A Caorle il congresso nazionale 2008 Marisa Raciti - Distretto Lions ...

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DISTRETTO 108 Ta3 nel 1948 della Costituzione Comunista, anni vissuti in un clima di sospetti e di terrore crescente, sotto il controllo sempre più incombente dell’Avo, la temibile polizia segreta politica. La vittima più illustre di questo periodo fu il cardinale Jòzsef Mindzentj, Primate d’Ungheria, la cui condanna a morte fu poi commutata in ergastolo. E il racconto torna agli eventi del 56: il 30 novembre, svanito ormai definitivamente il breve sogno rivoluzionario, Okolicsànyi sale con il padre sul treno che lo avrebbe portato in Austria.. verso la libertà. Come tantissimi connazionali sperimenta così l’incerta e dolorosa esperienza dell’esilio, senza un approdo sicuro, senza risorse, senza punti di riferimento. Ma conosce anche il valore incommensurabile dell’amicizia e della solidarietà. Infatti una inaspettata quanto efficiente catena di solidarietà lo porta presto a Padova, dove Lajos riesce a realizzare il suo sogno di frequentare l’università e diventare medico. Padova sarà la sua seconda patria. “Chi ha aiutato me - conclude il professore - voleva in realtà ribadire e difendere il diritto inalienabile di ogni uomo ad essere libero”. È una grande lezione di dignità e coraggio quella del professor Okolicsànyi, che ha toccato tutti i cuori. Ma la più commossa di tutti è Ildiko Da Re, la socia ungherese del club Gaspara Stampa che ha organizzato questo incontro. Anche lei, che era una bambina nei giorni della rivoluzione, conserva ancora nitido il ricordo di quei momenti storici, di quella mattina in cui, accendendo la radio, sentì le voci inneggianti alla libertà riconquistata e alla cacciata dei sovietici, sottolineate dalle dolci note dell’inno nazionale: “Dio, benedici il popolo ungherese e dagli forza d’animo…”. 42 Rita Cardaioli Testa O L’ANGOLO DELLA PRO SENECTUTE L’anziano e i suoi valori gni epoca si è interrogata sul significato da dare alla vecchiaia. Il concetto di anzianità e vecchiaia ha avuto sempre una valenza contraddittoria. È nozione comune che nell’antichità gli anziani fossero circondati da grande rispetto, perché considerati saggi e depositari della storia della comunità. Tuttavia insieme a questo concetto e a questa considerazione sussisteva l’idea che l’anziano fosse un peso, qualcosa di inutile da abbandonare. Nell’isola di Geo in Asia Minore, i vecchi bevevano un decotto di cicuta, come fece Socrate, allo scopo di poter sfamare al loro posto le nuove vite, che nel frattempo venivano alla luce. Tradizione cantata dal poeta greco Bacchilide come da G. Pascoli nei Poemi Conviviali. Questo concetto di inutilità a distanza di 2400 anni è stato ripreso da Arthur Miller, celebre drammaturgo statunitense, - che narra la parabola finale della vita di un commesso viaggiatore, che ha perduto il suo lavoro per là raggiunta anzianità, si suicida per permettere ai suoi eredi di godere il premio di assicurazione. Una concezione estrema per cui l’anziano vale più da morto che da vivo. In conclusione l’ambiguità di questo tempo dell’esistenza umana che Lévi-Strauss chiama la “Vita breve”, accompagna tutta la storia dell’umanità. Il più grande esaltatore di questo periodo è Cicerone che nel suo libro “Cato Maior - De Senectute” esprime la convinzione nella vitalità fisica ed intellettuale dell’anziano e nella sua capacità di dare un contributo alla vita anche quando sembra che questa stia per abbandonarlo. Questa valutazione contraddittoria della anzianità-vecchiaia si ritrova e rinnova continuamente. Infatti, in una recente intervista di Tiziano Treu, pubblicata sulla rivista “L’Impresa” del marzo 2007 l’ex ministro ricordava che in Italia abbiamo oltre due milioni di persone occupabili, tra i 50 e i 60 anni, con un dato in crescita, il che si accompagna ad un tasso di occupazione femminile che è i 2/3 di quello che bisognerebbe avere ed a un tasso di occupazione degli anziani che è metà di quello che occorrerebbe. Questo contraddice nella pratica lo slogan, che gli anziani sono una “risorsa”. Il ministro infatti, ricorda “che si fanno tanti discorsi sulle risorse umane e poi si continua a cercare di liberarsi di un cinquantenne per prendere un “ragazzetto”, con contratto a termine o un co.co. co. in frode alla legge”. È giunto il momento di superare questa ambiguità, sempre in agguato. Bisogna fare di più per agevolare il lavoro degli anziani. Forti dell’idea che una buona vecchiaia