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Storia della tradizione teatrale musicale a Jesi - Fondazione Lanari

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PROFILO SOCIALE DELLA CITTÀ DI JESI<br />

Sin dal tardo secolo XV, la società jesina è diventata fortemente<br />

oligarchica, a seguito <strong>della</strong> “formazione e consolidamento di un nuovo<br />

equilibrio sociale –come nota lo storico Molinelli- cui sono collegati<br />

l’assestamento ed il consolidamento del potere politico, oltre che le<br />

tendenze di sviluppo economico”. Una ricchezza a base prettamente<br />

fondiaria, che si reitererà praticamente senza industria e commercio di<br />

qualche rilievo fino a tutto il ‘700, originata a partire da fine ‘400 da una<br />

massiccia dismissione di proprietà terriere da parte del Comune, una sorta<br />

di vera e propria “privatizzazione” ante litteram, che rese in tal modo<br />

potente ed egemone il gruppo delle principali (e più ricche) famiglie<br />

acquirenti: il quale “attraverso un abile e articolato esercizio del potere<br />

economico –secondo lo storico di <strong>Jesi</strong> Costantino Urieli- già stava<br />

concentrando nelle proprie mani un sempre più ampio potere politico”<br />

fino a diventarne “esclusivo detentore” e a perpetuarlo poi al suo interno.<br />

Il potere, nel passato “concentrato nelle mani dei nobili e poi in quelle<br />

signorili”, passa dunque “in quelle di una sempre più ristretta oligarchia<br />

cittadina”, escludendone di fatto tutta la componente popolare (le classi<br />

medie e le minori, oltre al proletariato che già non aveva voce sociale non<br />

contribuendo all’erario), sulla quale invece erano nate e si erano fondate<br />

le prime istituzioni democratiche comunali: quella cioè delle corporazioni<br />

–le “artes”- che in base ai nuovi Statuti del 1450 vengono in pratica a<br />

perdere rappresentanza in Consiglio Generale, restandone solo il ruolo<br />

più che altro simbolico e di parata nelle ritualità sociali e nelle feste<br />

religiose. “Un’epoca e una civiltà erano tramontate”, conclude Urieli.<br />

Alla fine del secolo XV la città di <strong>Jesi</strong> conta non più di 3.000 anime; a<br />

metà del ‘600 arriva a poco meno di 9.000 abitanti, contro i quasi 14.000<br />

di Fabriano, gli 8.000 di Senigallia, i 17.000 di Ancona: più o meno come<br />

<strong>Jesi</strong> sono Macerata ed Ascoli, leggermente meno popolosa Pesaro, mentre<br />

Roma conta circa 120.000 abitanti. Se l’assetto sociale è oligarchico e il<br />

panorama culturale piuttosto ristretto, la “novità” è quindi da ricercare in<br />

qualche sparuta individualità, che a sua volta forse può aver fatto da<br />

traino all’interno dei pari grado oligarchi. Interessante a tal proposito la<br />

valutazione dello studioso Ercole Sori, quando, indagando l’influenza<br />

sulle realtà locali marchigiane dei giovani aristocratici che andavano a<br />

studiare in altre città, cita per esempio la presenza di 5 convittori jesini al<br />

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