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Corsi brevi - Siapec

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CORSI BREVI - SLIDE SEMINARS


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PATHOLOGICA 2004;96:197-200<br />

Tumori rari e lesioni pseudotumorali dei tessuti molli<br />

Neoplasie mesenchimali a differenziazione<br />

osteocartilaginea<br />

A. Franchi<br />

Dipartimento di Patologia Umana ed Oncologia, Università<br />

di Firenze<br />

Si tratta di un gruppo di neoplasie dei tessuti molli di rara osservazione,<br />

che possono essere definite come proliferazioni<br />

nelle quali le cellule tumorali producono matrice cartilaginea,<br />

e come proliferazioni nelle quali le cellule lesionali producono<br />

matrice osteoide o ossea, in assenza di altre linee differenziative.<br />

Questo gruppo di lesioni offre innanzitutto a<br />

considerare alcune problematiche di ordine generale riguardo<br />

il loro inquadramento. Un primo aspetto controverso è rappresentato<br />

dalla assenza di criteri per definire precisamente la<br />

matrice cartilaginea e la matrice osteoide, e dalla difficoltà<br />

che spesso esiste nel distinguere questo tipo di matrice da simulatori,<br />

come la matrice condroide, che troviamo ad esempio<br />

nel lipoma condroide, o il collageno ialino che simula l’aspetto<br />

dell’osteoide e che possiamo riscontrare in numerosi<br />

sarcomi dei tessuti molli. Un secondo aspetto che deve essere<br />

discusso riguarda la distinzione delle neoplasie mesenchimali<br />

a differenziazione ossea e cartilaginea dalle lesioni dei<br />

tessuti molli che possono presentare formazione di matrice<br />

ossea e/o cartilaginea di significato metaplastico, quali ad<br />

esempio i tumori di tipo adiposo, il sarcoma sinoviale, il sarcoma<br />

epitelioide, il tumore a cellule giganti dei tessuti molli,<br />

e numerose altre. In generale, il tessuto osseo metaplastico<br />

tende ad essere localizzato alla periferia della lesione, e soprattutto<br />

appare costituito da trabecole regolari di osso lamellare,<br />

in rapporto con elementi cellulari non atipici, così<br />

come la cartilagine metaplastica appare come cartilagine ialina<br />

matura contenente cellule non atipiche. Un ultimo aspetto<br />

controverso di questo gruppo di lesioni riguarda il loro inquadramento<br />

nosologico, che si è modificato in maniera rilevante<br />

nella classificazione WHO del 2002 1 . Infatti in questo<br />

schema classificativo solo il condroma dei tessuti molli, il<br />

condrosarcoma mesenchimale e l’osteosarcoma extrascheletrico<br />

sono inseriti nella categoria dei tumori condro-ossei. Altre<br />

entità, come la miosite ossificante e lo pseudotumore fibro-osseo<br />

delle dita vengono considerate varietà della fascite<br />

nodulare, mentre la fibrodisplasia ossificante progressiva è<br />

un processo di natura non neoplastica e pertanto non viene<br />

preso in considerazione nella classificazione. Il condrosarcoma<br />

mixoide è stato provvisoriamente inserito nella categoria<br />

“Miscellanea” in quanto, nonostante la nomenclatura, chiari<br />

aspetti di differenziazione cartilaginea non sono dimostrabili<br />

nella maggior parte di queste neoplasie. Per quanto riguarda<br />

poi quelle neoplasie nelle quali la differenziazione ossea o<br />

cartilaginea è presente assieme ad una o diverse ulteriori linee<br />

differenziative (ad esempio leiomiosarcoma con aree di<br />

osteosarcoma), viene sconsigliato l’uso del termine mesenchimoma<br />

maligno 1 , che comporta il raggruppamento di entità<br />

diverse sotto la stessa voce, mentre appare preferibile designare<br />

queste neoplasie secondo il tipo prevalente, specificando<br />

le ulteriori linee differenziative presenti.<br />

Ciò premesso, lo scopo principale di questa presentazione è<br />

quello di illustrare e discutere le problematiche di diagnosti-<br />

Moderatori: A.P. Dei Tos (Treviso) e A. Franchi (Firenze)<br />

ca differenziale delle lesioni dei tessuti molli che presentano<br />

formazione di matrice ossea o cartilaginea. Fra le prime verranno<br />

prese in considerazione la miosite ossificante, lo pseudotumore<br />

fibro-osseo delle dita, il tumore fibromixoide ossificante<br />

e l’osteosarcoma extrascheletrico. Tra le lesioni con<br />

formazione di matrice cartilaginea verranno esaminate il condroma<br />

dei tessuti molli, la condromatosi sinoviale e tenosinoviale,<br />

il condrosarcoma mixoide ed il condrosarcoma mesenchimale.<br />

Bibliografia<br />

1 Fletcher CDM, Unni KK, Mertens F (Eds.). World Health Organization<br />

classification of tumors. Pathology and genetics of tumours of<br />

soft tissues and bone. IARC Press, Lyon 2002.<br />

Diagnosi differenziale delle neoplasie<br />

mesenchimali mixoidi<br />

A. Parafioriti, E. Armiraglio<br />

U.O. di Anatomia Patologica, Istituto Ortopedico “Gaetano<br />

Pini”, Milano<br />

Si definisce “mixoide” una proliferazione con morfologia<br />

blanda, ipocellulare, immersa in una matrice fibrillare lassa,<br />

simile al mesenchima primitivo. Le lesioni dei tessuti molli<br />

definite “mixoidi” costituiscono un gruppo molto eterogeneo<br />

di disordini proliferativi che, pur avendo in comune questo<br />

carattere morfologico, differiscono profondamente fra loro<br />

nella patogenesi e nel comportamento biologico.<br />

Dal punto di vista nosologico sotto questa etichetta sono raggruppate<br />

entità che includono sia lesioni di carattere reattivo<br />

che neoplasie benigne e neoplasie maligne a diverso grado di<br />

malignità. Caratteristiche mixoidi focali o estese sono comuni<br />

nei tumori dei tessuti molli sia superficiali che profondi e<br />

non sono significativi nella diagnosi finale. Esistono inoltre<br />

varianti mixoidi di istotipi “specifici” che sono facilmente<br />

diagnosticabili, come ad esempio il liposarcoma mixoide, il<br />

dermatofibrosarcoma protuberans mixoide o nell’ambito<br />

reattivo-pseudotumorale, la fascite nodulare mixoide. Le numerose<br />

similarità morfologiche possono creare problemi di<br />

diagnosi differenziale rilevanti: lesioni benigne scambiate<br />

per maligne a causa delle grosse dimensioni, della profondità<br />

di localizzazione o del pattern di crescita infiltrativo o lesioni<br />

maligne scambiate per benigne a causa dell’apparenza<br />

blanda e della scarsa cellularità.<br />

Un approccio diagnostico corretto ai tumori mixoidi dei tessuti<br />

molli non può prescindere da adeguate informazioni cliniche<br />

come età, sesso, sede poiché questi tumori mostrano<br />

differenze legate all’età ed al sesso dei pazienti. Infatti, ad<br />

esempio, il lipoblastoma e rabdomiosarcoma embrionale/botrioide<br />

sono tipici dell’età pediatrica, il sarcoma fibromixoide<br />

a basso grado dell’età adulta, il mixofibrosarcoma dell’età<br />

anziana; tipico per sesso e sede l’angiomixoma aggressivo<br />

che insorge preferenzialmente in regione pelvica di soggetti<br />

femminili. La localizzazione superficiale o profonda è un altro<br />

criterio molto importante per distinguere diversi tumori<br />

mixoidi: localizzazione superficiale dermica o sottocutanea<br />

si osserva nel dermatofibrosarcoma protuberans mixoide,


198<br />

nell’angiomixoma e nei neurotecomi, mentre localizzazione<br />

profonda hanno di solito il liposarcoma mixoide, il condrosarcoma<br />

mixoide extrascheletrico, il sarcoma sinoviale<br />

mixoide e le varianti mixoidi di altri sarcomi fusocellulari come<br />

il leiomiosarcoma e i tumori maligni delle guaine dei nervi<br />

periferici.<br />

I parametri istologici principali per la diagnosi dei tumori<br />

mixoidi sono fondamentalmente l’architettura di crescita, il<br />

pattern vascolare, la cellularità e la citologia; la combinazione<br />

di questi parametri rappresenta la chiave diagnostica più<br />

importante sia nei confronti di lesioni benigne che maligne.<br />

Tumori mesenchimali e lesioni<br />

pseudotumorali in età pediatrica<br />

R. Alaggio<br />

Servizio di Anatomia Patologica, Azienda Ospedaliera, Padova<br />

Le neoplasie mesenchimali dell’età pediatrica per le caratteristiche<br />

morfologiche e cliniche, hanno meritato l’attribuzione<br />

di “borderland between embriology and pathology” coniata<br />

da Willis. La loro classificazione si basa su due principi:<br />

identificazione della cellula “di origine” ed equazione tra<br />

immaturità di tale cellula e malignità. Tale criterio può rivelarsi<br />

una trappola diagnostica per il patologo nell’ area grigia<br />

rappresentata dal vasto gruppo di “tumori” di difficile inquadramento<br />

nosologico costituita da neoplasie vere e proprie,<br />

pseudoneoplasie ed amartomi. Le caratteristiche clinico-radiologiche<br />

di crescita infiltrativa e destruente o la presenza di<br />

mitosi ed atipie citologiche, non rappresentano criteri diagnostici<br />

di malignità, essendo presenti anche in molte lesioni<br />

pseudosarcomatose. Il ruolo delle tecniche ancillari appare limitato:<br />

l’immunoistochimica è importante per la conferma<br />

della linea differenziativa delle cellule costituenti la lesione,<br />

ma inutile ai fini del corretto inquadramento; la caratterizzazione<br />

biomolecolare è importante in casi isolati con specifiche<br />

traslocazioni. La diagnosi finale è quindi frutto della capacità<br />

“investigativa” del patologo in grado di integrare la<br />

clinica ed i dettagli morfologici talora sfuggenti. In questa revisione<br />

saranno esaminati due gruppi di lesioni: quelle simulanti<br />

sarcomi per la presenza di cellule immature ed i veri<br />

“pseudosarcomi” miofibroblastici.<br />

Lesioni con cellule mesenchimali “immature”<br />

Lipoblastoma: il lipoblasto, cellula diagnostica di liposarcoma<br />

in età adulta, è l’elemento talora predominante nel lipoblastoma,<br />

una neoplasia benigna del tessuto adiposo dei primi<br />

3 anni di vita. La diagnosi differenziale con il liposarcoma<br />

mixoide è talora impossibile. L’età è un criterio diagnostico<br />

importante, tuttavia, seppur raramente, il liposarcoma<br />

può insorgere nei primi anni di vita. Le indagini biomolecolari<br />

con l’identificazione della traslocazione tipica del liposarcoma<br />

mixoide t(12;16)(q13;p11) sono fondamentali in casi<br />

selezionati.<br />

Rabdomioma Fetale (RF) ed Amartoma Rabdomiomatoso<br />

(AR): una popolazione di elementi rabdomioblastici in diverse<br />

fasi di maturazione è la caratteristica morfologica del RF,<br />

facilmente confuso con un rabdomiosarcoma embrionale<br />

(ERMS). Le mitosi o l’anaplasia focale sono più frequenti<br />

nell’ERMS, ma possono essere raramente presenti nel RF.<br />

Rispetto al RF l’amartoma rabdomiomatoso, una lesione del<br />

derma superficiale molto rara, con componente muscolare<br />

striata, non mostra elementi immaturi, ma può essere confuso<br />

con un ERMS dermico ben differenziato.<br />

CORSI BREVI - SLIDE SEMINARS<br />

Tumore melanotico neuroectodermico dell’infanzia (MNE-<br />

TI): in una piccola biopsia il MNETI, lesione disembriogenetica<br />

che ricapitola lo sviluppo della retina, può essere facilmente<br />

confuso con un PNET o con un Neuroblastoma per<br />

la predominante popolazione di piccole cellule, talora con<br />

differenziazione neuroblastica e sottile feltro fibrillare di<br />

neuropilo. L’architettura lobulare con gruppi di cellule separati<br />

da setti fibrosi, la presenza di pigmento nelle cellule più<br />

grandi alla periferia dei lobuli sono diagnostici di MNETI.<br />

Lesioni Miofibroblastiche: Neoplasie e Pseudotumori<br />

Le caratteristiche morfologiche delle fibromatosi infantili,<br />

delle miofibromatosi e dei fibrosarcomi e di alcuni degli<br />

“pseudo-sarcomi” come fasciti, miositi e tumore miofibroblastico<br />

infiammatorio, sfumano le une nelle altre rendendo<br />

talora ardua la diagnosi. I criteri diagnostici differenziali si<br />

basano su: caratteristiche differenziative degli elementi miofibroblastici<br />

(in senso fibroblastico o mioide), disposizione<br />

degli elementi (fasci allungati e sfuggenti, a “spina di pesce”,<br />

nodulare), presenza o meno di pattern bifasico, componente<br />

infiammatoria.<br />

Fascite nodulare: l’elevata variabilità morfologica rende<br />

questa lesione l’emblema degli pseudotumori e la causa più<br />

frequente di “errori” diagnostici per la spiccata cellularità e<br />

le numerose mitosi. La presenza di elementi miofibroblastici<br />

con stroma mixoide ed aspetti tipo “cellula in coltura”, combinati<br />

ad una componente infiammatoria e ad emazie stravasate<br />

sono caratteristiche diagnostiche importanti. In alcuni<br />

casi tali aspetti sono estremamente focali e difficili da identificarsi<br />

senza un’attenta ricerca, così come può essere assente<br />

il tipico pattern bifasico con area centrale ipocellulare-mixoide<br />

ed area periferica ipercellulare infiltrativa.<br />

Tumore miofibroblastico infiammatorio (IMT): nato come<br />

pseudo-tumore, l’IMT va definendosi come vera lesione neoplastica,<br />

a variabile potenziale di aggressività, specialmente<br />

se a sede addominale, che lo rende parte di un unico spettro<br />

di lesioni con il Fibrosarcoma Infiammatorio. Le caratteristiche<br />

morfologiche con i tre pattern descritti da Coffin: similfascite,<br />

simil-fibromatosi, simil-cicatriziale dimostrano la<br />

difficoltà di diagnosi differenziale, complicata dalla presenza<br />

di cellule talora mostruose ed alto indice mitotico che possono<br />

suggerire un sarcoma. La componente infiammatoria è un<br />

importante criterio diagnostico, come la positività immunoistochimica<br />

per ALK nei miofibroblasti, presente nel 40% dei<br />

casi.<br />

Miofibromatosi: la miofibromatosi infantile, sia solitaria che<br />

multifocale è caratterizzata da miofibroblasti allungati, con<br />

abbondante citoplasma eosinofilo che conferisce un aspetto<br />

“mioide” alle cellule, disposte frequentemente a formare i<br />

cosiddetti noduli mioidi, che tendono alla erniazione intravascolare.<br />

Non sempre evidente un pattern bifasico con centro<br />

riccamente vascolare con tipico pattern emangiopericitomatoso<br />

e periferia fibrosa ipocellulare. Il trattamento è chirurgico,<br />

con prognosi favorevole.<br />

Fibromatosi desmoide extra-addominale (Fibromatosi Infantile):<br />

la Fibromatosi Infantile è una lesione ad alta cellularità,<br />

con miofibroblasti allungati e margini poco delineati, disposti<br />

in fasci sottili, commisti a collageno, senza noduli mioidi<br />

e senza pattern emangiopericitomatoso, con tipica crescita<br />

infiltrativa alla periferia. La diagnosi differenziale tra fibromatosi<br />

e fibrosarcoma sia infantile che adulto si basa prevalentemente<br />

su cellularità minore, minori atipie e minore probabilità<br />

di necrosi nella fibromatosi.<br />

Fibrosarcoma Congenito-Infantile (CIFS) ed Adulto (AF): Il<br />

CIFS rappresenta un’“area grigia” tra Fibromatosi e AF.<br />

Morfologicamente indistinguibile dall’AF quando mostra fa-


TUMORI RARI E LESIONI PSEUDOTUMORALI DEI TESSUTI MOLLI<br />

sci allungati di fibroblasti con tipico pattern “a spina di pesce”,<br />

viene facilmente confuso con una fibromatosi quando<br />

le cellule sono più primitive ed immature e può simulare una<br />

miofibromatosi quando mostra un pattern emangiopericitomatoso<br />

od aree con noduli “mioidi”. La presenza di una traslocazione<br />

t(12;15), in una percentuale variabile di casi è un<br />

utile criterio diagnostico differenziale. La prognosi è generalmente<br />

favorevole con tendenza alla recidiva locale e rare<br />

metastasi.<br />

Tumori mesenchimali pleomorfi benigni<br />

e a basso grado di malignità<br />

A. De Chiara<br />

U.O.C. Anatomia Patologica, I.N.T. “G. Pascale”, Napoli<br />

Nella diagnosi istologica delle neoplasie mesenchimali dei<br />

tessuti molli, la prima domanda cui rispondere è se il processo<br />

sia reattivo o neoplastico; una volta esclusa la natura reattiva<br />

della lesione in esame, si procede all’identificazione della<br />

neoplasia con riguardo al suo potenziale biologico (benigno<br />

versus maligno; basso grado versus alto grado di malignità).<br />

Le lesioni reattive sono più frequentemente superficiali<br />

o sono caratterizzate istologicamente da una distinta<br />

crescita zonale (vedi fascite proliferativa, fascite ischemica,<br />

miosite ossificante). Le cellule assomigliano a fibroblasti in<br />

cultura; si possono osservare mitosi ma mai atipiche nè sono<br />

presenti marcate atipie citologiche (così come avviene nei<br />

sarcomi). Una volta orientati verso un processo neoplastico,<br />

molti sono i criteri morfologici da valutare per il corretto inquadramento<br />

biologico. Necrosi, pleomorfismo cellulare ed<br />

elevato indice mitotico sono criteri classicamente associati a<br />

neoplasie maligne di alto grado (vedi grading sec. FNCLCC).<br />

Negli anni, però, vi è stato un crescente numero di entità che,<br />

nonostante un anche marcato pleomorfismo cellulare, si sono<br />

rivelate del tutto benigne o con solo una limitata capacità di<br />

recidiva locale (eccezionali le metastasi). Fondamentale appare,<br />

pertanto, il riconoscimento di queste entità ai fini del<br />

corretto approccio terapeutico, per evitare inutili interventi<br />

chirurgici demolitivi e/o regimi chemioterapici (indicati solo<br />

negli alti gradi). Un criterio molto importante da valutare è la<br />

presentazione clinica, in quanto lesioni a lenta crescita e a localizzazione<br />

soprafasciale sono caratterizzate da un decorso<br />

clinico in genere benigno. È da sottolineare che nei tumori<br />

benigni il pleomorfismo cellulare è spesso solo focale e legato<br />

a fenomeni di tipo degenerativo (leiomioma pleomorfo soprattutto<br />

dell’utero, ancient schwannoma, tumore glomico<br />

simplastico). Anche lesioni maligne, come il fibroxantoma<br />

atipico ed il sarcoma fibroblastico mixoinfiammatorio acrale,<br />

che pure sono in grado di recidivare localmente ed in casi eccezionali<br />

anche di dare metastasi, sono quasi sempre soprafasciali.<br />

Sul piano puramente morfologico, la necrosi è assente<br />

o minima; e soprattutto l’indice mitotico è basso (a differenza<br />

di quanto accade nei sarcomi pleomorfi) e le mitosi<br />

mai atipiche. Di seguito, è illustrato un elenco di tumori benigni<br />

o maligni di basso grado, caratterizzati dal pleomorfismo<br />

cellulare. Abbiamo scelto di approfondire solo alcuni di<br />

essi, quelli che a nostro parere possano essere più facilmente<br />

misinterpretati quando li si incontra in sedi inusuali (angiofibroma<br />

con cellule giganti), per la presenza di inusuali caratteristiche<br />

morfologiche (tumore glomico simplastico) o immunofenotipiche<br />

(fibroxantoma pleomorfo), o perchè siano<br />

ancora troppo poco conosciuti soprattutto ai non specialisti<br />

del settore (tumore angiectasico ialinizzante pleomorfo, sar-<br />

199<br />

coma fibroblastico mixoinfiammatorio). Di fianco se ne indica<br />

la linea differenziativa sec. il WHO 2002.<br />

Tumori benigni con atipie citologiche<br />

Ancient schwannoma: neurogenica<br />

Angiofibroma con cellule giganti: fibroblastica/miofibroblastica<br />

Fibroistiocitoma con cellule bizzarre: verosimilmente fibroblastica<br />

Fibroma pleomorfo della cute: fibroblastica/miofibroblastica<br />

Leiomioma pleomorfo: muscolare<br />

Lipoma pleomorfo: adipocitica<br />

Tumore glomico simplastico: pericitica (perivascolare)<br />

Tumore angiectasico ialinizzante pleomorfo (PHAT): differenzazione<br />

incerta<br />

Tumori maligni di basso grado<br />

Fibroblastoma a cellule giganti: tipico dell’infanzia<br />

Fibroxantoma atipico: cosiddetta fibroistiocitica<br />

Sarcoma fibroblastico mixoinfiammatorio: fibroblastica/miofibroblastica<br />

L’angiofibroma a cellule giganti (GCA) è stato descritto per<br />

la prima volta nel 1995 1 ed è una neoplasia coinvolgente tipicamente<br />

la regione orbitaria nei maschi, e meno frequentemente<br />

testa e collo (in aree extraorbitarie) e sedi ancora più<br />

inusuali quali mediastino, dorso, regione inguinale e ascellare,<br />

retroperitoneo e vulva soprattutto nelle donne. Istologicamente,<br />

si apprezzano aree più o meno cellulari con cellule rotondo-ovali<br />

(CD34+, CD99+, meno frequentemente Bcl2+) e<br />

cellule stromali multinucleate intorno vasi ectasici. Un caso<br />

ha mostrato anormalità della banda cromosomica 6q13 2 .<br />

Il tumore glomico simplastico, così definito da Folpe et al. 3 ,<br />

è un tumore glomico che mostra atipie citologiche come unica<br />

caratteristica inusuale. Nel loro lavoro ne descrivono 9 casi,<br />

e nessuno di essi ha sviluppato metastasi in un periodo di<br />

follow-up tra 3 e 20 anni. L’atipia nucleare viene considerata<br />

come un fenomeno degenerativo simile a quello che si osserva<br />

nei leiomiomi uterini simplastici e negli ancient<br />

schwannoma.<br />

Il tumore angiectasico ialinizzante pleomorfo (PHAT) è<br />

un’entità recentemente descritta per la prima volta da Smith<br />

et al. 4 . Da allora pochi altri casi sono stati riportati in letteratura<br />

5 . È una neoplasia di basso grado di malignità ma a causa<br />

del marcato pleomorfismo cellulare viene spesso confusa<br />

con un sarcoma di alto grado. È una neoplasia degli adulti, a<br />

lenta crescita che spesso dà l’impressione di un ematoma. In<br />

genere, si localizza nel tessuto sottocutaneo degli arti inferiori,<br />

ma occasionalmente viene descritto in sede sottofasciale.<br />

La caratteristica istologica maggiore è la presenza di vasi<br />

dilatati tendenti a formare piccoli gruppi il cui endotelio appare<br />

bordato da materiale eosinofilo amorfo; i vasi talora sono<br />

trombizzati con anche iperplasia papillare endoteliale. Ciò<br />

che confonde circa il grading, è la presenza di cellule di varia<br />

forma (allungate o rotondeggianti) con nuclei pleomorfi<br />

arrangiate in fasci. Sono presenti anche evidenti inclusioni<br />

citoplasmatiche intranucleari. L’impressione superficiale è<br />

quello di un MFH ma se ne differenzia per il basso indice mitotico<br />

(


200<br />

ne vascolare e ipossia tumorale, con conseguente produzione<br />

di VEGF che a sua volta provoca una attiva angiogenesi 6 .<br />

Il fibroxantoma atipico (AFX) tipicamente occorre nelle aree<br />

foto-esposte di persone anziane, ma in _ dei casi colpisce arti<br />

e tronco di giovani adulti. Si presenta come un nodulo solitario<br />

talora ulcerato. Classicamente, assomiglia istologicamente<br />

ad un MFH ma con localizzazione dermica. Sono stati<br />

riportati rari casi a cellule granulari o chiare. Necrosi è raramente<br />

presente. La d.d. è tipicamente nei confronti di carcinoma<br />

epidermoide e melanoma, soprattutto se si associa ad<br />

una inusuale positività per markers melanocitari 7 .<br />

Viene, in genere, visto come una forma superficiale di MFH<br />

con prognosi eccellente se adeguatamente escisso. Infatti, la<br />

recidiva è locale, con solo 3 casi metastatici 8 . Tra AFX e<br />

MFH sono state trovate similarità in alcune alterazioni genetiche,<br />

suggerendo un comune pathway patogenetico; alcune<br />

differenti alterazioni potrebbero invece essere responsabili<br />

del differente comportamento biologico 9 .<br />

Il sarcoma fibroblastico mixoinfiammatorio è stato descritto<br />

per la prima volta da Montgomery nel 1997 10 . Come la<br />

designazione originaria implica,due sono le caratteristiche<br />

principali di questo tumore: la sede acrale (soprattutto la<br />

mano, ma successivamente descritto anche in sede prossimale<br />

11 e nel tronco) e l’aspetto istologico simulante un processo<br />

infiammatorio. Tipicamente multinodulare; frequentemente<br />

coinvolge i tendini circostanti e la sinovia delle articolazioni<br />

adiacenti. In genere, localizzazione sottocutanea<br />

con infrequente coinvolgimento del derma e del tessuto muscolare<br />

sottostante. L’aspetto tipico è il denso infiltrato infiammatorio<br />

(leucociti e plasmacellule) frammisto ad aree<br />

mixoidi o ialine. In queste ultime, lì dove la cellularità è<br />

maggiore, si osservano grandi cellule atipiche (fusate, istiocitoidi<br />

o epitelioidi); soprattutto queste ultime presentano<br />

grandi nuclei con prominenti nucleoli e con abbondante citoplasma<br />

eosinofilo somigliando così a cellule di Reed-<br />

Sternberg o a virociti. Ma ancora una volta, a fronte del<br />

marcato pleomorfismo cellulare, l’indice mitotico è basso<br />

(


PATHOLOGICA 2004;96:201-202<br />

Tumori vascolari “borderline” della cute<br />

Dermatopatologia oncologica<br />

F. Passarelli<br />

Servizio di Istologia, Istituto Dermopatico dell’Immacolata,<br />

IRCCS, Roma<br />

Il termine “emangioendotelioma” (E) indica tumori a linea<br />

differenziativa vascolare che hanno un comportamento biologico<br />

intermedio tra l’emangioma e l’angiosarcoma: hanno<br />

alta probabilità di recidivare localmente e danno metastasi in<br />

una percentuale ridotta rispetto all’angiosarcoma. Sebbene<br />

gli E della cute siano rari, è importante conoscerne la morfologia<br />

e la prognosi, poiché impongono un trattamento chirurgico<br />

adeguato fin dall’inizio e un follow-up accurato. I tipi<br />

più importanti sono: E epitelioide, E kaposiforme, E retiforme,<br />

tumore di Dabska ed E composito. L’emangioendotelioma<br />

epitelioide (EE) può insorgere a qualunque età. Le sedi<br />

più colpite sono i tessuti molli, il fegato, il polmone, l’osso e<br />

la cute, dove può avere l’aspetto di una placca eritematosa o<br />

di un nodulo, di dimensioni variabili da 0,3 a 4 cm. Nei tessuti<br />

molli, circa il 50% dei casi insorge da un vaso; nei casi<br />

primitivi cutanei ciò non è stato evidenziato con chiarezza.<br />

L’EE è composto da cordoni di cellule endoteliali epitelioidi,<br />

con nucleo vescicoloso, citoplasma eosinofilo di forma poligonale,<br />

con frequenti vacuoli citoplasmatici, a volte contenenti<br />

emazie. Lo stroma varia da mixoide a ialino. In circa il<br />

25% dei casi si osservano atipie nucleari, attività mitotica<br />

(>1/10 HPF), focolai di necrosi e cellule fusate. Poiché tali<br />

aspetti sembrano correlare con un comportamento biologico<br />

più aggressivo, si parla di EE atipico o maligno. Le cellule<br />

neoplastiche esprimono CD31, CD34 e FVIII. Circa il 25%<br />

degli EE esprime CK e focalmente l’actina muscolare. La<br />

diagnosi differenziale si pone con l’angiosarcoma epitelioide,<br />

l’angioma epitelioide, il sarcoma epitelioide, l’adenocarcinoma<br />

metastatico e il melanoma. La prognosi dell’EE dei<br />

tessuti molli è migliore rispetto a quella dell’EE a primitività<br />

viscerale. Nelle serie studiate che includono sia la forma<br />

classica che quella atipica, emerge che si hanno recidive locali<br />

nel 10-15% dei casi, metastasi nel 20-30%, di cui il 50%<br />

linfonodali e che la mortalità è del 10-20%. Per EE a primitività<br />

viscerale la mortalità varia dal 40% al 65%. Inoltre, l’analisi<br />

separata della forma classica mostra una percentuale di<br />

metastasi del 17% e una mortalità del 3%. In particolare, se<br />

si considera la cute, l’EE ha tendenza a recidivare, raramente<br />

metastatizza nei linfonodi e, al momento, non sono noti casi<br />

di morte per malattia. Ciò suggerisce una prognosi più favorevole<br />

per le lesioni cutanee superficiali. La neoplasia va<br />

asportata completamente e va effettuato un accurato controllo<br />

dei linfonodi. Il termine emangioendotelioma “hobnail”<br />

(EH) comprende il tumore di Dabska (TD) e l’emangioendotelioma<br />

retiforme, due entità strettamente correlate tra loro<br />

sia dal punto di vista istologico che prognostico. L’EH colpisce<br />

un ampio spettro di età, sebbene lesioni con aspetti classici<br />

del TD siano più frequenti nei bambini, mentre l’ER interessa<br />

giovani adulti e adulti. Si manifesta sulle estremità<br />

(50% dei casi) e su testa, collo e tronco. Raramente si sono<br />

osservate altre localizzazioni (milza, lingua). Il TD può insorgere<br />

nell’ambito di malformazioni o di neoplasie vascolari<br />

benigne, mentre l’ER si può associare a linfedema o a pre-<br />

Moderatori: C. Clemente (Milano) e T. Faraggiana (Roma)<br />

gressa irradiazione. Clinicamente si osserva una placca mal<br />

definita di colorito violaceo. Il TD è caratterizzato da spazi<br />

vascolari ben formati rivestiti da cellule endoteliali cuboidali<br />

con nuclei ipercromatici che sporgono nel lume dei vasi,<br />

con il caratteristico aspetto “hobnail” che si aggregano intorno<br />

ad assi ialini, formando strutture papillari simil glomerulari.<br />

Il tessuto connettivo tra i vasi è ialino e contiene linfociti.<br />

L’ER è costituito da spazi vascolari allungati che ricordano<br />

la rete testis, che crescono nel derma e nell’ipoderma. I<br />

vasi sono rivestiti da cellule endoteliali “hobnail” con minore<br />

tendenza a formare papille intravascolari. Si osserva sclerosi<br />

ialina perivascolare con infiltrato linfocitario. L’immunofenotipo<br />

del TD e dell’ER è sovrapponibile. Le cellule<br />

esprimono CD34 e meno intensamente FVIII e CD31. La<br />

diagnosi differenziale si pone con l’emangioma “hobnail”,<br />

l’iperplasia endoteliale papillare e con l’angiosarcoma ben<br />

differenziato. Gli EH recidivano nel 60% dei casi e metastatizzano<br />

nei linfonodi in meno del 10% dei casi. L’emangioendotelioma<br />

kaposiforme (EK) colpisce la prima infanzia<br />

fino alla I decade e, più raramente, l’età adulta. La sede più<br />

frequente è il retroperitoneo, seguito da cute e sottocute. Le<br />

lesioni cutanee si possono presentare come placche violacee<br />

mal definite a rapida crescita o come teleangectasie. I tumori<br />

di maggiori dimensioni si associano quasi sempre alla sindrome<br />

di Kasabach-Merritt (coagulopatia da consumo).<br />

L’EK ha una crescita plurinodulare infiltrativa data da spazi<br />

vascolari sottili, a fessura, commisti ad aggregati nodulari di<br />

cellule endoteliali con pochi lumi e a proliferazione di cellule<br />

fusate. A volte i noduli contengono nidi glomeruloidi di<br />

cellule endoteliali epitelioidi con ampio citoplasma eosinofilo<br />

con granuli di emosiderina, globuli ialini e vacuoli citoplasmatici.<br />

Si possono osservare microtrombi ed emazie<br />

frammentate. Non si osservano atipie cellulari, mitosi, o infiltrato<br />

infiammatorio. Le cellule esprimono CD34, CD31 e<br />

debolmente FVIII. La diagnosi differenziale si pone con l’angioma<br />

capillare dell’infanzia, con il sarcoma di Kaposi e con<br />

il “tufted” angioma. La prognosi dell’EK è legata alla sede e<br />

alle dimensioni della lesione. Quelle retroperitoneali hanno<br />

la prognosi peggiore perché sono le più estese, difficilmente<br />

resecabili chirurgicamente e si associano a coagulopatia da<br />

consumo. Le lesioni cutanee e dei tessuti molli più superficiali<br />

e meno estese vengono trattate con l’ampia escissione<br />

chirurgica. Lesioni non aggredibili chirurgicamente sono<br />

trattate con farmaci sistemici e radioterapia. Tra gli EE, l’emangioendotelioma<br />

composito (EEC) è quello più recentemente<br />

descritto. È una neoplasia rara che colpisce principalmente<br />

mani e piedi, in età adulta. Si manifesta come una<br />

massa infiltrativa a lenta crescita, del diametro variabile da<br />

0,7 a 13 cm con colorazione rosso-violacea della cute. È una<br />

lesione infiltrativa che interessa il derma e il tessuto sottocutaneo.<br />

È composta dall’alternarsi e mescolarsi di aspetti tipici<br />

di altre neoplasie vascolari: emangioendotelioma epitelioide,<br />

e. retiforme, emangioma a cellule fusate, angiosarcoma<br />

ben differenziato, angioma, malformazione arterovenosa. In<br />

molti casi si osservano aggregati di cellule endoteliali vacuolate<br />

con aspetto pseudolipoblastico. Raramente sono presenti<br />

aree simil angiosarcoma di alto grado. Nello stroma sono<br />

presenti aggregati linfoplasmacellulari e depositi di emosiderina.<br />

L’EEC esprime CD31, CD34 e FVIII. Dei casi noti, cir-


202<br />

ca il 50% ha dato recidive locali, mentre un solo caso ha dato<br />

metastasi linfonodali. Tutti i casi sono stati trattati con l’escissione<br />

chirurgica ampia, talvolta fino all’amputazione della<br />

zona interessata, senza l’impiego di radio o chemioterapia.<br />

Bibliografia<br />

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24 Nayler SJ, Rubin BP, et al. Composite hemangioendothelioma. The<br />

American Journal of Surgical Pathology 2000;24:352-361.<br />

CORSI BREVI - SLIDE SEMINARS<br />

I margini di resezione nei tumori cutanei: un<br />

problema per il chirurgo e per il patologo<br />

G. Leigheb<br />

Clinica Dermatologica, Università del Piemonte Orientale<br />

“A. Avogadro”, Ospedale Maggiore della Carità, Novara<br />

Una stretta collaborazione tra clinico e patologo dovrebbe<br />

sempre essere condizione indispensabile al fine di una diagnosi<br />

più corretta e più rapida con risparmio di energie; ciò è<br />

tanto più vero quanto più vengano coinvolti i singoli specialisti<br />

in rapporto alla specifica patologia in esame. Al contrario,<br />

il colloquio del patologo col chirurgo generale che ha<br />

asportato una lesione nevica o un carcinoma cutaneo rischia<br />

di essere sterile in quanto l’operatore non ha specifiche conoscenze<br />

(competenze cliniche ed istopatologiche) su quelle<br />

affezioni. Ne consegue che i margini di resezione sono talora<br />

affidati al caso e spesso sono in difetto.<br />

In ogni caso l’escissione di lesioni maligne cutanee primitive<br />

può portare ad errori evitabili sia da parte del chirurgo sia del<br />

patologo: si pongono, infatti, problemi di “margini di sicurezza”<br />

e di documentata persistenza di neoplasia ai margini<br />

dell’exeresi.<br />

A tal proposito due sono i criteri di maggior garanzia di radicalità:<br />

1) Il dermochirurgo dopo aver formulato la diagnosi<br />

clinica, ricorrendo ad eventuale biopsia incisionale deve ricorrere<br />

a sperimentati protocolli terapeutici chirurgici che indicano<br />

l’ampiezza dei margini di exeresi in rapporto alla natura<br />

e alla fase evolutiva della neoplasia; 2) Il patologo deve<br />

formulare la diagnosi istologica ed anche il giudizio di escissione<br />

più o meno completa della lesione. Purtroppo, non potendo<br />

eseguire sezioni seriate su tutto il pezzo operatorio egli<br />

darà un giudizio di negatività dei margini di escissione anche<br />

quando una neoplasia infiltra oltre tali margini in sedi non<br />

comprese nei cosiddetti tagli ortogonali convenzionali. Di<br />

conseguenza nel referto istologico non sarà corretto esprimere<br />

giudizio di “radicalità di escissione” bensì è da preferirsi<br />

la dizione di “exeresi compresa entro i margini di escissione<br />

nelle sezioni esaminate”.<br />

Tali problematiche sono particolarmente pesanti nel caso delle<br />

neoplasie maligne cutanee più frequenti come tipicamente<br />

il carcinoma basocellulare (C.B.) dell’estremo cefalico dove,<br />

in rapporto all’elevatissimo numero di pazienti giornalmente<br />

trattati, le possibilità di errore diventano statisticamente rilevanti.<br />

Fattori di particolare rischio sono rappresentati da talune<br />

regioni anatomiche come le pliche cutanee del volto ove<br />

alcuni tipi di C.B. hanno evoluzione particolarmente aggressiva<br />

ed infiltrante. In quelle sedi infatti è più difficile il controllo<br />

dei margini della neoplasia.<br />

Mancanza di rispetto dei margini di sicurezza ed esame istologico<br />

incompleto sono la causa più comune e dilagante delle<br />

cosiddette recidive di carcinoma basocellulare. In effetti<br />

non si tratta di recidive ma di “exeresi incomplete” o di “referti<br />

istologici incompleti”, ossia di casi per cui non è raggiunta<br />

la radicalità. Il problema è ancor più scottante in situazioni<br />

di contenziosi medico-legali.<br />

Per quanto concerne la patologia neoplastica cutanea “più<br />

difficile” è raggiungibile un affinamento tecnologico al fine<br />

di un referto più circostanziato. Le possibilità sono offerte<br />

dalla marcatura dei margini di exeresi con coloranti e dalla<br />

topografizzazione del pezzo operatorio o, ancor meglio, dalla<br />

tecnica microtopografica di Mohs.<br />

Vengono presentati casi esemplificativi e dimostrativi dei<br />

vantaggi di tali metodiche, frutto di attività collaborativa tra<br />

dermatologo ed istopatologo.


PATHOLOGICA 2004;96:203-205<br />

Patologia respiratoria non neoplastica<br />

Patologia polmonare da micobatteri<br />

e actinomicetaceae<br />

G. Barbolini, G. Rossi<br />

Dipartimento Integrato di Servizi Diagnostici, di Laboratorio<br />

e di Medicina Legale, Sezione di Anatomia Patologica,<br />

Università di Modena e Reggio Emilia, Modena<br />

Gli Actinomicetali comprendono, oltre alle Micobacteriaceae,<br />

anche le Actinomicetaceae, le Nocardiaceae e le Termoactinomicetaceae.<br />

L’appartenenza di questi batteri ad uno<br />

stesso ordine implica il loro pneumotropismo e la condivisione<br />

di alcune peculiari caratteristiche (ad es. l’alcole-acidoresistenza)<br />

intercorrenti tra batteri di genere diverso (micobatteri,<br />

nocardie e rodococchi). In caso di flogosi cronica granulomatosa<br />

necrotizzante tubercoloide l’identificazione di<br />

actinomiceti, nocardie e rodococchi è generalmente ottenuta<br />

mediante una batteria di colorazioni (PAS, Grocott, Giemsa,<br />

Gram). All’interno di questa famiglia di microrganismi patogeni<br />

per l’uomo, l’infezione da micobatteri (e la tubercolosi<br />

in particolare) rappresenta senza dubbio ancora oggi la patologia<br />

prominente ed una sfida diagnostica formidabile. Nonostante<br />

sia una malattia conosciuta da millenni, l’Organizzazione<br />

Mondiale della Sanità stima che ogni anno siano circa<br />

8 milioni i nuovi casi e che 3 milioni di persone muoiano<br />

a causa di questa malattia 1 2 . I dati si riferiscono principalmente<br />

a paesi in via di sviluppo dove le risorse sanitarie per<br />

combattere l’infezione sono estremamente ridotte e l’infezione<br />

da virus dell’immunodeficienza acquisita (HIV) è tuttora<br />

endemica. Tuttavia, il 20-40% della popolazione mondiale è<br />

portatore del M. tubercolosis 2 e, di conseguenza, la tubercolosi<br />

rimane un problema sociale anche nei paesi industrializzati,<br />

dove, dopo un marcato decremento nell’incidenza sino a<br />

metà degli anni 80, si è registrata una ripresa della malattia in<br />

seguito a forme epidemiche legate alla sindrome da immunodeficienza<br />

acquisita (AIDS), all’incremento dei flussi migratori<br />

da Paesi in via di sviluppo, ed all’aumento del numero di<br />

persone anziane e di soggetti immunodepressi a seguito di terapie<br />

adottate principalmente in corso di neoplasie e trapianti<br />

3 . Inoltre, l’aumento di malattie croniche come le malattie<br />

polmonari ostruttive e restrittive, l’alcolismo, il diabete, le<br />

malattie autoimmuni collageno-vascolari, le pneumoconiosi,<br />

la fibrosi cistica, e i tumori polmonari, costituiscono importanti<br />

fattori predisponenti all’infezione da M. tubercolosis o<br />

di altri micobatteri opportunistici non tubercolari. Più recentemente,<br />

è stato dimostrato come anche il frequente e spesso<br />

inopportuno utilizzo di farmaci potenzialmente immunosoppressori<br />

(come corticosteroidi a basso dosaggio) possa rappresentare<br />

un importante fattore per lo sviluppo di infezioni,<br />

compresa quella da micobatteri 4 . I micobatteri patogeni non<br />

tubercolari, riportati in letteratura con varie dizioni (atipici,<br />

anonimi, opportunistici, paratubercolari), sono attualmente<br />

indicati come MOTT (acronimo di Mycobacterium Organisms<br />

Other Than Tuberculosis). Si tratta di un modello in<br />

espansione di patologia ambientale dove l’habitat prevalente<br />

è all’interfaccia acqua/aria e la porta d’ingresso dell’infezione<br />

è generalmente rappresentata dalle vie respiratorie e dal<br />

tratto gastrointestinale. Oltre che in soggetti immunocompromessi,<br />

l’infezione da MOTT (in particolare da M. avium) in-<br />

Moderatori: G. Barbolini (Modena) e B. Murer (Mestre)<br />

sorge genralmente in maniera insidiosa anche in soggetti immunocompetenti<br />

5 . Proprio per questo, da un lato molte ricerche<br />

sono impegnate nell’individuazione di nuovi test che<br />

possano predire l’infezione latente da M. tubercolosis. A questo<br />

proposito va segnalata l’approvazione negli Stati Uniti da<br />

parte della FDA di un test diagnostico in vitro, QuantiFE-<br />

RON-TB ® , che misura l’interferone-gamma rilasciato dai<br />

linfociti sensibilizzati del sangue intero incubato con il derivato<br />

proteico di M. tubercolosis che costituisce già il test più<br />

specifico e sensibile di infezione tubercolare latente 6 . Dall’altro,<br />

rimane comunque imprescindibile il ruolo del patologo<br />

nell’identificare il micobatterio in campioni cito-istologici.<br />

Sebbene la diagnosi possa essere generalmente raggiunta<br />

nel 50-80% circa dei prelievi ottenuti da espettorato e lavaggio<br />

bronco-alveolare o da biopsie bronchiali mediante l’utilizzo<br />

di semplici metodiche istochimiche (Ziehl-Neelsen con<br />

fucsina basica e Kinyoun, o tecnica a fluorescenza con colorazione<br />

auramina-rodamina), nei casi in cui la carica micobatterica<br />

sia ridotta, queste colorazioni possono risultare falsi<br />

negativi in una significativa percentuale di casi. A livello<br />

polmonare, oltre alla tubercolosi primaria ed alle classiche<br />

forme di tubercolosi post-primaria (larvata, essudativa o ulcero-caseosa,<br />

miliarica, areattiva, bronchiale o neoplastiforme),<br />

vale la pena di sottolinearne una cosiddetta paucibacillare<br />

che può presentarsi anche in sedi extra-polmonari. Recentemente,<br />

infatti, abbiamo osservato diversi casi di processi<br />

granulomatosi necrotizzanti e non in soggetti immunocompetenti<br />

con aspetti morfologici fortemente sospetti per<br />

infezione da micobatteri, peraltro clinicamente e radiologicamente<br />

misconosciuta ed in cui non erano stati effettuati prelievi<br />

per esame colturale microbiologico. Solamente l’analisi<br />

mediante PCR per identificare sequenze di DNA dei micobatteri<br />

del complesso tubercolare (M. tuberculosis, M. bovis,<br />

M. africanum) o del complesso Avium (MAC) o complesso<br />

Avium-Intracellulare (MAI) con sonda specifica IS6110 ed<br />

IS1110, rispettivamente, ci aveva permesso di confermare<br />

che il processo granulomatoso era imputabile ad una infezione<br />

micobatterica. Va sottolineato, a questo proposito che i comuni<br />

liquidi di fissazione utilizzati nei laboratori (formalina<br />

tamponata) ed i tempi prolungati di fissazione per la conservazione<br />

dei prelievi cito-istologici possono incidere nel mantenere<br />

integri i micobatteri e permetterne la loro identificazione<br />

nei tessuti 7 . In questi casi, metodiche di PCR riescono<br />

ad amplificare segmenti specifici di DNA del micobatterio<br />

anche in casi di prolungata fissazione e possono risultare essenziali<br />

nell’identificazione dei microrganismi 8 9 .<br />

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204<br />

Patologia polmonare iatrogena<br />

M. Barbareschi, A. Cavazza *<br />

U.O. Anatomia Patologica, Ospedale S. Chiara, Trento; *<br />

U.O. Anatomia patologica, Ospedale S. Maria Nuova, Reggio<br />

Emilia<br />

Il polmone è frequentemente coinvolto in reazioni a farmaci,<br />

anche se il patologo solo raramente viene coinvolto nel processo<br />

diagnostico in quanto generalmente i pazienti non vengono<br />

sottoposti a procedure bioptiche. Peraltro è di importanza<br />

fondamentale sottolineare che, anche quando il paziente<br />

viene sottoposto a procedure bioptiche, la diagnosi di reazione<br />

polmonare a farmaci è sostanzialmente una diagnosi<br />

anatomo-clinica e che la funzione del patologo è quella di<br />

fornire uno dei vari tasselli che servono a chiarire il mosaico.<br />

Da un punto di vista classificavo le reazioni polmonari possono<br />

essere suddivise in effetti diretti ed indiretti. I primi sono<br />

poi ulteriormente suddivisibili in effetti tossici ed idiosincrasici.<br />

Gli effetti diretti tossici sono generalmente associati<br />

ad una relazione dose-effetto e ad una azione diretta del farmaco<br />

sui tessuti, ed un esempio può essere rappresentato dal<br />

danno dovuto agli agenti chemioterapici. Gli effetti diretti<br />

idiosincrasici, viceversa, sono indipendenti dalla dose e connessi<br />

spesso ad una reazione dell’organismo al farmaco somministrato.<br />

Chiaramente si tratta di una suddivisione non<br />

sempre netta e alcuni farmaci possono agire con uno o l’altro<br />

meccanismo a seconda delle situazioni e talora mescolando i<br />

due effetti. Gli effetti indiretti sono invece dovuti non tanto<br />

alla azione del farmaco sul tessuto polmonare quanto sull’organismo<br />

intero con conseguenti effetti secondari sul polmone.<br />

Esempi di tali condizioni possono essere le infezioni opportunistiche<br />

nei pazienti in terapia immunosoppressiva, le<br />

complicazioni tromboemboliche, e la aspirazione di materiale<br />

gastrico durante terapie con sedazione centrale.<br />

Dal punto di vista della evoluzione temporale possiamo individuare<br />

effetti precoci e tardivi, indicando con i primi gli effetti<br />

che si manifestano durante la assunzione del farmaco e<br />

con i secondi gli effetti che si manifestano a distanza di tempo<br />

dalla cessazione di assunzione del farmaco. Gli effetti precoci<br />

possono poi manifestarsi sia all’atto della assunzione del<br />

farmaco oppure dopo un variabile periodo di tempo durante<br />

il quale il farmaco viene assunto (p.es.: effetto di accumulo).<br />

Gli aspetti (patterns) istologici associati alle reazioni ai farmaci<br />

sono estremamente vari, ed un’importante considerazione<br />

è che un certo farmaco può determinare più quadri istopatologici<br />

e che un singolo quadro istopatologico può essere<br />

causato da farmaci diversi. Un interessante strumento per valutare<br />

rapidamente la possibilità che un certo farmaco possa<br />

determinare un danno polmonare è costituito dal sito web<br />

http://www.pneumotox.com del Groupe d’Etudes de la<br />

Pathologie Pulmonaire Iatrogène, che consente di interrogare<br />

un esauriente ed aggiornato database sui farmaci e sulle lesioni<br />

polmonari ad essi associate. Va ulteriormente sottolineato<br />

che la maggior parte delle reazioni polmonari sono non-specifiche<br />

e che la diagnosi deve essere sostenuta fondamentalmente<br />

da considerazioni di tipo clinico-anamnestico. Esistono<br />

tuttavia alcuni rari aspetti istopatologici sufficientemente caratteristici<br />

che possono per lo meno suggerire la possibilità di<br />

un danno da farmaci. Questo è il caso per esempio della tossicità<br />

da amiodarone: il farmaco comporta infatti l’accumulo<br />

di fosfolipidi nei macrofagi alveolari e nei pneumoniti di II tipo;<br />

tale effetto (anche se non necessariamente segno di tossicità)<br />

può essere un elemento che, in un adeguato contesto, può<br />

porre il sospetto di tossicità da amiodarone.<br />

CORSI BREVI - SLIDE SEMINARS<br />

Una ultima considerazione riguarda i criteri per la diagnosi<br />

di tossicità polmonare. Possiamo così riassumerli: 1) il farmaco<br />

deve essere stato assunto con una relazione temporale<br />

con la reazione polmonare; 2) altre cause di patologia polmonare<br />

devono essere escluse; 3) la reazione polmonare si riduce<br />

o scompare con la sospensione del farmaco; 4) il farmaco<br />

è l’unico ad essere stato somministrato al paziente; 5)<br />

l’aspetto clinico, radiologico ed istopatologico sono compatibili<br />

con l’effetto del farmaco in questione. Difficilmente tutti<br />

questi criteri possono essere soddisfatti e quindi molto<br />

spesso la diagnosi deve essere considerata come sospetta,<br />

compatibile o probabile a seconda delle situazioni.<br />

Patologia polmonare in corso<br />

di collagenopatie<br />

A. Cavazza<br />

Unità Operativa di Anatomia Patologica, Ospedale S. Maria<br />

Nuova, Reggio Emilia<br />

Considerazioni generali 1-4<br />

1) Una patologia polmonare subclinica è frequente. Ad esempio,<br />

la metà circa dei pazienti con artrite reumatoide dimostra<br />

anomalie funzionali, al BAL, alla TAC o all’istologia, ma solo<br />

il 5% presenta sintomi polmonari.<br />

2) La patologia polmonare può precedere le manifestazioni<br />

sistemiche.<br />

3) Esiste una notevole sovrapposizione istologica tra le diverse<br />

collagenopatie. Tutte le componenti del lobulo polmonare<br />

possono essere coinvolte, anche se con diversa frequenza:<br />

la patologia pleurica prevale nell’artrite reumatoide e nel<br />

lupus, la patologia parenchimale in tutte le collagenopatie, la<br />

patologia vascolare nel lupus e nella sclerodermia e la patologia<br />

bronchiale/bronchiolare nell’artrite reumatoide e nel<br />

Sjögren.<br />

4) In nessun caso l’istologia è specifica di collagenopatia:<br />

qualunque quadro istologico compatibile con collagenopatia<br />

può essere sostenuto anche da altre malattie. Stabilire se un<br />

paziente con patologia polmonare è affetto o meno da connettivite<br />

(e a maggior ragione classificare l’eventuale connettivite<br />

presente) spetta al reumatologo, non al patologo.<br />

5) I seguenti aspetti istologici sono più frequenti nelle connettiviti:<br />

interstiziopatia con pattern polmonite interstiziale<br />

non specifica (NSIP) o polmonite interstiziale linfocitaria<br />

(LIP), numerose plasmacellule interstiziali, follicoli linfoidi,<br />

noduli necrotici polmonari o pleurici compatibili con noduli<br />

reumatoidi, corpi ematossilinofili nel liquido pleurico, coesistenza<br />

di lesioni pleuriche e parenchimali e più in generale di<br />

patologie multiple, tanto che può essere difficile classificare<br />

esattamente la lesione. In presenza di questi aspetti il patologo<br />

deve comunicare al clinico la possibilità di una collagenopatia,<br />

tenendo tuttavia presente che nessuno è diagnostico.<br />

6) Mentre nelle interstiziopatie idiopatiche prevale il pattern<br />

polmonite interstiziale usuale (UIP), nelle interstiziopatie in<br />

corso di connettivite il pattern più frequente è la NSIP 4-8 .<br />

7) La prognosi delle interstiziopatie in connettivite è migliore<br />

rispetto alla prognosi delle forme idiopatiche. Ciò è dovuto<br />

sia alla prevalenza nelle connettiviti della NSIP (cioè di un<br />

pattern a prognosi più favorevole rispetto alla UIP), sia al fatto<br />

che la UIP in corso di connettivite ha una prognosi migliore<br />

rispetto alla UIP idiopatica 5 9 .<br />

8) Patologie polmonari secondarie alla terapia e complicanze<br />

della malattia di base devono essere tenute presenti nel paziente<br />

con collagenopatia. In questo contesto, il ruolo del pa-


PATOLOGIA RESPIRATORIA NON NEOPLASTICA<br />

tologo consiste nel contribuire ad escludere un’infezione opportunistica,<br />

tenendo presente che l’agente infettivo può essere<br />

nascosto e la sua ricerca deve essere meticolosa. Una seconda<br />

importante considerazione diagnostica è un danno da<br />

farmaci, la cui istologia è aspecifica e non differenziabile con<br />

sicurezza da una connettivite. Altre possibilità da tenere presenti<br />

sono una polmonite da aspirazione (che è una causa importante<br />

di morbilità e di mortalità soprattutto nei pazienti<br />

con polimiosite/dermatomiosite), un’amiloidosi e una neoplasia<br />

(carcinoma e linfoma, più frequenti rispettivamente<br />

nella sclerodermia e nel Sjögren).<br />

9) Nel campo del polmone reumatologico, l’istologia da sola<br />

è spesso ambigua e in tutti i casi è indispensabile correlarla<br />

attentamente con il quadro clinico.<br />

Singole entità<br />

La patologia toracica più frequente nell’artrite reumatoide 1-3 è<br />

la pleurite, che ha in genere un’istologia aspecifica e solo occasionalmente<br />

ricorda la morfologia del nodulo reumatoide.<br />

La patologia parenchimale interstiziale si esprime più spesso<br />

con i patterns NSIP, UIP o polmonite in organizzazione<br />

(BOOP), talvolta associati a follicoli linfoidi. La patologia<br />

bronchiale/bronchiolare non è rara: nella bronchiolite può<br />

prevalere la componente infiammatoria (bronchiolite cellulata<br />

o follicolare) oppure la componente cicatriziale (bronchiolite<br />

costrittiva, clinicamente più grave). I noduli reumatoidi<br />

sono infrequenti, in genere multipli e asintomatici. Sulla base<br />

della sola istologia è in molti casi impossibile differenziarli<br />

con sicurezza da noduli necrotici infettivi o dal Wegener.<br />

Anche nel lupus eritematoso sistemico 10 la patologia toracica<br />

più frequente è la pleurite. La patologia parenchimale più tipica<br />

è il danno alveolare diffuso (DAD), il cui riscontro deve<br />

indurre ad escludere con rigore un’infezione. Complicanza<br />

infrequente ma temibile è l’emorragia alveolare diffusa, mentre<br />

un’interstiziopatia cronica clinicamente significativa, più<br />

spesso con pattern NSIP, complica il decorso dei pazienti con<br />

lupus nel 3-13% dei casi, ma raramente è severa. La patologia<br />

bronchiale/bronchiolare è infrequente, mentre è importante<br />

la patologia vascolare, che può assumere l’aspetto di<br />

una vasculite o di una malattia trombo-embolica.<br />

205<br />

Le lesioni pleuro-polmonari più tipiche della sclerodermia 6<br />

sono un’interstiziopatia con pattern NSIP fibrosante e alterazioni<br />

vascolari di tipo ipertensivo.<br />

Nella polimiosite/dermatomiosite, la più frequente localizzazione<br />

polmonare consiste in un’interstiziopatia con pattern<br />

NSIP, sia cellulata che fibrosante. In 2 serie recenti 7 8 , la sopravvivenza<br />

a 5 anni dei pazienti con interstiziopatia in corso<br />

di polimiosite/dermatomiosite è risultata del 60% e 50%.<br />

La lesione polmonare più tipica del Sjögren 1 consiste nell’accumulo<br />

di linfociti e plasmacellule, che possono localizzarsi<br />

nella parete dei bronchioli (bronchiolite cellulata o follicolare),<br />

lungo le vie linfatiche (iperplasia linfoide diffusa),<br />

oppure espandere l’intero interstizio (LIP).<br />

Bibliografia<br />

1 Travis WD, Colby TV, Koss MN, et al. Atlas of nontumor pathology.<br />

Non neoplastic disorders of the lower respiratory tract. ARP & AFIP,<br />

Washington 2002.<br />

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4 Nicholson AG, Colby TV, Wells AU. Histopathological approach to<br />

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disorders. Sarcoidosis Vasc Diff Lung Dis 2002;19:10-17.<br />

5 Nakamura Y, Chida K, Suda T, et al. Nonspecific interstitial pneumonia<br />

in collagen vascular disease: comparison of the clinical characteristics<br />

and prognostic significance with usual interstitial pneumonia.<br />

Sarcoidosis Vasc Diff Lung Dis 2003;20:235-241.<br />

6 Kim SD, Yoo B, Lee JS, et al. The major histopathologic pattern of<br />

pulmonary fibrosis in scleroderma is non-specific interstitial pneumonia.<br />

Sarcoidosis Vasc Diff Lung Dis 2002;19:121-127.<br />

7 Douglas WW, Tazelaar HD, Hartman TE, et al. Polymiositis-dermatomyositis-associated<br />

interstitial lung disease. Am J Respir Crit Care<br />

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8 Cottin V, Thivolet-Béjui F, Reynaud-Gaubert M, et al. Interstitial<br />

lung disease in amyopathic dermatomyositis, dermatomyositis and<br />

polymyositis. Eur Respir J 2003;22:245-250.<br />

9 Flaherty KR, Colby TV, Travis WD, et al. Fibroblastic foci in usual<br />

interstitial pneumonia. Idiopathic versus collagen vascular disease.<br />

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10 Keane MP, Lynch JP III. Pleuropulmonary manifestations of systemic<br />

lupus erythematosus. Thorax 2000;55:159-166.


