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ARTROSI E ARTRITE REUMATOIDE

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Lezione di Ortopedia del 10 Aprile 2003, ore 14.00 – 16.00<br />

La trascrizione della registrazione si compone di 13 pagine, [lo sbobinatore vi parlerà in corsivo tra<br />

parentesi quadre]<br />

La lezione è stata tenuta dal dr. Bigoni (il quale usava una presentazione Powerpoint, ma ha gentilmente concesso<br />

alcune immagini: 4 incluse e 6 consultabili via sito, con link nel testo)<br />

ATTENZIONE PER LA STAMPA: il testo contiene immagini a colori, selezionate quindi “Bianco e Nero” tra le<br />

Proprietà di Stampa, se credete<br />

<strong>ARTROSI</strong> E <strong>ARTRITE</strong> <strong>REUMATOIDE</strong><br />

Lezione bellissima ed interessantissima sull’Artrosi ed Artrite Reumatoide. Cercate di non<br />

addormentarvi; se avete domande o cose da chiedere interrompete pure [nemmeno una<br />

interruzione], cerchiamo di andare un po’ spediti.<br />

Le nozioni di anatomia diamo per scontato che le sappiate.<br />

Velocemente, dal punto di vista microstrutturale vediamo come è fatta la cartilagine articolare. È<br />

costituita da diversi strati:<br />

1. quello più superficiale, la cosiddetta lamina splendens, che vedete quando aprite<br />

un’articolazione; è bianca, madreperlacea; microscopicamente acellulare<br />

2. strato tangenziale; fibrille collagene aggregate a proteoglicani e condrociti (cellule ovalari<br />

proprie della cartilagine)<br />

3. strato di transizione; con fibre disposte in maniera differente<br />

4. strato radiale; disposizione dei condrociti a colonna e con le fibre collagene intrecciate sui<br />

diversi piani: somiglia di più alla superficie ossea, perché ha come delle trabecolature.<br />

5. linea di demarcazione detta tide-mark che è uno strato più calcificato, più vicino alla<br />

superficie ossea, è la zona basale della cartilagine articolare, ha funzione di supporto anche<br />

vascolare. È il “passaggio” per l’osso subcondrale.<br />

Sapete che la cartilagine articolare ha la funzione di permettere lo scorrimento dei capi articolari, di<br />

ridistribuire i carichi anche in virtù di questi differenti strati che in termini meccanici possono<br />

assolvere a tutte le funzioni che la cartilagine ha. Essa non è innervata, non può quindi di per sé<br />

dare sintomatologia dolorosa; nelle patologie che vedremo dove il dolore è una delle situazioni<br />

dominanti, esso non è dato dalla lesione cartilaginea, ma lì si avverte, soprattutto nelle articolazioni<br />

sottoposte a carico, quando già esiste una lesione sufficientemente importante della cartilagine da<br />

non ridistribuire più i carichi come in natura dovrebbe essere determinando quindi situazioni di<br />

sovraccarico sull’osso sottostante: questo sì è riccamente vascolarizzato ed innervato ed è sensibile<br />

alle modificazioni, immediatamente manda impulsi dolorosi. Quindi, quando vi ritrovate con un<br />

paziente con una lesione che si suppone esser articolare, sintomatica….da tempo… dovete pensare<br />

che ci sia una situazione lesiva così importante da non essere più capace di proteggere l’osso<br />

sottostante.<br />

Dal punto di vista ultrastrutturale abbiamo gli aggregati di Proteoglicani (Cheratan-Solfato,<br />

Condroitin-Solfato) si legano all’asse di Acido Ialuronico con proteine di collegamento. Questi<br />

hanno una grossa capacità di legare acqua, perché sono molecole elettronegative, legami fisici e<br />

chimici contribuiscono a dare resistenza ed elasticità, due caratteristiche fondamentali della<br />

cartilagine articolare.<br />

L’unità costitutiva della cartilagine è come una piccola unità funzionale, che si modifica: a riposo è<br />

rigonfia, con massima capacità di ammortizzazione; quando c’è carico, si deforma distribuendo le<br />

forze su tutte le superfici circostanti, e questo grazie alla sua struttura microfibrillare.<br />

1


Artrosi<br />

Delle patologie che trattiamo oggi, questa è la più importante soprattutto come incidenza. È una<br />

patologia degenerativa cronica che può avere interessamento mono o poliarticolare. È caratterizzata<br />

da classiche alterazioni della cartilagine e dell’osso subcondrale, e da fenomeni flogistici reattivi ed<br />

incostanti soprattutto a livello della membrana capsulo-sinoviale.<br />

Nelle artriti, a differenza che nelle artrosi, predominano fenomeni di natura infiammatoria<br />

soprattutto a carico della membrana sinoviale per la ricca vascolarizzazione, nell’artrosi<br />

predominano fenomeni degenerativi, per lo più a carico della cartilagine articolare.<br />

L’artrosi ha un’incidenza elevatissima: 80% in soggetti tra 50 e 65aa, molto sintomatica ed<br />

invalidante; il 20% delle femmine ed il 15% dei maschi è sintomatico, con sintomatologia tipica.<br />

L’invecchiamento non è sinonimo di malattia artrosica. È vero che essendo una patologia<br />

degenerativa ha una maggiore incidenza in seconda terza età, ma di per sé l’individuo vecchio non è<br />

per forza artrosico.<br />

La distribuzione a livello articolare è la seguente, la rivediamo dopo.<br />

Dal punto di vista della classificazione non ci soffermiamo molto però vedete che interessa tutti i<br />

distretti, con situazioni particolari. L’Artrosi può essere:<br />

• Primaria o idiopatica<br />

o localizzata (mani, piedi, ginocchio, anca, colonna, spalla, temporo-mandibolare,<br />

caviglia)<br />

o generalizzata (almeno 3 sedi)<br />

ß prevalentemente piccole articolazioni<br />

ß prevalentemente grandi articolazioni<br />

ß mista<br />

(la colonna in questi casi è quasi sempre interessata dai fenomeni artrosici)<br />

• Secondaria<br />

o post-traumatica (fratture articolari possono accelerarne l’insorgenza)<br />

o da malattie congenite, acquisite, dello sviluppo (ortopediche, tipo le deviazioni<br />

assiali come varismo o valgismo, malattie dell’anca, epifisiolisi; ma anche<br />

condizioni mediche generali)<br />

o da deposito di sali di calcio (condrocalcinosi; artropatie secondarie destruenti, di<br />

spalla e ginocchio)<br />

o da altre malattie osteoarticolari (osteonecrosi asettica, ad eziopatogenesi<br />

microvascolare; morbo di Paget; artrite infettiva tubercolare; morbo di Charcot;<br />

artrite reumatoide; spondiloartriti; osteocondromatosi)<br />

Come vedete le malattie che danno artrosi precoce sono tra le più diverse.<br />

Dal punto di vista eziopatogenetico si è visto che esiste una predisposizione genetica per l’artrosi.<br />

