérez Simon<br />

L’ampia panca marmorea su cui<br />

riposano e da cui ammirano il<br />

paesaggio i viaggiatori, è la<br />

tomba di Mamia, ancora oggi<br />

visibile sulla Via dei Sepolcri, alla<br />

periferia di Pompei.<br />

L. Alma-Tadema<br />

Un passo di Omero<br />

1885<br />

Filadelfia, Philadelphia Museum<br />

of Art, George<br />

W. Elkins Collection<br />

Il dipinto era appeso nella stanza<br />

da musica di una casa di New<br />

York, progettata da Alma-Tadema<br />

e decorata con mobili<br />

liberamente ispirati a modelli<br />

pompeiani.


ALMA<br />

TADEMA<br />

E LA NO<br />

STALGIA<br />

DELL’<br />

ANTICO<br />

torna all’indice →<br />

L. Alma-Tadema<br />

Missile d’amore<br />

1909<br />

Città del Messico<br />

collezione Pérez Simon<br />

Il “missile” è un mazzo di fiori<br />

lanciato sulla terrazza da un<br />

ammiratore segreto. Sullo sfondo<br />

la casa londinese di Alma-Tadema,<br />

in primo piano un lectus affine a<br />

quelli in stile pompeiano che<br />

decoravano lo studio dell’artista.<br />

L. Alma-Tadema<br />

Una domanda<br />

1877<br />

Città del Messico<br />

collezione Pérez Simon<br />

Il dipinto, una scena di<br />

corteggiamento, ispirò una<br />

novella dell’egittologo tedesco e<br />

romanziere storico Georg Ebers,<br />

amico di Alma-Tadema.<br />

Oliver Rhys<br />

Sulla terrazza<br />

1891<br />

collezione privata<br />

Sulle orme di Alma-Tadema,<br />

Rhys si specializza nella<br />

raffigurazione di donne sognanti,<br />

abbandonate su bianche terrazze<br />

marmoree affacciate sul<br />

Mediterraneo.<br />

Le arti applicate<br />

Francesco Grandi<br />

Scuola d’Arte d’Intarsio di<br />

Sorrento, e Arturo Guidi<br />

Tavolo<br />

1890<br />

legno di mogano intagliato e<br />

intarsiato<br />

Sorrento, Museo della tarsia<br />

lignea. Al centro, una scena<br />

pompeiana e ai lati quattro<br />

vedute della penisola sorrentina<br />

tutte incorniciate da ornati<br />

all’antica<br />

in avorio.<br />

Almerico Gargiulo<br />

Interno di casa pompeiana<br />

1895<br />

legno impiallacciato, intarsiato e<br />

in parte dipinto<br />

Sorrento, Collezione privata<br />

La tarsia si ispira a dipinti coevi<br />

aventi come soggetto scene di<br />

genere ispirate alla vita<br />

quotidiana dell’antichità classica.<br />

Wagner (da Henryk Siemiradzki)<br />

Il vaso o la fanciulla?<br />

1878<br />

porcellana dipinta<br />

collezione privata<br />

Il soggetto di questa porcellana<br />

firmata Wagner è tratto<br />

dall’omonimo e analogo dipinto<br />

dell’artista polacco Henryk<br />

Siemiradzki, esposto a Parigi nel<br />

1878.