PATHOLOGICA 2004;96:206-210<br />

La biopsia ossea nelle lesioni neoplastiche e non<br />

neoplastiche dello scheletro<br />

Problemi generali di diagnostica<br />

istopatologica su biopsia pertinente<br />

a materiale osseo<br />

C. Della Rocca<br />

Dipartimento di Medicina Sperimentale e Patologia, Università<br />

di Roma “La Sapienza”<br />

Nell’approccio diagnostico istopatologico su biopsia pertinente<br />

a materiale osseo vanno considerati preliminarmente<br />

una serie di problemi che solo in parte si riscontrano su prelievi<br />

bioptici relativi ad altri tessuti. Tali problemi vengono di<br />

seguito schematicamente riportati.<br />

Inerenti al prelievo<br />

Mancanza delle lesione nel materiale prelevato<br />

Le difficoltà di prelievo anche radiologicamente mirato, consistenti<br />

principalmente nella ricostruzione tridimensionale<br />

della lesione, nella profondità della stessa e nella durezza<br />

delle barriere da superare, aumentano il rischio di fallimento<br />

del prelievo.<br />

Limitatezza del materiale rappresentativo della lesione<br />

Le stesse difficoltà ricordate al punto precedente possono inficiare<br />

la rappresentatività del prelievo<br />

Presenza di artefatti da prelievo<br />

La necessità di superare barriere dure porta di frequente ad<br />

artefatti da schiacciamento e da frammentazione<br />

Inerenti il trattamento del materiale bioptico<br />

Inadeguatezza o mancanza del fissativo<br />

Tale problema non è diverso da quello riscontrabile in altri<br />

tessuti<br />

Inadeguatezza della decalcificazione<br />

Decalcificazioni troppo corte o troppo lunghe, o inopportune<br />

causano importanti artefatti di taglio e di colorazione, nonché<br />

di interpretazione diagnostica<br />

Mancanza della post-fissazione<br />

La mancanza di post-fissazione in formalina tamponata, necessaria<br />

per ristabilire la reattività dei gruppi acidi e basici<br />

rende le colorazioni di routine, e non, scarsamente attendibili.<br />

Difficoltà nel taglio delle sezioni istologiche<br />

Nonostante decalcificazioni opportune il taglio del tessuto<br />

osseo, soprattutto se con corticale molto rappresentata, non è<br />

sempre facile e può introdurre gravi artefatti.<br />

Difficoltà nelle colorazioni istologiche<br />

La colorabilità delle sezioni dipende in gran parte dai trattamenti<br />

precedenti alle stesse.<br />

Inerenti l’interpretazione del reperto<br />

Carenza di notizie cliniche<br />

Tale problema non è diverso da quello riscontrabile in altri<br />

tessuti, sebbene nella diagnostica delle lesioni ossee il quadro<br />

clinico sia più spesso determinante nel poter formulare una<br />

diagnosi circostanziata.<br />

Mancanza del reperto radiografico<br />

Non andrebbe resa diagnosi circostanziata in assenza del reperto<br />

radiografico in visione, che non solo in biopsia rappresenta<br />

una macroscopica virtuale, ma soprattutto da informazioni<br />

sulle modalità di crescita della lesione, fondamentali<br />

per l’interpretazione diagnostica.<br />

Moderatori: F. Bertoni (Bologna) e C. Della Rocca (Roma)<br />

Esperienza del patologo<br />

La patologia ossea indagata su biopsia è di solito rara, quindi<br />

non si deve esitare a chiedere revisione esperta in caso di<br />

dubbio diagnostico, anche se minimo.<br />

Inerenti le caratteristiche proprie della lesione<br />

Lesioni di intrinseca difficoltà diagnostica<br />

Molte lesioni ossee rappresentano difficoltà intrinseche di interpretazione<br />

a causa del peculiare ambiente in cui crescono.<br />

Lesioni di grandi dimensioni con variabilità al loro interno<br />

Per le difficoltà di prelievo ricordate, il campionamento di lesioni<br />

di grandi dimensioni può non essere adeguato.<br />

Lesioni complesse con aspetti istologici multipli<br />

Non è raro, in patologia ossea, che una stessa lesione presenti<br />

aspetti istologici multipli con produzione di tessuti scheletrici<br />

diversi e con diversa maturazione.<br />

Lesioni border-line<br />

Tale problema non è diverso da quello riscontrabile in altri<br />

tessuti.<br />

Lesioni di incerto significato biologico<br />

A volte in patologia ossea può essere difficile stabilire non<br />

solo il comportamento, ma anche il significato biologico,<br />

neoplastico o non, di una lesione.<br />

Conclusioni<br />

La diagnostica bioptica delle lesioni ossee soffre sia delle difficoltà<br />

inerenti il prelievo e la lavorazione di un tessuto così<br />

peculiare che di quelle inerenti l’interpretazione del reperto<br />

istologico e le caratteristiche intrinseche di lesioni spesso con<br />

aspetti diversi e con possibilità evolutive non sempre prevedibili.<br />

È verosimile, inoltre, che l’utilizzo di tecniche bioptiche<br />

sempre meno invasive in certi casi aumenti la possibilità<br />

di errore, soprattutto in assenza di quel contatto stretto tra clinici,<br />

radiologi e patologi essenziale da sempre in tale campo<br />

della patologia umana. L’affinamento delle tecniche bioptiche<br />

e il miglioramento dell’organizzazione dell’approccio interdisciplinare<br />

possono diminuire sensibilmente il rischio<br />

dell’errore diagnostico<br />

I tipi di biopsia<br />

F. Bertoni<br />

Università di Bologna, Istituto Ortopedico Rizzoli<br />

Alla base della manovra bioptica ci deve essere conoscenza<br />

adeguata delle immagini clinico-radiografiche della patologia<br />

e del trattamento dei tumori dell’osso da parte dell’esecutore.<br />

Funzione della biopsia è ottenere materiale adeguato<br />

per la diagnosi istologica e di non diffondere la lesione in<br />

esame o provocare voluminosi ematomi che costituiscono a<br />

loro volta vie di disseminazione della lesione 1-3 . La potenziale<br />

contaminazione dei tramiti bioptici (con ago o incisionali)<br />

impone l’asportazione del tramite medesimo insieme alla<br />

lesione neoplastica maligna o benigna aggressiva. Le tecniche<br />

bioptiche correttamente in uso sono:<br />

– biopsie con ago fine<br />

– biopsie con trocar<br />

– biopsie incisionali<br />

– biopsie al congelatore


LA BIOPSIA OSSEA NELLE LESIONI NEOPLASTICHE E NON NEOPLASTICHE...<br />

Bibliografia<br />

1 Huvos AG. Bone Tumors - Diagnosis, treatment and prognosis. Second<br />

Edition W.B.Saunders Company, 1991.<br />

2 Unni KK. Dahlin’s Bone Tumor - General aspects and data on 11.087<br />

cases. Fifth Ed, Lippincott-Raven Publishers, 1996.<br />

3 Campanacci M. Bone and Soft Tissue Tumors. 2 nd Edition. Piccin<br />

Nuova Libraria, Padova; Springer-Verlag, Wien, New York, 1999.<br />

La biopsia ossea nelle malattie metaboliche<br />

dell’osso<br />

E. Bonucci<br />

Dipartimento di Medicina Sperimentale e Patologia, Università<br />

di Roma “La Sapienza”<br />

Le osteopatie metaboliche sono affezioni conseguenti ad alterazioni<br />

del rimodellamento, o rimaneggiamento, del tessuto<br />

osseo. Con questa denominazione si fa riferimento ad un processo<br />

fisiologico di demolizione-ricostruzione ossea dipendente<br />

dall’attività delle cosiddette Unità Multicellulari di Base<br />

(generalmente indicate con l’acronimo inglese BMU). Trattasi<br />

di complessi multicellulari effimeri (la loro durata media<br />

è intorno ai 4 mesi) che nell’adulto si formano su aree microscopiche<br />

dell’endostio ed evolvono attraverso le seguenti fasi<br />

funzionali, ciascuna caratterizzata da un diverso tipo cellulare:<br />

1) fase di attivazione, durante la quale uno o più osteoclasti sono<br />

attivati e richiamati sulla superficie endostale; 2) fase di<br />

riassorbimento, durante la quale tali osteoclasti riassorbono<br />

una parte della matrice calcificata con formazione di una lacuna<br />

di erosione, o di Howship; 3) fase di reversione, durante<br />

la quale gli osteoclasti scompaiono e sono sostituiti da cellule<br />

“post-osteoclastiche” le quali, a tutt’oggi poco caratterizzate,<br />

sembrano sintetizzare la linea cementante che “tappezza” il<br />

fondo della lacuna di erosione; 4) fase di riparazione, durante<br />

la quale osteoblasti attivi sostituiscono le cellule post-osteoclastiche<br />

e sintetizzano tanta matrice ossea quanta occorre per<br />

riparare la lacuna di Howship. L’attività osteoclastica è dunque<br />

in equilibrio con quella osteoblastica cosicché, al termine<br />

della funzione della BMU, non si riscontra alcuna variazione<br />

volumetrica dell’osso e solo la presenza della linea cementante<br />

resta a documentare l’avvenuto processo di demolizione-ricostruzione<br />

ossea. Il rimodellamento osseo, che si svolge prevalentemente<br />

sulle superfici endostali dell’osso spugnoso, metabolicamente<br />

più attivo dell’osso compatto, è dipendente da<br />

stimoli di natura metabolica e di natura meccanica. Tra i primi<br />

ha un ruolo preminente la regolazione della calcemia. La concentrazione<br />

ematica di calcio può infatti essere aumentata allorché<br />

gli ioni calcio che derivano dal riassorbimento della<br />

matrice calcificata possono passare nel circolo sanguigno. Tra<br />

i secondi, è importante il movimento e la funzione muscolare,<br />

perché il mantenimento della normale attività delle cellule ossee<br />

è in gran parte dipendente dalle forze meccaniche che si<br />

esercitano sul tessuto, come dimostra la perdita di volume osseo<br />

che si verifica con l’inattività fisica (nel soggiorno prolungato<br />

a letto, nelle fasciature gessate, per mancanza di gravità<br />

quale si riscontra negli astronauti). Il normale equilibrio<br />

osteoclastico-osteoblastico è regolato e mantenuto da un complesso<br />

sistema di fattori, generali e locali. Per quanto riguarda<br />

l’osteoclasto, tra i fattori generali meritano menzione per la loro<br />

azione di stimolo soprattutto il paratormone (PTH) e il metabolita<br />

renale della vitamina D (1,25(OH) 2D 3) e, per l’azione<br />

inibitrice, la calcitonina; tra i fattori locali, hanno azione stimolante<br />

le Interleukine (IL-1, IL-6), il Tumor Necrosis Factor<br />

(TNF) e il Monocyte-Macrophage Colony Stimulating Factor<br />

207<br />

(M-CSF), in assenza del quale la differenziazione dell’osteoclasto<br />

non si verifica, mentre hanno azione inibitrice l’Interferon-gamma<br />

(IGF-γ), il Trasforming Growth Factor (TGF-β) e,<br />

soprattutto, l’osteoprotegerina (OPG). Questa inibisce l’attivazione<br />

degli osteoclasti in quanto funziona come recettore<br />

“adescatore” (decoy receptor) per RANKL (receptor activator<br />

of NFkappaB ligand) e ne impedisce il legame con RANK, il<br />

recettore di membrana delle cellule preosteoclastiche, la cui<br />

stimolazione ad opera di RANKL, in presenza di M-CSF, dà<br />

inizio alla loro differenziazione in senso osteoclastico. Per<br />

quanto riguarda gli osteoblasti, hanno azione stimolante gli<br />

estrogeni e, tra i fattori locali, soprattutto quelli della superfamiglia<br />

del Transforming Growth Factor (TGF) e della Bone<br />

Morphogenetic Protein (BMP), mentre hanno azione inibitrice<br />

i glucocorticoidi. Qualsiasi alterazione di uno o più di tali<br />

fattori può determinare lo sviluppo di una osteopatia metabolica<br />

la quale può essere diagnosticata mediante agobiopsia ossea,<br />

eseguita a livello della cresta iliaca. L’osso spugnoso di<br />

questa sede, facilmente aggredibile, è infatti ritenuto con buona<br />

approssimazione rappresentativo della situazione del resto<br />

dello scheletro. Il cilindro bioptico, pur nelle sue limitate dimensioni,<br />

consente di esaminare sia l’osso compatto che quello<br />

spugnoso, nonché di apprezzare la cellularità del midollo<br />

osseo. Se adeguatamente trattato, esso permette non solo le<br />

consuete indagini istopatologiche, ma anche quelle istochimiche,<br />

immunoistochimiche e ultrastrutturali. Esso consente<br />

inoltre uno studio quantitativo istomorfometrico, il quale può<br />

essere basato sia su parametri statici di perimetri, superfici e<br />

volumi, sia su parametri dinamici ottenibili mediante la somministrazione<br />

di tetracicline e la misura delle marcature fluorescenti<br />

corrispondenti alla loro fissazione nelle aree di ossificazione.<br />

Si tenga presente comunque che già il semplice studio<br />

istopatologico offre elementi sufficienti ad una corretta<br />

diagnosi di osteopatia metabolica. Così un eccessivo riassorbimento<br />

osseo, quale si riscontra negli iperparatiroidismi, primitivi<br />

o secondari, è caratterizzato dall’aumentato numero di<br />

osteoclasti attivi, eventualmente evidenziati mediante la reazione<br />

per l’attività fosfatasica acida resistente al tartrato<br />

(TRAP), dalla presenza di profonde lacune di riassorbimento<br />

che possono apparire come ampie erosioni nel contesto delle<br />

trabecole (riassorbimento lacunare) o possono interromperne<br />

la continuità (riassorbimento dissecante), dalla presenza della<br />

cosiddetta “fibrosi” midollare (impropriamente denominata<br />

“osteite fibrosa”). Una eccessiva attività osteoblastica, quasi<br />

sempre presente in questi casi e in tutti quelli contrassegnati<br />

da accentuato rimodellamento osseo, è facilmente individuabile<br />

non solo in base all’aumentato numero di osteoblasti,<br />

eventualmente evidenziati mediante la reazione per la fosfatasi<br />

alcalina, ma anche per l’eccessiva ampiezza del tessuto<br />

osteoide (iperosteoidosi) e per la maggior fissazione delle tetracicline.<br />

Il tessuto osteoide può essere aumentato anche nell’osso<br />

osteomalacico a seguito della sua mancata calcificazione,<br />

ma in tal caso la fissazione delle tetracicline è diminuita.<br />

Al contrario, un ridotto rimodellamento osseo è contrassegnato<br />

dalla scarsa presenza o dall’assenza di elementi osteoclastici<br />

e/o osteoblastici e dal fatto che le superfici endostali sono<br />

rivestite quasi esclusivamente dalle cellule piatte di rivestimento<br />

(cellule lining). In tal caso, si riscontra frequentemente<br />

una diminuzione del volume osseo, come si verifica tipicamente<br />

nelle osteoporosi primitive (senile, post-menopausale)<br />

e secondarie (da glucocorticoidi), o nella cosiddetta “malattia<br />

adinamica dell’osso” del paziente uremico, che sembra conseguente<br />

ad una eccessiva inibizione iatrogena dell’attività paratiroidea.


208<br />

La biopsia nelle lesioni condrogeniche<br />

F. Bertoni<br />

Università di Bologna, Istituto Ortopedico Rizzoli<br />

I tumori condrogenici benigni nella casistica dell’Istituto<br />

Rizzoli sono:<br />

osteocondroma (esostosi ): 1177 (solitarie) e 274 (multiple)<br />

– condroma: 481 (solitari) e 90 (multipli)<br />

– condroblastoma: 215<br />

– fibroma condromixoide: 73<br />

I tumori condrogenici maligni sono:<br />

– condrosarcoma centrale: 500<br />

– condrosarcoma periferico: 226<br />

– condrosarcoma dedifferenziato centrale: 110<br />

– condrosarcoma mesenchimale: 20<br />

– condrosarcoma a cellule chiare: 26<br />

Mentre nel condroblastoma ed nel fibroma condromixoide la<br />

biopsia con trocar può offrire abbastanza materiale per la diagnosi<br />

nel condroma la morfologia e la citologia non sono sufficienti<br />

per differenziare quest’ultima lesione dal condrosarcoma<br />

a basso grado. Sono i caratteri clinico-radiografici che<br />

guidano la biopsia che deve essere incisionale quando la lesione<br />

assume caratteri di sospetta malignità. Nel condrosarcoma<br />

e varianti la biopsia con trocar e incisionale sono indifferentemente<br />

applicate.<br />

Le lesioni osteogeniche benigne<br />

C. Della Rocca<br />

Dipartimento di Medicina Sperimentale e Patologia, Università<br />

di Roma “La Sapienza”<br />

Per lesioni osteogeniche si intendono lesioni caratterizzate<br />

dalla capacità di deporre matrice ossea, più o meno calcificata;<br />

tali lesioni sono di solito caratterizzate dalla presenza preponderante<br />

di elementi osteoblastici o simil osteoblastici. Esse<br />

sono comunemente suddivise in benigne e maligne. La<br />

diagnosi differenziale, generalmente facile dal punto di vista<br />

clinico, radiologico e istologico, può porre problemi su biopsia,<br />

ove la frammentarietà del materiale rende difficile l’interpretazione<br />

di alcuni parametri istologici. Premesso che<br />

l’approccio diagnostico corretto di qualsiasi lesione ossea necessita<br />

di uno studio preventivo diretto del materiale radiografico<br />

ad essa relativo e all’acquisizione dei dati clinici,<br />

vengono di seguito descritti i quadri istologici classici delle<br />

lesioni osteogeniche benigne.<br />

Fibroma Ossificante<br />

Con il termine di fibroma ossificante si designano due lesioni<br />

con caratteristiche diverse sia dal punto di vista istologico<br />

che dal comportamento clinico: il fibroma ossificante delle<br />

ossa gnatiche ed il fibroma ossificante delle ossa lunghe. Il<br />

primo è di solito una lesione ben circoscritta e mostra un carattere<br />

di crescita espansivo. Lo stroma è fibroso e può presentare<br />

aspetti proliferativi anche con mitosi numerose, ma<br />

sempre tipiche. Le trabecole osse lesionali sono irregolari,<br />

vanno incontro a maturazione lamellare e sono pressoché<br />

sempre bordate da osteoblasti tipici, mai in mitosi. La vascolarizzazione<br />

stromale non è particolarmente pronunciata e le<br />

cellule giganti di tipo ostoclastico sono presenti in relazione<br />

a superfici ossee in riassorbimento e/o in sede periferica.<br />

Il fibroma ossificante delle ossa lunghe, noto anche come displasia<br />

osteofibrosa e malattia di Campanacci, colpisce pressoché<br />

esclusivamente la tibia ed il perone, e in tali sedi può<br />

CORSI BREVI - SLIDE SEMINARS<br />

essere multifocale. Di sovente la lesione non è ben demarcata,<br />

e può interessare la corticale deformandola. Pur non esistendo<br />

un chiaro carattere infiltrativo e/o permeativo, il margine<br />

di crescita può non essere netto nei confronti dell’osso<br />

limitrofo. I caratteri istologici sono abbastanza simili al fibroma<br />

ossificante delle ossa gnatiche e, in particolare, la<br />

componente ossea è tipicamente maturante in senso lamellare<br />

e gli osteoblasti che bordano le trabecole lesionali sono tipici,<br />

mai in mitosi, e ben riconoscibili. Lo stroma, anche in<br />

questo caso, tipicamente fibroso, può esser più lasso e talvolta<br />

meglio vascolarizzato delle lesioni del massiccio craniofacciale,<br />

mentre del tutto simile è la presenza e disposizione<br />

delle cellule giganti di tipo osteoclastico. Il fibroma ossificante<br />

delle ossa lunghe è stato messo in relazione all’insorgenza<br />

dell’adamantinoma delle ossa lunghe e pertanto risulta<br />

utile indagare le lesioni con colorazioni immunoistochimiche<br />

alla ricerca di cellule ameloblastomatose a volte di difficile<br />

rilevabilità alla mera ricerca morfologica.<br />

Osteoma<br />

Per osteoma si intende un addensamento osseo, probabilmente<br />

quasi mai a significato neoplasico, costituito da osso<br />

lamellare maturo compatto, osteoma eburneo, e/o trasecolare,<br />

osteoma spongioso.<br />

Osteoma Osteoide<br />

L’Osteoma Osteoide è una lesione ben circoscritta circondata<br />

da osso sclerotico reattivo. L’area centrale della lesione è<br />

occupata dal cosiddetto nido, costituito da trabecole di tessuto<br />

osteoide a fibre intrecciate, irregolari, con vario grado di<br />

calcificazione. Nel centro del nido la rete trabecolare, che in<br />

alcuni casi assume l’aspetto di una deposizione diffusa di<br />

osteoide, risulta più densa che in periferia, dove appare più<br />

regolare. La frequente commistione di questi quadri su materiale<br />

bioptico non deve indurre in errore e deve farne sospettare<br />

la natura artefattuale. Gli osteoblasti, rotondeggianti o<br />

fusati, sono spesso presenti lungo le trabecole neoplastiche.<br />

Non si rinvengono mitosi tra le cellule osteoblastiche e rare<br />

sono quelle tra le cellule stromali. Rari gli aspetti epitelioidi<br />

ed eccezionali le atipie cellulari. Un discreto numero di<br />

osteoclasti e di cellule simil-osteoclastiche è sempre rinvenibile.<br />

Generalmente la densità dello stroma è alta, mentre la<br />

vascolarizzazione è limitata.<br />

Osteoblastoma<br />

I principali componenti degli Osteoblastomi sono rappresentati<br />

da cellule simil-osteoblastiche, cellule stromali, osteoclasti<br />

e cellule giganti simil-osteoclastiche. Vi e, inoltre, sempre<br />

presente, deposizione di tessuto osteoide ed evidente vascolarizzazione.<br />

Anche se tutte queste componenti sono di solito<br />

presenti contemporaneamente, tuttavia le loro caratteristiche<br />

e la loro quantità relativa varino creando un ampio spettro<br />

di aspetti istologici che può porre in seria difficoltà il patologo.<br />

Gli osteoblasti si riscontrano solitamente allineati lungo le<br />

trabecole di nuova formazione in genere disposti in un unico<br />

strato. Essi possono assumere varie forme ed in particolare<br />

appaiono ora tondeggianti ora fusati. Con una certa frequenza<br />

gli osteoblasti possono assumere aspetto epitelioide con<br />

dimensioni aumentate, nuclei rotondi, nucleoli prominenti e<br />

citoplasma scarsamente eosinofilo. Lo stroma della lesione<br />

risulta lasso in circa la metà dei casi mentre è compatto nei<br />

restanti. L’atipia delle cellule stromali è pressoché assente.<br />

Le mitosi, peraltro infrequenti, sono presenti esclusivamente<br />

in cellule di tipo stromale. Spesso sono presenti osteoclasti e<br />

cellule giganti simil-osteoclastiche, omogeneamente disperse<br />

nell’ambito della neoplasia. È rilevabile in tutti i casi una deposizione<br />

di tessuto osteoide con vario grado di calcificazio-


LA BIOPSIA OSSEA NELLE LESIONI NEOPLASTICHE E NON NEOPLASTICHE...<br />

ne e maturazione lamellare. Contrariamente a quanto comunemente<br />

ritenuto, non è raro rinvenire osteoide a deposizione<br />

interstiziale e/o diffusa mentre la vascolarizzazione della lesione<br />

risulta sempre chiaramente discernibile a livello stromale<br />

sebbene possa essere variamente espressa in termini<br />

quantitativi.<br />

I margini della lesione sono generalmente ben delineati e,<br />

nella maggior parte dei casi la neoplasia appare ben circoscritta.<br />

Se il tumore cresce nei tessuti molli, un sottile strato<br />

di osso reattivo generalmente separa la lesione dai tessuti viciniori.<br />

Tale reperto, di particolare importanza è di solito visibile<br />

sui primi prelievi bioptici effettuati, di solito concernenti<br />

la “parete” della lesione; in casi di recidiva, non è infrequente<br />

rinvenire un atteggiamento di pseudo-permeazione<br />

dei tessuti sani circostanti.<br />

Displasia fibrosa<br />

Le caratteristiche istologiche salienti della displasia fibrosa,<br />

lesione non neoplastica mono e poliostotica, sono rappresentate<br />

dalla presenza di un tessuto fibroso nel contesto del quale<br />

si apprezzano trabecole ossee e/o osteoidi, irregolari pressoché<br />

sempre di tipo primario in assenza di osteoblasti<br />

morfologicamente riconoscibili, ancorché, in realtà, presenti<br />

ma con fenotipo mutato. La lesione non è mai circoscritta e<br />

si compenetra nel tessuto osseo circostante.<br />

Le lesioni osteogeniche maligne centrali<br />

A. Franchi<br />

Dipartimento di Patologia Umana e Oncologia, Università<br />

di Firenze<br />

Il quadro istologico dell’osteosarcoma è uno dei più eterogenei<br />

riscontrabili nell’ambito della patologia neoplastica umana,<br />

in quanto aspetti profondamente diversi possono coesistere<br />

nell’ambito della stessa neoplasia, o possono essere osservati<br />

in neoplasie diverse. L’elemento cardine che è necessario<br />

per la diagnosi è la produzione, anche in piccole quantità,<br />

di matrice osteoide da parte delle cellule neoplastiche.<br />

Peraltro, alcune caratteristiche citoarchitetturali possono essere<br />

utilizzate per suddividere gli osteosarcomi in gruppi distinti.<br />

Secondo la classificazione WHO del 2002 1 tra le forme<br />

centrali o intramidollari, che sono l’oggetto di questa presentazione,<br />

si possono distinguere l’osteosarcoma convenzionale,<br />

con le varietà osteoblastica, condroblastica e fibroblastica,<br />

l’osteosarcoma telangectasico, l’osteosarcoma a<br />

piccole cellule, l’osteosarcoma a basso grado di malignità, e<br />

gli osteosarcomi secondari. Dal punto di vista terapeutico appare<br />

di fondamentale importanza separare le forme a basso<br />

grado di malignità, che sono caratterizzate da una scarsa propensione<br />

alla disseminazione a distanza e vengono trattate<br />

con il solo intervento chirurgico, dalle forme ad alto grado di<br />

malignità, che necessitano di un trattamento chemioterapico<br />

associato al trattamento chirurgico, a causa del rischio elevato<br />

di disseminazione metastatica già al momento della diagnosi.<br />

Nella maggior parte dei casi gli osteosarcomi centrali ad alto<br />

grado presentano caratteristiche clinico radiologiche fortemente<br />

indicative della diagnosi, sulla base dell’età del paziente,<br />

della sede della lesione, e del quadro radiologico di<br />

distruzione ossea, di mineralizzazione, e di formazione di osso<br />

reattivo a livello periostale. Le difficoltà diagnostiche possono<br />

insorgere quando occasionalmente la neoplasia si presenta<br />

in età più avanzata, in sede non metafisaria, o con un<br />

quadro istologico che devia significativamente da quello<br />

209<br />

usuale. Le problematiche più rilevanti di diagnostica differenziale<br />

dell’osteosarcoma ad alto grado di malignità che<br />

verranno discusse nella presentazione riguardano innanzitutto<br />

lesioni benigne, quali il tessuto osseo reattivo ed il callo di<br />

frattura con componenti ossea e cartilaginea, che possono essere<br />

confusi con l’osteosarcoma convenzionale; la cisti aneurismatica<br />

ossea, che può simulare l’osteosarcoma telangectasico;<br />

l’osteoblastoma, che deve essere distinto dall’osteosarcoma<br />

osteoblastico, ed il tumore a cellule giganti dell’osso, il<br />

cui aspetto istologico può essere molto simile a quello dell’osteosarcoma<br />

ricco di cellule giganti. Inoltre l’osteosarcoma<br />

ad alto grado di malignità deve essere distinto da altre<br />

neoplasie maligne primitive dell’osso, quali il condrosarcoma,<br />

nel caso in cui ci sia una preponderante produzione di<br />

matrice cartilaginea, il fibrosarcoma/istiocitoma fibroso maligno,<br />

quando la produzione di matrice osteoide sia scarsa e<br />

difficilmente evidenziabile, ed il sarcoma di Ewing, quando<br />

la neoplasia è costituita da elementi rotondeggianti di taglia<br />

medio-piccola.<br />

L’osteosarcoma centrale a basso grado di malignità è una varietà<br />

molto rara (circa l’1% degli osteosarcomi) e che spesso<br />

crea notevoli problemi di diagnosi differenziale a causa dell’aspetto<br />

istologico estremamente blando, che può essere facilmente<br />

confuso con quello di una lesione benigna 2-3 . Si tratta<br />

di una diagnosi differenziale di notevole rilievo, in quanto<br />

un trattamento chirurgico incompleto di un osteosarcoma di<br />

basso grado può esitare in recidiva della neoplasia, con progressivo<br />

incremento del grado di malignità (dedifferenziazione)<br />

e possibile comparsa di metastasi a distanza 2-3 . L’osteosarcoma<br />

centrale a basso grado è caratterizzato da una proliferazione<br />

di elementi neoplastici fibroblasto-simili, con atipia<br />

scarsa o assente, immersi in abbondante matrice ricca di collageno,<br />

e con produzione di matrice ossea che più spesso è organizzata<br />

in trabecole sottili e di forma irregolare, in modo<br />

che il quadro istologico è molto simile a quello della displasia<br />

fibrosa ossea 2-3 . Altre volte le trabecole ossee prodotte dalla<br />

neoplasia sono più spesse e ricordano quelle dell’osteosarcoma<br />

parostale, oppure si caratterizzano per un aspetto a mosaico<br />

delle linee cementanti che ricorda quello della malattia di<br />

Paget dell’osso 2-4 . In ogni caso, il carattere aggressivo della<br />

lesione, che è il cardine per la distinzione da lesioni benigne,<br />

può essere riconosciuto principalmente valutando la presenza<br />

di infiltrazione del tessuto osseo circostante. Aspetti chiaramente<br />

invasivi non sono però sempre evidenziabili su materiale<br />

bioptico pre-operatorio, e pertanto diventa essenziale<br />

un’accurata correlazione con le caratteristiche radiologiche<br />

della lesione. Infatti, a livello radiologico, l’aspetto aggressivo<br />

è in genere evidente, e si manifesta con irregolarità dei<br />

contorni della proliferazione e con tendenza a distruggere la<br />

corticale ossea con invasione dei tessuti molli 2-4 .<br />

Bibliografia<br />

1 Fletcher CDM, Unni KK, Mertens F (Eds.). World Health Organization<br />

classification of tumors. Pathology and genetics of tumours of<br />

soft tissues and bone. IARC Press, Lyon 2002.<br />

2 Bertoni F, Bacchini P, Fabbri N, Mercuri M, Picci P, Ruggieri P, Campanacci<br />

M. Osteosarcoma. Low-grade intraosseous-type osteosarcoma,<br />

histologically resembling parosteal osteosarcoma, fibrous displasia,<br />

and desmoplastic fibroma. Cancer 1993;71:338-45.<br />

3 Choong PF, Pritchard DJ, Rock MG, Sim FH, McLeod RA, Unni KK.<br />

Low grade central osteogenic sarcoma. A long term follow-up of 20<br />

patients. Clin Orthop 1996;322:198-206.<br />

4 Franchi A, Bacchini P, Della Rocca C, Bertoni F. Central low grade<br />

osteosarcoma with pagetoid bone formation. A potential diagnostic<br />

pitfall. Mod Pathol 2004;17:288-291.


210<br />

Le lesioni osteogeniche della superficie<br />

A. Parafioriti, E. Armiraglio<br />

U.O. di Anatomia Patologica, Istituto Ortopedico “Gaetano<br />

Pini”, Milano<br />

Le lesioni osteogeniche della superficie dell’osso rappresentano<br />

una percentuale esigua rispetto alle lesioni che insorgono<br />

in sede intramidollare. In questa categoria di lesioni<br />

osteoproduttive sono comprese sia proliferazioni similtumorali<br />

e benigne, come le periostiti ossificanti floride e le<br />

miositi ossificanti profonde sottofasciali, sia neoplasie maligne<br />

come gli osteosarcomi periferici. La neoapposizione<br />

ossea osservata in lesioni periostee reattive (periostite ossificante<br />

florida, e proliferazione osteocondromatosa bizzarra<br />

paraosteale) può rappresentare un importante problema di<br />

diagnosi differenziale con lesioni osteoproduttive maligne.<br />

Solitamente queste lesioni sono più tipiche delle piccole ossa<br />

tubulari delle mani o dei piedi, occasionali nelle ossa<br />

lunghe. Dal punto di vista istologico raramente vengono osservate<br />

atipie citologiche vere, mitosi atipiche e deposizione<br />

di matrice osteoide immatura a disposizione pericellulare<br />

anche se le lesioni preoccupano per l’ ipercellularità e<br />

l’indice mitotico che può risultare elevato rispetto ad esempio<br />

all’osteosarcoma iuxtacorticale a basso grado di malignità.<br />

Analogamente può risultare difficile, soprattutto in<br />

caso di biopsie piccole e senza la necessaria integrazione<br />

anatomo-clinica, la diagnosi differenziale della miosite ossificante<br />

a sede profonda iuxtacorticale che può mimare una<br />

lesione osteoproduttiva soprattutto se non si reperta istologicamente<br />

il fenomeno della “zonazione”.<br />

Gli osteosarcomi periferici o iuxtacorticali rappresentano<br />

meno del 7% di tutti i sarcomi osteogenici e costituiscono un<br />

gruppo eterogeneo sia dal punto di vista anatomo-clinico sia<br />

dal punto di vista del comportamento biologico.<br />

A questo gruppo appartengono entità caratterizzate da crescita<br />

lenta e scarsa tendenza alla disseminazione metastatica,<br />

quali l’osteosarcoma parostale o iuxtacorticale e l’osteosarcoma<br />

periosteo ed entità caratterizzate da un comportamento<br />

estremamente aggressivo, quali l’osteosarcoma parostale<br />

“dedifferenziato” e l’ostesarcoma di superficie ad alto grado<br />

di malignità. Quest’ultimo è molto raro, rappresenta lo 0,6%<br />

di tutti gli osteosarcomi, può presentare un’ infiltrazione microscopica<br />

della cavità midollare e istologicamente ha<br />

morfologia sovrapponibile all’osteosarcoma intramidollare<br />

col quale condivide la prognosi.<br />

L’osteosarcoma parostale rappresenta il 5% degli osteosarcomi,<br />

predilige l’età adulta ed è, morfologicamente e biologicamente,<br />

una neoplasia a basso grado di malignità che di solito<br />

non pone problemi di diagnosi differenziale. Nel 20% dei<br />

casi può presentare dedifferenziazione con coesistenza del<br />

pattern classico a basso grado di malignità con aree citologicamente<br />

da sarcoma di alto grado.<br />

Infine l’osteosarcoma periosteo rappresenta l’1,5% degli<br />

osteosarcomi; è una neoplasia di grado intermedio e istologicamente<br />

mostra aree condroidi, cellule fusate spesso anaplastiche<br />

e scarsa produzione di matrice osteoide, ponendo degli<br />

importanti problemi di diagnosi differenziale anche con lesioni<br />

di natura cartilaginea.<br />

CORSI BREVI - SLIDE SEMINARS<br />

La biopsia ossea nelle lesioni non osteocondrogenetiche<br />

P. Bacchini<br />

Università di Bologna, Istituto Ortopedico Rizzoli<br />

Le lesioni non osteocondrogenetiche comprendono i tumori<br />

ematopoietici quali linfoma e mieloma, i tumori fibrogenetici<br />

ed istiocitari benigni e maligni, tumori notocordali e vascolari<br />

e tumori di c.d. origine ignota quali il tumore a cellule<br />

giganti, il sarcoma maligno associato a tumore a cellule giganti<br />

ed il sarcoma di Ewing. In tutte queste lesioni la biopsia<br />

con ago fine o con trocar può essere impiegata proficuamente<br />

al fine di arrivare ad una diagnosi ed indirizzare la terapia.Tra<br />

le lesioni pseudosarcomatose una delle lesioni più<br />

importanti è la cisti aneurismatica 1-3 .<br />

Nell’ambito delle lesioni ematopoietiche la casistica dell’Istituto<br />

Rizzoli comprende n. 518 casi di mieloma. Nella casistica<br />

della Mayo Clinic sono riportati 3749 mielomi: 814 diagnosticati<br />

con biopsia chirurgica ed i restanti 2935 diagnosticati<br />

con agoaspirato midollare.<br />

I linfomi maligni dell’osso all’Istituto Rizzoli ammontano a<br />

n. 365: ed in circa il 20% dei casi la diagnosi è stata fatta su<br />

materiale bioptico.<br />

Nell’ambito dei tumori ad origine sconosciuta i tumori più<br />

frequenti sono rappresentati dal tumore a cellule giganti (all’Istituto<br />

Rizzoli sono 876) e dal sarcoma di Ewing (n. 788<br />

casi). La diagnosi preoperatoria in entrambe le lesioni è stata<br />

effettuata tramite biopsia con trocar che ha dato risultati sicuri<br />

quando effettuata da mani esperte dal punto di vista clinico<br />

e radiografico. Il materiale inoltre è sufficiente per eventuali<br />

tecniche speciali quali immunoistochimica, microscopica<br />

elettronica o biologia molecolare.Tra i tumori fibrogenici<br />

il più importante tumore di questo gruppo è il fibrosarcoma<br />

che assomma nella casistica del Rizzoli a n. 184 casi. L’agobiopsia<br />

negli ultimi 10 anni è stata impiegata routinariamente<br />

per la diagnosi di questo tumore. L’immunoistochimica applicata<br />

ha permesso di differenziare il fibrosarcoma dal leiomiosarcoma<br />

(tumore raro nel distretto osseo). Nell’ambito<br />

dei tumori istiocitici l’istiocitoma fibroso maligno ha seguito<br />

la stessa evoluzione dell’analoga lesione nelle parti molli e<br />

tale diagnosi è raramente fatta al giorno d’oggi.<br />

I tumori della notocorda costituiscono circa n. 103 casi nella<br />

casistica dell’Istituto Rizzoli e sono rappresentati dal cordoma:<br />

si tratta di tumori in cui l’agobiopsia è in grado di ottenere<br />

sufficiente materiale per la valutazione istochimica dei<br />

markers epiteliali e dell’S100. In tale tumore in particolare va<br />

tenuto presente che il tramite bioptico può essere contaminato<br />

e quindi va sempre asportato all’atto dell’intervento chirurgico.<br />

Questa regola, vera in tutti i tumori, è particolarmente<br />

applicabile al cordoma.<br />

La cisti aneurismatica è in genere ritenuta lesione pseudoneoplastica:<br />

la diagnosi con ago può essere difficile in quanto<br />

lo scarso materiale può essere immerso in abbondante materiale<br />

ematico e non avere aspetti diagnostici.<br />

Bibilografia<br />

1 Huvos AG. Bone Tumors - Diagnosis, treatment and prognosis. Second<br />

Edition W.B.Saunders Company, 1991.<br />

2 Unni KK. Dahlin’s Bone Tumor - General aspects and data on 11.087<br />

cases. Fifth Ed, Lippincott-Raven Publishers, 1996.<br />

3 Campanacci M. Bone and Soft Tissue Tumors. 2 nd Edition. Piccin<br />

Nuova Libraria, Padova; Springer-Verlag, Wien, New York, 1999.


PATHOLOGICA 2004;96:211<br />

Dermatopatologia infiammatoria: approccio<br />

diagnostico per patterns<br />

Dermatopatologia infiammatoria: approccio<br />

diagnostico per patterns<br />

D. Massi, G. Massi *<br />

Dipartimento di Patologia Umana ed Oncologia, Università<br />

di Firenze; * Dipartimento di Patologia, Università Cattolica<br />

del Sacro Cuore, Roma<br />

Nel 1978 A. Bernard Ackerman pubblicò il volume intitolato<br />

Histologic Diagnosis of Inflammatory Skin Diseases: A<br />

Method by Pattern Analysis nel quale per la prima volta veniva<br />

introdotto nello studio della dermatopatologia infiammatoria<br />

un metodo diagnostico basato sull’analisi morfologica<br />

di patterns di reazione tissutale 1 . Il metodo consiste<br />

nell’esaminare la distribuzione dell’infiltrato infiammatorio<br />

e le modificazioni epidermiche integrando tali reperti e riconducendoli<br />

a 9 patterns principali 1 . L’applicazione di un<br />

metodo algoritmico all’analisi di tali patterns è indispensabile,<br />

sebbene talora non sufficiente, al fine di poter formulare<br />

una diagnosi specifica. Nel corso degli anni, il metodo<br />

algoritmico basato sull’analisi di patterns è stato costantemente<br />

perfezionato, soprattutto in funzione delle correlazioni<br />

clinico-patologiche 2 . In particolare, è stato approfondito<br />

lo studio di quelle dermatiti che nel corso della loro<br />

spontanea evoluzione sviluppano lesioni elementari diverse<br />

corrispondenti a patterns istopatologici eterogenei 2 3 . Il metodo<br />

algoritmico deve essere inteso come una guida alla<br />

diagnosi specifica ed applicato con una certa flessibilità tenendo<br />

presente che in alcune circostanze alcuni reperti possono<br />

non essere specifici, ma solo “compatibili” con un determinato<br />

quadro clinico 3 4 . Nel corso dello slide seminar<br />

saranno illustrati casi riconducibili a 4 principali patterns di<br />

reazione, quali: i) pattern di interfaccia o lichenoide; ii) pattern<br />

spongiotico; iii) pattern vescicolo-bolloso; e iv) pattern<br />

granulomatoso.<br />

Pattern di interfaccia<br />

Il pattern di interfaccia o lichenoide è caratterizzato da un<br />

danno dello strato basale epidermico e/o da un infiltrato infiammatorio<br />

che oscura la giunzione dermo-epidermica. Il<br />

danno dello strato basale si può manifestare come degenerazione<br />

vacuolare basale e/o con la comparsa di cheratinociti<br />

picnotici andati incontro a morte cellulare per apoptosi<br />

(corpi di Civatte). Al fine di formulare una diagnosi specifica<br />

nell’ambito delle dermatiti di interfaccia è necessario<br />

prendere in considerazione l’entità e la tipologia del danno<br />

dello strato basale epidermico, la composizione e distribuzione<br />

dell’infiltrato infiammatorio e la presenza di altre<br />

modificazioni istopatologiche peculiari quali la presenza di<br />

abbondante incontinentia pigmenti. Alcune dermatosi sono<br />

più tipicamente associate ad un infiltrato lichenoide (lichen<br />

planus, lichen nitidus, lichen striatus, reazione lichenoide<br />

da farmaci, cheratosi lichenoide, lichen sclero-atrofico)<br />

mentre altre si caratterizzano per un più marcato danno<br />

dell’interfaccia (lupus eritematoso, dermatomiosite, poichilodermia,<br />

eritema multiforme, pitiriasi lichenoide,<br />

aGVHD).<br />

Moderatori: D. Massi (Firenze) e G. Massi (Roma)<br />

Pattern spongiotico<br />

Il pattern di reazione spongiotico è caratterizzato da edema<br />

intraepidermico intercellulare. All’esame istopatologico si riconosce<br />

per la presenza di un allargamento degli spazi intercheratinocitari<br />

ed allungamento delle strutture desmosomiali.<br />

La spongiosi può manifestarsi in foci microscopici o costituire<br />

lesioni vescicolo-bollose. La cronicizzazione di lesioni<br />

spongiotiche si associa alla comparsa di una iperplasia epidermica<br />

psoriasiforme, spesso in conseguenza del grattamento,<br />

con progressiva riduzione dell’edema intercellulare. Nell’ambito<br />

delle dermatiti spongiotiche la caratterizzazione<br />

dell’infiltrato infiammatorio (linfoistiocitario vs. eosinofilo<br />

vs. neutrofilo) associato può essere di aiuto nella definizione<br />

dello specifico quadro clinico.<br />

Pattern vescicolo-bolloso<br />

In presenza di una lesione vescicolo-bollosa a livello intraepidermico<br />

e giunzionale la diagnosi specifica si basa sul riconoscimento<br />

di: i) livello anatomico del distacco; ii) meccanismo<br />

patogenetico responsabile del distacco, e iii) caratterizzazione<br />

dell’infiltrato infiammatorio. Il livello anatomico<br />

del distacco può essere subcorneo, nel contesto dello strato<br />

spinoso, soprabasale o subepidermico. Il meccanismo responsabile<br />

del distacco può essere spongiosi, edema intracellulare<br />

e degenerazione balloniforme o acantolisi (diminuita<br />

coesione intercellulare). Per un accurato inquadramento delle<br />

dermatiti vescicolo-bollose subepidermiche oltre ai dati<br />

clinici è fondamentale l’integrazione con i dati laboratoristici<br />

(immunofluorescenza, immunoistochimica per lo studio<br />

dei costituenti della membrana basale), microscopia elettronica,<br />

ed immunoelettromicroscopia.<br />

Pattern granulomatoso<br />

Le dermatiti granulomatose sono caratterizzate dalla presenza<br />

nel derma e/o ipoderma di aggregati di cellule epitelioidi commiste<br />

a cellule giganti, linfociti, plasmacellule e fibroblasti.<br />

Sulla base delle caratteristiche citoarchitetturali si distinguono<br />

5 tipologie di granuloma: i) tuberculoide, ii) sarcoideo, iii) necrobiotico<br />

(a palizzata), iv) suppurativo e v) da corpo estraneo.<br />

La diagnosi specifica nell’ambito delle dermatiti granulomatose<br />

si basa sul riconoscimento della tipologia e distribuzione dei<br />

granulomi, sulla presenza di aspetti peculiari quali necrosi centrale,<br />

suppurazione o necrobiosi ed infine sulla documentazione<br />

di corpi estranei o microrganismi.<br />

Attraverso un approccio eminentemente pratico sarà illustrato<br />

il metodo diagnostico algoritmico privilegiando quegli aspetti<br />

che possono essere di ausilio nella pratica diagnostica, con particolare<br />

riferimento alle correlazioni clinico-patologiche.<br />

Bibliografia<br />

1 Ackerman AB. Histologic Diagnosis of Inflammatory Skin Diseases:<br />

A Method by Pattern Analysis. Philadelphia: Lea & Febiger, 1978.<br />

2 Ackerman AB, et al. Histologic Diagnosis of Inflammatory Skin Diseases:<br />

An algorithmic method based on pattern analysis. (Second<br />

Edition). Baltimore: William & Wilkins, 1997.<br />

3 Weedon D, Strutton G. Skin Pathology (Second Edition). London:<br />

Churchill Livingstone, 2002.<br />

4 Massi G, Chiarelli C. Atlante di Dermatopatologia. Milano: Masson,<br />

1995.


PATHOLOGICA 2004;96:212<br />

Patologia respiratoria neoplastica e non<br />

Iperplasia adenomatosa atipica polmonare<br />

S. Damiani * , L. Morandi * , S. Asioli * , A. Cavazza ** , A. Pession<br />

*<br />

* Sezione di Anatomia Patologica “M. Malpighi”, Università<br />

di Bologna, Ospedale Bellaria; ** Servizio di Anatomia Patologica,<br />

Ospedale S. Maria Nuova, Reggio Emilia<br />

Storia clinica del caso: paziente di sesso maschile, fumatore,<br />

di 58 anni. Nodulo polmonare del lobo superiore dx, di 3 cm.<br />

Nel tessuto polmonare a distanza dalla neoplasia, macroscopicamente<br />

indenne da neoplasia, si rilevano all’istologia,<br />

aree multiple di 3-4 mm, con setti rivestiti da pneumociti atipici.<br />

Diagnosi: focolai di iperplasia adenomatosa atipica associata<br />

ad adenocarcinoma.<br />

Commento: l’iperplasia adenomatosa atipica (IAA), entità<br />

definita recentemente anche dall’Organizzazione Mondiale<br />

della Sanità, è considerata il precursore dell’adenocarcinoma<br />

(AD) e del carcinoma bronchiolo-alveolare (BAC). La IAA<br />

è, per definizione, una lesione di piccole dimensioni (non superiore<br />

ai 5 mm), costituita da setti alveolari conservati, o di<br />

poco ispessiti, bordati da pneumociti con atipie nucleari che<br />

vanno dalla presenza di pseudoinclusioni eosinofile alla cromatina<br />

addensata alle irregolarità della membrana nucleare.<br />

Da un punto di vista morfologico, il problema principale nella<br />

definizione di lesioni interpretabili come IAA risiede nei<br />

confini alquanto sfumati tra questa e un piccolo focolaio di<br />

BAC e, il criterio delle dimensioni scelto dalla OMS appare<br />

essere ovviamente un artifizio, seppure utile. La reale incidenza<br />

della IAA non è chiara. Infatti, la frequenza di focolai<br />

singoli o multipli di IAA varia nelle casistiche dal 3-5% a oltre<br />

il 50% 1 dei pazienti portatori di carcinoma polmonare. In<br />

realtà, date le piccole dimensioni che caratterizzano la IAA,<br />

la grande differenza di questi dati è almeno in parte riconducibile<br />

alla vastità del campionamento del tessuto polmonare<br />

macroscopicamente “normale”. Seppure esistono ormai varie<br />

evidenze, non solo morfologiche, ma anche molecolari, a<br />

supporto della natura neoplastica della IAA, il tipo di relazione<br />

che esiste tra questa lesione e il carcinoma polmonare<br />

non è ancora chiaro e in particolare non è chiaro il rapporto<br />

di clonalità esistente tra il carcinoma e i focolai di IAA associati.<br />

È noto che il carcinoma polmonare si presenta non di<br />

Moderatori: M. Chilosi (Verona) e G. Fontanini (Pisa)<br />

rado in forma bi o multifocale. Studi sul rapporto di clonalità<br />

tra i noduli carcinomatosi multipli e tra i foci di IAA e il carcinoma<br />

associato hanno dato risultati discordanti. Niho e<br />

collaboratori 2 hanno trovato un pattern di Humara differente<br />

tra la IAA e il carcinoma in 3 su 5 casi studiati, supportando<br />

un’origine multifocale. Simili risultati sono stati portati da<br />

Huang e collaboratori 3 che hanno trovato differenti alterazioni<br />

genetiche nei tumori multifocali. Al contrario, recentemente<br />

Ullmann e Collaboratori 4 studiando 13 pazienti con<br />

tecniche di ibridazione genomica comparata hanno riscontrato<br />

alterazioni sovrapponibili nel BAC e nei foci di IAA associati,<br />

suggerendo per questi casi la possibilità che i foci di<br />

IAA rappresentino piuttosto foci di disseminazione neoplastica<br />

a partenza dal nodulo principale. Tuttavia il limite di<br />

questi e altri studi simili è posto principalmente dal basso numero<br />

di alterazioni cromosomiche studiate e, quindi, anche<br />

trovare un pattern simile non esclude in assoluto un’origine<br />

policlonale delle lesioni. Recentemente abbiamo studiato<br />

l’assetto clonale in 16 pazienti, per un totale di 18 BAC/AD<br />

e 23 foci di IAA. La clonalità è stata studiata sia valutando<br />

la perdita di eterozigosi (LOH) per 7 microsatelliti, tra quelli<br />

maggiormente coinvolti nella carcinogenesi polmonare,<br />

sia mediante il sequenziamento diretto della regione D-Loop<br />

del DNA mitocondriale. Quest’ultima tecnica appare particolarmente<br />

vantaggiosa negli studi di clonalità poichè permette<br />

di esaminare con la microdissezione di un numero di<br />

cellule relativamente basso, una grande quantità di alterazioni<br />

geniche, essendo il DNA mitocondriale molto esposto a<br />

mutazioni ed essendo queste particolarmente frequenti nella<br />

regione D-Loop (non codificante). Nella nostra serie, in tutti<br />

i casi che sono stati considerati informativi, i foci di IAA<br />

sono risultati geneticamente “lontani” dal carcinoma associato<br />

supportando la teoria della carcinogenesi multifocale<br />

del polmone.<br />

Bibliografia<br />

1 Koga T, Hashimoto S, Sugio K, Yonemitsu Y, Nakashima Y, et al. Am<br />

J Clin Pathol. 2002;117:464-470.<br />

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1999;154:249-254.<br />

3 Huang J, Behrens C, Wistuba II, gazdar AF, Jagirdar J. Arch pathol<br />

Lab Med 2002;126:437-441.<br />

4 Ullmann R, Bongiovanni M, Halbwedl I, Fraire AE, et al. J Pathol<br />

2003;201:371-376.


PATHOLOGICA 2004;96:213-214<br />

Patologia feto-placentare – L’autopsia feto-neonatale:<br />

livelli diagnostici minimi o di eccellenza?<br />

Realtà complesse ed epidemiologia di un<br />

fenomeno<br />

M. Grosso, L. De Meo * , M. Trovato, N. Carlo Stella ** , G.<br />

Barresi<br />

Dipartimento di Patologia Umana, Università di Messina; *<br />

Dipartimento Scienze Economiche, Finanziarie, Sociali, Ambientali<br />

e Territoriali, Università di Messina; ** Dipartimento<br />

Scienze Ginecologiche, Ostetriche e Medicina della<br />

Riproduzione, Università di Messina<br />

Il decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri del<br />

09/07/1999 n° 732500 art. 1 comm. 2 recita in questi termini:<br />

“per i nati morti devono essere eseguiti gli esami autoptici,<br />

gli accertamenti anamnestici previsti dalla visita medica e<br />

qualora ritenuti necessari gli esami strumentali e l’esecuzione<br />

di fotografie…”. È ragionevole pensare che questo decreto<br />

sia nato dalla constatazione, che molte patologie fetali e<br />

neonatali, siano sfuggite alla valutazione epidemiologica per<br />

mancanza di riscontro diagnostico. Inoltre, le attuali problematiche<br />

demografiche nazionali, legate al decremento della<br />

natalità, impongono l’attivazione di uno stretto monitoraggio<br />

della gravidanza e, nel caso di un esito infausto, la necessità<br />

di fornire alla coppia risposte ben precise circa le previsioni<br />

di successo per una futura gravidanza.<br />

Da una revisione della letteratura si evince una riduzione del<br />

numero dei riscontri diagnostici in generale 1 2 , affermandosi<br />

sempre di più il concetto che: “nell’ambiente medico accademico<br />

ed ospedaliero l’autopsia è vissuta e percepita da tempo<br />

come una pratica fuori moda inserita in uno scenario caratterizzato<br />

da spettacolari ed affascinanti innovazioni tecnologiche”<br />

1 . I clinici, pur riconoscendo la validità, sempre meno<br />

frequentemente richiedono il riscontro diagnostico. Tale<br />

riduzione coinvolge anche l’autopsia feto-neonatale a causa<br />

della disponibilità e della diffusione di tecnologie avanzate<br />

nel monitoraggio della gravidanza, quali gli ultrasuoni ad alta<br />

risoluzione, gli screening biochimici, l’eco-Doppler e le<br />

valutazioni genetiche 3 . La pratica di tali indagini ha comportato<br />

di conseguenza un incremento degli aborti terapeutici In<br />

tali casi bisogna però sottolineare che l’autopsia andrebbe<br />

sempre eseguita per escludere la presenza di altre minime<br />

malformazioni che possono non essere state precedentemente<br />

visualizzate e per l’inquadramento del tipo di malformazione.<br />

Un altro dato che emerge dalla letteratura è la sottovalutazione<br />

dell’esame placentare, fondamentale per la formulazione<br />

diagnostica e talora anche punto cruciale per la risoluzione<br />

di controversie giudiziarie 4 . Ancora oggi, definire la<br />

placenta come il “diario della gravidanza” rappresenta insieme<br />

il messaggio e la definizione più appropriati [5]. Nel corso<br />

degli ultimi anni le nuove “spettacolari ed affascinanti innovazioni<br />

tecnologiche” ci hanno già fornito delle risposte<br />

molto importanti ma dobbiamo essere consapevoli che queste<br />

rappresentano solo una piccola parte delle potenzialità,<br />

che può offrirci lo studio della placenta, miniera ancora poco<br />

esplorata 1 6 . Nel 1999 al Congresso SIAPEC-IAP il Gruppo<br />

Italiano APEFA aveva segnalato, seppur in un quadro di generale<br />

miglioramento, la persistente incompletezza nella raccolta<br />

di dati epidemiologici e di informazioni demografiche 7 .<br />

Moderatori: G. Bulfamante (Milano) e E. Fulcheri (Genova)<br />

Tale incompletezza di informazioni si evidenzia anche in Sicilia.<br />

Questo convincimento è stato condiviso anche dai responsabili<br />

degli Uffici statistici del Comune di Messina e<br />

della Regione Sicilia che evidenziano, inoltre, notevoli limitazioni<br />

nell’utilizzo di alcuni dati statistici per la legge sulla<br />

privacy. La lacunosità dei suddetti elementi epidemiologici,<br />

diviene oltremodo preoccupante, se consideriamo che i dati<br />

ISTAT 2000 indicano la Sicilia come la regione italiana con<br />

il più alto tasso di mortalità perinatale (7,4 x1000 nati) 8 . Gli<br />

unici riferimenti presenti nel territorio si limitano ai casi di<br />

malformazione, segnalati nel Registro ISMAC relativo all’intera<br />

area territoriale siciliana. La presente relazione si pone<br />

i seguenti obbiettivi:<br />

• Verificare l’incidenza della mortalità fetale e neonatale<br />

• Determinare il numero e la causa di morte in riscontri diagnostici<br />

fetali e neonatali, correlati con l’esame della placenta.<br />

Le informazioni in nostro possesso abbracciano un orizzonte<br />

temporale compreso tra il 1991 ed il 2002 e sono state ottenute<br />

attraverso la revisione dei registri autoptici del Dipartimento<br />

di Patologia Umana del Policlinico Universitario di<br />

Messina e la successiva comparazione con le corrispondenti<br />

cartelle cliniche del Dipartimento di Ostetricia.<br />

L’effettuazione di prime analisi sui dati in nostro possesso<br />

hanno fornito le seguenti evidenze preliminari:<br />

• Quoziente di natimortalità relativo alla Clinica Ostetrica<br />

del Policlinico Universitario di Messina: pari a circa il 4,2<br />

x1000 nati contro un valore nazionale del 3,4 x1000 nati ed<br />

un valore delle regioni del mezzogiorno del 3,5 x1000 nati<br />

(ISTAT).<br />

• Numero dei riscontro diagnostici con elevata variabilità<br />

per anno sul totale dei nati morti provenienti dalla Clinica<br />

Ostetrica del Policlinico: dal 28,6% del 1999 al 100% negli<br />

anni 1995 e 2000 e con una media che non supera il<br />

64%.<br />

• Limitato ricorso all’utilizzo dell’esame placentare: in particolare<br />

su 302 autopsie eseguite, solo nel 54% dei casi la<br />

placenta è stata inviata. Va sottolineato un trend di crescita,<br />

che negli ultimi due anni considerati, e solo in quelli, ha<br />

evidenziato valori superiori alla media (rispettivamente il<br />

58% nel 2001 e l’85% nel 2002).<br />

Come risolvere il problema: 1) creazione di uno staff costituito<br />

da patologi, ostetrici, neonatologi, genetisti, microbiologi<br />

ed epidemiologi per un corretto monitoraggio della natimortalità,<br />

2) sensibilizzazione sul problema a livello regionale<br />

e nazionale.<br />

Bibliografia<br />

1 Andrion A. L’autopsia: problemi emergenti di deontologia medica.<br />

Pathologica 2004;96(1):1-3.<br />

2 Sicolo N, Martini C, Mioni R, Maffei P, Scandellari C. L’errore in<br />

medicina: conseguenze e prevenzione. Pathologica 2001;93(5):613-<br />

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3 Tennstedt C, Hufnagl P, Chaoui R, Korner H, Dietel M. Fetal autopsy:<br />

a review of recent developments. European Journal of Obstetrics<br />

& Gynecology and Reproductive Biology 2001;99:66-71.<br />

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5 Gillan JE. Perinatal placental pathology. Curr Opin Obstet Gynecol<br />

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214<br />

6 Trovato M, Grosso M, Vitarelli E, Benvenga S, Trimarchi F, Barresi<br />

G. Immunoexpression of the hepatocyte growth factor (HGF),HGFreceptor<br />

(c-met) and STAT3 on placental tissues from malformed fetuses.<br />

Histol Histopathol 2002;17:691-698.<br />

CORSI BREVI - SLIDE SEMINARS<br />

7 Gruppo Italiano APEFA. Patologia malformativa feto-neonatale: studio<br />

anatomopatologico policentrico italiano. Pathologica<br />

1999;91(5):312-313.<br />

8 ISTAT Annuario statistico Italiano 2003.


PATHOLOGICA 2004;96:215-218<br />

Surgical neuropathology of evacuated<br />

intracerebral hemorrhages<br />

C. Giannini<br />

Department of Pathology, Mayo Clinic, Rochester, MN<br />

(USA)<br />

Spontaneous intracranial hemorrhages are divided into two<br />

main categories, subarachnoid (SAH) and intracerebral hemorrhages<br />

(ICH). While primary SAHs, in which the bleeding<br />

takes place in the subarachnoid space alone, are most frequently<br />

due to rupture of a saccular aneurysm (> 80%) or to<br />

an arteriovenous malformation (AVM) (5-10%), spontaneous<br />

ICHs can be due to a variety of causes 1 . Surgical removal of<br />

an ICH (ICH) is recommended only in selected patients to relieve<br />

intracranial pressure or symptoms. However, if the<br />

hematoma is evacuated, careful sampling of the hematoma<br />

and its cavity and accurate histopathological analysis disclose<br />

a definite cause of the ICH in a surprisingly high proportion<br />

of cases. Irrespective of their cause, hematomas have<br />

a similar pathological appearance. Fresh hematomas are<br />

sharply demarcated collections of blood. A rim of surrounding<br />

neurons and glia undergoes necrosis during the first day,<br />

causing increase of edema. The reaction to the ICH is quite<br />

similar to that surrounding an infarct, with polymorphonuclear<br />

cells appearing by 48 hours (slightly slower than in infarcts).<br />

Macrophages take the appearance of siderophages<br />

rather than foam-cells. Blood derived pigment may also appear<br />

in astrocytes. Hemosiderin forms progressively and may<br />

persist several years later. In a week, astrocytes have proliferated<br />

and neovascularization occurs, causing the characteristic<br />

“ring enhancement” visible by imaging surrounding<br />

hematomas. Identifying the underlying cause of the ICH can<br />

be challenging. However, knowledge of the patient age, of<br />

the size and location of the ICH as well as of the most common<br />

causes of intracranial hemorrhage is of great help in<br />

suggesting the most likely diagnosis.The data summarized in<br />

the table below represent the six most common and well defined<br />

causes of ICH, and apply predominantly to the most<br />

common larger, generally single hemorrhages.<br />

Causes of non-traumatic %<br />

ICH (adapted from ref 2)<br />

Hypertension 50<br />

Cerebral Amyloid Angiopathy 12<br />

Anticoagulants 10<br />

Tumours 8<br />

Illicit and licit drugs 6<br />

AVMs and aneurysms 5<br />

Miscellaneous 9<br />

ICHs are separated in supratentorial and infratentorial hemorrhages.<br />

The larger supratentorial hemorrhages are commonly<br />

divided into lobar hemorrhages as opposed to deep<br />

Neuropatologia<br />

Moderatori: F. Giangaspero (Roma) e C. Giannini (Rochester, USA)<br />

hemorrhages, involving the basal ganglia and thalamus. Infratentorial<br />

hemorrhages include cerebellar and brain stem<br />

hemorrhages.<br />

Sites of non-traumatic ICH N % T* % %<br />

Lobar 65 31<br />

One lobe 46<br />

Frontal 17<br />

Parietal 11<br />

Temporal 9<br />

Occipital 9<br />

Two lobes 42<br />

Three lobes 12<br />

Deep supratentorial 107 51<br />

Putamen 48<br />

Thalamus 43<br />

Caudate 9<br />

Deep infratentorial 37 18<br />

Cerebellum 70<br />

Pons 30<br />

Total (* T) 209 100<br />

Adapted from ref 3<br />

Deep hemorrhages are more frequent than lobar hemorrhages<br />

(ratios of 2:1 and 4:3 have been reported). These two types of<br />

hemorrhages differ not only by absolute frequency and location,<br />

but also by different frequency of causes and clinical<br />

presentation. Deep hemorrhages are most frequently caused<br />

by hypertension (up to 80% of cases) in contrast to lobar hemorrhages<br />

(30-50%). Cerebral amyloid angiopathy accounts<br />

for approximately 1/3 of lobar hemorrhages. Patients with lobar<br />

hemorrhages are on average 4-9 year older than patients<br />

with deep hemorrhages, are more commonly men, have larger<br />

hemorrhages (lobar mostly > 50 ml; deep < 15 ml) and less<br />

frequently extend to the ventricles.<br />

Sporadic Cerebral Amyloid angiopathy (CAA) accounts for<br />

up to 12% of primary non-traumatic intraparenchymal hemorrhages.<br />

It generally causes peripherally located cerebral hemorrhages<br />

(lobar), especially in elderly normotensive patients.<br />

The risk of bleeding is high with up to 20% of patients<br />

with CAA experiencing hemorrhage. The hemorrhages can<br />

be multiple both in time and in site and given the superficial<br />

location can be associated with leptomeningeal extension. In<br />

addition to being the primary cause of hemorrhage, CAA can<br />

also act as a precipitating factor in intraparenchymal hemorrhages<br />

complicating other treatments, such as fibrinolytic<br />

treatment of acute myocardial infarct. In a recent series reporting<br />

on the histopathologic findings of blood clots removed<br />

for hemorrhage of unknown cause, CAA appeared to<br />

account for 1/3 of cases in which a specific histopathologic


216<br />

diagnosis could be obtained 4 . It appears that the likelihood of<br />

obtaining a diagnosis correlates with both the presence of<br />

brain tissue fragments admixed to the clot as well as to<br />

amount of material examined. Sporadic CAA is the most<br />

common variety of CAA and is due to deposition of the βamyloid<br />

peptide (β-A4), a cleavage product of β-APP (amyloid<br />

precursor protein), encoded on chromosome 21. Deposition<br />

of β-A4 CAA, in addition to sporadic CAA, can be seen<br />

in Alzheimer’s disease and Down’s syndrome. A rare syndrome<br />

of hereditary ICHs with amyloid angiopathy (CAA<br />

Dutch type) is also associated with β-A4 deposition. Hemorrhage<br />

is attributed to rupture of the rigid and fragile vascular<br />

walls. Close observation of tissue fragments in blood clots<br />

for vascular abnormalities as well as performing a Congo red<br />

and/or β-amyloid immunostain is strongly recommended.<br />

Tumor Hemorrhage: ICH may result from both primary or secondary<br />

(metastatic) tumors and may represent their first manifestation.<br />

Even in this case, hemorrhage is thought to be secondary<br />

to an excessive number of abnormal vessels. This rich<br />

abnormal vascularity is thought to cause the presence of ring<br />

enhancement in tumoral hemorrhages, usually absent in fresh<br />

non-neoplastic ICH. Among primary tumors, high grade astrocytomas,<br />

as in the present case, and oligodendrogliomas have<br />

been most frequently associated with ICH. Tumors such as pilocytic<br />

astrocytomas and hemangioblastomas can also not infrequently<br />

bleed. Among metastatic tumors, melanoma, lung<br />

carcinoma, renal cell carcinoma and choriocarcinoma have<br />

been most frequently responsible for ICH. More complex is<br />

the etiology and pathogenesis of ICH associated with hematological<br />

disorders such as acute leukemia. Only rarely ICH is<br />

the primary manifestation of the disease. Hemorrhage can be<br />

due to direct localization of the hematologic malignancy to the<br />

CNS, to a coagulopathy induced by the disease and/or secondary<br />

to treatment, to infection, such as fungal infection, secondary<br />

to immunosuppression. As a rare and late event in long<br />

term survivors, ICH can be secondary to development of vascular<br />

malformations developing as a consequence of chemo<br />

and/or radiation therapy.<br />

AVMs and aneurysms: AVM, rather than cavernous angiomas,<br />

more frequently cause acute bleeding and require<br />

surgical intervention. Given their location, they can cause intraparenchymal<br />

as well as intraventricular hemorrhage and<br />

less frequently leptomeningeal hemorrhage. AVM rarely<br />

cause diagnostic difficulties, although some small AVM may<br />

be difficult to detect in ICH. Sampling from the wall of the<br />

hematoma is recommended. Vascular reactive changes secondary<br />

to the hemorrhage in subacute ICH should not be confused<br />

with true AVMs. Saccular (berry) aneurysms only<br />

rarely cause ICH, when the fundus of the aneurysm is embedded<br />

in the parenchyma. Bacterial emboli, most frequently<br />

of cardiac origin, can lodge in vessels of different sizes<br />

causing micotic aneurysm formation. Most frequently they<br />

appear to affect small intraparenchymal arteries causing hemorrhages<br />

indistinguishable from hypertensive hemorrhages.<br />

We have seen micotic aneurysm formation I larger vessels<br />

such as middle cerebral artery.<br />

Anticoagulants and antithrombolytics: approximately 1% of<br />

patients treated with anticoagulants develop ICH, their risk<br />

being approximately three times higher than control patients.<br />

Approximately 10% of all ICH are induced by anticoagulants.<br />

The risk increases when anticoagulants are used in the<br />

treatment of ischaemic stroke as well as when thrombolytic<br />

therapy is used for acute myocardial infarct (risk 0.3-0.8%).<br />

Risk of ICH is considerably higher when thrombolytic therapy<br />

is used in treatment of acute cerebral ischemia.<br />

CORSI BREVI - SLIDE SEMINARS<br />

Drugs: among illicit drugs, cocaine, heroin and sympathomimetic<br />

drugs such as amphetamines have been most commonly<br />

associated with ICH. ICH occurs in significantly<br />

younger people and are generally lobar. Among the pathogenetic<br />

mechanisms, acute increase in blood pressure and vasculitis,<br />

similar to polyarteritis nodosa, for some cases have been<br />

proposed.<br />

References<br />

1 Kalimo H, Kaste M, Haltia M. Vascular diseases. In: Greenfield’s<br />

Neuropathology, Seventh Ed Graham DI and Lantos PL, Arnold,<br />

London, 2002, Vol 1: 281-357.<br />

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disorders, Fisher M ed, London, Chicago: Wolfe, 1994:<br />