Nella condrodisplasia lieve è accertata, e il gene responsabile sembra quello codificante per il<br />

procollagene II , che è difettoso per sostituzione di una base in posizione 519 sulla catena a 1-2, e la<br />

sostituzione è arginina-cisteina [informazione che comunque non riterrei indispensabile…], ciò<br />

sembrerebbe dare una particolare debolezza e fragilità alla situazione strutturale. I questi pazienti è<br />

dimostrato inoltre un aumento dell’attività degli enzimi proteolitici condrocitari (collagenasi e<br />

proteoglicanasi). Sia eventi meccanici che eventi metabolici agiscono, quindi, sul condrocita.<br />

2


L’alterazione anatomopatologica che per prima si apprezza è uno sfibrillamento della cartilagine,<br />

con fissurazioni superficiali parallele alla superficie ossea, che in seguito si approfondiscono<br />

divenendo ortogonali rispetto al piano osseo. Dal punto di vista microscopico si dispongono attorno<br />

alle fessure, si pensa al fine di rispondere alla lesione.<br />

Inizialmente, la cartilagine apparentemente normale dei pazienti artrosici presenta già delle<br />

modificazioni dell’attività metabolica con sofferenza cellulare importante, che arriva a quadri di<br />

necrosi dei condrociti, che in termini temporali precede la comparsa delle lesioni macroscopiche.<br />

La matrice della cartilagine articolare sfibrillata presenta una diminuzione della concentrazione di<br />

collagene e proteoglicani, i fattori coinvolti nell’infiammazione della sinovia sono pure importanti,<br />

non è ancora chiaro però il loro ruolo patogenetico, probabilmente l’iniziale tentativo di riparazione<br />

diventano poi causa di ulteriore danno.<br />

Diversi fattori:<br />

• l’interleuchina [non è dato sapere quale], che stimola condrociti e osteoblasti, determina la<br />

secrezione di proteasi che non hanno però un’azione agonista-inibitore giusta e quindi come<br />

esito finale danno una degradazione della cartilagine e dell’osso subcondrale.<br />

Dal punto di vista dell’EZIOPATOGENESI bisogna tenere presente diversi fattori:<br />

• il sovraccarico meccanico innanzitutto, classicamente la donna bassa, grassa anzi obesa… è<br />

un fattore importante<br />

• l’inadeguatezza delle strutture articolari che sono incapaci di tollerare i carichi<br />

• gli esiti di traumi o malattie osteoarticolari, come abbiamo già visto<br />

• malattie metaboliche<br />

• malattie endocrine<br />

• malattie che coinvolgono in qualche modo le strutture articolari<br />

In questo senso c’è un superamento della soglia costruttiva articolare da parte di stimoli meccanici e<br />

non si è più in grado di riparare le piccole lesioni, c’è una sintesi aumentata di alcuni fattori come<br />

citochine, fosfatasi alcalina, neuropeptidi ad azione stimolante del catabolismo cartilagineo, attività<br />

osteoblastica, rimaneggiamento dell’osso subcondrale. Come saprete, su questi tessuti [osso e<br />

cartilagine], il danno è dovuto al grosso riassorbimento, dato da uno squilibrio tra catabolismo e<br />

sintesi: stiamo per vedere quadri anche piuttosto importanti.<br />

Abbiamo anche come possibilità un cedimento a livello della cartilagine articolare della rete delle<br />

fibrille collagene, viene quindi a mancare la struttura che ripartisce il carico e che protegge l’osso.<br />

Si vedono anche quadri anatomopatologici di iperidratazione con diluizione dei proteoglicani e<br />

penetrazione dei soluti: sequestro di questi che determinano reazioni esagerate in termini<br />

metabolici.<br />

Macroscopicamente abbiamo la fibrillazione progressiva della cartilagine, che poi diviene anche<br />

visibile ad occhio nudo; sclerosi, osteofitosi; formazione di cavitazioni geodiche nell’osso<br />

subcondrale; reazione infiammatoria sinoviale importante (iperemia, aumento di volume), estesa al<br />

liquido sinoviale. Dapprima modesta e localizzata, questa infiammazione sinoviale diviene via via<br />

più importante. C’è anche un coinvolgimento del<br />

sistema immunitario perché vengono esposti antigeni<br />

segregati: ciò dà un aggravamento progressivo ed<br />

irreversibile delle lesioni, che non riescono più ad<br />

essere riparate.<br />

Ficat ha descritto queste lesioni della cartilagine<br />

in termini macroscopici, dando il nome ad una<br />

specifica classificazione in quattro quadri<br />

progressivi.<br />

1. Edema della cartilagine (accumulo di acqua e<br />

perdita di proteoglicani), che si rammollisce<br />

3


2. Stadio della Fibrillazione (rottura delle<br />

fibrille collagene), c’è disidratazione<br />

3. Ulcerazione (con disidratazione e lesioni<br />

sempre più profonde). C’è abrasione, l’osso<br />

inizia a divenire sclerotico ed iperemico, ma<br />

non è ancora esposto, c’è una cartilagine<br />

residua che lo protegge.<br />

4. a questo punto il meccanismo è irreversibile,<br />

l’osso non è più capace di sopportare il<br />

carico meccanico: nel tentativo di<br />

distribuirlo su di una superficie più ampia si<br />

determina un’Eburneizzazione dell’osso<br />

subcondrale (aumento della densità e diminuzione della vascolarizzazione), con rigidità. Ciò<br />

avviene più volentieri nelle zone di maggior carico, specie nelle grandi articolazioni, dove<br />

sono più evidenti. L’osso subcondrale può sviluppare microfratture con reazione marginale e<br />

formazione di osteofiti (misti osteo-cartilaginei): questi si formano ai margini delle zone<br />

sottoposte a carico, sia come tentativo di riparazione, sia come tentativo di aumentare la<br />

superficie per ridistribuire le forze. Si formano in questa fase anche i geodi, cavitazioni<br />

ripiene di liquido o tessuto fibroso: sono esito di un “risparmio” dell’osso che, nel tentativo<br />

di avere maggior resistenza in alcune zone, realizza un grosso riassorbimento in altre.<br />

