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Storia della tradizione teatrale musicale a Jesi - Fondazione Lanari

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2. Quel “turpe abuso” frequente nelle chiese<br />

Se davvero esistita, l’Accademia fondata a <strong>Jesi</strong> da Angelo Colocci<br />

potrebbe in qualche modo considerarsi l’esito locale di quel fermento<br />

culturale “umanistico” che altrove arriva a creare i presupposti, non solo<br />

per lo studio ma anche per la scrittura e la rappresentazione scenica di<br />

testi secondo il “nuovo modo” <strong>teatrale</strong> “all’antica”. D’altro canto, una<br />

certa disposizione culturale di <strong>Jesi</strong> potrebbe notarsi nel fatto che a metà<br />

del ‘400 gli Statuti prevedono il pubblico ufficio di “maestro di<br />

grammatica”, per insegnare gratuitamente ai giovani i primi elementi del<br />

latino e delle lettere; così come nell’indicativa coincidenza che proprio a<br />

<strong>Jesi</strong>, nel 1472, si stampa la prima edizione <strong>della</strong> “Divina Commedia” da<br />

parte di un italiano, Federico Conti. Ma l’eventualità di tale possibile<br />

“buona disposizione” sarebbe comunque limitata ad un’esigua minoranza<br />

di persone, permanendo diffuso analfabetismo e comunque un livello<br />

culturale medio assai basso.<br />

ARRIVANO I “COMMEDIANTI”<br />

I primi documenti attestati di rappresentazione <strong>teatrale</strong> in città sono del<br />

1577. Nel giorno 13 febbraio di quell’anno il libro delle Riformanze<br />

registra che “commedianti chiedono cera per i lumi <strong>della</strong> recita <strong>della</strong><br />

commedia, come è solito che si reciti nel palazzo”. L’autorità cittadina<br />

acconsente accordando 8 fiorini, con l’impegno che la cera in avanzo<br />

venga data alla Società del Santo Sacramento. Un altro documento è di<br />

due anni dopo, 21 aprile 1579: si parla di una “protestatione” da parte dei<br />

deputati del contado contro quelli <strong>della</strong> città, riguardo allo “spartimento”<br />

relativo alla “spesa <strong>della</strong> comidia”, così com’è “apparente nel<br />

Depositariato ordinario”; indicativa, anche se forse un po’ arrogante, la<br />

risposta dei deputati di città, da cui “fu risposto et replicato” che era da<br />

mettersi in conto “secondo il solito ordinario”: a tal proposito non si deve<br />

dimenticare, infatti, come attesta perentorio lo storico jesino Raffaele<br />

Molinelli, che “il monopolio del potere politico da parte dell’oligarchia si<br />

estrinseca con il coprire per diritto di sangue la metà del Consiglio<br />

Generale di Città e di Contado” e che “ogni potere e ogni servizio<br />

pubblico locale, da quello deliberativo a quello esecutivo, da quello del<br />

controllo a quello <strong>della</strong> sanzione, sono in mano all’oligarchia cittadina”.<br />

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