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12 É Società & Tradizioni C’era una volta “La FESTA” Anche quest’anno regna l’incertezza sulla “Festa Grande” rradicato, purtroppo, in ognuno di noi il xluogo comune che il nostro paese sia xveramente “strano”; un paese che amia- mo fino all’inimmaginabile, ma che spesso vediamo “fermo” come per un’atavica inerzia e permanente staticità. Ma un paese o una città sono pur sempre termini astratti che rappresentano una collettività di persone che pensano, credono, parlano, fanno finta di agire, che compiono atti spesso causa di pesanti ripercussioni demografiche, socio-politiche, culturali e di arretratezza mentale, talvolta paralizzanti per le aspettative e le velleità delle generazioni che si rinnovano. La Generazione “che fu”, ovvero una stretta cerchia di personaggi di spicco a metà degli anni ‘50 e ’60, venerava la Santa Patrona di Motta; erano gli anni dell’immediato dopoguerra, si davano battaglia a suon di fuochi di artificio e di bande musicali, ingegnandosi ai limiti delle possibilità di allora per sopravanzare le altre confraternite (prima), o gli altri “partiti” (dopo), per poter meglio “esprimere” la propria devozione religiosa. Non c’erano, molte distrazioni: si viaggiava pochissimo, la vita spirituale coincideva con la vita sociale e con quella intellettuale. Si andava in giro a recuperare denaro, barattando frumento e animali. E ad agosto c’era la Festa. Poi venne la Generazione “che c’era”, un misto di rinascimento e di libertà che instillò per oltre un ventennio un’energia nuova, una creatività mai immaginata, uno spirito innovativo senza eguali. La Festa presto abbandonò le sembianze della Festa Patronale (come nella maggior parte dei paesi vicini) e divenne un palcoscenico dove misurare le proprie ingegnosità, le caratteristiche cognitive, mentali, storico-culturali, filosofiche, geopolitiche. La Festa veniva preparata per anni interi: si andava a rivedere la storia della Sicilia, le pagine dimenticate (anzi mai imparate) della nostra terra. Ci si cimentava con nuove forme di conoscenza, i costumi d’epoca, le sfilate storiche, gli esercizi coreografici degli sbandieratori. Motta in quegli anni divenne un Paese “muntuato”(nominato spesso, n.d.r.). Si girava la Sicilia, la nazione, anche l’Europa. Eravamo l’invidia dei paesi vicini. Per delle “strane” coincidenze, una generazione di giovani e meno giovani, riuscì a ribaltare le vecchie impostazioni rituali delle celebrazioni della Patrona e reinventò la Storia. Una nuova brezza spirava per le strade del paese, ci si punzecchiava sempre più spesso, ma con spirito goliardico e mai seriamente animoso. Certo vennero un po’ ribaltate le gerarchie Rionali, si coniarono nomi e cariche nuove; erano tutti presi da questa nuova atmosfera di irrinunciabile rivalità. L’obiettivo rimaneva apparentemente lo stesso: festeggiare e onorare Santa Anastasia, ma sacro e profano si mischiarono sempre di più con un “blend” di rievocazione storicoreligiosa che nessuno poteva immaginare solo pochi anni prima. Erano gli anni ’70 e ’80; ma i giovani di quella generazione avevano il bisogno di crescere anche professionalmente, individualmente, e sentivano il bisogno di emigrare, di conoscere il “mondo”, di crescere culturalmente. La crescita paesana non coincideva più, o solo, con quella personale. Cominciò a crescere il divario fra chi restava solo a pensare alla “Festa successiva” e chi sentiva l’esigenza di crescere. Molti cominciarono a stancarsi, l’unanimità degli intenti, le finalità esclusivamente storicoreligiose cominciarono a mutare. Alcuni individualismi si radicarono sempre più nel tessuto sociale del paese: si cominciò a intersecare folklore con politica, storia con spettacolo, cultura con dabbenaggine, rivalità con inimicizia. Ci si dovette rassegnare al fatto che non tutti capivano che era il momento per dare “una svolta” alla Festa, per farla assurgere a una celebrazione non solo locale, non solo per auto-compiacersi, ma anche per farla diventare un evento turistico più appetibile ed economicamente più rilevante per l’intera collettività. Renderla, insomma, più “moderna”. Era il giusto compenso per tanti anni di sforzo e tante energie profuse nonostante le avversità e nonostante l’esclusivo “autofinanziamento”. E intanto le amministrazioni si succedevano e i rappresentanti della Chiesa cambiavano a un ritmo vorticoso. Il paese nel frattempo era cresciuto, la popolazione era raddoppiata da 5 a 10mila. Molti erano immigrati a Motta, non conoscevano la nostra storia, non