In microscopia, rivediamo che la cartilagine in preda a questi fenomeni cerca di reagire con gruppi<br />

isogeni di condrociti, ipertrofia, aumento metabolico, produzione di collagene, proteoglicani<br />

immaturi che si rompono…<br />

La precipitazione dei cristalli di idrossiapatite, importante a contatto con la membrana, provoca<br />

l’infiammazione cronica, con liberazione di ulteriori enzimi condrolitici, che non fanno altro che<br />

aumentare il danno.<br />

Sulla membrana sinoviale si sviluppa una ipertrofia villosa. Nelle fasi avanzate, in articolazioni<br />

sottoposte ad intervento chirurgico spesso si vedono ipertrofie villose. C’è anche la sinovite villonodulare<br />

che è una lesione precancerosa, spesso può accompagnare questi gradi avanzati di artrosi e<br />

le artriti croniche. La lesione non è solo villosa ed iperemica, ma addirittura questi villi sono di<br />

natura degenerativa maligna: nerastri, con atipie cellulari… ecc… C’è anche una neoangiogenesi (a<br />

differenza dell’osso), fino ad arrivare alla sinovite cronica con infiltrato linfomonocitaria e<br />

plasmacellulare. In alcuni casi i detriti osteocartilaginei danno luogo a reazioni da corpo estraneo<br />

con formazioni di inclusi. Completano il quadro aspetti regressivi come la metaplasia condroide,<br />

fibrosclerosi delle pareti… possono staccarsi alcuni frammenti e bloccare addirittura l’articolazione<br />

(si parla soprattutto di grandi articolazioni).<br />

La reazione sinoviale che si approfonda va ad interessare la capsula articolare, l’ultima delle<br />

strutture interessate: degenerazione fibrosa, ispessimento importante, rigidità capsulare (uno dei<br />

meccanismi che induce il dolore a riposo), retrazione. Quest’ultima determina una riduzione<br />

dell’articolarità che favorisce un’usura ancora più rapida della cartilagine residua: spesso il paziente<br />

artrosico vi riferisce un aumento della rigidità mattutina che scompare con l’uso, e ciò e dovuto al<br />

meccanismo della capsula sopra descritto. Le grandi articolazioni con il movimento riescono anche<br />

a cambiare il liquido articolare, e siccome la struttura cartilaginea si nutre con il liquido sinoviale,<br />

una buona composizione di questo, con un adeguato ricambio e una buona lubrificazione, permette<br />

la riparazione di una lesione iniziale; viceversa, una retrazione capsulare, con un usura rapida, e uno<br />

scarso ricambio del lubrificante/nutritizio articolare porta ad una rapida degradazione.<br />

Il liquido sinoviale quindi è poco presente, con reazioni leucocitarie, molto viscoso, localmente può<br />

coesistere un difficoltoso drenaggio venoso con congestione del circolo, trasudazione a livello<br />

4


extracapsulare: questo concorso di cause può favorire l’instaurarsi di versamento articolare. I<br />

versamenti articolari, che sembrerebbero un controsenso parlando di liquido sinoviale insufficiente,<br />

sono infatti solo un’ulteriore tentativo di reazione maldestra ed esagerata. Certe volte vi capita un<br />

paziente con artrosinovite senza trauma, potete sospettare un inizio di artrosi, che può ancora non<br />

darvi segni radiologici, e che si rende evidente con il versamento per questo meccanismo di<br />

irritazione della sinovia (stasi, iperemia e accumulo extracapsulare).<br />

L’osso subcondrale perciò diventa eburneo, sclerotico; c’è un addensamento del sistema<br />

trabecolare, perché si ha una riduzione dell’area di contatto: l’incongruenza articolare e la retrazione<br />

legamentosa diminuiscono la capacità di scorrimento dei capi. È come se la forza di carico fosse<br />

limitata alla zona già lesa, e ciò peggiora ancor più la lesione. Nell’osso subcondrale possiamo<br />

avere microfratture trabecolari, collasso delle strutture portanti; l’eburneizzazione è solo la fine di<br />

questi fenomeni di necrosi, riassorbimento e limitazione vascolare. In ultima analisi questo è il<br />

motivo dei geodi; essi sono di 1 cm o più (nelle teste femorali anche geodi vicini ai 2cm), possono<br />

essere comunicanti tra di loro, aperti verso l’articolazione e perciò ripieni di liquido sinoviale; più<br />

spesse sono però degenerativi, pieni di tessuto fibroso dato dal riassorbimento dell’osso.<br />

Nelle zone non sottoposte a carico i vasi penetrano nella cartilagine e danno luogo alla produzione<br />

di nuovo tessuto con gli osteofiti. Essi non saranno mai nelle zone sottoposte a carico: non<br />

potrebbero nascere né crescere.<br />

SINTOMATOLOGIA DELL’<strong>ARTROSI</strong><br />

• Limitazione funzionale<br />

• Dolore<br />

Talvolta anche quadri drammatici possono essere sintomatologicamente silenti, o avere al massimo<br />

una piccola riduzione dell’articolarità, anche senza dolore.<br />

L’indicazione per la terapia chirurgica (protesi articolare) è data esclusivamente dal dolore. Questo<br />

perché il paziente protesizzato non avrà comunque mai una articolarità come il normale, perciò la<br />

limitazione funzionale da sola non costituisce un’indicazione sufficiente per proporre la protesi. Il<br />

dolore a riposo, continuo, sintomatico… il paziente che piange giorno e notte è l’indicazione.<br />

Il dolore articolare fugace, dopo sforzo può far capire che siamo in uno stadio intermedio. Qui<br />

potete trovare i quadri radiologici tra i più svariati (abbiamo visto che sono molto indicativi, in<br />

questa fase), importante è soprattutto la sintomatologia riferita: una lunga camminata scatena la crisi<br />

dolorosa… ha preso il classico antinfiammatorio e sta bene… L’utilizzo dell’antinfiammatorio è<br />

importante anche per fare diagnosi: il paziente che viene a farsi vedere per la prima volta, che sa<br />

tutto, che ha il vicino già operato, viene già preparato, sa vita morte miracoli della protesi… per<br />

capire com’è il suo dolore, com’è la gravità, la domanda da fare è “Quante volte prende l’Aulin al<br />

giorno/alla settimana?”. Consideriamo anche mogli apprensive e mariti che dicono di non sentire<br />

male pur soffrendo… tutte queste cose vanno prese in considerazione.<br />

Radiograficamente poi si cerca una conferma alla diagnosi clinica, ma la lastra non costituisce da<br />

sola indicazione all’intervento: trattiamo i pazienti e non le radiografie.<br />

Possono avere un significato patogenetico l’attività lavorativa, il peso, lo stile di vita, problemi ad<br />

altre articolazioni (che in un quadro iniziale vanno corretti per rallentare la patologia). In casi di<br />

artrosi non grave, per persone anziane si consiglia per esempio l’utilizzo del bastone, che riequilibra<br />

i carichi, può aiutare ad alleggerire l’articolazione lesa, conferisce sicurezza: importante<br />

quest’ultimo fattore perché la paura del dolore/di cadere fa limitare i movimenti e peggiora lo stato<br />

dell’articolazione malata (specie anca e ginocchio), che deve essere mantenuta un po’ in esercizio. I<br />

condroprotettori [farmaci-], per chi ci crede, possono essere di aiuto. Da monitorare situazioni<br />

cliniche comuni come diabete, iperlipidemia, disendocrinie od altro.<br />

5


CLASSIFICAZIONE DEL DOLORE<br />

In base alla modalità di insorgenza:<br />

• da carico (già visto)<br />

• da avvio (classicamente delle fasi iniziali)<br />

• notturno (picco al mattino a causa di scarso drenaggio venoso, si risolve con il movimento)<br />

