11.06.2013 Views

altri palii e giostre - Quelli con Pescia nel cuore

altri palii e giostre - Quelli con Pescia nel cuore

altri palii e giostre - Quelli con Pescia nel cuore

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

PALIO E GIOSTRA<br />

PER UNA CITTÀ:<br />

PESCIA<br />

A cura di<br />

LANDO SILVESTRINI<br />

In occasione del restauro<br />

del Saracino di <strong>Pescia</strong>


PALIO E GIOSTRA NELLA TRADIZIONE E IN ETÀ MODERNA<br />

di Lando Silvestrini<br />

IL PALIO DI SANTA DOROTEA<br />

Fin dalla sua nascita, <strong>Pescia</strong> aveva fatto parte del <strong>con</strong>tado lucchese ma, <strong>con</strong> la<br />

morte <strong>nel</strong> 1328 di Castruccio Castracani, signore della città dominante, la sua<br />

situazione cambiò, tanto da passare <strong>nel</strong> giro di dieci anni prima a Ludovico<br />

il Bavaro, poi al genovese Gherardino Spinola, quindi al re Giovanni di Boemia e<br />

da questi ai Rossi di Parma. Infine, venne ceduta a Mastino della Scala, signore di<br />

Verona, il quale, dopo aver guerreggiato per un po’ <strong>con</strong> gli eterni nemici fiorentini,<br />

<strong>nel</strong> 1338 <strong>con</strong>cluse <strong>con</strong> essi una pace frettolosa, che praticamente lasciò la Valdinievole<br />

senza padroni. Fu durante questo vuoto di potere che i nostri <strong>con</strong>cittadini,<br />

stanchi dei soprusi fino ad allora subiti, chiesero e ottennero la protezione della<br />

città del Giglio.<br />

Le cronache rac<strong>con</strong>tano di come il passaggio sotto Firenze, roccaforte del guelfismo,<br />

fosse stato deciso senza particolari costrizioni, tanto che i ghibellini meno<br />

esposti erano riusciti a restare in patria senza perdere completamente i propri diritti.<br />

E ricordano anche di alcuni privilegi ottenuti dai pesciatini quali componenti del<br />

<strong>con</strong>tado fiorentino, così come di forti agevolazioni fiscali a compensazione dei danni<br />

subiti durante l’ultima guerra.<br />

Di <strong>con</strong>tro, Firenze impose determinate <strong>con</strong>dizioni come l’obbligo di ricordare<br />

e festeggiare ogni anno, in perpetuo, quella domenica 7 febbraio 1339, che aveva<br />

visto l’entrata in <strong>Pescia</strong> del primo podestà fiorentino e di onorare Santa Dorotea,<br />

che il calendario liturgico ricordava il giorno precedente. A lei si ri<strong>con</strong>osceva il merito<br />

di aver favorito il passaggio, permettendo ai pesciatini di parte guelfa, dopo<br />

venticinque anni di forzato esilio, di ritornare in patria.<br />

Santa Dorotea, dunque, venne nominata “Patrona principalis civitatis pisciensis”<br />

e dal successivo 1340, in suo onore, si faranno solenni funzioni religiose e una festa<br />

profana dal grande richiamo: il Bravìo ovvero il Palio. In effetti a questa ricorrenza<br />

si riservava un’attenzione tutta particolare dovuta sia al rispetto verso la martire,<br />

sia all’opportunità offerta alle diverse funzioni: politiche, religiose ed e<strong>con</strong>omiche,<br />

per dimostrare la propria importanza in seno alla comunità. Era insomma per loro<br />

un banco di prova, che si ripeteva ogni anno, per vagliare la propria credibilità ed<br />

influenza.<br />

Non bisogna inoltre dimenticare come l’appuntamento, cadendo in periodo<br />

carnevalesco, richiamasse folle incredibili di forestieri, <strong>con</strong> tangibili vantaggi per la<br />

modesta e<strong>con</strong>omia locale e per le asfittiche finanze comunali.<br />

3


IL PALIO E LA GIOSTRA PER UNA CITTÀ: PESCIA<br />

A cura di Lando Silvestrini<br />

Quanto alla gara, che veniva effettuata <strong>nel</strong> pomeriggio del 7 febbraio, si chiamasse<br />

questa Bravìo, Palio e in seguito Giostra, i <strong>con</strong>correnti vi partecipavano sempre<br />

a titolo personale e non in rappresentanza di una parte della città. La passione<br />

popolare per questo tipo di manifestazione, quindi, non si sarebbe mai trasformata<br />

in rivalità di quartiere o di <strong>con</strong>trada, come è accaduto, appunto, a Siena.<br />

Mentre le manifestazioni religiose in onore di Santa Dorotea si svolgevano regolarmente<br />

ogni anno, il Palio, che <strong>con</strong>sisteva in una corsa di cavalli, veniva effettuato<br />

solo quando la situazione e<strong>con</strong>omica, politica e sanitaria lo permetteva.<br />

Inoltre, quando la festa non cadeva in tempo di Quaresima, caso questo possibile<br />

ma abbastanza raro.<br />

Nella settimana che precedeva l’appuntamento, un incaricato, denominato<br />

Contestabile, si recava a Firenze per l’acquisto del premio, <strong>con</strong>sistente in dieci braccia<br />

(circa sei metri) di panno lavorato di color scarlatto e di una banda di stoffa<br />

lilla, su cui, prima di essere cucita al panno, venivano dipinti il Giglio e il Delfino.<br />

Egli doveva poi occuparsi dell’asta su cui issare il drappo e del mezzo (carro e cavallo)<br />

per mostrare il trofeo anche prima della gara per le strade cittadine. <strong>Pescia</strong> a<br />

quei tempi <strong>con</strong>tava circa tremila anime.<br />

Il Contestabile, inoltre, aveva l’incarico di far dipingere su sei piccoli scudi di<br />

legno, da attaccare ai lati del carro, le armi dei vicari e dei podestà non più in carica,<br />

ma dei quali si doveva <strong>con</strong>servare la memoria.<br />

Nel pomeriggio del giorno 7, dunque, dalla Cancelleria (gli odierni uffici finanziari<br />

del Comune) partiva un piccolo corteo composto dalle autorità, dai rappresentanti<br />

delle arti e dai musici (trombetti, pifferi, cornamusini e raramente tamburini) i<br />

quali, se<strong>con</strong>do una curiosa esterofilia, venivano sempre reclutati da fuori. Seguivano<br />

i cavalli, maschi e arabi, vale a dire le “fuoriserie” del tempo, i quali non erano montati<br />

dai proprietari, bensì da giovani fantini dal soprannome curioso come Battilferro,<br />

Fracasso, Spazzacampagna, Sperandio e Saltavanti. Infine, partiva il carro <strong>con</strong> su issato<br />

il palio, seguito da nugoli di ragazzi curiosi e invadenti, che facevano a gara <strong>nel</strong><br />

raccogliere le nocciole lanciate da sopra il mezzo in segno di festa.<br />

Dopo aver fatto il suo bel giro per la città, il piccolo corteggio ritornava in Piazza<br />

e, mentre i cavalli raggiungevano il luogo della partenza, la gente, diventata ormai<br />

folla, rimaneva in trepidante attesa.<br />

Il percorso, che era detto “alla lunga”, iniziava da un punto nei pressi delle attuali<br />

Casacce, proseguiva per la via Regia (Galeotti), passava sotto la medievale porta<br />

Lucchese (abbattuta <strong>nel</strong> 1860), per arrivare <strong>nel</strong>la “Platea Magna”, dove, su un<br />

palco allestito per l’occasione, attendeva la giuria.<br />

Dopo la cerimonia di premiazione, veniva offerto a tutti i partecipanti un rinfresco<br />

a base di “pane magno” e pan pepato, annaffiati <strong>con</strong> “vino pinocchiato”, trebbiano<br />

e malvasia.<br />

4


IL PALIO DI SANTA DOROTEA<br />

(Archivio di Stato di <strong>Pescia</strong>, materiale sciolto antico n. 3, c. 34r)<br />

Nell’immagine la rubrica LXXXI, libro IV, degli Statuti di <strong>Pescia</strong> del 1340 <strong>con</strong> le regole<br />

da seguire per la festa di Santa Dorotea.<br />

5


IL PALIO E LA GIOSTRA PER UNA CITTÀ: PESCIA<br />

A cura di Lando Silvestrini<br />

6<br />

Trascrizione letterale e traduzione,<br />

curate da Alberto Maria Onori,<br />

della rubrica LXXXI, libro IV,<br />

degli Statuti di <strong>Pescia</strong> del 1340<br />

<strong>con</strong> le regole da seguire per<br />

la festa di Santa Dorotea.


ALTRI PATRONI ED ALTRI PALII<br />

Il destino di <strong>Pescia</strong>, a causa della sua posizione strategica, era sempre stato quello<br />

di baluardo fondamentale per la sicurezza dello stato fiorentino. Per questo<br />

motivo, <strong>nel</strong> giro di un secolo, aveva dovuto subire due assalti di truppe nemiche<br />

<strong>con</strong> brame di <strong>con</strong>quista. Il primo episodio è datato 17 febbraio 1363: i pisani, alleati<br />

dei lucchesi, cercano di entrare in città aprendo un varco nei pressi del castello di<br />

Bareglia, ma vengono respinti dalla furibonda reazione dei pesciatini. Per lo scampato<br />

pericolo si ringrazia il Padre Celeste e, poiché l’assalto è avvenuto <strong>nel</strong>la notte<br />

fra il 16 e il 17 febbraio, giorno quest’ultimo dedicato a San Policronio, si ritiene<br />

giusto eleggere il santo a co-patrono della città.<br />

Il se<strong>con</strong>do episodio avviene il 30 luglio 1430 quando le truppe del <strong>con</strong>te milanese<br />

Francesco Sforza vengono respinte per la terza e ultima volta nei pressi della<br />

Porta Reale (Piazza XX Settembre). Anche in questo caso il Consiglio della Comunità,<br />

<strong>con</strong>siderando che il giorno dell’assalto era dedicato ad Abdon e Sennen, decide<br />

di nominare questi santi co-patroni della città.<br />

Per San Policronio, cadendo la ricorrenza a ridosso della festa di Santa Dorotea,<br />

venivano effettuate solo cerimonie religiose, mentre il 30 luglio, per Abdon e Sennen<br />

si organizzava un se<strong>con</strong>do palio a cui erano ammesse solo cavalle. Data la ridotta<br />

spettacolarità della gara, il premio era modesto e <strong>con</strong>sisteva in sei braccia<br />

(m.3,60 ca.) di panno verde “bagnato e cimato”. Il primo palio si correrà <strong>nel</strong> 1445<br />

<strong>con</strong> la vittoria di tale Giovanni di Giovanni da San Gaudenzio, ma la manifestazione<br />

non avrà mai cadenze regolari e sarà ripetuta solo negli anni in cui il bilancio comunale<br />

lo permetteva.<br />

Dal 1413, i festeggiamenti in onore di Santa Dorotea, prima assai modesti, prendono<br />

maggiore <strong>con</strong>sistenza soprattutto sotto l’aspetto coreografico. I musici che<br />

accompagnano le autorità alla processione del mattino e, <strong>nel</strong> pomeriggio, il corteggio<br />

del Bravìo, non si <strong>con</strong>tano più sulle dita di una mano, ma, grazie anche agli amichevoli<br />

rapporti <strong>con</strong> altre città guelfe, aumentano <strong>con</strong>siderevolmente di numero.<br />

Nel 1428, oltre ai due trombetti del Vicario, ne sono presenti <strong>altri</strong> sei giunti da<br />

Pistoia in rappresentanza di quella comunità, del capitano della guarnigione militare<br />

di <strong>Pescia</strong> e del Podestà; altre due coppie di suonatori giungono rispettivamente da<br />