poggia su una buona gioventù, bisogna prepararsi per tempo al momento che quella irrompa nella vita e la modifichi. Il momento di crisi è quello in cui la persona perde il suo ruolo sociale ed economico. In questo momento la persona va accompagnata. Ma pensando ad una preparazione di lungo periodo occorre abituarsi ad una maggiore elasticità della vita che permetta di seguire altri percorsi oltre a quello che è stato principale nell’esistenza passata. Si deve insistere sull’educazione permanente. Per le fascia più anziana occorre inventare sempre nuove modalità di istruzione e di passatempo in modo da utilizzare il tempo nel modo migliore. Soprattutto nel campo del prendersi cura dell’anziano è sempre più necessaria la collaborazione tra pubblico e privato che vale anche
a sburocratizzare un campo dove i sentimenti contano più delle regole pur necessarie. In conclusione il nostro avvenire non consiste in un’immortalità fisica. V erdi l’immaginava attraente, provocante, fors’anche immersa nell’aura vagamente peccaminosa di un boudoir, ma la censura arcigna del 1853 lo costrinse a vestire la sua Dama delle camelie quasi come un’educanda. E così La Traviata , dopo l’incerto esordio veneziano, è stata per anni protagonista di un drammone amoroso ottocentesco capace di suscitare emozioni strappalacrime. Non così la Violetta di Robert Carlsen, che ha inaugurato la nuova Fenice nel 2004 suscitando scandalo e clamori e che si è ripresentata nell’aprile scorso sul palcoscenico del teatro lagunare in un trasparente negligé che lasciava ben poche cose all’immaginazione dello spettatore. Una Traviata che percorre la sua parabola di lusso e di lussuria e che muore in miseria tra l’indifferenza degli amici impegnati in un invadente baccanale e l’andirivieni gli imbianchini che già ristrutturano la sua camera. Commenti di sorpresa in sala, ma un grande successo di pubblico e di critica che il regista canadese ha bissato nell’attuale stagione lirica dello spendido teatro veneziano dirigendo ben tre compagnie in una serie di repliche che, dopo una “prima” saltata per motivi sindacali, hanno registrato il tutto esaurito con largo anticipo. Gradito omaggio a Lions e Rotary club la prova aperta del 18 aprile, impeccabilmente organizzata dall’officer Lions Fernando Albano, che ha saputo ancora una volta offrire al distretto Ta3 l’opportunità di assistere a uno spettacolo LIRICA/ALLA FENICE Scandalosa Traviata DISTRETTO 108 Ta3 La vera qualità della vita “si trova in una società accogliente e fraterna, dove ciascuno di noi troverà il suo posto fino al suo ultimo giorno, che sarà capace di assicurare a tutti, allontanando d’eccezione. Certo, perché , benché di una prova si trattasse, Maria Luigia Borsi è stata una Violetta coinvolgente e dotata del fisico del ruolo, Dario Schmunck un passionale Alfredo, mentre Vladimir Stoyanov, forse un po’ troppo ingessato nel moderno doppiopetto grigio ha sfoderato la sua calda voce offrendoci un Giorgio Germont severo ma rassicurante. Robert Caresen cala la protagonista nella società moderna, mondana e festaiola, in cui niente si fa per niente. Il sesso, ma soprattutto il denaro la fanno da padrone in questo mondo, frivolo e fragile. Il denaro è dovunque: nel preludio quando i clienti ricompensano Violetta; nel bosco di betulle disegnate sul fondale che rappresentano la sua dimora di campagna, dove al Il palco d’onore della Fenice TEMPO DI LIONS l’angoscia e la solitudine troppo spesso quotidiane, una vecchiaia felice in una vita che termini dolcemente”. Giancarlo Rossi posto di foglie cadono banconote; in Germont padre che anch’esso paga Violetta per lasciare il figlio. Persino in Annina che paga il dottore dopo che ha visitato per l’ultima volta la donna morente. Una Traviata scandalosa e senza speranza quella che Carlsen ha voluto offrire ai lions, che hanno ascoltato attentamente le musiche, guardato altrettanto attentamente scene e personaggi, sentenziato – forse più per obbligo verso le mogli che li accompagnavano che per intima convinzione – che il regista ha spinto un po’ troppo sull’acceleratore del buon gusto. Impeccabile la direzione di Paolo Arrivabeni, che ha saputo far vibrare le corde più sensibili, accompagnando gli artisti in un crescendo vocale che si è esaltato nel secondo e terzo atto. Inappuntabili le scene e i costumi di Patrick Kinmonth, l’orchestra e il coro del Teatro La Fenice. Uno spettacolo da discutere, ma rivedere. Dario Nicoli 43
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