ALMA<br />

TADEMA<br />

E LA NO<br />

STALGIA<br />

DELL’<br />

ANTICO<br />

torna all’indice →<br />

Carlo Nogaro<br />

Progetto di decorazione in stile<br />

neopompeiano<br />

1874-1878<br />

acquerello e tempera su carta<br />

Asti, Museo Civico<br />

Il dipinto fa parte di una serie di<br />

cinque studi per decorazioni<br />

neopompeiane ideate dal pittore<br />

astigiano Carlo Nogaro dopo il<br />

suo trasferimento a Parigi nel<br />

1868.<br />

Ulisse Ribustini<br />

Progetto di decorazione in stile<br />

neopompeiano<br />

1872<br />

tempera su carta<br />

Perugia, Accademia di Belle Arti<br />

Questo progetto decorativo<br />

segue un gusto diffuso dalla<br />

Maison pompèienne fatta<br />

costruire a Parigi dal principe<br />

Gerolamo Napoleone tra il 1856<br />

e il 1860.<br />

Repertorio archeologico<br />

che ha ispirato i pittori<br />

neompompeiani:<br />

una selezione dal Museo<br />

Archeologico Nazionale<br />

di Napoli<br />

Sileno portalampada da Ercolano<br />

bronzo<br />

MANN<br />

Il portalampada, che veniva utilizzato<br />

per il banchetto – e la<br />

scelta di un personaggio del<br />

mondo dionisiaco ne è la conferma<br />

– è puntualmente riprodotto<br />

in Vino greco di Alma-Tadema.<br />

Rython a forma di cervo<br />

Bronzo<br />

MANN<br />

Il corno, proveniente da Ercolano,<br />

era principalmente utilizzato<br />

nella sfera cultuale. L’oggetto<br />

ritorna in diverse varianti nelle<br />

opere di Alma-Tadema: in argento<br />

in Festa alla vendemmia e in<br />

oro in La processione verso il<br />

tempio.<br />

Askos da Ercolano<br />

Bronzo<br />

MANN<br />

Molti recipienti di questo tipo,<br />

utilizzati per l’olio, si sono rinvenuti<br />

in area vesuviana.<br />

Il vaso è riprodotto in più opere<br />

di Alma-Tadema, tra le quali<br />

Festa alla vendemmia.