Siena e da San Miniato. Un altro trombetto arriva perfino dalla nemica Lucca, ma<br />

questo porta i colori di un privato cittadino, tale Lippuzzo Mangoni. Chiudono la<br />

comitiva musicale Tolomeo di Michele, cornamusini di Uzzano e Urbano di Mar-<br />

7


IL PALIO E LA GIOSTRA PER UNA CITTÀ: PESCIA<br />

A cura di Lando Silvestrini<br />

zetto, suonatore di tamburo.<br />

Procacciatori dei musici e banditori della festa sono i nunzi comunali Bruschino<br />

e Pieretto, al secolo Gherardo Jacobi e Pieretto Nanni, entrambi di <strong>Pescia</strong>.<br />

Per la festa patronale del 1471, oltre alla solita corsa di cavalli, si decide di organizzare<br />

un’altra gara dal successo assicurato. Si tratta di una corsa a piedi <strong>con</strong><br />

partenza dagli scalini dell’oratorio di Piè di Piazza a cui partecipano volontariamente<br />

alcune donne, definite “puelle”, ovvero coloro che esercitano il meretricio<br />

<strong>nel</strong> postribolo cittadino. Si tratta di un palio derisorio che giova sia al pubblico potere,<br />

che <strong>con</strong> questa mossa cerca di rafforzare la propria autorità, sia alle stesse<br />

“puelle” che ries<strong>con</strong>o <strong>con</strong> la loro partecipazione a farsi ri<strong>con</strong>oscere un certo ruolo<br />

in seno alla comunità.<br />

Le <strong>con</strong>correnti sono sei, le pesciatine Francesca, Battistina, Angela e Margherita;<br />

la pistoiese Rachenna e tale Pellegrina di Tonio Lemmi da Castelvecchio. Sarà<br />

quest’ultima ad aggiudicarsi la modesta pezza di lana verde messa in palio dagli organizzatori.<br />

Alla edizione dell’anno successivo le <strong>con</strong>correnti sono tutte nuove in<br />

<strong>con</strong>seguenza, forse, della periodica rotazione che avviene <strong>nel</strong> postribolo. Ma chi<br />

sono queste volontarie disposte a subire il pubblico ludibrio? Maddalena di Giovanni,<br />

ad esempio è di Boveglio, che fa parte dello stato lucchese come il paese di<br />

San Gennaro, da cui proviene Rachenna di Luca.<br />

Poi c’è Bernardina di Niccolao da Buggiano, e un’altra Rachenna, figlia anch’essa<br />

di Luca, che tuttavia fa di cognome Ciomei e abita al Monte a <strong>Pescia</strong>. Infine<br />

ci sono le pesciatine Jacopina di Andrea Daddi, Laura Fornari e Francesca di Simone<br />

Gangalandi. Non sappiamo se queste partecipazioni fossero spontanee o meno;<br />

sappiamo sicuramente che avevano avuto la loro influenza sia la necessità di<br />

rendersi in qualche modo partecipi della vita pesciatina, sia l’estrema indigenza che<br />

le avea spinte, per un modesto panno di lana, ad umiliarsi sino a tal punto.<br />

Le curiosità sul Palio di Santa Dorotea sarebbero molte, ma ci limiteremo a ricordare<br />

come l’ultima edizione, la più bella ed emozionante della sua storia, avesse<br />

luogo <strong>nel</strong> 1526, <strong>con</strong> sette cavalli inviati da famiglie nobili pistoiesi, fiorentine e dal<br />

nostro Proposto. Alla sfilata avevano partecipato una quarantina fra musici e cantori<br />

e il proprietario del cavallo vincitore, Luca Libri di Firenze, si era aggiudicato ben<br />

dieci metri di damasco rosso di notevole valore. Il premio, inutile sottolinearlo, non<br />

era il drappo dipinto di oggi, ma stoffa da cui ricavare abiti di una certa importanza.<br />

Il palio del 1526, dunque, aveva rappresentato l’epilogo di una lunga tradizione<br />

che, alla stregua di un grande spettacolo pirotecnico, era iniziata balbettando, proseguita<br />

<strong>con</strong> lampi modesti e qualche flop, ma era terminata <strong>con</strong> una serie variopinta<br />

di scariche e il botto finale.<br />

Fra le diverse cause che avevano portato a questo tracollo, una in particolare<br />

aveva <strong>con</strong>vinto i pubblici amministratori a voltare definitivamente pagina: la moda.<br />

8


ALTRI PATRONI ED ALTRI PALII<br />

(Archivio di Stato di <strong>Pescia</strong>, Comune di <strong>Pescia</strong>, preunit. F. 36, c. 68r)<br />

7 Febbraio 1471 - Dall’alto in basso, elenco delle “puelle” e dei cavalli<br />

che partecipano ai due <strong>palii</strong> messi in programma dagli organizzatori<br />

della festa di Santa Dorotea.<br />

9


IL PALIO E LA GIOSTRA PER UNA CITTÀ: PESCIA<br />

A cura di Lando Silvestrini<br />

Il palio dei berberi, che da sempre aveva rappresentato il volto popolare della passione,<br />

doveva lasciare il passo a forme di svago meno pericolose e maggiormente<br />

teatralizzate <strong>nel</strong>le quali il ceto dominante, <strong>con</strong> le sue giovani leve, poteva dare prova<br />

della propria abilità, destrezza e forza.<br />

Ecco allora che anche a <strong>Pescia</strong>, prima in modo spontaneo, poi <strong>con</strong> il <strong>con</strong>corso<br />

del Comune, si riuscirà a mettere in piedi una serie di <strong>giostre</strong> sul tipo di quelle fiorentine,<br />

che destavano invidia e ammirazione. Nel frattempo, tuttavia, si era provveduto<br />

a sostituire uno dei <strong>con</strong>tendenti <strong>con</strong> un pupazzo a cui erano state date le<br />

sembianze del nemico per antonomasia dell‘occidente cristiano, l’infedele saraceno,<br />

il Saracino appunto.<br />

Ferrara, palazzo Schifanoia, Salone dei mesi.<br />

Particolare del palio corso dalle “pute” del postribolo cittadino e dagli ebrei, nudi per la legge<br />

del <strong>con</strong>trappasso, alla presenza del duca Borso (Se<strong>con</strong>da metà del ‘400).<br />

10


GLI ORGANIZZATORI<br />

L’organizzazione e la direzione della festa in onore di Santa Dorotea, nei primi<br />

suoi decenni, è demandata ai Priori e Capitani (una sorta di Giunta Comunale)<br />

che rivestono la carica <strong>nel</strong> primo bimestre di ciascun anno, ma <strong>con</strong> l’andare<br />

del tempo e l’accentuarsi delle difficoltà, si ritiene opportuno eleggere delle<br />

figure che possano e debbano decidere in autonomia sulle diverse fasi della complessa<br />

giornata.<br />

Un problema di notevole importanza, ad esempio, è rappresentato dall’offerta<br />

dei ceri da donare alla chiesa di Santo Stefano, dove si svolgono tutte le funzioni<br />

religiose indette dal Comune. Per tentare di risolverlo i riformatori deliberano <strong>nel</strong><br />

1440 che tre giorni prima della ricorrenza vengano estratti a sorte i Capitani della<br />

Festa, due per ogni arte e terziere, a cui spetti di raccogliere tra le famiglie i ceri e<br />

le altre offerte tradizionali. Ciascuno di loro deve avere al seguito una trentina di<br />

famigli, che portino materialmente i ceri in processione.<br />

Sette anni più tardi vengono previste altre figure denominate “<strong>con</strong>estabiles” e<br />

“banderatores”, che vanno ad arricchire il già folto numero dei partecipanti alla processione.<br />

Per il terziere della Pieve sono eletti Piero di Simo di Cignone e Antonio<br />

di Luca Benci; per Capanne, Salomone di Antonio Gentilini e Simone di Checco<br />

Gangalandi; per Ferraia Graziadeo Gerardi, Senso di Antonio Lemmi, Jacopo di<br />

Bano di Andrea e Piero di Papo Fiorini.<br />

Con l’andare degli anni, la figura del Contestabile assume un ruolo preminente<br />

e molto impegnativo. Questi personaggi, divenuti due alla fine del 1400, sono incaricati<br />

di provvedere a tutto quanto occorre per rendere magnifica la Festa. Innanzi<br />

tutto, devono occuparsi dell’ “edificio” trainato da buoi su cui, in alcuni punti<br />

del percorso, viene fatta la rappresentazione del martirio di Santa Dorotea; inoltre<br />

sono obbligati a reclutare trenta fanti <strong>con</strong> quattro cavalli (poi cinquanta <strong>con</strong> sei),<br />

<strong>con</strong> i quali effettuare una rassegna militare davanti alla Cancelleria il giorno della<br />

solennità. Ma devono anche acquistare il palio a Firenze e preoccuparsi di pubblicizzare<br />

la gara per mezzo di due messi a cui si fanno indossare un mantello nero e<br />

un paio di calze rosse e bianche come i colori del Comune. E non parliamo poi dei<br />

rapporti da tenere <strong>con</strong> le autorità e soprattutto <strong>con</strong> i <strong>con</strong>correnti per colpa dei quali<br />

ogni anno si fa un sacco di <strong>con</strong>fusione.<br />

Il compito, quindi, non è dei più semplici e il compenso in denaro modesto,<br />

anzi irrisorio, se si <strong>con</strong>siderano le tante spese da sostenere, per cui i neo Contestabili<br />

11


IL PALIO E LA GIOSTRA PER UNA CITTÀ: PESCIA<br />

A cura di Lando Silvestrini<br />

cominciano a <strong>con</strong>testare, rifiutandosi di dare la propria disponibilità. Il Comune,<br />

d’altro canto, non può accettare un simile comportamento e, riforme alla mano, affibbia<br />

multe ad ogni renitente. Prima una, poi due ed infine, <strong>nel</strong> 1544, ben tre lire<br />

e dieci soldi. Ma i giovani estratti, che appartengono alle prime famiglie di <strong>Pescia</strong>,<br />

preferis<strong>con</strong>o pagare pur di non essere coinvolti in un compito così arduo.<br />

In certi anni la somma pagata per i “rifiuti”, che viene messa a disposizione di<br />

chi accetta l’incarico è addirittura superiore allo stanziamento comunale per l’intera<br />

festa.<br />

Il fenomeno, che produce una situazione precaria e <strong>con</strong>flittuale, sarà di gran<br />

lunga il motivo dominante di ogni ricorrenza patronale e questo fino a quando, <strong>nel</strong><br />

1554, i riformatori pesciatini, <strong>con</strong>sapevoli che “non si trova bene spesso chi tal officio<br />

exercitar vogli”, decidono di cancellare la figura del Contestabile e i dieci scudi<br />

d’oro (1 scudo = 7 lire), che si era soliti assegnargli, “si debbano spendere in maritar<br />

due fanciulle”, costituendo altrettante doti. A queste potranno <strong>con</strong>correre solo quelle<br />

ragazze che appartengono alle famiglie che godono gli uffici e che abbiano almeno<br />

dodici anni di età. Le fortunate estratte potranno tuttavia beneficiare della<br />

dote solo a matrimonio <strong>con</strong>sumato, oppure, se entrate in <strong>con</strong>vento, dopo che avranno<br />

fatto voto di castità. Gli scudi di dote potranno essere riscossi esclusivamente<br />

dal marito sotto giuramento o dal padre <strong>con</strong>fessore.<br />

È importante sapere che la distribuzione delle due doti è andata avanti per tre<br />

secoli e mezzo, <strong>con</strong> esclusione del periodo della dominazione francese. Nel 1915,<br />

forse a causa della guerra in corso, la tradizione cessò. Da notare che, se <strong>nel</strong> 1561<br />

ogni dote ammontava a 35 lire, vale a dire tre volte il mensile di un messo comunale,<br />

negli ultimi decenni si era ridotta ad appena 31 lire e 50 c., quanto il mensile di un<br />

bidello di scuola.<br />

12


LA GIOSTRA AL SARACINO<br />

Le prime notizie certe riguardanti la Giostra del Saracino di <strong>Pescia</strong> compaiono<br />

in una lettera che Bastiano Galeotti, appartenente a una delle famiglie nobili<br />

più antiche di <strong>Pescia</strong>, invia al fratello Domenico, capitano della guarnigione<br />

militare di Arezzo.<br />

Il prezioso documento, datato 9 febbraio 1550, ci dà un’idea più chiara di ciò<br />

che avveniva <strong>nel</strong>la nostra città in occasione della festa di Santa Dorotea.<br />