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and deep hemorrhage: the stroke data bank. Neurology<br />

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4 Abrahams NA, Prayson RA. The role of histopathological examination<br />

of intracranial blood clots removed for hemorrhage of unknown<br />

cause: a clinical pathological analysis of 31 cases. Ann Diagn Pathol<br />

2000;4:361-6.<br />

Patologia delle lesioni epilettogene focali<br />

C. Galli * , M. Gambacorta * , M. Bramerio*, A. Citterio ** ,<br />

M. Cossu *** , R. Spreafico ****<br />

* ** *** Anatomia patologica; Neuroradiologia; Chirurgia dell’epilessia,<br />

Ospedale Niguarda, Milano; **** Istituto Neurologico<br />

“C. Besta”, Milano<br />

Introduzione<br />

Nelle epilessie parziali farmacoresistenti la evoluzione delle<br />

tecniche di neuroradiologia e neurofisiologia permette una<br />

sempre più precisa identificazione della cosiddetta “area epilettogena”,<br />

ossia della zona di parenchima cerebrale da cui<br />

originano le crisi 1 . Ciò consente interventi neurochirurgici<br />

mirati alla rimozione di tale zona. Spesso la zona epilettogena<br />

asportata è sede di lesioni macroscopiche, ma in molti casi<br />

è costituita da parenchima cerebrale macroscopicamente<br />

“normale”. Questo fatto può porre al patologo problemi di<br />

trattamento del materiale e di interpretazione istopatologica.<br />

Le lesioni epilettogene vengono generalmente inquadrate in<br />

sei categorie 2 :<br />

A) Malformazioni di sviluppo corticale<br />

B) Sclerosi temporale mesiale (sclerosi del Corno d’Ammone)<br />

C) Tumori<br />

D) Cicatrici gliali<br />

E) Patologia infiammatoria<br />

F) Patologia non specifica.<br />

La nostra casistica si basa su 442 pazienti operati dal 6/1996<br />

al 12/2003 presso il centro di chirurgia dell’epilessia “C. Munari”<br />

dell’Ospedale Niguarda di Milano.<br />

Malformazioni dello sviluppo corticale (MSC)<br />

Le classificazioni in uso delle MSC riconoscono alterazioni<br />

della proliferazione, migrazione e organizzazione corticale<br />

dei neuroni.<br />

Non esiste una classificazione univocamente accettata. Una<br />

classificazione morfologica ben applicabile è quella proposta<br />

da Thom e Scaravilli 3 : a) emimegalencefalia, b) displasia<br />

corticale focale, c) sclerosi tuberosa, d) difetti di girazione, e)<br />

eterotopie di sostanza grigia, f) microdisgenesi (displasia architetturale,<br />

displasia citoarchitetturale senza cellule balloniformi).<br />

a, b, c vengono considerati difetti di proliferazione,<br />

caratterizzati da neuroni dismorfici, giganti e da cellule balloniformi,<br />

d, e difetti di migrazione e f difetti di organizza-


NEUROPATOLOGIA<br />

zione corticale. Questi ultimi sono le entità più controverse e<br />

di più difficile diagnosi istopatologica. In pratica la displasia<br />

architetturale è caratterizzata dalla perdita della laminazione<br />

corticale e da anomala distribuzione di neuromediatori, valutata<br />

con metodiche immunocitochimiche. Nella displasia citoarchitetturale,<br />

oltre alla perdita della laminazione corticale,<br />

si osserva la presenza di neuroni di grandi dimensioni, ma di<br />

forma conservata, in tutti gli strati corticali. Nella nostra casistica<br />

le MSC costituiscono il 38,2% della patologia riscontrata.<br />

La lesione più frequente è la displasia architetturale<br />

(31% delle MSC) seguita dalla displasia corticale focale (taylor-type)<br />

(29,1%) e dalla sclerosi tuberosa (7,5%). La percentuale<br />

di soggetti liberi da crisi è del 78% nella displasia<br />

corticale focale, del 70% nelle displasie architetturale e del<br />

50% nelle displasie citorchitetturali.<br />

Sclerosi temporale mesiale (MTS)<br />

In questa patologia sono coinvolte le strutture mesiali del lobo<br />

temporale: ippocampo, amigdala e uncus. Per una corretta valutazione<br />

delle lesioni dell’ippocampo è indispensabile che il<br />

pezzo anatomico sia integro correttamente orientato e incluso<br />

in modo da poter valutare la deplezione neuronale nei vari settori<br />

ippocampali. Di più difficile valutazione sono le alterazioni<br />

dell’amigdala e dell’uncus che di solito, per problemi chirurgici<br />

vengono tolti in piccoli frammenti. È importante ricordare<br />

che aspetti istologici come la gliosi o la dispersione della<br />

fascia dentata sono da considerare aspecifici e non sufficienti<br />

a formulare diagnosi di sclerosi ippocampale. La sclerosi del<br />

corno d’Ammone costituisce lo 88% dei pazienti operati, con<br />

percentuale di soggetti liberi da crisi del 89,5.<br />

Tumori<br />

Sono in genere neoplasie a basso grado di malignità (grado I°<br />

o II° WHO) gliali (astrocitoma pilocitico) o glio-neuronali<br />

(gangliogliomi e tumore disembrioplastico-neuroepiteliale)<br />

con quadri istologici che spesso sfumano uno nell’altro rendendo<br />

difficile una precisa classificazione.<br />

I tumori glioneuronali mostrano a volte nella corteccia adiacente<br />

alterazioni displastiche. Nella nostra casistica i tumori<br />

rappresentano il 27% del totale con associata displasia corticale<br />

nel 28% dei casi. I soggetti liberi da crisi sono il 74% Tra<br />

i singoli istotipi quello con percentuale di guarigione più elevata<br />

è il tumore disembrioplastico neuroepiteliale (86%). Vi<br />

sono casi di tumori non neuroepiteliali di cui la gran parte sono<br />

angiomi cavernosi.<br />

Cicatrici gliali e patologia infiammatoria<br />

Sono le lesioni di più raro riscontro nella chirurgia dell’epilessia<br />

e in genere privi di peculiari particolarità istologiche.<br />

Merita di essere ricordata la encefalite di Rasmussen caratterizzata<br />

da un interessamento parziale (di solito un solo emisfero)<br />

dell’encefalo e istologicamente da una marcata gliosi e<br />

atrofia corticale.<br />

Patologia non specifica<br />

Sono quei casi con quadro neuroradiologico normale,in cui<br />

malgrado l’inclusione di tutto il materiale e un accurato studio<br />

istologico si osservano solo lesioni come la gliosi o la<br />

gliosi subpiale di Chaslin che possono essere considerate<br />

“epilessia-indotte”. In letteratura la percentuale di questi casi<br />

è molto difficile da valutare, essendo influenzata dalla selezione<br />

clinica della casistica e comunque varia varia dal 5%<br />

al 16%. Nella nostra serie sono il 7,6%. Con percentuale di<br />

guarigione del 68%, la più bassa di tutti i gruppi.<br />

Bibliografia<br />

1 Anderman F. Cortical dysplasias and epilepsy a rewiew of the architectonic,<br />

clinical and seizure patterns. Advances in Neurology<br />

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Scaravilli F (ed) Neuropathology of epilepsy. World-scientific. Singapore,<br />

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I meningiomi: insidie diagnostiche e<br />

opportunità prognostiche<br />

A.M. Buccoliero * , A. Caldarella * , P. Mennonna ** , F. Ammannati<br />

** , L. Arganini * , G.L. Taddei *<br />

* Dipartimento di Patologia Umana ed Oncologia, Università<br />

di Firenze; ** U.O. Neurochirurgia, Azienda Ospedaliera<br />

Careggi, Firenze<br />

Il meningioma è uno tra i più comuni tumori primitivi del sistema<br />

nervoso centrale con una incidenza che negli Stati Uniti<br />

è stata calcolata in 2,5 nuovi casi ogni 100.000 abitanti su<br />

base annua. Esso colpisce più frequentemente il sesso femminile<br />

e l’età media ed ha più spesso sede endocranica.<br />

Sebbene la grande maggioranza dei meningiomi abbiano un<br />

decorso benigno, talora si osservano lesioni infiltranti, più volte<br />

recidivanti nonostante la radicalità chirurgica, metastatizzanti<br />

o ancora lesioni francamente maligne dal decorso fatale.<br />

Sul piano macroscopico e morfologico, ancor più che sul piano<br />

clinico, i meningiomi si caratterizzano per una grande eterogeneità<br />

di quadri.<br />

Si descrivono infatti forme macroscopicamente uniche, multiple,<br />

a placca, ad iceberg, solide, cistiche, gelatinose, dure,<br />

calcifiche, iperostosanti. È tuttavia sul piano morfologico che<br />

i meningiomi mostrano la maggiore variabilità: oltre alle più<br />

comuni forme fibroblastiche, transizionali e sinciziali sono<br />

state riportate numrerose varianti rare e alcune altre eccezionali.<br />

Nella gran parte dei casi, la diversità morfologica non si traduce<br />

in una diversa prognosi che infatti non risulta condizionata<br />

dall’istotipo quanto piuttosto, salvo alcune eccezioni<br />

(meningioma a cellule chiare, cordoide, rabdoide, papillare),<br />

dal grado istologico 1 . A tale riguardo l’Organizzazione Mondiale<br />

della sanità (WHO) riconosce meningiomi benigni<br />

WHO I, atipici WHO II e anaplastici WHO III 2 . Vengono definiti<br />

atipici quei meningiomi in cui è possibile riconoscere 4<br />

o più mitosi in 10 HPF o almeno 3 dei seguenti caratteri: aumentata<br />

cellularità, presenza di piccole cellule neoplastiche<br />

linfocito-simili, nucleoli prominenti, crescita astrutturata<br />

“sheet-like”, necrosi; vengono invece definiti maligni quei<br />

meningiomi in cui sono presenti almeno 20 mitosi in 10 HPF<br />

o con ovvi segni di malignità citologica quali aspetti sarcoma,<br />

carcinoma o melanoma simili. Si calcola che indipendentemente<br />

dal tipo di intervento chirurgico, insorgano recidive<br />

nel 7-20% dei meningiomi benigni, nel 30-40% degli<br />

atipici e nel 50-80% dei meningiomi anaplastici.<br />

L’estremo polimorfismo morfologico dei meningiomi può talora<br />

richiedere diagnostiche differenziali particolarmente impegnative<br />

soprattutto nel caso di istotipi meno frequenti o<br />

con caratteri morfologici comuni ad altre neoplasie; d’altro<br />

canto l’esistenza di meningiomi istologicamente benigni ma<br />

dal decorso clinico più sfavorevole spinge alla ricerca di fattori<br />

prognostici aggiuntivi al grado istologico.<br />

Il rilievo di corpi psammomatosi, vortici cellulari e inclusioni<br />

intranucleari, la positività immunoistochimica all’EMA e<br />

alla vimentina e la presenza all’ultrastruttura di numerosi desmosomi<br />

ed interdigitazioni cellulari possono rivelarsi elementi<br />

di conforto nella diagnosi di meningioma. In casi par-


218<br />

ticolari, inoltre, potrebbe risultare di aiuto il rilievo immunoistochimico<br />

della negatività per la merlina 3 . La merlina,<br />

anche chiamata schwannomina, è una proteina prodotto del<br />

gene oncosoppressore NF2 localizzato sul cromosoma 22q12<br />

la cui inattivazione, tipica della neurofibromatosi 2, si osserva<br />

in una percentuale significativa (fino all’80%) dei meningiomi<br />

sporadici non associati a neurofibromatosi 4 . La frequente<br />

mancata espressione della merlina nei meningiomi<br />

suggerisce un suo importante ruolo nei processi di crescita e<br />

di tumorigenesi delle cellule meningoteliali.<br />

Recenti studi suggeriscono un possibile ruolo prognostico nei<br />

meningiomi della forma inducibile della cicloossinenasi<br />

(COX-2). La cicloossigenasi è un enzima chiave nella sintesi<br />

delle prostaglandine. Se ne conoscono 3 forme denominate<br />

COX-1 (ubiquitaria), COX-2 (inducibile da numerosi stimoli<br />

quali citochine, ormoni, e fattori di crescita) e COX3<br />

(dimostrata nella corteccia cerebrale e nel cuore).<br />

Una elevata espressione della COX-2 è stata documentata in<br />

molte neoplasie e numerose ricerche hanno dimostrato un<br />

suo ruolo critico nella cancerogenesi attraverso meccanismi<br />

ancora poco chiari (funzione proangiogenetica, antiapoptotica,<br />

di induzione della proliferazione cellulare). In particolare<br />

nei meningiomi è stata documenta una crescente espressione<br />

della COX-2 in relazione al grado tumorale suggerendo che<br />

anche in questa neoplasia la sovraespressione di COX-2 configuri<br />

fenotipi biologicamente più aggressivi 5 .<br />

Modelli murini di neoplasie cerebrali:<br />

ruolo del patologo<br />

F. Giangaspero, M. Gessi, A. Arcella<br />

Dipartimento Medicina Sperimentale e Patologia, Università<br />

di Roma “La Sapienza”; IRCS Neuromed, Pozzilli (IS)<br />

I modelli murini di gliomi e di altre neoplasie del sistema nervoso<br />

sino a qualche tempo fa, erano basati sull’uso di cellule<br />

derivate da tumori umani e xenotrapiantate nei cervelli di topi<br />

immunodepressi. Tuttavia, tali modelli non erano rappresentativi<br />

sia dell’eterogeneità genetica sia delle modalità di crescita<br />

delle neoplasie umane da cui derivavano. Oggi, l’uso di metodiche<br />

di ingegneria genetica ha permesso di creare diverse linee<br />

di genetically engineered mice (GEM) che sviluppano<br />

neoplasie del sistema nervoso con caratteristiche neuropatologiche<br />

più vicine ai tumori umani. Attualmente sono disponibili<br />

un’ampia gamma di GEM che riproducono neoplasie sia del<br />

sistema nervoso centrale che periferico 1 2 4 . In questa sede saranno<br />

discussi i modelli più importanti di medulloblastoma/pnet<br />

e di neoplasie astrociatrie diffuse.<br />

Modelli di medulloblastoma/pnet: Numerosi laboratori hanno<br />

generato modelli murini di medulloblastoma alterando<br />

l’espressione di geni la cui controparte umana è coinvolta<br />

nella genesi del medesimo quali il gene PTCH (patched) 1 2 4 .<br />

Nel topo l’aploinsufficienza di PTCH risulta in una incidenza<br />

del 14% di medulloblastoma 5 . Recenti studi hanno dimostrato<br />

che la perdita di p53 accelera la tumorigenesi nei topi<br />

Ptc+/-. Più del 95% dei topi Ptc+/- p53-/- sviluppano medulloblastomi<br />

entro 12 settimane rispetto all’incidenza del 14%<br />

entro 10 mesi nei topi Ptc+/-. I tumori murini oltre ad essere<br />

istologicamente uguali a quelli umani presentano anche lo<br />

stesso pattern immunoistochimico. Anche se p53 e Rb risultano<br />

raramente mutati nel medulloblastoma sembra che alterazioni<br />

di questi pathways durante lo sviluppo predispongano<br />

con elevata penetranza alla tumorigenesi 1 2 4 .<br />

CORSI BREVI - SLIDE SEMINARS<br />

Modelli di neoplasie astrocitarie: numerosi modelli murini sono<br />

stati generati con le caratteristiche istologiche dei tumori<br />

umani astrocitari 1 2 4 . Una non secondaria applicazione di questi<br />

modelli è stata quella di adattare le comuni tecniche di neuroimaging<br />

quali CT, MRI, PET, ai piccoli animali per l’identificazione<br />

precoce e il monitoraggio dell’evoluzione in vivo. A<br />

livello molecolare, nei tumori astrocitari, mutazioni attivano i<br />

pathways di traduzione del segnale a valle dei recettori per fattori<br />

di crescita con attività tirosinchinasica quali Ras e Akt; in<br />

più gli astrocitomi maligni frequentemente presentano mutazioni<br />

in geni coinvolti nell’arresto del ciclo cellulare appartenenti<br />

ai pathways di p53 e Rb. La mutazione più comune è una<br />

delezione omozigote nel locus INK4a-ARF che codifica i geni<br />

p16INK4a e p14ARF. Alcuni ricercatori hanno prodotto topi<br />

transgenici esprimenti v-src sotto il controllo del promotore<br />

di GFAP che ne limitava l’espressione agli astrociti determinando<br />

così l’insorgenza di astrocitomi sia di alto che di basso<br />

grado ed in alcuni casi glioblastomi. Un secondo modello prevede<br />

l’espressione di H-RAS sotto il controllo del promotore<br />

di GFAP: una espressione moderata determina l’insorgenza di<br />

astrocitomi di basso grado e anaplastico, mentre l’iperespressione<br />

determina l’insorgenza di glioblastomi 2 3 . Combinando<br />

la delezione di Nfl e p53, Reilly e coll. hanno generato gliomi<br />

con caratteristiche astrocitarie. Nfl è una proteina RasGAP che<br />

reprime l’attività di Ras (3). Modelli di glioblastoma sono stati<br />

ottenuti trasferendo copie di Ras e Akt attivate in cellule progenitrici<br />

neurali esprimenti nestina. Altri modelli di tumori<br />

astrocitari sono stati creati trasferendo la sequenza codificante<br />

x il frammento N-terminale di 121 aminoacidi dell’antigene<br />

Tdi SV40 sotto il controllo del promotore di GFAP. Tale proteina<br />

inattiva pRb e le proteine correlate p108 e p130 senza alterare<br />

la funzione di p53.Tutti i topi sviluppano un astrocitoma<br />

di alto grado entro il sesto mese di vita. Per finire gli animali<br />

eterozigoti per Pten sviluppano astrocitomi con una breve latenza,<br />

suffragando l’ipotesi del ruolo centrale dell’oncosoppressore<br />

Pten nell’oncogenesi.<br />

Un problema su cui i GEM potranno fare luce è l’individuazione<br />

dei geni e delle cascate di segnali coinvolti nella progressione<br />

neoplastica ed ancora sulla cooperazione tra alcuni pathways<br />

già caratterizzati nel meccanismo di progressione, come le alterazioni<br />

dei recettori di fattori di crescita, delle proteine di traduzione<br />

del segnale e dei fattori che regolano il ciclo cellulare.<br />

La descrizione dettagliata di questi meccanismi potrà fornire<br />

anche target terapeutici per molecole con azione biologica mirata<br />

e più efficace effetto sulla storia clinica della malattia.<br />

I modelli di neoplasie del SNC in GEM rappresentano il risultato<br />

dello sforzo di un gruppo multidisciplinare di ricercatori<br />

allo studio dei meccanismi di neuro-oncogenesi. In tale<br />

gruppo il patologo ha un importante ruolo sia nella definizione<br />

morfologica ed immunofenotipica sia nello stabilire le<br />

analogie tra storia naturale delle neoplasie umane e quelle<br />

della controparte murina.<br />

Bibliografia<br />

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PATHOLOGICA 2004;96:219-220<br />

Azione oncogena da tamoxifene e TOS<br />

B. Ghiringhello, M. Volante *<br />

U.O. Anatomia Patologica S. Anna, AO O.I.R.M., S. Anna,<br />

Torino; * Dipartimento Scienze Biomediche e Oncologia<br />

Umana, Sez. Anatomia Patologica, Università di Torino<br />

Azione oncogena da tamoxifene. Il tamoxifene è un derivato<br />

estrogenico non steroideo che possiede, alla base del suo effetto<br />

anti-estrogenico, in particolar modo a livello del tessuto<br />

mammario, la capacità di legare i recettori per gli estrogeni<br />

a livello nucleare e diminuire quindi la disponibilità di recettore<br />

libero. L’effetto a livello uterino è più complesso e rivela<br />

sia effetti antagonisti sia effetti agonisti estrogenici, con<br />

coinvolgimento della componente sia stromale sia ghiandolare<br />

3 . Inoltre il tamoxifene svolge una rilevante azione sulla<br />

promozione dell’angiogenesi a livello dello stroma endometriale,<br />

in special modo nelle donne in pre-menopausa 5 . La natura<br />

dell’azione sul tessuto uterino del tamoxifene non è ben<br />

chiara, sebbene recenti evidenze sottolineino il ruolo della<br />

differente espressione dei recettori estrogenici alfa e beta<br />

(avendo quest’ultimo una più elevata affinità per il tamoxifene).<br />

Questo effetto complesso è responsabile di una costellazione<br />

di alterazioni miometriali che vanno dall’iperplasia<br />

muscolare liscia, a leiomiomi, all’adenomiosi, e di lesioni endometriali<br />

che comprendono varie forme di proliferazione<br />

endometriale benigna e di tumori maligni. Limitando il nostro<br />

commento a questi ultimi, nella maggioranza dei casi si<br />

tratta di adenocarcinomi endometrioidi ben differenziati, ma<br />

forme meno differenziate con infiltrazione estesa, forme con<br />

aspetti secretori (più spesso quando la terapia con tamoxifene<br />

è associata a terapia progestinica), carcinosarcomi, adenocarcinomi<br />

a cellule chiare e sarcomi di stroma endometrioide,<br />

sono state ampiamente documentate in letteratura. Recenti<br />

studi molecolari non hanno identificato differenze sostanziali<br />

nella espressione genica dei carcinomi endometriali<br />

correlati a terapia con tamoxifene rispetto a controlli non trattati<br />

4 . Un discorso diverso riguarda invece la espressione immunofenotipica<br />

di recettori ormonali. Si è infatti osservato<br />

che carcinomi endometriali associati a tamoxifene esprimono<br />

più frequentemente il recettore estrogenico di tipo beta e il<br />

recettore del progesterone, e meno frequentemente il recettore<br />

tipo alfa, rispetto al gruppo di controllo 9 . Per quanto concerne<br />

le caratteristiche morfologiche, non esistono dati in letteratura<br />

in grado di identificare pattern morfologici distintivi<br />

di carcinomi correlati a trattamento con tamoxifene. Alcune<br />

descrizioni, che possono rivestire una qualche utilità anche<br />

diagnostica, riguardano la patologia endometriale in genere,<br />

e si riferiscono alla presenza di alterazioni ghiandolari e stromali<br />

(varie forme di metaplasia epiteliali, difetti di polarizzazione,<br />

degenerazione mixoide dello stroma) presenti anche<br />

nei casi non trattati con tamoxifene, ma in misura minore 6 .<br />

Controversa è la letteratura che definisce i caratteri clinicopatologici<br />

e la prognosi dei carcinomi dell’endometrio associati<br />

a terapia con tamoxifene. Dati consolidati di una buona<br />

prognosi di questi tumori, collegata, in genere, ad un aspetto<br />

di buona differenziazione ed a stadi bassi, sono stati recentemente<br />

messi in discussione da studi che hanno dimostrato, in<br />

carcinomi endometriali di donne con carcinoma mammario<br />

trattate con tamoxifene, la presenza di parametri clinico-pa-<br />

Patologia endometriale<br />

Moderatori: C. Gentili (Camaiore) e L. Resta (Bari)<br />

tologici più aggressivi, quali stadio tumorale avanzato, istotipo<br />

più aggressivo (ad esempio più frequente insorgenza di<br />

tumore misto mulleriano maligno), elevata espressione di<br />

p53 e negatività per il recettore estrogenico, così come una<br />

peggiore sopravvivenza libera da malattia a 3 anni 1 .<br />

Azione oncogena del tamoxifene su tessuto endometriale extrauterino.<br />

Il tamoxifene può indurre proliferazione su isole<br />

di tessuto endometriale extrauterine nel contesto di endometriosi.<br />

Rari casi sono stati descritti in letteratura di adenocarcinoma<br />

endometrioide insorto su endometriosi in sede ovarica,<br />

in seguito a trattamento con tamoxifene. In uno di questi<br />

lavori 8 è stata riportata, in seguito a terapia con tamoxifene<br />

per carcinoma mammario, una interessante associazione, nell’ambito<br />

di una stessa lesione ovarica, di endometriosi e di<br />

uno spettro di lesioni endometrioidi benigne e maligne, da<br />

adenofibroma benigno, con focali aree borderline, a adenocarcinoma<br />

endometrioide ben differenziato con focali aree di<br />

metaplasia squamosa.<br />

Azione oncogena da terapia ormonale sostitutiva (TOS). Numerose<br />

evidenze osservazionali e sperimentali legano l’insorgenza<br />

dell’adenocarcinoma dell’endometrio con l’esposizione<br />

ad un livello di estrogeni non bilanciato da un parallelo<br />

livello ormonale progestinico. Condizioni cliniche quali<br />

l’obesità, la sindrome dell’ovaio policistico e tumori ovarici<br />

ormonalmente attivi sono fattore di rischio per il carcinoma<br />

dell’endometrio. L’aumento di rischio di sviluppo di tumori<br />

maligni in seguito a TOS è un argomento a lungo dibattuto, e<br />

non del tutto risolto. La TOS ha un provato aumento di rischio,<br />

se pur moderato, per il carcinoma mammario, in particolar<br />

modo dopo almeno 5 anni di trattamento, per il carcinoma<br />

del colon-retto e per il carcinoma dell’ovaio. Per quanto<br />

concerne il carcinoma dell’endometrio, la terapia estrogenica<br />

ha un provato effetto di aumento di rischio, che viene<br />

però azzerato da una terapia combinata a base di estrogeni e<br />

progestinici 7 . Alcune caratteristiche sono proprie degli adenocarcinoma<br />

endometriali in pazienti sotto terapia estrogenica:<br />

questi tumori infatti tendono ad essere ben differenziati,<br />

invasivi superficialmente, in gran parte curati dall’isteroannessiectomia<br />

e con quindi una ottima sopravvivenza a lungo<br />

termine 2 .<br />

Bibliografia<br />

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Fattori prognostici nel carcinoma<br />

dell’endometrio<br />

A. Fabiano, S.H. Mousavinasab, P. Catalano<br />

U.O. Anatomia Patologica, Ospedale Fatebenefratelli, Roma<br />

I fattori prognostici del carcinoma endometriale, uno dei più<br />

comuni tumori maligni del tratto genitale femminile, comprendono<br />

l’istotipo, il grado istologico, la profondità di invasione<br />

miometriale, le metastasi linfonodali, la positività<br />

del liquido peritoneale, l’interessamento sieroso ed annessiale,<br />

oltrechè la razza e l’età della paziente. Rivestono, inoltre,<br />

particolare importanza una serie di marcatori tumorali, fattori<br />

biologici legati al ciclo cellulare e la genetica tumorale,<br />

quali recettori ormonali ER-PGR, c-Kit, P53, RB, bcl-2, Ki-<br />

67, PTEN, instabilità microsatellite, Eritropoietina, VEGF,<br />

Angiostatine, CD105 e CD44.<br />

Mentre ad un stadio precoce “Stadio IA-B di Figo” corrisponde<br />

una migliore prognosi, a Stadi più avanzati di malattia<br />

si associano un peggiore grado istologico, un maggior livello<br />

d’invasione miometriale, diffusione parametriale e<br />

maggiori possibilità di metastasi linfonodale, con conseguente<br />

prognosi più sfavorevole.<br />

La positività citologica del liquido peritoneale non sembra<br />

influenzare la sopravvivenza negli stadi precoci di malattia;<br />

al contrario l’invasione vascolare, un fattore prognostico negativo<br />

indipendente, si correla con carattere aggressivo del<br />

processo neoplastico.<br />

CORSI BREVI - SLIDE SEMINARS<br />

Tra i fattori biologici correlati con minore sopravvivenza da<br />

ricordare la perdita dell’espressione di Bcl-2, l’iperespressione<br />

di P53, l’espressione del proto-oncogene c-Kit, “recettore<br />

transmembrana tirosinkinasi”, coinvolto nella differenziazione<br />

cellulare, che si associa a maggiore profondità di invasione<br />

miometriale, e le metastasi linfonodali.<br />

Inoltre, in particolare nell’ambito di carcinomi endometriali<br />

stadio I, la ploidia sembra essere un fattore predittivo importante<br />

della sopravvivenza senza ripresa di malattia.<br />

In conclusione, allo stato attuale, i fattori prognostici più significativi<br />

nel carcinoma endometriale risultano essere, oltre<br />

lo stadio, il grado istologico e l’età della paziente, lo stato dei<br />

recettori per l’estrogeno ed il progesterone e l’espressione<br />

della proteina p53. In particolare è stato visto come, nei carcinomi<br />

di grado I e II, una percentuale di cellule positive per<br />

la p53 inferiore al 15%, ed una percentuale di cellule positive<br />

per l’ER superiore al 30%, siano correlati con una prognosi<br />

migliore. Nei carcinomi endometriali di grado istologico<br />

III nessuno di questi fattori è risultato avere una importanza<br />

predittiva sulla prognosi.<br />

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PATHOLOGICA 2004;96:221-222<br />

Ruolo della citologia in neuro-oncologia<br />

F. Zorzi, E. Padolecchia, P. Cusati<br />

Anatomia Patologica, Casa di Cura Poliambulanza, Brescia<br />

La citologia nella diagnosi rapida dei processi espansivi endocranici<br />

ha una storia remota, ma si è diffusa recentemente<br />

per la necessità di esaminare in tempi <strong>brevi</strong> piccoli campioni<br />

bioptici in corso di interventi di neurochirurgia stereotassica 1 .<br />

L’accuratezza diagnostica della procedura ha incoraggiato la<br />

sua diffusione anche per esami intraoperatori in corso di interventi<br />

craniotomici.<br />

L’approccio citologico con metodi di colorazione routinaria è<br />

sufficiente in presenza di lesioni con caratteri morfologici peculiari<br />

(astrocitoma pilocitico o gemistocitico, glioblastoma<br />

usuale, metastasi di tumori ben differenziati, meningiomi<br />

meningoteliali).<br />

In casi che pongono problemi diagnostici differenziali l’utilizzo<br />

dell’immunocitochimica contribuisce ad una più accurata<br />

definizione diagnostica 2 3 .<br />

Per esempio in neoplasie con pattern fibrillare non ulteriormente<br />

definibile, l’espressione di Gfap orienta verso un’origine<br />

gliale in alternativa al meningioma fibroso ed allo<br />

schwannoma.<br />

La presenza di una cellularità “epiteliomorfa” può essere<br />

espressione di un ependimoma (Gfap +, citocheratina -) o di<br />

un papilloma dei plessi (Gfap -, citocheratina +).<br />

La presenza di cellule con citoplasma con alone perinucleare<br />

può essere indicativa di un oligodendroglioma o di un neurocitoma<br />

centrale con espressione di sinaptofisina.<br />

In caso di neoplasie a piccole cellule poco differenziate l’uso<br />

combinato di marcatori gliali, epiteliali e linfoidi consente la<br />

diagnosi differenziale fra carcinoma, glioblastoma e linfoma.<br />

Una neoplasia a grandi cellule porrà problemi diagnostici differenziali<br />

sia di istotipo che di malignità; nel primo caso glioblastoma<br />

a grandi cellule e metastasi di carcinoma potranno<br />

essere distinti utilizzando marcatori gliali ed epiteliali 4 ; nel<br />

secondo caso la differenziazione da neoplasie benigne (xantoastrocitoma<br />

pleomorfo o astrocitoma subependimale a cellule<br />

giganti) può giovarsi di marcatori di proliferazione cellulare.<br />

Bibliografia<br />

1 Allegranza A. Cyto-histological diagnosis on wet smears of neurosurgical<br />

biopsies. J Neurosurg Sci 1989;33(1):27-29.<br />

2 Hitchock E, Morris CS. Immunocytochemical techniques in stereotactic<br />

biopsy. Stereotact Funct Neurosurg 1989;53(1):23-26.<br />

3 Seliem RM, Assaad MW, Gorombey SJ, et al. Fine needle aspiration<br />

biopsy of the Central Nervous System. Cancer Cytopathol<br />

2003;99:277-84.<br />

4 Parawani AV, Berman D, Burger PC, et al. Gliosarcoma: cytopathologic<br />

characteristics on fine-needle aspiration and intaoperative touch<br />

imprint. Diagn Cytopathol 2004;30(2):77-81.<br />

Citopatologia diagnostica<br />

Moderatori: L. Di Bonito (Trieste) e S. Fiaccavento (Brescia)<br />

Carcinoma del polmone non a piccole cellule<br />

(adenocarcinoma G3)<br />

A. Fassina<br />

Dipartimento di Scienze Oncologiche e Chirurgiche, Sezione<br />

di Anatomia Patologica, Università di Padova<br />

Storia clinica<br />

GAF, maschio, anni 69, con massa polmonare destra di cm 3<br />

x 4 al lobo inferiore. In anamnesi riferisce la presenza di una<br />

“neoformazione addominale”, e l’asportazione di una neoformazione<br />

cutanea al braccio destro riportata come melanoma.<br />

Viene eseguita una citologia transtoracica sotto guida TAC<br />

che dimostra la presenza di cellule tumorali maligne, ponendo<br />

la diagnosi differenziale tra neoplasia primitiva del polmone<br />

o localizzazione secondaria.<br />

Quadro morfologico<br />

Lo striscio colorato con Giemsa appariva ipercellulato su un<br />

fondo ematico non necrotico. Le cellule erano in aggregati simil<br />

papillari, talora con aspetto epitelioide con citoplasma<br />

debolmente eosinofilo, con nuclei irregolari e nucleoli prominenti.<br />

Durante la FNAB è stato raccolto materiale fissato<br />

in formalina per cell-block e in RNA-later per estrazione di<br />

DNA e RNA.<br />

Venne presa la decisione di intervenire chirurgicamente per<br />

asportare l’adenocarcinoma pancreatico, ma il paziente venne<br />

aperto e chiuso perchè la neoplasia risultò infiltrare estesamente<br />

il mesentere ed il peritoneo.<br />

Diagnosi: carcinoma del polmone non a piccole cellule (Adenocarcinoma<br />

G3)<br />

Vengono discussi il metodo di approccio diagnostico e le ipotesi<br />

diagnostiche differenziali.<br />

Steatonecrosi: causa di errore in FNA della<br />

mammella<br />

A. Sapino e F. Pietribiasi<br />

Dipartimento di Scienze Biomediche e Oncologia Umana,<br />

Università di Torino; Anatomia Patologica, Ospedale Moncalieri<br />

(Torino)<br />

Storia clinica: donna di 76 anni, con nodo palpabile in Q1-<br />

Q3 destro, ecograficamente e mammograficamente sospetto,<br />

sottoposto a FNA. La paziente era stata sottoposta 9 anni prima<br />

(1995) a intervento nella stessa sede per sarcoma filloide<br />

(4 cm). Non vennero eseguiti né allargamento, né radioterapia.<br />

Nel 1997 sempre in Q1-Q3 destro asportazione di fibroadenoma.<br />

Quadro morfologico: lo striscio colorato, con ematossilina-eosina,<br />

appariva ipercellulare su un fondo lievemente granulare.<br />

Le cellule erano disposte a costituire strutture simil papillari o<br />

singolarmente disperse. Discreta la componente infiammatoria<br />

cronica di accompagnamento. A maggiore ingrandimento le<br />

cellule presentavano un aspetto epiteliode con citoplasma intensamente<br />

eosinofilo, di aspetto granulare. I nuclei erano irregolari,<br />

e talora picnotici. I nucleoli erano prominenti.<br />

Il quadro di per sé suggeriva una lesione neoplastica. Dopo il<br />

confronto con l’esame istologico eseguito sul sarcoma filloi-


222<br />

de venne confermata la diagnosi di “C5” per sospetta recidiva<br />

di tumore stromale.<br />

La paziente venne sottoposta a mastectomia semplice. In sede<br />

sottocutanea in Q1-Q3 destro era presente una nodosità a<br />

margini policiclici di 1,3 cm di colorito giallastro di consistenza<br />

dura.<br />

L’esame istologico evidenziava la presenza di noduli scleroialini,<br />

strutture pseudocistiche ed aree di necrosi cellulare.<br />

Alla periferia del nodo erano presenti fenomeni di arterite<br />

obliterante, elastosi vascolare con ostruzione dei vasi. Non si<br />

osservavano punti di sutura. Le strutture pseudocistiche erano<br />

tappezzate da istiociti schiumosi e da cellule analoghe a<br />

quelle reperite sullo striscio da FNA che aggettavano in atteggiamento<br />

papillare all’interno delle cavità. La colorazione<br />

con CD68 confermava l’origine istiocitaria di tali cellule.<br />

Anche le aree di necrosi cellulare mostravan su steatonecro-<br />

CORSI BREVI - SLIDE SEMINARS<br />

si é riconosciuto come possibile 1 2 . Le cause di errore diagnostico<br />

sul preparato citologico descritto sono legate alla<br />

ipercellularità dello striscio e alle atipie citoplasmatiche (intensa<br />

eosinofilia, aspetto epitelioide) e nucleari delle cellule<br />

macrofagiche, che unite alla storia clinica hanno indotto una<br />

diagnosi di possibile tumore maligno stromale recidivo. I fenomeni<br />

di necrosi su base ischemica hanno probabilmente<br />

causato le alterazioni delle cellule istiocitarie non osservabili<br />

nei casi classici di steatonecrosi.<br />

Bibliografia<br />

1 Peterse JL, Thunnissen FB, van Heerde P. Fine needle aspiration cytology<br />

of radiation-induced changes in nonneoplastic breast lesions.<br />

Possible pitfalls in cytodiagnosis. Acta Cytol 1989;33:176-80.<br />

2 European Working Group for Breast Screening Pathology. Quality assurance<br />

guidelines for pathology in mammographic screening: Cytological<br />

and Histological Non-Operative Procedures. 2004 in press.


PATHOLOGICA 2004;96:223-224<br />

Patologia urologica – Approccio teorico e pratico a<br />

problemi di patologia renale<br />

Lesioni papillari del rene<br />

A. De Matteis<br />

Già Dip. Med. Sperimentale e Patologia, Università di Roma<br />

“La Sapienza”<br />

Le lesioni papillari del rene che interessano il parenchima<br />

sono diverse sotto ogni aspetto da quelle che si ordiscono nei<br />

calici e nella pelvi. Il tipo di epitelio che riveste le papille varia<br />

a seconda dei casi, in dipendenza dall’epitelio da cui<br />

prende origine e dalla natura della lesione. Questa infatti può<br />

essere iperplastica o neoplastica, benigna o maligna. Il problema<br />

della netta discriminazione tra questi differenti tipi di<br />

lesione è particolarmente sentito per quanto riguarda le lesioni<br />

papillari del parenchima renale, soprattutto oggi, per la<br />

frequenza di piccole formazioni del rene, evidenziate a seguito<br />

di indagini radiologiche in pazienti asintomatici. Infatti,<br />

le dimensioni, sebbene importanti per la scelta della terapia<br />

chirurgica, non sono un criterio discriminante definitivo<br />

per la diagnosi istologica differenziale tra neoplasie benigne<br />

o maligne. La lesione papillare maligna più frequente del parenchima<br />

renale è, nell’ambito dei carcinomi a cellule renali<br />

(RCC), il carcinoma cromofilo, dizione che ha sostituito<br />

quella di carcinoma papillare 1 . L’attuale denominazione<br />

sembra più corretta, perché comprende casi nei quali le papille<br />

sono molto stipate, con il risultato che la papillarità non<br />

è immediatamente evidente, e casi nei quali vi sia una prevalenza<br />

di strutture tubulari. Tuttavia, nella massima parte<br />

dei casi, il carcinoma cromofilo è di facile riconoscimento e<br />

consta di papille con assi stromali sottili, che tuttavia non di<br />

rado contengono, per lo più focalmente, istiociti schiumosi.<br />

L’asse stromale è rivestito da uno strato di cellule piccole,<br />

con scarso citoplasma, con predominanza visiva della colorazione<br />

nucleare alla quale si deve la specificazione tassonomica<br />

di “tipo basofilo”, ovvero “tipo 1”. A questo si contrappone<br />

il “tipo 2” o “eosinofilo”, nel quale le papille sono<br />

rivestite da cellule più grandi, cilindriche, con citoplasma<br />

granuloso eosinofilo, di tipo oncocitario. Non c’è possibilità<br />

di errore diagnostico con l’oncocitoma perché la papillarità<br />

lo esclude. I vari tipi di carcinoma cromofilo sono unificati<br />

sulla base di alterazioni genetiche comuni e tipiche di questo<br />

tipo di tumore, come la trisomia o tetrasomia del cromosoma<br />

7, la trisomia del cromosoma 17 e la perdita del cromosoma<br />

Y. Inoltre, una forma rara di carcinoma a cellule renali di tipo<br />

papillare, caratterizzata da aspetti clinici e morfologici<br />

particolari, è definita sulla base di alterazioni genetiche consistenti<br />

in traslocazioni multiple che interessano il cromosoma<br />

X e che danno luogo a fusioni geniche che coinvolgono<br />

il gene TFE3 2 . In questi casi le papille possono essere rivestite<br />

da cellule epiteliali nelle quali coesistono l’aspetto “eosinofilo”<br />

e quello “chiaro”. Nel carcinoma a cellule renali<br />

del tipo a cellule chiare (o convenzionale) non vi sono papille<br />

se non occasionali. Invece, l’infrequente carcinoma dei<br />

dotti collettori di Bellini, ha una componente papillare, sotto<br />

certi aspetti, peculiare. Sebbene sia descritto un tipo di carcinoma<br />

dei dotti collettori con prevalente papillarità, è più tipica<br />

una configurazione tubulare con alcune <strong>brevi</strong> papille entro<br />

alcuni tubuli, generalmente ectasici o microcistici. L’epi-<br />

Moderatori: A. De Matteis (Roma) e G. Mazzucco (Torino)<br />

telio monostratificato che riveste i tubuli e le papille è spesso<br />

formato da cellule hobnail. A prescindere dai problemi<br />

che riguardano la definizione e l’accettazione di tumori epiteliali<br />

benigni del rene, la classificazione istologica dei tumori<br />

del rene del WHO indica come tumore benigno l’adenoma<br />

papillare, oltre l’oncocitoma. Si tratta di piccoli adenomi<br />

tubulo-papillari, frequenti soprattutto in reni grinzi.<br />

Strutture papillari sono presenti in altri tipi di tumori benigni<br />

del rene, come l’adenoma metanefrico, tipico dell’infanzia,<br />

dove più propriamente si tratta di strutture glomeruloidi. Se<br />

non esistono nel rene criteri morfologici effettivamente discriminanti<br />

tra adenomi e carcinomi, le stesse limitazioni<br />

valgono nel distinguere tra forme di iperplasia papillare, come<br />

quelle che possono instaurarsi sulla parete di varie lesioni<br />

cistiche, tra cui le cisti del rene policistico, quelle della<br />

malattia di von Hippel Lindau, le cisti acquisite del rene di<br />

dializzati ed altro, e lesioni neoplastiche, che peraltro in queste<br />

condizioni si manifestano clinicamente con maggiore frequenza<br />

che nella popolazione normale. Per quanto riguarda i<br />

calici e la pelvi renale, iperplasie papillari uroteliali si osservano<br />

occasionalmente in presenza di stimoli irritativi cronici<br />

come la calcolosi. Più frequenti dell’iperplasia sono le<br />

neoplasie papillari la cui morfologia corrisponde a quella<br />

degli omonimi tumori che con maggiore frequenza interessano<br />

la vescica, dal papilloma uroteliale, esofitico ed invertito,<br />

al carcinoma uroteliale papillare di alto grado, con tutte le<br />

condizioni di intermedia differenziazione istologica ed aggressività<br />

clinica. In tutti questi tumori, gli assi stromali delle<br />

papille sono rivestite da urotelio (epitelio di transizione)<br />

che, del tutto identico all’urotelio normale nel papilloma, nel<br />

carcinoma si modifica per quanto riguarda sia la polarità della<br />

stratificazione cellulare sia la morfologia cellulare. L’entità<br />

di tali modificazione rispetto all’urotelio normale trova<br />

espressione nel grado istologico, al quale corrisponde una<br />

proporzionale ingravescenza del comportamento clinico. In<br />

questo ambito, l’esigenza che si ha è quella di stabilire classi<br />

di tumori papillari uroteliali a ciascuna delle quali corrispondano<br />

caratteristiche cliniche del tumore. L’accentuarsi<br />

delle alterazioni morfologiche avviene senza discontinuità,<br />

così che mentre è immediatamente evidente la differenza tra<br />

caratteri istologici delle neoplasie del grado più basso e quelle<br />

del grado più alto, è difficile la netta separazione in classi<br />

delle forme intermedie. Questo spiega i problemi di classificazione,<br />

le modificazioni da queste subite di recente ed i dibattiti<br />

su questo argomento 3 4 .<br />

Bibliografia<br />

1 Thoenes W, Storkel S, Rumpelt HJ. Histopathology and classification<br />

of renal cell tumors (adenomas, oncocytomas and carcinomas): the<br />

basic cytological and histopathological elements and their use for<br />

diagnostics. Pathol Res Pract 1986;181:125-143.<br />

2 Clark J, Lu Yj, Sidhar SK, et al. Fusion of splicing factor genes PSF<br />

and NonO (p54nrb) to the TFE gene in papillary renal cell carcinoma.<br />

Oncogene 1997;2233-2239.<br />

3 Bostwick DG, Mikuz G. Urothelial papillary (exophytic) neoplasms.<br />

Virchows Arch 2002;441:109-116.<br />

4 Busch C, Algaba F. The WHO/ISUP 1998 and WHO 1999 systems for<br />

malignancy grading of bladder cancer. Scientific foundation and<br />

translation to one another and previous systems. Virchows Arch<br />

2002;441:105-108.


224<br />

Lesioni cistiche renali<br />

M. Gardiman<br />

Dipartimento di Scienze Oncologiche e Chirurgiche, Sezione<br />

di Anatomia Patologica, Padova<br />

Il rene può sviluppare diversi tipi di lesioni cistiche che si<br />

possono classificare in vario modo, forme neoplastiche o<br />

anomalie di sviluppo, lesioni dell’adulto o dell’infanzia, forme<br />

genetiche e non, lesioni singole o multiple. Proprio sulla<br />

base delle loro caratteristiche di presentazione possiamo<br />

identificare 2 categorie principali di lesioni cistiche renali, la<br />

prima caratterizzata da una massa cistica isolata non accompagnata<br />

da alterazioni cistiche nel restante parenchima renale,<br />

la seconda invece contraddistinta da lesioni cistiche che<br />

solitamente coinvolgono il rene in maniera diffusa e/o bilaterale<br />

e sono perlopiù dovute a condizioni ereditarie o alterazioni<br />

di sviluppo 1 . La maggior parte delle lesioni che appartengono<br />

al I gruppo sono delle neoplasie -cistiche- e sebbene<br />

aspetti di tipo cistico si possono rinvenire virtualmente in<br />

quasi tutte le neoplasie renali, ve ne sono alcune in cui tali alterazioni<br />

sono un aspetto caratteristico e possono coinvolgere<br />

l’intero tumore; tra queste riconosciamo il nefroma cistico<br />

renale, il carcinoma cistico renale, il nefroblastoma cistico<br />

parzialmente differenziato e il tumore misto epiteliale e stromale<br />

2 . Il nefroma cistico è una rara, benigna, neoplasia cistica<br />

che si incontra sia nei bambini che negli adulti e si presenta<br />

come una singola massa multiloculare delimitata da<br />

setti fibrosi che contengono rari tubuli maturi. La diagnosi<br />

differenziale si pone innanzitutto con il nefroblastoma cistico<br />

parzialmente differenziato, tipico invece dei bambini, riconoscibile<br />

per la presenza di isole di blastema nel contesto<br />

dei setti che sepimentano le cisti. Il nefroblastoma cistico<br />

parzialmente differenziato è infatti una rara neoplasia che appare<br />

correlata istogeneticamente sia con il Tumore di Wilms<br />

che con il nefroma cistico, anche se tali relazioni appaiono<br />

ancora controverse. Si presenta solitamente come una massa<br />

monolaterale, singola ed è istologicamente identica al nefroma<br />

cistico se non per la presenza di tessuto mesenchimale<br />

maturo o immaturo, con vario grado di differenziazione, nel<br />

contesto dei setti fibrosi 3 . Il carcinoma cistico renale rappresenta<br />

circa il 15% dei carcinoma renali ed è tipico dell’adulto;<br />

con questa dizione comunque, si comprendono diverse<br />

forme di carcinoma renale, a seconda della presenza di una<br />

formazione cistica multiloculare, uniloculare, di una cisti<br />

semplice con nodulo murale oppure di una estesa necrosi che<br />

CORSI BREVI - SLIDE SEMINARS<br />

può conferire un aspetto cistico. Il riconoscimento del corretto<br />

istotipo è importante ai fini prognostici perché la forma<br />

multiloculare, a differenza delle altre, è quasi sempre confinata<br />

al rene e virtualmente non metastatizza. I criteri per fare<br />

diagnosi di carcinoma cistico renale multiloculare sono<br />

macroscopicamente la presenza di una massa espansiva circondata<br />

da una pseudocapsula fibrosa, mentre istologicamente<br />

il tumore deve essere composto interamente da cisti e setti,<br />

senza noduli solidi e i setti devono contenere degli aggregati<br />

di cellule epiteliali con citoplasma chiaro. Le cisti possono<br />

essere delineate da un singolo strato, talora frammentato,<br />

di elementi a citoplasma chiaro con nucleo senza evidenti<br />

atipie. La diagnosi differenziale va fatta sia con la cisti renale<br />

semplice che con il carcinoma renale a cellule chiare con<br />

aree di necrosi. Il tumore misto epiteliale e stromale, altrimenti<br />

detto amartoma cistico della pelvi renale, molto raro,<br />

colpisce prefenzialmente soggetti di sesso femminile e si caratterizza<br />

per la presenza di una componente epiteliale costituita<br />

da tubuli e cisti di dimensioni variabili rivestite da un<br />

singolo strato di cellule senza atipie immerse in uno stroma<br />

fibroso con aree mixoidi o ialine 4 . Nel II gruppo sono invece<br />

comprese le malattie cistiche congenite od acquisite, e<br />

particolarmente interessanti appaiono essere le relazioni esistenti<br />

tra le neoplasie cistiche renali e quelle malattie cistiche<br />

renali che si possono ad esse associare, con frequenza talvolta<br />

tale da essere considerate pre-neoplastiche, quali il rene<br />

policistico acquisito dell’adulto 5 , la sclerosi tuberosa e la<br />

malattia di von Hippel-Lindau, mentre il rene policistico dell’adulto<br />

o il rene cistico midollare non presentano tale associazione<br />

1 .<br />

Bibliografia<br />

1 Truong LD, Choi YJ, Shen SS, Ayala G, Amato R, Krishnan B. Renal<br />

cystic neoplasms and renal neoplasms associated with cystic renal disease:<br />

pathogenetic and molecular links. Advan Anat Pathol<br />

2003;3:135-159.<br />

2 Eble JN, Bonsib SM. Extensively cystic renal neoplasms: cystic nephroma,<br />

cystic partially differentiated nephroblastoma, multilocular cystic<br />

renal cell carcinom, and cystic hamartoma of renal pelvis. Semin<br />

Diagn Pathol 1998;15:2-20.<br />

3 Joshi VV, Beckwith JB. Multilocular cyst of the kidney (cystis nephroma)<br />

and cystic, partially differentiated nephroblastoma. Terminology<br />

and criteria for diagnosis. Cancer 1989;64:466-79.<br />

4 Adsay NV, Eble J, Srigley J, et al. Mixed epithelial and stromal tumor<br />

of kidney. Am J Surg Pathol 2002;24:958-70.<br />

5 Ikeda R, Tanaka T, Moriyama MT, et al. Proliferative activity of renal<br />

cell carcinoma associated with acquired cystic disease of the kidney:<br />

comparison with typical renal carcinoma. Hum Pathol 2002;33:230-5.


PATHOLOGICA 2004;96:225-229<br />

Neoplasie epitelio-stromali ovariche:<br />

inquadramento<br />

M. Biancalani, A. Palomba, G. Giustarini, A. Calcinai, D.<br />

Moncini<br />

U.O.C. Anatomia Patologica, Ospedale S. Giuseppe, Empoli<br />

(FI)<br />

La patologia neoplastica ovarica coinvolge prevalentemente<br />

l’età adulta. L’80-90% di queste neoplasie si riscontrano infatti<br />

tra i 20 ed 65 anni, mentre poco meno del 5% interessa<br />

l’età infantile-adolescenziale. La stragrande maggioranza di<br />

questi tumori sono benigni (80%) e oltre la metà (60%) insorgono<br />

in donne sotto i 40 anni. Il restante 20% dei tumori<br />

ovarici sono maligni o borderline (a basso potenziale di malignità)<br />

ed interessano per il 90% soggetti di età superiore a<br />

40 anni (il 30-40% in età superiore a 65). Il carcinoma ovarico<br />

è il 6° tumore in ordine di frequenza negli USA rappresentando<br />

il 4% dei carcinomi femminili ed il 25% delle neoplasie<br />

del tratto genitale. La sintomatologia è molto sfumata<br />

ed i segni clinici più ricorrenti sono: distensione e dolore addominale,<br />

ascite, sintomi relativi al tratto gastroenterico o<br />

urinario e talvolta sanguinamenti uterini abnormi (neoplasie<br />

maligne o funzionanti).<br />

I tumori epitelio-stromali, argomento della presente sessione,<br />

rappresentano il 50-55% di tutti i tumori ovarici e approssimativamente<br />

il 90% dei carcinomi, nei paesi occidentali. Indici<br />

lievemente più bassi sono registrati nei paesi orientali.<br />

L’etichetta tumori epitelio-stromali è stata coniata per intendere<br />

la proliferazione di strutture epiteliali di origine ovarica<br />

in un contesto variabile di stroma. Differentemente però da<br />

altre neoplasie inducenti desmoplasia stromale, in questi tumori<br />

lo stroma è spesso parte attiva e non passiva (reattiva),<br />

tanto da poter secernere ormoni steroidei che in alcune circostanza<br />

rappresentano il quadro clinico di esordio. È ormai<br />

diffusamente accettato che i Tumori Epitelio-Stromali derivino<br />

dall’epitelio di superficie dell’ovaio (quest’ultimo inteso<br />

come un’evoluzione del mesotelio), origine facilmente comprensibile<br />

per alcuni istotipi (sieroso, endometrioide, e cellule<br />

chiare), un po’ meno per altri (mucinoso, squamoso), anche<br />

per la sovente presenza di queste ultimi tipi istologici, in<br />

neoplasie di origine germinale (teratomi). La possibilità peraltro,<br />

di osservare forme di combinazione tra queste differenti<br />

espressioni istologiche, nonché un comportamento biologico<br />

ed un approccio terapeutico simili, giustificano questa<br />

scelta classificativa. Queste neoplasie da un punto di vista<br />

anatomopatologico sono sottoclassificate seguendo quattro<br />

criteri identificativi: a) il tipo di cellule che compongono il<br />

tumore; b) la prevalenza delle componenti epiteliale (es. cistoadenoma)<br />

o stromale (es. adenofibroma) ; c) la localizzazione<br />

degli elementi epiteliali che possono essere esofitici<br />

(superficie) o endofitici (cisti); d) l’organizzazione architetturale<br />

ed i caratteri citologici che individuano: forme benigne,<br />

borderline (a basso potenziale di malignità) e maligne.<br />

Tutti e sei gli istotipi possono presentarsi sia come forme benigne,<br />

borderline o maligne. Senza dubbio i tumori che creano<br />

maggiori problemi sia sotto il profilo diagnostico che terapeutico<br />

sono le forme borderline, le cui conoscenze disponibili<br />

sono praticamente riferibili alle sole forme sierose e<br />

Patologia ovarica<br />

Moderatori: M. Biancalani (Empoli) e R. Buffa (Monza)<br />

mucinose. Ben poco sappiamo infatti per i rari tumori borderline<br />

degli altri istotipi. Il termine tumore borderline o tumore<br />

a basso potenziale di malignità fu introdotto da Taylor<br />

nel 1929, il quale descrisse una proliferazione iperplastica<br />

che poteva essere confusa con un carcinoma per l’esuberante<br />

proliferazione e che malgrado la possibile associazione con<br />

impianti peritoneali, si associava ad una buona prognosi. In<br />

seguito altri autori, la FIGO e la WHO hanno cercato di identificare,<br />

nel corso degli anni, caratteristiche sempre più peculiari<br />

per poter differenziare le forme borderline dai carcinomi<br />

e questo soprattutto per i concreti risvolti prognostico-terapeutici.<br />

Infatti se è vero che i tumori borderline presentano<br />

un esito generalmente favorevole e comunque a parità di grading,<br />

sicuramente migliore dei carcinomi, è altrettanto vero<br />

che il follow-up a lungo termine di queste forme ha evidenziato<br />

un rischio moderato ma reale di ripresa di malattia o di<br />

insorgenza di carcinomi ovarici, soprattutto nei tumori borderline<br />

con stadio avanzato. Al fine di semplificare il messaggio<br />

per il clinico e con l’intendimento di standardizzare i<br />

presidi terapeutici da adottare, alcuni autori recentemente<br />

hanno proposto di restringere le scelte classificative a sole<br />

due branche: neoplasie prive di progressione e neoplasie ad<br />

alto rischio di progressione. Queste ultime comprenderebbero<br />

sia i carcinomi che alcuni tumori borderline con caratteristiche<br />

peculiari (pattern micropapillare e/o cribriforme) tanto<br />

da essere rinominati come carcinomi sierosi micropapillari 1 .<br />

Studi successivi su ampie casistiche non hanno però accreditato<br />

tale ipotesi, dimostrando che gli esiti sfavorevoli non sarebbero<br />

da imputare al pattern di crescita tumorale ma alla<br />

sola presenza di impianti invasivi 2 . I tumori borderline pertanto,<br />

restano ad oggi un capitolo ancora molto problematico<br />

e pieno di insidie soprattutto per le difficoltà interpretative riscontrabili<br />

all’esame estemporaneo che, anche dalle più recenti<br />

casistiche, presenta una sensibilità piuttosto bassa, in<br />

alcuni studi addirittura inferiore al 50%. Risultati assai più<br />

confortanti fortunatamente si registrano invece per neoplasie<br />

francamente maligne o francamente benigne, con indici spesso<br />

superiori al 90%. Un ulteriore problema che ha creato notevoli<br />

controversie ma che riguarda unicamente la categoria<br />

dei tumori mucinosi è come vada considerato un tumore mucinoso<br />

borderline in presenza di metastasi peritoneali riferibili<br />

ad uno pseudomixoma. Se si tratta cioè di diffusioni metastatiche<br />

di origine ovarica o di origine appendicolare, oppure,<br />

qualora siano presenti lesioni sia dell’ovaio che dell’appendice<br />

se considerare sempre la primitività appendicolare<br />

o la possibilità che le due lesioni siano sincrone 3 . Le difficoltà<br />

per il patologo e per il clinico, non si esauriscono comunque<br />

con le sole forme borderline, perché anche i carcinomi<br />

non hanno sempre un comportamento biologico prevedibile<br />

ed univoco. La prognosi di questi tumori dipende senza<br />

dubbio dal grading, la cui corretta stadiazione è inequivocabilmente<br />

conseguenza di un adeguato campionamento chirurgico<br />

in prima battuta e successivamente da un accurato<br />

esame macroscopico e microscopico. Per incrementare la riproducibilità<br />

diagnostica sull’assegnazione del grading, alcuni<br />

autori hanno proposto di adottare simultaneamente due sistemi<br />

classificativi (Shimizu/Silverberg e FIGO grading system)<br />

4 , ma sarà solo il tempo e la pratica quotidiana a stabilire<br />

la validità di tale proposta metodologica.


