Ennio Poleggi
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<strong>Ennio</strong> <strong>Poleggi</strong><br />
A riproporre i caratteri del Palazzetto come corpo edilizio di forte evidenza<br />
storica e architettonica, ignorato da secoli, è sufficiente guardare in<br />
alto i pontili che uniscono tre potenti nodi urbani, sedi di Governo, Giustizia,<br />
Chiesa. Sono un intreccio di edilizia civile semplice ma significativo,<br />
fedelmente interpretato dalle maestranze che rispondono con onesta autenticità<br />
ad una importante commessa della Repubblica, guidata dai Deputati<br />
di rito. È tutta l’architettura locale, seguita all’età medievale, che sviluppa<br />
un’audacia tecnica e decorativa maturata in epoche di sfida, sempre<br />
disposta ad accettare i progetti più nuovi da una committenza cosmopolita<br />
che conosce le grandi scuole italiane e sa valutarne la scelta.<br />
Rispetto alla stagione del rinnovo residenziale, aperta da Strada Nuova e<br />
accolta dal clamore europeo, la sfida di mutare nello stesso sito e senza<br />
sprechi il Palazzo del governo, anzi trasformarlo in un luogo d’imponente<br />
rappresentazione repubblicana, era tutt’altro obiettivo delle acrobazie richieste<br />
da una dimora privata nella città medievale così costipata.<br />
Appare evidente una tecnica compositiva nuova, richiesta dall’architettura<br />
più severa dello Stato oligarchico e destinata da una cultura della punizione,<br />
che incredibilmente avrebbe trovato a Roma sperimentazioni interessanti.<br />
Proprio dove agivano più che altrove i banchieri genovesi per antichi rapporti<br />
economici con la Curia e parentele radicate da secoli. Da papa Giulio II della<br />
Rovere, che volle da Bramante il Palazzo dei tribunali in via Giulia (1508) ad<br />
Innocenzo X Pamphilj deciso a sostituire nella stessa strada la Corte Savella<br />
con le Carceri nuove (1652-1656) su programma di mons. Virgilio Spada,<br />
delegato sopra la Congregazione delle carceri di Corte Savella e progetto di<br />
Antonio del Grande, architetto della Venerabile camera.<br />
Né sembra un caso che s’incrocino qui segnali autorevoli a chiudere la<br />
parabola di un modello, avviato nei due maggiori porti italiani a fine Cinquecento<br />
mentre un secolo dopo sarebbero nate ad Amsterdam carceri rieducative,<br />
nonostante i silenzi di una storiografia sedotta da tipologie anacronistiche.<br />
La curiosità cresce con la notizia dell’architetto Gianbattista<br />
Mola, autore dieci anni dopo di una celebre guida di Roma (1663): « Le<br />
Carceri nove in strada Giulia, fu pensiero d’Inocentio X.o, il dissegno venne<br />
da Genova esseguito d’Antonio del Grande » 47.<br />
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47 G.B. MOLA, Breve racconto delle migliori opere d’architettura, scultura et pittura fatte in Roma ...<br />
descritto da Giov. Battista Mola l’anno 1663, a cura di K. NOHELES, Berlin, Hessling, 1966, p. 215; M.<br />
TAFURI, voce Del Grande, Antonio, in Dizionario Biografico degli Italiani, 36, Roma, Istituto della Enciclopedia<br />
Italiana, 1988, pp. 617-623.