Il Galeotti, infatti, dopo i fraterni <strong>con</strong>venevoli, si getta a capofitto <strong>nel</strong> rac<strong>con</strong>to,<br />

descrivendo in modo dettagliato gli aspetti salienti della Festa iniziando dal 6 febbraio,<br />

giorno della sua vigilia, quando alle otto di sera aveva avuto inizio un lungo<br />

corteggio aperto da “uno tamburo <strong>con</strong> forsi 50 archibusieri; poi seguivano 12 giovani<br />

bene armati (…) vestiti di borsa (riccamente) tutti a cavallo, tutti ad uno medesimo<br />

modo di giachi (corazze) e maniche di manlia (maglia di ferro) coperti <strong>con</strong> abiti in<br />

dosso loro e i cavalli di cavalieri antichi”.<br />

La descrizione prosegue ricordando che gli stessi avevano in testa solo delle<br />

parrucche ricce, fatte <strong>con</strong> crini di cavallo, su cui erano state appuntate “quante perle<br />

e gioie era in questa terra”. In mano portavano un bastone di circa un metro, indossavano<br />

calze rosse e stivaletti di cuoio a mezza gamba dorati, come dorate erano le<br />

staffe, le briglie e gli speroni.<br />

Ogni cavaliere, inoltre, aveva a disposizione due servitori vestiti alla moresca, i<br />

quali portavano in mano una torcia accesa. I cavalli, tutti di razza e reperiti anche<br />

fuori <strong>Pescia</strong>, erano completamente bardati all’uso antico <strong>con</strong> stoffe di gran pregio.<br />

Il Galeotti successivamente ricorda i nomi di questi giovani cavalieri e ne mette<br />

in risalto il nobile portamento, l’inusuale ricchezza degli abiti e la fantasiosa complessità<br />

delle loro “imprese” cioè dei segni e dei motti di ri<strong>con</strong>oscimento applicati<br />

sulle loro vesti <strong>con</strong> cui esprimevano un proposito, un traguardo o una linea di <strong>con</strong>dotta<br />

da seguire. Ghino Orlandi, ad esempio, aveva fatto dipingere sulla barda del<br />

cavallo due cigni bianchi e il motto “Et in hoc candore rubesco” (In questo candore<br />

arrossisco); Nicolao Berti “una Fortuna <strong>con</strong> una vela in mano” e la scritta “Et erit<br />

fortuna munus” (La fortuna sarà la ricompensa), mentre il cavallo di ser Atto, capitano<br />

della guarnigione militare di <strong>Pescia</strong>, aveva due idre (animali mitologi simili a<br />

draghi) e il motto “Hoc virtute opus” (Ciò richiede valore).<br />

Dopo i dodici cavalieri, aveva fatto la sua comparsa il Signore della Festa, denominato<br />

Contestabile “vestito darme bianca <strong>con</strong> un saio in dosso (…) che ancorché<br />

13


IL PALIO E LA GIOSTRA PER UNA CITTÀ: PESCIA<br />

A cura di Lando Silvestrini<br />

e fussi di poca spesa, faceva bellissimo vedere”. Poi era stata la volta di un carro trionfale<br />

molto ben ornato, sulla cui sommità una ragazza rappresentava Santa Dorotea<br />

“<strong>con</strong> uno ramo dulivo in mano la quale cantava ai luoghi soliti certe stanze (strofe)<br />

esortando questo popolo a stare in pacie”. A questo carro, <strong>con</strong>tinua il Galeotti, ne<br />

seguiva un altro <strong>con</strong> sopra dei cantorini; questi rappresentavano le sette virtù e cantavano<br />

in modo straordinario. Entrambi i carri erano trainati da buoi.<br />

Successivamente avevano sfilato, armati di lancia, quaranta cavalieri vestiti <strong>con</strong><br />

corsaletti, bracciali ed elmi <strong>con</strong> celata, seguiti, se<strong>con</strong>do le stime un po’ esagerate<br />

del Galeotti, da “tanti trombetti, pifferi e tamburi che saria stato abbastantia a uno<br />

esercito”.<br />

La descrizione del corteggio notturno terminava mettendo in risalto il lodevole<br />

comportamento degli organizzatori, che avevano fatto forgiare anche trenta lumiere<br />

di ferro, portate anch’esse da uomini vestiti alla moresca, ognuna delle quali “faceva<br />

più lume (…) che non facevano tutte le torcie”.<br />

E, finalmente, si era giunti al 7 febbraio, giorno della festa solenne, durante la<br />

quale si era svolta la solita grande processione <strong>con</strong> la presenza degli amministratori<br />

comunali, dei rappresentanti delle arti e dei terzieri cittadini. Successivamente si era<br />

assistito alla Messa solenne in Santo Stefano e <strong>nel</strong> dopo pranzo grandi balli in Piazza<br />

alla presenza della moglie del vicario fiorentino, “una bellissima e da bene giovana”,<br />

sottolineava il Galeotti, che si divertiva molto insieme alle dame pesciatine.<br />

Contemporaneamente gli uomini armeggiavano <strong>nel</strong>la schietta allegria che ammetteva<br />

il periodo carnevalesco e “si durò tutto il giorno a rompere lancie al saracino<br />

<strong>con</strong> molte maschere e liviere (levrieri)”.<br />

Da rilevare che l’autore della lettera, mentre aveva fatto una descrizione entusiastica<br />

e particolareggiata della sfilata notturna, segno di un evento inusuale, aveva<br />

dato poca importanza al ballo e alla armeggeria, facendo capire che si erano svolti<br />

se<strong>con</strong>do una prassi ormai <strong>con</strong>solidata in chissà quante edizioni precedenti.<br />

Con il termine armeggeria non si intendeva un vero e proprio combattimento,<br />

ma uno spettacolo coreografico che si divideva in due momenti essenziali. Nel primo,<br />

i giovani facevano <strong>con</strong> i loro cavalli esercizi di destrezza, mentre il se<strong>con</strong>do,<br />

quello “militare”, si identificava in una breve corsa e <strong>nel</strong>la rottura della lancia in<br />

un bersaglio qualsiasi, un palo, una colonna o, come <strong>nel</strong> nostro caso, <strong>nel</strong> Saracino.<br />

La propensione dei pesciatini ad armeggiare ci viene <strong>con</strong>fermata anche da Giuliano<br />

Ceci, studente universitario a Pisa e futuro notaio, il quale <strong>nel</strong> suo diario, che<br />

si <strong>con</strong>serva alla Biblioteca Comunale, ricorda come “<strong>nel</strong>le vacantie del Carnovale”<br />

del 1552 era tornato a <strong>Pescia</strong> e aveva corso molte volte su e giù per la Piazza al Saracino.<br />

La sua rimpatriata era stata fatta all’insaputa dei genitori, dai quali si era tenuto<br />

alla larga prendendo in affitto una stanza <strong>nel</strong>le Capanne e facendosi vedere in<br />

giro sempre <strong>con</strong> la maschera sul viso. Curiosamente, durante una di queste corse,<br />

14


LA GIOSTRA AL SARACINO<br />

gli si avviluppò la briglia e fra i primi ad aiutarlo fu proprio suo padre il quale, in<br />

virtù della maschera, non lo ri<strong>con</strong>obbe, ma l’esperienza lo indusse a tornare il giorno<br />

stesso a Pisa. “Si seppe poi per tutto che ero io “ - scrive il Ceci <strong>nel</strong> diario - “e detti<br />

molto da dire e da ridere.”<br />

A differenza di quanto hanno scritto alcuni storici del passato, la giostra si svolgeva<br />

sempre <strong>nel</strong>la Piazza Grande, l’odierna Piazza Mazzini perché questa rappresentava<br />

il <strong>cuore</strong> della comunità e l’anfiteatro perfetto per simili manifestazioni, come<br />

Piazza del Campo lo è per Siena. La nostra piazza non era lastricata in pietra ma a<br />

mattoni messi a lisca di pesce e aveva una parte che, a causa del <strong>con</strong>tinuo via vai<br />

dei carriaggi, era “ismattonata e guasta”, quindi disponibile per la corsa dei cavalli.<br />

Già <strong>nel</strong> XV secolo in qualche città si giostrava al Saracino e a Firenze addirittura<br />

<strong>nel</strong> precedente, ma è <strong>nel</strong> 1500 che la manifestazione assume un valore rievocativo<br />

del nemico esterno, il Turco, che in realtà minaccia da vicino le coste del Mediterraneo<br />

settentrionale, incluse quelle granducali.<br />

Soprattutto fa paura un corsaro soprannominato Barbarossa, il quale, <strong>nel</strong> 1544<br />

<strong>con</strong> cento galee occupa Portoferraio e distrugge Porto Ercole e Talamone. In queste<br />

incursioni molti sono coloro che cadono prigionieri degli infedeli i quali, in ossequi<br />

a una moda purtroppo in voga ancora oggi, esigono per la liberazione il pagamento<br />

di un riscatto.<br />

A sostenere la spesa in questi casi è la Comunità a cui il prigioniero appartiene e<br />

anche la nostra, <strong>nel</strong> 1584, è chiamata a fare la sua parte. C’è infatti da liberare Menico<br />

di Ciano di Giusto, che risulta essere schiavo dei turchi da parecchio tempo.<br />

L’argomento, guarda caso, viene messo in discussione il 7 febbraio, per le feste<br />

patronali, e il Consiglio Generale, anche se non all’unanimità, decide di fare una<br />

“limosina” di 50 lire per rendere il prigioniero ai suoi cari.<br />

Quanto a Santa Dorotea, c’è da segnalare che il 28 dicembre 1561 si realizza<br />

per i pesciatini un grande sogno, quello di poterne finalmente venerare un reliquia.<br />

Il <strong>con</strong>cittadino Pompeo della Barba, medico personale di Papa Pio IV riesce ad ottenere<br />

da quest’ultimo una tibia della martire da donare successivamente alla badessa<br />

del monastero benedettino di Santa Maria Nuova, propugnatrice<br />

dell’iniziativa. Detto monastero, <strong>con</strong> annessi chiesa e chiostro, sorgeva negli attuali<br />

spazi del centro Mons. Simonetti, Piazza del Grano e fabbricati attigui, ora completamente<br />

trasformati.<br />

15


IL PALIO E LA GIOSTRA PER UNA CITTÀ: PESCIA<br />

A cura di Lando Silvestrini<br />

Biblioteca Comunale di <strong>Pescia</strong>, 1-B-52 n. 281<br />

Giuliano Ceci, “Libbro di ricordi”, 1552<br />

16


LA GIOSTRA DIVENTA UFFICIALE<br />

Nel 1596, grazie alle nuove riforme appena approvate, si decide di rendere<br />

finalmente ufficiale l’esercizio cavalleresco che da numerosi decenni è il<br />

passatempo preferito della nobile gioventù locale: la giostra del Saracino.<br />

Per metterlo in piedi, come per la sfilata notturna del 6 febbraio “<strong>con</strong> carro musicale,<br />

moresca et altra simil festa”, si ripropone la figura del Contestabile, che viene estratto<br />

a sorte fra venti elementi scelti in precedenza.<br />

Questo giovane ha l’incarico non solo di acquistare “doni e presenti da distribuirsi<br />

a chi comparirà più onoratamente a cavallo in giostra e farà più belli colpi di<br />

lancia al Saracino”, ma anche di ingaggiare, sotto minaccia di una penale, cinque<br />

cavalieri capisquadra e cinquanta fanti <strong>con</strong> tanto di archibugio, che scorteranno la<br />