ALMA<br />

TADEMA<br />

E LA NO<br />

STALGIA<br />

DELL’<br />

ANTICO<br />

torna all’indice →<br />

Patera con presa a testa<br />

di medusa, da Ercolano<br />

Bronzo<br />

MANN<br />

La patera con presa a testa di<br />

medusa, di uso termale, è raffigurata<br />

in Tibullo a casa di Delia di<br />

Alma-Tadema.<br />

Candelabro<br />

Bronzo<br />

MANN<br />

Il candelabro, a stelo scanalato<br />

su zampe ferine e capitello ionico<br />

con coronamento a sfinge, era<br />

molto noto nell’Ottocento. Viene<br />

riprodotto in Tibullo a casa di<br />

Delia di Alma-Tadema.<br />

Lucerna bilicne<br />

Bronzo<br />

MANN<br />

Una lucerna di questo tipo, sormontata<br />

da una larga foglia<br />

triangolare, viene riprodotta, su<br />

candelabro, in Tibullo a casa di<br />

Delia di Alma-Tadema.<br />

Tavolo<br />

bronzo e marmo<br />

MANN<br />

Tavolo con gambe pieghevoli a<br />

zampa di leone, che terminano<br />

con un calice di foglie di acanto,<br />

da cui emerge un satirello che<br />

stringe al petto un leprotto. Il<br />

tavolo è riprodotto anche in<br />

Tibullo a casa di Delia di Alma-<br />

Tadema<br />

Sgabello<br />

bronzo<br />

MANN<br />

Questa tipologia di sgabello era<br />

un arredo molto diffuso nelle abitazioni<br />

romane. L’esemplare, di<br />

dimensioni più grandi, viene riprodotto<br />

in Tibullo a casa di Delia di<br />

Alma-Tadema .<br />

Letto rimontato come<br />

sedile-bisellio<br />

bronzo e legno moderno; intarsi di<br />

argento e rame<br />

MANN<br />

Ricostruzione ottocentesca di elementi<br />

decorativi pertinenti a più<br />

letti di provenienza pompeiana,<br />

rimontati come sedile-bisellio su<br />

quattro piedi torniti.<br />

Sgabello tipo “sella curule”<br />

bronzo<br />

MANN<br />

Lo sgabello, di provenienza pompeiana,<br />

ha la tipica forma della<br />

sella curule, ovvero il sedile in origine<br />

di spettanza solo di alcuni<br />

alti magistrati e che poi si diffuse<br />

nell’ambito dell’arredo domestico<br />

di committenza elevata.<br />

Coronamenti di letto<br />

a forma di mulo<br />

bronzo<br />

MANN<br />

Le teste di mulo fungevano da<br />

coronamento del telaio (fulcrum)<br />

del letto tricliniare, di cui erano<br />

considerati gli spiriti tutelari.<br />

Riferimento puntuale a coronamenti<br />

di letto di questo tipo si ha<br />

in Le rose di Eliogabalo di Alma-<br />

Tadema.


ALMA<br />

TADEMA<br />

E LA NO<br />

STALGIA<br />

DELL’<br />

ANTICO<br />

torna all’indice →<br />

Labrum decorato con figura di<br />

Scilla avvinghiata al piede<br />

marmo rosso<br />

MANN<br />

Il bacino di fontana, dall’atrio di<br />

una casa pompeiana, venne portato<br />

nel 1812 nel Real Museo<br />

Borbonico, e posizionato su un<br />

sostegno moderno (il mostro<br />

marino Scilla). La riproduzione, in<br />

marmo nero, si ha in Galleria di<br />

sculture di Alma-Tadema.<br />

Cartibulum<br />

marmo bianco<br />

Soprintendenza archeologica<br />

di Pompei<br />

Coppia di sostegni di tavolo (trapezofori)<br />

decorati con grifi, dalla<br />

Casa di Cornelio Rufo a Pompei.<br />

Riiprodotto in Galleria di sculture<br />

di Alma Tadema..<br />

Statue di caprioli<br />

bronzo<br />

MANN<br />

Le statue, che appartenevano<br />

all’apparato decorativo della Villa<br />

dei Papiri di Ercolano, vengono<br />

riprodotte in versione miniaturistica<br />

su uno scaffale in alto in<br />

Galleria di sculture di Alma-<br />

Tadema.<br />

Candelabro con bracci a volute<br />

per lucerne<br />

bronzo, agemine in argento<br />

MANN<br />

Il candelabro, proveniente dalla<br />

Casa di Pansa di Pompei, si compone<br />

di un pilastrino dal cui<br />

capitello partono quattro bracci<br />

a volute, da cui pendono quattro<br />

lucerne. La base ospita una statuetta<br />

di Dioniso su pantera con<br />

rhyton e un’arula. E’ raffigurato in<br />

diverse opere di Alma-Tadema,<br />

tra cui la Galleria di sculture.<br />

Lanterna<br />

bronzo<br />

MANN<br />

La lanterna, che era sospesa<br />

mediante anelli e catene si ritrova<br />

in Galleria di sculture di Alma-<br />

Tadema.<br />

Lucerna trilicne<br />

bronzo<br />

MANN<br />

Lucerna a sospensione del I sec.<br />

a.C., con tre lunghi becchi e<br />

vasca decorata da maschere di<br />

schiavi musicisti addetti al banchetto.<br />

E’ riprodotta in Galleria di<br />

sculture di Alma-Tadema.<br />

Lucerna con catenella<br />

bronzo<br />

MANN<br />

Lucerna con catena di sospensione.<br />

Sul rostro è un piccolo topo<br />

accucciato. Si ritrova tra i numerosi<br />

esemplari raffigurati in<br />

Galleria di sculture di Alma-<br />

Tadema.