se ne sentivano parte, nonostante i propri figli venissero automaticamente reclutati nelle varie schiere di sbandieratori, musici, etc. La rappresentatività della gestione delle celebrazioni passava, per forza di cose, nelle mani di persone a volte incompetenti. La Festa di Santa Anastasia cominciava a segnare il passo e si dovette cedere a una dicotomia lessicale mai così perfida e difficile da esportare: la Festa “Grande” e la Festa “Piccola”, cioè a Gruppo Sbandieratori - Rione Giovani Maestri Aprile 2010 dire la celebrazione completa con Sfilate, Calata del Partito, Calata delle Quartine, Fuochi à go-go, la Santa in processione per le vie del paese e dall’altro lato la celebrazione agostana esclusivamente religiosa. Le cose diventarono ancora più difficili e inestricabili perché i Rioni, che rivendicavano un ruolo primario nel panorama socio-politico paesano, erano costretti a segnare il passo per troppi anni in attesa della Festa Grande. Si inventarono allora le Feste Medievali, un altro capitolo di innovazione tutta mottese, che ci fece fare un altro passo avanti nel mondo culturale della provincia catanese, da tutti imitato successivamente e mai abbastanza riconosciuto, né da politici, né da personaggi illustri del mondo della cultura provinciale e neanche, per la verità, da molti politici locali. Motta era grande ma viveva di cose troppo piccole; aveva paura di fare il grande balzo. Ha preferito, così, vivere del quotidiano, di cose troppo piccole per impressionare gli altri, ma troppo grandi per combattersi all’interno e minare visceralmente la propria autonomia e la propria esclusività. Così la Festa, che con la generazione che fu si celebrava ogni due anni (ultimo evento nel 1968), con la “Generazione che era” dovette passare a cadenza triennale (anni 1971-1974- 1977), poi quadriennale negli anni 80 (1980-1984-1988) e addirittura quinquennale negli anni Novanta (Sic!!): nel 1992 e 1997. E poi? Poi la Generazione “che c’è” (attuale) ha dovuto fare i conti con l’eredità dei nonni e dei padri. Con le beghe, le diatribe, le inconclusive ed estenuanti riunioni tra Chiesa, Comune (quando è presente) e Rioni, per dibattere se due centimetri di Piazza possono essere oltrepassati, se ripristinare o meno il Giro della Santa attraverso vecchie e obsolete “trazzere”, se un Arco trionfale consente il passaggio del fercolo, o la vista dalla Piazza, se le esibizioni dei Gruppi sconvolgono il programma religioso, etc. Segue
Aprile 2010 Società & Tradizioni 13 Gruppo Sbandieratori - Rione Vecchia Matrice Gruppo Sbandieratori - Rione Panzera Chiacchiere, inutili storie, comportamenti puerili, lotte intestine (anche in seno ai vari Rioni) che hanno irrimediabilmente arrestato il processo di crescita a cui abbiamo assistito per tanti anni. Le ragioni individuali, le prese di posizione di clan e piccoli gruppi, le trattative preliminari fra le parti, hanno reso l’aria irrespirabile. Ancora oggi, questi contrasti e prese di posizione, su dove fare il Palio o come usare il Parcheggio, dove fare l’esibizione degli sbandieratori, o come fare il Giro della Santa e dove sparare i Fuochi, fanno riemergere vecchie beghe pluriennali mai sopite. Si scende a singolar tenzone fino ad annullare le speranze della gente comune che mai ha capito fino in fondo le ragioni di tanto malessere ed estenuante trattativa. Anche quest’anno la solita solfa: la Festa si fa o non si fa? Si mettono d’accordo o no? Per chi manca stavolta? La commissione centrale esiste ancora? E che ruolo ha la Pro Loco? Ma chi conta davvero in queste chilometriche riunioni preliminari? E’ davvero il parere esperto a prevalere o l’arroganza di qualcuno più in auge al momento? Posizioni intransigenti e individualistiche, spesso in chiaro contrasto o in forzata antitesi con le aspettative del potere politico locale (da sempre storicamente assente da tutti questi aspetti e mai abbastanza informato, per scelta o per necessità). Non c’è un criterio univoco o una procedura “rituale o tradizionale” accettata da tutti; per noi mottesi le tradizioni si sposano con “il nostro esclusivo interesse” per cui tutto il resto passa in secondo piano. Così tutto diventa un terno al lotto. La Festa Grande continua ad essere un “miraggio” per i mottesi e la sua cadenza ormai esclusivamente “Giubilare”, nel senso che forse dovranno passare almeno 25 anni fra una Festa e l’altra!! Nessuno si senta offeso, naturalmente, come cantava un famoso cantautore… Corso Italia, 302 - 95127 Catania G. Z.
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