226<br />

Bibliografia<br />

1 Seidman JD, Kurman RJ. Subclassification of serous borderline tumors<br />

of the ovary into benign and malignant types: a clinicopathologic<br />

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2 Prat J, De Nictolis M. Serous borderline tumors of the ovary. A longterm<br />

follow-up study of 137 cases, including 18 with a micropapillary<br />

pattern and 20 with microinvasion. Am J Surg Pathol 2002;26:1111-<br />

28.<br />

3 Scully RE, Yuong RH, Clement PB. Tumors of the ovary, maldeveloped<br />

gonads, falloppian tube, and broad ligament. Atlas of tumor<br />

Pathology. Third Series. Fascicle 23. AFIP 1998.<br />

4 Malpica A, Deavers MT, Lu K, Bodurka C, Atkinson EN, Gershenson<br />

DM, Silva EG. Grading ovarian serous carcinoma using a two-tier<br />

system. Am J Surg Pathol 2004;28:496-504.<br />

Neoplasie borderline: sierose<br />

G. Tinacci<br />

U.O. Anatomia Patologica, Ospedale S. Maria Annunziata,<br />

Firenze<br />

Le neoplasie borderline costituiscono uno degli argomenti<br />

più controversi ed al tempo stesso più affascinanti della patologia<br />

neoplastica ovarica ed in particolare di quella inerente<br />

alle neoplasie dell’epitelio-stroma superficiale. Nell’ambito<br />

delle lesioni borderline le neoplasie sierose rappresentano,<br />

oltre alla netta maggioranza, quelle più conosciute ed indagate,<br />

tanto da poter costituire una sorta di “prototipo” a cui<br />

ispirarsi per gli altri istotipi.<br />

Le neoplasie borderline sierose… Rappresentano proliferazioni<br />

neoplastiche che hanno caratteristiche cito-istologiche<br />

intermedie tra le quelle delle neoplasie benigne e quelle delle<br />

neoplasie maligne del loro stesso tipo cellulare, mostrano<br />

una proliferazione cellulare superiore a quella che si ritrova<br />

nella loro controparte benigna, mancano di una chiara “invasione<br />

stromale distruttiva” ed hanno un decorso più favorevole,<br />

a parità di stadio, nei confronti dei carcinomi.<br />

…nomenclatura, definizione e sinonimi 1 … La WHO classifica<br />

tali lesioni come “Tumori Sierosi Borderline” e li definisce<br />

“tumori ovarici a basso potenziale di malignità che mostrano<br />

una proliferazione epiteliale atipica, di tipo sieroso, superiore<br />

a quella che si riscontra nella loro controparte benigna, ma senza<br />

invasione stromale distruttiva”. Possono essere considerati<br />

sinonimi i termini di Tumori sierosi a basso potenziale di malignità<br />

e Tumori sierosi a malignità borderline.<br />

…generalità… Il 25-33% dei tumori ovarici sierosi non classificabili<br />

come sicuramente benigni sono costituiti da tumori<br />

borderline. Questi incidono prevalentemente nella 4 a e 5 a decade<br />

di vita (età media 46 anni). In un terzo/metà dei casi sono<br />

bilaterali e nella grande maggioranza (70% circa) si presentano,<br />

al momento della diagnosi, allo stadio I.<br />

Generalmente asintomatici, possono dare sintomatologia<br />

quando vadano incontro a torsione o rottura (in particolare se<br />

cistici). Talvolta associati, in giovani donne, ad infertilità.<br />

…le caratteristiche macro-microscopiche… Macroscopicamente<br />

possono presentarsi come forme cistiche, con una variabile<br />

quantità di escrescenze papillari, come formazioni solido-papillari<br />

della superficie ovarica o come forme intermedie<br />

tra queste. Il contenuto delle formazioni cistiche è generalmente<br />

sieroso, ma talora può presentarsi come mucinoso.<br />

Differentemente dalla controparte carcinomatosa mancano,<br />

di solito, aree di emorragia e necrosi 1 .<br />

Microscopicamente i tumori sierosi borderline differiscono<br />

dai cistoadenomi per la presenza di una iperplasia epiteliale<br />

che porta alla formazione di papille (con asse fibroedemato-<br />

CORSI BREVI - SLIDE SEMINARS<br />

so), per la formazione di micropapille con presenza di piccoli<br />

gruppi di cellule che tendono a distaccarsi, a trovarsi separati<br />

dal contesto delle papille, come a fluttuare nel mezzo circostante<br />

e per la presenza di un grado di atipica citologica<br />

che varia dal lieve al moderato. Differiscono dal carcinoma<br />

sieroso per l’assenza di invasione stromale distruttiva. Gli<br />

elementi neoplastici possono variare da piccole cellule<br />

uniformi con nucleo ipercromatico ad elementi più grandi<br />

con citoplasma eosinofilo ed attività mitotica generalmente<br />

bassa 1 .<br />

…il pattern micropapillare 1-3 … Rappresenta un particolare<br />

pattern morfologico costituito da una proliferazione, più o<br />

meno diffusa, di elementi neoplastici che formano micropapille<br />

sottili ed allungate, senza o con scarso asse stromale.<br />

Le micropapille possono originare direttamente dal rivestimento<br />

interno della formazione cistica, da formazioni papillari<br />

più grandi (senza ramificazione) o dalla superficie ovarica.<br />

Più raramente si può osservare un pattern cribriforme o<br />

quasi solido di proliferazione neoplastica non invasiva. La<br />

diagnosi di tumore sieroso borderline di tipo micropapillare<br />

richiede la presenza di almeno 5 mm di proliferazione neoplastica<br />

continua che mostri le caratteristiche morfologiche<br />

sopraelencate.<br />

…la microinvasione 4 5 … Viene indicata come microinvasione<br />

la presenza, in un tumore sieroso borderline, di microfocolai<br />

di invasione stromale (singoli o multipli) costituiti da<br />

cellule (singole o in piccoli aggregati) con le caratteristiche<br />

citologiche della neoplasia borderline. Le cellule possono<br />

avere un abbondante citoplasma eosinofilo ed i microfocolai<br />

sono generalmente localizzati in spazi vuoti verosimilmente<br />

derivati dalla secrezione di fluido sieroso da parte delle cellule<br />

neoplastiche. Nessuno di questi microfocolai deve avere<br />

un’area superiore ai 10 mm 2 . Manca una reazione stromale<br />

all’invasione che risulta, invece, caratteristica dei carcinomi.<br />

…gli impianti 1 5 … I tumori sierosi borderline possono associarsi<br />

ad impianti nella superficie peritoneale. Gli impianti<br />

peritoneali possono essere inquadrati in due tipi prognosticamente<br />

diversi: impianti di tipo non invasivo, a loro volta divisi<br />

in tipo epiteliale e tipo desmoplastico, ed impianti di tipo<br />

invasivo. Mentre la presenza dei primi sembra non influenzare<br />

negativamente, almeno in modo significativo, il<br />

tasso di sopravvivenza a 10 anni, gli impianti di tipo invasivo<br />

sono associati ad una prognosi peggiore con più del 50%<br />

di recidive e con un tasso di sopravvivenza a 10 anni di circa<br />

il 35%. Varie forme di impianti peritoneali possono coesistere<br />

nella stessa paziente e pertanto un attento studio di queste<br />

lesioni deve essere attuato con particolare attenzione al campionamento<br />

in corso di primo intervento e di reinterventi successivi.<br />

…genetica 5 6 . Il pattern delle alterazioni genetiche descritto<br />

per i tumori sierosi borderline differisce da quello dei carcinomi.<br />

Indipendentemente dal riportare singoli esempi possiamo<br />

dire che il loro profilo genetico indica che sono una categoria<br />

separata con scarsa capacità a trasformarsi in un fenotipo<br />

maligno. Ancora da chiarire rimane invece la problematica<br />

dei tumori sierosi borderline con pattern micropapillare.<br />

Bibliografia<br />

1 Tavassoli FA, Devilee P. WHO Classification of Tumors. Pathology &<br />

Genetics. Tumors of the Breast and Female Genital Organs. IARC<br />

Press 2003.<br />

2 Burks RT, Sherman ME, Kurman RJ. Micropapillary serous carcinoma<br />

of the ovary. A distinctive low-grade carcinoma related to serous<br />

borderline tumors. Am J Surg Pathol 1996;20:1319-1330.<br />

3 Eichhorn JH, Bell DA, Young RH, Scully RE. Ovarian serous borderline<br />

tumors with micropapillary and cribriform patterns: A study


PATOLOGIA OVARICA<br />

of 40 cases and comparison with 44 cases without these patterns. Am<br />

J Surg Pathol 1999;23:397-409.<br />

4 Tavassoli FA. Serous tumor of low malignant potential with early<br />

stromal invasion (serous LMP with microinvasion). Mod Pathol<br />

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5 Scully RE, Young RH, Clement PB. Tumors of the Ovary, Maldeveloped<br />

Gonads, Fallopian Tube, and Broad Ligament. Atlas of Tumor<br />

Pathology. Third Series. Fascicle 23. AFIP, Washington D.C.<br />

1998;51-168.<br />

6 Hauptmann S, Dietel M. Serous tumors of low malignant potential of<br />

the ovary - molecular pathology: part 2. Virchows Arch<br />

2001;438:539-551.<br />

Neoplasie borderline: non sierose<br />

B.E. Leone<br />

Dipartimento di Scienze Chirurgiche e Terapia Intensiva,<br />

Università di Milano-Bicocca; Unità Operativa di Anatomia<br />

Patologica, Ospedale S. Gerardo, Monza<br />

I tumori borderline non sierosi comprendono quattro entità:<br />

tumori mucinosi, endometrioidi, a cellule chiare e a cellule<br />

transizionali. I primi rendono conto di circa il 38% dei tumori<br />

ovarici borderline, mentre i restanti tre sono particolarmente<br />

rari. A loro volta i tumori borderline mucinosi si dividono<br />

in due gruppi, di tipo intestinale (circa 90%) e di tipo<br />

endocervicale (rimanente 10%) 1 .<br />

Tumori borderline mucinosi di tipo intestinale<br />

La definizione proposta dalla WHO 2 per il primo di questi due<br />

raggruppamenti contiene sostanzialmente tre aspetti principali,<br />

due morfologici (proliferazione atipica dell’epitelio e assenza<br />

di invasione) e uno clinico (basso potenziale maligno). Si<br />

tratta di masse ovariche per lo più monolaterali, microscopicamente<br />

analoghe alle loro controparti benigne. Dal punto di vista<br />

istopatologico è comune che nello stesso tumore coesistano<br />

aree di cistoadenoma insieme alla crescita borderline, che<br />

deve dunque rappresentare una frazione significativa della<br />

componente epiteliale stessa (indicativamente 10%). Quest’ultima<br />

caratteristicamente mostra crescita papillare dotata di<br />

scarsissimo stroma di sostegno, pluristratificazione dell’epitelio,<br />

atipie nucleari e mitosi. La presenza di aree di carcinoma<br />

non invasivo viene in maggioranza etichettata come “tumore<br />

borderline con carcinoma intraepiteliale”.<br />

Dal punto di vista prognostico è importante considerare come<br />

tali tumori abbiano un comportamento sostanzialmente<br />

benigno, analogo ai cistoadenomi, in quanto non associati a<br />

pseudomixoma peritonei, che è ormai riconosciuto essere in<br />

massima parte secondario a neoplasie appendicolari o comunque<br />

gastroenteriche 3 . Invece i casi caratterizzati da diffusione<br />

intraperitoneale, sotto forma di metastasi vere e proprie,<br />

non sono associati a pseudomixoma e rappresentano<br />

molto probabilmente adenocarcinomi mucinosi ovarici infiltranti<br />

non correttamente diagnosticati, per esempio per difetto<br />

di campionamento.<br />

L’evidenza di eterogeneità tumorale (benigna, borderline,<br />

maligna) nell’ambito di una singola lesione mucinosa riflette<br />

un meccanismo di progressione neoplastica che renderebbe<br />

ragionevole il fatto di considerare la neoplasia borderline<br />

mucinosa intestinale in maniera analoga alle lesioni epiteliali<br />

preinvasive presenti in altre sedi, e per questo non associata<br />

a possibilità di diffusione, in accordo con i dati di prognosi<br />

disponibili.<br />

Tumori borderline mucinosi di tipo endocervicale<br />

Questo gruppo di neoplasie si distingue dalle precedenti per<br />

aspetti di differenziazione epiteliale di tipo endocervicale.<br />

Sono più frequentemente bilaterali e associati talora a endo-<br />

227<br />

metriosi, ma la differenza sostanziale riguarda la possibilità<br />

di diffusione intraperitoneale sotto forma di impianti invasivi<br />

o non invasivi, in analogia con i tumori sierosi. Anche le<br />

caratteristiche istopatologiche, con architettura papillare<br />

complessa e aspetti di differenziazione mulleriana in senso<br />

sieroso ed endometrioide, oltre che mucinoso endocervicale,<br />

sembrano accrescere la similitudine con le lesioni sierose.<br />

Non sorprendentemente, anche l’andamento clinico appare<br />

analogo.<br />

Tumori borderline endometrioidi, a cellule chiare e a cellule<br />

transizionali<br />

Di raro riscontro e, anche per questo, spesso di difficile diagnosi<br />

differenziale con le controparti benigne e maligne. Si<br />

tratta di neoplasie che dimostrano proliferazione epiteliale<br />

atipica con aspetti differenziativi in senso endometriale, a<br />

cellule chiare e transizionale rispettivamente, ma senza caratteristiche<br />

infiltrative a carico dello stroma. La prognosi sarebbe<br />

favorevole.<br />

Bibliografia<br />

1 Kurman RJ. Blaustein’s Pathology of the Female Genital Tract.<br />

Springer, 5 th ed. 2002<br />

2. Tavassoli FA, Devilee P. Tumours of the Breast and Female Genital<br />

Organs. WHO-IARC press 2003.<br />

3 Ronnett BM, et al. Disseminated peritoneal adenomucinosis and peritoneal<br />

mucinous carcinomatosis. A clinicopathologic analysis of<br />

109 cases with emphasis on distinguishing pathologic features, site of<br />

origin, prognosis, and relationship to “pseudomyxoma peritonei”.<br />

Am J Surg Pathol 1995;19:1390-1408.<br />

Possibilità e limiti dell’intraoperatoria<br />

D. Moncini, A. Palomba, G. Giustarini, A. Calcinai, M.<br />

Biancalani<br />

U.O.C. Anatomia Patologica, Empoli (FI)<br />

Ci sono settori della patologia oncologica in cui l’esame intraoperatorio<br />

può essere opzionale, poiché le indagini diagnostiche<br />

preoperatorie forniscono al chirurgo le informazioni<br />

necessarie per decidere il tipo d’intervento da eseguire. Per<br />

organi come l’ovaio, in cui gli esami strumentali non forniscono<br />

dati certi sulla natura della lesione e non è possibile<br />

eseguire una biopsia preoperatoria, l’intraoperatoria può essere<br />

dirimente e può avere una molteplice utilità per il chirurgo<br />

1 .<br />

Innanzi tutto permette di stabilire la natura della lesione, con<br />

un’attendibilità elevata per le neoplasie benigne e maligne<br />

(Tab. I) 2 , riscontrando le maggiori difficoltà nei tumori borderline.<br />

I dati riportati in letteratura sull’accuratezza dell’esame<br />

intraoperatorio per le neoplasie ovariche globalmente<br />

considerate sono molto incoraggianti, oscillando dal 92% al<br />

98,7%, con una sensibilità per le neoplasie benigne dal 94%<br />

al 99,1%, e per quelle maligne dal 87% al 98,5%; per le neoplasie<br />

borderline i valori sono molto inferiori, attestandosi<br />

nella maggior parte degli studi intorno al 60% 2-4 , con valori<br />

anche inferiori: 44,8 5 , 50% 6 .<br />

Un altro quesito importante a cui l’esame intraoperatorio<br />

può dare una risposta è se si tratta di una lesione primitiva<br />

ovarica o metastatica (gli organi che più comunemente metastatizzano<br />

all’ovaio sono l’endometrio, lo stomaco, l’intestino,<br />

la mammella). Inoltre in un tumore primitivo conoscere<br />

il tipo istologico (adenocarcinoma, tumore germinale,<br />

tumore stromale) può servire all’operatore per scegliere il<br />

tipo d’intervento più adeguato, ad esempio la conservazione<br />

dell’ovaio controlaterale che è possibile se si tratta di un


228<br />

Tab. I. Sensibilità della diagnosi intraoperatoria per le neoplasie ovariche (M. Gol 2003, mod.)<br />

tumore germinale. Lo studio intraoperatorio può servire anche<br />

a valutare lo stadio della neoplasia e dare indicazioni al<br />

chirurgo sull’adeguatezza dei margini di resezione, dato importante<br />

soprattutto nel caso di giovani donne che desiderino<br />

conservare la fertilità 3 .<br />

Ci sono neoformazioni in cui l’esame macroscopico può essere<br />

già suggestivo della natura della lesione, come i teratomi<br />

cistici maturi o le cisti che presentano pareti sottili, senza<br />

neoformazioni aggettanti nella cavità. Nei tumori che richiedono<br />

l’esame intraoperatorio è importante la scelta del frammento/i<br />

da esaminare, infatti, nei tumori solidi sono da evitare<br />

le aree necrotiche e nelle cisti con neoformazioni papillari<br />

possono essere necessari più prelievi per evidenziare un’eventuale<br />

infiltrazione 7 .<br />

Una regola che vale in generale (non solo per le neoformazioni<br />

ovariche) perché l’esame al congelatore sia ottimale, è<br />

di avere a disposizione tutta la lesione e non solo una porzione,<br />

perché una possibile causa di errore può essere quella di<br />

valutare un frammento non rappresentativo della patologia.<br />

Questo dato emerge chiaramente anche dallo studio di Nigrisoli<br />

8 che su 1490 campioni esaminati al criostato, ha riscontrato<br />

che le cause di errore sono da ricondurre principalmente<br />

all’errore di campionamento macroscopico, in secondo<br />

luogo all’errore interpretativo istologico, e in minima parte ai<br />

problemi tecnici (artefatti da congelamento).<br />

Questi fattori potrebbero spiegare la bassa accuratezza diagnostica<br />

intraoperatoria per i tumori borderline, per i quali la<br />

complessità morfologica e il campionamento limitato a pochi<br />

prelievi rendono l’esame estemporaneo meno attendibile 3 .<br />

La valutazione di un esiguo numero di sezioni può portare a<br />

sottostimare la lesione non mostrando nelle sezioni congelate<br />

aree certe di invasione, che possono comparire sull’esame<br />

definitivo, dove le sezioni esaminate sono molto più numerose;<br />

questo può spiegare come il 20%-30% di casi diagnosticati<br />

come borderline all’esame intraoperatorio siano risultati<br />

carcinomi al successivo esame istologico 2 3 5 9 10 . Molto<br />

più raramente si verifica che neoformazioni interpretate come<br />

benigne al congelatore siano diagnosticate come tumore<br />

borderline all’esame definitivo (2,8-6,2%) 2-5 .<br />

Dagli studi presenti in letteratura emerge che la maggior parte<br />

degli errori è rappresentata da sottostime delle lesioni,<br />

mentre le sovrastime sono molto più rare. Le maggiori difficoltà<br />

sembrano aversi nei tumori mucinosi, con una percentuale<br />

maggiore di diagnosi sottostimate 2 4 5 : questo può dipendere<br />

dalle dimensioni maggiori che di solito hanno le<br />

neoformazioni mucinose e dalla loro eterogeneità tanto da<br />

poter trovare nello stesso tumore aree benigne, maligne e<br />

borderline.<br />

CORSI BREVI - SLIDE SEMINARS<br />

Autore N. casi % Globale % N. Benigne % N. Borderline % N. Maligne<br />

Hamed, 1993 305 98.7<br />

Rose, 1994 383 92.7 97.9 44.8 92.5<br />

Usubutun, 1998 360 94.2 99.2 93.1<br />

Yeo, 1998 316 95.2 98.2 60 87<br />

Cuello,1999 842 98.2<br />

Houck, 2000 140 60<br />

Pinto, 2001 243 94 94 61 98.5<br />

Gol, 2003 222 92 98 61 88.7<br />

Tangjitgamol, 2004 212 91.9 99.1 50 90.9<br />

Una valutazione complessiva di questi dati conferma l’utilità<br />

e l’accuratezza dell’esame intraoperatorio nelle neoplasie<br />

ovariche; tale metodica, pur se con limitazioni nelle lesioni<br />

borderline, risulta un valido supporto per il chirurgo, più delle<br />

altre indagini diagnostiche preoperatorie 3 11 .<br />

Bibliografia<br />

1 Markman M, Hoskins WJ. Cancer of the ovary. Raven Press New<br />

York, 1993, pag. 161.<br />

2 Gol M, Baloglu A, Yigit S, Dogan M, Aydin Ç, Yensel U. Accuracy of<br />

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course of time? Int J Gynecol Cancer 2003;13:593-7.<br />

3 Pinto PB, Andranade LAL, Derchain SFM. Accuracy of intraoperative<br />

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4 Houck K, Nikrui N, Duska L, Chang Y, Fuller AF, Bell D, Goodman<br />

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8 Nigrisoli E, Gardini G. Quality control of intraoperative<br />

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9 Kurman RJ. Blaustein’s pathology of the female genital tract. 5 th edition.<br />

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10 Menzin AW, Rubin SC, Noumoff JS, LiVolsi V. The accuracy of a frozen<br />

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11 Lim FK, Yeoh CL, Choung SM, Arulkumaran S. Pre and intraoperative<br />

diagnosis of ovarian tumors:how accurate are we? Aust NZ J<br />

Obstet Gynaecol 1997;37:223-7.<br />

Marcatori prognostici dei tumori ovarici<br />

M.R. Raspollini, G.L. Taddei<br />

Dipartimento di Patologia Umana ed Oncologia, Università<br />

di Firenze<br />

Da una ricerca bibliografica della letteratura del medline<br />

combinando i termini “fattori prognostici” e “carcinoma ovarico”<br />

si ottengono non meno di 838 voci bibliografiche. Un<br />

risultato così elevato, non proporzionato al numero di fattori<br />

prognostici di utilizzo in clinica, suggerisce che la maggioranza<br />

dei presunti fattori prognostici abbia un incerto valore<br />

clinico e biologico. Tuttavia, esiste una inconfutabile neces-


PATOLOGIA OVARICA<br />

sità di individuare quali pazienti andranno bene senza terapie<br />

aggiuntive (individuare i fattori prognostici) e quali andranno<br />

bene con alcuni trattamenti e non con altri (individuare i<br />

fattori predittivi).<br />

L’individuazione di fattori prognostici e soprattutto di fattori<br />

predittivi di risposta ad una determinata terapia va assumendo<br />

una importanza crescente nel carcinoma ovarico,<br />

dal momento che di recente, nuovi obiettivi terapeutici sono<br />

stati ipotizzati con terapie adiuvanti più aggressive con<br />

l’introduzione in terapia di prima linea di un terzo farmaco,<br />

in aggiunta alla combinazione di platino e taxolo, oppure<br />

con una terapia di consolidamento con l’utilizzo di un chemiofarmaco<br />

al termine dei sei cicli di terapia a base di platino<br />

e taxolo 1 2 .<br />

Il più importante fattore prognostico nel carcinoma ovarico è<br />

l’estensione della malattia al momento della diagnosi. La sopravvivenza<br />

a cinque anni per le pazienti con carcinoma ovarico<br />

in stadio avanzato è inferiore al 25%, mentre è intorno al<br />

90% nelle donne con malattia di stadio I 3 .<br />

Nella maggioranza dei casi la malattia è diagnosticata in stadio<br />

avanzato con diffusioni pelviche e peritoneali. Il carcinoma<br />

ovarico di stadio III o IV rappresenta una malattia con<br />

prognosi pessima. Al momento attuale, la guarigione nelle<br />

pazienti con recidiva di malattia non rappresenta un obiettivo<br />

realistico, e la maggior parte delle donne, che non rispondono<br />

alla chemioterapia di prima linea dopo l’intervento chirurgico,<br />

vanno incontro a <strong>brevi</strong> periodi di remissione di malattia<br />

dopo ogni ciclo di trattamento.<br />

Accanto allo stadio della malattia, la radicalità chirurgica 4 5 ,<br />

l’istotipo 6 7 ed il grado di differenziazione 8 9 sono correlati<br />

con la sopravvivenza delle pazienti con carcinoma ovarico.<br />

Tuttavia, il diverso comportamento biologico osservato in<br />

pazienti con carcinoma ovarico omogeneo per tipo istologico,<br />

grado di differenziazione, stadio di malattia e trattamento<br />

chirurgico e chemioterapeutico, spinge a studiare altri fattori<br />

che possano spiegare tali differenze. Esiste infatti, un piccolo<br />

numero di pazienti con malattia avanzata che, dopo il trat-<br />

229<br />

tamento chirurgico e chemioterapico, dimostrano sopravvivenze<br />

estremamente lunghe. Si osservano, inoltre, all’interno<br />

di ogni stadio FIGO di malattia, delle differenze marcate di<br />

evoluzione clinica che non si spiegano solo con l’istologia, il<br />

grading e la malattia residua dopo la chirurgia.<br />

Lo studio volto a comprendere le basi molecolari della carcinogenesi<br />

e della progressione neoplastica dei tumori ovarici è<br />

in rapida evoluzione e porterà ad identificare nuovi fattori prognostici<br />

e predittivi che consentiranno, in futuro, la personalizzazione<br />

del trattamento terapeutico e l’individuazione delle<br />

pazienti che necessitano di un trattamento più aggressivo.<br />

Bibliografia<br />

1 Copeland LJ, Bookman M, Trimble E. Clinical trials of newer regimens<br />

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3 Friedlander ML. Prognostic factors in ovarian cancer. Semin Oncol<br />

1998;25:305-314.<br />

4 Tingulstad S, Skjeldestad FE, Halvorsen TB, et al. Survival and prognostic<br />

factors in patients with ovarian cancer. Obstet Gynecol<br />

2003;101:885-891.<br />

5 Hornung R, Urs E, Serenella E, et al. Analysis of potential prognostic<br />

factors in 111 patients with ovarian cancer. Cancer Lett<br />

2004;206(1):97-106.<br />

6 Malkasian GD, Decker DG, Webb MJ. Histology of epithelial tumours<br />

of the ovary: clinical usefulness and prognostic significance of<br />

histologic classification and grading. Semin Oncol 1975;2:191-201.<br />

7 Goff BA, de la Cuesta RS, Muntz HG, et al. Clear cell carcinoma of<br />

the ovary : a distinct histologic type with poor prognosis and resistance<br />

to platinum based chemotherapy in stage III disease. Gynecol<br />

Oncol 1996;60:412-417.<br />

8 Barber HRK, Sommers SC, Snyder R, et al. Histologic and nuclear<br />

grading and stromal reactions as indices for prognosis of ovarian<br />

cancer. Am J Obstet Gynecol 1975;121:795-807.<br />

9 Sorbe B, Frankendal B, Veress B. Importance of histologic grading in<br />

the prognosis of the epithelial ovarian carcinoma. Obstet Gynecol<br />

1982;59:576-582.


PATHOLOGICA 2004;96:230-235<br />

Citologia da iniziative di screening<br />

Problematiche diagnostiche nella<br />

classificazione del sistema Bethesda 2001<br />

degli strisci cervicali<br />

S. Prandi<br />

Centro di Citologia Cervico-vaginale di Screening, Arcispedale<br />

Santa Maria Nuova, Reggio Emilia<br />

Nel maggio 2001 si è tenuto a Bethesda un Worshop per ripuntualizzare<br />

la classificazione citologica utilizzata nella diagnostica<br />

degli strisci cervico-vaginali a 10 anni dalla precedente<br />

edizione del S. Bethesda 1991 1 4 . Una revisione terminologica<br />

era necessaria per il raggiungimento di un consenso<br />

internazionale, per l’utilizzo di una classificazione che riflettesse<br />

nuove conoscenze nella biologia dei tumori della cervice<br />

e nell’applicazione di nuove tecnologie e per un’integrazione<br />

maggiore della gestione clinica della donna. Il nuovo S.<br />

Bethesda 2001 non si discosta sostanzialmente da quello del<br />

1991, che mantiene ancora una problematicità d’applicazione<br />

negli screening organizzati. Questa classificazione nata in<br />

America, si integra in un Sistema Sanitario organizzato diversamente,<br />

ove non esiste attualmente uno screening su invito,<br />

ma una partecipazione spontanea delle donne, pagata<br />

dalle compagnie assicuratrici, con frequenza consigliata annuale.<br />

Il problema di una refertazione citologica nel programma<br />

di screening organizzato è diverso, perché i risultati<br />

dei test non sono mediati dal clinico nel 95% dei casi, in<br />

quanto “negativi”, le cui spedizioni sono fatte direttamente a<br />

domicilio; la ciclicità è spesso rigida: nei risultati negativi il<br />

ritorno è a tre anni, la ripetizione è immediata se il pap test<br />

non è soddisfacente, l’invio al secondo livello avviene per citologia<br />

ASC, LSIL, HSIL, Carcinoma e lesioni ghiandolari.<br />

In caso di risultato “negativo per lesioni intraepiteliali o per<br />

malignità”, ma con assenza di cellule endocervicali o zona di<br />

trasformazione, a quanto deve essere fatto l’invito successivo?<br />

A tre anni o, come afferma il Gruppo Italiano Screening<br />

del Cervicocarcinoma (GISCi), con ripetizione immediata?<br />

La scelta del tempo della ciclicità è decisa dal citologo, cioè<br />

mediata dalla qualità del preparato, non sempre adeguatamente<br />

soddisfacente a causa della marcata flogosi, dalla scarsità<br />

del materiale, da difetti tecnici, oppure dal Responsabile<br />

di programma che segue rigide direttive Regionali? Di qui<br />

sorgono i primi problemi con l’abolizione della categoria<br />

“adeguato ma limitato da” che se vengono trasformati come<br />

insoddisfacenti il limite del 5%, quale standard richiesto come<br />

obiettivo di qualità degli screening, viene superato. Altra<br />

categoria problematica è l’ASC (cellule squamose atipiche)<br />

che sottende anormalità epiteliali indicando una lesione squamosa<br />

che quantitativamente e qualitativamente non è sufficiente<br />

per definirla SIL, che non indica una infiammazione od<br />

una reattività e che non rappresenta una diagnosi d’esclusione.<br />

L’ASC comprendente due sottocategorie: ASC-US ed<br />

ASC-H: le Pazienti con diagnosi di ASC-US hanno il rischio<br />

di una malattia d’alto grado che varia fra l’8-20% 2 . L’ASC-<br />

H (cellule squamose atipiche non si può escludere HSIL),<br />

rappresenta dal 5% al 10% delle ASC, riflette un misto fra veri<br />

HSIL e lesioni che li simulano. Il vero problema sta nella<br />

poca riproducibilità diagnostica secondo il S. Bethesda 2001,<br />

già evidenziata con il Bethesda 1991 con l’ASCUS, per cui<br />

Moderatori: A. Bondi (Cesena) e P. Dalla Palma (Trento)<br />

suddividendo l’ASC, potrà derivare un quantitativo di ASC-<br />

US pressoché invariato, che comprenderà ancora SIL di alto<br />

grado, mentre nella categoria ASC-H, pur avendo un valore<br />

predittivo positivo più elevato per CIN II e CIN III istologico,<br />

saranno ancora presenti una quota di casi negativi come<br />

confermato dalla letteratura internazionale ove la nuova classificazione<br />

è già utilizzata da tempo. Seppur poco riproducibile,<br />

l’ASC-H ha un valore predittivo positivo per CIN II -<br />

CIN III intermedio fra ASC-US e HSIL. Da ultimo, ma prime<br />

per complessità, sono le categorie delle lesioni ghiandolari,<br />

poco conosciute, perché meno frequenti, ma con problematica<br />

acuita per laboratori di medie-piccole dimensioni. Comprendono<br />

AGC, cellule ghiandolari atipiche, AGC verso il<br />

neoplastico, AIS – adenocarcinoma in situ. Secondo S. Bethesda<br />

2001, AGC ha un valore predittivo più elevato rispetto<br />

ASC per malattie significative (61% vs 20%) 4 . In Italia la<br />

classificazione S. Bethesda 2001 negli screening è comunque<br />

in fase d’applicazione, sia a livello sperimentale sia come utilizzo<br />

attivo, anche se solo in limitate realtà: la condivisione di<br />

queste esperienze indicherà non solo le problematicità, ma<br />

anche porterà a soluzioni diversificate e l’applicazione di<br />

nuove metodiche, quali la rilevazione del DNA HPV, come<br />

indicato nel triage dell’ASC dalla ASCCP, integreranno i limiti<br />

della diagnostica citologica cervicale 2 .<br />

Bibliografia<br />

1 The 1991 Bethesda System for reporting cervical/vaginal cytologic<br />

diagnoses: report of the 1991 Bethesda Workshop. JAMA<br />

1992;267:1892.<br />

2 Cox JT. The clinician’s view: role of human papillomavirus testing in<br />

the American Society for Colposcopy and Cervical Pathology Guidelines<br />

for the management of abnormal cervical cytology and cervical<br />

cancer precursors. Arch Pathol Lab Med 2003;127:950-8.<br />

3 Krane JF, Lee KR, Sun D, Yuan L, Crum CP. Atypical glandular cells<br />

of undetermined significance. Outcome predictions based on human<br />

papillomavirus testing. Am J Clin Pathol 2004;121:87-92.<br />

4 Solomon D, Davey D, Kurman R, Moriarty A, O’Connor D, Prey M,<br />

Raab S, Sherman M, Wilbur D, Wright T Jr, Young N; Forum Group<br />

Members; Bethesda 2001 Workshop The 2001 Bethesda System: terminology<br />

for reporting results of cervical cytology. JAMA<br />

2002;287:2114-2119.<br />

Lo strato sottile nello screening del cervico<br />

carcinoma: valutazioni<br />

C. Gentili<br />

U.O. Anatomia Patologica, Ospedale Unico della Versilia<br />

Camaiore, Lucca<br />

Obiettivi<br />

Nella nostra ASL è attivo un programma di screening a partire<br />

dal 1997, inserito all’interno di un’iniziativa regionale<br />

che coinvolge diverse ALS.<br />

L’U.O. di Anatomia Patologica gestisce la parte organizzativa,<br />

il primo livello e la parte valutativa. Il target della popolazione<br />

interessata (7 comuni che fanno parte della ASL) è di<br />

47000 donne di età tra 25 e 60 anni da testare ogni tre anni. Lo<br />

screening segue le linee guida del Ministrero della Salute 1<br />

conformi alle linee guida europee per la “Quality assurance in<br />

cervical cancer screening” 2 .


CITOLOGIA DA INIZIATIVE DI SCREENING<br />

Fino al 2002 abbiamo utilizzato il pap test tradizionale, dall’inizio<br />

del 2003 abbiamo introdotto la citologia in fase liquida<br />

con il metodo Thin Prep 3 .<br />

Molti studi indicano questo metodo come più efficace, più facile<br />

e veloce da leggere, più sensibile nell’individuare le lesioni<br />

SIL e nel ridurre gli inadeguati 4-6 .<br />

Scopo di questo studio è comparare i due metodi sulla base<br />

dei dati forniti dalla nostra esperienza e dalla letteratura 7-10 .<br />

Materiali e metodi<br />

Come campione di popolazione di screening abbiamo considerato<br />

donne testate con il metodo Thin Prep nell’anno 2003<br />

e donne testate con il tradizionale nel 2002.<br />

I due campioni erano confrontabili per numero, età e fattori<br />

di rischio.<br />

I campioni sono stati prelevati dagli stessi operatori (medici ed<br />

ostetriche) precedentemente addestrati. Lo screening citologico<br />

è stato effettuato dallo stesso personale (tecnici e biologi)<br />

operativo dall’inizio dello screening. Il tempo di lettura per<br />

singolo test è stato calcolato sulla media dei pap test letti in 5<br />

giorni. La refertazione si è basata sulla classificazione di<br />

Bethesda 89 11 . I risultati positivi ed i controlli di qualità sono<br />

stati controllati da patologi con un lungo training nel settore<br />

È stato usato il T test per valutare le differenze tra i tempi medi<br />

ed il numero degli inadeguati e chi-quadro con la correzione<br />

di Bonferroni per valutare le differenze tra le 4 più frequenti<br />

categorie diagnostiche del Bethesda.<br />

Risultati<br />

Nel 2003 il tempo medio dello screening è più breve rispetto<br />

al 2002 (2002: m 6 min; ds 0,35. 2003 m 3,3 min; Ds 0,44<br />

p.< 0,01) ed il numero degli inadeguati minore (188 vs 58 p<br />

< 0,01). In maniera statisticamente significativa sono aumentati<br />

gli LSIL (71 vs 46 p < 0,01) e gli HSIL, anche se per questa<br />

categoria la differenza è leggermente sotto la soglia della<br />

significatività statistica (9 vs 20 p = 0,08)<br />

Non è stata trovata alcuna differenza tra il numero di casi<br />

ASCUS-AGUS (2002: 37 casi 2003: 44 casi) (Tab. I).<br />

Tab. I.<br />

2002 2003<br />

Pap. Smear % Thin Prep %<br />

No.Tot 4560 4872<br />

Inadeg. 188 4,12% 58 1,19%<br />

ASCUS-AGUS 37 0,81% 44 0,90%<br />

LSIL 46 1% 71 1,46%<br />

HSIL 9 0,19% 20 0,41%<br />

Carcinoma 1 0,02% 2 0,04%<br />

Tot. Pos. 93 2,04% 137 2,81%<br />

Conclusioni<br />

In accordo con la letteratura, nella nostra esperienza abbiamo<br />

registrato con l’uso del Thin Prep un aumento delle LSIL,<br />

una riduzione dei tempi di lettura e del numero degli inadeguati.<br />

Abbiamo rilevato inoltre un incremento delle HSIL per quanto<br />

sotto la significatività anche se leggermente sotto la significatività<br />

statistica. Nessuna differenza è invece emersa nel<br />

numero di ASCUS-AGUS.<br />

Questi risultati indicano una maggior efficacia del Thin Prep<br />

nella diagnosi delle lesioni SIL e nel ridurre il numero degli<br />

inadeguati<br />

231<br />

Recentemente si sono resi disponibile altri sistemi per la citologia<br />

in fase liquida: i risultati preliminari che emergono<br />

dalla letteratura e dalla nostra esperienza sono molto promettenti:<br />

ciò porterà sicuramente un abbattimento di costi che incoraggerà,<br />

a sua volta, una diffusione della metodica dagli indubbi<br />

vantaggi<br />

Bibliografia<br />

1 Ministero della Sanità. Linee guida elaborate dalla Commissione Oncologica<br />

Nazionale. Gazzetta ufficiale n. 127 del 1/06/02.<br />

2 Coleman C, Day N, Douglas D, et al. European Guidelines for quality<br />

assurance in cervical cancer screening. Europ J Cancer<br />

1993;29(suppl4):S1-S38.<br />

3 Cytic Corp: Product insert, Thin Prep 2000, Boxborough, Massachussetts,<br />

1997.<br />

4 McGoogan E, Reith A. Would monolayer provide more representative<br />

samples and improved preparations for cervical screening? Overview<br />

and evaluation of systems available. Acta Cytol 1996;49:107-119.<br />

5 Bur M, Knowles K, Petrow P, Corral O, Donovan J. Comparison of<br />

ThinPrep preparation with conventional cervicovaginal smears:<br />

Practical consideration. Acta Cytol 1995;39:631-642.<br />

6 Corkill M, Knapp D, Martin J Hutchinson ML. Specimen adequacy of<br />

Thin Prep sample preparations in a direct-to-vial study. Acta Cytol<br />

1997;41:39-44.30.<br />

7 Linder J, Zahniser D. The Thinprep Pap Test: A review of clinical<br />

studies. Acta Cytol 1997;41:30-38.<br />

8 Papillo L, Zarka MA, St John TL. Evaluation of Thinprep Pap Test in<br />

clinical practice in northern Vermont. Acta Cytol 1998;42:203-208.<br />

9 Bolick DR, Hellman DJ. Laboratory implementation and efficacy of<br />

the Thinprep cervical cancer screening system. Acta Cytol<br />

1998;42:209-213.<br />

10 Malle D, Pateinakis P, Chakka E, Destouni C. Experience with a<br />

Thin-Layer, Liquid-Based Cervical Cytologic Screening Method. Acta<br />

Cyolol 2003;47:129-134.<br />

11 Kurman RJ, Salomon D. The Bethesda System for Reporting Cervical/Vaginal<br />

Cytologic Diagnoses: Definitions, Criteria and Explanation<br />

Notes for Terminology and Specimen Adequacy. New York,<br />

Springer-Verlag, 1994.<br />

Novità in citologia cervico-vaginale:<br />

il “trial HPV”<br />

G. Ronco1 , G. Collina2 , N. Segnan1 , L. De Marco1 , R. Rizzolo1<br />

, B. Ghiringhello3 , M. Confortini4 , F. Carozzi4 , M.<br />

Zappa4 , A. Iossa4 , M. Vettorazzi5 , A. Del Mistro6 , C. Naldoni7<br />

, C. Sintoni8 , P. Schincaglia7 , A. Bondi8 , G. Casadei9 ,<br />

P. Dalla Palma10 , S. Brezzi11 , P. Giorgi-Rossi11 , A. Pellegrini12<br />

, J. Cuzick13 1 2 CPO Piemonte; Anatomia Patologica, Ospedale Bellaria,<br />

Bologna; 3 Ospedale S. Anna, Torino; 4 CSPO Firenze; 5 Veneto<br />

Registro Tumori, Padova, 6 Università di Padova; 7<br />

CPO Ravenna; 8 Anatomia Patologica, Ospedale di Cesena;<br />

9 10<br />

Anatomia Patologica, Ospedale Maggiore, Bologna;<br />

Anatomia Patologica, Ospedale di Trento; 11 ASP Lazio, Roma;<br />

12 Ospedale S. Giovanni, Roma; 13 Cancer Research UK,<br />

London<br />

Obiettivo<br />

A lungo termine, valutare l’efficacia di uno screening basato<br />

sul test HPV a intervalli prolungati (5-6 anni) rispetto a quella<br />

di uno screening basato sulla citologia convenzionale ogni<br />

3 anni. A breve termine, valutare sensibilità e specificità del<br />

test HPV nei confronti della citologia convenzionale e della<br />

citologia in fase liquida (LBC).<br />

Metodi<br />

Trial randomizzato multicentrico che coinvolge 9 programmi<br />

organizzati di screening in Italia. Erano elegibili le donne di<br />

età tra 25 e 60 anni che venivano per un nuovo round di


232<br />

screening. Braccio convenzionale: La donne hanno avuto citologia<br />

convenzionale. Si è indicata colposcopia se se il Paptest<br />

era diagnosticato ASCUS. Braccio sperimentale: si prelevava<br />

materiale proveniente dal canale cervicale e lo si conservava<br />

nel fissativo presente all’interno dei contenitori atti<br />

alla preparazione della citologia in fase liquida.Il materiale<br />

prelevato residuo era utilizzato per la ricerca di ceppi virali<br />

HPV ad alto rischio (Hybrid Capture II sonda B).<br />

Le donne con età superiore ai 35 anni, risultate positive al test<br />

Hybrid Capture II per ceppi HPV ad alto rischio, ma con citologia<br />

in fase liquida con esito negativo si è indicata direttamente<br />

colposcopia. Alle donne nella stessa condizione precedentemente<br />

descritta (HPV-positivo, LBC-negativo), ma di età<br />

inferiore ai 35 anni, si ripeteva l’esame a distanza di un anno.<br />

Sono state randomizzate al braccio convenzionale 22302<br />

donne e 22398 al braccio sperimentale.<br />

Risultati<br />

Vengono presentati risultati preliminari per le donne di età<br />

superiore ai 35 anni. La sensibilità relativa nei confronti della<br />

citologia convenzionale per lesioni CIN II/III, confermate<br />

istologicamente, è stata 1,70 (95% c.i. 1,16-2,49) per la ricerca<br />

di ceppi virali HPV ad alto rischio associato alla LBC,<br />

1,58 (95% c.i. 1,07-2,23) per il test HPV da solo e 1,24 (0,83-<br />

1,87) per la citologia in fase liquida da sola. Nel braccio sperimentale<br />

66/71 CINII/III (92,96%) erano HPV-positive e<br />

52/71 (73,24%) erano LBC-positive (ASCUS+). Il valore<br />

predittivo positivo (VPP) per CINII+ è stato 6,56% con il test<br />

HPV da solo, 6,73% con la citologia liquida da sola e<br />

11,00% con la citologia convenzionale).<br />

Conclusioni<br />

È in corso il completamento della documentazione delle colposcopie<br />

e la revisione dei preparati istologici. Per questo i<br />

risultati sono da considerare preliminari. Il test HPV ha aumentato<br />

la sensibilità di circa il 60% ma ha ridotto il PPV.<br />

Sono necessarie strategie per migliorare il PPV (es. restringere<br />

l’invio diretto in colposcopia delle donne HPV-positive<br />

a quelle citologicamente positive e ripetere il test per le altre,<br />

inviando solo quelle con infezione persistente).<br />

Una seconda fase con test HPV da solo nel braccio sperimentale<br />

è in corso.<br />

Lo scopo finale e principale dello studio sarà la detection rate<br />

al round di screening successivo.<br />

La citologia agoaspirativa nella definizione<br />

delle lesioni multiple della mammella<br />

F. Zanconati, D. Bonifacio, F. Martellani, A. Romano, R.<br />

Spinelli, I. Colautti, S. Dudine, L. Di Bonito<br />

Dipartimento di Scienze Cliniche Morfologiche e Tecnologiche;<br />

U.C.O. di Anatomia Patologica, Istopatologia e Citodiagnostica,<br />

Università di Trieste<br />

La FNA è ampiamente utilizzata nella definizione delle anomalie<br />

osservate in corso di accertamenti mammografici ed<br />

ecografici e, come suggerito nella Charta Senologica 2004<br />

della S.I.R.M 1 , è lo strumento di prima scelta per la caratterizzazione<br />

morfologica delle lesioni evidenziate in radiologia.<br />

Il successo di questa metodica si basa sulla sua semplicità<br />

di esecuzione, sui costi molto contenuti e sulla sua minima<br />

invasività. La percentuale di diagnosi utili ottenibili con<br />

questa metodica dipende solo in parte dalle dimensioni e dalla<br />

cellularità intrinseca della lesione. È ben noto, infatti, che<br />

il successo della metodica dipende soprattutto dall’esperienza<br />

dell’équipe radiologo/patologo che gestisce le diverse fasi<br />

CORSI BREVI - SLIDE SEMINARS<br />

della procedura. Queste comprendono, oltre al corretto riconoscimento<br />

della lesione (di competenza del radiologo), una<br />

serie di tappe intermedie, dalla scelta della metodica più efficace<br />

(FNA/CB/solo follow-up strumentale/biopsia chirurgica),<br />

alla corretta centratura della lesione con un’ottimale gestione<br />

del materiale prelevato, fino alla corretta interpretazione<br />

al microscopio ed alla stesura del referto (queste ultime<br />

di competanza del patologo). Il ruolo ricoperto dai diversi<br />

specialisti nelle fasi intermedie della procedura è molto variabile,<br />

anche all’interno dello stesso ospedale. I migliori risultati<br />

si ottengono quando radiologi e patologi esperti collaborano<br />

durante le fasi intermedie e questo plusvalore si quantifica<br />

facilmente con una riduzione del numero di inadeguati<br />

e con l’incremento delle diagnosi conclusive. L’utilizzo della<br />

“near patient FNAC diagnosis” 2 , che prevede la partecipazione<br />

diretta del patologo alla fase del prelievo (con possibilità<br />

di valutazione estemporanea dell’adeguatezza), è essenziale<br />

per ottenere con la FNA risultati che siano affidabili<br />

per il loro l’utilizzo nella pratica clinica quotidiana. I vantaggi<br />

sono assolutamente evidenti e riconosciuti, non solo per<br />

i costi contenuti, ma soprattutto per la bassissima incidenza<br />

di complicanze, per altro minori, che consente una buona accettazione<br />

dell’esame da parte delle pazienti. Questa metodica<br />

è indicata anche per lo studio di lesioni di piccole dimensioni,<br />

caratterizzate da un quadro radiologico sfumato, riducendo<br />

al minimo il numero di falsi negativi radiologici e di<br />

lesioni multiple.<br />

Materiali e metodi: la provincia di Trieste è la più piccola<br />

provincia italiana per superficie (poco più di 200 Kmq) ed è<br />

costituita quasi esclusivamente da un’area metropolitana (la<br />

città di Trieste con quasi 210.000 abitanti) e da 5 comuni minori<br />

(circa 30.000 abitanti). Per quanto riguarda i bisogni sanitari,<br />

oltre il 90% degli abitanti fa riferimento alle strutture<br />

operanti nella provincia; tutte le realtà sanitarie territoriali,<br />

ospedaliere e private convenzionate sono collegate da una<br />

medesima rete informatica. In questo scenario è attivo dal<br />

1994 un progetto di collaborazione nel settore della diagnostica<br />

intervenzionale tra le unità di Radiologia e quella di<br />

Anatomia Patologica con la costituzione di un nucleo operativo<br />

radiologo-patologo, soprattutto per quanto riguarda la citologia<br />

agoaspirativa. Ciò ha consentito di razionalizzare il<br />

ricorso a strumenti di approfondimento più invasivi (prelievi<br />

sotto stereotassi e/o agobiopsie con tru-cut) ai soli casi in cui<br />

l’approccio citologico si sia dimostrato inadeguato (assenza<br />

di materiale diagnostico in citologia rapida) o insufficiente<br />

per soddisfare alcuni dei quesiti diagnostici o clinico/terapeutici<br />

che il singolo caso può comportare (diagnosi di sospetto<br />

da confermare o necessità di fornire precise indicazioni<br />

sulle caratteristiche biologiche di una lesione maligna già<br />

confermata). Tale collaborazione si è estesa nel corso degli<br />

anni, coinvolgendo anche la quasi totalità delle strutture pubbliche<br />

e private operanti nel territorio provinciale. Anche se<br />

nella Regione Friuli-Venezia Giulia non è ancora attivato un<br />

programma di screening organizzato per la prevenzione del<br />

carcinoma mammario, dal 2001 è operativo nella provincia di<br />

Trieste un gruppo multidisciplinare che si riunisce periodicamente<br />

per discutere casi clinici e linee guida. Tale gruppo ha<br />

permesso di far conoscere ai diversi specialisti dedicati alla<br />

senologia, il ruolo clinico della FNA nella gestione delle pazienti<br />

soprattutto in quelle con lesioni infracliniche. La crescente<br />

confidenza dimostrata dal gruppo senologico multidisciplinare<br />

con la FNA ha comportato un aumento delle richieste<br />

di ricorso a questa metodica, anche allo scopo di meglio<br />

caratterizzare la natura di noduli multipli osservati nella<br />

stessa paziente. In questi ultimi anni, per meglio selezionare


CITOLOGIA DA INIZIATIVE DI SCREENING<br />

Tab. I.<br />

Noduli singoli Noduli multipli<br />

2001 2003 2001 2003<br />

Categoria N. % sui N. % sui N. % sui N. % sui<br />

diagnostica noduli noduli noduli noduli<br />

singoli singoli multipli multipli<br />

totali totali totali totali<br />

C1 61 15,56% 26 5,73% 19 10,67% 26 8,84%<br />

C2 185 47,19% 244 53,74% 78 43,82% 128 43,54%<br />

C3 26 6,63% 36 7,93% 6 3,37% 17 5,78%<br />

C4 27 6,89% 18 3,96% 12 6,74% 19 6,46%<br />

C5 93 23,72% 130 28,63% 63 35,39% 104 35,37%<br />

Tab. II.<br />

noduli singoli noduli multipli<br />

2001 2003 2001 2003<br />

Sensibilità 99,07% 97,28% 98,51% 96,83%<br />

Specificità 95,18% 98,93% 96,39% 99,30%<br />

VPP 90,60% 97,95% 95,65% 99,19%<br />

VPN 99,54% 98,58% 98,77% 97,24%<br />

le pazienti candidate alla terapia conservativa, si è inoltre<br />

presentata la necessità di migliorare le tecniche preoperatorie<br />

di indagine, sia con l’introduzione di ecografi tecnologicamente<br />

più avanzati, sia con indagini dinamiche, come la<br />

RMN con mezzo di contrasto paramagnetico. Ovviamente<br />

ciò ha comportato un incremento nella dimostrazione di ulteriori<br />

noduli, per lo più di piccole dimensioni e con caratteristiche<br />

semeiologiche incerte. Quanto fin qui esposto è premessa<br />

fondamentale per comprendere le modificazioni rilevate<br />

analizzando i dati citologici relativi al 2003 rispetto al<br />

2001 e per meglio identificare il reale contributo in una più<br />

razionale gestione delle donne con nodulo e/o noduli mammari.<br />

Per la valutazione dei dati statistici, le categorie diagnostiche<br />

di ciascun nodulo reperito sono state correlate con<br />

i risultati degli eventuali esami istologici successivi o con i<br />

Tab. III. Lesioni multiple 2001<br />

233<br />

dati di follow-up ottenibili dagli esami radiologici di controllo<br />

per tutti i casi non sottoposti a chirurgia.<br />

Risultati: nel corso del 2001 sono state studiate con FNA 392<br />

donne per la presenza di noduli singoli ed ulteriori 82 donne<br />

con noduli multipli, per complessivi 570 noduli mammari<br />

(178 noduli multipli pari al 31,2%); nel 2003 sono state sottoposte<br />

a FNA 454 donne per noduli singoli e ulteriori 126<br />

per noduli multipli, per complessivi 748 noduli (294 noduli<br />

multipli pari al 39,3%). Nella Tabella I sono riassunti i dati<br />

relativi alla suddivisione dei noduli nelle 5 categorie diagnostiche<br />

citologiche (C1-C5) sulla base di quanto indicato dalle<br />

linee guida Europee per la refertazione citologica, analizzando<br />

separatamente i valori relativi ai due anni analizzati e<br />

la distribuzione dei noduli multipli rispetto a quelli singoli.<br />

Nella Tabella II sono riassunti i principali indicatori statistici<br />

di qualità osservati per i noduli singoli e per quelli multipli,<br />

distinti per ciascun anno. Le Tabelle III e IV riassumono la<br />

distribuzione delle lesioni multiple a seconda del tipo di diagnosi.<br />

Discussione e conclusioni: il crescente bisogno di conferma<br />

morfologica, sia per i quadri con giudizio radiologico sospetto<br />

sia per quelli con caratteristiche di benignità, è divenuto<br />

strategico per la corretta selezione delle pazienti da sottoporre<br />

a chirurgia conservativa, ma anche per una più accurata selezione<br />

di quelle da proporre per la metodica del linfonodo<br />

sentinella. Nella nostra esperienza, e soprattutto nel corso del<br />

2003, la definizione delle lesioni mammarie è diventata un<br />

problema clinico particolarmente sentito, anche in considera-<br />

N. noduli N. Pz Solo Solo Lesioni M + B Lesioni B/M + C1<br />

lesioni lesioni Pz (noduli) Pz (noduli)<br />

benigne (B): maligne (M):<br />

Pz (noduli) Pz (noduli)<br />

2 70 23 (46) 27 (54) 6 (12): 1M + 1B 14 (28):4=1M+1C1<br />

9=1B+1C1<br />

1=1C1+1C1<br />

3 10 4 (12) 2 (6) 2(6):1=1M+2B 2 (6):1=2B+1C1<br />

1= 2M+1B 2=1B+2C1<br />

4 2 1 (4) 0 (0) 0 (0) 1 (4):1=2M+1B+1C1<br />

5 0 0 (0) 0 (0) 0 (0) 0 (0)<br />

6 0 0 (0) 0 (0) 0 (0) 0 (0)<br />

totali 82 28 (62) 29 (60) 8 (18) 17 (38)


234<br />

Tab. IV. Lesioni multiple 2003.<br />

zione della possibilità non remota di osservare neoplasie<br />

bifocali o plurifocali, che prevedono un trattamento chirurgico<br />

diversificato rispetto alle neoplasie monofocali. Su tale<br />

background si è anche innestata la problematica della selezione<br />

delle pazienti possibili candidate alla metodica del<br />

linfonodo sentinella, dato che questa deve essere evitata nei<br />

casi di accertate lesioni multifocali maligne. Proprio in considerazione<br />

delle nuove frontiere della chirurgia conservativa<br />

senologica, la partecipazione ed il coinvolgimento costante<br />

del citopatologo alla fase delle scelte preoperatorie sono irrinunciabili<br />

per garantire l’efficacia clinica dell’intera procedura.<br />

Il mapping citologico delle lesioni multiple, nelle pazienti<br />

con evidenza certa o altamente sospetta di carcinoma<br />

(C5-4) ha consentito di programmare interventi radicali in 31<br />

casi nel 2001 e di 46 casi nel 2003, mentre è stato possibile<br />

programmare interventi conservativi in 7 casi nel 2001 e 9<br />

nel 2003. Elevati standard qualitativi sono necessari anche<br />

per consentire, in caso di diagnosi citologiche C2/3 di omettere<br />

biopsie diagnostiche inutili, senza per altro incorrere in<br />

ritardi diagnostici che un controllo solo radiologico potrebbe<br />

causare.<br />

Bibliografia<br />

1 Di Maggio C, et al. Charta Senologica. Approccio diagnostico alla<br />

patologia mammaria. Il Radiologo 2004(suppl 1):1-39.<br />

2 Hamill J, Campbell ID, Mayall F, Bartlett A, Darlington A. Improved<br />

breast cytology results with near patient FNA diagnosis. Acta Cytol<br />

2002;46:19-24.<br />

Appropriatezza e linee guida: la citologia<br />

nello screening per il cancro della mammella<br />

M. Bonzanini<br />

Servizio di Anatomia Patologica, Ospedale S. Chiara, Trento<br />

L’ubiquitaria introduzione dei programmi di screening mammografico<br />

ha consentito, negli ultimi anni, l’individuazione<br />

di un elevato numero di lesioni maligne in fase precoce.<br />

A fronte di questo guadagno, dovuto all’elevata sensibilità<br />

dell’esame mammografico, il controllo di qualità dei programmi<br />

di screening prevede il mantenimento di un basso<br />

CORSI BREVI - SLIDE SEMINARS<br />

N. Noduli N.Pz Solo Solo Lesioni M + B Lesioni B/M + C1<br />

lesioni lesioni Pz (noduli) Pz (noduli)<br />

benigne (B): maligne (M):<br />

Pz (noduli) Pz (noduli)<br />

2 96 45 (90) 27 (54) 6 (12): 6= 1M +1B 18 (36):8=1M+1C1<br />

8=1B+1C1<br />

1=1B+1C1<br />

1=1C1+1C1<br />

3 23 6 (18) 5 (15) 7 (21): 1=1M+2B; 5 (15): 2=2B+1C1<br />

6=2M+1B 3=2M+1C1<br />

4 4 0 (0) 0 (0) 4 (16): 2=1M+3B 0 (0)<br />

1=2M+2B<br />

1=3M+1B<br />

5 1 0 (0) 1 (5) 0 (0) 0 (0)<br />

6 2 0 (0) 0 (0) 1 (6): 1= 3M+3B 1 (6): 1=5M+1C1<br />

totali 126 51 (108) 33 (74) 18 (55) 24 (57)<br />

rapporto tra biopsie di lesioni benigne e biopsie di lesioni<br />

maligne. A questo scopo sono condotte le indagini di secondo<br />

livello tra le quali la citologia agoaspirativa (CA) apporta<br />

un contributo di rilievo 1 .<br />

In questi ultimi 40 anni, la citologia agoaspirativa (CA) nelle<br />

lesioni mammarie palpabili è risultata essere una metodica<br />

con bassi costi, minima invasività, e con elevati valori di sensibilità<br />

e specificità, in particolare se inserita nel triplo test<br />

(esame clinico, mammografia, esame citologico).<br />

Essa è stata ampiamente utilizzata anche per valutare lesioni<br />

non palpabili riscontrate alla mammografia 2-3 , tuttavia negli<br />

ultimi anni, essa è stata sostituita, in molti Centri, da tecniche<br />

microbioptiche 4 . Perciò è quanto mai attuale chiedersi se la<br />

CA è appropriata anche nella valutazione di lesioni individuate<br />

in corso di screening mammografico.<br />

L’appropriatezza della CA nello screening mammografico è<br />

misurata da un basso numero di falsi negativi (FN), da un elevato<br />

valore predittivo negativo (VPN) e da un basso numero<br />

di campioni inadeguati. I dati della letteratura evidenziano<br />

che il tasso di inadeguati è maggiore nelle lesioni non palpabili<br />

ed in particolare nelle lesioni agoaspirate con guida radiostereotassica,<br />

mentre i FN non presentano valori sensibilmente<br />

diversi da quelli ottenuti in lesioni palpabili 5 .<br />

Per quanto riguarda la CA stereoguidata la percentuale di inadeguati<br />

è notevolmente diminuita dalla valutazione “on-site”,<br />

da parte del patologo, dell’adeguatezza del prelievo 6 . La comunicazione<br />

tra patologo e radiologo durante la procedura<br />

influenza inoltre: la selezione del target, quanti campioni ottenere,<br />

la raccolta di materiale per lo studio dei recettori ormonali<br />

e dei marker prognostici in caso di lesioni maligne, se<br />

la CA deve essere seguita da un prelievo microbioptico, l’immediata<br />

localizzazione della lesione per l’eventuale biopsia<br />

chirurgica e la comunicazione immediata alla paziente e al<br />

suo medico referente dei risultati ottenuti. Questo approccio<br />

ha consentito al Programma di Screening Mammografico di<br />

Trento di ottenere un tasso di inadeguati pari a 7,7% nella CA<br />

di 696 lesioni riscontrate in corso di screening, 20% delle<br />

quali sono state agoaspirate con guida stereotassica.<br />

Il valore della CA mammaria è stato posto in discussione per<br />

la sua incapacità di differenziare il carcinoma infiltrante (CI)<br />

dal carcinoma in situ (CIS) e dall’iperplasia atipica (IA), in<br />

questi casi l’esecuzione di un prelievo microbioptico può


CITOLOGIA DA INIZIATIVE DI SCREENING<br />

contribuire a rispondere a questo specifico quesito, tenendo<br />

presente tuttavia che con la “core needle biopsy” (CNB) la<br />

percentuale di conversione da IA a cancro varia in letteratura<br />

da 11% a 66% (7-8) e la conversione da CIS a CI da16% a<br />

44% 9-10 . Valori un po’ migliori sono descritti con la tecnica<br />

“vacuum assisted biopsy” (VAB).<br />

Altre situazioni che possono porre problemi diagnostici alla<br />

citologia sono rappresentati dalle lesioni papillari, dalle lesioni<br />

mucinose e dalle lesioni sclerosanti; tuttavia nella maggior<br />

parte di questi casi il ricorso ad una tecnica microbioptica,<br />

che è di tipo incisionale, non è sufficiente per una diagnosi<br />

definitiva.<br />

La CA che utilizza un ago più sottile, percepito come uno<br />

svantaggio (meno materiale), può invece rappresentare un incredibile<br />

vantaggio rispetto alle tecniche microbioptiche: minore<br />

emorragia e minor rischio di alterazione parenchimale<br />

per la reazione tissutale all’ematoma; l’ago sottile della CA,<br />

che non richiede l’incisione della cute per entrare nel parenchima,<br />

si presta meglio nel campionamento di lesioni multiple<br />

della mammella. Inoltre poiché l’ago della CA è controllato<br />

manualmente nei movimenti, questa metodica è più indicata<br />

di quelle microbioptiche nelle lesioni difficili da raggiungere,<br />

come quelle vicine alla cute o alla parete toracica,<br />

e nelle lesioni mammografiche disperse. Il costo della CA è<br />

notevolmente inferiore se confrontato con le tecniche microbioptiche<br />

(costo unitario della CA pari a Euro 1-5, della CNB<br />

pari a 40 Euro, della VAB 230 Euro). Infine, la CA possiede<br />

il grande vantaggio di un ridotto “turnaround time” diagnostico.<br />

Lo screening del carcinoma mammario è un intervento di Sanità<br />

pubblica di cui un aspetto importante è l’ottimizzazione<br />

dei costi, in questo ambito la CA è una procedura di prima<br />

scelta oltre per la qualità diagnostica e la minima invasività,<br />

anche per i costi ridotti. Condizione indispensabile è che sia<br />

effettuata da un “team” di professionisti esperti e capaci di<br />

collaborazione e disponga della possibilità di valutazione immediata<br />

del materiale durante l’agoaspirazione delle lesioni<br />

che maggiormente esitano in campionamenti insufficienti,<br />

come le microcalcificazioni.<br />

Le linee guida europee sono, a questo scopo, uno strumento<br />

utile sia per la standardizzazione delle categorie diagnostiche,<br />

che per gli indicatori di qualità della diagnosi, con i cui<br />

valori ogni Centro di Screening dovrebbe confrontarsi 1 .<br />

Bibliografia<br />

1 European Guidelines for Quality Assurance in mammography screening,<br />

3 a edition. Office for official pubblication of the European Community,<br />

2001.<br />

2 Azavedo E, Svane G, Auer G. Stereotactic fine-needle biopsy in 2594<br />

mammographically detected non-palpable lesions. Lancet<br />

1989;1:1033-6.<br />

3 Boerner S, Fornage Bd, Singletary E, Sneige N. Ultrasound-guided<br />

fine-needle aspiration of non-palpable breast lesions: a review of<br />

1885 FNA cases using the National Cancer Institute-supported reccomandations<br />

on the uniform approach to breast FNA. Cancer<br />

1999;87:19-24.<br />

4 Tabbara SO, Frost AR, Stoler MH, Sneige N, Sidaway MK. Changing<br />

trends in breast fine-needle aspiration: results of the Papanicolau So-<br />

235<br />

ciety of Cytopathology Survey. Diagn Cytopathol 2000;22:126-130.<br />

5 Pisano ED, Fajardo LL, Tsimikas J, et al. Rate of insufficient sample<br />

for fine-needle aspiration for non-palpable breast lesions in a multicenter<br />

clinical trial. Cancer 1998;82:679-88.<br />

6 Cangiarella J, Mercado CL, Symmans WF, Newstead GM, Toth HK,<br />

Waisman J. Stereotaxic aspiration biopsy in the evaluation of mammografically<br />

detected clustered microcalcification. Cancer Cytopathol<br />

1998;84:226-30.<br />

7 Lin PH, Clyde JC, Bates DM, Garcia JM, Matsumoto GH, Girvin<br />

GW. Accuracy for sterotactic needle-core breast biopsy in atypical<br />

ductal hyperplasia. Am J Surg 1998;5:380-2.<br />

8 Acheson MB, Patton RG, Howisey RL, Lane RF, Morgan A. Histologic<br />

correlation of image-guided core biopsy with excisional biopsy of<br />

non palpable breast lesions. Arch Surgery 1997;132:815-8.<br />

9 BurbanK F. Stereotactic breast biopsy of atypical ductal hyperplasia<br />

and ductal carcinoma in situ lesions: improved accuracy with directional<br />

vacuum-assisted. Radiology 1997;204:153-6.<br />

10 Lee CH, Carter D, Philpotts LE, Couce ME, Horvath LJ, Lange RC,<br />

Tocino I. Ductal carcinoma in situ diagnosed with sterotactic core<br />

needle biopsy: can invasion be predicted? Radiology 2000;217:466-70.<br />

Novità in citologia mammaria: metodi ed<br />

indicazioni per il “ductal lavage”<br />

C. Casadio, C. Scacchi, L. Chiapparini<br />

Divisione di Anatomia Patologica e Medicina di Laboratorio,<br />

Istituto Europeo di Oncologia, Milano<br />

Il lavaggio duttale è una tecnica di prelievo relativamente<br />

nuova che permette di raccogliere cellule di rivestimento di<br />

dotti e lobuli – unità morfo-funzionale della ghiandola mammaria<br />

– per sottoporle ad indagine citomorfologica volta ad<br />

evidenziarne eventuali atipie.<br />

La procedura, poco invasiva e ben tollerata, è più efficace<br />

nella raccolta di materiale da esaminare rispetto all’aspirato<br />

da capezzolo. Infatti la quantità di cellule epiteliali duttali<br />

presenti in una secrezione spontanea o in un aspirato da capezzolo<br />

è solitamente scarsa, ma se il dotto che produce secreto<br />

viene sottoposto ad un lavaggio con soluzione fisiologica,<br />

è possibile provocare meccanicamente l’esfoliazione di<br />

molte più cellule da destinare alla valutazione citomorfologica.<br />

L’allestimento dei preparati può avvenire con diverse modalità,<br />

anche per consentire l’applicazione a questo materiale<br />

di ulteriori tecniche di indagine, presenti e future, utilizzando<br />

ogni sua componente (cellule e sovranatante).<br />

Tuttavia l’effettivo possibile ruolo di questa metodica nella<br />

identificazione di lesioni pre-neoplastiche e quindi nella prevenzione<br />

dell’insorgenza del carcinoma della mammella è<br />

ancora da valutare mediante accurati studi clinici.<br />

Le donne attualmente candidate al lavaggio dei dotti devono<br />

avere un esame clinico e mammografico negativi, ma essere<br />

considerate ad alto rischio per lo sviluppo del carcinoma. Il<br />

lavaggio dei dotti mammari può essere considerato uno strumento<br />

aggiuntivo nella valutazione del rischio di sviluppare<br />

un tumore mammario in donne sane e quindi nella selezione<br />

delle pazienti che possono beneficiare di trattamenti chemiopreventivi<br />

(come quello basato sulla somministrazione del<br />

Tamoxifene).