ALMA<br />

TADEMA<br />

E LA NO<br />

STALGIA<br />

DELL’<br />

ANTICO<br />

torna all’indice →<br />

Lucerna con tabula ansata<br />

bronzo<br />

MANN<br />

Lucerna a due becchi con catene<br />

di sospensione e una tabula<br />

ansata, priva di epigrafe. Si ritrova<br />

tra i numerosi esemplari raffigurati<br />

in Galleria di sculture di<br />

Alma-Tadema.<br />

Gruppo scultoreo con uomini che<br />

cuociono un cinghiale<br />

marmo<br />

MANN, Collezione Farnese<br />

Rielaborazione di età romana per<br />

decorazione di giardini e ville di<br />

originale alessandrino del II sec.<br />

a.C. Due satiri seminudi sono<br />

impegnati nella cottura di un<br />

cinghiale nel calderone. La scultura<br />

viene riprodotta, in parte, in<br />

Sacrificio a Bacco di Alma-<br />

Tadema.<br />

Rilievo con tiaso dionisiaco<br />

da Ercolano<br />

marmo<br />

MANN<br />

Il rilievo neoattico della prima<br />

età imperiale, da Ercolano, sembra<br />

ispirare la composizione del<br />

Sacrificio a Bacco di Alma-<br />

Tadema: una menade con tamburello<br />

e due satiri, uno con pelle<br />

ferina e doppio flauto e l’altro<br />

che danza con il tirso.<br />

Candelabri quadrilicni<br />

bronzo<br />

MANN<br />

Candelabri scanalati da Pompei,<br />

con base a piedi ferini e coronamento<br />

a quattro bracci, per il<br />

sostegno di lucerne. Vengono<br />

riprodotti in Sacrificio a Bacco di<br />

Alma-Tadema, ma a sostegno di<br />

candele.<br />

Situla<br />

bronzo<br />

MANN<br />

La situla priva di manici è provvista<br />

un breve orlo piano, al di<br />

sotto del quale corre una decorazione.<br />

Maniglia<br />

bronzo<br />

MANN<br />

La maniglia, probabilmente<br />

appartenente a un braciere o un<br />

samovar di produzione campana<br />

del I secolo a.C., presenta gli<br />

attacchi a forma di mani aperte.<br />

Cembali<br />

bronzo<br />

MANN<br />

Strumento musicale tipico dei<br />

culti orientali e orgiastici, quali<br />

quelli di Iside, Dioniso e Cibele. I<br />

sonagli si battevano l’uno contro<br />

l’altro.