• a riposo (continuo, tipico dalla fase avanzata, per tutti coloro che hanno una infiammazione<br />

articolare marcata: capsula, tessuti vicini e tutto il resto). anche nevralgico per<br />

interessamento dei grossi nervi che decorrono molto vicini (es. anca/sciatico: attenzione alla<br />

diagnosi differenziale con le artrosi/discopatie di colonna, qui!)<br />

RADIOLOGIA<br />

L’esame radiografico standard rappresenta ancora oggi la metodica più utilizzata, di per sé più<br />

che completo. Dell’artrosi vediamo tutto quello che abbiamo descritto fino ad ora: osteofiti,<br />

riduzione della rima (per l’assottigliamento dello strato condrale), erosioni, geodi, calcificazioni di<br />

tessuti molli (immagini radiopache intra-extrarticolari, calcificazioni muscolari), osteonecrosi.<br />

La classificazione scolastica del radiogramma dell’artrosi è la Kellgren-Lawrence:<br />

1. osteofiti al margine articolare<br />

2. ossificazioni periarticolari e muscolari, e delle interfalangee prossimali e distali<br />

3. riduzione dello spazio articolare con sclerosi dell’osso subcondrale<br />

4. pseudocisti o geodi con sclerosi della parete, subcondrali o immediatamente sotto<br />

5. deformità finale dell’osso, soprattutto la testa femorale può risultare deformata, appiattita,<br />

allungata…<br />

Passando ad alcuni quadri, in questa lastra di coxartrosi supporrete che qualche problema ci sia:<br />

c’è già come vedete un atteggiamento di abduzione ed extrarotazione compensatoria. Visitando il<br />

paziente vedrete probabilmente anche un accorciamento di questo arto… infatti solo per la perdita<br />

delle due componenti cartilaginee (cefalica ed acetabolare) possono fare accorciare l’arto anche di<br />

un centimetro, poi c’è anche l’erosione dell’osso. Qui c’è di tutto: geodi, osteofiti di tutte le<br />

forme… la zona di carico può essere individuata come una specie di cupola in alto, anche se questa<br />

lastra è un po’ chiara: vedete che la rima articolare non c’è più, c’è una grossissima sclerosi non<br />

solo della testa ma anche e soprattutto dell’acetabolo (che chiaramente è reattiva, come visto<br />

prima), vedete che l’arto è un po’ extraruotato [mi sa che qui pretendi, Bigoni!] nel tentativo di<br />

supplire al dolore, il paziente cerca di risparmiare la zona dolorosa modificando l’assetto, cerca di<br />

procrastinare l’insorgenza dolorosa [puoi localizzare queste cose nella stessa lastra “animata”], è<br />

chiaro che però si approfondisce la lesione che può anche aprirsi sulla testa.<br />

Poi vedete una testa di femore rimossa, tagliata e aperta come una mela [attenzione: è da vomito]:<br />

vedete l’osso subcondrale, completamente diverso dalla situazione midollare; la presenza dei geodi,<br />

ripieni di tessuto fibroso; vedete gli osteofiti; la fine della testa sul collo, in basso nella fotografia.<br />

Vi accorgete delle erosioni sulla superficie: lo strato cartilagineo non c’è quasi più, vedete lo strato<br />

cartilagineo [azzarderei proprio sotto la “O” di S.Gerardo del lenzuolo sotto, ma lascio a voi<br />

l’ardua sentenza]… che invece è assente soprattutto nella zona di carico che, se guardate bene, non<br />

è neppure tonda ma deformata.<br />

Questa è un’altra testa, vista dall’esterno: vedete la fissurazione, vedete poi la zona di cartilagine e<br />

la zona che ne è priva (la zona di carico): la frizione con la zona acetabolare ha portato all’erosione<br />

della cartilagine, e in un secondo tempo dell’osso sottostante: vedete come è deformata la testa? Da<br />

questo punto la zona erosa può ampliarsi, e i geodi aumentare (sia come dimensione che come<br />

numero). [proietta immagini anatomo-patologiche di altre teste femorali] La zona sottoposta al<br />

carico, nel punto più alto della “cupola”, è sempre erosa: l’articolazione normale utilizza tutta la<br />

6


superficie articolare, queste qui appoggiano solo in questo punto: il bordo dove “ricomincia” la<br />

cartilagine può determinare situazioni di scatto (anche dolorose).<br />

La distribuzione dell’artrosi nei vari distretti<br />

vede la colonna quasi sempre interessata, sia a<br />

livello cervicale (30%) che a livello lombare<br />

(36%), l’anca è molto gettonata (25%, uno su<br />

quattro), il ginocchio più o meno in condizioni<br />

simili. Le altre articolazioni, meno interessate,<br />

possono essere comunque fastidiose: la caviglia<br />

dà artrosi quasi sempre post-traumatica, specie<br />

per traumatismi ripetuti o giovanili.<br />

La grossa incidenza di interventi chirurgici è<br />

data, comunque, da anca e ginocchio.<br />

<strong>ARTROSI</strong> LOCALIZZATE<br />

1) COX<strong>ARTROSI</strong><br />

L’artrosi d’anca è un’artrosi secondaria a<br />

displasia, trauma, epifisiolisi, osteonecrosi,<br />

malattia di Perthes [osteocondrosi]; la variante<br />

idiopatica o primitiva rappresenta il 20% circa<br />

di tutte le coxartrosi. Fattori di rischio: nella<br />

maggior parte dei pazienti è riconoscibile la<br />

displasia, che già deve essere considerata una pre-artrosi, perché nel tempo porta ad un’alterata<br />

funzione dell’articolazione, con le lesioni che abbiamo descritto. Dal punto di vista della<br />

prevenzione (della displasia), è importante l’ecografia al secondo mese dalla nascita: oggi si fa di<br />

routine, a tutti i bambini, perché la prevenzione della displasia può prevenire l’insorgenza di<br />

coxartrosi secondaria a questo fenomeno. L’obesità non è un fattore di rischio così incisivo però è<br />

chiaro che l’aumento del peso nelle fasi avanzate di malattia aumenta la velocità di degradazione<br />

della cartilagine articolare.<br />

Ha una sintomatologia classica che fa il suo esordio di norma alla quinta decade di vita, il sesso<br />

femminile è sempre il più colpito. Si ha un artrosi iniziale con senso di pesantezza, rigidità<br />

muscolare con dolore d’avvio. Poi, in una fase più importante si ha il dolore da carico, che peggiora<br />

con la fatica (pause nelle camminate). come localizzazione, il dolore è riferito all’anca, alla coscia:<br />

ricordatevi che uno dei dolori d’allarme, che va indagato sempre come possibile inizio, è il dolore<br />

sull’esterno del ginocchio (3° distale di coscia), riferito, di natura infiammatoria periarticolare.<br />