PATHOLOGICA 2004;96:236-239<br />

Citologia orale diagnostica: nuove tecnologie<br />

e possibilità di screening<br />

R. Navone<br />

Dipartimento di Scienze Biomediche ed Oncologia Umana,<br />

Università di Torino e UOADU Anatomia Patologica I dell’AO<br />

San Giovanni Battista, Torino<br />

Scopo della ricerca. È noto che il Pap test è efficace nel ridurre<br />

incidenza e mortalità del cervicocarcinoma, individuando<br />

le lesioni neoplastiche intraepiteliali (displastiche)<br />

prima che queste possano evolvere in forme invasive (neoplastiche).<br />

La citologia orale diagnostica, benchè nota da parecchi<br />

anni, in quanto è una tecnica semplice, non invasiva,<br />

applicabile anche su localizzazioni multiple, indolore e poco<br />

costosa, non ha trovato sinora un’applicazione così estesa e<br />

capillare come la citologia cervico-vaginale, anche se i dati<br />

della letteratura 1 dimostrano la sua utilità nella diagnosi del<br />

carcinoma orale e dei suoi precursori. Recenti lavori 2 , anche<br />

del nostro gruppo 3 4 , indicano che l’efficienza e l’efficacia<br />

della citologia orale aumentano utilizzando tecniche aggiuntive<br />

che la rendano più sensibile e specifica, come la citologia<br />

“computer-assistita”, in “fase liquida”, gli AgNOR, la citometria<br />

di flusso e la biologia molecolare.<br />

La citologia “computer-assistita” si basa sull’utilizzazione di<br />

strumenti specifici che danno la possibilità di identificare lesioni<br />

neoplastiche e preneoplastiche con sensibilità pari o superiore<br />

a quella dello screening manuale, senza perdita di<br />

specificità. La citologia “in fase liquida” o su “strato sottile”<br />

è una recente metodica, usata sinora prevalentemente per i<br />

Pap test, che ha dato risultati promettenti sia per la migliore<br />

qualità dei preparati, sia per il migliore campionamento. Inoltre<br />

il materiale può essere utilizzato anche per altre metodiche,<br />

come la citometria di flusso o la biologia molecolare.<br />

L’analisi degli AgNOR (proteine associate agli organizzatori<br />

nucleolari) consente la valutazione dell’attività proliferativa<br />

cellulare e pertanto, oltre ad essere un valido fattore prognostico<br />

in campo oncologico, permette di riconoscere cellule<br />

displastiche e/o neoplastiche in citologia.<br />

Descrizione della ricerca. Utilizzazione di metodiche innovative<br />

(citologia computer-assistita, in fase liquida, AgNOR,<br />

citometria di flusso per lo studio della ploidia, biologia molecolare<br />

per la ricerca del DNA dell’HPV) nello studio di displasie<br />

e neoplasie orali, paragonate all’esame istologico e<br />

citologico convenzionale.<br />

Metodi. 296 lesioni orali sospette in senso neoplastico (soprattutto<br />

eritro- e leucoplachie e lichen) sono state controllate,<br />

oltre che con l’istologia, con la citologia convenzionale<br />

(cioè strisciando il materiale su vetrino porta-oggetti) ed in<br />

fase liquida (cioè stemperandolo nel liquido fissativo-conservante<br />

del Thin Prep). In 73 casi è stata effettuata anche la lettura<br />

citologica computerizzata con reti neurali (sistema Papnet)<br />

e la valutazione degli AgNOR (effettuata su 73 casi di<br />

citologia convenzionale dopo decolorazione dei preparati citologici<br />

e colorazione all’argento con il metodo di Ploton, e<br />

misurando le aree con un sistema computerizzato di analisi di<br />

immagine).<br />

Risultati. L’esame istologico, effettuato su tutti i 296 casi, ha<br />

diagnosticato 30 displasie (OIN), 53 carcinomi squamosi e<br />

Patologia del cavo orale<br />

Moderatori: F. Nardi (Roma) e M. Stefani (Milano)<br />

213 lesioni orali non neoplastiche. La citologia convenzionale<br />

ha mostrato una sensibilità dell’87,5% ed una specificità<br />

del 95,2%, con una percentuale di inadeguati del 12,4%. La<br />

citologia computer-assistita ha consentito di recuperare un<br />

caso dato inizialmente come negativo, portando la sensibilità<br />

all’89,0%. La citologia in fase liquida ha mostrato una sensibilità<br />

globale dell’85,0% (che però saliva al 97,1% se si consideravano<br />

solo le lesioni displastiche di alto grado e i carcinomi)<br />

ed una specificità rispettivamente del 97.7 e 99,4%,<br />

con il 12,2% di inadeguati. Gli AgNOR hanno dimostrato<br />

una sensibilità ed una specificità del 100%, ma con un’elevata<br />

quota di inadeguati (15,1%).<br />

Conclusioni. Già la citologia esfoliativa convenzionale (colorazione<br />

con il metodo di Papanicolaou e lettura diretta al microscopio)<br />

può fornire risultati soddisfacenti (la sensibilità è<br />

superiore a quella del Pap test, mentre la specificità è analoga).<br />

La citologia computer-assistita ha una sensibilità lievemente<br />

superiore, ma l’efficienza del sistema non è pienamente dimostrata.<br />

La citologia in strato sottile sembra invece in grado di<br />

aumentare l’accuratezza diagnostica della citologia orale per il<br />

miglioramento della sensibilità e specificità, almeno per quel<br />

che riguarda le lesioni clinicamente rilevanti, cioè le displasie<br />

di alto grado ed i carcinomi. L’analisi degli AgNOR, semplice,<br />

rapida e poco costosa, si è dimostrata utile per migliorare la<br />

sensibilità nei casi dubbi. Un problema ancora non del tutto risolto<br />

è quello dell’alto numero di inadeguati: sono in corso ricerche<br />

per migliorare la tecnica di prelievo, visto che anche<br />

l’impiego della citologia “in strato sottile” non ha portato a sostanziali<br />

miglioramenti dell’adeguatezza.<br />

Sviluppi prevedibili. L’esame citologico orale effettuato con<br />

metodiche innovative può raggiungere una sensibilità e specificità<br />

tali da consentirne l’impiego anche a scopo di screening,<br />

eventualmente concentrando il suo impiego su lesioni<br />

orali clinicamente rilevanti (eritro- e leucoplachie, lichen, ulcerazioni,<br />

ecc.) e/o su una popolazione selezionata di soggetti<br />

a rischio (fumo, alcool, precedente diagnosi di displasia e/o<br />

neoplasia della bocca e delle vie aeree superiori). La diagnosi<br />

precoce di lesioni preneoplastiche del cavo orale ed il loro<br />

tempestivo trattamento potrebbe portare ad una prevenzione<br />

secondaria (mediante l’eliminazione dell’epitelio displastico)<br />

dei carcinomi invasivi in tale sede, che presentano tuttora<br />

un’alta mortalità; dati recenti (2001) ottenuti dai Registri Tumori<br />

Italiani 5 indicano una sopravvivenza a 5 anni del 38%,<br />

analoga a quella di 20 anni fa, in quanto tali tumori spesso<br />

giungono alla diagnosi in stadi avanzati.<br />

Bibliografia<br />

1 Allegra SR, Broderick PA, Noama Corvese CT. Oral cytology: 7 year<br />

oral cytology screening programme in the State of Rhode Island.<br />

Analysis of 6,448 cases. Acta Cytol 1973;17:42-48.<br />

2 Sciubba JJ. Improving detection of precancerous and cancerous oral<br />

lesions. Computer-assisted analysis of the oral brush biopsy. J Am<br />

Dent Ass 1999;130:1445-1457.<br />

3 Marsico A, Reale I, Gandolfo S, Navone R: Controllo dell’utilità diagnostica<br />

della citologia esfoliativa orale mediante analisi delle immagini<br />

computer-assistita (Papnet). Pathologica 1999;91:363-364.<br />

4 Marsico A, Burlo P, Demi L, Pich A, Navone R. Utilità della citologia<br />

esfoliativa orale per la diagnosi di displasia e carcinoma squamoso<br />

orale: confronto tra esame citologico tradizionale ed in fase liquida.<br />

Atti Riunione Primaverile IAP-SIAPEC, Trieste 29-31 maggio<br />

2003.


PATOLOGIA DEL CAVO ORALE<br />

5 Rosso S, Casella C, Crocetti E, Ferretti S, Guzzinati S. Sopravvivenza<br />

dei casi di tumore in Italia negli anni 90: i dati dei Registri Tumori.<br />

Epidemiol Prev (Suppl) 2001;25:1-375.<br />

Marcatori di progressione neoplastica del<br />

carcinoma squamoso del cavo orale<br />

M.P. Foschini, A. Gaiba, R. Cocchi * , M.G. Pennesi * , A.<br />

Pession<br />

Anatomia ed Istologia Patologica, Dipartimento di Scienze<br />

Oncologiche, Università di Bologna, Ospedale Bellaria, Bologna;<br />

* Chirurgia Maxillo-Facciale, Ospedale Bellaria, Bologna<br />

Il carcinoma squamoso del cavo orale (CSO) è la forma più<br />

frequente di neoplasia del cavo orale.<br />

Nonostante sia una neoplasia frequente e nonostante siano<br />

conosciuti i fattori predisponenti (fumo ed alcool, nelle nostre<br />

regioni) e le lesioni preneoplastiche la mortalità per tale<br />

neoplasia rimane ancora elevata. Questo è dovuto al fatto che<br />

anche lesioni in stadio iniziale (pT1 e pT2) presentano un rischio<br />

non trascurabile di metastasi e di recidive locali. In<br />

questi ultimi anni si è visto che le recidive locali possono essere<br />

conseguenza di una “cancerizzazione a campo”, in altre<br />

parole di modificazioni pre-neoplastiche che coinvolgono<br />

ampie aree di mucosa orale. Inoltre sono stati studiati, con<br />

metodiche molecolari, parametri che possono influire sulla<br />

capacità di dare metastasi del CSO. In particolare gli studi<br />

pubblicati in letteratura sono rivolti a studiare la capacità<br />

proliferativa ed invasiva delle cellule neoplastiche. Tra questi<br />

sta emergendo l’importanza del gene p63. Tale gene è localizzato<br />

sul cromosoma 3q27-29 e fa parte della famiglia del<br />

gene p53 3 7 . Il gene p63 codifica per due varianti proteiche:<br />

la TAp63/p51 (nelle forme α, β, e γ) rappresenta la proteina<br />

completa con funzioni simili a p53, inducendo l’arresto del<br />

ciclo cellulare, l’apoptosi e quindi favorendo la differenziazione<br />

cellulare; la variante ∆Np63 (nelle forme α, β, e γ), che<br />

manca della parte NH 2 terminale inibisce l’attività di<br />

TAp63/p51 e di p53, pertanto favorendo la proliferazione cellulare.<br />

Nell’epitelio squamoso normale l’equilibrio tra questi<br />

due gruppi di proteine è importante per la corretta proliferazione<br />

e differenziazione cellulare. Studi immunoistochimici,<br />

effettuati con anticorpi che riconoscono o l’intera proteina<br />

oppure solo la ∆Np63, hanno evidenziato che nel CSO e nel<br />

carcinoma squamoso di altre sedi, questa è sempre espressa e<br />

che l’espressione aumenta rispetto al tessuto normale 1 2 5 6 10 .<br />

L’espressione immunoistochimica di p63 avviene nelle cellule<br />

che hanno un fenotipo più “basaloide”, meno differenziato.<br />

Le stesse cellule che esprimono p63 hanno un elevato indice<br />

proliferativo, valutato con Ki67 2 . Tuttavia non era stata<br />

evidenziata una correlazione tra espressione e prognosi 1 .<br />

Recentemente si è visto che nel CSO può comparire un’ulteriore<br />

variante 4 8 che è simile a ∆Np63, ma manca dell’esone<br />

4 ed è stata chiamata ∆Np73L. Secondo i lavori pubblicati fino<br />

ad ora quest’ultima variante compare solamente nel CSO<br />

e non è presente nella mucosa orale non neoplastica. Questi<br />

dati suggeriscono pertanto che una espressione anomala del<br />

gene p63 possa avere un ruolo importante nello sviluppo e<br />

nella progressione neoplastica del CSO.<br />

Dal momento che l’espressione di p63 valutata con la sola<br />

immunoistochimica non aveva correlazione con la prognosi,<br />

abbiamo valutato l’espressione delle singole isoforme mediante<br />

nested-PCR. I dati ottenuti presso l’Anatomia Patologica<br />

dell’Ospedale Bellaria (Bologna) confermano che<br />

237<br />

∆Np73L non è espressa nella mucosa orale non neoplastica<br />

(ottenuta in corso di interventi per patologia orale non neoplastica)<br />

né nei cheratinociti in cultura. Il CSO esprime quasi<br />

sempre la variante normale che stimola la proliferazione<br />

cellulare (∆Np63). Inoltre la variante ∆Np73L compare nel<br />

CSO (15 casi su 39). Vi è inoltre una correlazione significativa<br />

tra espressione di ∆Np73L e metastasi linfonodale 2 , indipendente<br />

dallo stadio alla presentazione. Infatti ∆Np73L<br />

compare in casi pT2 con metastasi linfonodali e non in casi<br />

pT4 senza metastasi. Al contrario l’espressione della forma<br />

che favorisce il differenziamento cellulare, TAp63/p51, è<br />

espressa più frequentemente nei carcinomi che avevano mostrato<br />

un andamento clinico meno aggressivo. Questo dato è<br />

in accordo con quanto osservato in carcinomi del laringe e<br />

della vescica 6 9 .<br />

In conclusione i dati ottenuti fino ad ora evidenziano come<br />

un’alterata espressione del gene p63 sia importante per la trasformazione<br />

e la progressione neoplastica e suggeriscono un<br />

suo potere predittivo della potenzialità metastatica nel CSO<br />

in fase iniziale.<br />

Bibliografia<br />

1 Choi HR, Batsakis JG, Zhan F, Sturgis E, Luna MA, EP-Naggar AK.<br />

Differential expression of p53 gene family members p63 and p73 in<br />

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9 Urist MJ, DiComo CJ, Lu ML, Charytonowicz E, Verbel D, Crum CP,<br />

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10 Wang BY, Gil J, Kaufman D, Gan L, Khots DS, Burstain DE. p63 in<br />

pulmonary epithelium, pulmonary squamous neoplasm, and other<br />

pulmonary tumors. Hum Pathol 2002;33:921-926.


238<br />

Nuovi aspetti dell’osteogenesi in odontoiatria<br />

implanto-protesica<br />

M. Colafranceschi, R. Pagni<br />

Dipartimento di Patologia Umana ed Oncologia, Università<br />

di Firenze, Dipartimento di Scienze Odontostomatologiche,<br />

Università di Siena<br />

In campi applicativi in rapida evoluzione, il contributo dell’anatomopatologo,<br />

oltre che di convalida delle procedure mediante<br />

l’analisi dei reperti istologici, può fornire al clinico<br />

spunti ed indirizzi innovativi qualora vi sia piena cooperazione<br />

e conoscenza dei problemi inerenti le rispettive specialità.<br />

La rigenerazione ossea dove l’osso sia carente è fra i problemi<br />

più attuali e dibattuti in odontoiatria implanto-protesica, trovando<br />

indicazione in rialzi e allargamenti di cresta, nel riempimento<br />

dei difetti ossei, e nel rialzo del pavimento del seno mascellare<br />

nei pazienti in cui il ridotto spessore osseo non consentirebbe<br />

l’inserimento implantare per mancanza di stabilità<br />

primaria. La tecnica chirurgica del grande rialzo del pavimento<br />

del seno mascellare (GRPSM) prevede, previa esposizione<br />

chirurgica mediante lembo muco-periostale della parete ossea<br />

laterale del seno mascellare, di disegnare su di essa con una<br />

fresa un opercolo osseo e, dopo averlo liberato dal resto della<br />

parete senza incidere la membrana schneideriana, di scollare<br />

delicatamente quest’ultima dalla parete ossea sinusale. Lussando<br />

lo sportello osseo verso l’alto all’interno del seno si realizza<br />

uno spazio, a spese della cavità sinusale, che ha per tetto<br />

la membrana di Schneider scollata con l’opercolo adeso e per<br />

pareti le strutture ossee sinusali private del rivestimento mucoendostale.<br />

Per evitare il collasso della neocavità, e favorire al<br />

suo interno la neoformazione ossea, si provvede a colmarla<br />

con un idoneo riempitivo. Si richiude infine il lembo con l’eventuale<br />

inserimento di una membrana per coprire l’accesso al<br />

materiale innestato. Dopo un congruo periodo di tempo, ad ossificazione<br />

avvenuta, sono inseriti gli impianti previsti; la “carota”<br />

ossea asportata negli alveoli chirurgici implantari può essere<br />

sottoposta ad esame istologico. Sulla base dell’esperienza<br />

clinica corroborata dai reperti istologici, possiamo confermare<br />

che, fra i vari biomateriali utilizzabili per riempimento, soltanto<br />

l’osso autologo possiede in toto le caratteristiche ideali di<br />

biotollerabilità, osteoconduzione, osteoinduzione e osteoproliferazione.<br />

Il riempitivo osseo può essere utilizzato in blocco,<br />

sagomandolo adeguatamente, o come particolato. La credenza<br />

che l’innesto di osso autologo abbia le prerogative di un autotrapianto<br />

(cioè che l’osso rimanga vitale) non è supportata dai<br />

nostri reperti che documentano una dissoluzione dell’innesto<br />

in tempi relativamente <strong>brevi</strong> in funzione delle sue dimensioni.<br />

Il riassorbimento osteoclastico interviene invece nei tempi successivi<br />

per il rimodellamento dell’osso neoformato.<br />

Nell’osteogenesi spontanea (da frattura) il coagulo ematico<br />

iniziale è di fondamentale importanza per l’apporto in loco di<br />

fattori di crescita, liberati dall’attivazione/degranulazione<br />

piastrinica, con funzione chemiotattica, mitogena, induttiva,<br />

angiogenetica. Nella prassi odontoiatrica, si ritiene che il gel<br />

arricchito nel contenuto piastrinico (Concentrato Piastrinico -<br />

CP – detto anche Plasma Ricco di Piastrine – PRP) introdotto<br />

nella neo-cavità sinusale nel GRPSM, oltre a svolgere la<br />

funzione di legante (per la fibrina) e di mantenimento dello<br />

spazio, potenzî l’effetto osteo-induttivo durante la fase iniziale<br />

dell’osteogenesi apportando in maggior copia i fattori di<br />

crescita liberati dalla degranulazione piastrinica.<br />

Le evidenze cliniche e istologiche, in particolare nei casi di<br />

GRPSM realizzati secondo il protocollo PC (Pagni-Colafranceschi),<br />

confermano questo assunto. Il protocollo PC preve-<br />

CORSI BREVI - SLIDE SEMINARS<br />

de che al CP, allestito ambulatoriamente secondo protocollo<br />

Pagni mediante tecnica di doppia centrifugazione di una piccola<br />

quantità di sangue prelevato dal paziente e attivato con<br />

trombina autologa, venga miscelato con osso di derivazione<br />

autologa endorale reso opportunamente particolato in quantità<br />

≥ 50% rispetto al CP. Prima dell’innesto del gel osteopiastrinico<br />

è eseguita la perforazione multipla delle pareti ossee<br />

della neo-cavità sinusale per favorire la penetrazione dei<br />

vasi neoformati. La finestra vestibolare alla neo-cavità viene<br />

chiusa accollandovi il lembo muco-periostale senza l’interposizione<br />

di una membrana che, si ritiene, ostacolerebbe il<br />

passaggio dei vasi e delle cellule osteocompetenti dalla periferia<br />

all’innesto. I favorevoli risultati ottenuti con questa procedura<br />

sono stati documentati anche nei pazienti nei quali il<br />

tempo di attesa per l’inserzione degli impianti veniva ridotto<br />

(stante l’esperienza progressivamente acquisita) fino a dieci<br />

settimane, con un notevole risparmio temporale rispetto a<br />

quanto la letteratura prevede nei casi di GRPSM convenzionalmente<br />

trattati (oltre un anno nei casi in cui sia stato utilizzato<br />

come materiale d’innesto soltanto osso bovino deproteinato,<br />

4-9 mesi secondo altre metodiche).<br />

Bibliografia<br />

1 Colafranceschi M, Franchi A, Giardina F, Targetti L. La rigenerazione<br />

ossea guidata con sostituto osseo nel rialzo chirurgico del pavimento<br />

del seno mascellare: il punto di vista dell’istopatologo. Atti del<br />

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del seno mascellare. Meccanismi biologici alla base della riparazione<br />

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con innesto di particolato osseo autologo e PRP per applicazione<br />

di impianto dopo exeresi di cisti odontogena radicolare. Studio<br />

clinico e istologico. RIS 2003;2:79-85.<br />

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in Odontostomatologia. Il Plasma Ricco di Piastrine (PRP) autologo.<br />

Atti della Riunione primaverile IAP-SIAPEC, Trieste 29-31<br />

maggio 2003.<br />

6 Pagni R, Colafranceschi M. Verso una standardizzazione della preparazione<br />

ed impiego del gel piastrinico autologo (PRP/CP) in chirurgia<br />

rigenerativa ossea. Atti del 5° Congresso AISI, Verona 24-25 Ottobre<br />

2003, pp. 137-140.<br />

7 Pagni R, Colafranceschi M. Evidenze istologiche a 10 settimane nel<br />

Grande Rialzo del Pavimento del Seno Mascellare con innesto di gel<br />

osteopiastrinico autologo. Atti del Simposio Clinico Interdisciplinare<br />

“Approccio Biologico alla Terapia delle lesioni superficiali e profonde.<br />

Ruolo ed utilizzo dei derivati ematici e tissutali”, Alessandria 28<br />

maggio 2004.<br />

8 Pagni R, Colafranceschi M. Grande Rialzo del Seno Mascellare (GR-<br />

PSM) con innesto di gel osteopiastrinico autologo: favorevoli evidenze<br />

istologiche a 10 settimane. Atti del I Congresso Nazionale di Implantologia<br />

Multidisciplinare, Saronno 4-6 giugno 2004, pp. 83-84.<br />

Proliferazione ed apoptosi<br />

negli ameloblastomi<br />

P. Leocata * , M. Melato ** , C. Rizzardi ** , L. Ventura ***<br />

* Dipartimento di Medicina Sperimentale, Università dell’Aquila;<br />

** Unità Clinica Operativa di Anatomia Patologica,<br />

Istopatologia e Citodiagnostica, Università di Trieste; ***<br />

Unità Operativa di Anatomia Patologica, ASS n. 4, Ospedale<br />

S. Salvatore, L’Aquila<br />

L’ameloblastoma è una neoplasia che si accresce lentamente


PATOLOGIA DEL CAVO ORALE<br />

e non è in grado di metastatizzare, ma che è caratterizzata da<br />

un alto tasso di recidiva. Nello sviluppo dell’ameloblastoma,<br />

sono coinvolti meccanismi sia di proliferazione che di apoptosi,<br />

i quali sono già stati presi in considerazione in diversi<br />

lavori 1-9 .<br />

Questo studio è stato realizzato per determinare il comportamento<br />

proliferativo ed apoptotico degli ameloblastomi e per<br />

chiarire il possibile ruolo dell’apoptosi nell’oncogenesi e nella<br />

citodifferenziazione dell’epitelio odontogeno.<br />

A tale scopo, sono stati presi in considerazione 15 casi di<br />

ameloblastoma, tra i quali 1 a localizzazione periferica e 3<br />

unicistici, più 4 recidive, per un totale di 19 casi. Per quanto<br />

riguarda l’istotipo, 10 erano plessiformi, 4 follicolari, 3 acantomatosi<br />

e 2 a cellule granulose. Ciascuno di essi è stato studiato<br />

per quanto riguarda l’attività proliferativa, attraverso la<br />

conta delle mitosi e l’immunoespressione dell’anticorpo Ki-<br />

67, e per quanto riguarda l’attività apoptotica, valutando, mediante<br />

tecnica immunoistochimica, il ruolo di alcuni fattori<br />

correlati all’apoptosi (TRAIL, DR4, DR5, DcR1, DcR2) e la<br />

localizzazione delle cellule apoptotiche terminali nella componente<br />

epiteliale degli ameloblastomi.<br />

TRAIL (TNF-related apoptosis-inducing ligand) è un membro<br />

della famiglia dei TNF recentemente identificato, capace di indurre<br />

apoptosi in alcune linee cellulari neoplastiche. TRAIL<br />

può interagire con due differenti death-domain funzionali,<br />

comprendenti i recettori DR4 (death receptor 4) e DR5 (death<br />

receptor 5); ci sono, inoltre, altri tre recettori di membrana per<br />

TRAIL, cosiddetti decoy, DcR1 (decoy receptor 1), DcR2 (decoy<br />

receptor 2) ed OPG (osteoprotegerina), i quali sono sprovvisti<br />

del signaling domain intracellulare o presentano un death<br />

domain incompleto. DcR1, DcR2 ed OPG inibiscono in maniera<br />

competitiva gli effetti di DR4/DR5 e sono incapaci di attivare<br />

la transduzione del segnale di apoptosi in seguito a stimolazione.<br />

Quindi, la capacità di transdurre i segnali di morte<br />

è limitata a DR4/DR5. TRAIL induce una rapida apoptosi in<br />

diverse linee cellulari neoplastiche e potrebbe essere coinvolto<br />

nei meccanismi di controllo delle metastasi; negli studi in vitro<br />

ed in quelli preclinici sui topi, sembra avere un effetto citotossico<br />

scarso o assente sulle cellule normali e, per tale motivo,<br />

TRAIL potrebbe rappresentare un promettente nuovo<br />

agente chemioterapico antineoplastico.<br />

I risultati sono stati analizzati per mettere in luce eventuali<br />

correlazioni tra espressione di TRAIL/recettori per il TRAIL<br />

(tenendo presente, ovviamente, il rapporto quantitativo tra<br />

espressione di DR4 e DR5, capaci di indurre apoptosi, ed<br />

espressione di DcR1 e DcR2, con significato inibitorio), indice<br />

di apoptosi ed indice di proliferazione ed in rapporto alla<br />

presenza o meno di recidiva, al tipo, all’istotipo ed alle due<br />

diverse componenti dell’epitelio ameloblastomatoso (quella<br />

ameloblastica esterna e quella a tipo reticolo stellato interna).<br />

Si è focalizzata l’attenzione in particolare sulla presenza di<br />

eventuali differenze per quanto riguarda il comportamento<br />

apoptotico e proliferativo tra il tipo convenzionale di ameloblastoma<br />

(solido/multicistico) e le varietà unicistica (che, tipicamente,<br />

interessa una fascia di età più giovane ed ha una<br />

prognosi più favorevole) e periferica. Sono state, inoltre, indagate<br />

eventuali differenze esistenti tra la componente nodulare<br />

intraluminale e quella di rivestimento del lume della cisti<br />

degli ameloblastomi unicistici, tutti appartenenti alla varietà<br />

luminale.<br />

239<br />

Lo studio ha evidenziato un’espressione di TRAIL/recettori<br />

per il TRAIL piuttosto ubiquitaria da parte delle cellule<br />

degli ameloblastomi; da questo punto di vista, sono emerse<br />

delle differenze tra i singoli casi essenzialmente di tipo<br />

quantitativo. Ciò suggerisce, comunque, che questi fattori<br />

correlati all’apoptosi potrebbero essere coinvolti nei fenomeni<br />

di oncogenesi e citodifferenziazione dei tumori epiteliali<br />

odontogeni.<br />

Per quanto riguarda l’attività proliferativa, i risultati di questo<br />

studio confermano che essa, negli ameloblastomi, è generalmente<br />

piuttosto variabile e che la sua valutazione può essere<br />

utile nel singolo caso 4-8 .<br />

La valutazione della distribuzione delle cellule apoptotiche<br />

ha consentito di confermare i risultati di un precedente studio,<br />

che ha messo in evidenza un indice di apoptosi significativamente<br />

più alto nella componente centrale a tipo reticolo<br />

stellato rispetto a quella periferica ameloblastica 9 .<br />

Nella maggior parte dei casi, non sono emerse delle correlazioni<br />

significative tra espressione di TRAIL/recettori per il<br />

TRAIL, attività proliferativa e comportamento apoptotico.<br />

Le uniche differenze che sono state messe in luce riguardano<br />

il potenziale proliferativo delle diverse aree degli ameloblastomi<br />

unicistici e delle lesioni solide ed unicistiche, che correlano<br />

anche con differenze nell’espressione di TRAIL/recettori<br />

per il TRAIL. Queste osservazioni confermano l’esistenza<br />

di basi scientifiche che giustificano il diverso comportamento<br />

biologico di queste lesioni 4 5 9 .<br />

Ringraziamenti<br />

Si ringraziano il prof. Zauli e la prof.ssa Secchiero per aver<br />

fornito gli antisieri relativi allo studio su TRAIL.<br />

Bibliografia<br />

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site in the inner layer (centre). Histopathology 2001;39:93-98.


PATHOLOGICA 2004;96:240-244<br />

Alterazione del controllo G1/S nel fenotipo<br />

metastatico del carcinoma mammario<br />

G. Stanta, I. Dotti, S. Bonin<br />

Dipartimento di Scienze Cliniche, Morfologiche e Tecnologiche-Università<br />

degli Studi di Trieste e ICGEB-Trieste<br />

Il carcinoma mammario rappresenta la prima causa di morte<br />

per neoplasia nelle donne tra i 35 ed i 45 anni d’età. Alle<br />

profonde modificazioni fenotipiche alle quali va incontro la<br />

cellula neoplastica nella sua progressione fanno riscontro altrettanto<br />

numerose alterazioni funzionali a livello molecolare<br />

nei sistemi che regolano l’omeostasi cellulare. Tra tutti questi<br />

il sistema di controllo dell’entrata della cellula nella fase<br />

G1-S, noto come via del retinoblastoma, riveste un ruolo fondamentale<br />

nella maggior parte delle neoplasie. Alterazioni a<br />

questa via del segnale sono state rilevate in circa l’80% dei<br />

carcinomi mammari, in particolare deregolazioni associate a<br />

geni oncosoppressori.<br />

In tale studio abbiamo considerato una casistica di 81 carcinomi<br />

mammmari, di vario grado e stadiazione e le relative<br />

metastasi linfonodali. Tutti i casi sono stati caratterizzati da<br />

un periodo di follow-up di almeno 15 anni. La casistica è stata<br />

suddivisa in due gruppi relativamnete alla presenza di recidive<br />

nel periodo di follow-up.<br />

I campioni sono stati indagati, a livello di RNA messaggero,<br />

per l’espressione di alcuni componenti chiave della via del retinoblastoma.<br />

Alterazioni significative nei livelli di espressione<br />

sono state riscontrate per pRb, la p16 e p130 (pRb2). Per ricercare<br />

possibili meccanismi associati all’inattivazione o diminuita<br />

espressione delle molecole sopra indicate è stato condotta<br />

una analisi per la ricerca di eventuali delezioni alleliche per<br />

i loci 9p21, 13q14 e 16q12 relativi rispettivamente a p16, pRb<br />

e p130 (pRb2). Da tale analisi è risultato che l’inattivazione via<br />

LOH è un evento associato alla pRb per un discreto numero di<br />

pazienti in cui non si riscontrava espressione della pRb. È stato<br />

poi indagato un altro fenomeno associato all’inattivazione di<br />

diversi oncosoppressori: la metilazione delle CpG island nelle<br />

regioni dei promotori dei geni in esame. La tecnica quantitativa<br />

utilizzata nella ricerca di siti metilati si basa sul trattamento<br />

del DNA con bisulfito sodico per convertire le citosine ad<br />

uracile, le 5-metil-Citosine rimangono inalterate al trattamento.<br />

Con l’impiego di diversi enzimi di restrizione si è evidenziata<br />

la differenza nella composizione nucleotidica tra le 2 sequenze<br />

di DNA. Il dato emergente evinto dall’analisi è che<br />

nessuno dei due meccanismi da solo riesca a spiegare la deregolazione<br />

dei geni oncosoppressori.<br />

Alterazioni genetiche nella definizione<br />

prognostica del carcinoma colo-rettale<br />

G. Lanza<br />

Dipartimento di Medicina Sperimentale e Diagnostica, Sezione<br />

di Anatomia, Istologia e Citologia Patologica, Università<br />

di Ferrara<br />

Il carcinoma del colon-retto è una delle neoplasie più frequenti<br />

nelle nazioni industrializzate. La maggioranza dei pazienti<br />

(60-70%) vengono diagnosticati in fase di malattia localmente<br />

avanzata, con una sopravvivenza a 5 anni del 75%<br />

Patologia molecolare<br />

Moderatori: G. Bevilacqua (Pisa) e A. Scarpa (Verona)<br />

per lo stadio II (infiltrazione a tutto spessore della parete in<br />

assenza di metastasi linfonodali) e del 50% per lo stadio III<br />

(presenza di metastasi ai linfonodi regionali). La più recente<br />

classificazione TNM suddivide gli stadi II e III rispettivamente<br />

in due (IIA e IIB) e tre sottogruppi (IIIA, IIIB e IIIC),<br />

a prognosi progressivamente peggiore. Tuttavia, per entrambi<br />

gli stadi sarebbe molto importante disporre di ulteriori parametri<br />

prognostici e/o predittivi che consentano di effettuare<br />

interventi terapeutici più razionali ed efficaci. Nonostante<br />

il numero molto rilevante di studi, nessun parametro biomolecolare<br />

è stato finora introdotto nella pratica clinica come indicatore<br />

prognostico nel carcinoma colorettale. I grandi progressi<br />

compiuti nella conoscenza delle basi molecolari della<br />

neoplasia hanno consentito, comunque, di individuare negli<br />

ultimi anni alcune alterazioni genetiche di notevole significato<br />

prognostico e di potenziale utilizzo applicativo.<br />

Dal punto di vista genetico-molecolare si distinguono due principali<br />

forme di carcinoma colorettale, caratterizzate da due diversi<br />

tipi di instabilità genetica – la instabilità dei microsatelliti<br />

(MSI) e la instabilità cromosomica (CIN) – e che si differenziano<br />

anche per numerose caratteristiche cliniche e patobiologiche<br />

1 . I tumori con MSI (15% dei casi) presentano tipicamente<br />

cariotipo stabile, contenuto nucleare di DNA diploide ed infrequenti<br />

delezioni alleliche e patologicamente sono caratterizzati<br />

da localizzazione prossimale, scarsa differenziazione, frequente<br />

istotipo mucoide, intensa infiltrazione linfocitaria peri<br />

ed intratumorale e bassa incidenza di metastasi linfonodali ed a<br />

distanza 2 . La MSI (ed in particolare la MSI di grado elevato o<br />

MSI-H cui si fa riferimento) è determinata dal deficit del sistema<br />

di riparazione del DNA “DNA mismatch repair”, per inattivazione<br />

epigenetica (metilazione del promoter) del gene MLH1<br />

nelle forme sporadiche, e per mutazione dei geni MLH1,<br />

MSH2 o MSH6 nelle più rare forme ereditarie (HNPCC o sindrome<br />

di Lynch). I carcinomi MSI+ presentano di rado mutazioni<br />

di geni comunemente alterati nelle altre neoplasie coliche,<br />

quali K-ras e p53, e tendono per contro ad accumulare mutazioni<br />

in <strong>brevi</strong> sequenze ripetute presenti nella porzione codificante<br />

di geni quali ad esempio TGFBRII, BAX e IGFRII.<br />

I tumori con CIN presentano, invece, marcate alterazioni del<br />

cariotipo, contenuto nucleare di DNA aneuploide, frequenti<br />

delezioni alleliche ed inattivazione di geni oncosoppressori<br />

quali APC, p53 e geni localizzati sul braccio lungo del cromosoma<br />

18 e mutazioni dell’oncogene K-ras. La maggioranza<br />

di questi tumori sono adenocarcinomi moderatamente differenziati<br />

non mucosecernenti, con elevata incidenza di metastasi<br />

linfonodali (>50% dei casi) ed a distanza (20%). I<br />

meccanismi che causano la CIN sono verosimilmente molteplici<br />

e non ancora chiaramente definiti.<br />

Questa suddivisione in due principali categorie genetico-molecolari<br />

del carcinoma colorettale ha importanti ricadute cliniche.<br />

Numerosi studi hanno, infatti, dimostrato che i pazienti<br />

con tumore MSI-H presentano una prognosi più favorevole<br />

dei pazienti con tumore non-MSI-H, indipendentemente<br />

dallo stadio e da altri parametri clinici e patologici 2 . È<br />

attualmente discusso se il vantaggio di sopravvivenza per i<br />

pazienti con tumore MSI+ sia nello stadio III da imputarsi almeno<br />

in parte ad un maggiore beneficio della chemioterapia<br />

adiuvante con 5-FU 3 4 . In un recente studio condotto su 718<br />

pazienti con carcinoma colorettale stadio II e III, utilizzando<br />

per la determinazione dello status MSI il test immunoistochimico<br />

della espressione delle proteine MLH1 ed MSH2, abbiamo<br />

potuto dimostrare che la MSI è un importante fattore


PATOLOGIA MOLECOLARE<br />

prognostico sia nello stadio II che nello stadio III. In particolare,<br />

nello stadio II i pazienti con tumore MSI+ hanno presentato<br />

un decorso clinico molto favorevole, e non necessiterebbero<br />

pertanto di chemioterapia adiuvante. Inoltre, nello<br />

stadio III la differenza di sopravvivenza tra tumori MSI+ e<br />

MSI- è risultata molto evidente anche nel gruppo di pazienti<br />

sottoposti a sola resezione chirurgica, indicando che è in gran<br />

parte indipendente dal trattamento chemioterapico.<br />

Nell’ambito dei tumori non MSI-H, le alterazioni genetiche<br />

maggiormente studiate dal punto di vista prognostico sono le<br />

delezioni alleliche (LOH). Anche se i risultati riportati in letteratura<br />

sono in parte discrepanti, le LOH di 18q e di 17p sono<br />

quelle per le quali è stata più consistentemente dimostrata una<br />

correlazione con la sopravvivenza 5-7 . Negli ultimi anni è stato,<br />

comunque, soprattutto dimostrato che la contemporanea presenza<br />

di più delezioni alleliche (in particolare di 18q e 17p) si<br />

associa ad un comportamento clinico più aggressivo 7 8 . Nella<br />

nostra esperienza la contemporanea presenza di LOH di 18q,<br />

17p ed 8p consente di identificare nello stadio II un sottogruppo<br />

di pazienti ad elevato rischio di ripresa di malattia. Rimane<br />

da determinare se questa maggiore aggressività clinico-biologica<br />

sia il risultato sommatorio della inattivazione di più geni oncosoppressori<br />

localizzati nei diversi cromosomi o rifletta, invece,<br />

un diverso grado di instabilità genetica. È opportuno a questo<br />

punto rimarcare che i geni implicati nella LOH dei cromosomi<br />

18q e 8p non sono stati ancora identificati e che le due ipotesi<br />

non sono tra loro mutualmente esclusive, un maggiore grado<br />

di instabilità genetica potendo comportare una più frequente<br />

inattivazione multipla di geni oncosoppressori implicati anche<br />

nel processo di diffusione metastatica.<br />

La analisi della letteratura degli ultimi anni evidenzia, altresì,<br />

che la categoria dei tumori classificati come non-MSI-H è<br />

eterogenea e che verosimilmente esistono ulteriori vie genetico-molecolari<br />

di sviluppo e progressione del carcinoma colorettale.<br />

In particolare, alcuni studi sembrano suggerire la<br />

esistenza di una classe di tumori che non presenta né instabilità<br />

cromosomica, né instabilità dei microsatelliti.<br />

Recentemente, due lavori basati sulla metodica dei DNA microarrays<br />

hanno individuato nei tumori colorettali profili di<br />

espressione genica correlati al potenziale metastatico ed alla<br />

prognosi 9 10 . Gli studi citati sono stati condotti su un numero<br />

limitato di casi ed il loro risultato necessita di essere verificato<br />

su più ampie casistiche. Anche per questo tipo di tumore,<br />

comunque, questa tecnologia innovativa verosimilmente<br />

consentirà a breve di identificare nuovi importanti fattori<br />

prognostici e predittivi.<br />

In conclusione, allo stato attuale lo studio della istabilità dei microsatelliti<br />

e delle delezioni alleliche consente di suddividere i<br />

pazienti con carcinoma colorettale in sottogruppi con aspettative<br />

prognostiche sensibilmente differenti e suscettibili di interventi<br />

terapeutici differenziati. Il loro impiego necessita, tuttavia,<br />

una validazione nell’ambito di trials clinici controllati.<br />

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markers to predict recurrence of Dukes’ B colon cancer. J Clin<br />

Oncol 2004;22:1564-71.<br />

Analisi multigenica mediante real-time PCR<br />

con schede microfluidiche<br />

A. Marchetti<br />

Centro di Ricerche Cliniche, Centro di Eccellenza sull’Invecchiamento,<br />

Università-Fondazione di Chieti, Chieti<br />

Il sequenziamento dell’intero genoma umano può permettere<br />

di progettare studi di espressione genica più articolati e completi<br />

per una migliore caratterizzazione dei processi patologici.<br />

A tal fine sono necessarie tecnologie ad alta produttività<br />

ed estremamente sensibili. L’alta produttività implica la possibilità<br />

di analizzare contemporaneamente molti trascritti, la<br />

sensibilità implica la possibilità di una accurata analisi di trascritti<br />

poco espressi e la capacità di valutare minime differenze<br />

di espressione fra i vari campioni. La tecnologia basata<br />

sui cDNA microarrays permette l’analisi di numerosi trascritti<br />

su una singola piattaforma, ma talvolta non raggiunge<br />

livelli sufficienti di sensibilità, causando perdite di informazioni.<br />

D’altronde, le più sensibili ed accurate metodiche per<br />

l’analisi quantitativa dell’espressione genica, quali la real-time<br />

RT-PCR, sono poco produttive.<br />

Recentemente sono state commercializzate nuove piattaforme<br />

tecnologiche che, tramite l’uso di schede microfluidiche,<br />

permettono di effettuare l’analisi quantitativa in tempo reale<br />

di numerosi geni con notevole risparmio di reagenti e minore<br />

rischio di inquinamento dei campioni, essendo ridotto al<br />

minimo l’ intervento manuale. Mediante questa nuova tecnologia<br />

è possibile analizzare contemporaneamente l’espressione<br />

di 384 geni in un singolo campione o 48 geni in 8 campioni.<br />

Variando opportunamente il numero dei geni inclusi<br />

nell’analisi, possono essere messe a punto diverse schede da<br />

usare in condizioni sperimentali diverse, a seconda dell’accuratezza<br />

richiesta. Softwares dedicati permettono la valutazione<br />

dei cicli soglia e la quantificazione dell’espressione genica<br />

ad alta produttività. La tecnica si basa sulla trascrizione<br />

inversa seguita dalla PCR (RT-PCR) e presenta diversi vantaggi<br />

rispetto ad altri metodi di analisi di espressione genica;<br />

in particolare, questa tecnica possiede un ampio range dinamico,<br />

per cui i campioni non devono contenere uguali quantità<br />

iniziali di RNA totale e necessita di piccole quantità di<br />

RNA di partenza. Ciò consente di studiare il profilo di<br />

espressione di cellule selezionate, ad esempio tramite la microdissezione<br />

laser.<br />

Una delle più interessanti applicazioni della tecnologia a<br />

schede microfluidiche, è data dalla possibilità di analizzare<br />

l’espressione di molti geni che rappresentano intere vie metaboliche<br />

o gruppi funzionali completi. Ad esempio, possono<br />

essere allestite schede per l’analisi di geni coinvolti nella regolazione<br />

del ciclo cellulare, del processo apoptotico, dei<br />

processi infiammatori etc. Saranno presentate alcune applicazioni<br />

pratiche di questa nuova tecnologia.


242<br />

Microarray gene expression profiling:<br />

challenge pancreatic cancers through the<br />

understanding of its biology and improving<br />

diagnosis and treatment.<br />

E. Missiaglia<br />

Dipartimento di Patologia, Sez. Di Anatomia Patologica,<br />

Università di Verona<br />

Although pancreatic cancer is a relatively uncommon disease<br />

(fifth most common cause of cancer-related death in western<br />

countries), its mortality virtually coincides with incidence,<br />

having a five-year survival of less than 5%. This is mainly<br />

due to its silent clinical course, late clinical manifestation,<br />

and its resistance to conventional modes of therapy 1 2 .<br />

An improved understanding of pancreas cancer genetics and<br />

biology are therefore the only means to provide new markers<br />

for earlier diagnosis and to identify potential targets for therapeutic<br />

intervention. Unfortunately, molecular analyses of<br />

pancreatic cancer have been hindered by the low cancer cellularity<br />

of this neoplasm, due to the prominent non-neoplastic<br />

reaction. However, various enrichment techniques such as<br />

propagating neoplatic cells in tissue culture, xenografting,<br />

cryostat-enrichment, and laser capture microdissection of<br />

primary lesions have partially overcome this problem.<br />

Recently, several large-throughput methods have been employed<br />

to analyse the gene expression levels among pancreatic<br />

cancers, pancreatitis and normal tissue. These include RDA,<br />

SAGE and hybridisation on high density spotted nylon filters,<br />

glass DNA microarrays or Affimetrix chips. However, DNA<br />

array/microarray technology is becoming one of the most productive<br />

methods for characterizing physiological and pathological<br />

processes. Arrays are typically positive charged membranes,<br />

usually from 12 to 20 cm 2 , in which different cDNAs<br />

are immobilized in defined positions. Microarrays are normally<br />

glass microscope slides in which an area as small as 1 cm 2<br />

contains thousands of spots, each harboring DNA from a specific<br />

gene or chromosomal area. Microarrays can be constructed<br />

with either cDNA or oligonucleotides, usually prepared<br />

and stored in microplates. Alternatively, oligonucleotides<br />

corresponding to specific genes sequences can be<br />

synthesized directly on the surface of the array using photolithographic<br />

techniques (Affymetrix Chip). The principal<br />

steps in comparing the gene expression profile of different<br />

samples begin with the extraction of mRNA. This represents a<br />

crucial aspect in the analysis that can strongly affect the quality<br />

and the goodness of the results 3 . Once isolated the mRNA<br />

is retrotranscribed into cDNA using inverse transcriptase with<br />

variable efficiency. In this phase the probe can be labelled using<br />

fluorescent dyes that emit light in a specific range after excitation<br />

induced with laser at different wavelengths or radioactive<br />

nucleotides. In addition, it is also possible increase<br />

the probes (particularly when the original sample is available<br />

in limited amount) by generating a double-strand cDNA that<br />

can be amplified linearly (using T7 polymerase) 4 or exponentially<br />

(using canonical DNA polymerase) 5 . While only one<br />

sample is hybridised in the Affymetrix chips or in a membrane<br />

for each reaction, in the cDNA microarray the information obtained<br />

comes always from a comparison between two different<br />

samples, which labelled probes are coohybridised on the<br />

same slide and compete for the target sequence in a stringent<br />

condition.<br />

After the hybridisation the slide is scanned and the images<br />

obtained from the different dyes can be superimposed and<br />

compared. In that respect, several packages have been developed<br />

to explore microarray data from images analysis to the<br />

CORSI BREVI - SLIDE SEMINARS<br />

final step of the data minding. Unfortunately the scientific<br />

community haven’t found yet consensus around a standard<br />

methods widely applicable to cDNA microarray technology<br />

leaving to the researcher the choice between scores of possibilities<br />

not always standardized.<br />

Transcriptional profiling using DNA arrays has an excellent<br />

potential for the discovery of novel markers for early diagnosis,<br />

prognosis, and potential therapeutic targets. This may<br />

also lead to advances in tumor classification. For example,<br />

Golub et al. 6 showed that the expression pattern provided<br />

new insights into tumor pathology, including cell origin,<br />

stage, grade, and response to the therapy. Alizadeh et al. 7<br />

made the first correlation between gene expression pattern<br />

and disease outcome studying diffuse large B-cell lymphoma,<br />

where progression of disease correlated with a distinct<br />

pattern of gene expression. Such reports are becoming<br />

more common and exemplify the power that the differential<br />

expression profiles generated by cDNA arrays/microarrays.<br />

Nowadays, several reports have emerged regarding the<br />

analysis of common pancreatic cancer using cDNA arrays as<br />

well as Affymetrix chips. Gress et al. 8 generated the first<br />

gene expression profile of panceatic cancers using hybridization<br />

to filters carrying cDNA clones derived from pancreatic<br />

cancer cell lines to restrict the expression profile to genes<br />

more likely derived from the malignant epithelial component<br />

of the tumor. They found that a total of 369 distinct clones<br />

were preferentially expressed in pancreatic cancer and from<br />

those 26% were known genes. Furthermore, in collaboration<br />

with the group of Prof. N.R. Lemoine at the Cancer Research<br />

UK, we studied expression profiles of epithelial cancer cell<br />

and the desmoplastic reaction on cDNA arrays using material<br />

obtained by fine needle aspiration of fresh surgical specimens<br />

9 as well as the expression profiles of 19 pancreatic cancer<br />

cell lines 10 . One of the advantages of using these type of<br />

samples is that pure tumor cells are tested without any or low<br />

contamination from fibroblasts, since, as already mention<br />

above, pancreatic cancers are characterized by a strong stromal<br />

reaction that may represent the 80-90% of tumor mass.<br />

In both studies several genes, some of which already known<br />

to be involved in pancreatic cancer, were found differentially<br />

expressed compared to normal pancreas. In particular, in<br />

the cell line study genes with a wide variety of functions<br />

were identified among the overrepresented transcripts, ranging<br />

from tight junction proteins (claudins 3, 4 and 5), ion<br />

homeostasis regulators (S100P, S100A4, cysteine-rich heart<br />

protein), transcription factors (forkhead box J1, Id2) and extracellular<br />

matrix proteins (MMP2, MMP7, TIMP2, plasminogen<br />

activator). Equally, among the underrepresented<br />

genes there were several putative tumor suppressor genes<br />

(FAT tumor suppressor homologue 2, IGFBP7, S100A2,<br />

TP55) as well as cell cycle-related gene GADD45A, and several<br />

cell adhesion genes (cadherin 3, cysteine-rich angiogenic<br />

inducer 61, plakophilin 1). In addition, employing the<br />

class comparison analysis we were able to isolate a set of<br />

genes that could separate the cell lines on the basis of their<br />

origin.<br />

In the hierarchical clustering on the above figure these genes<br />

are divided in three major subset as consequence of their different<br />

expression behavior in the cell lines deriving from primary<br />

tumors, liver metastasis, ascites and lymph node metastasis.<br />

Among these subsets, one included genes often up-regulated<br />

in cell lines that originated from lymph nodes (namely<br />

FYB, IFITM1, SRGAP2, NID2, RHOBRB2, ABCG1,<br />

SRC1, LIMK2, LMO2, p8). Interestingly, most of those<br />

genes are involved in the cell communication and in the signal<br />

transduction.


PATOLOGIA MOLECOLARE<br />

Fig. 1.<br />

The correct and early diagnosis of pancreatic cancers is another<br />

important challenge that is encountered with this type<br />

of tumor, also because its typical symptoms (abdominal pain,<br />

unexpected weight loss, jaundice) are rather unspecific and<br />

can point to a variety of different GI tract problems, with<br />

chronic pancreatitis, that is a persistent inflammatory disease,<br />

being the clinically most relevant differential diagnosis<br />

for pancreatic cancer. In fact, in the course of chronic pancreatitis<br />

inflammatory tumors may develop in the pancreas<br />

causing the same signs and symptoms as malignant pancreatic<br />

tumors. Malignant and inflammatory tumors are frequently<br />

indistinguishable by conventional imaging modalities such<br />

as computed tomography (CT), abdominal (US) or endoscopic<br />

ultrasound (EUS), thus requiring cytological analysis<br />

of cells obtained by US-, CT- or EUS-guided fine needle aspiration<br />

biopsy (FNAB). However, the reliability of the<br />

largely morphology-based cytological analyses of fine needle<br />

aspirates of pancreatic tumors remains unsatisfactory with a<br />

diagnostic accuracy between 60% and 80% 11-15 . Well-differentiated<br />

carcinomas may escape recognition because of the<br />

minimal cytological atypia they display. Conversely, chronic<br />

pancreatitis may give rise to atypical cells that can be mistaken<br />

for neoplastic cells. For both, malignant and benign tumors,<br />

diagnosis is extremely difficult when intact cells in the<br />

aspirate are rare or completely missing.<br />

DNA arrays with their potential to assess the transcriptional<br />

activity of many genes simultaneously are ideal tools for diagnostic<br />

approach relying on the analysis of multiple genetic<br />

markers rather than morphological evaluation of biopsy material.<br />

In collaboration with Prof. Thomas M. Gress (University of<br />

Ulm, Germany) we have tried to develop a specialized cDNA<br />

array designed for the differential diagnosis of pancreatic tumors<br />

based on expression profiling of fine needle aspiration<br />

biopsies.<br />

Diagnostic array was constructed to only contain genes with<br />

diagnostic and/or prognostic potential for the classification<br />

of pancreatic tissues, augmented with control features to<br />

allow for precise grid alignment and robust normalization. In<br />

the present study, we used residual material from biopsy<br />

needles for the analysis of the FNAB samples to ensure<br />

complete identity of the material used for cytological and<br />

243<br />

expression profiling analysis. As a result, the amount of<br />

starting material available for expression profiling analysis<br />

was extremely limited, so that we initially produced the array<br />

in the nylon membrane format to take advantage of the<br />

superior sensitivity of radioactive labeling and detection.<br />

Instead of omitting individual genes from the analysis to<br />

achieve this purpose, we opted to apply principal component<br />

analysis to the data, resulting in a set of combined features<br />

representing weighted combinations of all genes in the data set.<br />

This approach is far less sensitive to outliers or hybridization<br />

artifacts in individual diagnostic samples, thus increasing the<br />

reliability of the analysis. Robustness of classification was also<br />

the rationale for choosing linear discriminant analysis (LDA)<br />

for the construction of the classifier.<br />

We were able to demonstrate that expression profiling analysis<br />

using our specialized diagnostic array in conjunction with<br />

conventional cytology significantly improves the accuracy of<br />

diagnosis and is especially useful in the classification of<br />

otherwise ‘non-diagnostic’ samples, i.e. samples with low<br />

cellularity or complete absence of intact cells.<br />

Fig. 2.


244<br />

Therapy is obviously another important field in the battle<br />

against pancreatic cancer. Microarray may be applied to expression<br />

profiling analysis to elucidate mechanisms of drug<br />

sensitivity, resistance, and mechanism of action of pharmaceutical<br />

and other compounds 16 17 .<br />

In that respect, we have used microarray technology to<br />

investigate the changes in global gene expression observed<br />

after treatment of different pancreatic cancer cell lines with<br />

the methylase inhibitor 5-aza-2’-deoxycytidine 18 .<br />

We have observed that this agent is able to inhibit to various<br />

degrees the growth of three pancreatic cancer cell lines. In<br />

particular, this inhibition was associated with induction of interferon<br />

(IFN)-related genes, as observed in other tumour<br />

types. Thus, expression of STAT1 seems to play a key role in<br />

the cellular response to treatment with the cytosine analogue.<br />

Moreover, we found increased p21 WAF1 and gadd45A expression<br />

to be associated with the efficacy of the treatment; this<br />

induction may correlate with activation of the interferon signalling<br />

pathway. Importantly, the genome-wide demethylation<br />

significantly increased the response of two cell lines to<br />

treatment with interferon-γ, gemcitabine and cisplatin. This<br />

suggests a possible application of 5-aza-CdR in pancreatic<br />

cancer therapy in combination with other drugs.<br />

CORSI BREVI - SLIDE SEMINARS<br />

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PATHOLOGICA 2004;96:245-248<br />

L’evento metastasi<br />

D. Lombardi<br />

Dipartimento di Medicina Sperimentale, Università de L’Aquila<br />

Come è noto, la caratteristica che contraddistingue i tumori<br />

maligni è la loro capacità di invadere i tessuti limitrofi e di<br />

propagarsi, attraverso i sistemi circolatorio e linfatico, al fine<br />

di formare metastasi in organi diversi da quello in cui il tumore<br />

primario ha avuto origine. Il processo metastatico è alquanto<br />

complesso. L’invasione dei tessuti che circondano il<br />

tumore primario è determinato dall’acquisizione da parte delle<br />

cellule trasformate di caratteri peculiari che si esplicano<br />

nella modulazione delle proprietà adesive, nell’induzione<br />

della produzione di proteinasi e nella modulazione della motilità.<br />

È importante rilevare che la degradazione delle membrane<br />

basali e della matrice extracellulare è causata anche<br />

dalla secrezione di proteinasi da parte di cellule non trasformate<br />

che favoriscono l’invasività tumorale. Inoltre, la produzione<br />

di enzimi proteolitici, l’adesività, la plasticità e la motilità<br />

cellulari sono coinvolte in altri processi quali l’impianto<br />

del trofoblasto, lo sviluppo embrionale e il rimodellamento<br />

tissutale. La differenza tra questi processi normali e quello<br />

patologico dell’invasione metastatica risiede nei diversi livelli<br />

di regolazione.<br />

Alterazioni delle caderine calcio-dipendenti responsabili delle<br />

interazioni cellula-cellula, e delle integrine responsabili<br />

dell’interazione con la matrice extracellulare, contribuiscono<br />

alla motilità delle cellule invasive.<br />

Si conoscono almeno quattro classi di proteinasi coinvolte<br />

nel processo di degradazione della matrice extracellulare:<br />

serina, cisteina, aspartico proteinasi e le metalloproteinasi.<br />

L’attivazione delle metalloproteinasi è anche coinvolta nel<br />

rimodellamento della membrana basale dei vasi sanguigni<br />

durante la neoangiogenesi tumorale, processo che permette<br />

la formazione e la penetrazione di vasi sanguigni all’interno<br />

del tumore primario e della metastasi e che è necessario<br />

per l’accrescimento di masse neoplastiche delle dimensioni<br />

di 1-2 mm 3 . Tra numerosi altri fattori, il fattore di crescita<br />

dell’endotelio vascolare o fattore di permeabilità vascolare<br />

(VEGF o VPF) è considerato il principale responsabile della<br />

neoangiogenesi tumorale. Tale processo si realizza attraverso<br />

la degradazione della membrana basale e della matrice<br />

extracellulare che circonda i vasi, la proliferazione e la<br />

chemiotassi delle cellule endoteliali verso lo stimolo angiogenico<br />

e il rimodellamento della membrana basale dei vasi<br />

neoformati.<br />

Un’attenzione particolare meritano i geni soppressori delle<br />

metastasi. L’identificazione, nel 1988, del gene antimetastatico<br />

nm23 1 ha dato il primo impulso allo studio e alla conoscenza<br />

dei meccanismi molecolari che sottendono all’evoluzione<br />

del fenotipo metastatico. Così come i geni oncosoppressori<br />

controllano lo sviluppo dei tumori, i geni soppressori<br />

delle metastasi ne controllano il potenziale metastatico.<br />

L’insieme dei geni antimetastatici continua ad arricchirsi<br />

di nuovi membri. In tempi molto recenti, l’utilizzo<br />

della tecnica del “microarray profiling” ha permesso di individuare<br />

una pletora di nuovi geni candidati al ruolo di<br />

Metastasi<br />

Moderatori: A. Giannini (Prato) e R. Vecchione (Napoli)<br />

soppressori delle metastasi. Generalmente, nei tumori altamente<br />

invasivi, i geni antimetastatici sono silenti a livello<br />

trascrizionale piuttosto che mutati. Molti di essi non hanno<br />

effetto sulla proliferazione in vitro di cellule tumorali e sulle<br />

dimensioni del tumore primario in vivo. Non sono coinvolti<br />

nel processo meccanico dell’invasione e nella neoangiogenesi.<br />

Spesso agiscono negli stadi finali della colonizzazione<br />

tumorale al sito d’attecchimento della metastasi 2 3 .<br />

Possono regolare i segnali giunzionali tra le cellule 4 ; interferire<br />

con vie di trasduzione del segnale intracellulare 5 6 ;<br />

indurre il differenziamento cellulare 7-10 ; influenzare la trascrizione<br />

genica 9 .<br />

L’importanza dal punto di vista diagnostico dei livelli di<br />

espressione dei geni antimetastatici è evidente. Inoltre, la letteratura<br />

recente ha fornito le basi per l’individuazione di<br />

agenti chemoterapici in grado di modulare l’espressione e la<br />

funzione dei geni antimetastatici 11-13 .<br />

Bibliografia<br />

1 Steeg PS, Bevilacqua G, Kopper L, Thorgeirsson UP, Talmadge JE,<br />

Liotta LA, et al. Evidence for a novel gene associated with low tumor<br />

metastatic potential. J Natl Cancer Inst 1988;80:200-4.<br />

2 Chekmareva M, Kadkhodaian M, Hollowell C, Kim H, Yoshida B,<br />

Luu H, et al. Chromosome 17-mediated dormancy of AT6.1 prostate<br />

cancer micrmetastases. Cancer Res 1998;58:4963-9.<br />

3 Goldberg S, Harms J, Quon K, Welch D. Metastasis suppressed<br />

C8161 melanoma cells arrest in lung but fail to proliferate. Clin Exp<br />

Metast 1999;17:601-7.<br />

4 Saunders M, Seraj M, Li Z, Zhou Z, Winter C, Welch D, et al. Breast<br />

cancer metastastic potential correlates with a breakdown in homospecific<br />

and heterospecific gap junctionalintercellular communication.<br />

Cancer Res 2001;61:1765-7.<br />

5 Hartsough M, Morrison D, Salerno M, Palmieri D, Ouatas T, Mair M,<br />

et al. Nm23-H1 metastasis suppressor phosphorylation of kinase suppressor<br />

of ras (KSR), via a histidine protein kinase pathway. J Biol<br />

Chem 2002;277:32389-99.<br />

6 Steeg P. Metastasis suppressors alter the signal transduction of cancer<br />

cells. Nat Rev Cancer 2003;3:55-63.<br />

7 Gervasi F, D’Agnano I, Vossio S, Zupi G, Sacchi A, Lombardi D.<br />

nm23 influences proliferation and differentiation of PC12 cells in<br />

response to nerve growth factor. Cell Growth Differ 1996;7:1689-<br />

95.<br />

8 Lombardi D, Lacombe M, Paggi MG. nm23: unraveling its biological<br />

function in cell differentiation. J Cell Physiol 2000;182:144-<br />

9.<br />

9 Lombardi D, Palescandolo E, Giordano A, Paggi MG. Interplay<br />

between the antimetastatic nm23 and the retinoblastoma-related<br />

Rb2/p130 genes in promoting neuronal differentiation of PC12 cells.<br />

Cell Death Differ 2001;8:470-6.<br />

10 Bandyopadhyay S, Pai S, Gross S, Hirota S, Hosobe S, Miura K, et<br />

al. The Drg-1 gene suppresses tumor metastasis in prostate cancer.<br />

Cancer Res 2003;63:1731-6.<br />

11 Wang F, Cao Y, Zhao W, Liu H, Fu Z, Han R. Taxol inhibits melanoma<br />

metastases through apoptosis induction, angiogenesis inhibition<br />

and restoration of E-cadherin and nm23 expression. J Pharmacol Sci<br />

2003;93:197-203.<br />

12 Ouatas T, Halverson D, Steeg P. Dexamethasone and medroxyprogesterone<br />

acetate elevate Nm23-H1 metastasis suppressor expression in<br />

metastatic human breast carcinoma 1cells: new uses for old compounds.<br />

Clin Cancer Res 2003;9:3763-72.<br />

13 Liu F, Qi H-L, Chen H-L. Effects of all-trans retinoic acid and epidermal<br />

growth factor on the expression of nm23-H1 in human hepatocarcinoma<br />

cells. J Cancer Res Clin Oncol 2000;126:85-90.