Magistratura <strong>nel</strong>la solenne processione del 7 febbraio. A lui spetta, inoltre, il disbrigo<br />

di altre piccole incombenze che, aggiunte alle precedenti e messe in rapporto<br />

alla modestia del rimborso spese, faranno sì che la manifestazione abbia risultati<br />

insoddisfacenti.<br />

Da notare che il rifiuto dell’incarico comportava una bella multa, tuttavia, essendo<br />

gli estratti membri di famiglie facoltose, si preferiva pagare pur di non essere<br />

coinvolti in un compito così arduo.<br />

Si dovrà aspettare il 1603 <strong>con</strong> la riforma comunale perché il Saracino torni ad<br />

essere corso in modo ufficiale. Al posto del Contestabile si scelgono due uomini<br />

“de’ più onorati, più prudenti, et di maggior credito et autorità”. Grazie a questi Rettori<br />

o Governatori della Festa le cose vanno meglio, tanto è vero che la Giostra si<br />

svolge regolarmente e <strong>con</strong> soddisfazione generale.<br />

Per finanziare interamente l’iniziative si ricorre a una imposizione forzosa di due<br />

lire su settantasette cittadini, appartenenti all’arte maggiore e a quella minore, i cui<br />

nomi vengono estratti a sorte. I doni sono una banda di taffettà a strisce bianche, rosse<br />

e paonazze e relative guarnizioni, quattro forchette e tre cucchiai d’argento, due paia<br />

di calzette di seta di Napoli e infine due cinture di cerbiatto doppie <strong>con</strong> spinette.<br />

Per fugare poi ogni incertezza <strong>nel</strong>lo svolgimento della gara, si crea la nuova figura<br />

del Maestro di Campo, che viene scelto fra coloro che hanno una buona esperienza<br />

in campo militare ed equestre.<br />

I <strong>con</strong>correnti sono quattro: Roberto Poschi che si presenta <strong>con</strong> il nome di battaglia<br />

di Altapenna; Raffaello Benincasa è invece Altomonte; un tale Del Catena di<br />

Uzzano è Speron d’Oro e Leandro Martellini è Argorante. Per la cronaca diremo<br />

17


IL PALIO E LA GIOSTRA PER UNA CITTÀ: PESCIA<br />

A cura di Lando Silvestrini<br />

(Archivio di Stato di <strong>Pescia</strong>, Saldi e bilanci 1609, F. 692, c. 211r).<br />

Spesa per l’organizzazione della festa di Santa Dorotea e per l’acquisto del Saracino.<br />

che le calzette del primo premio andranno ad Altomonte.<br />

Nel successivo 1604 i <strong>con</strong>correnti sono addirittura diciotto, divisi tra pesciatini<br />

e pistoiesi. La sfida comunque è sempre a livello personale e non di città o di terziere.<br />

Questa edizione non va per il verso giusto probabilmente a causa del regolamento…<br />

che non c’è. Con così tanti <strong>con</strong>correnti e una modalità di <strong>con</strong>teggio poco<br />

chiara, infatti, il compito della giuria è stato veramente arduo e alla fine la maggior<br />

parte di questi è rimasta insoddisfatta. Ne <strong>con</strong>segue che la manifestazione viene<br />

nuovamente sospesa sine die.<br />

La soluzione al problema viene finalmente trovata <strong>nel</strong> 1608, quando per ovviare<br />

alla mancanza di un Saracino proprio, la Comunità scrive a Firenze dicendo che<br />

ogni volta “fa bisogno inchinarsi hor a questo hor a quello e spesso è occorso di aver<br />

da mandare a Pistoia per esso” e chiede di poterne acquistare uno tutto per sé. I signori<br />

Nove rispondono affermativamente e così, <strong>con</strong> la spesa non troppo gravosa<br />

di 35 lire, anche <strong>Pescia</strong> può mettere le basi per <strong>giostre</strong> più ordinate, che tanto in<br />

termine di spettacolarità offriranno ai cittadini.<br />

Il nuovo Saracino non è un bersaglio mobile e armato, ma un più tranquillo<br />

pupazzo sullo stile fiorentino, che può essere colpito impunemente. Il punteggio<br />

assegnato al <strong>con</strong>corrente va in base alla precisione del colpo inferto sul suo volto.<br />

Guadagna tre punti chi coglie <strong>nel</strong>lo “stellino” disegnato <strong>nel</strong> centro della fronte;<br />

due punti vanno invece a chi colpisce <strong>nel</strong>la parte delimitata in basso da una linea<br />

orizzontale che passa al di sotto del naso, mentre un punto spetta a chi centra la<br />

zona compresa tra questa linea e l’altra posta a metà del mento.<br />

Con la possibilità di dare ad ogni colpo messo a segno un punteggio preciso, i<br />

riformatori locali ritengono che possa essere ricreata la figura del Contestabile, il<br />

quale ora è pomposamente chiamato Signore della Festa.<br />

18


LA GIOSTRA DIVENTA UFFICIALE<br />

Fin dai primi del ‘400 per la festa di San Giovanni, oltre al palio dei berberi, avevano<br />

luogo a Firenze alcune <strong>giostre</strong> cavalleresche organizzate <strong>con</strong> puntiglio e grandi mezzi<br />

dalla classe dirigente, sempre più impegnata a dimostrare pubblicamente il suo diritto al<br />

comando.<br />

Teatro di questi s<strong>con</strong>tri era di solito piazza Santa Croce, dove alla edizione del 1469,<br />

aveva partecipato anche un banchiere di origine pesciatina, tale Benedetto Salutati, il<br />

quale aveva impegnato seriamente le proprie sostanze pur di comparire <strong>con</strong> abiti raffinati<br />

e, per la bardatura del suo cavallo di nome Scorzone, si era affidato nientemeno che ad<br />

Antonio del Pollaiolo.<br />

Per il nostro <strong>con</strong>cittadino il poeta Luigi Pulci scrisse <strong>nel</strong>la sua celebre “Giostra”:<br />

Hora ecco Benedetto Salutati<br />

Venire in campo sopra un bel destriere,<br />

Et porta nei suoi segni al vento dati<br />

Una fanciulla e certe luce e spere<br />

Con bianchi veli honesti avviluppati,<br />

Et nota che ‘l cavallo, c’ha il bel cimiere,<br />

Coperto è <strong>con</strong> barde d’ariento,<br />

che cento libbre fu stimato, e cento.<br />

Il suo cavallo si chiama Scorzone<br />

Molto possente, e tutto era morello,<br />

La sua coverta dal capo al tallone<br />

Un giardino sembra <strong>nel</strong> tempo novello;<br />

Quivi era pomi di tante regione,<br />

Che Primavera non saria sì bello:<br />

Era per modo di perle coperta,<br />

Che bianca si può dir questa coverta.<br />

Insino alla testiera del cavallo<br />

Era tutta di perle ricamata,<br />

La sopravesta sua tu puoi pensallo<br />

Di ricche gemme si vedea ornata:<br />

Però chi non si sente di quel giallo,<br />

Non facci tropo lunga sua pensata,<br />

Si che questo era molto ornato tutto,<br />

Et di prodezza ancor n’appare il frutto.<br />

Era un altro cavallo <strong>con</strong> un ragazzo,<br />

Di chermisi broccato d’oro il pelo,<br />

Coperto tutto insino in su lo spazzo,<br />

Et tutti i suoi scudieri, che vanno a telo,<br />

Con cioppette di raso paonazzo:<br />

Il gran tumulto, e ‘l suon rimbomba al cielo<br />

Di trombe, tamburino e zufoletto,<br />

Et <strong>Pescia</strong>, e Salutati e Benedetto. (…)<br />

19


IL PALIO E LA GIOSTRA PER UNA CITTÀ: PESCIA<br />

A cura di Lando Silvestrini<br />

20<br />

A sinistra: il Saracino di <strong>Pescia</strong> (1608)<br />

custodito presso<br />

il Museo Civico cittadino.<br />

In basso: il Saracino di Firenze<br />

custodito presso<br />

il Museo Nazionale del Bargello.


UN MODELLO DI FESTA SEICENTESCA<br />

Verso la metà del XVII secolo, la giostra pesciatina ha raggiunto ormai la sua<br />

maturità. Buona parte delle cause che per decenni hanno impedito la piena<br />

evoluzione sono superate anche se rimane costante l’incognita del Signore<br />

della Festa dato che la maggior parte degli estratti a sorte preferis<strong>con</strong>o pagare una<br />

multa pur di ricoprire tale incarico. Quanto ai <strong>con</strong>correnti non ci sono per il momento<br />

problemi: tante sono le famiglie nobili che attraverso i propri rampolli vogliono<br />

dare di sé un’immagine maschia e cortese al tempo stesso. La giostra, inoltre,<br />

è l’occasione per dare sfoggio alla propria ricchezza e abilità: i <strong>con</strong>correnti, infatti,<br />

devono indossare bei vestiti e danno <strong>nel</strong> complesso dei colpi apprezzabili.<br />

Cerchiamo ora di vedere, attraverso ciò che offrono i documenti di archivio,<br />

quello che accade nei due giorni della festa patronale. Nel pomeriggio del 6 febbraio<br />

il su nominato Signore della Festa, accompagnato dal Maestro di Campo, da dieci<br />

dei primi giovani della Terra e da tre musici forestieri, compare davanti alla Cancelleria,<br />

dove entra al suono di tre squilli di tromba. Qui si celebra il rito della <strong>con</strong>segna<br />

del Bastone del Comando, che passa dalle mani del Proposto dei priori (una<br />

sorta di presidente di Giunta) alle sue mani e da queste al Maestro di Campo.<br />

Conclusa questa fase, vengono presentati e pesati i premi per i vincitori della<br />

giostra, <strong>con</strong>sistenti in ricercati pezzi di argenteria sui quali si è fatto imprimere il<br />

Delfino, simbolo della Comunità e l’anno di partecipazione. In tutto pesano circa<br />

dieci chili.<br />

Successivamente, seguendo una scrupolosa e noiosa etichetta, frutto dell’imperante<br />

moda barocca, tutti i presenti (amministratori, dipendenti comunali, rappresentanti<br />

vari), al suono di numerosi squilli di tromba, si recano a Santo Stefano<br />

per il vespro della vigilia al termine del quale avviene il ritorno in Cancelleria. Se<strong>con</strong>do<br />

l’uso secolare, prima del commiato viene fatta una rassegna dei presenti. Chi<br />

ha “osato” mancare alla cerimonia dovrà provare le motivazioni, <strong>altri</strong>menti sarà<br />

multato.<br />

La mattina del giorno 7, mentre sulla Piazza Grande è tutto uno sventolare di<br />

bandiere e stendardi, il Signore della Festa si ripresenta davanti alla Cancelleria accompagnato<br />

da dieci uomini a cavallo tutti vestiti <strong>con</strong> lucco (lunga e ampia veste<br />

di panno riccamente foderata), calze e scarpe rigorosamente neri. Dopo i soliti <strong>con</strong>venevoli,<br />

la comitiva, a cui si è unito il Vicario, si posiziona sul lato ovest della Piazza<br />

mentre la magistratura comunale si mette su quello opposto, in modo da fare ala<br />

21


IL PALIO E LA GIOSTRA PER UNA CITTÀ: PESCIA<br />

A cura di Lando Silvestrini<br />

alla solenne processione, che viene preannunziata da un giovane prete mandato in<br />

avanscoperta. Da notare che la processione, prima del suo ingresso <strong>nel</strong>la Piazza, fa<br />

una breve sosta in Santa Maria Nuova per dare modo ai partecipanti di baciare la<br />

reliquia di Santa Dorotea lì <strong>con</strong>servata. Riteniamo aprire una parentesi per dire che<br />

il sacro resto rimarrà custodito <strong>nel</strong> <strong>con</strong>vento fino alla sua soppressione del 1811<br />

per tornare ai Della Barba. Da questi passerà successivamente <strong>nel</strong>le mani di p. Domenico<br />