Nelle fasi successive viene poi riferito alla radice della coscia fino alla sua parte mediale, alla zona<br />

trocanterica, alla zona inguinale. La posizione antalgica, come abbiamo visto, nelle fasi iniziali può<br />

essere in abduzione ed extrarotazione mentre nelle fasi avanzate è sempre in extrarotazione, ma con<br />

la partecipazione di una flessione. Alla fine, nelle fasi avanzate c’è una vera e propria contrattura in<br />

flessione ed abduzione; con dolore ad utilizzare l’anca che produce zoppìa tipicamente diffusa. C’è<br />

anche dolore lombare da movimento di compenso, che compare inizialmente al ginocchio.<br />

All’esame obiettivo, si riduce l’intrarotazione, poi l’extrarotazione, infine la flesso-estensione:<br />

tenete presente che un paziente che ha una flessione dolente intorno ai 90° ha un’importante<br />

sintomatologia dolorosa, ed insieme ad essa è uno dei segni utilizzati per porre l’indicazione<br />

chirurgica: non avere una flessione oltre i 90° dell’anca vuol dire fare fatica a fare i gradini, a fare la<br />

bicicletta… movimenti a cui molti sono legati e quindi è ridotta abbastanza la qualità di vita.<br />

C’è un’ipotrofia muscolare, sicuramente della coscia e dei muscoli glutei; c’è poi il segno di<br />

Trendelenburg che dovete ricordarvi: è una dislocazione della pelvi controlaterale apprezzabile<br />

7


come apparente discesa del gluteo omologo: è l’insufficienza del medio gluteo che determina<br />

questo segno, facendo camminare il paziente avrete una caduta del bacino, come segno di<br />

compenso.<br />

Radiologicamente, i primi segni sono gli osteofiti, in corrispondenza della fovea capitis; il<br />

riconoscimento tempestivo della osteofitosi (più marcati nella zona apicale e nella zona inferiore<br />

dell’acetabolo, vicino al tetto) e della riduzione della rima può essere facilitato dall’esecuzione della<br />

proiezione assiale: all’anteroposteriore l’immagine si sovrappone e inizialmente non vediamo nulla,<br />

l’assiale dell’anca va sempre chiesta nelle fase iniziali; la sclerosi subcondrale è più visibile nelle<br />

zone di carico craniali. Poi ci sono le cisti geodiche (come visto prima), presenti sia nella testa che<br />

nel cotile: anche nell’acetabolo sono presenti, anche se ovviamente non le abbiamo potute tagliare e<br />

fare vedere, ci sono. [mostra atri quadri radiografici fino all’anchilosi].<br />

Per la terapia medica FANS e anti-cox2, per aumentare la fase di latenza dell’intervento; poi ci<br />

sono le terapie fisiche che però oggi non hanno molta fortuna perché siamo in una fase molto<br />

chirurgica dell’ortopedia dell’anca (ormai si operano anche i sani) [però non era proprio quello<br />

che sosteneva prima…]: a volte si passa, forse troppo spesso, alla terapia chirurgica subito.<br />

La terapia chirurgica si fonda sull’artroprotesi o protesi totale: a differenza delle fratture<br />

prossimali di femore, dove si utilizza l’endoprotesi (cioè solo la testa), qui serve sostituire anche<br />

l’acetabolo perché è malato. In questo esempio vedete una lastra di artroprotesi d'anca in sede:<br />

vedete una componente femorale che viene infilata nel canale midollare, queste sono “non<br />

cementate” (si fissano con lo stesso fittone, che è dentro a pressione, generosamente picchiato giù<br />

nel femore): la stabilità primaria è garantita dalla giusta misura della protesi, quella secondaria dal<br />

fatto che l’osso le ricresce intorno inglobandola e conferendole stabilità nel tempo. Nelle varianti<br />

dei modelli, si possono avere coppe acetabolari troncoconiche, tonde… fissate con viti (se scarsa<br />

tenuta), o di per sé dotate di piccole alette e battute nell’osso (quindi “su da sole”). Il paziente viene<br />

mobilizzato in seconda giornata, quindi la struttura deve essere subito stabile (la stabilità primaria<br />

accennata in precedenza). La testa è generalmente in ceramica ad alta densità, con una componente<br />

in polietilene del cotile permette lo scorrimento della testa in questa coppa acetabolare. La sezione<br />

della testa originale viene fatta alla base del collo, a circa 1.5-2 cm dal piccolo trocantere (a seconda<br />

dei modelli).<br />

2) GON<strong>ARTROSI</strong><br />

Anche per l’artrosi di ginocchio c’è prevalenza per il sesso femminile, prevalentemente in donne<br />

obese, quinta decade, tipica bilateralità, evoluzione più lenta della coxartrosi.<br />

Negli ultimi anni si sta un po’ abbassando l’età di intervento chirurgico nei pazienti, una volta non<br />

si aveva questa grossa incidenza di protesizzazione. È evidente che lo sviluppo di tecniche<br />

chirurgiche (e anche di modelli di protesi) fa migliorare il decorso post-operatorio e questo fa si<br />

che, in un’ottica di bilancio, ci sia sempre più spazio per l’indicazione.<br />

Diverse cause, al di là degli aspetti morfologici particolari abbiamo: fratture articolari come piatto<br />

tibiale, rotula, condilo, altre patologie articolari come l’osteocondromatosi, le necrosi dissecanti e<br />

altre patologie dell’accrescimento, le lesioni meniscali o le lassità legamentose: anche le lesioni dei<br />

tessuti molli possono nell’arco del tempo portare a lesioni per le quali non c’è altro rimedio se non<br />

quello protesico. Ci sono anche cause extrarticolari: dismorfismi, alterazioni assiali o difetti<br />

dell’apparato rotuleo.<br />

A livello del ginocchio l’esordio è monocompartimentale [cioè un solo condilo]: generalmente<br />

mediale, raramente laterale, anche per motivi morfologici: la maggior parte del carico passa per il<br />

condilo mediale quindi, se non ci sono importanti deformità in valgo, che possano dare un<br />

sovraccarico esterno o se non ci sono state fratture precedenti, in generale esordisce sul condilo<br />

mediale. La predilezione per questa zona può anche essere prevista con la valutazione dei carichi.<br />

C’è dolore anche con versamento articolare frequente, ma il dolore si identifica solo e soltanto a<br />

questa metà, così le lesioni radiografiche. In questi anni si sono sviluppate tecniche per evitare che<br />

questa artrosi sintomatica e dolente, ma limitata ad una sola zona del ginocchio, sicuramente<br />