246<br />

Metastasi epatiche<br />

L.M. Terracciano<br />

Istituto di Patologia, Università “Federico II”, Napoli; Istituto<br />

di Patologia, Università di Basilea, Svizzera<br />

Introduzione<br />

Per la localizzazione anatomica, la particolare vascolarizzazione<br />

e le caratteristiche istologiche, il fegato è uno degli organi<br />

più frequentemente coinvolti nella fase metastatica di<br />

numerosi tumori, prima fra tutti quelli del tratto gastrointestinale.<br />

Le metastasi epatiche sono di gran lunga le più frequenti<br />

neoplasie del fegato, in un rapporto di circa 20:1 con i<br />

tumori primitivi epatici, soprattutto in pazienti senza epatopatia<br />

cronica come fattore di rischio per il carcinoma epatocellulare<br />

(HCC) 1 2 . Nei pazienti cirrotici, o con epatopatie<br />

croniche, prime fra tutte le infezioni virali da HBV ed HCV,<br />

risulta essere invece l’HCC la neoplasia maligna più frequente.<br />

Le neoplasie maligne extraepatiche mostrano inoltre una ridotta<br />

capacità metastatica nel fegato cirrotico 3 .<br />

Pur potendo qualsiasi tumore metastatizzare nel fegato, i tumori<br />

del polmone, colon, pancreas, mammella e stomaco rappresentano<br />

le neoplasie che più frequentemente causano metastasi<br />

epatiche (Tab. I). I carcinomi del distretto testa-collo<br />

e, in genere, i sarcomi, sono invece le neoplasie che più raramente<br />

metastatizzano nel fegato.<br />

La diffusione metastatica nel fegato avviene quasi sempre<br />

per via ematica, ma raramente alcuni tumori possono metastatizzare<br />

anche per via peritoneale (es.: carcinoma di tipo<br />

diffuso sec. Lauren dello stomaco) e, almeno teoricamente,<br />

per via linfatica. La capacità metastatica nel fegato sembra<br />

inoltre essere dipendente dall’istotipo considerato, essendo<br />

molto elevata per gli adenocarcinomi, le neoplasie ematologiche,<br />

i carcinomi con differenziazione neuroendocrina e i<br />

melanomi, e invece molto più blanda per i carcinomi spinocellulari<br />

e transizionali.<br />

Aspetto macroscopico<br />

Le metastasi epatiche possono presentarsi come noduli singoli<br />

o, molto più frequentemente, multipli, a contorno irregolare.<br />

A volte le aree centrali dei noduli metastatici possono<br />

andare incontro a fenomeni di necrosi, impartendo così al nodulo<br />

un caratteristico aspetto “ombelicato”, particolarmente<br />

frequente nelle mestastasi dei carcinomi del colon e in generale<br />

nelle metastasi da adenocarcinoma.<br />

Aspetto microscopico<br />

Le metastasi di solito riproducono l’aspetto istologico del tumore<br />

primitivo, cosicchè, soprattutto se la lesione primaria è<br />

Tab. II.<br />

Tab. I. Neoplasie epatiche maligne - Sito di origine*<br />

CORSI BREVI - SLIDE SEMINARS<br />

A) In assenza di epatopatia cronica<br />

Polmone 22,7%<br />

Pancreas 17,5%<br />

Colon 13,4%<br />

Stomaco 10,3%<br />

Mammella 7,2%<br />

Fegato 2,1%<br />

Altri organi 26,8%<br />

B) In pazienti con cirrosi<br />

Fegato 77,2%<br />

Polmone 7,0%<br />

Colon 4,4%<br />

Stomaco 3,5%<br />

Pancreas 1,8%<br />

Altri organi 6,1%<br />

* Incidenza relativa basata su dati autoptici (Melato M et al, 1989)<br />

già conosciuta, il patologo può nella maggior parte dei casi<br />

confermare o escludere che il tumore epatico esaminato rappresenti<br />

una metastasi.<br />

Qualora invece il tumore primitivo non sia conosciuto, lo<br />

spettro della diagnosi differenziale risulta essere molto più<br />

ampio, e soprattutto in passato il patologo non di rado poteva<br />

rendere soltanto una diagnosi di istotipo (es: adenocarcinoma<br />

mod.differenziato), spesso senza poter indicare la sede<br />

primaria del tumore ed escludere, in caso di adenocarcinoma,<br />

un tumore primitivo del fegato (metastasi da adenocarcinoma<br />

versus colangiocarcinoma). Negli ultimi anni però il continuo<br />

miglioramento delle tecniche immunoistochimiche e di<br />

biologia molecolare hanno reso possibile l’identificazione<br />

del tumore primitivo in gran parte dei casi.<br />

Spesso il patologo che osserva al microscopio un tumore epatico<br />

sospetto di metastasi, in assenza di tumore primitivo conosciuto,<br />

si trova di fronte a 2 tipi di quesiti da risolvere:<br />

1) neoplasia metastatica versus neoplasia primitiva epatica<br />

(colangiocarcinoma, carcinoma epatocellulare, adenoma<br />

biliare, ecc.)<br />

2) identificazione del tumore primitivo.<br />

In molti casi le colorazioni istochimiche di routine (ematossilina-eosina,<br />

PAS, ecc.) risultano sufficienti per giungere ad<br />

una corretta diagnosi. In una percentuale non trascurabile di<br />

CK7+/CK20+ CK7-/CK20- CK7+/CK20- CK7-/CK20+<br />

Colangiocarcinoma Ca. epatocellulare Colangiocarcinoma Ca. colon<br />

non-periferico periferico<br />

Ca. pancreas Ca. renale Ca. mammella Ca. Merkel<br />

Ca. uroteliale Ca. prostata Ca. polmone<br />

non small-cell<br />

Ca. ovarico Ca. squamoso Ca. ovarico<br />

mucinoso sieroso<br />

Ca. neuroendocrino Ca. endometrio<br />

Mesotelioma


METASTASI<br />

Tab. III. Markers organo-specifici e organo-associati<br />

Anticorpo: Identifica:<br />

Prostatic specific Carcinoma della prostata<br />

antigen (PSA)<br />

Prostatic specific Carcinoma della prostata<br />

phosphatase (PSP)<br />

Gross cystic disease Carcinoma della mammella<br />

fluid protein-15<br />

Thyreoglobulin Carcinoma tiroideo<br />

Thyroid transcription Carcinoma tiroideo<br />

factor-1 (TTF-1) e del polmone<br />

Uroplakin Carcinoma uroteliale<br />

casi però è necessario far ricorso a tecniche immunoistochimiche<br />

e/o di biologia molecolare per rispondere ad entrambi<br />

i quesiti. Molti tumori epatici, primitivi o secondari, sono infatti<br />

caratterizzabili immunofenotipicamente utilizzando un<br />

panel di anticorpi 4 5 .<br />

Nella diagnosi di carcinoma epatocellulare risultano particolarmente<br />

utili i seguenti anticorpi: Hep-Par 1, alfa-fetoproteina,<br />

CD10, CEA-policlonale.<br />

Il colangiocarcinoma esprime citocheratina 7 (CK7) e, soprattutto<br />

nelle forme periferiche, si caratterizza per la contemporanea<br />

assenza di espressione di CK20. Il pattern inverso<br />

(CK7-/CK20+) è invece altamente caratteristico del carcinoma<br />

del colon. L’espressione coordinata di CK7/CK20 è<br />

uno dei panel immunoistochimici più utilizzati nella tipizzazione<br />

delle metastasi da adenocarcinoma (Tab. II), e pur non<br />

essendo nessuna delle possibili combinazioni assolutamente<br />

specifica di un tipo tumorale, questa indagine immunoistochimica<br />

permette in molti casi di giungere ad una corretta<br />

diagnosi del tumore di origine.<br />

Un’ulteriore categoria di anticorpi ancora relativamente piccola<br />

che sta però rapidamente espandendosi è rappresentata<br />

dagli anticorpi verso proteine organo-specifiche o organo-associate,<br />

come ad esempio la TTF-1 (thyroid transcription factor-1)<br />

e l’antigene prostata specifico (PSA) (Tab. III). Questi<br />

anticorpi permettono l’identificazione del sito primario del<br />

tumore metastatico con altissima specificità.<br />

Bibliografia<br />

1 Ishak KG, Goodman ZD, Stocker JT. Tumors of the liver and intrahepatic<br />

bile ducts. Atlas of Tumor Pathology, AFIP, Fascicle 31,<br />

Third series, Washington D.C., 2001<br />

2 Campana D, Caligo MA, Esposito I, Bevilacqua G. Epidemiology and<br />

pathology of liver metastases. Bartolozzi C, Lencioni R. Liver Malignancies.<br />

Diagnostic and Interventional Radiology. New York, Springer<br />

Verlag, 1998.<br />

3 Melato M, Laurino L, Mucli E, Valente M, Okuda K. Relationship<br />

between cirrhosis, liver cancer, and hepatic metastases. Cancer<br />

1989;64:455-459.<br />

4 Gown AM, Yaziji H. Immunohistochemical analysis of carcinomas of<br />

unknown primary site. Pathol Case Rev 1999;4:250-259.<br />

5 Lau SK, Prakash S, Geller S, Alsabeh R. Comparative immunohistochemical<br />

profile of hepatocellular carcinoma, cholangiocarcinoma<br />

and metastatic adenocarcinoma. Hum Pathol 2002;33:1175-1181.<br />

247<br />

Rilevazione con tecnologie<br />

di immunoistochimica e di biologia<br />

molecolare delle micrometastasi<br />

dei tumori della mammella e dei melanomi<br />

A. Baldi<br />

Dipartimento di Biochimica e Biofisica, Sezione di Anatomia<br />

Patologica, Seconda Università di Napoli<br />

A dispetto dei notevoli progressi nel trattamento del cancro,<br />

la ricorrenza della malattia e la formazione di metastasi continuano<br />

a rappresentare il problema maggiore nella gestione<br />

clinica dei tumori. Il fattore determinante per la prognosi di<br />

pazienti colpiti da tumori di tipo invasivo è, infatti, la presenza<br />

o meno di una disseminazione metastatica delle cellule<br />

tumorali al momento della presentazione iniziale e del trattamento.<br />

Tuttavia, un certo numero di pazienti che non mostrano<br />

una diffusione sistemica evidente del tumore, sono<br />

soggetti ad una ricorrenza della malattia dopo la terapia primaria.<br />

Evidentemente, è in atto in questi pazienti una disseminazione<br />

precoce delle cellule cancerose a siti secondari,<br />

che non viene generalmente rilevata dalle procedure diagnostiche<br />

convenzionali impiegate per valutare lo stadio (“staging”)<br />

di un tumore.<br />

Negli stadi precoci, la malattia metastatica è, infatti, clinicamente<br />

indistinguibile dalla malattia localizzata. Il riconoscimento<br />

di metastasi clinicamente evidenti avviene spesso<br />

piuttosto tardi nella progressione della malattia, per mezzo di<br />

lesioni macroscopiche negli studi di “imaging” (es. risonanza<br />

magnetica) o di elevati livelli nel siero di proteine che rappresentano<br />

marcatori tumorali. Le tecniche di “imaging” risentono<br />

in generale del loro limite di risoluzione, di circa 0,5<br />

cm; d’altro canto l’utilità clinica dei marcatori tumorali è<br />

controversa, il che ha condotto ad una progressiva riduzione<br />

del loro uso nella pratica clinica. Di conseguenza, la formazione<br />

di metastasi sistemiche può avviarsi molto prima che il<br />

tumore sia rilevabile con le tecniche standard. Inoltre, questi<br />

saggi rilevano soltanto la presenza ed eventualmente le dimensioni<br />

del tumore, senza alcuna indicazione circa il potenziale<br />

metastatico o la progressione della malattia.<br />

Attualmente, dopo la diagnosi iniziale di un tumore solido, la<br />

terapia antitumorale ed il successivo decorso clinico di un paziente<br />

dipendono in larga misura dalle caratteristiche del tumore<br />

primario. I parametri generalmente impiegati per lo “staging”<br />

di un tumore, quali ad esempio il coinvolgimento dei<br />

linfonodi, la classificazione del tumore, le sue dimensioni, o la<br />

presenza di metastasi distali, sono impiegati per valutare statisticamente<br />

il rischio di ricorrenza della malattia. Tuttavia, tali<br />

approcci sono limitati nell’identificare accuratamente ed individualmente<br />

quei pazienti ad alto rischio di recidiva della malattia,<br />

che necessitano di conseguenza di una terapia più aggressiva.<br />

Ciò è dovuto principalmente all’inaccuratezza nell’identificazione<br />

degli stadi precoci di metastasi.<br />

Di conseguenza, la possibilità di rilevazione della presenza di<br />

metastasi negli stadi più precoci può avere importanti implicazioni<br />

sia prognostiche che terapeutiche. Questa lacuna analitica<br />

può essere potenzialmente riempita dalla caratterizzazione<br />

di cellule tumorali disseminate, che sono state identificate<br />

nella maggior parte dei siti secondari di metastasi (sangue<br />

periferico, midollo spinale, linfonodi regionali). Tali cellule<br />

appartengono ad una categoria descritta con vari termini,<br />

quali ad es. micrometastasi, metastasi occulte o cellule cancerose<br />

minime residue (MRCC), e potrebbero rappresentare<br />

il legame tra il tumore primario e l’evento più tardivo della<br />

presentazione delle metastasi.


248<br />

Sulla base di queste considerazioni, i metodi per la rilevazione<br />

delle metastasi occulte prima di ogni altra analisi clinica o<br />

patologica hanno ricevuto grande attenzione in questi ultimi<br />

anni. Scopo di questa comunicazione è presentare lo stato<br />

dell’arte riguardo alle metodiche di immunoistochimica e di<br />

biologia molecolare più comunente utilizzate per la rilevazione<br />

di micrometastasi, con particolare attenzione al tumore<br />

della mammella e al melanoma.<br />

La gestione delle metastasi con il pTNM<br />

R. Giardini<br />

Comitato Italiano per il Prognostic System Project; Anatomia<br />

ed Istologia Patologica, Sondrio<br />

Lo stadio d’una neoplasia maligna, determinato da taglia del<br />

tumore primitivo, estensione locale ed eventuale diffusione a<br />

distanza, rappresenta il più importante indicatore di prognosi.<br />

Il sistema di stadiazione universalmente usato e familiarmente<br />

noto come TNM, in origine sviluppato in Francia tra il 1943<br />

ed il 1952, è giunto alla VI edizione, sotto l’egida dell’UICC<br />

e dell’AJCC. Con riferimento ad N ed M, in quest’edizione<br />

sono state fornite numerose delucidazioni su alcuni punti classificativi<br />

generali, oggetto negli ultimi anni di animato e non<br />

ancora concluso dibattito, e causa d’interpretazioni discordanti,<br />

quali l’esatta interpretazione della presenza di noduli tumorali,<br />

senza evidenza di struttura linfonodale residua, nel<br />

tessuto connettivo d’un’area di drenaggio linfatico (metastasi<br />

linfonodale o estensione neoplastica?) e la corretta classificazione<br />

di linfonodi negativi, ma in numero inferiore a quanto<br />

usualmente rinvenuto (pN0 o pNx?). Sono state anche incluse<br />

la definizione di linfonodo sentinella e la categoria “cellule<br />

tumorali isolate” (ITC) per linfonodi regionali e sedi a distanza<br />

(ad es. midollo osseo). Le ITC, in discussione sin dal<br />

1999, son definite cellule singole od in aggregati di dimensio-<br />

CORSI BREVI - SLIDE SEMINARS<br />

ne massima ≤ 0,2 mm, in genere, ma non solo, rilevate con<br />

metodiche speciali (morfologiche: immunocitochimica, o non<br />

morfologiche: analisi molecolare e del DNA, flussicitometria)<br />

da indicarsi sul referto, e che non vanno classificate come metastasi<br />

in quanto non rivestono importanza prognostica (pN0).<br />

Persistono tuttavia dubbi sulla universale applicazione di queste<br />

definizioni, soprattutto in neoplasie con particolare morfologia<br />

di metastatizzazione (ad es. metastasi linfonodali di carcinoma<br />

lobulare mammario). I siti ove si sono apportate modifiche<br />

più o meno estese rispetto alle pregresse edizioni comprendono:<br />

faringe (definizione di linfonodi sovraclaveari, importante<br />

nella stadiazione del carcinoma rinofaringeo), tiroide<br />

(suddivisione del pN1), colon (per i noduli neoplastici in tessuto<br />

periviscerale), cavità sierose (per i gruppi N2 e N3), sarcomi<br />

ossei (con l’enucleazione delle metastasi al polmone –<br />

M1a – rispetto alle altre sedi – M1b), melanoma (sia per N<br />

che per M) e mammella (classificazione dello stato linfonodale<br />

per numero di linfonodi coinvolti e per pN1 N2 N3 e M,<br />

classificazione della valutazione del linfonodo sentinella). In<br />

successivi incontri del TNM Prognostic Factors Project Committee<br />

(6-7.5.2003 e 4-5.5.2004) sono state segnalate e discusse<br />

richieste avanzate da parte di più studiosi di apportare<br />

ulteriori modifiche della stadiazione TNM (ad es. categoria<br />

pN1mi per i carcinomi polmonari, importanza della valutazione<br />

numerica e morfologica delle ITC individuate con immunocitochimica<br />

nel midollo osseo in pazienti con carcinoma<br />

mammario), da valutarsi per la prossima edizione (la VII). La<br />

corretta, sistematica ed aggiornata applicazione della classificazione<br />

pTNM, ove sussistano i requisiti per la sua formulazione,<br />

anche per i parametri N ed M, in tutte le diagnosi oncopatologiche<br />

non può che rivestire un passaggio essenziale<br />

nella gestione e nella valutazione della storia naturale delle<br />

neoplasie, risultando essenziale in quelle realtà ove è funzionante<br />

un Registro Tumori e contribuendo in misura sostanziale<br />

a tracciare, per ciascun caso, un ritratto il più possibile verisimile<br />

della neoplasia.


PATHOLOGICA 2004;96:249-252<br />

La celiachia con lesioni non-atrofiche<br />

P. Ceppa<br />

DICMI, Sezione di Anatomia Patologica, Università di Genova<br />

La celiachia è una malattia in base alla quale, nel soggetto<br />

geneticamente predisposto l’introduzione di alimenti contenenti<br />

glutine determina una risposta immunitaria abnorme<br />

cui consegue una infiammazione cronica ed alterazioni della<br />

mucosa intestinale.<br />

Aspetti clinico-patologici della celiachia negli anni 70-90<br />

Sino ad alcuni anni orsono la celiachia era ritenuta una malattia<br />

tipica dell’età pediatrica, caratterizzata da sintomi che<br />

si presentavano prevalentemente dopo lo svezzamento, i più<br />

tipici dei quali erano rappresentati da scarso accrescimento<br />

(83%), diarrea (71%), distensione addominale (65%) ed anoressia<br />

(54%).<br />

La diagnosi si basava, oltre che sulla clinica, sulla positività<br />

dei test anticorpali e sulla biopsia della mucosa duodeno-digiunale.<br />

I test sierologici disponibili constavano di anticorpi<br />

anti-Gliadina (AGA) ed anti-Endomisio (EMA). Gli elementi<br />

fondamentali per la diagnosi istologica erano essenzialmente<br />

tre ovvero:<br />

• atrofia dei villi<br />

• iperplasia delle cripte<br />

• recruitment di linfociti T nella mucosa con aumento dei<br />

linfociti intraepiteliali (IEL).<br />

La diagnosi istologica richiedeva la contemporanea presenza<br />

di tutte queste alterazioni.<br />

Cosa è cambiato nell’ultimo ventennio?<br />

Il panorama clinico, epidemiologico, patogenetico e diagnostico<br />

della malattia celiaca è profondamente mutato nell’ultimo<br />

ventennio. I più importanti elementi di novità sono rappresentati<br />

da:<br />

1. riconoscimento della elevata prevalenza della malattia in<br />

età adulta<br />

2. riconoscimento dell’elevata frequenza di forme subcliniche<br />

3. riconoscimento di numerose presentazioni cliniche nongastrointestinali<br />

4. identificazione dell’antigene target della risposta immune<br />

5. identificazione di forme non atrofiche<br />

1. È ormai accettato che la celiachia sia appannaggio anche<br />

dell’età adulta 1 , potendosi osservare casi anche nella quinta<br />

o sesta decade di vita ed oltre (circa il 25% dei casi viene diagnosticato<br />

in pazienti con età superiore ai 50 anni).<br />

2. È stato dimostrato inoltre che la malattia si può presentare<br />

con uno spettro clinico estremamente variabile che comprende<br />

anche forme totalmente silenti. Ha incontrato grande favore<br />

il concetto di “iceberg” formulato da Maki e Collin 2 che<br />

sottolinea la maggior prevalenza di forme latenti e potenziali<br />

rispetto a quelle clinicamente manifeste. Studi siero-epidemiologici<br />

hanno dimostrato che l’incidenza di celiachia in<br />

Italia è di circa 1 soggetto ogni 150-200 persone; secondo<br />

questi dati i celiaci sarebbero circa 400.000 ma ne vengono<br />

diagnosticati solo 35.000.<br />

3. Oltre a ciò si è osservato che possono esservi numerose<br />

forme di celiachia con presentazione clinica non-gastrointe-<br />

Patologia digestiva<br />

Moderatori: R. Fiocca (Genova) e M. Rugge (Padova)<br />

stinale 1 : ematologiche (in particolare anemia), osteo-articolari,<br />

neurologiche, ginecologiche (in particolare infertilità o<br />

alta frequenza di aborti).<br />

4. In questi ultimi anni è stato anche scoperto l’antigene oggetto<br />

della risposta immune, ovvero la transglutaminasi tissutale:<br />

la gliadina contiene dei peptidi ricchi in glutamina e<br />

prolina che, in soggetti predisposti (con particolare fenotipo<br />

HLA), formano legami con la transglutaminasi con conseguente<br />

formazione di neoepitopi che inducono attivazione<br />

del T-cell receptor ed induzione di una risposta umorale (che<br />

produce anticorpi anti-gliadina, anti-endomisio ed anti-transglutaminasi)<br />

e cellulo-mediata con produzione di citochine<br />

che ledono l’epitelio intestinale. La predisposizione genetica<br />

è caratterizzata dalla presenza di DQ2 o DQ8 nel sistema<br />

maggiore di istocompatibilità HLA, presente in più del 95%<br />

dei soggetti celiaci 3 . All’identificazione della transglutaminasi<br />

è conseguita la realizzazione di un test sierologico che<br />

valuta la presenza ed il titolo dei relativi anticorpi. Sia gli anticorpi<br />

anti-endomisio che quelli anti-transglutaminasi hanno<br />

dimostrato una elevata sensibilità e specificità nei casi con lesioni<br />

di tipo atrofico 3-5 ; tuttavia essi risultano spesso negativi<br />

nei casi con lesioni di tipo infiltrativo-iperplastico, riducendo<br />

quindi la loro effettiva sensibilità 6-8 .<br />

5. La malattia celiaca può presentarsi con lesioni di tipo nonatrofico,<br />

caratterizzate da normale trofismo dei villi associato<br />

ad un aumentato numero (> 40/100 cellule epiteliali) di<br />

linfociti intraepiteliali (IEL), o da normale trofismo dei villi,<br />

iperplasia delle cripte e aumento degli IEL. Tali reperti sono<br />

di frequente osservazione in particolar modo nelle forme subcliniche<br />

o nello studio dei familiari. Il riconoscimento e la caratterizzazione<br />

delle forme non-atrofiche è merito soprattutto<br />

dei lavori di Marsh 9 ; per quanto riguarda la categorizzazione<br />

e standardizzazione delle lesioni si può far riferimento al lavoro<br />

di Oberhuber et al. 10<br />

Rapporti tra istologia, sierologia e clinica nelle forme non<br />

atrofiche e possibili evoluzioni<br />

Il dato che gli anticorpi anti-endomisio ed anti-transglutaminasi<br />

siano dotati di elevata specificità ma di scarsa sensibilità<br />

nel riconoscere forme di celiachia con lesioni non-atrofiche<br />

riporta in primo piano il riconoscimento delle lesioni istologiche<br />

ed in particolar modo di quelle di tipo infiltrativo o<br />

iperplastico (tipo I e II di Marsh-Oberhuber). Un punto importante<br />

è definire quale sia il significato clinico delle forme<br />

non-atrofiche e se esse siano sempre indicative di celiachia.<br />

A tale proposito i dati disponibili appaiono contradditori. Alcuni<br />

lavori sembrano dimostrare come in realtà il pattern di<br />

tipo infiltrativo sia indicativo di celiachia solo in una parte<br />

dei soggetti; al contrario, in una altrettanto numerosa frazione<br />

di pazienti, esso si associa a patologie varie, quali epatopatie<br />

croniche, colite ulcerosa, pancreatite cronica, ecc. 11 12 .<br />

Di particolare interesse a tale proposito sono i dati presentati<br />

da Villanacci nel corso del Congresso SIAPEC-IAP 2003 13 ,<br />

che prendendo in considerazione 122 pazienti con lesioni di<br />

tipo infiltrativo ed iperplastico, ha riscontrato positività dei<br />

marcatori sierologici per celiachia in circa la metà dei casi,<br />

dimostrando nuovamente che pattern infiltrativo non equivale<br />

necessariamente a celiachia. Ma il dato più rilevante deriva<br />

dalla incidenza di positivizzazione sierologica osservata<br />

in circa il 10% dei casi nel corso di un follow-up piuttosto


250<br />

breve (circa 8-24 mesi), riconoscendo pertanto al pattern infiltrativo<br />

il significato di lesione iniziale della malattia celiaca.<br />

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Le neoplasie mesenchimali gastrointestinali<br />

CD117 negative<br />

C. Capella, V. Bertolini, A.M. Chiaravalli<br />

Dipartimento di Morfologia Umana, Sezione di Anatomia<br />

Patologica, Università dell’Insubria, Varese<br />

I tumori mesenchimali del tratto gastroenterico costituiscono<br />

un gruppo eterogeneo di neoplasie originate da cellule stromali<br />

presenti in tutto il tratto digerente. Sono neoplasie a cellule<br />

fusate o epitelioidi che si sviluppano con aspetti differenti<br />

in relazione alla localizzazione e alle dimensioni. Possono<br />

presentarsi come piccoli noduli o masse confinate nello<br />

spessore della parete, espandersi verso il lato luminale o crescere<br />

sotto la sierosa di un viscere. Alcune neoplasie costituiscono<br />

reperti occasionali nel corso di interventi chirurgici<br />

eseguiti per altri motivi (chirurgia addominale o ginecologica)<br />

o di indagini diagnostiche per immagini. I sintomi sono<br />

in relazione alle dimensioni, alla sede, alla localizzazione<br />

della neoplasia e al comportamento benigno o maligno. La<br />

sintomatologia più frequente è costituita da ostruzione, dolore<br />

addominale, sanguinamento, intussuscezione, perdita di<br />

peso ed epatomegalia. Il comportamento biologico dei tumo-<br />

CORSI BREVI - SLIDE SEMINARS<br />

ri non è univoco ed è spesso in relazione al tipo istologico, alla<br />

sede e alle dimensioni della neoplasia. Da molti anni sono<br />

stati presi in considerazione vari criteri per identificare le<br />

neoplasie che possono sviluppare un comportamento maligno,<br />

ma non esistono ancora parametri, ben standardizzati,<br />

per definire degli indici prognostici certi.<br />

La nostra casistica è costituita da 140 tumori mesenchimali<br />

del tratto gastroenterico diagnosticati tra il 1973 e il 2002. Di<br />

ciascun caso sono state valutate le caratteristiche citologiche<br />

e istologiche ed è stato effettuato uno studio immunoistochimico<br />

con il metodo del complesso Avidina-Biotina perossidasi<br />

(Hsu et al., 1981). Fletcher et al. 1 hanno proposto di definire<br />

con il termine GIST le neoplasie che mostrano espressione<br />

immunoistochimica del recettore di membrana CD117<br />

(KIT) (GIST-CD117+). Valutando l’immunoreattività per<br />

questo marcatore delle 140 neoplasie mesenchimali studiate<br />

98 (70%) erano GIST-CD117+. Le 42 neoplasie CD117-negative<br />

sono state suddivise sulla base del profilo immunoistochimico<br />

in: tumori-CD34+ (T-CD34+, positivi per CD34, vimentina,<br />

NSE, PGP9.5: 2 casi, 1,4%); tumori inclassificabili<br />

(TI, positivi per vimentina, NSE, PGP9.5: 4 casi, 2,8%); tumori<br />

a cellule di Schwann-gliali o Schwannomi (TSG, positivi<br />

per la proteina S-100, GFAP, PGP9.5, NSE: 4 casi, 2,8%);<br />

tumori a cellule neuro-gliali (TNG, positivi per NSE, PGP9.5,<br />

S-100 e sinaptofisina: 1 caso, 0,7%); 6) tumori a cellule muscolari<br />

lisce o leiomiomi-leiomiosarcomi (TML, positivi per<br />

desmina e/o actina: 23 casi,16,4%); tumori fibrosi (TF, positivi<br />

solo per vimentina: 8 casi, 5,7%). Nei diversi gruppi vi è<br />

differente distribuzione tra i sessi: per i T-CD34+, i TML e i<br />

TI, come per i GIST-CD117+, vi è una prevalenza maschile<br />

(M/F: 2/0; 14/9; 3/1; 52/46;), mentre i TSG e TF prevalgono<br />

nelle femmine (1/3; 2/6). L’età media di insorgenza della neoplasie<br />

(64,6 anni per i GIST-CD117+) varia da 55,6 anni per<br />

i TF a 69 anni per i T-CD34+. L’età più bassa è di 18 anni per<br />

i TML e la più elevata di 86 anni per i TI. I pazienti sono stati<br />

seguiti per un lungo periodo (fino a 293 mesi) con un follow-up<br />

medio di 74 mesi. Dei pazienti con GIST-CD117+ i<br />

morti per malattia sono 15 (15,6%), contro il 50%, il 25% e il<br />

4,4% rispettivamente dei pazienti con TI, TSG, TML. Non si<br />

sono osservate morti per malattia tra i pazienti con T-CD34+,<br />

TF, TNG. Tutti i TSG e i T-CD34+ sono localizzati allo stomaco<br />

che risulta essere la sede preferenziale anche dei GIST-<br />

CD117+ (57%); al contrario, i TF sono più spesso localizzati<br />

al digiuno-ileo (75%) e i TML al colon (47,8%). Il diametro<br />

medio maggiore è presente nei T-CD34+ (16,5 cm) contro un<br />

diametro medio di 9 cm, 5,1 cm, 3,1 cm, 1,8 cm rispettivamente<br />

per i TI, TF, TSG e TML. I GIST-CD117+ hanno un<br />

diametro medio di 6,8 cm. L’indice mitotico medio, valutato<br />

su 50 campi ad alto ingrandimento, è basso in tutti i gruppi (T-<br />

CD34+: 1,5; TF: 0,6; TSG: 0,5; TNG: 0; TML: 3,7), eccetto<br />

che per i TI (36,7). Per i GIST-CD117+ il valore medio è 8,4.<br />

La necrosi è presente nel 75% dei TI e nel 32 % dei GIST-<br />

CD117+, mentre è assente nel 100% dei T-CD34+ e dei TSG,<br />

nel 95,5% dei TML e nell’87,5% dei TF. Le atipie cellulari<br />

sono assenti nell’unico caso TNG; esse sono invece presenti<br />

in tutti i casi di T-CD34+ e TI, e variano dal 37,5% dei casi<br />

per i TF al 75% dei casi per i TSG. L’indice proliferativo (immunoreattività<br />

per ki67) è elevato solo per i TI (33,5%); nei<br />

GIST-CD117+ è di 5,3%. Negli altri gruppi di tumori varia tra<br />

l’1% dei T-CD34+ e il 2% dei TSG.<br />

Sono stati considerati clinicamente maligni quei casi in cui i<br />

pazienti sono deceduti per progressione di malattia o hanno<br />

sviluppato metastasi o recidiva. Rispondono a questi criteri 1<br />

T-CD34+ (50%), 1 TF (12,5%), 2 TML (4,4%), 1 TI (33%). I<br />

GIST-CD117+ maligni sono 16 (17%). Applicando a tutta la


PATOLOGIA DIGESTIVA<br />

casistica i criteri proposti da Fletcher et al. 1 per i GIST-CD117,<br />

le neoplasie sono state suddivise, sulla base del diametro massimo<br />

e dell’indice mitotico, in quattro categorie di rischio di<br />

comportamento maligno: molto basso, basso, intermedio ed<br />

elevato. L’unico tumore a cellule neurogliali ha un rischio molto<br />

basso di sviluppare un comportamento maligno. Il 75% dei<br />

TI appartiene alla categoria a rischio elevato e il 25% è a basso<br />

rischio. I TSG sono ugualmente distribuiti (33,3%) tra i primi<br />

tre gruppi di rischio. Tra i TF la maggior parte delle neoplasie<br />

rientra nei a gruppi a rischio molto basso e a rischio basso<br />

(50%; 16,6%), mentre il 33,3% sono a rischio intermedio.<br />

Sia tra i TSG che tra i TF mancano neoplasie a rischio elevato.<br />

I TML sono per la maggior parte tumori a rischio molto<br />

basso e basso (61%; 26%), mentre i 2 T-CD34+ sono uno a rischio<br />

intermedio e l’altro a rischio elevato (66,6%; 33,3%). I<br />

GIST-CD117+ non mostrano una significativa differenza di distribuzione<br />

tra i diversi gruppi di rischio (14,4% molto basso,<br />

24,4% basso, 26,6% intermedio, 34,4% elevato).<br />

I dati sopra riportati dimostrano che il profilo immunofenotipico<br />

proposto consente di individuare tipi di tumori stromali<br />

gastroenterici che differiscono oltre che per la diversa distribuzione<br />

per sede e per sesso anche per le loro caratteristiche<br />

biologiche. In particolare, tra i tumori CD117 negativi, è possibile<br />

identificare neoplasie come i TI e i T-CD34+ che, forse<br />

perché meno ben differenziati rispetto agli altri immunofenotipi,<br />

mostrano una potenzialità maligna superiore a quella<br />

osservata per i GIST-CD117+. I TML e i TSG, invece,<br />

sembrano avere un andamento clinico migliore.<br />

Bibliografia<br />

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I polipi serrati del colon<br />

M. Risio<br />

Servizio di Anatomia ed Istologia Patologica, Istituto per la<br />

Ricerca e Cura del Cancro, Candiolo, Torino<br />

“Configurazione Serrata” 1 indica, seppure con impropria traslazione<br />

linguistica, l’aspetto dentellato, seghettato dell’epitelio<br />

che, unitamente a minime alterazioni architetturali (allungamento<br />

della cripta), caratterizza tipicamente i polipi<br />

iperplastici del grosso intestino. L’evento morfogenetico basilare<br />

è il rallentamento del flusso di scorrimento delle cellule<br />

epiteliali dalla base della cripta di Lieberkhun alla superficie<br />

mucosa, che normalmente garantisce il trofismo ed il rinnovamento<br />

della mucosa intestinale: il conseguente accumulo<br />

cellulare si organizza in forma di salienze endoluminali discrete<br />

che nel complesso costituiscono la configurazione serrata<br />

2 . Lo spegnimento di alcuni segnali cellula-matrice che<br />

fisiologicamente attivano l’apoptosi in corrispondenza dello<br />

sbocco della cripta (anoikis) e/o un decremento della morte<br />

cellulare programmata compensatoria nel terzo medio-inferiore<br />

sono i meccanismi che sottostanno al fenomeno 3 . La<br />

proliferazione cellulare è modicamente fluttuante, in dipendenza<br />

delle fasi di sviluppo del polipo, ma rigidamente compartimentalizzata<br />

come nella cripta normale 4 e garantisce il<br />

raggiungimento omeostatico di uno stato di equilibrio per il<br />

quale la soglia dimensionale dei comuni polipi iperplastici<br />

non eccede il mezzo centimetro 5 . Lo scorrimento è finemente<br />

sincronizzato con i processi di differenziazione/maturazione<br />

cellulare per cui il rallentamento del primo implica necessariamente<br />

alterazioni dei secondi. È possibile pertanto di-<br />

251<br />

stinguere, in base alle caratteristiche citologiche dell’epitelio<br />

serrato, polipi iperplastici di tipo a cellule caliciformi, di tipo<br />

microvescicolare ed ipomucinoso 6 .<br />

Mentre la configurazione serrata in assenza di displasia è tipica<br />

dei polipi iperplastici, di più difficile inquadramento nosografico<br />

ed interpretazione diagnostica sono i polipi serrati<br />

nei quali si associ la neoplasia intraepiteliale. Fenomi di collisione<br />

con popolazioni cellulari indipendenti ed originariamente<br />

neoplastiche sono verosimilmente alla base dei polipi<br />

misti, iperplastici-adenomatosi, in cui l’istologia della componente<br />

displastica è quella tipica degli adenomi tubulari 7 . Vi<br />

sono invece evidenze per un percorso morfogenetico peculiare<br />

che conduce dalla configurazione serrata alla neoplasia<br />

intraepiteliale di alto grado attraverso fasi intermedie di progressiva<br />

ingravescenza ed estensione della displasia nel contesto<br />

di singoli polipi. Le caratteristiche salienti di tipo architetturale<br />

(cripte orizzontali, papille secondarie, microgemmazioni)<br />

e citocariologiche (stratificazione ed ipercromasia nucleare,<br />

anisocitosi, eosinofilia del citoplasma, deplezione di<br />

cellule endocrine, anomalie citoproliferative) quando presenti<br />

su tutta la superficie del polipo consentono l’identificazione<br />

dell’adenoma serrato 6 . Meno immediato è l’inquadramento<br />

dei polipi serrati in cui coesistono settori nettamente confinati<br />

e preponderanti di tipo iperplastico accanto ad altri minoritari<br />

e sicuramente adenomatosi, oppure diffuse ed importanti<br />

alterazioni istotopografiche della citoproliferazione in<br />

assenza di displasia (c.d. “SPAP: serrated polyp with abnormal<br />

proliferation” 8 ), o ancora adenomi tubulo-villosi con<br />

aspetti serrati focali o distrettuali.<br />

I comuni, piccoli polipi iperplastici del retto-sigma sono ritenuti<br />

privi di potenziale di trasformazione maligna anche se, per<br />

la loro frequente associazione con vari tipi di lesioni o alterazioni<br />

della progressione tumorale del colon sono stati interpretati<br />

come lesioni paraneoplastiche 9 . La “Neoplasia Serrata”,<br />

che comprende i grossi (0,5-1 cm) polipi iperplastici del colon<br />

prossimale, le poliposi iperplastiche 10 , e l’adenoma serrato, è<br />

stata recentemente postulata come precancerosi intestinale 11 12 :<br />

tale percorso tumorigenetico alternativo potrebbe corrispondere<br />

al 30% dei carcinomi colorettali 13 . Dal punto di vista della<br />

genetica molecolare, l’inattivazione di numerosi geni (tra i<br />

quali quelli deputati alla riparazione del DNA, hMLH1 e<br />

hMSH2) tramite la metilazione del promotore (Fenotipo<br />

CIMP, “CpG Island Methylator Phenotype”), è il probabile<br />

meccanismo induttore della sequenza 14 15 . La ridotta espressione<br />

immunoistochimica delle proteine hMHL1 e hMSH2 e lo<br />

stato di instabilità microsatellitare caratterizzano il profilo molecolare<br />

dei polipi serrati con potenziale evolutivo 6 11 , mentre<br />

un’alta frequenza di mutazioni k-ras in assenza del fenotipo<br />

CIMP è associata ai polipi iperplastici, non evolutivi, del colon<br />

distale 8 . Aspetti serrati sono stati tuttavia osservati anche nei<br />

polipi delle poliposi familiari adenomatose attenuate (AFAP),<br />

sia in famiglie giapponesi con mutazione germinale del gene<br />

APC 16 sia in famiglie italiane con mutazione germinale del gene<br />

MYH 17 : l’impatto della componente serrata sulla storia naturale<br />

della poliposi deve tuttavia ancora essere chiarito.<br />

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PATHOLOGICA 2004;96:253-256<br />

Patologia della testa e del collo<br />

Validità dell’immunoistochimica come ausilio<br />

nella diagnostica istologica dei tumori delle<br />

ghiandole salivari<br />

M.P. Foschini, A. Gaiba, A. Righi, V. Eusebi<br />

Anatomia ed Istologia Patologica, Dipartimento di Scienze<br />

Oncologiche, Università di Bologna, Ospedale Bellaria, Bologna<br />

L’inquadramento diagnostico e prognostico delle neoplasie<br />

delle ghiandole salivari può essere difficoltoso, in quanto si<br />

tratta di entità rare che frequentemente presentano una grande<br />

variabilità di aspetti morfologici. Nel corso delle ultime<br />

due decadi, l’introduzione delle tecniche di immunoistochimica<br />

nella diagnostica ha consentito una migliore tipizzazione<br />

di tali neoplasie, sia sotto il profilo diagnostico che prognostico.<br />

Il carcinoma mucoepidermoide (MEC) è composto da diversi<br />

tipi di cellule e l’aspetto morfologico complessivo varia a seconda<br />

del tipo cellule prevalente. Si riconoscono cellule basaloidi,<br />

cellule epidermoidi, intermedie, colonnari e mucoidi.<br />

Ogni tipo cellulare ha un suo profilo immunoistochimico. Utilizzando<br />

anticorpi anti-citocheratina (CK)14, CK7 ed anti mitocondrio<br />

si evidenzia come la positività per CK14 e per mitocondrio<br />

si dispone alla periferia mentre la positività per<br />

CK7 si trova nella parte centrale dei nidi e delle cisti neoplastiche.<br />

Lo stesso tipo di positività viene mantenuto nei MEC<br />

che insorgono nella mammella. Questo tipo di positività è simile<br />

a quello osservato nelle cellule dei dotti striati e suggerisce<br />

che il MEC si differenzi in tale senso 2 . Il MEC viene suddiviso<br />

in tre gradi istologici e questo grading ha un risvolto<br />

prognostico molto importante. Tuttavia esistono incertezze riguardo<br />

la prognosi dei casi di grado intermedio. Per tipizzare<br />

ulteriormente quest’ultimo gruppo sono stati studiati vari<br />

marcatori. Tra questi è stato suggerito che una elevata espressione<br />

di PCNA e Ki67, insieme alla sovraespressione di c-<br />

Erb-B2 sono indicatori di aggressività 3 .<br />

Il Carcinoma adenoidocistico (ADCC) e carcinoma epi-mioepiteliale<br />

(EMCC) sono neoplasie che presentano una differenziazione<br />

sia in senso epiteliale che in senso mioepiteliale.<br />

Pertanto vi è positività per marcatori di entrambi i tipi cellulari.<br />

Sono stati studiati numerosi marcatori di differenziamento<br />

mioepiteliale, quali actina muscolo liscio, calponina, caldesmone,<br />

miosina a catene pesanti, proteina S-100, GFAP ed altri.<br />

Tra questi gli anticorpi anti actina muscolo liscio ed anti<br />

calponina sono quelli più frequentemente positivi e pertanto<br />

utilizzabili nella diagnostica quotidiana. Infine nell’ADCC gli<br />

anticorpi anti collagene IV ed anti laminina evidenziano i depositi<br />

di membrana basale che caratterizzano la neoplasia. Le<br />

cellule epiteliali sono positive con citocheratine a basso peso<br />

molecolare, quali CK7 e CK8 e con antigene epiteliale di<br />

membrana (EMA). Aspetti prognostici: recentemente sono<br />

stati descritti casi di ADCC dedifferenziati, che hanno avuto<br />

un andamento clinico rapidamente aggressivo 1 4 . Le aree dedifferenziate<br />

esprimono intensamente c-kit, oltre a presentare<br />

sovra-espressione di c-Erb-B2, p53 ed un elevato indice proliferativo<br />

evidenziato con Ki67.<br />

Il carcinoma acinico (CA) mostra una grande varietà di<br />

aspetti morfologici che possono renderne difficile l’interpre-<br />

Moderatori: G. De Rosa (Napoli) e O. Nappi (Napoli)<br />

tazione diagnostica. In generale il CA manca della differenziazione<br />

mioepiteliale e mostra un profilo immunoistochimico<br />

simile a quello osservato nelle cellule degli acini ghiandolari.<br />

In particolare è positivo per CK 7 e CK8 e lisozima. Il<br />

CA inoltre può presentare aspetti di tipo “follicolare” che simulano<br />

una metastasi da carcinoma tiroideo. In questi casi,<br />

oltre alla storia clinica, la negatività per TTF-1 e per tireoglobulina,<br />

aiutano nella diagnosi differenziale. Inoltre sono<br />

stati descritti recentemente casi di CA dedifferenziati 5 . In tali<br />

casi per una corretta diagnosi è importante l’identificazione<br />

di aspetti tipici di CA.<br />

Carcinoma duttale (CD) delle ghiandole salivari è simile al<br />

carcinoma duttale mammario e può presentarsi nella forma in<br />

situ (CDIS) e nella forma invasiva (CDI), entrambi vanni distinti<br />

in forme ad alto e a basso grado di malignità. Sia ai fini<br />

prognostici che per differenziare il CD delle ghiandole salivari<br />

da una metastasi da carcinoma mammario è importante<br />

distinguere le forme prevalentemente o completamente in<br />

situ dalle forme prevalentemente invasive. A tale scopo possono<br />

essere utili le colorazioni che evidenziano la membrana<br />

basale, come collagene IV e laminina e le colorazioni che<br />

evidenziano le cellule mioepiteliali e basali, come p63,<br />

CK14, actina muscolo liscio e calponina. IL CDI delle ghiandole<br />

salivari è positivo con sieri anti recettori per estrogeno e<br />

progesterone e con siero anti c-Erb-B2 6 .<br />

Bibliografia<br />

1 Cheuk W, Chan JKC, Ngan RKC. Dedifferentiation in adenoid cystic<br />

carcinoma of salivary gland. Am J Surg Pathol 1999;23:465-472.<br />

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and evidence of striated duct differentiation. Virchows Archiv<br />

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Settembre 2003, pag. 99-105.<br />

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and protein in saliavry duct carcinomas of parotid gland as revealed<br />

by fluorescence in-situ hybridization and immunohistochemistry. Histopathology<br />

2003;42:348-356.<br />

Biomolecular prognostic markers<br />

in uveal melanoma<br />

S. Staibano<br />

Department of Biomorphological and Functional Sciences,<br />

Section of Pathology, University Federico II of Naples<br />

Uveal melanoma (UM) is the most common primary intraocular<br />

malignant tumour. Approximately 40% of patients with<br />

posterior UM develop metastatic melanoma to the liver within<br />

10 years after initial diagnosis. Despite high accuracy of<br />

diagnosis and availability of various methods of treatment,<br />

the mortality due to UM has remained unchanged. Once


254<br />

haematogenous metastasis has occurred, there is no cure for<br />

the disease and there is an obvious need for new biological<br />

prognostic markers to estimate the risk of metastasis.<br />

The prognosis depends on clinical, histopathological and cytological<br />

factors. Clinical factors include location, size, and<br />

configuration of the tumour.<br />

Histopathological factors includes firstly the cell type: epithelioid<br />

tumours carry a worse prognosis than spindle cell<br />

tumours but, until now, it has not been possible to give a<br />

strong indication of prognosis in mixed-cell tumours, which<br />

represent the majority of uveal melanomas. Other histopathological<br />

factors considered as predictors of biological behavior<br />

are mitotic activity, microcirculation architecture, tumour-infiltrating<br />

lymphocytes and the presence of extrascleral<br />

extension.<br />

At the time of diagnosis, many patients already harbor microscopic<br />

metastases, thus underscoring a critical need to identify<br />

prognostic markers indicative of metastatic potential.<br />

For these reasons, there is interest in gaining a greater understanding<br />

of molecular changes associated with aggressive<br />

disease patterns in UM. This might result in new, more effective<br />

and less toxic therapies as well as provide prognostic<br />

information for defining subgroups of patients with a less<br />

favourable prognosis as potential candidates for adjuvant<br />

therapies.<br />

More recently, cytological factors such as cell proliferation,<br />

cytogenetic, and molecular genetic prognostic markers have<br />

been identified with the hope of detecting high risk cases for<br />

adjuvant systemic immune therapy or chemotherapy.<br />

Many of these parameters have only been described once so<br />

that they cannot be considered established markers. A few,<br />

however, such as vascular patterns or genetic changes, were<br />

independently identified by several groups and now constitute<br />

recognized prognostic markers. The association of these<br />

factors with the disease course provides us with ever-new insights<br />

into the biology of this tumor. In particular, changes in<br />

chromosomes 3 and 8q correlate strongly with a decreased<br />

survival of the patient, whereas chromosome 6 abnormalities<br />

are associated with a better prognosis. Usually, karyotyping<br />

and fluorescence in situ hybridization (FISH) analysis are<br />

used to detect these abnormalities in resected tumor tissues.<br />

Alterations in p53 expression are associated with the expression<br />

of the cellular proliferation marker, Ki-67, but are not<br />

associated with the presence of microcirculation patterns 1 .<br />

The Cyclin-dependent kinase inhibitory proteins (CKIs) p21<br />

and p27 seem to be involved in tumorigenesis in UM. Cyclin<br />

D1 positivity is an independent prognostic factor after control<br />

for other prognostic markers. The expression of cyclin<br />

D1 in uveal melanoma is associated with a more aggressive<br />

course and histologically unfavourable disease 2 . This could<br />

serve as a further independent prognostic factor in uveal<br />

melanoma.<br />

The loss of cell adhesion molecules intercellular cell adhesion<br />

molecule-1 (ICAM-1) expression has been associated<br />

with an increased risk of metastasis within the first 5 years<br />

after diagnosis.<br />

Also the immunohistochemical analysis of matrix metalloproteinase-2<br />

(MMP-2) MMP-2 seems to have a role in predicting<br />

the risk of metastasis in UM, as suggested also for the<br />

cyclooxygenase-2 (COX-2), an inducible prostaglandin (PG)<br />

synthase.<br />

On the contrary, nuclear c-myc oncoprotein has been detected<br />

in most of the tumours, and survival analysis revealed a<br />

significant association between high oncoprotein positivity<br />

and improved survival. Nuclear c-myc oncoprotein seems to<br />

CORSI BREVI - SLIDE SEMINARS<br />

be an independent prognostic marker more accurate than other<br />

clinicopathological parameters. This result is surprising<br />

and in contrast to that concerning cutaneous melanoma, confirming<br />

that the pattern of oncogene expression in uveal<br />

melanoma is distinct from cutaneous melanoma and that the<br />

underlying biology of these tumours is quite different. Similarly,<br />

the nm23 positivity is inversely associated with scleral<br />

invasion level and largest tumour diameter, which represent<br />

the two most significant prognostic factors for metastasis. On<br />

the other hand, there has not been found any correlation between<br />

nm23 expression and other prognostic markers such as<br />

cell type, intraocular location or clinical characteristics.<br />

DNA ploidy and cell cycle measurements of UM tissue are<br />

regarded as having limited prognostic significance. In contrast,<br />

dual-parameter (DNA monoclonal antibody) flow cytometry<br />

offers a convenient and rapid way to screen tumour<br />

samples for a variety of phenotypic markers, whilst simultaneously<br />

measuring DNA ploidy and cell cycle, and therefore<br />

has the increased potential to identify clinically relevant indicators<br />

of disease progression. Nucleolar morphometric parameters<br />

may also be indicative of biological aggressive behavior<br />

3 4 .<br />

Microarray analysis technology has the potential to classify<br />

UM basing on the differential expression of genes. Collaborative,<br />

multidisciplinary approach are needed to study the<br />

molecular determinants of human UM invasion and metastasis.<br />

It has to be outlined that UM arise in an immune-privileged<br />

ocular environment, in wich both adaptive and innate immune<br />

systems are selectively suppressed. However, reports<br />

of spontaneous regression and the delayed appearance of<br />

metastasis suggest that immunological mechanisms might be<br />

important in this tumor. The prognostic relevance of the characterization<br />

of the phenotype of tumor-infiltrating lymphocytes<br />

(TILs), correlated with the expression of Fas/FasL on<br />

tumor cells and TILs will be discussed.<br />

Bibliografia<br />

1 Chowers I, Folberg R, Livni N, Pe’er J. p53 Immunoreactivity, Ki-67<br />

expression, and microcirculation patterns in melanoma of the iris, ciliary<br />

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3 Staibano S, Orabona P, Mezza E, Salvatore G, Tranfa F, Capone D,<br />

Errico ME, Bonavolonta G, Lucariello A, De Rosa G. Morphometric<br />

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4 Al-Jamal RT, Makitie T, Kivela T. Nucleolar diameter and microvascular<br />

factors as independent predictors of mortality from malignant<br />

melanoma of the choroid and ciliary body. Invest Ophthalmol Vis Sci<br />

2003;44(6):2381-9.<br />

Eterogeneità clonale del carcinoma<br />

squamoso della laringe<br />

L. Resta, F. Sanguedolce, L. Tornillo * , L. Terracciano *<br />

DAPEG, Dipartimento di Anatomia Patologica e di Genetica,<br />

Sezione di Anatomia Patologica, Università di Bari; * Institute<br />

of Pathology, University of Basel, Switzerland<br />

Tra tutte le neoplasie epiteliali maligne della testa e del collo<br />

(HNSCC, head and neck squamous cell carcinoma), il<br />

carcinoma squamoso della laringe costituisce una quota rilevante<br />

con un tasso di sopravvivenza globale tuttora basso,


PATOLOGIA DELLA TESTA E DEL COLLO<br />

caratterizzato per l’elevata incidenza sia di recidive sia di<br />

metastasi ai linfonodi locoregionali. In particolare, la presenza<br />

di metastasi linfonodali riduce drasticamente la sopravvivenza<br />

del 50% rispetto ai pazienti che ne sono privi.<br />

L’incidenza del carcinoma squamoso del laringe è andata<br />

aumentando negli ultimi decenni in diversi Paesi tra cui l’Italia<br />

per l’allungarsi dell’aspettativa di vita, ma soprattutto<br />

per gli alti livelli di esposizione a fattori di rischio: questi<br />

sono rappresentati principalmente dal fumo di tabacco e<br />

dall’assunzione di alcool, e poi da sostanze tossiche per inalazione<br />

presenti nell’aria inquinata o in particolari ambienti<br />

lavorativi. Tra tutti gli organi della testa e del collo, è proprio<br />

il laringe, a causa della sua peculiare anatomia, che risente<br />

in maniera particolarmente prolungata dell’azione di<br />

tali fattori carcinogenici; nello specifico, il tabacco determina<br />

un rischio maggiore per il carcinoma delle corde vocali<br />

e della glottide, mentre l’alcool pare correlato allo sviluppo<br />

del tumore in sede sovraglottica. Szyfter et al. 1 hanno<br />

proposto nel seguente schema un modello di carcinogenesi<br />

multifase che può essere applicato alle neoplasie della<br />

testa e del collo in generale, ed al carcinoma della laringe in<br />

particolare: carcinogeni (per es. fumo di tabacco) → danno<br />

al DNA → aberrazioni cromosomiche/mutazioni geniche →<br />

alterata funzione genica → perdita del controllo sul ciclo<br />

cellulare → aumentata proliferazione cellulare → alterazioni<br />

istopatologiche → carcinoma squamocellulare della laringe.<br />

In base a ciò, il carcinoma della laringe appare caratterizzato<br />

da alterazioni cariotipiche complesse, dovute al<br />

progressivo accumulo di multiple mutazioni somatiche che<br />

inducono una selezione positiva di determinati cloni cellulari;<br />

ciò può indurre allo sviluppo di cloni e subcloni di cellule<br />

neoplastiche citogeneticamente correlati.<br />

La presenza di tali cloni cellulari nell’ambito della stessa<br />

neoplasia, come pure la relativa frequenza di carcinomi squamocellulari<br />

multifocali può essere spiegata con il concetto di<br />

“field cancerization” 2 : il carcinoma origina in punti diversi<br />

su un’unica area di mucosa stimolata dai carcinogeni, come<br />

appare evidente dalla frequente osservazione di lesioni più<br />

piccole che si uniscono a formare un singolo grosso tumore.<br />

In uno studio condotto in collaborazione con l’Istituto di Patologia<br />

dell’Università di Basilea (Svizzera) abbiamo ricercato<br />

con la tecnica della CGH (Comparative Genomic Hybridization)<br />

la presenza di alterazioni cromosomiche sia sul<br />

tumore laringeo che sulle metastasi linfonodali degli stessi<br />

pazienti. Lo studio ha dimostrato una notevole varietà di alterazioni<br />

nell’ambito delle singole neoplasie primitive e differenze<br />

tra tumore primitivo e rispettiva metastasi. L’analisi<br />

statistica ha dimostrato una frequenza significativa per determinate<br />

alterazioni: aumenti in 5p, 16p, 9p, e perdite in 16q,<br />

9q, 20p. La delezione di 11q23-ter è risultata correlata con<br />

l’età, mentre la delezione di 1q è risultata correlata con una<br />

prognosi peggiore. Alle regioni cromosomiche segnalate corrispondono<br />

loci genici già associati in letteratura al carcinoma<br />

squamoso della laringe o più in generale della testa e del<br />

collo, tra cui CDNK2A/p16, Rb, DCC 3 4 .<br />

L’approfondimento del concetto di eterogeneità clonale nell’ambito<br />

dei carcinomi squamosi della laringe risulta di grande<br />

interesse per la comprensione della loro genesi e del loro<br />

comportamento biologico.<br />

Bibliografia<br />

1 Szyfter K, Szmeja Z, Szyfter Z, Hemminki K, Banaszewski J, Jaskula-Sztul<br />

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4 Rafferty MA, Fenton JE, Jones AS. An overview of the role and interrelationship<br />

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protein on the carcinogenesis of squamous cell carcinoma<br />

of the larynx. Clin Otolaryngol 2001;26:317-20.<br />

L’immunoistochimica nella definizione<br />

diagnostica dei tumori del tratto sinonasale<br />

O. Nappi, A. Boscaino, A. D’Antonio, P. Galloro<br />

U.O. di Anatomia patologica, Azienda Ospedaliera “Antonio<br />

Cardarelli ”, Napoli<br />

Il tratto sinonasale rappresenta un unico distretto anatomofunzionale,<br />

dal quale possono originare proliferazioni neoplastiche<br />

e similneoplastiche molto diversificate. La presentazione<br />

clinica è frequentemente costituita da un polipo o da<br />

una poliposi, spesso clinicamente diagnosticati come infiammatori,<br />

più raramente da voluminose masse occupanti gli<br />

spazi sinusali. Poiché, a causa delle caratteristiche anatomiche<br />

della sede, una ragionevole radicalità, in caso di malignità,<br />

è garantita solo da interventi chirurgici molto demolitivi,<br />

è assolutamente perentoria la massima accuratezza diagnostica.<br />

Sebbene per alcune lesioni l’aspetto morfologico microscopico<br />

è peculiare, in molti casi lo studio immunoistochimico è<br />

contributivo o determinante per una corretta diagnosi.<br />

Le più frequenti problematiche che il patologo è chiamato ad<br />

affrontare riguardano:<br />

1. Natura di proliferazione ghiandolare atipica<br />

L’immunoistochimica può dar un contributo considerevole<br />

nella distinzione tra i vari tipi di adenocarcinomi (di origine<br />

salivare e non salivare e, tra questi ultimi, di origine enterica<br />

e non enterica 1 ). Poco efficace è invece nella distinzione tra<br />

proliferazione ghiandolare reattiva, nell’ambito di polipi infiammatori<br />

o sinusiti croniche, e neoplastica.<br />

2. Istogenesi di neoplasia a grandi cellule epitelioidi<br />

Sono molte le neoplasie di questo distretto caratterizzate da<br />

grandi cellule epitelioidi, in particolare: carcinomi scarsamente<br />

differenziati, melanomi, plasmacitomi anaplastici,<br />

linfomi a grandi cellule. Anche i rari casi di cordoma che si<br />

presentano come polipi nasali, possono almeno parzialmente<br />

rientrare in questa tipologia morfologica. Inutile sottolineare<br />

che in questa area diagnostica l’immunoistochimica gioca un<br />

ruolo determinante 2 3 .<br />

3. Istogenesi di neoplasia a piccole cellule<br />

Le neoplasie a piccole cellule in questo distretto sono principalmente<br />

rappresentate dal neuroblastoma olfattorio e dallo<br />

SNUC (Sinonasal undifferentiated carcinoma 4 ); esse vanno<br />

differenziate dal carcinoma neuroendocrino a piccole cellule,<br />

dal carcinoma squamocellulare non cheratinizzante a piccole<br />

cellule, dalla variante solida di carcinoma adenoideo-cistico,<br />

dal melanoma a piccole cellule, dal PNET/Ewing sarcoma,<br />

dal condrosarcoma mesenchimale oltre che, naturalmente, dai<br />

linfomi a cellule di piccola/media taglia ed in particolare dal<br />

T/NK cell lymphoma nasal-type. Il rabdomiosarcoma embrionario,<br />

alveolare o misto, va ovviamente considerato soprattutto,<br />

anche se non esclusivamente, nell’età pediatrica. Non va,<br />

inoltre trascurata la possibilità di adenomi pituitari ectopici<br />

che si presentano con una morfologia a piccole cellule 5 . In


256<br />

questa area morfologica, l’immuno-istochimica appare indispensabile<br />

per un inquadramento diagnostico corretto.<br />

4. Istogenesi di proliferazione a cellule fusate<br />

Carcinomi sarcomatoidi, sarcomi di vario tipo e melanomi in<br />

questo distretto possono esibire una morfologia a cellule fusate.<br />

Fibromatosi sinonasali sono state anche descritte.Va<br />

senz’altro menzionata la frequente presenza in polipi infiammatori,<br />

di cellule bizzarre di origine stromale, che in casi selezionati<br />

possono arrivare a simulare un sarcoma. Di particolare<br />

interesse, inoltre, la possibilità di riscontrare un meningioma<br />

extracranico 6 e una ectopia gliale. È inutile sottolineare<br />

l’importanza dello studio immunoistochimico in questo<br />

tipo di diagnostica differenziale.<br />

5. Istogenesi di proliferazione vascolare<br />

Tra i tumori vascolari, il tumore emangiopericitoma-simile<br />

sinonasale 7 8 va differenziato dal glomangioma, dall’angioma<br />

capillare lobulare, dal tumore solitario fibroso, dal sarcoma<br />

di Kaposi e da angiosarcomi soprattutto se con presentazione<br />

morfologica insolita.<br />

Frequenti episodi infiammatori e di epistassi possono, peraltro,<br />

produrre in questa sede tessuto di granulazione particolarmente<br />

esuberante e simulante un tumore vascolare.<br />

La morfologia microscopica è sicuramente prioritaria in questa<br />

diagnostica differenziale; tuttavia, valutazioni immunoistochimiche<br />

mirate (per esempio l’immunopositività per CD34<br />

nel Tumore solitario fibroso) sono sicuramente di supporto.<br />

Su materiale bioptico o su prelievi citologici agoaspirativi, la<br />

diagnostica differenziale è spesso più complessa e ancora<br />

CORSI BREVI - SLIDE SEMINARS<br />

maggiore può essere l’utilità di un accurato studio immunoistochimico.<br />

Bibliografia<br />

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PATHOLOGICA 2004;96:257-260<br />

La nuova classificazione TNM:<br />

implicazioni diagnostiche e cliniche<br />

R. Arisio<br />

Servizio di anatomia e Istologia Patologica e Citodiagnostica,<br />

Ospedale Sant’Anna, A.O. O.I.R. Sant’Anna, Torino<br />

La classificazione TNM di UICC e AJCC sono identiche.<br />

Nel 2002 è stata pubblicata la VI edizione del TNM, che è entrata<br />

in uso a partire dal 1/1/2003 come raccomandazione<br />

dall’AJCC (American Joint Cancer Committee) e dal UICC<br />

(International Union against Cancer).<br />

Sono state apportate modifiche in molte sedi anatomiche, e<br />

tra queste è compresa la mammella, soprattutto a carico dei<br />

linfonodi regionali, riguardanti le cellule isolate, le micrometastasi,<br />

il linfonodo sentinella. Tali innovazioni della VI edizione<br />

cambiano sensibilmente le “categorizzazioni” N e pN,<br />

e in parte anche il raggruppamento in stadi.<br />

Le micrometastasi vengono distinte dalle cellule tumorali<br />

isolate in base alle dimensioni e all’evidenza istologica di<br />

malignità, per esempio, proliferazione o reazione stromale.<br />

Sono stati introdotti simboli specifici per segnalare l’impiego<br />

della biopsia del linfonodo sentinella e delle tecniche di indagine<br />

immunoistochimica e molecolare.<br />

La classificazione principale dello stato linfonodale ascellare<br />

si basa sul numero di linfonodi ascellari metastatici rilevati<br />

con l’esame istologico standard con ematossilina eosina o<br />

mediante immunoistochimica.<br />

È stata introdotta la categoria N3 per la classificazione delle<br />

metastasi linfonodali infraclavicolari e sopraclavicolari, che<br />

non sono più considerate M1. Sono state riclassificate le metastasi<br />

nei linfonodi mammari interni, in base al metodo di<br />

identificazione e alla presenza o assenza di metastasi linfonodali<br />

ascellari. Le micrometastasi nei linfonodi mammari<br />

interni rilevate mediante linfonodo sentinella con linfoscintigrafia,<br />

ma senza l’ausilio dell’imaging radiologico o della<br />

valutazione clinica, sono classificate N1. La presenza di<br />

linfonodi mammari interni microscopicamente interessati, rilevabile<br />

mediante l’imaging radiologico (a eccezione della<br />

linfoscintigrafia) o all’esame clinico è stata classificata N2,<br />

se non associata a metastasi linfonodali ascellari, o N3, in<br />

presenza di metastasi linfonodali ascellari.<br />

Scompaiono le sottocategorie basate sulla diffusione perilinfonodale<br />

(pN1b3), sulle dimensioni delle metastasi superiori<br />

a 20 mm (pN1b4) e sulla presenza di pacchetti linfonodali<br />

o fusione alle strutture vascolo-nervose dell’ascella<br />

(pN2).<br />

pNX. I linfonodi regionali non possono venire definiti (non<br />

sono stati prelevati per venire esaminati o sono stati rimossi<br />

in precedenza).<br />

pN0. Non metastasi nei linfonodi regionali * .<br />

* Casi con sola presenza di cellule tumorali isolate (ITC) nei linfonodi<br />

regionali sono classificati come pN0. Le cellule tumorali isolate (ITC)<br />

sono singole cellule tumorali o piccoli gruppi di cellule la cui dimensione<br />

massima non supera 200µ e che sono generalmente rilevate mediante<br />

metodi di immunoistochimica (i+) o di analisi molecolare<br />

(mol+), ma possono essere rilevate anche con colorazione ematossilina-eosina.<br />