Papini, uno dei rettori di Santo Stefano, il quale, il 27 dicembre 1825 lascerà<br />

ufficialmente la reliquia a detta chiesa “perché sia <strong>con</strong>servata <strong>con</strong> più decenza e venga<br />

esposta <strong>nel</strong> dì di festa”.<br />

Per primi, dunque, passano quattordici giovani “ben nati et honorevolmente vestiti”<br />

recando ciascuno un cero offerto dalla Comunità, poi monsignor Proposto,<br />

che partecipa solo su espresso invito degli amministratori, <strong>con</strong> tutto il suo codazzo<br />

di subalterni. Successivamente sfilano le Regole, le Compagnie e il clero rimanente.<br />

Dopo di questi, tocca agli astanti che radunati sotto le varie bandiere, si accodano<br />

ordinatamente avviandosi verso la chiesa di Santo Stefano da cui la processione<br />

aveva preso l’avvio. Da tutti i campanili della città si diffonde un suggestivo messaggio<br />

di festa.<br />

Appena giunti alla chiesa, ha inizio la scrupolosa cerimonia dei diritti di precedenza,<br />

che impegna per alcuni minuti i notabili sia <strong>nel</strong>l’entrata in chiesa, sia per accomodarsi<br />

a sedere.<br />

Quando sono tutti al loro posto, due donzelli (uscieri comunali) si piazzano in<br />

piedi ai lati delle prime file <strong>con</strong> in mano un cero di oltre tre chili ciascuno, che dovranno<br />

essere accesi all’elevazione del Santissimo. La Messa viene celebrata <strong>con</strong>giuntamente<br />

da Proposto e Capitolo di Santo Stefano all’altar maggiore e non più<br />

a quello dedicato a Santa Dorotea in una nube fitta e fastidiosa d’incenso.<br />

La musica è curata dal Maestro di Cappella, che ai suoi cantori ha voluto unire<br />

per l’occasione un suonatore di cornetta e uno di trombone <strong>con</strong> funzioni di soprano.<br />

All’omelia, un predicatore forestiero fa un eloquente panegirico sulle virtù della<br />

Santa patrona.<br />

Terminata la cerimonia e salutati Proposto e Capitolo, che rimarranno a pranzo<br />

in canonica, il corteo laico si ricompone per tornare alla Cancelleria. Qui si procede<br />

all’estrazione a sorte di due ragazze nubili a cui verranno assegnate altrettante “doti”<br />

di cinque scudi d’oro ciascuna. Le candidate sono proposte dai Priori e Capitani<br />

in carica. A pescare <strong>nel</strong> cappello è un ragazzino a cui sono stati opportunamente<br />

bendati gli occhi.<br />

Prima del commiato, viene approntato sempre in Cancelleria un piccolo rinfresco<br />

e successivamente a tutti i partecipanti, ivi compresi i quattordici giovani, vengono<br />

donati dei cartocci di pepe, una fra le spezie più costose e apprezzate del tempo. Naturalmente<br />

la quantità del dono è proporzionata all’importanza di chi lo riceve!<br />

22


UN MODELLO DI FESTA SEICENTESCA<br />

Nel frattempo, per fare allegrezza, dalla torre dell’orologio parte una scarica di<br />

moschetti caricati a salve, che giù <strong>nel</strong>la piazza fa un bell’effetto.<br />

Subito dopo pranzo la solita comitiva partecipa a un nuovo vespro e poi, finalmente,<br />

si può dare inizio alla gara il cui regolamento è stato affisso da alcuni giorni<br />

alla “casa dell’Altopascio” (sede della Misericordia) e alla “colonna del Delfino” (una<br />

delle colonne che sorreggevano il porticato della Cancelleria e che sono ancora visibili).<br />

Preceduto da numerosi squilli di tromba, parte dunque un brevissimo corteggio<br />

composto da due donzelli in livrea, i quali portano in un bacile d’argento i premi.<br />

Questi sono seguiti dal Vicario in lucco nero e dal Signore della Festa <strong>con</strong> a fianco il<br />

Capitano della “banda di <strong>Pescia</strong>” (soldati di stanza) e il Maestro di Campo. Per ultimo<br />

si incammina il Cancelliere a cui spetta il compito di prendere nota dei colpi.<br />

Al loro passaggio la folla si apre in un mormorio rispettoso e pieno di sussiego<br />

per poi riammassarsi e proseguire <strong>con</strong> il solito baccano. La maggior parte della gente,<br />

tuttavia, non ha aspettato l’uscita dei signori dalla Cancelleria, ma si è per tempo<br />

assiepata a ridosso del campo di gara delimitato da transenne di tavole infilate in<br />

piedistalli di pietra. I più abbienti sono alle finestre che danno sulla Piazza o hanno<br />

trovato posto sulle piccole gradinate montate per l’occasione.<br />

Là in fondo, <strong>con</strong> le spalle alla Madonna di Piè di Piazza, si erge il feroce Saracino,<br />

il terrore della cristianità a cui i “mantenitori” della giostra hanno messo un<br />

gon<strong>nel</strong>lino di seta rossa per mascherare il palo che lo sorregge.<br />

Mentre il Maestro di Campo <strong>con</strong> in mano il bastone del comando dà le ultime<br />

istruzioni, gli <strong>altri</strong> salgono sul palco montato nei pressi del bersaglio. Da qui dovranno<br />

valutare le botte sferrate. Non appena si sono sistemati <strong>nel</strong>le poltrone “all’imperiale”<br />

viene dato l’ordine di far comparire i cavalieri, che il giorno precedente<br />

si erano iscritti alla gara in Cancelleria fornendo il proprio nome di battesimo e<br />

quello di battaglia.<br />

I <strong>con</strong>correnti, mascherati in volto e vestiti alla moresca, si avvicinano al palco<br />

accompagnati da due padrini che, <strong>con</strong> un eruditissimo discorso, danno i <strong>con</strong>notati<br />

del loro patrocinato. I nomi dei cavalieri vengono scritti in foglietti uguali ed ugualmente<br />

piegati, poi avviene l’estrazione a sorte da cui si ricava l’ordine di partenza.<br />

Ancora qualche squillo di tromba e il primo <strong>con</strong>corrente, in un terribile frastuono,<br />

parte <strong>con</strong>centratissimo da metà di Piazza <strong>con</strong> il cavallo al galoppo e lancia<br />

in resta: unico obiettivo è la fronte del Moro, il così detto stellino, che dà il massimo<br />

del punteggio.<br />

Nonostante che sia stata <strong>con</strong>cessa l’opportunità di allenarsi per ben otto giorni,<br />

non tutti i <strong>con</strong>correnti ries<strong>con</strong>o <strong>nel</strong>l’impresa, anzi, diversi colpi sono mediocri e<br />

provocano la derisione dei presenti. A questo punto entrano in azione i padrini, i<br />

quali cercano di giustificare il colpo fallito <strong>con</strong> qualche battuta banale e grossolana,<br />

23


IL PALIO E LA GIOSTRA PER UNA CITTÀ: PESCIA<br />

A cura di Lando Silvestrini<br />

24


UN MODELLO DI FESTA SEICENTESCA<br />

25


IL PALIO E LA GIOSTRA PER UNA CITTÀ: PESCIA<br />

A cura di Lando Silvestrini<br />

tale da poter distogliere l’attenzione dalla “drammaticità” dell’accaduto.<br />

“E’ vero che il mio cavaliero non ha colpito, ma li son ben dire che il Saracino ha<br />

avuto una gran paura!”<br />

“Signori non si meraviglino, che il mio cavaliero non habbia colpito: perché non<br />

ha creduto colpire: poiché (…) in quei in<strong>con</strong>tri a non dare qualche vantaggio alli sua<br />

<strong>con</strong>correnti parva il suo un giocar di vantaggio!”<br />

“Signori, il mio cavaliero è degno di scusa perché al Saracino è venuto il singhiozzo<br />

e questo non potendo star fermo non ha potuto mostrar la sua bravura!”<br />

“E’ cortesia del cavaliero che l’ha portato rispetto!”<br />

“Il non aver colpito è stato provocamento del Saladino che per paura ha sfuggito<br />

un tale in<strong>con</strong>tro!”<br />

Ma le battute si sprecano anche se il <strong>con</strong>corrente riesce a colpire e a fare punti.<br />

“Signori, il Saracino è tanto mal<strong>con</strong>cio da questo in<strong>con</strong>tro che i medici non gli trovano<br />

più il polso e di<strong>con</strong>o che sarà bene farli una pittima (decotto) acciò si finisca<br />

questa Giostra, e mi credino senza che io giuri che l’è più mortale che vivo!”<br />

“Un bicchiere di corminato (ricostituente) da far presto se non si viene meno. Ha<br />

colpito <strong>con</strong> tanta leggiadria che meriterebbe un colpo di vantaggio!”<br />

“Per questo in<strong>con</strong>tro Signori se non si manda per il chierusico (chirurgo) per farli<br />

un’allacciatura, il Saladino lo trovate in estremis!”<br />

“Signori l’è venuto un capo giro e se non li si fa un inceso (incisione per far sgorgare<br />

gli umori) non terrà mai il capo fermo!”<br />

Al termine delle tre tornate, il Cancelliere <strong>con</strong>ta e ri<strong>con</strong>ta i punti realizzati e<br />

stila una graduatoria. Intanto i donzelli si preparano a passare i premi in argento al<br />

Signore della Festa, il quale li attaccherà in modo spettacolare alla lancia dei cavalieri<br />

meritevoli. Al primo, di solito, viene data una guantiera; al se<strong>con</strong>do un’acquasantiera<br />

mentre al terzo tocca una tazzina <strong>con</strong> due cucchiai, tutti quanti d’argento.<br />

Un premio speciale, istituito fin dal 1617, viene assegnato al Masgalano (masmolto,<br />

galano-elegante), vale a dire a colui che ha avuto “più invenzione d’abito e<br />

leggiadria”. Due cucchiai vengono dati come ricompensa al Maestro di Campo ed<br />

infine un paio di onorevolissimi guanti scamosciati al Cancelliere.<br />

La festa ufficiale a questo punto è davvero finita e, mentre la gente si sofferma<br />

ancora a commentare le gesta dei signori, la magistratura fa ritorno in Cancelleria.<br />

Prima di <strong>con</strong>cludere questa descrizione, bisogna dire che dal 1635, di <strong>con</strong>torno<br />

26


UN MODELLO DI FESTA SEICENTESCA<br />

alla giostra, aveva luogo ogni anno una sfida letteraria fatta <strong>con</strong> dei cartelli. Per <strong>con</strong>to<br />

del Saracino, a cui di volta in volta prendeva nomi fascinosi come Cor di Diaccio<br />

(1635); Albumagor (1654); Euromauro (1674) e Fiamma d’oro (1677) o mitologici<br />

come Arione (1639) e Nettuno (1640) e addirittura Delfino di <strong>Pescia</strong> (1636 e 1638),<br />

gli organizzatori facevano pubblicare e affiggere ai soliti luoghi le sfide o inviti in<br />

cui il Barbaro sosteneva una tesi e sfidava ogni cavaliere a provarne il <strong>con</strong>trario.<br />

Coloro che accettavano la sfida dovevano, dunque, rispondere scrivendo su<br />

<strong>altri</strong> cartelli, nei quali davano saggio del loro acume, cultura e gusto, ribattendo gli<br />

argomenti dello sfidante. Questi cartelli, che i padrini <strong>con</strong>segnavano ai giudici prima<br />

della giostra, terminavano spesso <strong>con</strong> poesie, scritte <strong>nel</strong> modo enfatico del più prolisso<br />

e altisonante stile barocco, indirizzate alle bellissime dame pesciatine.<br />

Le poesie erano sempre firmate <strong>con</strong> nomi fascinosi come Soliman Sultano,<br />