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importante in termini meccanici, possa degenerare completamente fino ad arrivare all’artroprotesi<br />

completa: sono le protesi compartimentali.<br />

Diagnosi radiografica. Le lastre da fare sono in carico antero-posteriori, le laterali (ottime per<br />

vedere se c’è anche interessamento della femoro-rotulea); per il planning preoperatorio è importante<br />

avere la teleradiografia che comprende tutto il bacino, l’arto inferiore nel suo insieme fino alla<br />

caviglia: permette di individuare l’asse meccanico e l’asse di carico delle ginocchia (sulle quali cade<br />

il fuoco dell’immagine, ovviamente) e capire, nel caso ci fossero delle deformità di colonna, anche<br />

di quanti gradi dover correggere con la protesi l’asse dell’arto. La radiografia assiale di rotula mette<br />

in evidenza, in supero inferiore, la femoro-rotulea [vedi<br />

pregevole illustrazione esplicativa a lato]. Ci sono segni<br />

radiografici precoci, niente di non già detto: piccoli osteofiti a<br />

livello soprattutto rotuleo, con rarefazioni ossee e diminuzione<br />

della rima articolare; sclerosi subcondrale a banda; corpi<br />

estranei; geodi (ma molto meno frequenti che nell’anca: la<br />

distribuzione del carico è molto più ampia); l’osteofitosi<br />

marginale è invece marcata (infatti, c’è anche più spazio). Il<br />

geode, che grazie a dio è raro e riservato alle condizioni<br />

“disperate”, può rappresentare un motivo tecnico di difficoltà<br />

(soprattutto femorale), perché l’osso rimane e non viene segato<br />

via come nella coxartrosi. [mostra questi segni in diversi<br />

radiogrammi del ginocchio]. La rotula può allungarsi,<br />

appiattirsi (anche sotto l’azione di osteofiti “cattivi”)<br />

cosiccome possono risultare erose anche le altre ossa interessate dal processo patologico;<br />

marginalmente gli osteofiti continuano ad allargarsi in modo complementare [quello della tibia<br />

segue quello del femore, e viceversa] sempre in senso compensatorio del carico; la distruzione<br />

cartilaginea è evidente: lo intuiamo dal margine osseo seghettato, frammentato, bozzolato oltre che<br />

dalla riduzione della rima; buon (si fa per dire) segno è quando le spine tibiali sono appuntite, “coi<br />

cornini all’insù”. Alle assiali di rotula vedete la congruenza tra femore e rotula, servono per<br />

decidere se protesizzare anche questo osso.<br />

La terapia medica è piuttosto utilizzata, i farmaci sono sempre gli stessi: FANS e anti-cox2; la<br />

terapia fisica pure è utilizzata perché è più semplice (meno parti molli interposte), quindi le<br />

classiche terapie che piacciono ai vecchietti tipo ultrasonoterapia e ionoforesi qui vanno benissimo.<br />

Per quanto riguarda la terapia chirurgica, la protesizzazione spesso è bilaterale, sia di ginocchio<br />

che di anca (una sola anestesia, una sola ospedalizzazione, una sola immobilizzazione!): ma mentre<br />

nell’anca sicuramente è utile (dà risparmio anche in termini di sanguinamento), nel ginocchio ci<br />

sono più problemi, soprattutto di natura infettiva: in questo nosocomio l’intervento è stato<br />

abbandonato. Diciamo che si procede così, ovviamente parlando di casi generali [e va di lastre]:<br />

a) dapprima si tenta di correggere l’asse, magari con l’ausilio di protesine solo di tibia o di condilo,<br />

magari in materiale plastico e cementate (senza metallo alcuno);<br />

b) poi si fa la protesi monocompartimentale, che però si può fare soltanto se il ginocchio è in asse<br />

(quindi né troppo in valgo né tantomeno in varo), con un ottima articolarità e con uno<br />

scarsissimo o assente interessamento della femoro-rotulea; deve esserci inoltre un apparato<br />

legamentoso (crociati) soddisfacente. L’accesso è limitato (7cm, l’accesso generale è tra i 15 e i<br />

20) senza apertura completa del ginocchio;<br />

c) infine si fa l’atroprotesi completa. Questo intervento è difficile, gravato da una certa quota di<br />

complicanze infettive ed emboliche (queste ultime talvolta fatali): meno di 1 cm dietro al<br />

crociato posteriore passa il fascio vascolonervoso (vasi e nervi poplitei). In questa lastra di<br />

artroprotesi di ginocchio, vedete che la protesi è sia di femore che di tibia, con questo pistone<br />

dentro; è cementata da ambo i lati. È praticamente una sostituzione.<br />

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3) SPONDILO<strong>ARTROSI</strong><br />

Sia sulle sincondrosi intersomatiche anteriori sia sulle apofisi posteriori (spondiloartrosi vera e<br />

propria).<br />

L’evoluzione può determinare complicanze di vari tipi: neurologiche da compressione delle radici<br />

dei nervi spinali e del midollo (quindi anche nevralgiche), sia manifestazioni dolorose per il<br />

problema direttamente articolare al rachide. Le zone più interessate ovviamente sono il rachide<br />

lombare e cervicale, sul livello dorsale non ci sono particolari forze agenti né grande movimento (è<br />

anche stabilizzata dalla muscolatura intercostale).<br />

Cervicale. Ovviamente interessa il tratto più mobile, cioè C5-C7, dove spesso si ha una riduzione<br />

della lordosi fisiologica e il collo si “rettilineizza”, con situazioni degenerative abbastanza classiche.<br />

C’è una limitazione funzionale, con cefalee, sindromi vertiginose, lipotimie… tipico è il “segno<br />

della cattedrale”, le vecchiette che guardano l’affresco sul tetto del monumento perché la guida glie<br />

lo indica e svengono non appena tirano giù la testa: problema condizionato soprattutto dal diminuito<br />

apporto vascolare per via della cifosi cervicale non fisiologica. C’è una importante contrattura della<br />

muscolatura; se l’osteofitosi è marcata si può arrivare anche a una radicolopatia da compressione,<br />

che può dare una cervicobrachialgia importante, qualitativamente come quella dei traumatismi acuti<br />

(colpo di frusta), ma è chiaro che non c’è rischio di confusione. [mostra lastre]. Vedete le riduzioni<br />

di C5-C6 e C6-C7, l’appuntimento degli spigoli posteriori, calcificazioni iniziali sul legamento<br />

longitudinale anteriore, osteofiti marginali che tentano di espandersi andando a limitare i movimenti<br />

di flessione; non appena scendete su una vertebra toracica, vi accorgete della differenza tra artrosico<br />

e sano (o quasi). Anche nell’anteroposteriore si vedono gli spazi discali. La rettilineizzazione è la<br />

conseguenza della contrattura muscolare antalgico/infiammatoria, ed è la base per l’amplificazione<br />

del danno.<br />

Lombare. Oltre alla già vista, classica donna obesa ultracinquantenne abbiamo una grande<br />

incidenza negli uomini lavoratori pesanti della medesima età, com’è ovvio. Si può avere rigidità al<br />

mattino, al risveglio o dopo il mantenimento della stazione eretta per molto tempo. Il dolore e<br />