Tumori della mammella<br />

Moderatori: S. Bianchi (Firenze) e G. Viale (Milano)<br />

pN1mi Micrometastasi (delle dimensioni massime comprese<br />

tra 200µ e 2 mm).<br />

pN1 Metastasi a 1-3 linfonodi ascellari omolaterali, e/o linfonodi<br />

mammari interni omolaterali con metastasi microscopica<br />

rilevata valutando il linfonodo sentinella ma non clinicamente<br />

rilevabile.<br />

pN1a Metastasi in 1-3 linfonodi ascellari, con almeno una<br />

metastasi delle dimensioni >2mm.<br />

pN1b Linfonodi mammari interni con metastasi microscopica<br />

rilevata valutando il linfonodo sentinella (non clinicamente<br />

rilevabile).<br />

pN1c Metastasi in 1-3 linfonodi ascellari e linfonodi mammari<br />

interni con metastasi microscopica rilevata valutando il<br />

linfonodo sentinella (non clinicamente rilevabile).<br />

pN2 Metastasi in 4-9 linfonodi ascellari omolaterali, o in<br />

linfonodi mammari interni omolaterali clinicamente rilevabili<br />

in assenza di metastasi in linfonodi ascellari.<br />

pN2a Metastasi in 4-9 linfonodi ascellari, con almeno una<br />

metastasi delle dimensioni >2mm.<br />

pN2b Metastasi clinicamente rilevabile in linfonodi mammari<br />

interni, in assenza di metastasi in linfonodi ascellari.<br />

pN3 Metastasi in ≥ 10 linfonodi ascellari omolaterali; o in<br />

linfonodi sottoclavicolari omolaterali; o metastasi clinicamente<br />

rilevabili in linfonodi mammari interni omolaterali in<br />

presenza di metastasi in uno o più linfonodi ascellari; o in ><br />

3 linfonodi ascellari con metastasi microscopiche, clinicamente<br />

negative, in linfonodi mammari interni; o in linfonodi<br />

sovraclaveari omolaterali.<br />

pN3a Metastasi in ≥ 10 linfonodi ascellari (almeno una metastasi<br />

delle dimensioni massime > 2 mm) o metastasi in linfonodi<br />

sottoclavicolari.<br />

pN3b Metastasi clinicamente rilevabili in linfonodi mammari<br />

interni in presenza di metastasi in linfonodi ascellari; o metastasi<br />

in > 3 linfonodi ascellari e linfonodi mammari interni<br />

con metastasi microscopiche rilevate valutando il linfonodo<br />

sentinella ma non clinicamente rilevabili.<br />

pN3c Metastasi in linfonodo(i) sovraclaveare(i)<br />

Note:<br />

1. non clinicamente rilevabile = non rilevabile mediante esame<br />

clinico o diagnostica per immagini (esclusa la linfonoscintigrafia);<br />

2. clinicamente rilevabile = rilevato mediante esame clinico<br />

o diagnostica per immagini (esclusa la linfoscintigrafia) o<br />

macroscopicamente visibile al campionamento patologico.<br />

È inoltre consigliato di riportare il numero di linfonodi metastatici<br />

e quello del totale di linfonodi reperiti nella forma<br />

(#met/#tot).<br />

Nel caso di linfonodo sentinella positivo al quale segua la<br />

dissezione ascellare, è opportuno riportare il pN conclusivo,<br />

il totale dei linfonodi metastatici ed il totale dei linfonodi reperiti<br />

(compresi il/i sentinella)<br />

Parametri opzionali sono inoltre: la definizione di tumore<br />

multiplo e il numero dei foci: pT # (m)(#); la codifica del tumore<br />

residuo dopo trattamento chirurgico primario (pR), delle<br />

recidive (r pT#), delle persistenze dopo trattamento neoadiuvante<br />

(y pT), dell’invasione venosa (V 0-1), dell’invasione<br />

linfatica (L 0-1) e del grado (G 1-3).<br />

La “formula” finale del TNM può essere espressa quindi come:


258<br />

[y r c p[Tis,1-4(a-d) (m)(4) X]; N0-3(a-c)(mi)(sn)(i)(mol)<br />

(3/17)X; M0-1(mi)(i)(mol)X; V0-2; L0-1; G1-3; R0-2]<br />

Discordanze tra T clinico, T strumentale, T patologico<br />

1) Discordanza tra T clinico e T mammografico o ecografico:<br />

il supplemento al TNM propone di effettuare la media aritmetica<br />

delle misure e quindi applicare il T corrispondente<br />

2) Presenza di embolizzazione linfatica dermica in assenza di<br />

segni clinici di cute a buccia d’arancia o ulcerazione: la lesione<br />

viene classificata con il T pertinente alle dimensioni;<br />

il criterio per la classificazione in T4 è quello clinico o patologico,<br />

ma solo nel caso di ulcerazione cutanea o del capezzolo.<br />

3) Presenza di emboli linfatici nell’adipe ascellare con o senza<br />

mts linfonodali: non varia il T o l’N. Per la descrizione<br />

dell’invasione linfatica si può usare il parametro opzionale<br />

L (linfatici).<br />

Predire lo stato del linfonodo sentinella e dei<br />

linfonodi ascellari non sentinella<br />

E. Orvieto<br />

Unità complessa di Anatomia, Istologia Patologica, Citodiagnostica<br />

e Citogenetica, Ospedale Ca’ Foncello, Azienda<br />

ULSS 9, Treviso<br />

La valutazione della presenza di metastasi nei linfonodi<br />

ascellari nel carcinoma della mammella viene ritenuto un dei<br />

più potenti fattori prognostici.<br />

Un numero variabile dal 60 al 70% di pazienti con carcinoma<br />

della mammella risulta comunque libero da metastasi<br />

linfonodali 1 .<br />

La metodica del linfonodo sentinella (SLN) si è in questi anni<br />

rivelata estremamente utile al fine di studiare accuratamente<br />

lo stato dei linfonodi ascellari nel carcinoma della<br />

mammella, permettendo di risparmiare la dissezione ascellare<br />

qualora il linfonodo sentinella stesso risulti esente da metastasi.<br />

Lo studio del linfonodo sentinella con livelli multipli 2 si è dimostrato<br />

efficace nel predire lo stato linfonodale con una percentuale<br />

contenuta di falsi negativi. Tale affermazione risulta<br />

ancor più valida qualora si consideri che, la metodica classica<br />

di analisi dei linfonodi da dissezione ascellare si è dimostrata,<br />

in studi retrospettivi, inadeguata nello stadiare correttamente<br />

lo stato linfonodale in percentuali variabili dal 10 al<br />

20% 3 .<br />

L’applicazione dello studio del linfonodo sentinella ha permesso<br />

di migliorare la stadiazione linfonodale consentendo<br />

di individuare un maggior numero di micrometastasi, fino alla<br />

individuazione di cellule tumorali isolate (ITC).<br />

Una estesa e accurata analisi del SLN, permette un incremento<br />

sostanziale della accuratezza della stadiazione rispettivamente<br />

al 8,3% nei T1a, 19,6% nei T1b, 35,4% nei T1c,<br />

49,9% nei T2, 61,8% nei T3-T4. Questo dato, sembra poter<br />

dare un’interpretazione riguardo alla osservazione, in epoca<br />

pre-sentinella, della presenza di un gruppo di pazienti N0 che<br />

risultavano avere un comportamento clinico sfavorevole.<br />

L’incremento della rilevazione di metastasi nel linfonodo<br />

sentinella, va in parte ascritta all’aumento del numero di micrometastasi<br />

individuate, grazie ad una estesa analisi con elevato<br />

numerosi di livelli esaminati 4 , come anche all’uso di<br />

metodiche immunoistochimiche. I risultati di ampie casistiche<br />

evidenziano come in 35-40% dei casi vengono individuate<br />

solo micrometastasi (< 2 mm) nel linfonodo sentinella<br />

esaminato. Questa elevata incidenza di micrometastasi ha po-<br />

CORSI BREVI - SLIDE SEMINARS<br />

sto il quesito se, qualora vi fosse la presenza di una sola micrometastasi,<br />

si potesse ugualmente risparmiare lo svuotamento<br />

linfonodale complementare che risulta attualmente lo<br />

standard terapeutico. Le risposte a questo quesito sono controverse<br />

in quanto, differenti studi evidenziano la presenza di<br />

ulteriori metastasi nei non-SLN in percentuali variabili dal<br />

7,6 5 al 22% dei casi 4 in cui il SLN presentava una micrometastasi.<br />

La interpretazione di queste diversità va probabilmente<br />

ricercata nell’accuratezza con cui si esaminano i non-<br />

SLN, ma comunque evidenziano un rischio non trascurabile.<br />

Le informazioni che giungono dagli studi sulle micrometastasi<br />

mettono in evidenza l’esistenza di una relazione tra le<br />

dimensioni delle micrometastasi nel SLN e la probabilità della<br />

presenza di ulteriori foci metastatici nei non-SLN.<br />

Dalla casistica dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano,<br />

su più di 1200 linfonodi sentinella metastatici, si evidenzia<br />

che il 17% dei pazienti con micrometastasi al sentinella inferiori<br />

ad 1mm o con ITC, hanno ulteriori metastasi linfonodali<br />

e che questa percentuale sale rispettivamente al 30% se la<br />

micrometastasi è da 1-2 mm, per poi raggiungere il 50% se<br />

superiore a 2 mm. La presenza di invasione vascolare peritumorale<br />

(PVI) nel tumore primitivo risultava correlarsi significativamente<br />

alla presenza di micrometastasi linfonodali.<br />

Pazienti con micrometastasi ad un singolo SLN < 1 mm e con<br />

PVI nel tumore primitivo hanno un rischio di metastasi ai<br />

non-SLN statisticamente più basso rispetto a pazienti con 2 o<br />

più SLN con micrometastasi > 1 mm e PVI.<br />

Queste affermazioni, confermano la necessità dello svuotamento<br />

linfonodale completo in presenza, nel SLN, di micrometastasi<br />

o di ITC, in quanto anche in quest’ultimo caso residua<br />

un 10% di probabilità di ulteriori metastasi. Allo stesso<br />

modo pongono la necessità di rivalutare il cut-off dei 2 mm,<br />

come discriminante tra macro e micrometastasi, considerando<br />

la bassa percentuale di ulteriori localizzazioni, qualora si<br />

individuino micrometastasi inferiori a 1 mm nel linfonodo<br />

sentinella. Questo consentirebbe di migliorare la selezione di<br />

gruppi di pazienti a differente rischio di progressione da avviare<br />

a chemioterapia adiuvante.<br />

Se la dimensione della metastasi al SLN può predire la presenza<br />

di ulteriori metastasi ci si è chiesto se i parametri clinicopatologici<br />

della neoplasia primitiva, potessero predire le<br />

metastasi al linfonodo sentinella. Dall’analisi di un’ampia casistica<br />

di più di 4300 casi di carcinoma mammario infiltrante<br />

trattati con la tecnica del linfonodo sentinella presso lo<br />

IEO di Milano, si sono evidenziati 5 parametri clinicopatologici<br />

che possono predire lo stato del SLN: dimensioni, istotipo,<br />

multifocalità presenza di PVI e espressione del recettore<br />

per il progesterone. Tra questi le dimensioni del tumore e<br />

l’invasione vascolare peritumorale sembrano i parametri<br />

maggiormente informativi. Il loro utilizzo permette di individuare<br />

differenti categorie di rischio. Basso rischio di metastasi<br />

al linfonodo sentinella (10%) si ha per tumori inferiori a<br />

1 cm di istotipo favorevole (mucinoso, cribriforme, tubulare)<br />

senza invasione vascolare. Un gruppo ad alto rischio (77%) è<br />

invece rappresentato da carcinomi di dimensioni superiori a<br />

2 cm con PVI. Questi dati confermano che tumori con caratteristiche<br />

clinicopatologiche favorevoli hanno comunque un<br />

rischio (10%) tale da rendere anche in questi casi indicata la<br />

biopsia del linfonodo sentinella.<br />

Bibliografia<br />

1 Schwartz GF, Giuliano AE, Veronesi U, et al. Proceedings of the consensus<br />

conference on the role of sentinel lymph node biopsy in carcinoma<br />

of the breast, April 19-22, 2001, Philadelphia, Pennsylvania.<br />

Cancer 2002;94:2542-2551.<br />

2 Viale G, Bosari S, Mazzarol G, Galimberti V, Luini A, Veronesi P, Pa-


TUMORI DELLA MAMMELLA<br />

ganelli G, Bedoni M, Orvieto E. Intraoperative examination of axillary<br />

sentinel lymph nodes in breast carcinoma patients. Cancer<br />

1999;85(11):2433-8.<br />

3 Cote RJ, Peterson HF, Chaiwun B, et al. Role of immunohistochemical<br />

detection of lymph-node metastases in management of breast cancer.<br />

Lancet 1999;354:896-900.<br />

4 Viale G, Maiorano E, Mazzarol G, Zurrida S, Galimberti V, Luini A,<br />

Renne G, Pruneri G, Maisonneuve P, Veronesi U. Histologic detection<br />

and clinical implications of micrometastases in axillary sentinel<br />

lymph nodes for patients with breast carcinoma. Cancer<br />

2001;92(6):1378-84.<br />

5 Kamath VJ, Giuliano R, Dauway EL, et al. Characteristics of the sentinel<br />

lymph node in breast cancer predict further involvement of higher-echelon<br />

nodes in the axilla: a study to evaluate the need for<br />

complete axillary lymph node dissection. Arch Surg 2001:688-692.<br />

Iperplasia e carcinoma in situ: 11-Gauge VACB<br />

versus 14-Gauge CB<br />

V. Vezzosi * , G. Zampi * , J. Nori ** , C. Boeri ** , M. Rosselli<br />

Del Turco *** , D. Ambrogetti *** , S. Bianchi *<br />

* Dipartimento di Patologia Umana ed Oncologia, Università<br />

di Firenze; ** U.O. Radiodiagnostica 2, Azienda Ospedaliera<br />

Careggi, Firenze; *** U.O. Prevenzione Secondaria<br />

Screening CRR CSPO, Firenze<br />

La BP sta assumendo un ruolo cruciale nell’inquadramento<br />

della patologia mammaria e sta in parte sostituendo la FNAC<br />

come prima modalità di diagnosi preoperatoria, sia nelle lesioni<br />

palpabili, sia nelle lesioni precliniche con solo evidenza<br />

mammografica e/o ecografica. L’utilizzo della BP in sostituzione<br />

della FNAC appare giustificato in considerazione di<br />

vari fattori: più elevati livelli di sensibilità e specificità; riduzione<br />

di prelievi inadeguati, di lesioni dubbie e sospette ed in<br />

particolare la possibilità di diagnosticare un carcinoma in situ<br />

o invasivo con l’opportunità di pianificare il trattamento<br />

terapeutico in fase preoperatoria.<br />

I limiti della BP, legati essenzialmente al fatto che si tratta di<br />

un campionamento parziale, emergono soprattutto nei casi in<br />

cui venga diagnosticata un’iperplasia duttale atipica (ADH) o<br />

un carcinoma duttale in situ (DCIS). In riferimento alla ADH,<br />

numerosi studi hanno dimostrato una notevole discordanza<br />

fra la diagnosi su BP e la diagnosi definitiva su biopsia chirurgica:<br />

dopo una diagnosi di ADH su BP viene evidenziata<br />

una neoplasia maligna dopo exeresi chirurgica nel 13-66%<br />

dei casi. La diagnosi di ADH su BP costituisce, pertanto, una<br />

indicazione assoluta all’exeresi della lesione 1 2 . D’altra parte<br />

è noto come la definizione di ADH fa riferimento a una combinazione<br />

di criteri sia morfologici che dimensionali valutabili<br />

solo su biopsie chirurgiche e, proprio per il tipo di campionamento,<br />

una accurata diagnosi di ADH non è possibile<br />

sulla BP. Per questo motivo l’ultima edizione delle Linee<br />

Guida Europee per la patologia mammaria in corso di screening<br />

mammografico 3 stabilisce che la diagnosi di ADH su<br />

BP è inappropriata, sostituendola con quella di “proliferazione<br />

epiteliale atipica di tipo duttale”. Questa categoria diagnostica,<br />

da refertare B3, comprende oltre ai quadri di ADH,<br />

altre due entità caratterizzate da un minor grado di atipia cito-architetturale:<br />

le modificazioni a cellule colonnari con atipia<br />

e l’iperplasia a cellule colonnari con atipia 4 . Analogamente<br />

a quanto osservato in riferimento alla ADH, anche il<br />

reperto di modificazioni a cellule colonnari/iperplasia a cellule<br />

colonnari con atipia su BP impone l’asportazione chirurgica<br />

della lesione, in quanto in circa un terzo dei casi viene<br />

evidenziata una lesione di maggiore gravità dopo l’exeresi 4 .<br />

259<br />

La diagnosi di DCIS su BP non può escludere la presenza<br />

di carcinoma invasivo per la limitatezza del campionamento<br />

della lesione: il 15-20% dei casi di DCIS diagnosticato<br />

su BP diventano carcinomi invasivi dopo escissione chirurgica<br />

5 .<br />

Recentemente è stato riportato che l’utilizzazione dell’aspirazione<br />

automatica (VACB) tipo mammotome, con ago 11G,<br />

a confronto con i prelievi con ago 14G tipo tru cut riduce, pur<br />

non eliminandola, la sottostima della ADH (11-35% vs 44-<br />

56%, rispettivamente) e del DCIS (5-15% vs 20-50%, rispettivamente)<br />

2 6 . Ciò può essere correlato al maggior numero di<br />

prelievi che si ottengono con la VACB rispetto alla core biopsy<br />

con ago 14G, sia alla maggior quantità di tessuto che si<br />

ottiene con l’ago 11G: il diametro dei frustoli è infatti di 3<br />

mm contro 1 mm di quelli ottenuti con l’ago 14G. Tuttavia<br />

anche utilizzando la VACB la sottostima del DCIS risulta<br />

inevitabile in un certo numero di casi, in quanto il target della<br />

BP sono le microcalcificazioni, che di solito sono presenti<br />

nel DCIS ma raramente sono localizzate nella componente<br />

invasiva associata al DCIS 5 .<br />

La neoplasia lobulare intraepiteliale o LIN 7 , comprendente<br />

l’iperplasia lobulare atipica ed il carcinoma lobulare in situ,<br />

viene solitamente identificata sulla BP come reperto incidentale,<br />

associata a lesioni rilevate mammograficamente. La diagnosi<br />

su BP di LIN, categoria B3, non riveste lo stesso significato<br />

clinico della diagnosi di ADH o di DCIS non richiedendo,<br />

di per sé, un trattamento chirurgico. L’asportazione<br />

chirurgica della lesione diviene però necessaria qualora la<br />

LIN sia associata ad ADH o nei casi in cui il quadro patologico<br />

non risulti rappresentativo dell’alterazione mammografica<br />

per cui è stata effettuata la BP 8 .<br />

L’esperienza del gruppo fiorentino che lavora in ambito senologico<br />

ci consente di mettere a confronto le due metodiche<br />

di BP, VACB e tru cut, su due diverse casistiche, al fine di valutare<br />

la loro performance in termini di sottostima con riferimento,<br />

in particolare, alla iperplasia duttale atipica (ADH) ed<br />

al carcinoma duttale in situ (DCIS). I 12 casi di ADH diagnosticati<br />

su core biopsy con ago 14G sono risultati sulla biopsia<br />

chirurgica (BC): 16,6% patologia benigna, 25% è stata<br />

confermata la presenza di ADH, 33,4% DCIS e 25% carcinoma<br />

invasivo con una sottostima complessiva (DCIS + invasivo)<br />

pari al 58,3%. I 25 casi di ADH diagnosticati su mammotome<br />

con ago 11G sono risultati sulla BC: 36% patologia<br />

benigna, 32% ADH, 24% DCIS e 8% carcinoma invasivo con<br />

una sottostima complessiva (DCIS + invasivo) del 32%. I 43<br />

casi di DCIS su core biopsy sono stati confermati tali su BC<br />

nel 69,8% mentre nel 30,2% sono risultati carcinomi invasivi.<br />

I 170 casi di DCIS su mammotome sono stati confermati<br />

sulla BC nell’82,9%, mentre nel 17,1% sono risultati carcinomi<br />

invasivi.<br />

In conclusione, la BP con sistema mammotome sembra evidenziare<br />

una minore sottostima di DCIS e/o carcinoma invasivo<br />

nei casi diagnosticati come ADH e di carcinoma invasivo<br />

nei casi diagnosticati come DCIS; questo a fronte di maggiori<br />

costi operativi rispetto alla core biopsy.<br />

Bibliografia<br />

1 Ely KA, Carter BA, Jensen RA, et al. Core biopsy of the breast with<br />

atypical ductal hyperplasia. A probabilistic approach to reporting.<br />

Am J Surg Pathol 2001;25:1017-1021.<br />

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can some lesions be defined as probably benign after stereotactic 11gauge<br />

Vacuum-assisted biopsy, eliminating the recommendation for<br />

surgical excision? Radiology 2002;224:548-554.<br />

3 E.C. Working Group on Breast Screening Pathology. EU Guidelines<br />

for Non-Operative Diagnostic Procedures. Chapter 6: Quality assu-


260<br />

rance guidelines for pathology in mammographic screening. Cytological<br />

and Histological Non-Operative Procedures. (in press).<br />

4 Schnitt SJ, Vincent-Salomon A. Columnar cell lesions of the breast.<br />

Advances in Anatomic Pathology 2003;10:113-124.<br />

5 Lee CH, Carter D, Philpotts LE, et al. Ductal carcinoma in situ diagnosed<br />

with stereotactic core needle biopsy: can invasion be predicted?<br />

Radiology 2000;217:466-470.<br />

6 Kettritz U, Rotter K, Schreer I, et al. Stereotactic vacuum-assisted<br />

breast biopsy in 2874 patients. A multicenter study. Cancer<br />

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7 World Health Organization Classification of Tumours. Tavassoli FA,<br />

Devilee P, eds. Pathology and Genetics of Tumours of the Breast and<br />

Female Genital Organs. IARC Press, Lyon, 2003.<br />

8 Renshaw AA, Cartagena N, Derhagopian RP, et al. Lobular neoplasia<br />

in breast core needle biopsy specimens is not associated with an increased<br />

risk of ductal carcinoma in situ or invasive carcinoma. Am J<br />

Clin Pathol 2002;117:797-799.<br />

Valore prognostico e predittivo dei profili<br />

di espressione genica nel carcinoma<br />

della mammella<br />

S. Pece<br />

Istituto Europeo di Oncologia e Università di Milano, Milano<br />

Nel corso degli ultimi anni è drammaticamente aumentata la<br />

nostra comprensione dei meccanismi molecolari alla base dei<br />

processi di tumorigenesi. Numerosi oncogeni con funzione<br />

dominante ed oncosoppressori con meccanismo recessivo<br />

sono stati identificati e correlati con differenti manifestazioni<br />

patologiche di tipo displastico e neoplastico. Allo stato attuale<br />

delle conoscenze, la malattia neoplastica è considerata come<br />

un processo multifasico durante il quale differenti lesioni<br />

genetiche si accumulano progressivamente in una cellula<br />

bersaglio normale, determinando nel tempo lo sviluppo del<br />

fenotipo maligno con variabile grado di aggressività. Tuttavia,<br />

non è stato possibile, se non in rare eccezioni, correlare<br />

specifici stadi evolutivi della progressione neoplastica con la<br />

sovversione funzionale di determinati meccanismi molecolari.<br />

In modo particolare, sono ancora quasi completamente<br />

sconosciuti gli eventi molecolari alla base dell’insorgenza del<br />

fenotipo metastatico. La stadiazione clinica e le comuni<br />

indagini anatomopatologiche rappresentano le procedure<br />

standard per classificare i tumori e stabilire significative<br />

correlazioni clinico-prognostiche. A tale riguardo, nel corso<br />

degli anni, sono stati sviluppati differenti algoritmi nel<br />

CORSI BREVI - SLIDE SEMINARS<br />

tentativo di predire la storia naturale del tumore in un<br />

determinato paziente, in relazione alla prognosi e alla<br />

suscettibilità di risposta alla terapia. Tuttavia, nonostante<br />

l’enorme validità di tali algoritmi nell’identificazione delle più<br />

appropriate strategie terapeutiche, non è ancora possibile<br />

escludere completamente l’eventualità di “over-treatment” in<br />

pazienti la cui storia naturale del tumore avrebbe una buona<br />

prognosi anche in assenza di trattamento, oppure di trattamenti<br />

inutili in pazienti che, nonostante la terapia adiuvante<br />

citotossica con gli effetti collaterali inevitabilmente connessi,<br />

sono destinati allo sviluppo di malattia metastatica. Fatta<br />

eccezione per particolari condizioni in cui i risultati delle<br />

indagini immunoistochimiche rappresentano effettivamente<br />

una indicazione alla terapia specifica, come nel caso della<br />

caratterizzazione immunofenotipica per i recettori per gli<br />

estrogeni e HER-2, in termini più generali, il clinico non ha<br />

purtroppo a disposizione specifici ‘markers’ che possano<br />

orientarlo nella scelte terapeutiche e predire la risposta alla<br />

terapia di elezione. L’avvento dell’era post-genomica con<br />

l’utilizzo di tecnologie ad elevata performanza<br />

(‘highthroughput’ DNA and Tissue Microarray) consente lo<br />

studio simultaneo e sistematico dei profili di espressione di<br />

migliaia di geni correlati con differenti tipi di neoplasie oppure<br />

con differenti stadi evolutivi della medesima malattia<br />

tumorale. Attraverso tale approccio sarà possibile identificare<br />

geni o gruppi di geni (‘clusters’) i cui livelli di espressione<br />

risultino tipicamente alterati in determinate condizioni, con la<br />

conseguente possibilità di discriminare sottoclassi di tumori<br />

clinicamente simili i quali, esibendo un profilo genico<br />

differente, sono verosimilmente caratterizzati da una differente<br />

storia naturale della malattia. L’analisi sistematica dei profili di<br />

espressione genica consentirà una migliore comprensione<br />

della complessità biologica dei tumori di quanto non sia<br />

attualmente possibile sulla base delle caratteristiche<br />

patologiche e del limitato numero di marcatori<br />

immunoistochimici a disposizione. Nel complesso, tale<br />

approccio renderà possibile un migliore inquadramento clinico<br />

e l’ottimizzazione dei correnti protocolli terapeutici su base<br />

individuale. È possibile immaginare un futuro scenario nel<br />

quale, sulla base della identificazione di profili genici<br />

caratteristici di differenti tipi di tumori, si possa procedere ad<br />

una nuova classificazione delle neoplasie su base<br />

meccanicistico-molecolare e, in termini di strategie<br />

terapeutiche, allo sviluppo di terapie farmacologiche disegnate<br />

sulla base dei profili molecolari della neoplasia.


PATHOLOGICA 2004;96:261-264<br />

E-learning: un nuovo paradigma didattico?<br />

Aspetti metodologici e tecnologici<br />

F. Bianchi, I. Pinelli<br />

Ctu-Centro di servizio per le tecnologie e la didattica universitaria<br />

multimediale e a distanza, Università di Milano<br />

Abstract: in questa relazione si conduce una sintetica panoramica<br />

degli aspetti metodologici e tecnologici del sistema<br />

eLearning con considerazioni sulle prospettive di sviluppo<br />

futuro in ambito universitario.<br />

1.Aspetti metodologici<br />

1.1. Lo scenario. Gli ultimi anni hanno visto un aumento<br />

esponenziale di progetti che favoriscono azioni di eLearning<br />

sia a livello europeo * sia a livello nazionale ** . A queste sollecitazioni<br />

sono state date risposte da parte di istituzioni pubbliche,<br />

private e partnership congiunte *** .<br />

Come rispondono le università alla sfida lanciata dalla Commissione<br />

Europea e dal Governo Italiano? In che modo l’uso<br />

delle tecnologie didattiche deve essere inserito nel contesto<br />

universitario? Lo studio comparativo condotto dal CHEPS 1<br />

individua 4 scenari di possibile sviluppo del rapporto di integrazione<br />

fra tecnologie didattiche e formazione: lo scenario<br />

più plausibile per il futuro sarà quello di tipo “evolutivo”<br />

(Fig. 1 - scenario C) caratterizzato da:<br />

– cambiamento lento e non radicale delle attività formative;<br />

– combinazione mista dell’offerta didattica dove la didattica<br />

d’aula riveste sempre un ruolo autorevole;<br />

– formazione dei docenti e studenti alle nuove tecnologie didattiche.<br />

Fig 1. I 4 scenari del futuro: integrazione fra “tecnologie didattiche<br />

e formazione”.<br />

* L’eLearning Action Plan e il Minerva Action under Socrates II sono<br />

i più noti e visibili.<br />

** A livello italiano ricordiamo a titolo esemplare il Decreto Moratti-<br />

Stanca sulle “Università telematiche” (GU n. 98 del 29-4-2003).<br />

*** In seguito al Decreto Moratti-Stanca sono nate 2 università telematiche:<br />

la “Guglielmo Marconi” (1 marzo 2004) e la “Tel.m.a” (15 maggio<br />

2004).<br />

Didattica e-learning<br />

Moderatori: D. Bauer (Milano) e G. Monga (Novara)<br />

Fig. 2. Classificazione in base alle modalità di erogazione- corso<br />

principale in aula con “appendici” di supporto più o meno strutturate<br />

dove il “sito-web” abbia però predominanza (web based).<br />

1.2 Modelli di erogazione. A fronte dello sviluppo incrementale<br />

della didattica supportata dalle nuove tecnologie, è nata<br />

l’esigenza di sistematizzare il panorama dell’offerta formativa,<br />

dando la giusta collocazione e risalto all’aspetto pedagogico<br />

e a quello tecnologico. Possono essere condotte due tipologie<br />

di classificazioni fra loro integrate: la prima in rapporto<br />

alle modalità di erogazione (Figg. 2-4), la seconda in<br />

rapporto all’impostazione pedagogica del corso (Fig. 5).<br />

Le variabili su cui si fondano le possibili soluzioni di un progetto<br />

eLearning sono dunque principalmente 3: studenti/docenti,<br />

strategie didattiche, tecnologie da utilizzare.<br />

2. Aspetti tecnologici: le differenti piattaforme e tipologie di<br />

apprendimento.<br />

La selezione e la messa a punto di un sistema di erogazione<br />

e supporto alle attività online ha implicazioni di ordine economico,<br />

metodologico-didattico, organizzativo. Il problema<br />

dell’infrastruttura può essere affrontato puntando su due soluzioni<br />

alternative.<br />

La prima soluzione consiste nel dotarsi di un’infrastruttura<br />

tecnologica minima, puntando il focus più sulle interazioni<br />

interpersonali “tutor -studente” e “studente-studente” e, conseguentemente,<br />

su figure professionali in grado di gestire<br />

quelle stesse interazioni. In questa soluzione si tendono a<br />

Fig. 3. Classificazione in base alle modalità di erogazione - corso<br />

come sistema integrato di elementi in presenza e a distanza<br />

(blended).


262<br />

Fig. 4. Classificazione in base alle modalità di erogazione- corso<br />

come sistema di strategie che si integrano in un percorso formativo<br />

progettato interamente a distanza/online (distance learning).<br />

usare soprattutto tecnologie di rete di cui tutti gli attori coinvolti<br />

sono abitualmente dotati (ad esempio la mail), introducendo<br />

al limite col passare del tempo alcuni strumenti e ambienti<br />

software per risolvere problemi specifici.<br />

L’altra soluzione consiste nell’adottare una vera e propria<br />

piattaforma tecnologica strutturata sulle specifiche esigenze<br />

dell’esperienza formativa e sulla quale prenderà vita il corso.<br />

La piattaforma è dunque l’ambiente dove hanno luogo: l’interazione<br />

tra “tutor/docente-studente”, “studente-risorse” e<br />

“studente-studente”; l’erogazione del materiale didattico e<br />

l’esecuzione delle attività correlate; il monitoraggio dell’andamento;<br />

la gestione di studenti e classi; la verifica dell’apprendimento<br />

e l’archiviazione dei dati. Questi ambienti tecnologici,<br />

che integrano le funzionalità di più strumenti specifici,<br />

sono chiamati groupware.<br />

La scelta della piattaforma tecnologica tiene dunque conto<br />

della stretta relazione tra le problematiche organizzative, le<br />

aspettative dei destinatari dell’esperienza e le caratteristiche<br />

degli strumenti utilizzabili, per poter così situare meglio lo<br />

strumento o gli strumenti da utilizzarsi rispetto agli obiettivi<br />

dell’esperienza formativa.<br />

3. Conclusioni<br />

Oggi l’eLearning, a livello universitario, è prevalentemente<br />

usato in modalità web based (in sostituzione alle dispense<br />

Fig. 5. Classificazione sulla base dell’impostazione pedagogica<br />

del corso 2-3.<br />

CORSI BREVI - SLIDE SEMINARS<br />

Fig. 6. I 3 assi su cui si deve sviluppare il piano strategico di integrazione<br />

e sviluppo dell’eLeraning 4.<br />

tradizionali perché più pratico e maneggevole) e in modalità<br />

blended o distance learning per le soluzioni più sperimentali<br />

e che implicano un maggiore impegno sia progettuale che<br />

di risorse. Molte università dichiarano di avere stabilito una<br />

propria “policy” riguardo all’introduzione dell’eLearning<br />

nel proprio piano formativo, ma spesso senza un piano strategico<br />

di attuazione, lasciando così la determinazione dello<br />

stesso alle facoltà/dipartimenti con conseguenti differenze di<br />

soluzioni all’interno della stessa università. Lo sviluppo di<br />

piani strategici strutturati è dunque la sfida principale da realizzarsi<br />

a livello sia delle singole istituzioni che nazionale<br />

(Fig. 6).<br />

Concludiamo con alcune raccomandazioni per le singole università<br />

in materia di eLearning:<br />

a) stabilire il target degli studenti per i prossimi anni e in base<br />

a questo definire il piano della ricerca, della multidisciplinarietà,<br />

del ritorno sull’investimento;<br />

b) avere una propria strategia “evolutiva” sia a livello formativo<br />

che tecnologico: ovvero definire il modello pedagogico<br />

e in base a questo scegliere la tecnologia più adatta;<br />

c) stimolare la ricerca di strumenti tecnologici innovativi che<br />

possano essere di aiuto ai docenti;<br />

d) delineare una strategia di formazione e motivazione dei<br />

docenti per passare da un uso “improvvisato” delle tecnologie<br />

didattiche ad una adozione di strategie specifiche verso<br />

sia un rinnovamento e sia una maggiore qualità della didattica<br />

universitaria.<br />

Bibliografia<br />

1 Calvani A, Rotta M. Fare formazione in internet: manuale di didattica<br />

online. Erikson, Trento, 2000.<br />

2 Collis B, Van de Wende M. Models of Technology and Change in HE:<br />

an international comparative survey on the current and future use of<br />

ICT in Higher Education. CHEPS-Center for Higher Education Policy<br />

Studies, December 2002.<br />

3 Mason R. (1998) Models of Online Courses, “Networked Lifelong<br />

Learning: Innovative Approaches to Education and Training Through<br />

the Internet” edited by L. Banks, C. Graebner, and D. McConnell.<br />

University of Sheffield, (http://polaris.umuc.edu/~skerby/faculty/help/resources/mason.htm).<br />

4 Sangrà A. (2001), Quality in Examples of Virtual Higher Education.<br />

http://www.uoc.edu/web/eng/art/uoc/sangra0102/sangra0102.html


DIDATTICA E-LEARNING<br />

Esperienze eLearning nei corsi di laurea<br />

triennali<br />

D. Bauer<br />

Dipartimento di Medicina, Chirurgia e Odontoiatria, Università<br />

di Milano<br />

L’anatomia patologica, per sua natura, si presta particolarmente<br />

bene all’utilizzo di tecnologie informatiche innovative.<br />

I campi di applicazione delle tecnologie multimediali si<br />

sono estesi, in questi ultimi anni, dal campo della ricerca a<br />

quello della diagnostica, per arrivare ad estendersi, in tempi<br />

più recenti, anche a quello dell’insegnamento.<br />

È infatti nata una nuova modalità di trasferimento delle nozioni,<br />

l’eLearning, che partendo da esperienze principalmente<br />

nord americane, va ora diffondendosi in tutto il mondo con<br />

grande rapidità.<br />

Nelle università italiane l’eLearning è stato introdotto verso<br />

la fine degli anni ’90, quando l’esperienza tecnologica acquisita<br />

nell’allestimento dei supporti didattici dapprima di tipo<br />

audiovisivo e successivamente multimediale è stata in parte<br />

applicata al campo dell’insegnamento a distanza. Le prime<br />

esperienze non hanno in genere portato una carica di particolare<br />

innovazione: solitamente il docente si limitava a mettere<br />

a disposizione degli studenti tutto o parte del materiale didattico<br />

(in genere presentazioni Power Point, versione riveduta<br />

e aggiornata delle vecchie raccolte di diapositive o di lucidi<br />

da proiezione) utilizzato nel corso delle lezioni. Solo in tempi<br />

più recenti molte università italiane hanno incentivato, anche<br />

dal punto di vista economico, la nascita di sperimentazioni<br />

più avanzate. I progetti con maggiore carica innovativa<br />

in molte sedi sono stati destinati ai corsi di laurea triennale,<br />

introdotti in tempi relativamente recenti nell’ordinamento<br />

universitario italiano. Presso l’Università di Milano, oltre ai<br />

“tradizionali” corsi di laurea a ciclo unico, sono attivi ben<br />

venti corsi di laurea di primo livello nella sola area medica.<br />

Perché l’innovazione in campo didattico è particolarmente<br />

utile nelle lauree triennali? Questi corsi di laurea, di durata<br />

relativamente ridotta ed altamente professionalizzanti, richiedono<br />

un precoce inserimento dello studente nelle strutture assistenziali<br />

o socio assistenziali presso le quali avrà svolgimento<br />

la sua futura attività lavorativa. Questa necessità porta<br />

ad una dispersione degli studenti in una molteplicità di sedi,<br />

talora molto distanti tra loro, con conseguenti oggettive<br />

difficoltà nell’impartire l’insegnamento, particolarmente delle<br />

discipline di base, con modalità tradizionale. Vi sono inoltre<br />

corsi di laurea triennale che si rivolgono ad un numero<br />

molto ristretto di studenti, tale da rendere in qualche modo<br />

“antieconomico” una modalità convenzionale di insegnamento.<br />

Per queste ragioni, e probabilmente anche per parecchie<br />

altre, presso la Facoltà di Medicina dell’Università di<br />

Milano sono attive ben ventuno iniziative eLearning in dodici<br />

dei venti corsi di laurea triennale.<br />

Le tipologie di queste attività didattiche sono assai diversificate:<br />

infatti “l’eLearning, proprio per le sue caratteristiche<br />

non può essere considerato una soluzione univoca ma un insieme<br />

articolato di didattiche e tecniche possibili” 1 .<br />

Nell’esperienza milanese si è infatti andati da proposte “minimali”,<br />

consistite nella semplice messa a disposizione degli<br />

studenti di materiale iconografico fino a recenti offerte formative<br />

di respiro molto ampio. Si è infatti arrivati a sperimentare<br />

un intero semestre “a distanza” per il corso di laurea<br />

di Tecniche Audioprotesiche. I docenti del corso, istruiti ed<br />

assistiti dai formatori del CTU, Centro di servizio per le tecnologie<br />

e la didattica universitaria multimediale e a distanza,<br />

263<br />

hanno avuto l’interessante opportunità di sperimentare una<br />

modalità di insegnamento profondamente diversa da quella<br />

convenzionale, svolta interamente via Internet, utilizzando<br />

“Centra” (Centra Corp., Lexington, MA, USA), un software<br />

estremamente sofisticato in grado di riprodurre gran parte<br />

dell’interazione che nel corso di una lezione convenzionale si<br />

instaura tra docente e studente.<br />

Non tutte le esperienze hanno avuto connotati altrettanto innovativi:<br />

i siti creati da docenti operanti nell’ambito delle<br />

lauree triennali sono risultati in genere strutturati in diverse<br />

cartelle, contenenti varie tipologie di materiale didattico: in<br />

genere agli studenti viene offerta la possibilità di scaricare dispense<br />

testuali sugli argomenti svolti a lezione, o files contenenti<br />

la sola parte iconografica, o le presentazioni Power<br />

Point utilizzate dal docente durante il corso. Altre cartelle<br />

contengono links a siti Internet attinenti la disciplina, domande<br />

con risposta multipla per la preparazione agli esami.<br />

È in genere prevista un agenda con gli avvisi riguardanti lo<br />

svolgimento delle lezioni e molti docenti hanno utilizzato anche<br />

il forum, opzione spesso assai frequentata dagli studenti,<br />

che in questo modo possono mantenere uno stretto contatto<br />

con il docente.<br />

L’allestimento del materiale non richiede particolari competenze<br />

tecniche: poche ore di preparazione da parte dei consulenti<br />

sono sufficienti a mettere ogni docente in grado di allestire<br />

le proprie pagine web. La decisione di affiancare al proprio<br />

insegnamento tradizionale la strutturazione di un “sito<br />

del corso” comporta tuttavia, innegabilmente, un sensibile<br />

aggravio di lavoro per il docente, particolarmente sensibile<br />

per i docenti di area clinica, spesso operanti in strutture prive<br />

di facilities informatiche.<br />

Il passaggio a modalità di insegnamento “computer assisted”<br />

costituisce tuttavia un passaggio in qualche modo obbligato<br />

per i docenti dei corsi di laurea di area medica, e in un futuro<br />

molto prossimo tutti si dovranno cimentare con queste tecniche<br />

in grado di apportare un significativo miglioramento<br />

qualitativo nella tecnica di trasmissione dell’informazione in<br />

ambito medico 2 .<br />

Bibliografia<br />

1 Lenzi A, Luccarini S. Considerazioni su e-Learninig e formazione a<br />

distanza in Medicina. Med Chir 2003;22:867-872.<br />

2 Schittek M, Mattheos N, Lyon HC, Attsström R. Computer assisted<br />

learning. A Rewiew. E J Dent Educ 2001;5:93-100.<br />

L’esperienza e-Learning nei percorsi formativi<br />

post lauream<br />

F. Della Corte, F. La Mura, P.L. Ingrassia, A. Geddo, G.<br />

Monga *<br />

SCDU Anestesia e Rianimazione; * Cattedra di Anatomia Patologica,<br />

Università del Piemonte Orientale A. Avogadro,<br />

Novara<br />

The most developed activity in E-learning for postgraduates<br />

at the Università del Piemonte Orientale is the “European<br />

Master in Disaster Medicine” a unique experience implemented<br />

in this field of medicine. The management of the<br />

medical effects of a disaster is one of the most difficult tasks<br />

to be performed by medical personnel and therefore, an appropriate<br />

education and training in all aspects of disaster<br />

medicine are essential for planners, key personnel and all actors<br />

involved in the disaster medical and health response.<br />

New information technologies, particularly related to dis-


264<br />

tance e-learning and interactive multimedia and problembased<br />

exercises are easily applicable to teaching disaster<br />

medicine and these educational methodologies are the backbone<br />

of the EMDM.<br />

The EMDM is organized by the two founding universities;<br />

Università del Piemonte Orientale and the Free University of<br />

Brussels and its project was fed by a great interest for the international<br />

aspects of disaster medicine and the need to harmonize<br />

and standardize the education and training in disaster<br />

medicine in the European Union. The founding Universities<br />

have final responsibility for the scientific content and the format<br />

of the EMDM, the quality of the educational methodology,<br />

the evaluation procedures, and the awarding of the Master<br />

Degree. The EMDM is supported by international and scientific<br />

organizations responsible for disaster medicine and<br />

disaster management and the faculty members of the EMDM<br />

are qualified professionals in disaster medicine and disaster<br />

management coming from several universities (Belgium,<br />

France, Germany, Israel, Italy, the Netherlands, Spain, Sweden,<br />

United States of America), international organizations<br />

(WHO, ICRC, Eur-OPA) and the CDC (USA).<br />

The course is of interest to all those involved in the medical<br />

preparedness and response in disaster situations at local, national<br />

and international level.<br />

Applicants must hold an approved graduate level degree in a<br />

subject of health care or health management or offer proof of<br />

equivalent qualification based on professional experience.<br />

The EMDM consists of different parts that must be completed<br />

successfully by the students:<br />

– A self-directed study under faculty guidance based on problem-based<br />

learning integrated in an e-learning curriculum<br />

and provided on the website. It allows programmed access to<br />

learning modules, exercises and tests and students to proceed<br />

at their own pace as all continue to be involved in their professional<br />

activities. The EMDM is composed of seven modules,<br />

each of them having a coordinator: introduction, disaster<br />

management, specific multiple casualty treatment, disaster<br />

mental health, education and training in disaster medicine,<br />

complex humanitarian emergencies, and legal, ethical and<br />

moral aspects of disaster medicine. The website of the<br />

EMDM is used as a learning station, a tutoring system, an information<br />

provider, and as a communication center. Several<br />

problem-based learning exercises are provided such as a rail<br />

disaster complicated by a chemical incident, a mass casualty<br />

incident in a tunnel, and a command and coordination exercise.<br />

– A live-in course where the students will meet the faculty<br />

and interact with them in debates and exercises assessing the<br />

student’s ability to recall and apply an integrated knowledge<br />

base in solving a problem in disaster situations. Finally, the<br />

students will participate in a full-scale exercise organized by<br />

the Università del Piemonte Orientale together with the local<br />

Red Cross and Civil Protection. A thesis related to a topic of<br />

CORSI BREVI - SLIDE SEMINARS<br />

disaster medicine or disaster management under the supervision<br />

of a tutor. The dissertations are stored in the library of<br />

the EMDM website and can be consulted by future students.<br />

– A final on-line examination provided on the Internet composed<br />

of an electronic simulation exercise of a disaster where<br />

the students have to solve medico-organizational and medical<br />

care problems and a multiple choice questionnaire on the<br />

content of the electronic textbook.<br />

Until now (4th academic year), 99 students from 36 nationalities<br />

and the five continents participated in the EMDM.<br />

A major part of the participants are emergency physicians<br />

working in hospitals, others have a position as senior officer in<br />

governmental and non-governmental organizations or in emergency<br />

medical services and dispatch centres, as medical officers<br />

in armed forces or as educators in disaster medicine.<br />

Many students had previous experience of disaster relief. The<br />

format and content of the educational material has been evaluated<br />

before starting the EMDM and at the end of each academic<br />

year by an advisory board consisting of recognized professionals<br />

in the disaster medicine community. A summative<br />

evaluation using qualitative evaluation methods is performed<br />

from discussions with both the participants and faculty at the<br />

end of the residential course and from students’ evaluation<br />

forms at the end of the academic year. A quantitative evaluation<br />

can not yet be carried out, as it needs a larger student sample<br />

for relevant statistical analyses. The problem-based elearning<br />

programme together with an interactive live-in course<br />

and submitting a thesis was considered as an unique combination<br />

to achieve the aims and objectives of the course. The great<br />

number and variety of practical exercises and interactive debates<br />

during the residential course, the problem-oriented simulation<br />

exercises, and the discussion forum on the website of<br />

the EMDM fostering interpersonal professional and social<br />

contacts, have been highly valued by the students.<br />

As future developments, we expect that the website of the<br />

EMDM will increase its synchronous learning support systems<br />

through audio and videoteleconferences in order to facilitate<br />

the learning process of the students and the tutoring<br />

role of the faculty. A library with literature and on-line references<br />

on all the aspects of disaster medicine and disaster<br />

management is under development. It is the intention of the<br />

two founding universities to extend the collaboration to other<br />

universities within and outside the European Union in order<br />

to further develop the EMDM. The EMDM starts with a<br />

network of alumni in order to create a world-wide platform<br />

for research on the evaluation of the medical disaster management<br />

and for establishing a databank containing comprehensive<br />

evaluation studies. Such database will enable medical<br />

disaster plans to be based on experience, medical disaster<br />

education to be based on a scientific evidence, comparative<br />

analyses of the medical aspects of disaster management,<br />

and refinement of the evaluation methodology by medical<br />

disaster researchers.


PATHOLOGICA 2004;96:265-268<br />

Dai Paesi in via di sviluppo: “extraordinary<br />

diseases” per patologi oltre frontiera<br />

V. Stracca Pansa<br />

U.O. Anatomia Patologica, Ospedale Civile S.S. Giovanni e<br />

Paolo, Venezia<br />

Il progetto più importante dell’Associazione Patologi oltre<br />

Frontiera- onlus rimane quello, iniziato da ormai cinque anni,<br />

della conduzione e dello sviluppo di un laboratorio di<br />

istopatologia in Tanzania. In realtà si tratta di un progetto a<br />

due mani, ideato e portato avanti in stretta collaborazione con<br />

l’Associazione Vittorio Tison-ONLUS che ha messo in campo<br />

consistenti risorse economiche per l’allestimento del laboratorio<br />

nell’ospedale regionale di Bugando, nella città di<br />

Mwanza. Patologi oltre Frontiera ha assicurato, in questi anni,<br />

un turn over mensile di specialisti che operano gratuitamente<br />

in attività diagnostiche, organizzative e di didattica.<br />

Una ventina di ospedali del vasto territorio servito dall’ospedale<br />

Bugando (circa dieci milioni di abitanti) ha iniziato ad<br />

inviare le proprie biopsie, in numero sempre crescente, al laboratorio.<br />

La casistica che viene presentata, relativa ai primi<br />

tre anni di attività, comprende numerose patologie infettive,<br />

presenti nell’Africa sub-sahariana.<br />

• Le malattie trasmesse da artropodi sono la causa principale<br />

di morbilità. La malaria si può contrarre in tutta la regione.<br />

Diverse forme di filariasi sono diffuse, come anche<br />

focolai endemici di oncocercosi (cecità dei fiumi). La leishmaniosi,<br />

tanto cutanea che viscerale si riscontra, a volte,<br />

nelle aree più secche. La tripanosomiasi africana (rnalattia<br />

del sonno) è segnalata, principalmente in piccoli focolai<br />

isolati, in quasi tutti i paesi dell’ area. Si verificano casi di<br />

tifo da pidocchi, pulci e zecche. Focolai naturali di peste<br />

sono stati segnalati anche in Tanzania, come anche di tungosi,<br />

diffusa in tutta l’Africa. Molte malattie virali, di cui<br />

alcune si presentano sotto forma di febbri emorragiche<br />

gravi, sono trasmesse da zanzare, flebotomi, zecche, ecc.<br />

che si trovano in tutta la regione.<br />

• Le malattie trasmesse da alimenti e dall’acqua sono fortemente<br />

endemiche. L’echinococcosi (idatidosi) è molto diffusa<br />

nelle regioni in cui vi è pastorizia. Le elmintiasi di<br />

origine alimentare, le dissenterie e le malattie diarroiche,<br />

comprese la giardiasi, le febbri tifoidi e l’epatite A ed E,<br />

sono molto diffuse.<br />

• Altre malattie. La schistosomiasi (bilharziosi) e il tracoma<br />

è presente in tutta la zona. L’epatite B è iperendemica.<br />

L’elenco è lungo, ma nel breve escursus sulla patologia infettiva<br />

dell’Africa solo alcune di queste, che sono state identificate<br />

e refertate nella nostra pratica diagnostica nel laboratorio<br />

di Mwanza, sono discusse in dettaglio. È da sottolineare<br />

come la casistica raccolta finora, e quella che nei prossimi<br />

anni si aggiungerà, è destinata a diventare una preziosa “palestra”<br />

sia per il patologo che vorrà avvicinarsi all’esperienza<br />

del lavoro volontario nei laboratori africani, sia per chi,<br />

prima o poi, dovrà affrontare la patologia emergente “di importazione”.<br />

Patologia infettiva<br />

Moderatori: A.G. Rizzo (Palermo) e V. Stracca Pansa (Venezia)<br />

Comportamiento de la Infección VIH/SIDA en<br />

fallecidos a los que se realizó necropsias en el<br />

Instituto de Medicina Tropical “Pedro Kourí”<br />

en el período comprendido desde 1986 hasta<br />

el 2002. Ciudad de la Habana, Cuba<br />

A. Fuentes Peláez * , V. Capó De Paz *<br />

* Especialista de segundo grado en Anatomía Patológica Instittuto<br />

de Medicina Tropical “Pedro Kourí”, Ciudad de la<br />

Habana, Cuba<br />

El SIDA constituye un complejo de afección multisistémica<br />

producida por el virus de inmunodeficiencia humana 1 y 2<br />

(VIH 1 y 2) el cual es un retrovirus no oncogénico que provoca<br />

una inmunodepresión celular adquirida, hasta el momento<br />

irreversible, generando un terreno predispuesto a las<br />

sobreinfecciones oportunistas y al desarrollo de tumores de<br />

características malignas, que culminan con una falla progresiva<br />

de múltiples órganos y sistemas.<br />

En los últimos quince años los mecanismos involucrados en<br />

la transmisión del virus han determinado que éste se esparza<br />

rápidamente por todo el planeta, dando lugar a una pandemia<br />

de consecuencias impredecibles, que no respetan raza, edad,<br />

sexo, ni condición socioeconómica o sexual. Se ha transformado<br />

de un mal casi ignorado, en una afección que afecta,<br />

según las actuales informaciones, a más de 47 millones de<br />

personas en le mundo hasta Junio del 2000.<br />

El VIH tiene un trofismo específico por los linfocitos T facilitadores<br />

(Helper, T4, CD 4) sobre los que ejerce un efecto,<br />

catalítico y citopático que da lugar a una disminución y disfunción<br />

selectiva de los mismos. Debido al papel de la central<br />

que dichas células ocupan en la respuesta inmune esta<br />

condiciona las alteraciones de la inmunidad celular a las infecciones<br />

oportunistas que pueden ser producidas entre otros<br />

microorganismos por hongos, virus y bacterias.<br />

En Cuba los más frecuentes son las producidas por Pneumocisti<br />

carinii, Mycobacterium tuberculosis y bacterias que<br />

afectan el aparato respiratorio; respecto a los tumores los más<br />

característicos son el Linfoma No Hodgkin y el Sarcoma de<br />

Kaposi.<br />

A través de la aplicación en nuestro Instituto de Medicina<br />

Tropical “Pedro Kourí” del Software conocido con las siglas<br />

de SARCAP (Sistema Automatizado de Registro y Control<br />

en Anatomía Patológica) expondremos la situación actual de<br />

la casuística de nuestra Base de Datos de Autopsias en fallecidos<br />

con VIH/SIDA para de esta forma contribuir a la comprensión<br />

de su fisiopatología y de las enfermedades oportunistas<br />

asociadas. La utilidad de la autopsia no ha disminuido<br />

en nuestro país a pesar de los avances actuales de la tecnología<br />

diagnóstica. Con este trabajo presentaremos un estudio<br />

donde se relacionan los diagnósticos pre-mortem con los hallazgos<br />

anatomopatológicos en las autopsias consecutivas de<br />

fallecidos con infección VIH/SIDA realizadas por nuestro<br />

servicio de Anatomía Patológica hasta el año 2002. El análisis<br />

de las discrepancias diagnósticas posibilitan una mejor<br />

comprensión y experiencia de la enfermedad y garantiza una<br />

mayor calidad de los servicios médicos.


266<br />

Lesioni nodulari multiple in paziente affetto<br />

da morbo di Crohn e linfoma di Hodgkin<br />

F. Guddo, G. Di Marco, T. Mannone, M. Rizzuto, M. Stella,<br />

A.G. Rizzo<br />

U.O. di Istologia ed Anatomia Patologica, Ospedale V. Cervello,<br />

Palermo<br />

Storia clinica del caso<br />

Uomo di 34 anni, affetto da malattia di Crohn per il quale<br />

viene sottoposto a resezione ileo-colica. Dopo circa due anni<br />

dalla resezione chirurgica i linfonodi mesenterici e peri-pancreatici<br />

mostrano un aumento volumetrico. L’esame istologico<br />

dei linfonodi escissi consente la diagnosi di Linfoma di<br />

Hodgkin, varietà cellularità mista e pertanto il paziente viene<br />

sottoposto a trattamento chemioterapico e ad autotrapianto di<br />

midollo. Dopo due anni dal trapianto, il paziente si presenta<br />

all’osservazione dello pneumologo per astenia ingravescente,<br />

febbricola, lieve dispnea da sforzo e tosse. L’esame radiografico<br />

del polmone mette in evidenza la presenza di formazioni<br />

nodulari multiple, in sede lobare superiore sinistra a prevalente<br />

distribuzione peri-bronchiale e con aree di addensamento<br />

parenchimale associate a linfoadenomegalia ilare. Le<br />

indagini di laboratorio mettono in evidenza un incremento<br />

degli indici della flogosi, mentre la ricerca di patogeni infettivi<br />

risulta essere negativa. Nell’ipotesi che si tratti di una localizzazione<br />

polmonare di Linfoma di Hodgkin il paziente<br />

viene sottoposto a nuovo ciclo di chemioterapia, ma dopo sei<br />

mesi si osservano nuove aree di addensamento parenchimale<br />

e peri-bronchiali ad interessamento del lobo inferiore omolaterale.<br />

Il paziente viene quindi sottoposto a lobectomia inferiore<br />

sinistra.<br />

Morfologia e metodiche applicate<br />

L’esame morfologico del parenchima polmonare evidenzia la<br />

presenza di multipli granulomi necrotizzanti a prevalente distribuzione<br />

peri-bronchiale associati ad aspetti di granulomatosi<br />

broncocentrica. La colorazione Ziehl Nielsen ha messo<br />

in evidenza la presenza di bacilli, ulteriormente confermata<br />

dalla reazione immunoistochimica mediante l’uso dell’anticorpo<br />

monoclonale anti Micobatterio tubercolare. Negativa<br />

la ricerca di altri microrganismi mediante colorazioni Gram e<br />

Grocott. Negativa la ricerca morfologica ed immunofenotipica<br />

di linfoma di Hodgkin.<br />

Diagnosi finale<br />

Polmonite interstiziale granulomatosa da infezione di micobatterio<br />

tubercolare.<br />

Commento<br />

Le infiammazioni granulomatose del polmone possono essere<br />

riscontrate in un’ampia serie di condizioni clinico-patologiche,<br />

che includono tanto patologie primarie polmonari diffuse<br />

quanto localizzazioni secondarie di processi sistemici 1 .<br />

Recenti studi hanno dimostrato che il paziente affettto da malattia<br />

di Crohn può manifestare dellle pneumopatie, che possono<br />

essere sia localizzazione extraintestinale di malattia 2 ,<br />

che farmaco-correlate. In aggiunta è ampiamente dimostrato<br />

che il polmone è una delle possibili sedi di localizzazione extralinfonodale<br />

di malattia di Hodgkin ed inoltre pazienti sottoposti<br />

a trapianto di midollo sviluppano più frequentemente<br />

infezioni polmonari 3 . Tutte le suddette entità possono mostrare<br />

il quadro radiologico di “noduli diffusi”. I noduli, definiti<br />

come densità parenchimali discrete, possono distribuirsi<br />

prevalentemente nel lobo superiore (es. sarcoidosi, pneumoconiosi,<br />

istiocitosi X polmonare, polmonite da ipersensibilità),<br />

nel lobo inferiore (es. asbestosi, malattie collageno<br />

vascolari) o ilare e peri-ilare (es. neoplasie a distibuzione lin-<br />

CORSI BREVI - SLIDE SEMINARS<br />

fangitica e sarcoidosi). Parallelamente la valutazione della<br />

distribuzione anatomica della nodularità (asse bronco-vascolare,<br />

pleura o l’intero lobulo), la necrosi, la fibrosi, la presenza<br />

di materiale estraneo o di granulomi consentono al patologo<br />

di giungere nella maggior parte dei casi alla diagnosi.<br />

Pertanto il set clinico e radiologico insieme con i reperti istopatologici<br />

fanno parte di un algoritmo diagnostico che può<br />

fornire rilevanti informazioni sull’eziologia, il trattamento e<br />

la prognosi.<br />

Bibliografia<br />

1 Cheung OY, Muhm JR, Helmers RA, Aubry MC, Tazelaar HD, Khoor<br />

A, Leslie KO, Colby TV. Surgical pathology of granulomatous interstitial<br />

pneumonia. Ann Diagn Pathol 2003;7(2):127-38.<br />

2 Casey MB, Tazelaar HD, Myers JL, Hunninghake GW, Kakar S, Kalra<br />

SX, Ashton R, Colby TV. Noninfectious lung pathology in patients<br />

with Crohn’s disease. Am J Surg Pathol 2003;27(2):213-9.<br />

3 Leung AN, Gosselin MV, Napper CH, Braun SG, Hu WW, Wong RM,<br />

Gasman J. Pulmonary infections after bone marrow transplantation:<br />

clinical and radiographic findings. Radiology 1999;210(3):699-710.<br />

Patologia infettiva del tratto<br />

gastrointestinale<br />

P. Baccarini<br />

Sezione di Anatomia Patologica “M. Malpighi”, Università<br />

di Bologna, Ospedale Bellaria, Bologna<br />

Caso 1. Storia clinica<br />

Paziente di sesso femminile, di anni 75, giunta all’osservazione<br />

clinica per anemia, lieve dispepsia e calo ponderale. La<br />

paziente era in terapia cronica con corticosteroidi in quanto<br />

affetta da connettivite. È stata eseguita un’esofagogastroscopia<br />

con biopsie a livello dello stomaco e del duodeno. L’esame<br />

endoscopico non aveva mostrato alterazioni significative<br />

né a carico dello stomaco né dei primi tratti duodenali.<br />

L’esame istologico evidenziava la presenza sulla superficie<br />

libera dell’intestino e a livello delle foveole gastriche di<br />

strutture rotondeggianti o allungate, compatibili con larve<br />

adulte di parassiti<br />

Diagnosi<br />

Infestazione gastrica e duodenale da Strongyloides Stercoralis.<br />

Commento<br />

Le infezioni intestinali da elminti sono molto comuni nei<br />

paesi in via di sviluppo, arrivando in alcuni di questi ad una<br />

prevalenza vicina al 75%. L’ infezione si contrae attraverso<br />

l’ingestione di cibi o acqua contaminati da feci infette o attraverso<br />

il contatto con terreno infetto. Le infezioni da questi<br />

parassiti nei paesi industrializzati sono rare ed in genere appannaggio<br />

di immigrati, di lavoratori che hanno vissuto per<br />

lungo tempo in aree endemiche oppure di soggetti immunodepressi,<br />

principalmente HIV positivi, portatori di neoplasie<br />

maligne o in terapia cronica con corticosteroidi 1 2 . La diagnosi<br />

può essere fatta agevolmente attraverso la valutazione<br />

istologica in ematossilina ed eosina delle biopsie ottenute attraverso<br />

l’ esame endoscopico.<br />

Importante la diagnosi differenziale con gli altri nematodi al<br />

fine di approntare una corretta terapia.<br />

Caso 2. Storia clinica<br />

Paziente di sesso maschile, di anni 68, pervenuto all’osservazione<br />

clinica per diarrea, con strie di sangue, e dolori addominali<br />

di recente insorgenza. L’esame colonscopico aveva<br />

evidenziato la presenza di aree iperemiche e congeste nel co-


PATOLOGIA INFETTIVA<br />

lon discendente con alcune erosioni a livello del sigma. Su<br />

tali erosioni sono stati effettuati prelievi bioptici. Il paziente<br />

non mostrava segni endoscopici o clinici suggestivi di rettocolite<br />

ulcerosa, né di altre patologie significative.<br />

All’esame istologico la mucosa colica mostrava moderato infiltrato<br />

flogistico linfoistiocitario della lamina propria con<br />

una piccola area ulcerata sede di infiltrato granulocitario e di<br />

tessuto di granulazione. In corrispondenza di tale area, alcune<br />

cellule endoteliali e stromali mostravano inclusioni intranucleari<br />

eosinofile suggestive di infezione da citomegalovirus.<br />

L’ indagine immunoistochimica con anticorpo monoclonale<br />

contro gli antigeni precoci del CMV (clone CCH2,<br />

DAKO) ha confermato la presenza del virus.<br />

Diagnosi<br />

Ulcere intestinali da citomegalovirus (CMV).<br />

Commento<br />

Le infezioni intestinali da citomegalovirus sono in genere osservate<br />

in soggetti immunodepressi oppure in associazione<br />

con la rettocolite ulcerosa, ed anzi sono ritenute responsabili<br />

di quelle forme di colite ulcerosa che non rispondono al trattamento<br />

steroideo 3 . Numerosi studi hanno però dimostrato<br />

che il CMV è un potenziale patogeno per il tratto gastrointestinale<br />

anche in pazienti non immunodepressi, dove può produrre<br />

lesioni dalla bocca all’ano 4 . La diagnosi istologica non<br />

presenta particolari difficoltà, a patto di tenere presente la<br />

possibilità di tali infezioni. Utile può essere la conferma immunoistochimica<br />

soprattutto nelle forme di infezione da<br />

CMV con inclusioni intranucleari atipiche.<br />

Bibliografia<br />

1 Safdar A, Malathum K, Rodriguez SJ, Husni R, Rolston KV. Strongyloidiasis<br />

in patients at a comprehensive cancer center in the United<br />

States. Cancer 2004;100(7):1531-1536.<br />

2 Haque AK, Schnadig V, Rubin SA, Smith JH. Pathogenesis of human<br />

strongyloidiasis: autopsy and quantitative parasitological analysis.<br />

Mod Pathol 2004;7(3):276-88.<br />

3 Kambham N, Vij R, Cartwright CA, Longacre T. Cytomegalovirus infection<br />

in steroid- refractory ulcerative colitis: a case control study.<br />

Am J Surg Pathol 2004;28:365-373.<br />

4 Maiorana A, Baccarini P, Foroni M, Bellini N, Giusti F. Human Cytomegalovirus<br />

infection of the gastrointestinal tract in apparently immunocompetent<br />

patients. Hum Pathol 2003;34:1331-1336.<br />

Patologia infettiva della cute<br />

P. Fiallo<br />

U.O. Dermatologia Sociale, Laboratorio di Referenza Nazionale<br />

per il Morbo di Hansen, Ospedale Università San Martino,<br />

Genova<br />

Caso 1<br />

Paziente di sesso femminile, 38 anni, originaria del Vietnam<br />

e residente in Italia da circa 13 anni, alla XX settimana di<br />

gravidanza, che presenta l’insorgenza acuta di una placca cutanea<br />

eritematosa localizzata all’emivolto destro ed alla piramide<br />

nasale.<br />

L’esame istopatologico eseguito su prelievo bioptico della<br />

lesione cutanea evidenzia la presenza di granulomi con cellule<br />

epitelioidi, numerosi linfociti ed alcune cellule giganti<br />

tipo “corpo estraneo” nel derma e nelle porzioni superiori<br />

dell’ipoderma. I granulomi si presentano scarsamente compatti,<br />

per la presenza di edema intercellulare, ed alcuni di essi<br />

infiltrano i filamenti nervosi cutanei. La colorazione Fite-<br />

Faraco, eseguita su alcune sezioni, evidenzia la presenza di<br />

rari bacilli acido-resistenti (BAR) all’interno dei filamenti<br />

nervosi.<br />

267<br />

Sulla base dei dati clinici, istologici e batteriologici viene posta<br />

diagnosi di lebbra borderline-tubercoloide (BT) in reazione<br />

reversal (RR).<br />

La lebbra è una malattia infettiva cronica della cute e dei nervi<br />

periferici causata dal Mycobacterium leprae. La malattia<br />

può manifestarsi in una varietà di forme clinico-patologiche.<br />

Esistono due forme cosiddette “polari”: la lebbra tubercoloide<br />

(TT), che si caratterizza istologicamente per la formazione<br />

di granulomi a cellule epiteliodi e cellule giganti e la presenza<br />

di pochi BAR, e la lebbra lepromatosa (LL), istologicamente<br />

caratterizzata da infiltrati macrofagici ricchissimi di<br />

BAR. Tra queste due forme sono comprese le forme borderline<br />

(BT,BB, BL) che presentano caratteri istopatologici e carica<br />

bacillare intermedi tra le due forme polari. La lebbra ha<br />

un decorso clinico lento, e spesso asintomatico, che può però<br />

essere interrotto da fatti infiammatori acuti detti “leproreazioni”.<br />

Si riconoscono due tipi di reazioni, la reazione reversal<br />

(RR) e l’eritema nodoso leproso (ENL), che si distinguono<br />

per patogenesi, espressione clinica e quadro istopatologico.<br />

La RR è una reazione immunitaria cellulo-mediata verso<br />

il M. leprae, caratterizzata istologicamente da intenso edema<br />

e comparsa di cellule giganti da corpo estraneo. Questa forma<br />

di leproreazione, se non viene prontamente diagnosticata<br />

e curata, può causare gravi danni ai nervi periferici, con disturbi<br />

funzionali inizialmente reversibili, che successivamente<br />

però diventano permanenti e gravemente invalidanti.<br />

L’ENL è una reazione da immunocomplessi verso antigeni<br />

del M. leprae, clinicamente caratterizzata da compromissione<br />

dello stato generale (febbre, astenia, ecc.) ed istologicamente<br />

dall’infiltrazione di leucociti polimorfonucleati all’interno<br />

di granulomi macrofagici multibacillari.<br />

Caso 2<br />

Paziente di sesso maschile, di circa 50 anni, residente nello<br />

stato Amazonas in Brasile, che da alcuni anni presenta noduli<br />

cutanei multipli, del colorito della cute ed indolenti. La<br />

maggior parte dei noduli ha supeficie integra e liscia ma alcuni<br />

di essi appaiono ulcerati. Il paziente riferisce che i noduli<br />

sono progressivamente aumentati di numero e dimensioni.<br />

L’esame istopatologico di un prelievo bioptico di una lesione<br />

cutanea evidenzia una epidermide atrofica con appiattimento<br />

delle creste interpapillari. Nel derma è presente una diffusa<br />

fibrosi con denso infiltrato costituito da cellule epitelioidi,<br />

istiociti, e cellule giganti prevalentemente tipo Langhans. Associato<br />

a questo infiltrato si possono osservare numerosissimi<br />

elementi rotondeggianti fungini, con membrana a doppio<br />

contorno.<br />

Sulla base della provenienza geografica e delle caratteristiche<br />

clinico-patologiche si pone diagnosi di lobomiosi. La lobomicosi,<br />

o blastomicosi di Jorge Lobo, è una micosi profonda,<br />

esclusiva del continente latino-americano, presente con<br />

maggior frequenza nell’area amazzonica. La malattia viene<br />

contratta dopo traumatismo con vegetali infetti. L’infezione<br />

si manifesta inizialmente in forma di piccola papula, e successivamente<br />

si diffonde in maniera centrifuga, per contiguità<br />

e per via linfatica, rimanendo però sempre localizzata a<br />

cute e sottocute. L’evoluzione della malattia è lenta; dopo<br />

molti anni le lesioni possono assumere dimensioni notevoli,<br />

fino a poter compromettere la funzionalità di un arto. La diagnosi<br />

è possibile dopo dimostrazione dell’agente eziologico<br />

nella biopsia, o nella secrezione dermica in caso di lesioni ulcerate.<br />

Il fungo si presenta di forma rotondeggiante, con doppia<br />

membrana, già osservabile nei preparati istologici colorati<br />

con ematossilina-eosina, ma ancor più facilmente visibile<br />

dopo colorazione PAS.