Amore e Morte, Indiano Etiope… o leggendari come Anchise, Troiano, Perseo,<br />

Adone… e a volte curiosi come Cavaliere del Basso Amore, Lucido Amante, Buona<br />

Speranza e Adoratore del Neo.<br />

Il carattere spettacolare <strong>con</strong>naturato alla giostra, dunque, è a buon livello e si<br />

cerca <strong>con</strong> nuovi accorgimenti di migliorarlo ulteriormente. Per esempio si sostituis<strong>con</strong>o<br />

le lance tradizionali <strong>con</strong> altre già intaccate e munite di tre piccole punte metalliche<br />

in modo da facilitarne la rottura al momento dell’impatto col Saracino.<br />

Colui che, oltre a colpire nei punti giusti, riesce a rompere la lancia, ha il punteggio<br />

raddoppiato. Nelle ultime edizioni della giostra rompere la lancia diverrà addirittura<br />

obbligatorio.<br />

Non tutto però va per il verso giusto perché alcuni <strong>con</strong>correnti si presentano<br />

in lizza senza le ricche livree imposte dalle riforme “ma <strong>con</strong> sottane da donna o d’altra<br />

sorte (…) <strong>con</strong> semplici giubbe da Turco, <strong>con</strong> sciugatori legati alle braccia (…) <strong>con</strong> armature<br />

o maniche di maglia”. Altri furbescamente vanno ad iscriversi <strong>con</strong> ricchi<br />

abiti che poi si tolgono poco prima della gara per timore di sciuparli in eventuali<br />

capitomboli. Altri ancora gareggiano senza la maschera sul viso che è obbligatoria<br />

proprio perché siamo in periodo di carnevale.<br />

Per impedire simili irregolarità si pubblicano dei bandi minacciosi ed <strong>altri</strong> ancora<br />

ne vengono affissi per coloro che, <strong>con</strong> la scusa di essere dei gentiluomini o padrini<br />

dei <strong>con</strong>correnti, ardis<strong>con</strong>o di salire sul palco per “mettere bocca” <strong>nel</strong> verdetto<br />

dei giudici. In questi cartelli si avverte che sono pronte per loro ben quattordici<br />

lire di multa, oltre alla permanenza in carcere fino al termine della gara e il Bargello<br />

(capo della polizia) non guarderà in faccia a nessuno. Così almeno è scritto nei bandi,<br />

ma verrà rispettato?<br />

27


IL PALIO E LA GIOSTRA PER UNA CITTÀ: PESCIA<br />

A cura di Lando Silvestrini<br />

La Piazza Grande durante la Giostra del Saracino in un disegno di Enrico Parrini.<br />

Tratto da “Pianta di <strong>Pescia</strong> a penna in piano e prospettiva” (1621)<br />

presso il Museo Civico di <strong>Pescia</strong>.<br />

28


IL TRAMONTO DI UNA TRADIZIONE<br />

Nonostante il comportamento tenuto dai <strong>con</strong>correnti sia a volte poco rispondente<br />

al loro livello sociale, la vera minaccia della giostra è rappresentata<br />

dal suo costo eccessivo, che grava interamente sul bilancio comunale.<br />

Nei primi anni, come abbiamo visto, sono i settantasette benestanti estratti a<br />

sorte, ma successivamente si chiede a Firenze di reperire i fondi <strong>con</strong> una imposizione<br />

sopra l’estimo dell’intera comunità, ma dalla dominante giunge fumata nera:<br />

la giostra deve essere esclusivamente a carico dei più facoltosi!<br />

La decisione non lascia scampo ad altre interpretazioni tanto è vero che viene<br />

deciso (dai ricchi che amministravano anche la cosa pubblica) di sospendere la manifestazione<br />

in attesa di tempi migliori.<br />

E’ a questo punto che si fa avanti Erasmo Orlandi, classe 1605, il quale gode di<br />

stima in<strong>con</strong>dizionata sia in virtù della sua antichissima schiatta, sia per avere sempre<br />

dato prova di intelligenza e lungimiranza. Questo gentiluomo, memore delle numerose<br />

<strong>giostre</strong> a cui aveva partecipato prima come <strong>con</strong>corrente (tre volte primo in<br />

cinque anni), poi rivestendo tutti i ruoli più importanti della disfida, si offre a più<br />

riprese di farsi portavoce della Comunità arrivando perfino a disturbare Cosimo<br />

III, ma sempre senza successo.<br />

Il tira e molla <strong>con</strong> Firenze ha una storia lunghissima e in qualche modo patetica,<br />

ma le direttive non cambiano e la giostra, salvo qualche rara edizione organizzata<br />

da privati, sarà ufficialmente assente per ben due decenni.<br />

Finalmente si arriva al 1674, anno in cui, vuoi per le insistenze dell’Orlandi,<br />

vuoi per la disponibilità dei signori locali a finanziare l’iniziativa, si decide di riprendere<br />

la tradizione.<br />

La sfida poetico-letteraria lanciata da Euromauro, il forte Signor d’Etiopia, ha<br />

come argomento il <strong>cuore</strong> di un cavaliere che, a suo parere, non può essere riservato<br />

ad un unico amore. Il primo premio viene assegnato a Tamerlano il Costante, al secolo<br />

Anton Benedetto Cattani che ha totalizzato soltanto quattro “botte”.<br />

Il buon Orlandi, a cui preme che la giostra <strong>con</strong>tinui <strong>nel</strong> tempo, a costo di andare<br />

<strong>con</strong>tro gli interessi dei suoi “colleghi” benestanti, prova a fare delle proposte per<br />

risparmiare, come quella di dare la <strong>con</strong>cessione delle tribune ai privati, ma al momento<br />

la magistratura locale non prende alcuna decisione.<br />

Si dovrà aspettare il 1677 perché la proposta venga accettata. I preparativi della<br />

giostra sembrano procedere se<strong>con</strong>do le aspettative, ma il 17 gennaio c’è un primo<br />

29


IL PALIO E LA GIOSTRA PER UNA CITTÀ: PESCIA<br />

A cura di Lando Silvestrini<br />

segnale poco rassicurante: il cavalier Francesco Cecchi riferisce di aver sentito dire<br />

che i <strong>con</strong>correnti saranno solo quattro e, a suo parere, se così fosse sarebbe meglio<br />

non fare la giostra. Bisogna anticipare il giorno dell’iscrizione, propone, per avere<br />

più certezze, ma i suoi colleghi di giunta sono del parere opposto perché, “essendosi<br />

hor mai inoltrati tanto sì <strong>nel</strong>le spese come ne preparamenti”, è praticamente impossibile<br />

annullare la festa.<br />

Il 24 gennaio, avviene il primo incanto per le tribune, ma non si presenta nessuno;<br />

il giorno successivo si presentano due tizi che offrono ventotto lire che vengono<br />

ritenute insufficienti; poi il 2 febbraio arriva l’ultima offerta di trenta lire,<br />

prendere o lasciare! Va da sé che i nostri amministratori siano costretti ad accettare,<br />

anche se poi, a <strong>con</strong>ti fatti, la cifra non sarà sufficiente ad acquistare il legname per<br />

le tribune e a fare fronte al costo mal calcolato dei premi.<br />

Maestro di Campo quest’anno è un altro vegliardo (per quei tempi, naturalmente),<br />

Adonne Marini, classe 1608, grande esperto di <strong>giostre</strong> per averne per più<br />

di quarant’anni, come l’Orlandi, vissuto le alterne vicende. Quest’ultimo, ormai<br />

pieno di acciacchi, si adatta a far parte della giuria.<br />

Tutto a posto, dunque, direbbe qualcuno, ma non è così perché alla vigilia della<br />

Festa si viene a sapere che il buon Marini è ammalato e già ci si dispera in quanto<br />

non si sa <strong>con</strong> chi sostituirlo. Poi, verso sera, egli appare a cavallo in Piazza e <strong>nel</strong><br />

mentre si tira un gran sospiro di sollievo lo si aiuta a scendere di sella e ad entrare<br />

in cancelleria per affibbiargli il bastone del comando. La manifestazione, tuttavia,<br />

non si può effettuare perché piove e si rimanda al giorno successivo.<br />

L’8 febbraio, finalmente, la giostra ha il suo corso <strong>con</strong> la partecipazione di due<br />

cavalieri in più del previsto, forse sono coloro che poi <strong>nel</strong>le carriere non riusciranno<br />

a fare nemmeno un punto. La gara comunque è avvincente tanto che, per stilare la<br />

classifica finale, occorreranno due spareggi.<br />

Vincerà la sfida Antonio Ducci, alias Odoardo il Temuto alla cui lancia vengono<br />

attaccati due candelieri d’argento; una saliera dello stesso metallo va al se<strong>con</strong>do:<br />

Antonio Simi (Coralbo), mentre il terzo, Domenico Nucci (Diomede) avrà una ciotola<br />

anch’essa in argento. Questa volta la sfida è partita da Fiamma d’oro magnanimo<br />

principe di Negrofonte ed è indirizzata alle bellissime dame pesciatine, che<br />

vengono esortate a sorridere di più perché la mestizia non fa bene al sangue. Ogni<br />

cavaliere, di <strong>con</strong>tro, dovrà sostenere <strong>con</strong> la prosa e <strong>con</strong> la lancia che talvolta sul<br />

volto di una dama è più bello scorgere una lacrima che un sorriso.<br />

Con questa giostra dai toni in generale poco esaltanti se paragonata a quelle<br />

passate, si chiude a <strong>Pescia</strong> il periodo aureo degli esercizi cavallereschi. Le cause,<br />

naturalmente, non sono scritte su nessun documento, tuttavia qualche ipotesi può<br />

essere fatta, e a ragion veduta.<br />

La prima e più romantica è che <strong>con</strong> la morte di Erasmo Orlandi, avvenuta il 4<br />

30


IL TRAMONTO DI UNA TRADIZIONE<br />

settembre dello stesso 1677, si sia definitivamente rotto l’esile filo che, attraverso il<br />

gentiluomo dalla grande personalità e dallo straordinario carisma, univa i fasti del<br />

passato <strong>con</strong> il presente e li proiettava <strong>nel</strong> futuro. La se<strong>con</strong>da e più probabile ipotesi<br />

va ricercata invece <strong>nel</strong>la mancanza di gente disposta a gareggiare, di giovani capaci<br />

di reggere un <strong>con</strong>fronto così impegnativo.<br />

Bisogna infatti <strong>con</strong>siderare che per molti la giostra è ormai un retaggio del passato<br />

e non è più il teatro dove dimostrare le proprie nobili virtù. La <strong>con</strong>ferma di<br />

questo ci viene da certi documenti che testimoniano come nei tre anni successivi,<br />

nonostante i tentativi degli amministratori di rimettere in piedi la giostra, nessun<br />

<strong>con</strong>corrente si fa avanti.<br />

Per una curiosa coincidenza, <strong>nel</strong>lo stesso 1677 avrà termine anche la giostra di<br />

Arezzo. Quanto al busto del Saracino, sul cui volto per decenni si sono cimentati i<br />

nobili pesciatini, viene messo da parte fino al 30 settembre 1842, quando il Comune,<br />

stante la sua inservibilità, lo vende per ventidue lire a tale Giovanni Checchi. Da quel<br />

momento del Moro si perdono le tracce per poi ritrovarlo inventariato nei beni comunali,<br />

verso la fine dell’800, ed ora si trova depositato <strong>nel</strong> Museo Civico cittadino.<br />

(Archivio di Stato di <strong>Pescia</strong>, Comune di <strong>Pescia</strong> preunit, F. 82, c. 29v)<br />