l’irradiazione periferica variano molto con la situazione anatomica riferita ai singoli casi: ovvio, le<br />

radici emergenti dalla colonna lombare interesseranno gli arti inferiori. A seconda del livello<br />

avremo diverso dolore, la sciatalgia vera e propria interessa le ultime radici, L5-S1 che interessano<br />

soprattutto il piede e la parte distale della gamba, mentre ad esempio una lesione di L3 darà una<br />

sintomatologia a livello pubico, o della radice della coscia.<br />

Le radiografie importanti sono quelle già viste; qui c’è una proiezione obliqua, che può migliorare<br />

un poco la visione dei forami posteriori delle articolazioni intra-apofisarie, per vedere per esempio<br />

se ci sono osteofiti che si aggettino posteriormente, irritando o comprimendo una radice (è una cosa<br />

più da colonna cervicale, però…). Ricordate che, nella patologia compressiva lombare, per i<br />

giovani prevale la patologia discale e per gli anziani l’artrosi (l’ernia discale prevede l’espulsione<br />

di materiale, in un anziano che materiale volete che ci sia?...è tutto fibrotico). Sono importanti<br />

anche la TC e la RM, per capire il legame tra il danno locale e la sintomatologia periferica.<br />

[compilation di lastre]. Vedete vertebre completamente saldate tra di loro, a furia di osteofiti; nel<br />

tratto più inferiore l’estrema mobilità impedisce invece di deporne: è più frequente qui la perdita dei<br />

rapporti articolari, cedimenti, caduta in avanti (anterolistesi/spondilolistesi), e ciò può determinare<br />

compressione. Grazie a Dio qui c’è la cauda equina e non il midollo, come nel distretto cervicale.<br />

In presenza di artrosi con stabilità bisogna pensare a interventi chirurgici, che sono molto<br />

importanti. Può esserci anche scoliosi secondaria per certe artrosi. [mostra RM].Vedete anche<br />

l’ernia che comprime il passaggio della radice nel forame.<br />

4) RIZ<strong>ARTROSI</strong><br />

L’artrosi dell’articolazione trapezio-metacarpale ha massima incidenza in donne tra i 50 e 70aa,<br />

esordio monolaterale che diventa bilaterale (probabilmente è per risparmiare l’articolazione colpita<br />

che si usa più l’altra che poi si ammala), l’esordio è insidioso, con dolore sordo che ogni tanto si<br />

sente e ogni tanto no, localizzato e irradiato sia prossimalmente che distalmente, generalmente<br />

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esacerbato alla digitopressione (ecco dove andrà a parare l’esame obiettivo), al contatto con l’acqua<br />

fredda, al tentativo di movimento verso le posizioni estreme. Questa è una lesione che dà grosse<br />

deformità al trapezio, l’articolazione è sublussata e il dito assume una posizione caratteristica di<br />

opposizione e parallelismo rispetto all’indice. Da ciò si capisce che c’è una limitazione funzionale<br />

importante, nelle fasi avanzate non sono più possibili i movimenti di abduzione e l’opposizione del<br />

pollice è difficile perché esso è assolutamente parallelo all’indice: le signore naturalmente si<br />

lamentano perché non possono ricamare, cucinare, pettinarsi, attaccarsi il reggiseno, aprire i vasetti<br />

delle conserve… La muscolatura tenare è ipotrofica e anche la tumefazione articolare è<br />

apprezzabile; nelle fasi avanzate si ha deformità. Il decorso del dolore: dapprima subdolo, poi<br />

aumenta, infine si stabilizza, poi nell’arco di cinque, sei, dieci anni avviene spontaneamente quello<br />

che dovrebbe fare il chirurgo: un’anchilosi articolare, con completa rigidità articolare e scomparsa<br />

del dolore, praticamente il paziente è guarito… Infatti questo è quello che si dice ai pazienti con una<br />

scarsa predilezione per l’intervento chirurgico: gli si dice di aspettare.<br />

Chirurgicamente, uno degli interventi che si fanno al di là della sostituzione protesica è proprio<br />

quello di aprire, togliere la cartilagine e favorire in qualche modo la saldatura: è un artrodesi<br />

(un’anchilosi chirurgica). Si utilizza poi il tutore soprattutto di notte, terapie locali e un po’ di<br />

rieducazione (che però la sessantenne non è entusiasta di fare). [e giù lastre]. Esempi di spazi quasi<br />

anchilotici, basterebbe come vi dicevo attendere un poco. Vedete iniziali sublussazioni del primo<br />

raggio, deformazioni del trapezio… non è detto che un quadro radiologico devastante sia più<br />

dolente di uno apparentemente meno serio: ricordiamoci ancora una volta che curiamo i pazienti e<br />

non le lastre.<br />

5) ALTRE ARTICOLAZIONI<br />

[spalla, caviglia: neanche prese in considerazione]<br />

Artrite Reumatoide<br />

Malattia cronica sistemica con interessamento generalizzato del connettivo, l’esordio è verso la<br />

quarta-quinta decade (ma ci sono anche altre forme), il sesso prediletto è il femminile (non<br />

prendetemi per maschilista: è così).<br />

Storia naturale: comparsa di flogosi per lo più poliarticolari, con regressioni spontanee e ricadute<br />

progressive fino ad avere importanti deformità, limitazioni funzionali anche gravissime… in<br />

concomitanza si possono avere manifestazioni extrarticolari che peggiorano di molto la qualità di<br />

vita. La sintomatologia dolorosa è totalmente differente da quella vista per l’artrosi, assolutamente<br />

più grave di quella del paziente artrosico classico. L’esordio, dicevamo, può essere poliarticolare<br />

(più raro monoarticolare): la localizzazione è simmetrica alle piccole o grandi articolazioni, che<br />

sono dolenti, tumefatte, ipertermiche (così differenti dalle lesioni artrosiche, che sono “vecchie”,<br />

“croniche”). Tipica la rigidità mattutina, oppure quando il paziente (che non può farne a meno)<br />

limita la sua attività, alla ripresa del movimento avverte difficoltà e dolore.<br />