268<br />

Caso 3<br />

Paziente di sesso maschile, dell’età di 45 anni, residente nello<br />

stato di Parà in Brasile, con presenza di una lesione cutanea<br />

alla gamba. La lesione è costituita da una placca iperpigmentata,<br />

a superficie verrucosa, e parziale cicatrizzazione<br />

centrale che conferisce alla lesione un aspetto anulare. L’esame<br />

istologico di un prelievo bioptico cutaneo effettuato sul<br />

bordo della lesione evidenzia un’epidermide con ipercheratosi<br />

ed acantosi irregolare alternata ad aree di atrofia. Nel derma<br />

è presente un denso infiltrato infiammatorio granulomatoso<br />

costituito da linfociti, plasmacellule, istiociti, cellule<br />

epitelioidi e cellule giganti. All’interno dei granulomi sono<br />

presenti corpi sferici raggruppati, di colorito marrone, del<br />

diametro di circa 10 µm, alcuni dei quali presentano una separazione<br />

settale centrale. Sulla base della provenienza geografica,<br />

delle caratteristiche cliniche della lesione e dei riscontri<br />

anatomo-patologici, incluso l’osservazione di corpi<br />

rotondi, marroni, con aspetti di fissazione binaria, viene posta<br />

diagnosi di cromomicosi.<br />

La cromomicosi è una micosi profonda di cute e sottocute<br />

causata da diverse specie di funghi appartenenti alla famiglia<br />

delle Dematiaceae. Questi funghi sono caratterizzati dalla colorazione<br />

marrone e da una capacità di riprodursi per fissione<br />

binaria o multipla. La malattia ha una distribuzione ubiquitaria,<br />

ma compare più frequentemente nelle aree tropicali<br />

e subtropicali. Il contagio avviene dopo traumatismo con<br />

CORSI BREVI - SLIDE SEMINARS<br />

frammenti vegetali contaminati. L’infezione si estende progressivamente<br />

per contiguità, a partire dal punto di entrata,<br />

determinando la formazione di lesioni cutanee verrucose.<br />

L’evoluzione della malattia è molto lenta, potendo, nel corso<br />

di alcuni anni, causare la comparsa di lesioni cutanee che interessano<br />

vaste aree della superficie corporea. L’infezione rimane<br />

quasi sempre limitata a cute e sottocute, e solo in rarissimi<br />

casi, al pari di altre micosi profonde, può interessare organi<br />

interni. La diagnosi si pone sulla base dell’osservazione<br />

dei funghi nei preparati istologici di biopsie cutanee, sia dopo<br />

colorazione con ematossilina-eosina, che con l’utilizzo di<br />

altre colorazioni (PAS, Gomori-Grocott, Fite-Faraco). L’esame<br />

colturale di materiale biologico prelevato dalle lesioni<br />

può confermare la diagnosi e consentire l’identificazione della<br />

specie di fungo che causa l’infezione.<br />

Bibliografia<br />

Ridley DS. Histological classification and the immunological spectrum<br />

of leprosy. Bulletin of the World Health Organization 1974;51:451-465.<br />

Ridley DS. Reactions. In: Ridley DS, editor. Pathogenesis of leprosy and<br />

related diseases. London: Ed. Wright, 1988.<br />

Lobo J. Um caso de Blastomicose, produzido por uma espécie nova, encontrada<br />

em Recife. Rev Med (Pernambuco) 1931;44:763-5.<br />

Gadelha A. dos R., Bandeira V. Micoses profundas. In: da Silva I.M.<br />

(ed.). Dermatopatologia. 1983:125-134. Atheneu, Rio de Janeiro.<br />

McGinnis MR. Chromoblastomycosis and phaeohyphomycosis: new<br />

concepts, diagnosis and mycology. J Am Acad Dermatol 1983;8:1-16.


PATHOLOGICA 2004;96:269-270<br />

Il ruolo del consulente ed il consulto<br />

in anatomia patologica<br />

Il punto di vista dell’anatomo patologo<br />

A. Andrion<br />

Dipartimento dei Servizi Diagnostici, S.C. Anatomia, Istologia<br />

Patologica e Citodiagnostica, Ospedale Martini, ASL 2,<br />

Torino<br />

I fenomeni di mobilità sanitaria dovuti ai mutati contesti socio-economici<br />

e la forte esigenza dei pazienti di maggiore<br />

informazione circa la conformità dell’atto medico che viene<br />

proposto hanno incrementato la richiesta di consulto, o comunque<br />

la richiesta di una seconda opinione da parte di un<br />

altro professionista, spesso appartenente ad altra istituzione.<br />

Ad esempio, riferendoci al singolo paziente, é sempre più<br />

frequente che non vi sia identità tra istituzione in cui viene<br />

posta una diagnosi e istituzione in cui viene effettuata la successiva<br />

terapia. Questo processo coinvolge sempre di più anche<br />

il patologo con un corollario di problemi che spaziano da<br />

responsabilità medico-legali, ai riflessi deontologici, sino a<br />

risvolti di ordine gestionale ed economico 1-4 . Di conseguenza,<br />

é necessario che il patologo conosca sia le procedure da<br />

adottare a tutela del paziente, dei colleghi e propria 5 , sia la<br />

vasta gamma di situazioni che possono motivare la richiesta<br />

di consulto al fine di poterle gestire al meglio. Infatti, accanto<br />

agli eventi di gran lunga più frequenti riguardanti la richiesta<br />

di consulto per casi di difficile/problematica interpretazione<br />

o per ulteriore validazione della diagnosi morfologica<br />

al fine di proseguire/iniziare una terapia non banale, un<br />

trattamento invasivo, a rischio o potenzialmente invalidante,<br />

esistono richieste che possono essere collegate a fattori “minori”,<br />

non di tipo diagnostico ma tuttavia assai problematici.<br />

Ad esempio, supposta scarsa fiducia da parte del paziente o<br />

del medico curante nel patologo che ha posto la diagnosi,<br />

prassi esasperata di medicina difensiva da parte del clinico<br />

che assume in carico il paziente, possibili forzature legate al<br />

potenziale incremento di guadagno connesso all’attività di<br />

consulto, ecc. Tenendo presenti i differenti scenari, é verosimile<br />

che il singolo patologo, soprattutto quello soggetto a seconda<br />

opinione, ritenga che vi sia necessità di pieno riconoscimento<br />

e diffusa informazione sul fenomeno della variabilità<br />

e soggettività dell’osservazione per cui, in caso di discrepanza<br />

di giudizio, occorre differenziare non solo tra errore<br />

diagnostico comportante rilevanti modifiche dell’approccio<br />

terapeutico e prognostico ed errore diagnostico che non implica<br />

le suddette modifiche (vale a dire, se si tratta di un errore<br />

non accettabile o accettabile), ma anche tra variazione di<br />

giudizio correlata ad un errore e variazione frutto soltanto di<br />

differenze di “scuola” o di impiego di sistemi classificativi<br />

differenti 6 . Un altro tema non risolto riguarda la proprietà del<br />

e, soprattutto, la responsabilità sul materiale biologico/preparato<br />

isto-citologico che viene sottoposto a consulto, nell’evenienza<br />

che questo venga perso o danneggiato. E’ sufficiente<br />

una dichiarazione liberatoria? È sufficiente o lecito impiegare<br />

lo strumento (dissuasivo) del deposito cauzionale? E ancora:<br />

la richiesta di parere che spesso un patologo richiede ad<br />

un collega di altra istituzione – prima o dopo avere emesso<br />

una diagnosi – equivale ad una richiesta di consulto, deve es-<br />

Moderatori: A. Fabiano (Roma) e F.M. Vecchio (Roma)<br />

sere sempre formalizzata e come? A chi deve essere attribuito<br />

il costo di tale pratica? Il paziente deve essere preventivamente<br />

informato sull’intenzione di sottoporre il suo materiale<br />

biologico a questo tipo di valutazione, onde poter esprimere<br />

il proprio consenso o meno? Attualmente, su questa ampia<br />

gamma di temi non esistono posizioni univoche, né tanto<br />

meno esse sono codificate da un qualche codice deontologico<br />

o da precise norme legislative. Tuttavia, esiste fortunatamente<br />

la convinzione sempre più ferma e diffusa della necessità<br />

di trattare la materia in termini pluridisciplinari e sotto<br />

differenti angolature al fine di uniformare quanto più possibile<br />

– tramite un primo consenso sviluppato all’interno della<br />

comunità medico-scientifica – procedure e punti di vista<br />

per salvaguardare i legittimi interesse dei due principali attori<br />

coinvolti: il paziente e il patologo.<br />

Bibliografia<br />

1 Association of Directors of Anatomic and Surgical Pathology. Consultation<br />

in surgical pathology. Am J Surg Pathol 1993;17:743-5.<br />

2 Leslie KO, Fechner RE, Kempson RL. Second opinions in surgical<br />

pathology. Am J Clin Pathol 1996;106(suppl1):S58-S64.<br />

3 Murphy WM. Ethical issues in anatomic pathology. Are we going the<br />

way of the financial sector? Am J Surg Pathol 2003;27:392-5.<br />

4 Tsung JSH. Institutional pathology consultation. Am J Surg Pathol<br />

2004;28:399-402.<br />

5 SIAPEC. Norme per consulenze e consulti isto-citologici richiesti a<br />

scopo di diagnosi e cura del paziente. Testo approvato dal Consiglio<br />

Direttivo. Padova, 24 gennaio 2004.<br />

6 Foucar E. Error identification. A surgical pathology dilemma. Am J<br />

Surg Pathol 1998;22:1-5.<br />

Il punto di vista della Società Scientifica<br />

F.M. Vecchio<br />

Istituto di Anatomia e Istologia Patologica, Università Cattolica<br />

del Sacro Cuore, Roma<br />

Le problematiche relative al ruolo del consulente e, più in generale,<br />

al consulto in Anatomia Patologica costituiscono per<br />

la Società Scientifica una tematica di indubbio interesse e<br />

nello stesso tempo una concreta occasione per esercitare un<br />

ruolo rientrante a pieno titolo tra i suoi fini istituzionali. In<br />

effetti il consulto ed il consulente operano in una area, quella<br />

della attività professionale e degli interessi a questa collegati,<br />

espressamente richiamata ai commi b) e l) dell’art. 3<br />

dello Statuto Societario che elenca gli scopi della SIAPEC-<br />

IAP.<br />

In tale ottica di rappresentanza e tutela degli interessi professionali,<br />

si è mossa negli ultimi sei anni la Società con alcune<br />

concrete realizzazioni. La prima del 30 giugno 2000 con la<br />

decisione del Consiglio Direttivo di “dare la più diffusa<br />

informazione (sito e rivista) della disponibilità di gruppi di<br />

patologi a diventare centro di “second opinion” mediante la<br />

telepatologia” con conseguente creazione sul sito stesso di<br />

una sorta di Albo dei Consulenti, soggetti iscritti alla Società<br />

e disposti ad offrire la loro consulenza (anche indipendentemente<br />

dalla telepatologia) nel campo di loro specifico interesse;<br />

la seconda con l’organizzazione del Convegno Nazio-


270<br />

nale su “L’errore in Anatomia Patologica” svoltosi a Roma<br />

nel marzo del 2001 ed il cui sottotitolo non casualmente era<br />

“Migliorare la sicurezza del paziente e tutelare il professionista”;<br />

la terza, infine con l’approvazione da parte del Consiglio<br />

Direttivo, il 24 gennaio di quest’anno, delle “Norme per<br />

consulti e consulenze istocitologici richiesti a scopo di diagnosi<br />

e cura dal paziente”. Con quest’ultimo atto la Società,<br />

rielaborando le “Procedure per le richieste di revisione e consulenza”<br />

già contenute nel Manuale FISAPEC del 1994, ha<br />

emanato delle linee guida di comportamento rivolte ai Patologi<br />

coinvolti sia nella consegna che nell’esame dei vetrini<br />

oggetto della consulenza e che sono state proposte alla sperimentazione<br />

degli iscritti, invitati anche dal Presidente a far<br />

pervenire alla Società stessa tutte le osservazioni e le eventuali<br />

proposte di modifiche o di integrazioni derivanti dalla<br />

sperimentazione stessa.<br />

La Società è quindi intervenuta su alcuni tra i fattori più critici<br />

in una consulenza, in parte già evidenziati nelle relazioni<br />

precedenti: l’errore diagnostico, la qualificazione del consulente,<br />

la definizione di un contesto normativo di riferimento,<br />

almeno per ciò che riguarda le consulenze richieste dal pa-<br />

CORSI BREVI - SLIDE SEMINARS<br />

ziente. A tale proposito meritano particolare attenzione le indicazioni<br />

espresse nei paragrafi 4 e 5 della normativa emanata<br />

dalla Società sia per ciò che attiene la possibile diversità<br />

tra il parere diagnostico del consulente e quello originariamente<br />

espresso, che per quanto riguarda lo specifico ambito<br />

delle colorazioni immunoistochimiche eseguite non a scopo<br />

diagnostico, ma per evidenziare markers con valenza prognostica<br />

o terapeutica.<br />

Certo, le indicazioni (o “linee guida”) che la SIAPEC-IAP<br />

rivolge ai propri iscritti, non risolvono tutti gli interrogativi<br />

e le complesse problematiche sull’argomento e non determinano<br />

in modo automatico il comportamento degli iscritti<br />

alla Società stessa, diversamente da quanto avviene in altri<br />

paesi.<br />

Se però una Società rappresenta la stragrande maggioranza<br />

dei soggetti operanti in un determinato ambito (e questo è sicuramente<br />

il caso della SIAPEC-IAP), ne interpreta le esigenze<br />

e le volontà e sottopone le proprie linee guida alla sperimentazione<br />

ed alla libera valutazione dei soggetti rappresentati,<br />

allora le indicazioni che dalla Società provengono<br />

hanno elevate probabilità di essere seguite ed attuate.


PATHOLOGICA 2004;96:271-276<br />

Introduzione<br />

P. Gallo<br />

Cattedra di Anatomia Patologica Cardiovascolare, Università<br />

di Roma “La Sapienza”<br />

Grazie al continuo evolvere della ricerca, possiamo ormai affermare<br />

che il quadro dell’anatomia patologica della morte<br />

improvvisa cardiaca (MIC) è noto nella generalità dei casi.<br />

Tuttavia sono ancora numerosi i casi nei quali il Patologo può<br />

trovarsi in difficoltà ed è quindi da apprezzare l’iniziativa del<br />

Gruppo di Studio Italiano di Patologia Cardiovascolare che<br />

ha deciso, sotto l’impulso del Presidente, dr.ssa Angela Pucci,<br />

di organizzare questo corso breve per discutere con i Patologi<br />

Italiani alcune linee-guida per l’esame del cuore e l’inquadramento<br />

della MIC.<br />

In effetti, sono pochi i casi di MIC nei quali si riscontra una<br />

patologia che possa essere considerata in modo univoco la<br />

causa della morte repentina (un tamponamento cardiaco, l’occlusione<br />

trombotica di un grosso ramo coronario epicardio,<br />

ecc). In molti casi quella che si rinviene è una patologia associata<br />

alla MIC (nel senso che la si riscontra di frequente in<br />

questa condizione) ma senza che sia stato possibile appurare<br />

con certezza il meccanismo funzionale che ha provocato il decesso<br />

(una malattia coronaria travasale, una grave ipertrofia<br />

concentrica del ventricolo sinistro, un evidente prolasso della<br />

mitrale). In altri casi, ancora, è presente una patologia nota ma<br />

con una presentazione atipica, che è possibile diagnosticare<br />

solo facendo ricorso ad un approccio di esame sistematico e<br />

completo (una cardiomiopatia ipertrofica simmetrica, una<br />

miocardite focale). In altri casi il reperto anatomopatologico<br />

cade in una zona grigia nella quale i limiti tra normalità e patologia<br />

sono indistinti (come nei casi di infiltrazione adiposa<br />

focale che suggeriscono ma non autorizzano una diagnosi di<br />

cardiomiopatia aritmogena). Esistono poi casi sine materia<br />

nei quali neppure lo studio anatomopatologico più accurato<br />

consente una diagnosi, e diviene indispensabile il ricorso allo<br />

studio tossicologico o genetico-molecolare.<br />

Il Corso breve si propone di suggerire un metodo di indagine,<br />

di fornire notizie aggiornate sui quadri anatomopatologici<br />

paradigmatici, e di esporre le conclusioni di un gruppo di<br />

esperti alla ricerca di un consenso su criteri diagnostici per<br />

affrontare alcune zone grigie al limite tra normalità e patologia.<br />

Casi emblematici di morte improvvisa<br />

cardiaca. Caso 1: anomalie congenite delle<br />

arterie coronarie<br />

E. Maresi * , P. Procaccianti **<br />

* ** Istituto di Anatomia Patologica; Istituto di Medicina Legale<br />

e delle Assicurazioni, Università di Palermo<br />

Le anomalie congenite delle arterie coronarie (ACC) sono difetti<br />

dell’origine e del decorso delle arterie coronarie principali<br />

1 che possono manifestarsi “isolatamente” o “in associazione”<br />

ad altre patologie cardiache di natura congenita, costituendo<br />

importanti cause di mortalità e morbosità 2 . Sebbe-<br />

Morte improvvisa cardiaca<br />

Moderatori: G. Caruso (Bari) e P. Gallo (Roma)<br />

ne meno comuni rispetto alle alterazioni strutturali delle pareti<br />

e delle valvole cardiache, le ACC devono essere prese in<br />

considerazione, in un largo ambito di età ed in entrambi i sessi,<br />

come possibile causa di sindrome coronarica acuta 2-4 . La<br />

presenza di una ACC deve pertanto essere sospettata e quindi<br />

ricercata con particolare diligenza all’esame necroscopico<br />

dei soggetti deceduti per arresto cardiaco repentino ed inatteso<br />

(morte improvvisa cardiaca) 5 .<br />

Descrizione del caso<br />

Trattasi di un giovane di anni 30, morto improvvisamente entro<br />

un ora dal risveglio mattutino. Dal verbale di sommarie<br />

informazioni testimoniali rese dalla madre ai funzionari della<br />

Questura si evince che il giovane lavorava da circa sei mesi<br />

al Nord Italia e che, il giorno prima del decesso, era ritornato<br />

al suo paese natale per trascorrere un breve periodo di<br />

vacanza. Alle prime luci dell’alba, alzatosi dal letto per le<br />

abluzioni mattutine, stramazzò improvvisamente a terra accusando<br />

severa dispnea e perdita di coscienza. Il pz. venne<br />

trasportato celermente al Pronto Soccorso mediante 118 dove<br />

giunse cianotico, in midriasi fissa, apnoico, senza polso ed<br />

in arresto cardiaco. Le manovre rianimatorie (massaggio cardiaco,<br />

ventilazione, defibrillazione, somministrazione di<br />

adrenalina) indussero una temporanea ripresa del ritmo cardiaco,<br />

ma ben presto si manifestò una dissociazione elettromeccanica<br />

senza polso, irreversibile sino all’exitus. Nulla<br />

nell’anamnesi fisiologica e patologica del paziente poteva<br />

giustificare o preannunciare la morte improvvisa eccetto una<br />

storia di tossicodipendenza non confermata però dalle indagini<br />

tossicologiche effettuate post-mortem. Il riscontro autoptico<br />

escludeva cause di morte non cardiache (violente e<br />

naturali) mentre il cuore evidenziava: ipertrofia (cuore del<br />

peso di gr 490; diametro traverso cm 12; diametro longitudinale<br />

cm 10); origine anomala della coronaria destra al di sopra<br />

della commessura tra cuspide anteriore e sinistra, decorso<br />

ad angolo acuto da sinistra a destra, con lume ostiale a<br />

“becco di flauto”, del segmento prossimale posto tra radice<br />

aortica e polmonare; coronarie interventricolare anteriore e<br />

circonflessa di sinistra con origine dal seno di Valsalva sinistro<br />

mediante 2 osti separati; circolo coronario dominante destro;<br />

radice aortica con tre seni di Valsalva, 2 lembi valvolari<br />

ispessiti (fusione delle cuspidi anteriore e sinistra) e tre<br />

commessure (la commessura anteriore risulta connessa al<br />

lembo anteriore mediante piccole corde tendinee); ventricolo<br />

sinistro con ipertrofia eccentrica (spessore del setto interventricolare<br />

mm 19; spessore del ventricolo sinistro mm 12;<br />

spessore del ventricolo destro mm 7). Il ventricolo sinistro<br />

mostrava istologicamente una diffusa ipertrofia miocitaria di<br />

grado moderato e miocitolisi coagulativa associata a fasci di<br />

miociti ondulati e a lieve fibrosi sostitutiva, a livello della parete<br />

posteriore.<br />

Discussione<br />

L’origine anomala di una coronaria dall’aorta stessa è una<br />

condizione anatomo-clinica “subdola” e per questo ad elevato<br />

rischio di morte improvvisa. Sebbene differenti meccanismi<br />

fisiopatologici siano stati ipotizzati quale causa dell’arresto<br />

cardiaco fatale, oggigiorno si ritiene che l’origine ad<br />

angolo acuto ed il decorso tra arteria polmonare ed aorta, con<br />

il lume a fessura, del segmento prossimale della coronaria<br />

anomala (substrato) possano indurre, in condizione di so-


272<br />

vraccarico emodinamico (trigger), attacchi ischemici ripetuti<br />

con sviluppo di lesioni necrotiche focali e sclerosi post-infartuale<br />

nonché ipertrofia ventricolare, che insieme possono innescare<br />

aritmie pericolose per la vita 3 . Qualsiasi sovraccarico<br />

emodinamico di volume e/o di pressione provocherebbe<br />

infatti una discrepanza tra richiesta ed apporto di ossigeno<br />

mediante sia una compressione del segmento coronario anomalo<br />

da parte delle radici aortiche e polmonari dilatate massimamente<br />

in diastole, che un aumento dell’attività metabolica<br />

cardiaca 2-3 . Il caso da noi descritto risulta paradigmatico<br />

di morte improvvisa cardiaca da anomalia congenita dell’origine<br />

delle arterie coronarie in relazione ad un algoritmo diagnostico<br />

post-mortem c.d. “per esclusione” 5 , comprendente:<br />

l’analisi delle circostanze del decesso, lo studio dell’anamnesi,<br />

le condizioni cliniche presentate dal paziente al ricovero<br />

in pronto soccorso, i tests tossicologici e l’autopsia. Di particolare<br />

rilievo diagnostico risultava all’autopsia l’osservazione<br />

istologica di lesioni ischemiche recenti e croniche localizzate<br />

prevalentemente nel territorio miocardio supplito dalla<br />

coronaria destra anomala.<br />

Bibliografia<br />

1 Angelini P. Normal and anomalous coronary arteries: definitions and<br />

classifications. Am Heart J 1989;117(2):418-34.<br />

2 Corrado D, Thiene G, Cocco P, Frescura C. Non-atherosclerotic coronary<br />

artery disease and sudden death in the young. Br Heart J<br />

1992;68:601-607.<br />

3 Basso C, Thiene G. Cardiopatie congenite e morte improvvisa. G Ital<br />

Cardiol 1996;26:1039-1048.<br />

4 Maresi E, Becchina G, Orlando E, Ottoveggio G, Procaccianti P.<br />

Malformazioni congenite di cuore nella morte improvvisa cardiaca.<br />

Riv It Med Leg 1996;18:831-858.<br />

5 Maresi E. Protocollo di studio anatomo-patologico della morte improvvisa<br />

cardiaca. Abstracts Simposio Congiunto del Gruppo di Studio Italiano<br />

di Patologia Cardiovascolare con il Gruppo Italiano di Patologia<br />

Forense su “Morte Improvvisa”, Bari 24-25 Settembre 1999, pp. 1-4.<br />

Casi emblematici di morte improvvisa<br />

cardiaca. Caso 2<br />

C. Basso<br />

Patologia Cardiovascolare, Istituto di Anatomia Patologica,<br />

Università di Padova<br />

Circostanze di morte: arresto cardiaco a riposo in pieno benessere,<br />

non sintomi né segni premonitori nei giorni precedenti.<br />

Precedenti anamnestici: ricovero in ospedale all’età di 30 anni<br />

per valutazione di sincopi ricorrenti, episodio di arresto cardiaco<br />

da fibrillazione ventricolare durante l’ospedalizzazione,<br />

con ripristino del ritmo sinusale tramite cardioversione a 300<br />

joules. L’esame obiettivo, la radiografia del torace e gli esami<br />

ematochimici risultavano nella norma. Tracciati ECG seriati<br />

mostravano ritmo sinusale, blocco atrio-ventricolare di primo<br />

grado (intervallo PQ 220 msec), blocco di branca destra con<br />

deviazione assiale sinistra, sopraslivellamento del tratto ST e<br />

onda T invertita nelle derivazioni precordiali destre. L’ECG da<br />

sforzo e il monitoraggio ECG delle 24 H secondo Holter non<br />

evidenziavano aritmie. Il paziente veniva sottoposto anche a<br />

cateterismo cardiaco con angiocardiografia e coronarografia<br />

selettiva che risultavano nella norma. L’esame elettrofisiologico<br />

intracavitario infine evidenziava un intervallo HV “borderline”<br />

(70 msec). Il paziente veniva quindi dimesso in terapia<br />

con betabloccanti e rimaneva asintomatico fino al giorno del<br />

decesso, avvenuto 5 anni dopo.<br />

CORSI BREVI - SLIDE SEMINARS<br />

Autopsia: il peso del cuore era di 350 gr, le arterie coronarie<br />

erano normali per origine e decorso, pervie. Le valvole atrioventricolari<br />

e semilunari erano normali, non si rinvenivano<br />

ipertrofie simmetriche o asimmetriche. Era presente una modica<br />

dilatazione dell’infundibolo polmonare con infiltrazione<br />

adiposa della parete antero-laterale del ventricolo destro, in<br />

assenza di aneurismi. All’esame istologico, si confermava<br />

l’infiltrazione adiposa transmurale della parete antero-laterale<br />

del ventricolo destro, ai due terzi apicali, in assenza peraltro<br />

di sostituzione fibrosa, infiltrati flogistici e alterazioni degenerative<br />

dei miociti.<br />

Si procedeva quindi all’esame seriato del tessuto di conduzione<br />

che rivelava la presenza di un’estesa fibrosi del fascio<br />

di His e delle branche, con interruzione della branca destra<br />

prossimale.<br />

Screening cardiologico dei familiari: alterazioni ECG simili<br />

nel 50% dei soggetti esaminati, reperto compatibile con malattia<br />

trasmissibile a carattere autosomico dominante.<br />

Casi emblematici di morte improvvisa<br />

cardiaca. Caso 3<br />

C.R.T. di Gioia<br />

Dipartimento di Medicina Sperimentale e Patologia, Sezione<br />

di Anatomia Patologica, Università di Roma “La Sapienza”<br />

La morte improvvisa cardiaca giovanile è un evento drammatico,<br />

date l’età dei soggetti colpiti e le circostanze repentine<br />

ed inaspettate del decesso. Recenti studi hanno dimostrato<br />

che una quota significativa di queste morti è attribuibile<br />

sia a cardiomiopatie familiari che ad aritmie cardiache<br />

familiari senza evidenza di substrato anatomico, e delle<br />

quali l’evento morte improvvisa diventa il primo segnale<br />

dell’esistenza di una patologia cardiaca. In tale contesto l’esame<br />

del cuore eseguito in maniera attenta, completa e sistematica<br />

da un anatomopatologo esperto ed informato è<br />

ovviamente indispensabile per un corretto inquadramento<br />

diagnostico della morte improvvisa cardiaca, ma al tempo<br />

stesso diventa un’importante fonte di informazioni per avviare<br />

lo screening clinico e genetico-molecolare delle famiglie<br />

allo scopo di prevenire ulteriori fatalità. Il caso qui riportato<br />

è in questo senso paradigmatico. Si tratta di un giovane<br />

di 17 anni morto improvvisamente durante una discussione<br />

con gli amici. Nulla nell’anammesi fisiologica e<br />

remota del paziente poteva giustificare la morte improvvisa<br />

né preannunciarla. Il riscontro autoptico escludeva cause di<br />

morte non cardiache ed evidenziava all’esame esterno del<br />

cuore (del peso di 330 g) una depressione della parete anteriore<br />

del ventricolo destro in corrispondenza dell’infundibolo<br />

polmonare associata ad un piccolo aneurisma in corrispondenza<br />

della stessa parete, e all’apertura delle cavità una<br />

sostituzione adiposa segmentale e solo focalmente transmurale<br />

delle pareti anteriore e posteriore del ventricolo destro.<br />

Il ventricolo sinistro, le valvole cardiache e le arterie coronarie<br />

non mostravano alterazioni di rilievo né si osservava<br />

la presenza di infiltrati infiammatori interstiziali. Il quadro<br />

anatomopatologico ha suggerito l’eventualità una cardiomiopatia<br />

familiare ed il successivo studio clinico e genetico-molecolare<br />

dei familiari ha permesso di individuare nella<br />

stessa famiglia altri due soggetti asintomatici affetti. Lo<br />

studio istologico ed ultrastrutturale ha inoltre consentito di<br />

formulare importanti ipotesi sull’eziopatogenesi della cardiomiopatia<br />

in questione.


MORTE IMPROVVISA CARDIACA<br />

Meccanismi patogenetici della morte<br />

improvvisa cardiaca<br />

G. Thiene<br />

Istituto di Anatomia Patologica, Università di Padova<br />

L’evento “morte improvvisa cardiaca”, inteso come improvviso,<br />

fatale, arresto cardiaco, trova due principali spiegazioni:<br />

una “meccanica” e una “elettrica”.<br />

La morte improvvisa cardiaca meccanica è attribuibile ad un<br />

repentino arresto della progressione ematica o per improvvisa<br />

occlusione di una arteria (es. embolia polmonare) o per<br />

emopericardio con tamponamento cardiaco, per rottura di<br />

cuore (infarto miocardio) o di aorta intrapericardica (dissezione<br />

aortica). Una morte improvvisa meccanica può avvenire<br />

anche da shock ipovolemico (es. emorragia gastrointestinale)<br />

o settico (apoplessia surrenalica).<br />

La morte improvvisa elettrica è dovuta ad una aritmia incompatibile<br />

con una portata cardiaca adeguata alla perfusione<br />

cerebrale: ipercinetica, come nel caso della fibrillazione<br />

ventricolare, o ipocinetica, come nella asistolia per blocco di<br />

conduzione seno-atriale o atrioventricolare.<br />

Le patologie responsabili di grave desincronizzazione elettrica<br />

del cuore possono coinvolgere le arterie coronarie, il miocardio<br />

ordinario o quello specializzato.<br />

Nel caso di patologia coronarica, l’aterosclerosi è il killer<br />

quasi esclusivo nell’adulto-anziano ma è frequente anche nel<br />

giovane. I meccanismi che portano a morte improvvisa sono<br />

una trombosi coronaria occlusiva o murale, una aterosclerosi<br />

coronarica ostruttiva plurivascolare con miocardiosclerosi<br />

postinfartuale e una ischemia transitoria da vasospasmo. Nel<br />

giovane, altre patologie coronariche a rischio di morte improvvisa<br />

sono rappresentate dalla dissezione coronarica, dalle<br />

arteriti e dalle origini anomale, particolarmente quelle dal<br />

seno del Valsalva aortico controlaterale.<br />

La patologia miocardica primitiva, a rischio di grave instabilità<br />

elettrica, è quella delle cardiomiopatie: l’ipertrofica e l’aritmogena.<br />

La cardiomiopatia aritmogena è la causa principale<br />

di morte improvvisa negli atleti.<br />

Fra le patologie del miocardio, a rischio di morte improvvisa<br />

elettrica, non va dimenticata quella infiammatoria (miocarditi),<br />

spesso di natura virale. Infine un ruolo non trascurabile<br />

gioca la patologia del tessuto di conduzione. A parte rari casi<br />

di patologia degenerativa con blocco atrioventricolare, la<br />

preeccitazione ventricolare ovvero la sindrome di Wolff-<br />

Parkinson-White è particolarmente a rischio di morte improvvisa,<br />

quando parossismi di fibrillazione atriale, per una<br />

conduzione atrioventricolare 1-1 lungo il fascicolo accessorio,<br />

possono trasformarsi in fibrillazione ventricolare.<br />

Non va infine dimenticato che un 5-10% delle morti improvvise<br />

non presenta un substrato anatomopatologico (“mors sine<br />

materia”). L’instabilità elettrica è dovuta in questi casi ad<br />

alterazioni dei canali ionici del sarcolemma (QT lungo, sindrome<br />

di Martini-Brugada) o del reticolo sarcoplasmatico liscio<br />

(tachicardia ventricolare catecolaminergica). Queste patologie<br />

sono eredo-familiari e rispettivamente legate a difetti<br />

genetici dei canali del sodio e potassio o del calcio. In questo<br />

caso, la diagnosi anatomopatologica è essenzialmente molecolare.<br />

273<br />

Morte improvvisa cardiaca: aspetti di<br />

patologia forense<br />

M.F. Colonna<br />

Sezione di Medicina Legale (Di.M.I.M.P.), Università di Bari<br />

La Morte Improvvisa (MI), per definizione, consegue ad una<br />

causa patologica naturale, in partenza non diagnosticabile<br />

(unexplained) ma che deve essere definita post-mortem con<br />

adeguate metodologie di indagine. Inoltre la rapidità del decesso<br />

(sudden cardiac death: entro un’ora dall’inizio dei sintomi<br />

acuti ) ed il suo carattere inatteso e imprevisto (unexpected)<br />

genera spesso sospetti e quindi richieste di approfondimento<br />

in ambito forense. Secondo la classica impostazione<br />

medico-legale, la MI è un evento la cui causa naturale si dovrebbe<br />

chiarire con l’autopsia, tuttavia “l’esigenza medicoforense<br />

è tale che, talvolta, anche la diagnosi di morte improvvisa,<br />

quando gli elementi circostanziali danno luogo a<br />

sospetto di lesività, deve possedere tutti i requisiti della prova”<br />

1 . In questi casi, la correlazione tra quadro anatomopatologico,<br />

anche di significato “gravemente indiziario” e causa<br />

del decesso deve essere valutata con attenzione sotto il profilo<br />

medico-legale, mentre, non di rado, vengono ritenute esaurienti<br />

alterazioni patologiche aspecifiche o preesistenti senza<br />

che l’esame macroscopico e/o quello istologico evidenzino<br />

modificazioni adeguate a spiegare perché la morte si sia verificata<br />

in quel momento.<br />

Non è quindi inutile il richiamo, anzitutto, ad una particolare<br />

accuratezza e completezza dell’esame autoptico, diretto ad<br />

evitare che sfuggano sia la causa di morte più semplice ed<br />

immediata, anche violenta (ad es. morte da bolo alimentare)<br />

sia cause insolite od occulte (v. agenti infettivi, tossine, farmaci,<br />

veleni) che acquistano nuovi inquietanti significati alla<br />

luce di recenti azioni criminali (v. contaminazione di bevande<br />

ed alimenti) anche a diffusione internazionale (bioterrorismo).<br />

Il Moritz (1956) tra i “classical mistakes in forensic pathology”<br />

sottolineava la importanza di attenersi ad “interpretazioni<br />

scientificamente difendibili” in contrasto con le “deduzioni<br />

assolutamente intuitive” che spesso si prospettano proprio<br />

quando i caratteri espressi dal quadro anatomo-patologico<br />

non siano idonei da soli a definire con certezza la causa<br />

della morte 2 . Relativamente alle correlazioni tra questa certezza<br />

ed il quadro patologico, Hirsch ha proposto una classificazione<br />

in 5 livelli che, con particolare riferimento alle notizie<br />

circostanziali e storico-cliniche del caso (queste ultime<br />

non sempre attendibili e/o immediatamente disponibili), impone,<br />

a nostro avviso, l’approfondimento dell’indagine diretta<br />

anche ad escludere altre cause, già a partire dalla seconda<br />

classe (Tab. I).<br />

Opportunamente, la Raccomandazione del Consiglio d’Europa<br />

n° R(99)3, diretta ad uniformare le procedure autoptiche<br />

medico-legali, prevede, per i casi di MI, la suddivisione in tre<br />

categorie secondo cui l’esclusione di altre cause di morte (ad<br />

es. l’avvelenamento) e l’indagine istologica sono necessarie<br />

quando “le osservazioni necroscopiche possono giustificare<br />

il decesso ma non possono ritenersi probatorie”.<br />

Ai fini della diagnosi di “sudden cardiac death” il valore probatorio<br />

di molti quadri patologici è ancora in discussione 4 ,<br />

pertanto si impone un adeguato approccio all’indagine basato<br />

su una rigorosa criteriologia medico-legale ed anzitutto<br />

sulle evidenze circostanziali (tra cui la ricostruzione delle<br />

modalità del decesso, anche mediante le indagini di sopral-


274<br />

Tab. I. Causa della morte: classi sec. Hirsch (cit. in Hanzlick et al.,<br />

2002)<br />

I classe o di certezza assoluta corrisponde ad un<br />

quadro patologico incompatibile con la vita in<br />

ragione del meccanismo patogenetico chiaro<br />

(ad es., rottura del cuore e/o tromboembolia<br />

massiva);<br />

II classe in cui il grado di certezza è determinato essenzialmente<br />

dalla notizie anamnestiche e<br />

dalle circostanze dell’evento essendo il quadro<br />

patologico obiettivato idoneo a spiegare il decesso<br />

ma senza complicazioni adeguate a promuoverlo<br />

in prima classe;<br />

III classe in cui il dato storico è indispensabile e devono<br />

essere escluse altre cause in presenza di<br />

quadri patologici marginali;<br />

IV classe il quadro patologico è negativo, ma la storia è<br />

positiva ed è possibile escludere altre cause (ad<br />

es., morte in corso di crisi epilettica e/o morte<br />

violenta da elettrocuzione senza marchio elettrico<br />

evidente);<br />

V classe causa della morte non determinata.<br />

luogo) sulla ricerca di precedenti clinico-anamnestici, sui fattori<br />

sociali ed ambientali, ecc. Un corretto schema investigativo<br />

preliminare fornisce preziosi elementi di orientamento e<br />

guida per la condotta dell’esame autoptico e per i prelievi da<br />

effettuare per ulteriori indagini di laboratorio oltre a quelle<br />

standard. Infatti, la valutazione integrata di tutti i dati da acquisire<br />

a seconda delle peculiarità del caso e non solo la mera<br />

diagnosi autoptica è indispensabile per la definizione della<br />

modalità (naturale o violenta) dell’evento letale (manner of<br />

death) e quindi dei mezzi che hanno prodotto il decesso, sia<br />

nel sospetto di morte collegata a causa lesiva, sia quando la<br />

possibile interferenza di fattori naturali e non naturali è comunque<br />

suggerita dal dato circostanziale (si pensi ad una<br />

morte inaspettata in corso di attività sportive o durante un litigio<br />

o in ambiente ostile: natural death under non natural<br />

circumstances).<br />

Nell’approfondimento dell’indagine epicritica, il patologo<br />

forense deve ragionare, in base a criteri aggiornati, sul rapporto<br />

tra causa della morte ed antecedenti (cause esterne) di<br />

possibile rilievo forense, partendo da dati obiettivi completi,<br />

documentabili e confrontabili. Appare dunque evidente<br />

la necessità di procedure basate su parametri dettati da linee<br />

guida e standard minimi: le prime costituiscono orientamenti<br />

operativi, non vincolanti, che anzi possono essere variati<br />

in relazione alle diverse esigenze del caso mentre i secondi<br />

rappresentano delle procedure operative inderogabili,<br />

espressione del livello di qualità della prestazione professionale<br />

e premessa per eliminare e/o ridurre le cause di errore.<br />

Alcuni riferimenti operativi concernenti le diverse fasi<br />

dell’ indagine in patologia forense: raccolta dei dati circostanziali<br />

e documentali, indagine di sopralluogo (indispensabile<br />

in alcune situazioni: ad es. morti nell’infanzia, in<br />

ambiente carcerario, ecc.), esame esterno ed autopsia nonchè<br />

i prelievi ai fini delle indagini tanatochimiche e chimico-tossicologiche<br />

saranno proposti in sede congressuale. La<br />

selezione e proposta delle linee guida sarà effettuata in collaborazione<br />

con A. Lopez (Roma), M. Montisci (Padova) e<br />

C. Campobasso (Bari).<br />

CORSI BREVI - SLIDE SEMINARS<br />

Bibliografia<br />

Cattabeni CM, et al. Il fenomeno della morte improvvisa. Min Med Leg<br />

1967;87:58-177.<br />

Moritz AR. Classical mistakes in forensic pathology. Am J Clinical Path<br />

1956;26:1383-1385.<br />

Hanzlick R, et al. A guide for manner of death classification. Name ed.<br />

2002;23.<br />

Priori SG, et al. Task force report. Eur Hearth J 2001;22:1374-1450.<br />

Morte improvvisa cardiaca.<br />

Metodologia di studio morfologico<br />

G. d’Amati<br />

Dipartimento di Medicina Sperimentale e Patologia, Università<br />

di Roma “La Sapienza”<br />

Un prerequisito fondamentale per il corretto inquadramento<br />

diagnostico dei casi di morte improvvisa (MI) cardiaca è<br />

l’applicazione di un protocollo dettagliato di raccolta dati<br />

anamnestici e di analisi morfologica del cuore, dei grandi vasi<br />

e delle arterie coronarie a livello macroscopico ed istologico,<br />

a cui si deve aggiungere il prelievo di fluidi biologici e di<br />

campioni tessutali (miocardio, rene, fegato) a fresco per<br />

eventuali esami tossicologici od indagini biomolecolari.<br />

Il protocollo di raccolta dati include le caratteristiche anagrafiche,<br />

l’anamnesi prossima e remota, le circostanze del decesso<br />

e, ove disponibile, la documentazione clinico-strumentale,<br />

in particolare elettrocardiografica. Questi dati sono utili<br />

per restringere il campo delle ipotesi diagnostiche. Prerequisiti<br />

all’analisi morfologica sono la disponibilità di un apparato<br />

fotografico (anche in transilluminazione) e di mezzi di rilevamento<br />

di pesi e misure. Requisiti addizionali – anche se<br />

non indispensabili – sono rappresentati dall’attrezzatura radiografica,<br />

per effettuare coronarografie o radiografie cardiache<br />

postmortem. In effetti, l’analisi morfologica del cuore va<br />

corredata da una documentazione fotografica e dalla misurazione<br />

del peso e del diametro dell’organo, nonché degli spessori<br />

ventricolari, al fine di ottimizzare le correlazioni anatomo-cliniche<br />

e di conservare una documentazione che può rivelarsi<br />

utile per ulteriori indagini o per motivi medico-legali.<br />

Il cuore va comunque conservato fino alla formulazione della<br />

diagnosi definitiva. L’esame delle coronarie consiste nella<br />

valutazione del numero, dell’origine, del decorso e delle caratteristiche<br />

del lume. I tagli sulle coronarie (tronco comune,<br />

rami discendente anteriore e circonflesso e coronaria destra)<br />

vanno sempre effettuati in maniera trasversale rispetto all’asse<br />

lungo del vaso, ad una distanza di circa 3-4 mm l’uno dall’altro.<br />

In questo modo è possibile valutare con esattezza la<br />

percentuale di stenosi del lume vasale, e si minimizza il rischio<br />

di dislocare eventuale materiale trombotico intraluminale<br />

con la punta delle forbici, come può accadere quando il<br />

vaso viene tagliato in modo longitudinale. Le coronarie possono<br />

essere aperte in situ, ma nel caso di cardiopatia ischemica,<br />

l’albero coronarico va asportato in toto e sezionato prima<br />

dell’apertura del cuore. Questa procedura si applica, ovviamente,<br />

anche ad eventuali by-pass aortocoronarici. In presenza<br />

di gravi calcificazioni, le coronarie vanno decalcificate<br />

prima di effettuare i tagli trasversali.<br />

L’apertura del cuore a partire dall’atrio destro, secondo la direzione<br />

del flusso sanguigno è la metodica attualmente di uso<br />

più comune, ma non è sicuramente la più idonea specialmente<br />

nei casi di MI cardiaca. La scelta dei tagli sul miocardio va<br />

fatta, ove possibile, in modo da ottimizzare l’evidenziazione<br />

delle diverse patologie che possono essere causa di MI car-


MORTE IMPROVVISA CARDIACA<br />

diaca. La conoscenza della storia clinica e delle circostanze<br />

del decesso, nonché l’esame esterno del cuore sono quindi di<br />

grande importanza nell’indirizzare questa scelta. I tagli sul<br />

miocardio vanno effettuati preferibilmente dopo fissazione.<br />

Il protocollo prevede:<br />

A) Se l’orientamento diagnostico è verso la cardiopatia<br />

ischemica, le coronarie vanno asportate in blocco ed il miocardio<br />

va tagliato secondo il piano ecocardiografico “asse<br />

corto”. Questo taglio permette di evidenziare al meglio la localizzazione<br />

e l’estensione dell’area ischemica, anche in rapporto<br />

alla distribuzione delle lesioni coronariche.<br />

B) Nel caso di cardiopatie valvolari, sospettate all’ispezione<br />

degli atri e dei vasi arteriosi, si procede ad un’ampia esposizione<br />

delle valvole, alla valutazione della mobilità e continenza<br />

dei lembi valvolari ed alla documentazione fotografica.<br />

Si procede quindi all’effettuazione di tagli “asse corto”, per<br />

non sezionare l’anello valvolare. Questa procedura si rende<br />

particolarmente opportuna in presenza di protesi valvolari.<br />

C) Nei casi di cardiomiopatia ipertrofica o di cardiopatia<br />

ipertensiva la migliore valutazione della morfologia cardiaca<br />

è offerta dal taglio ecocardiografico “asse lungo”.<br />

D) Per quanto riguarda le cardiomiopatie aritmogena e dilatativa,<br />

queste patologie vengono evidenziate in maniera ottimale<br />

con il taglio “quattro camere”, seguito dalla visualizzazione<br />

del miocardio in transilluminazione e dalla sezione del<br />

“triangolo della displasia” che mettono in rilievo l’estensione<br />

e la distribuzione della sostituzione fibro-adiposa del miocardio<br />

che caratterizza la cardiomiopatia aritmogena.<br />

E) L’apertura del cuore secondo la direzione del flusso sanguigno<br />

è indicata nel caso delle cardiopatie congenite, perché<br />

permette lo studio ottimale delle connessioni anatomiche.<br />

F) Nel caso di anomalie della conduzione, accertate o sospettate<br />

in vita con l’esame elettrocardiografico, i tagli “asse<br />

corto” vanno condotti non oltre l’apice dei muscoli papillari,<br />

e si procede quindi a prelievi mirati (nodo del seno, tessuto<br />

di conduzione atrioventricolare o vie di conduzione accessorie,<br />

a seconda del quadro elettrocardiografico).<br />

G) Se i dati anamnestici raccolti e l’esame esterno del cuore<br />

non suggeriscono alcun orientamento diagnostico, è consigliabile<br />

aprire il cuore mediante tagli “asse corto”, a cui può<br />

seguire l’apertura degli atri e dei grandi vasi per l’ispezione<br />

degli apparati valvolari.<br />

Al termine dell’esame macroscopico si effettuano i prelievi<br />

per l’indagine istologica. Oltre alle lesioni significative eventualmente<br />

evidenziate, il campionamento delle arterie coronarie<br />

deve essere sistematico in tutti i casi. Il campionamento<br />

del miocardio prevede un numero di prelievi da effettuare<br />

in sedi standardizzate su entrambe i ventricoli e sul setto interventricolare,<br />

a cui si devono aggiungere prelievi mirati su<br />

eventuali lesioni macroscopicamente apprezzabili, o, in presenza<br />

di gravi stenosi o di occlusioni delle coronarie, sul<br />

miocardio a valle del ramo interessato. I prelievi sulle valvole<br />

vengono effettuati in caso di alterazioni morfologiche microscopicamente<br />

apprezzabili. Le sezioni istologiche vanno<br />

colorate con ematossilina-eosina e con una colorazione tricromica<br />

modificata per l’evidenziazione delle fibre elastiche.<br />

A queste due colorazioni di base possono esserne aggiunte altre,<br />

a seguito della prima valutazione al microscopio ottico,<br />

nonché eventuali indagini biomolecolari per la ricerca di genoma<br />

virale o di alterazioni genetiche.<br />

275<br />

Morte improvvisa cardiaca. Consenso sulla<br />

diagnosi anatomopatologica<br />

G. Caruso, A. Marzullo<br />

Patologia Cardiovascolare, Dipartimento di Anatomia Patologica<br />

e di Genetica, Università di Bari<br />

La morte improvvisa (MI) è un evento che viene classicamente<br />

suddiviso per fasce di età in forme infantili (tra 1 mese e<br />

l’anno di vita), giovanili (al di sotto dei 35 anni di età) e in forme<br />

dell’adulto (al di sopra dei 35 anni). Le forme giovanili e<br />

dell’adulto sono quasi sempre di origine cardiaca, con uno<br />

spettro anatomopatologico non solo molto ampio, ma in specifiche<br />

rare patologie anche difficile da riconoscere al tavolo<br />

anatomico. Le incerte condizioni della morte, talvolta non testimoniata,<br />

possono inoltre porre problemi di diagnosi differenziale<br />

con morti non naturali, di interesse eminentemente<br />

medico-legale, ma con evidenti ripercussioni di interpretazione<br />

dell’evento e di riconoscimento di eventuali responsabilità.<br />

Le cause anatomopatologiche di morte improvvisa cardiaca<br />

(MIC) sono talmente tante (praticamente in letteratura sono<br />

state riportate tutte o quasi le patologie cardiache esistenti)<br />

che solo un approccio metodologico rigoroso e codificato<br />

può consentire di fare diagnosi della patologia in maniera<br />

corretta. Bisogna inoltre considerare che in questo ambito è<br />

necessario comprendere se la patologia riscontrata ha causato<br />

la morte del soggetto o non si tratti piuttosto di un epifenomeno<br />

associato, ma non causale.<br />

Le metodiche di dissezione anatomica e di studio istologico,<br />

per quanto possano essere diverse (abitudini di scuola<br />

anatomopatologica) devono sempre comunque consentire<br />

di giungere ad una diagnosi quanto più precisa e completa,<br />

che soddisfi non solo il patologo, al termine di un lavoro<br />

spesso complesso e indaginoso, ma soprattutto i clinici che<br />

abbiano eventualmente avuto in cura il soggetto e ancor più<br />

ovviamente i familiari, in un contesto così improvviso e<br />

drammatico.<br />

Il contributo che il gruppo dei Relatori di questo Corso Breve<br />

intende dare, attraverso gli handout in distribuzione alla<br />

fine del Corso stesso, è il risultato di una esperienza, individuale<br />

e collettiva, che possa essere d’aiuto anche per i patologi<br />

più giovani e meno esperti nel campo della MIC. Negli<br />

handout verranno infatti proposti gli elementi fondamentali<br />

che devono essere presi in considerazione dal punto di vista<br />

anatomo-clinico per una corretta diagnosi di MIC.<br />

Il “consenso” sulla diagnosi anatomopatologica in caso di<br />

MIC deve evidentemente basarsi su un accordo su quali siano<br />

i parametri “di minima” per la diagnosi di inclusione del<br />

quadro anatomo-clinico in oggetto come MIC. Allo stesso<br />

tempo l’accordo deve chiaramente indicare i criteri di esclusione<br />

di un caso dal contesto di MIC (per definizione per<br />

esempio non è MIC una morte improvvisa, ma nell’ambito di<br />

una anamnesi positiva per una patologia cardiaca grave, di<br />

cui l’evento finale improvviso rappresenta solo la modalità di<br />

morte. In altre parole si tratta di una morte improvvisa, ma<br />

non inaspettata, per la positività anamnestica di una patologia<br />

nella cui storia naturale la morte improvvisa rappresenta<br />

un evento possibile e statisticamente significativo). Pertanto,<br />

rispettando i criteri di definizione, la MIC deve essere temporalmente<br />

definita come rapida (entro 1-2 ore dall’inizio di<br />

eventuali sintomi), deve essere inaspettata (assenza di patologie<br />

cardiovascolari pregresse o presenza di patologie non<br />

tali da far prevedere l’evento finale) e deve essere infine, al<br />

termine di un completo esame anatomo-clinico, corredata da<br />

una diagnosi precisa e incontrovertibile.


276<br />

La maggiore criticità nel consenso anatomopatologico deriva<br />

proprio dalla diagnosi anatomopatologica, o meglio, dalla<br />

“consistenza” dei rilievi macro/microscopici, in senso qualitativo<br />

e quantitativo. Nel senso della qualità, poiché come già<br />

detto qualunque patologia cardiovascolare almeno in teoria<br />

può portare a MIC, una buona preparazione anatomopatologica<br />

di base dovrebbe permettere di riconoscere ogni condizione<br />

patogeneticamente efficace nel determinismo della<br />

MIC. Le numerose classificazioni esistenti in letteratura, generalmente<br />

basate sul meccanismo deterministico della<br />

“morte da causa meccanica” o “morte da causa elettrica”,<br />

elencano in maniera esaustiva, anche dal punto di vista statistico-epidemiologico,<br />

tutte le condizioni causa di MIC. Il riconoscimento<br />

della lesione anatomopatologica perciò dovrebbe<br />

essere dato per scontato, almeno allorquando lo studio<br />

anatomoclinico è stato condotto con rigore metodologico.<br />

Al contrario dal punto di vista quantitativo non vi sono ancora<br />

dati in letteratura che consentano di definire con certezza<br />

l’entità di una lesione nel determinismo della MIC. In altre<br />

parole l’interpretazione dei dati è ancora derivante da esperienze<br />

personali e dall’abilità del patologo, ed è quindi potenzialmente<br />

opinabile. In campo medico-legale ovviamente<br />

si tiene molto in conto l’epicrisi nelle considerazioni finali,<br />

basate per l’appunto sulla formazione professionale ma anche<br />

sull’interpretazione personale di chi ha fatto la diagnosi,<br />

nella fattispecie il patologo.<br />

Il concetto di quantità di una lesione possibile causa di MIC<br />

si applica molto raramente per le lesioni in eccesso (capita<br />

talvolta di trovare più di una possibile causa di MIC al tavolo<br />

autoptico, per cui bisogna scegliere quella più verosimile<br />

rispetto al quadro anatomo-clinico), ma ben più spesso riguarda<br />

i criteri minimi di lesione. Il più delle volte la patologia<br />

è eclatante, tanto da non lasciare dubbi, ma talvolta le lesioni<br />

sono così sfumate o evidenti solo ad un occhio esperto,<br />

da creare notevoli problemi di diagnosi È evidente pertanto<br />

che un consenso sul “minimo di lesione” almeno per le più<br />

importanti cause di MIC è essenziale.<br />

La suddivisione per ogni singola patologia in criteri maggiori,<br />

minori e aggiuntivi può essere proposta utilmente allo scopo<br />

di aiutare il patologo nella diagnosi di MIC, purché sia basata<br />

su elementi non soggettivi e condivisibili.<br />

A scopo esemplificativo nella MIC dovuta a patologia coronaria<br />

(che rappresenta la stragrande maggioranza delle MIC<br />

nelle letteratura mondiale) i criteri potrebbero essere i seguenti:<br />

Criteri maggiori: rottura di placca coronarica, trombosi su<br />

placca, infarto acuto del miocardio.<br />

Criteri minori: stenosi coronarica su placca stabile, malattia<br />

coronaria trivascolare, infarto cicatriziale.<br />

Criteri aggiuntivi: placca “instabile”, ipertrofia ventricolare<br />

sinistra, positività per fattori di rischio aterosclerotico.<br />

Negli handouts sarà per l’appunto proposto un sistema esemplificativo<br />

di tale suddivisione, che possa almeno nella fase<br />

iniziale servire come linea guida per una possibile diagnosi.<br />

In casi di particolare difficoltà, a causa della rarità della patologia<br />

in oggetto, o di dubbio di interpretazione anatomopatologica,<br />

si potrebbe suggerire la costituzione di un panel di<br />

esperti nazionali, disponibili su richiesta.<br />

CORSI BREVI - SLIDE SEMINARS<br />

Morte improvvisa cardiaca: genetica clinica<br />

e molecolare<br />

A. Nava, B. Bauce<br />

Clinica Cardiologia, Università degli Studi di Padova<br />

L’applicazione delle conoscenze di genetica nel campo della<br />

cardiologia ha tra i suoi obiettivi principali la prevenzione<br />

della morte improvvisa giovanile. Questa è dovuta per la<br />

gran parte dei casi ad aritmie ventricolari associate alla presenza<br />

di patologie cardiache, che sono quasi sempre ereditarie-genetiche.<br />

Non raramente la morte improvvisa è il primo<br />

sintomo della malattia, ed in questi casi risulta fondamentale<br />

l’esecuzione dell’esame autoptico, il cui risultato potrà indirizzare<br />

il clinico ed il genetista sulle indagini più opportune<br />

da eseguire nei familiari. Attualmente sono stati individuati i<br />

geni-malattia della sindrome del QT lungo, della sindrome di<br />

Brugada, delle aritmie ventricolari polimorfe indotte da sforzo<br />

associate o meno a cardiomiopatia (cardiomiopatia aritmogena<br />

forma ARVD2), della cardiomiopatia ipertrofica,<br />

della cardiomiopatia aritmogena (forma ARVD8).<br />

Di altre malattie sono stati individuati alcuni loci che possono<br />

contenere geni candidati come responsabili della patologia.<br />

La genetica quindi sta facendo dei progressi nell’individuare<br />

le mutazioni responsabili delle patologie aritmiche, ma<br />

la ricaduta clinica delle scoperte genetiche non è immediata<br />

e a volte risulta di difficile interpretazione. Infatti, in presenza<br />

di un soggetto geneticamente affetto vanno valutati tre fattori:<br />

il tipo di gene alterato (per che tipo di proteina tale gene<br />

codifica), l’espressione fenotipica della mutazione e la<br />

correlazione genotipo-fenotipo. Esistono infatti diverse possibilità:<br />

la prima che un genotipo alterato si accompagni ad<br />

un fenotipo malato; la seconda che accanto ad un genotipo alterato<br />

sia presente un fenotipo sano; la terza che accanto ad<br />

un genotipo malato vi sia un fenotipo border-line. È chiaro<br />

che mentre la prima situazione favorisce il clinico, le altre<br />

due creano dei problemi di valutazione clinica e terapeutica,<br />

problemi che sono diversi a seconda della patologia considerata.<br />

Inoltre nonostante alcune mutazioni siano state messe in<br />

chiara relazione con una specifica patologia, non tutti i soggetti<br />

che presentano la patologia sono poi portatori della mutazione<br />

conosciuta, essendo presente quindi un certo grado di<br />

eterogenicità genetica. Appare evidente che la genetica in<br />

questi casi non è risolutiva sia nel porre la diagnosi che nell’indicare<br />

il comportamento clinico più adatto. La miglior conoscenza<br />

delle basi genetiche delle malattie aritmogene ha<br />

portato alla luce nuove problematiche non immaginabili fino<br />

a poco tempo fa, quando si riteneva che la dimostrazione in<br />

un soggetto di una mutazione genetica avrebbe aiutato anche<br />

nell’iter diagnostico e terapeutico. Questo invece è vero solo<br />

in parte, perché la dimostrazione di un’alterazione genetica ci<br />

aiuta solamente nella diagnosi, in quanto l’espressione fenotipica<br />

può essere completamente differente nei soggetti con<br />

genotipo alterato. Questo fatto complica ulteriormente la nostra<br />

capacità decisionale. In conclusione la genetica e la biologia<br />

molecolare porteranno sicuramente ad una migliore conoscenza<br />

delle patologie aritmogene, ma in questo momento<br />

possono creare anche dei problemi metodologici sotto il profilo<br />

clinico non facilmente risolvibili.

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