Giostra del 1677 - Distribuzione dei premi.<br />

31


IL PALIO E LA GIOSTRA PER UNA CITTÀ: PESCIA<br />

A cura di Lando Silvestrini<br />

(Biblioteca Comunale di <strong>Pescia</strong>, 1-B-65, n. 294)<br />

1677: l’ultima antica disfida della Giostra del Saracino lanciata alle bellissime dame di <strong>Pescia</strong><br />

da Fiamma d’oro il magnanime principe di Negroponte.<br />

32


ALTRI PALII E GIOSTRE<br />

Dal 1701, anno in cui si farà l’ultimo infruttuoso tentativo per riesumare il<br />

Saracino, la parola palio, intesa questa anche come giostra, praticamente<br />

scompare dal giornale della Comunità. Solo <strong>nel</strong> 1777, a cento anni esatti<br />

dall’ultima felice edizione, Vincenzo Braccini e Pasquale Genzini chiedono e ottengono<br />

dagli amministratori pubblici “un caritativo sussidio ad oggetto di poter supplire<br />

alla spesa della provvista del Palio solito corrersi”. Attenzione, però, perché la<br />

richiesta non riguarda la manifestazione plurisecolare, ma una modestissima corsa<br />

di cavalli che da alcuni anni viene effettuata per la festa del Crocifisso delle Capanne<br />

fra la Ruga degli Orlandi e l’oratorio di San Romualdo, dove si venera la sacra effigie.<br />

Anche l’appuntamento non è per il 7 febbraio, ma per la terza domenica di settembre,<br />

quando, oltre alle cerimonie religiose, si svolge la corsa, che viene organizzata<br />

solo “per rendere più frequentata detta festa”.<br />

In effetti, dagli ultimi decenni del Seicento, l’appuntamento <strong>con</strong> Santa Dorotea<br />

ha preso ben <strong>altri</strong> <strong>con</strong>notati, limitandosi alle funzioni sacre, a qualche scarica di<br />

moschetto e ai soliti modestissimi fuochi d’artificio. Inoltre, proseguendo una tradizione<br />

iniziata <strong>nel</strong> 1544 e <strong>con</strong>clusa <strong>nel</strong> 1915, si assegnano due doti in denaro ad<br />

altrettante ragazze nubili di <strong>Pescia</strong>, estratte a sorte fra dieci nominativi segnalati dai<br />

pubblici amministratori.<br />

Nell’Ottocento, grazie ai diari di due pesciatini, veniamo a sapere di nuovi <strong>palii</strong><br />

che vengono organizzati il primo e il tre di maggio, in occasione delle triennali feste<br />

del Crocifisso della Maddalena. Queste gare non sono di grande spettacolarità tanto<br />

da essere definite “paliacci” e si svolgono sempre lungo la Ruga degli Orlandi, ma<br />

<strong>nel</strong> 1847, essendo ormai aperta la via Nuova, ossia il lungofiume Forti - Buozzi, si<br />

decide di far correre una delle edizioni sul tragitto Cartiera del Paradiso - Ponte<br />

del Duomo. Nell’occasione si annoterà che i due <strong>palii</strong> sono stati “non mediocri e<br />

passabili, ma pessimi e disonorevoli per chi n’ebbe la direzione”.<br />

Il 2 maggio 1872, infine, accade un fatto gravissimo, che tuttavia non induce<br />

gli organizzatori ad annullare la manifestazione. Vicino all’arrivo, fissato al Ponte<br />

del Duomo, un cavallo cade e investe in pieno un “vecchio sessagenario”, Ferdinando<br />

Papini, e il ventenne Ernesto Stocchi. Entrambi vengono portati all’ospedale, ma<br />

se il Papini se la cava, il ragazzo, che all’apparenza presenta solo una piccola ferita<br />

alla testa, muore per emorragia cerebrale.<br />

33


IL PALIO E LA GIOSTRA PER UNA CITTÀ: PESCIA<br />

A cura di Lando Silvestrini<br />

Archivio delle Parrocchie della diocesi di <strong>Pescia</strong>.<br />

Documento appartenente alla Compagnia del SS. Crocifisso della Chiesa Maddalena di <strong>Pescia</strong>.<br />

34


ALTRI PALII E GIOSTRE<br />

35


IL PALIO E LA GIOSTRA PER UNA CITTÀ: PESCIA<br />

A cura di Lando Silvestrini<br />

Il successivo 3 maggio, giorno di venerdì, come se nulla fosse successo, si organizza<br />

un nuovo palio in Ruga. Le cose questa volta sembrano andare per il verso<br />

giusto, sennonché un tale, per fermare il suo cavallo <strong>nel</strong> dopo corsa, viene dallo<br />

stesso scaraventato a terra. Morale: volto sfigurato ed escoriazioni varie in tutto il<br />

corpo.<br />

Quanto alla giostra del Saracino, questa fa di nuovo la sua comparsa <strong>nel</strong> 1908,<br />

ma non come parte integrante della festa di Santa Dorotea, bensì per aiutare il piccolo<br />

commercio pesciatino durante le feste del Carnevale.<br />

Anche il campo di gara non è più il solito: alla Piazza ormai lastricata si preferisce<br />

il Prato di San Francesco, che ha il fondo in terra battuta. Si <strong>con</strong>tinua invece<br />

a rompere le lance <strong>nel</strong> Saracino, che non è più l’antico pupazzo nero, ma un più<br />

moderno e vendicativo avversario girevole.<br />

Il successo, se<strong>con</strong>do quanto riferisce il giornale Il Risveglio, è strepitoso e il<br />

<strong>con</strong>corso di pubblico straordinario. La giostra, che viene svolta la domenica della<br />

Pentolaccia, è vinta dal muratore Pasquale Pergola, che supera di un soffio il mugnaio<br />

Bruno Bruni.<br />

“Bravo e imperterrito Pasquale” - scrive il cronista de La Lanterna - “degno dei<br />

fortissimi cavalieri antiqui!”<br />

Un’altra giostra, questa volta di ben altro spessore perché organizzata dal Municipio,<br />

ha luogo per le feste “grosse” del Crocifisso che cadono ogni quarto di secolo.<br />

Il 10 maggio del 1925 quattordici giovani si sfidano in rappresentanza di tre<br />

antiche famiglie pesciatine.<br />

Piazza San Francesco, addobbata per l’occasione <strong>con</strong> drappi multicolori, è tutta<br />

un brulichio di persone che, attratte dal lungo e suggestivo corteggio storico, hanno<br />

di buon grado accettato di pagare l’ingresso pur di assistere alla tenzone.<br />

Come da regolamento, alle diciotto in punto la Giostra ha inizio e sebbene incominci<br />

a piovere, l’interesse del pubblico rimane grande anche perché diversi <strong>con</strong>correnti,<br />

nonostante abbiano fatto il servizio militare in cavalleria, non ries<strong>con</strong>o a stare<br />

ben ritti sulle staffe e i meno abili sono ruzzolati a terra già alla prima carriera.<br />

La sfida è comunque avvincente perché un esiguo numero di <strong>con</strong>correnti si dà<br />

battaglia centrando colpo su colpo per lungo tempo. Dopo ben dodici carriere,<br />

procedendo per eliminazione, vengono dichiarati vincitori Michele Pallini, classe<br />

1901, <strong>con</strong> undici lance spezzate; se<strong>con</strong>do Duilio Rosellini, di due anni più giovane,<br />

<strong>con</strong> dieci e terzo Orazio Orsi, detto Ballaino, classe 1902, <strong>con</strong> nove. Il “Masgalano”,<br />

cioè il premio per il cavaliere più elegante, è assegnato a Primo Melosi, mentre <strong>con</strong>corrente<br />

più audace viene proclamato Giorgio Davanzati.<br />

I giornali dell’epoca daranno un grande risalto all’avvenimento, soprattutto La<br />

Squilla, la quale riferisce di come tutti i cavalieri si fossero distinti in gara, mentre<br />

i ricordi lasciati da coloro che avevano vissuto quei momenti da protagonisti parlano<br />

36


ALTRI PALII E GIOSTRE<br />

non solo di grandi botte affibbiate dai più abili <strong>nel</strong> Saracino, ma anche di comiche<br />

“sbucciate” e di tremendi ruzzoloni che avevano procurato non pochi straordinari<br />

agli addetti alla sala gessi del nostro ospedale.<br />

Dopo questa giostra, che in <strong>con</strong>siderazione dei tempi (periodo fascista) e degli<br />

uomini poteva essere la prima di una nuova serie, <strong>nel</strong>la nostra città non si farà più<br />

niente per oltre mezzo secolo, nemmeno di simile. Poi, <strong>nel</strong> giugno del 1978, il Comitato<br />

di Iniziative Turistiche organizza <strong>con</strong> discreto successo il primo Palio dei<br />

Rioni.<br />

Da <strong>con</strong>siderare che ad Arezzo la Giostra del Saracino riprese solo <strong>nel</strong> 1931, e<br />

se ancora oggi gode di grande successo lo si deve alla intuizione degli organizzatori,<br />

che pensarono bene di accendere l’interesse abbinando i cavalieri in gara ai quartieri<br />

cittadini e non, come si era fatto a <strong>Pescia</strong>, a nobili famiglie locali ormai estinte.<br />

Alcuni dei partecipanti al Saracino carnevalesco del 1908.<br />

37<br />

(Collezione Mauro Pallini)


IL PALIO E LA GIOSTRA PER UNA CITTÀ: PESCIA<br />

A cura di Lando Silvestrini<br />

38<br />

(Collezione Alfio Del Ministro)<br />

I primi tre classificati alla Giostra del Saracino svoltasi il 10 maggio 1925 in piazza S. Francesco.<br />

Da sinistra: Pallini, Rosellini e Orsi.<br />

Da notare che ad Arezzo la Giostra riprenderà solo <strong>nel</strong> 1931.


IL TORNEO DEL SARACINO<br />

Nel 1987, dopo mesi di oscuro lavoro, un gruppetto di quarantenni esce<br />

allo scoperto annunciando alla cittadinanza che, per le Feste di Maggio in<br />

onore del Crocifisso della Maddalena, sarà organizzata una manifestazione<br />

legata all’antica competizione equestre.<br />

Se ottiene il <strong>con</strong>senso di molti cittadini, la notizia ha per gli organizzatori del<br />

decennale Palio dei Rioni l’effetto di una bomba, perché si teme che il Saracino<br />

possa sminuire <strong>nel</strong> tempo la loro creatura. Tuttavia, in <strong>con</strong>siderazione degli effetti<br />

negativi che potrebbe provocare la mancata presenza al torneo, viene deciso di partecipare<br />

alla sfilata storica che accompagna i cavalieri al luogo della tenzone e, cosa<br />

più importante, si <strong>con</strong>cede agli stessi la possibilità di gareggiare <strong>con</strong> i colori dei<br />

quattro rioni.<br />

Il giorno della sfida, denominata “Torneo del Saracino” per la <strong>con</strong>temporanea<br />

e <strong>con</strong>trapposta presenza in gara di due cavalieri, la Città è tutta in fermento perché,<br />

salvo pochi ottantenni, testimoni della giostra del 1925, nessuno ha mai visto niente<br />

di simile. Fin dalla mattina, tanti curiosi stazionano nei pressi del campo di gara,<br />

che è stato tracciato sull’argine del fiume <strong>con</strong> ton<strong>nel</strong>late di terra vergine.<br />

Al pomeriggio poi, quando la sfida diventa ufficiale, gli spettatori sono una vera<br />

e propria folla, che addirittura minaccia <strong>con</strong> il proprio peso la stabilità della passerella<br />