ALMA<br />

TADEMA<br />

E LA NO<br />

STALGIA<br />

DELL’<br />

ANTICO<br />

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Statuetta di Afrodite<br />

bronzo<br />

MANN<br />

Copia di età romana di una celebre<br />

statua di Afrodite pudica,<br />

funzionale all’arredo di giardino.<br />

In versione minuta, come questa,<br />

ritorna in opere di Alma-Tadema,<br />

tra cui L’appassionato di arte<br />

romana.<br />

Statua di Eros con delfino<br />

marmo<br />

MANN, Collezione Farnese<br />

L’Eros che gioca con delfino è<br />

una scultura decorativa per fontana<br />

di età imperiale. La statua<br />

funge da ambientazione termale<br />

in Strigili e spugne di Alma-<br />

Tadema.<br />

Meridiana da Pompei<br />

marmo, bronzo<br />

MANN<br />

Lo gnomone fuoriesce dal foro<br />

superiore. Linee orarie sono incise<br />

sul quadrante emisferico.<br />

Tanagrina a capo coperto<br />

Terracotta<br />

MANN<br />

Statuetta femminile panneggiata<br />

a capo velato, tipica dell’età ellenistica<br />

e di ambito cultuale.<br />

Statuette di questo tipo sono<br />

riprodotte in opere di Alma-<br />

Tadema, tra le quali per esempio<br />

L’appassionato di arte romana.<br />

Piatti da pesci a figure rosse<br />

ceramica<br />

MANN<br />

Pesci e seppia decorano i due<br />

piatti. Sono riprodotti, a mo’ di<br />

quadro, come decoro dello stipite<br />

del tempio nelle Donne di<br />

Anfissa di Alma-Tadema.<br />

Affresco con Medea, da Ercolano<br />

MANN<br />

L’affresco in IV stile, derivante da<br />

originale ellenistico, raffigura<br />

Medea che, pur se esitante,<br />

medita la tragica vendetta nei<br />

confronti del marito, che realizzerà<br />

con l’uccisione dei figli. E?<br />

riprodotto in Galleria di pitture di<br />

Alma-Tadema.<br />

Affresco con sacrificio di Ifigenia,<br />

da Pompei, Casa del Poeta<br />

Tragico<br />

MANN<br />

Raffigura un episodio della saga<br />

omerica, legato al sacrificio di<br />

Ifigenia. A sinistra Agamennone<br />

che accetta di dare in sacrificio<br />

la figlia ad Artemide; a destra<br />

Ulisse e Diomede conducono la<br />

giovinetta al sacrificio, contro il<br />

suo volere. In alto Artemide<br />

interviene e salva la giovane,<br />

sostituendola nel sacrificio con<br />

una cerva. L’affresco è riprodotto<br />

in Galleria di pitture di Alma-<br />

Tadema.


ALMA<br />

TADEMA<br />

E LA NO<br />

STALGIA<br />

DELL’<br />

ANTICO<br />

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Affresco con Eracle e Onfale<br />

MANN<br />

Eracle in abiti femminili stordito<br />

dal vino e dalla musica, ed<br />

Onfale con la leontè e la clava<br />

osserva i risultati della propria<br />

vittoria. L’affresco è riprodotto in<br />

Galleria di pitture di Alma-<br />

Tadema.<br />

Affresco con coppia in volo<br />

MANN<br />

Il satiro e la menade con corona<br />

volano, recando nel manto frutti<br />

e fiori, simbolo di fertilità.<br />

E’ raffigurato su un’insegna portata<br />

da un partecipante al corteo<br />

bacchico di Primavera di Alma-<br />

Tadema.<br />

Affresco con coppia in volo<br />

MANN<br />

Un satiro e una baccante si sollevano<br />

in volo. E’ raffigurato su<br />

un’insegna portata da un partecipante<br />

al corteo bacchico di<br />

Primavera di Alma-Tadema.<br />

Braciere-tripode con satiri itifallici<br />

bronzo<br />

MANN<br />

Il tripode, che divenne molto<br />

noto nel Settecento, proviene<br />

dalla Casa di Giulia Felice di<br />

Pompei. Sorretto da tre piedi,<br />

configurati come giovani itifallici<br />

nell’atto, forse di danza, di tendere<br />

il braccio, è riprodotto nell’opera<br />

di Saverio Altamura<br />

Donna romana.<br />

Statua di Afrodite del tipo<br />

“pudica” da Ercolano<br />

marmo<br />

MANN<br />

La dea, raffigurata nel gesto<br />

pudico di coprirsi con il braccio<br />

destro ripiegato il seno e con<br />

quello sinistro il pube, è una<br />

copia di età romana del tipo<br />

Dresda-Capitolino. E’ riprodotta<br />

nell’opera di Giuseppe Sciuti Il<br />

tempio di Venere.<br />

Lastre dipinte con danzatrici<br />

da Ruvo<br />

MANN<br />

Lastre dipinte con danza di<br />

lamentatrici funebri a mani<br />

intrecciate, provenienti da una<br />

tomba a semicamera da Ruvo<br />

della seconda metà del IV secolo<br />

a.C. Sono riprodotte nell’opera di<br />

Giuseppe Sciuti Il tempio di<br />

Venere.<br />

Elmi e schinieri<br />

Bronzo<br />

MANN<br />

Armi gladiatorie da parata rinvenute<br />

nel quadriportico dei teatri<br />

di Pompei. Hanno ispirato la<br />

figura del gladiatore dell’opera di<br />

Francesco Netti Lotta dei gladiatori<br />

durante una cena a Pompei.


