Storia della tradizione teatrale musicale a Jesi - Fondazione Lanari
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storie tratte dalla Bibbia: un autentico “teatro senza teatro”, mantenendo<br />
l’argomento una chiara finalità edificante e di fede.<br />
TRA IL SERMONE E L’OPERA BAROCCA<br />
La forma <strong>musicale</strong> in uso muta nel volgere dei tempi, a partire da<br />
semplici laude in lingua volgare –com’è l’uso <strong>musicale</strong> del tardo ‘500-<br />
che però non sono più cantate in polifonia, per agevolare il più possibile<br />
la comprensione dei testi, spesso di nuova composizione letteraria ma<br />
adattati su musiche preesistenti, secondo la pratica del “travestimento<br />
spirituale”: anche se a <strong>Jesi</strong> giunge solo a metà ‘600, non dimentichiamo<br />
infatti l’origine dell’oratorio (Roma, 1575), con i suoi primi repertori<br />
musicali di riferimento. Tanto per intenderci, proprio all’oratorio <strong>della</strong><br />
Vallicella a Roma, centro <strong>della</strong> Congregazione, debutta nel febbraio del<br />
1600 la Rappresentazione di Anima e di Corpo di Emilio de’ Cavalieri,<br />
lavoro stilisticamente di transizione tra la lauda drammatica e il<br />
melodramma, da molti storici indicato come uno dei titoli di esordio del<br />
nuovo genere dell’opera in musica. Sviluppandosene velocemente la<br />
pratica, tanto più dopo il trasferimento nella nuova e maggiore sede a S.<br />
Giovanni Battista (1659), l’oratorio viene pian piano a mutuare la “nuova<br />
moda” del tempo: quella <strong>della</strong> prima opera barocca, con i suoi cantori, i<br />
cori, gli “affetti” espressivi. Le voci -tutte maschili- forse sono quelle<br />
<strong>della</strong> Cappella del Duomo o di “dilettanti” locali: infatti, l’oratorio<br />
filippino non è uno spettacolo e non concepisce pagamento. Si tratta di<br />
canto e musica senza azione scenica, in “un culto largo e continuo di<br />
poesia, di musica, di canto e di suono, in cui i religiosi faceano le prime<br />
figure”, cosicché “avevamo il teatro senza il teatro”, ci ricorda lo storico<br />
Annibaldi nel suo famoso studio “Il teatro di <strong>Jesi</strong>”. Normalmente i cantori<br />
erano vari (per voce e per numero, anche fino a una decina), con funzioni<br />
solistiche e corali, alcuni dei quali potevano costituire un secondo coro,<br />
dislocato in un’altra cantoria rispetto a quella principale presso l’organo,<br />
offrendo così un effetto acustico spaziale di notevole suggestione.<br />
L’orchestra è da immaginare molto ristretta: essenzialmente la sezione<br />
d’archi, con basso continuo e forse qualche fiato. Ciò che colpisce è la<br />
frequenza: vista la grande varietà <strong>della</strong> proposta, molti oratori erano certo<br />
composti da poeti e musicisti <strong>della</strong> Comunità stessa, ma non potendo<br />
creare in continuazione e non potendosi reiterare più di tanto repliche<br />
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