Cascata fisiopatologica:<br />

1. In fase iniziale c’è un buon mantenimento della situazione cartilaginea e dell’osso<br />

subcondrale, con radiogrammi praticamente silenti.<br />

2. In fase intermedia si ha un’ipertrofia della membrana sinoviale con un’ipertrofia villosa<br />

simile a quella che abbiamo descritto prima; questa si espande sopra la superficie<br />

cartilaginea (“panno sinoviale”).<br />

3. Poi arriva l’erosione progressiva con restringimento delle cartilagini che può diventare<br />

evidente ora anche radiograficamente; successivamente c’è il coinvolgimento flogistico<br />

dell’osso che può rarefarsi dando luogo a osteoporosi.<br />

4. Dopo molti anni si possono avere situazioni di rigidità, riduzione o perdita completa della<br />

funzione articolare, ponti ossei, anchilosi.<br />

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Il quadro anatomopatologico ci fa vedere cose abbastanza classiche: flogosi della membrana<br />

sinoviale (sinovite reattiva, ipertrofica), edema, infiltrazione di mononucleati (in particolare linfociti<br />

e plasmacellule), aumento della produzione di liquido sinoviale. In fase cronica per l’anatomia<br />

patologica si trovano le infiltrazioni fibroblastiche nel panno (che perciò si consolida), che possono<br />

progredire nella cartilagine dando luogo a dismorfismi importanti.<br />

Le localizzazioni tipiche sono:<br />

• MANO E POLSO. Frequenti le tumefazioni delle interfalangee prossimali e delle<br />

metacarpo-falangee, mentre l’artrosi deformante predilige le interfalangee distali (che<br />

questa risparmia). [mostra fotografie di mani] Vedete cosa succede col tempo: mano<br />

ulnarizzata sulle MTF (“mano a colpo di vento”), deformità a collo di cigno delle dita, anche<br />

il pollice iperestende le IF e flette le MTF. Ci sono anche rotture tendinee spontanee, per<br />

fenomeni di erosione infiammatoria (e non traumatiche), poi ci sono i classici noduli<br />

sottocutanei.<br />

• PIEDE. Abbiamo dito a martello per interessamento delle metatarso-falangee che sono<br />

iperestese. Il notevole sovraccarico dei metatarsi modifica anche la capacità funzionale del<br />

piede: erosioni delle teste metatarsali, callosità plantari notevolissime, deviazione in valgo<br />

dell’alluce e interessamento frequente della tibio-tarsica. Nei quadri particolarmente<br />

avanzati si può arrivare perfino all’ulcerazione periarticolare, con drammatico aggravamento<br />

della sintomatologia e rischio infettivo.<br />

• GINOCCHIO, GOMITO, ANCA, SPALLA. Anche qui c’è un’importante flogosi,<br />

specialmente per il ginocchio: ricordatevi che gli episodi sono indipendenti dalle condizioni<br />

motorie, perché vengono scatenate esclusivamente dal processo infiammatorio. Poi un film<br />

già visto: dolore alla mobilizzazione, limitazione articolare progressiva, deformità in<br />

flessione (ricordatevi che per il ginocchio e l’anca perdere l’estensione è molto invalidante,<br />

a differenza di un gomito per il quale è più importante flettere).<br />

Le manifestazioni extrarticolari sono la flogosi proliferativa di un po’ tutti i connettivi, con<br />

soprattutto noduli delle guaine e dei tendini (che possono, come già detto, anche rompersi<br />

spontaneamente), così come le borse, le capsule articolari, il sottocute. Questi noduli rappresentano<br />

una complicanza importante, spesso sono dolenti. I quadri di questa patologia possono essere<br />

davvero spaventosi.<br />

le lesioni associate, che possono anche essere letali, sono le lesioni polmonari (fibrosi interstiziale,<br />

pleuriti), cardiache (noduli che possono alterare la conduzione, pericarditi, valvulopatie), oculari<br />

(fibrocongiuntivite): chiaramente le più gravi sono a carico dei primi due organi. Ci possono essere<br />

anche lesioni al sistema nervoso: noduli della dura, neuropatie periferiche… le lesioni sono<br />

secondarie alla compressione; lesioni vascolari che possono interessare virtualmente tutto, con<br />

danni ischemici in tutti i distretti.<br />

come sintomi generali ci sono astenia, febbre, calo ponderale, anemia, osteoporosi metafisaria<br />

precoce, linfoadenopatia, splenomegalia…<br />

La DIAGNOSI DIFFERENZIALE non è facile inizialmente, richiede un po’ di tempo. Questa,<br />

infatti, non è una patologia ortopedica, ma internistica e l’ortopedico è chiamato a risolvere<br />

chirurgicamente solo un epifenomeno. La clinica, gli esami di laboratorio, la radiologia sono tutte<br />

molto importanti, esistono dei criteri diagnostici; la diagnosi può essere posta in presenza di<br />

almeno 4 di essi (che sono 7), che permangano per almeno 6 settimane:<br />

1. Rigidità mattutina<br />

2. Artrite di almeno 3 articolazioni<br />

3. Artrite della mano<br />

4. Artrite simmetrica<br />

5. Presenza di noduli<br />

6. Presenza nel siero di Fattore Reumatoide [FR, RAtest]<br />

7. Alterazioni radiografiche<br />

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Clinicamente ci possono essere casi di remissione parziale o completa, con riacutizzazioni anche<br />

dopo lunghi periodi; l’andamento è variabile, lento o rapido. Ci possono essere casi di remissione<br />

spontanea (non più del 15-20%), mentre l’80-85% va incontro a cronicizzazione della malattia (e si<br />

fa tutta la trafila vista prima). Fattori prognostici negativi sono<br />

I. durata della fase attiva superiore ad un anno (specie se all’esordio)<br />

II. presenza dei noduli<br />

III. FR sierico elevato<br />

IV. comparsa di manifestazioni sistemiche<br />

Il trattamento conservativo mira a migliorare la sintomatologia dolorosa con antinfiammatori e<br />

terapie fisiche, a prevenire la deformità e l’anchilosi ostacolando l’abnorme risposta infiammatoria<br />

con (corticosteroidi, salazopirina…). Una terapia corretta non può comunque arrestare la malattia,<br />

anche se aiuta dal punto di vista sintomatologico (almeno nelle fasi iniziali) e può rallentarne la<br />

progressione.<br />

La terapia chirurgica è per gli esiti: il trattamento è sempre protesico. Negli istituti ortopedici ci<br />

sono sempre stati conflitti perché la chirurgia nell’artrite reumatoide va sempre abbinata con la<br />

terapia medica.<br />

[per l’ultima volta, lastre come se piovesse]. Vedete la sostituzione metallica delle MTF (esistono<br />

anche in silicone), poi un’artrodesi dell’IFP e della MTF con due fili metallici. L’artrodesi è<br />

riservata ai casi più gravi. Questi interventi sono palliativi, servono a restituire un minimo di<br />

funzione, togliendo il dolore: questo risultato può essere raggiunto togliendo l’articolazione (e<br />

soprattutto la capsula con la sinovia): in questo senso, nel paziente giovane operato precocemente<br />

hanno un minimo significato preventivo (preferibilmente, le protesi), a evitare anche tutte quelle<br />

lesioni periarticolari viste prima. Ecco anche un’artrodesi di polso.<br />

Abbiamo finito.<br />

[Se non sei riuscito a scaricare le immagini con i link diretti, fallo manualmente dalla pagina di<br />

Ortopedia del sito]<br />

enjoy! ;-)<br />

"Forse riusciamo a farcela.<br />

Cerca di avere l'aria di un bancario, di un dottore..."<br />

"E che aria hanno?"<br />

"Stupida e soddisfatta."<br />

Charles Bukowski, Niente Canzoni D'Amore<br />

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