ALMA<br />

TADEMA<br />

E LA NO<br />

STALGIA<br />

DELL’<br />

ANTICO<br />

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Braciere<br />

bronzo<br />

MANN<br />

Braciere, proveniente dalla Casa<br />

del Fauno di Pompei, con piedi a<br />

zampa di animale ed applique sui<br />

lati lunghis a testa leonina. E<br />

riprodotto in Gaetano d’Agostino,<br />

Bagno pompeiano o la vita romana<br />

sotto Claudio.<br />

Afrodite accovacciata ed Eros<br />

marmo<br />

MANN, collezione Farnese<br />

Copia di età romana di originale<br />

reato dallo scultore bitinio<br />

Doidalsas alla metà del III secolo<br />

a.C. La scultura della dea nuda al<br />

bagno, priva di Eros, è riprodotta<br />

in Erulo Eroli, Suonatore di nacchere<br />

.<br />

Busto del cosiddetto “Thespis”<br />

da Ercolano, Villa dei Papiri<br />

bronzo, boccoli in rame<br />

MANN<br />

Copia romana di originale del<br />

tardo ellenismo, dalla Villa dei<br />

Papiri di Ercolano. L’acconciatura<br />

particolare, a parrucca, di Thespis<br />

-musicista alla corte di Tolomeo I<br />

di Egitto o uno degli ultimi sovrani<br />

del regno di Arabia?.- sembra<br />

ispirare una delle figure di Giulio<br />

Bargellini, Eterno idioma.


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Alma-Tadema e la nostalgia dell’antico<br />

Catalogo Electa - www.electaweb.com<br />

Formato 24x28 cm<br />

Pagine 312<br />

Illustrazioni 250<br />

Prezzo in libreria euro 35<br />

A cura di Eugenia Querci e Stefano De Caro<br />

Sommario<br />

Pag. 19 Saggi<br />

Pag. 20 Nostalgia dell’antico. Alma-Tadema e l’arte<br />

neopompeiana in Italia.<br />

Eugenia Querci<br />

Pag. 40 Arte, archeologia e antichità:<br />

Alma-Tadema e Pompei<br />

Rosemary Barrow<br />

Pag. 54 I materiali archeologici nei quadri di<br />

Alma-Tadema: alcune considerazioni<br />

Nadia Murolo<br />

Pag. 70 Alma-Tadema e Napoli: incontri sui<br />

modelli dell’antico<br />

Luisa Martorelli<br />

scheda catalogo<br />

Pag. 86 Artisti, opere e mercato fra Napoli e Londra:<br />

appunti su Alma-Tadema, Amendola e Morelli<br />

Alba Irollo<br />

Pag. 98 I “pittori archeologi” nella Roma postunitaria<br />

e il signor Goupil<br />

Gianluca Berardi


ALMA<br />

TADEMA<br />

E LA NO<br />

STALGIA<br />

DELL’<br />

ANTICO<br />

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Pag. 110 Dall’Olimpo al Vesuvio: pittori vittoriani a Pompei<br />

Giuseppe Pucci<br />

Pag. 122 Questa rovina viva: Pompei nella letteratura del<br />

secondo ottocento<br />

Eric M. Moormann<br />

Pag. 138 Fra Babilonia e Pompei.<br />

Teoria e immaginazione dell’antico<br />

Carlo Sisi<br />

Pag. 158 Il gusto neopompeiano nelle arti applicate<br />

Enrico Colle<br />

Pag. 168 Nostalgia dell’antico o nostalgia d’un contesto?<br />

Sale neopompeiane nel Museo Nazionale<br />

di Napoli tra 1864 e 1870<br />

Andrea Milanese<br />

Pag. 181 Opere<br />

Pag. 295 Apparati<br />

Pag. 296 Bibliografia generale<br />

Pag. 311 Referenze fotografiche


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Compagnia di SanPaolo<br />

scheda San Paolo<br />

STANZIATO UN CONTRIBUTO DI 100 MILA EURO A FAVORE DELLA<br />

DIREZIONE REGIONALE PER I BENI CULTURALI E PAESSAGISTICI DELLA<br />

CAMPANIA A SOSTEGNO DELLA MOSTRA<br />

“ALMA TADEMA A POMPEI. LA NOSTALGIA DELL’ANTICO”<br />

L’impegno per il 2007 nel settore arte<br />

Nel 2007 le azioni di restauro continuano ad assorbire un’ampia quota<br />

delle risorse che la Compagnia destina al patrimonio artistico. Tale scelta<br />

nasce dalla premessa che la riqualificazione dei monumenti e del paesaggio,<br />

applicata secondo logiche integrate, è in grado di generare valori<br />

aggiunti che consentono di migliorare la vita dei cittadini e sviluppare<br />

nuove opportunità.<br />

Accanto alle attività di restauro, un peso non secondario è riservato al<br />

tema della valorizzazione, declinato, da un lato, in termini di fruizione -<br />

attraverso il sostegno alle Associazioni che si adoperano per le visite guidate<br />

ai monumenti - dall’altro, in termini di conoscenza e sensibilizzazione<br />

di nuovi pubblici attraverso eventi di grande spessore culturale. Aree<br />

geografiche di intervento sono Torino, Genova e, per il Mezzogiorno, l’area<br />

di Napoli. Ad esse si affianca un impegno a valenza più capillare in<br />

Piemonte e in Liguria, con azioni mirate a potenziare e a sviluppare<br />

distretti culturali su cui fondare un’economia del turismo significativa e<br />

rispettosa dei luoghi.<br />

Continua il sostegno accordato al Programma Musei al fine di generare<br />

ricadute positive sullo spazio urbano e sui sistemi di governance del sistema<br />

museale del centro storico di Torino. Il maggior uso dello strumento<br />

dei bandi, ben tre nell’anno, e la rinnovata adesione all’Accordo Quadro in<br />

materia di Beni Culturali, hanno consentito di limitare la logica del “pronto<br />

soccorso”a favore di un’attività tesa al corretto equilibrio tra il recupero<br />

di complessi monumentali di eccellenza e la salvaguardia di “beni artistici<br />

minori”. Il tratto comune dell’attività del settore Arte rimane comunque<br />

l’impegno per trasformare l’insieme dei beni culturali in un patrimonio<br />

“noto”, e in questa chiave vanno letti gli interventi a favore di campagne<br />

di catalogazione e di riordino di archivi d’arte, e per sensibilizzare gli<br />

studiosi e gli abitanti delle singole città a una progettualità volta al rispetto<br />

dei valori e della cultura del territorio.<br />

Nel 2006 le iniziative sostenute nel settore Arte sono state 162 per un<br />

ammontare di 27,5 milioni di euro.


ALMA<br />

TADEMA<br />

E LA NO<br />

STALGIA<br />

DELL’<br />

ANTICO<br />

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Una fondazione per lo sviluppo della società<br />

La Compagnia di San Paolo, fondata il 25 gennaio 1563 come confraternita<br />

a fini benefici, è oggi una fondazione di diritto privato, tra le maggiori in<br />

Europa, con un patrimonio superiore a 9 miliardi di euro.<br />

Persegue finalità di interesse pubblico e di utilità sociale, allo scopo di favorire<br />

lo sviluppo civile, culturale ed economico delle comunità in cui opera<br />

ed è attiva nei settori della ricerca scientifica, economica e giuridica; dell’istruzione;<br />

dell’arte; della conservazione e valorizzazione dei beni e delle<br />

attività culturali e dei beni ambientali; della sanità; dell’assistenza alle categorie<br />

sociali deboli. Nel corso del 2006 la Compagnia ha effettuato stanziamenti<br />

per 880 iniziative nei settori istituzionali di attività per complessivi<br />

148,5 milioni di euro.<br />

Compagnia di San Paolo - www.compagnia.torino.it<br />

Corso Vittorio Emanuele II, 75 – 10128 Torino<br />

Tel. (+39) 011 5596911 – Fax (+39) 011 5596976<br />

info@compagnia.torino.it<br />

Enti strumentali della compagnia di San Paolo<br />

Fondazione per l’arte<br />

La Fondazione per l’Arte interviene nel settore dei beni culturali con<br />

modalità prettamente operative, che integrano e completano il profilo<br />

prevalentemente grantmaking della Compagnia. Il suo ruolo si delinea<br />

sempre più quale quello di “incubatore” di enti volti a presidiare aspetti<br />

peculiari della valorizzazione dei beni e delle attività culturali, della formazione<br />

e della gestione museale.<br />

www.fondazionearte.it<br />

Fondazione per la scuola<br />

La Fondazione per la Scuola è una struttura operativa che sviluppa progetti<br />

volti a promuovere una migliore qualità dell’istruzione, aiutare le scuole<br />

a valorizzare e gestire efficacemente le opportunità offerte dall’autonomia<br />

scolastica, facilitare la diffusione di buone esperienze, contribuire alla<br />

formazione degli insegnanti, sostenere il sistema educativo nel promuovere<br />

la crescita culturale, umana e sociale delle nuove generazioni.<br />

www.fondazionescuola.it


ALMA<br />

TADEMA<br />

E LA NO<br />

STALGIA<br />

DELL’<br />

ANTICO<br />

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Ufficio Pio della compagnia di San Paolo - Onlus<br />

Fondato nel 1595, l’Ufficio Pio svolge una funzione di sostegno a favore<br />

delle fasce più deboli di cittadini, mediante interventi destinati a persone<br />

e nuclei familiari in difficoltà, nell’area metropolitana torinese. L’Ufficio<br />

Pio, grazie all’azione di circa 200 Delegati riuniti in Associazione, opera sia<br />

come “Pronto Soccorso Sociale”, attraverso due sportelli dedicati, sia realizzando<br />

attività progettuali e percorsi finalizzati all’integrazione sociale.<br />

www.ufficiopio.torino.it<br />

Istituto superiore Mario Boella sulle tecnologie dell’informazione<br />

e delle telecomunicazioni<br />

Fondato nel 2000 dalla Compagnia e dal Politecnico di Torino, l’ISMB ha<br />

poi accolto i soci industriali Motorola, SKF, STMicroelectronics e Telecom<br />

Italia. Oggi è un Centro di Ricerca Applicata Industriale nelle tecnologie<br />

wireless con circa 250 ricercatori nelle aree Antenne e Compatibilità<br />

Elettromagnetica, e-Security, Fotonica, Microsistemi, Navigazione<br />

Satellitare, Networking, Tecnologie Radiomobili per Multimedialità.<br />

www.ismb.it<br />

Collegio Carlo Alberto<br />

La Fondazione Collegio Carlo Alberto è stata costituita dalla Compagnia e<br />

dall’Università di Torino e oggi è al centro di un sistema articolato nella<br />

didattica avanzata e nella ricerca in campo economico e politico-istituzionale.<br />

La sua attività è fondata sull’utilizzo di research fellows, assistant<br />

professors selezionati sul job market internazionale. L’attività di ricerca si<br />

articola anche nell’azione di cinque Unità di ricerca.<br />

www.carloalberto.org<br />

SiTI - Istituto Superiore sui Sistemi Territoriali per l’Innovazione<br />

Associazione senza fini di lucro fondata nel 2002 dalla Compagnia e dal<br />

Politecnico di Torino. Produce ricerca e formazione superiore orientate alla<br />

crescita socio-economica. Il compito principale di SiTI, sin dall’inizio della<br />

sua attività, è quello di offrire un supporto allo sviluppo innovativo dei sistemi<br />

territoriali attraverso ricerche basate su un approccio multidisciplinare.<br />

www.siti.polito.it

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