Sforzini. Alcuni hanno scelto il lontano muretto del viale Garibaldi, <strong>altri</strong> invece<br />

sono <strong>con</strong> il loro tavolo da pic-nic <strong>nel</strong> greto della <strong>Pescia</strong> e ammirano le evoluzioni<br />

dei <strong>con</strong>correnti facendo merenda.<br />

Man mano che la gara entra <strong>nel</strong> vivo, anche i figuranti dei vari rioni a cui i cavalieri<br />

sono abbinati, dimenticando le direttive di tenere un atteggiamento distaccato,<br />

si scatenano in un tifo infernale tipico del Palio, anche se non di questo si<br />

tratta.<br />

Poi, a fine gara, avviene la premiazione e anche lì dimostrazioni di compiacimento<br />

da parte dei dirigenti rionali, che accettano di buon grado i premi in palio.<br />

Anche gli amministratori comunali, rendendosi <strong>con</strong>to di quanto possa essere importante<br />

per <strong>Pescia</strong>, si auspicano che la manifestazione venga ripetuta negli anni<br />

futuri. D’altra parte, cosa importa se il Torneo del Saracino sarà celebrato in un<br />

luogo, la <strong>Pescia</strong>, così poco austero, tale da non poter diventare mai il vero Palio,<br />

l’importante è che la Città abbia una manifestazione in più da offrire.<br />

Il lettore sa come sono andate a finire le cose, ma è bene spiegare che se l’av-<br />

39


IL PALIO E LA GIOSTRA PER UNA CITTÀ: PESCIA<br />

A cura di Lando Silvestrini<br />

ventura equestre non ha avuto l’augurato seguito lo dobbiamo alla ottusità e all’egoismo<br />

di chi, in quel periodo storico, gestiva il Palio e ha visto <strong>nel</strong> gruppetto di<br />

amici solo dei <strong>con</strong>correnti da combattere. <strong>Pescia</strong> perderà così un’altra opportunità<br />

per incentivare il suo scarso turismo.<br />

3 maggio 1987: <strong>nel</strong> greto della <strong>Pescia</strong> si sta disputando il Torneo del Saracino.<br />

La gara, vinta dal rione S. Michele, è stata seguita da un pubblico straordinario.<br />

40


IL PALIO MODERNO<br />

Nato dalla felice intuizione di un gruppo di amici desiderosi di dare slancio<br />

al turismo locale, il Palio dei Rioni è oggi l’appuntamento storico folcloristico<br />

più importante della Valdinievole. Il segreto del suo successo deriva<br />

dalla capacità di offrire a migliaia di persone uno spettacolo agonistico di prim’ordine<br />

inserito in un <strong>con</strong>testo straordinario.<br />

Come ogni manifestazione senza reali tradizioni, tuttavia, il nostro Palio ha dovuto<br />

farsi le ossa affrontando in alcuni casi delle situazioni che sembravano presagirne<br />

una fine precoce.<br />

Le minacce provenivano non tanto da coloro che, a torto o a ragione, ne <strong>con</strong>testavano<br />

la modesta spettacolarità o la poca attinenza alla tradizione, quanto a chi<br />

lavorava all’interno dell’organizzazione a solo scopo di far prevalere i propri interessi<br />

di parte. E se oggi, fortunatamente, la manifestazione non è compresa fra le<br />

tante occasioni che <strong>Pescia</strong> ha perduto, lo si deve alla caparbia volontà dei dirigenti<br />

rionali, i quali, pur <strong>nel</strong>la modestia dei mezzi e la scarsezza delle <strong>con</strong>oscenze, hanno<br />

sempre operato anteponendo il bene di <strong>Pescia</strong> ad ogni altro interesse.<br />

I nostri bei rioni hanno cercato di dare, anno dopo anno, il loro fattivo <strong>con</strong>tributo<br />

sostituendosi molte volte alle pubbliche istituzioni e impegnandosi <strong>nel</strong>la divulgazione<br />

della storia di <strong>Pescia</strong> e <strong>nel</strong>la tutela del suo patrimonio artistico e<br />

architettonico.<br />

Quanto al Palio, che si svolge la prima domenica di settembre, dobbiamo dire<br />

che è bello, ricco e coinvolgente e soprattutto è “il nostro”, per cui va protetto e<br />

valorizzato <strong>con</strong> il massimo impegno come fecero i nostri antenati sia per il Bravìo<br />

dei cavalli berberi, sia per la Giostra del Saracino. Anche in questi casi si trattava<br />

di manifestazioni create ex novo e per più importanti motivi, tuttavia sono andate<br />

avanti per secoli.<br />

E se questo succedesse anche alla gara odierna? Noi ce lo auguriamo di tutto<br />

<strong>cuore</strong>!<br />

Estratto da “Bravìo, Palio e Giostra per la Festa di Santa Dorotea patrona di <strong>Pescia</strong>” in<br />

“Il Palio di <strong>Pescia</strong> <strong>nel</strong>la tradizione e in età moderna” di L. Silvestrini e C. Bottaini (1999).<br />

41


IL PALIO E LA GIOSTRA PER UNA CITTÀ: PESCIA<br />

A cura di Lando Silvestrini<br />

Momenti del restauro del busto ligneo del Saracino eseguito da Francesca Spagnoli.<br />

42


IL RESTAURO DEL SARACINO DI PESCIA<br />

di Francesca Spagnoli<br />

Direzione dei lavori: Soprintendente d.ssa Maria Cristina Masdea<br />

DESCRIZIONE DELL’OPERA E STATO DI CONSERVAZIONE<br />

Il Saracino, misura 102 cm di altezza 72 cm di larghezza e 50 cm circa di profondità<br />

ed è composto da un unico elemento ligneo scolpito a tutto tondo che<br />

raffigura il busto a cui sono stati assemblati due blocchi che costituis<strong>con</strong>o le<br />

braccia e un terzo intagliato che riproduce lo scudo.<br />

L’innesto di queste parti è stato eseguito tramite unione detta “tenone mortasa”<br />

assicurata da chiodi di ferro di notevoli dimensioni. Nella mano sinistra la scultura<br />

impugna un bastone anch’esso ligneo di cm 78,5 cm di lunghezza. Sul petto del Saracino<br />

è presente uno scasso circolare destinato all’inserimento di un perno che immettendosi<br />

<strong>nel</strong> retro dello scudo ha la funzione di garantire l’unione di quest’ultimo<br />

alla scultura.<br />

L’opera è stata stuccata <strong>con</strong> preparazione a gesso e colla animale e in seguito<br />

dipinta. La finitura cromatica originale non è visibile in quanto ricoperta da numerose<br />

e spesse ridipinture.<br />

La scultura al momento dell’arrivo in laboratorio si presentava sia a livello strutturale<br />

sia pittorico, in un mediocre stato di <strong>con</strong>servazione.<br />

Mostrava <strong>con</strong>dizioni <strong>con</strong>servative problematiche imputabili alla funzione stessa<br />

della scultura, questa infatti è stata sottoposta <strong>nel</strong> tempo a <strong>con</strong>tinui urti, colpi e collisioni.<br />

Gli innesti delle braccia erano in parte disgiunti e i chiodi utilizzati per assicurare<br />

l’assemblaggio erano totalmente ossidati. Lo scudo si presentava completamente<br />

staccato del corpo e il suo sistema di ancoraggio non risultava più funzionale.<br />

Il busto era interessato da una lunga fessurazione longitudinale causata dal naturale<br />

ritiro del legno e dalla probabile presenza del midollo del tronco.<br />

Il modellato era mortificato dalle grossolane stesure dai toni scuri, ri<strong>con</strong>ducibili<br />

agli interventi di manutenzione e restauro a cui l’opera era stata sottoposta. L’ultima<br />

di color bruno ricopriva indistintamente sia le vesti sia gli incarnati del Saracino.<br />

Si rilevava sul manufatto, un importante strato di polvere di deposito superficiale<br />

e inoltre sollevamenti e mancanze di preparazione e policromia diffusi su tutta<br />

la superficie ma maggiormente in corrispondenza dell’elmo.<br />

L’opera è stata interessata <strong>nel</strong>la sua interezza da attacco xilofago, i fori di sfarfallamento<br />

erano in maggior misura localizzati su un elemento ligneo sul retro del gon-<br />

43


IL PALIO E LA GIOSTRA PER UNA CITTÀ: PESCIA<br />

A cura di Lando Silvestrini<br />

44


<strong>nel</strong>lino rosso, dove l’azione dei tarli ne aveva compromesso la stabilità strutturale.<br />

Osservando poi la fattezza dei fori si suppone che tali attacchi siano avvenuti<br />

in momenti differenti di cui l’ultimo relativamente recente.<br />

INTERVENTO DI RESTAURO<br />

IL RESTAURO DEL SARACINO DI PESCIA<br />

L’intervento eseguito si è posto come obiettivo il complessivo recupero dell’opera,<br />

finalizzato sia alla risoluzione delle problematiche <strong>con</strong>servative sia al miglioramento<br />

della leggibilità dell’immagine.<br />

Si è ritenuto necessario eseguire innanzi tutto un preliminare intervento di pulitura<br />

dalla polvere superficiale. Successivamente è stata effettuata la fermatura degli<br />

strati preparatori e delle superfici policrome della scultura tramite colla animale in<br />

opportuna diluizione iniettata in modo puntuale <strong>nel</strong>le zone ritenute a rischio caduta.<br />

I punti fermati sono stati trattati <strong>con</strong> calore a temperatura <strong>con</strong>trollata e applicazione<br />

di pressione adeguata per il tempo necessario all’asciugatura. L’operazione<br />

è stata eseguita in tutti i punti visibilmente sollevati e <strong>nel</strong>le zone ritenute fragili<br />

e a rischio se sottoposte a sollecitazione.<br />

In seguito è stata eseguita la pulitura dello sporco presente sulla superficie, mediante<br />

l’uso di solventi idonei previo test di solubilità. La miscela ritenuta efficace<br />

composta da ligroina è stata addensata sotto forma di gel al fine di poter <strong>con</strong>trollare<br />

in modo calibrato l’azione del solvente durante l’intervento.<br />

In accordo <strong>con</strong> la Direzione Lavori, si è deciso dopo una serie di piccole prove,<br />

di rimuovere l’ultima stesura bruna presente su tutta la superficie del Saracino.<br />

Questa operazione ha comportato l’impiego di soluzioni di solventi <strong>con</strong>tenenti<br />

etanolo e acetone addensate ed è stata effettuata in modo progressivo e selettivo in<br />

modo da garantire l’asportazione calibrata della ridipintura. Al termine di questa<br />

fase operativa è stato possibile apprezzare le diverse cromie presenti sulla scultura<br />

ovvero la corazza e l’elmo azzurri e gli incarnati completamente neri.<br />

La disinfestazione è stata fatta mediante applicazione localizzata, sia a pen<strong>nel</strong>lo<br />

sia <strong>con</strong> iniezioni, di una soluzione a base di permetrina.<br />

Le zone interessate dell’erosione dei tarli sono state <strong>con</strong>solidate mediante iniezioni<br />

di Paraloid B72 diluito in etilacetato.<br />

Le cadute di colore ed i fori di tarlo, precedentemente chiusi <strong>con</strong> iniezioni di<br />

resina epossidica diluita in alcool etilico, sono stati stuccati <strong>con</strong> gesso di Bologna e<br />

colla di <strong>con</strong>iglio.<br />

La superficie delle stuccature è stata ulteriormente rifinita e rasata per collegarla<br />

alla superficie pittorica adiacente.<br />

Per garantire un migliore assetto strutturale delle braccia, si è deciso di rimuo-<br />

45


IL PALIO E LA GIOSTRA PER UNA CITTÀ: PESCIA<br />

A cura di Lando Silvestrini<br />

vere i chiodi ossidati e di riproporre la corretta unione del tenone e mortasa <strong>nel</strong>le<br />

braccia. L’assemblaggio è avvenuto tramite incollaggio <strong>con</strong> colla animale applicata<br />

a caldo. Anche lo scudo è stato fatto aderire correttamente al braccio sinistro e al<br />

perno inserito <strong>nel</strong> busto seguendo la stessa procedura.<br />

Si è proseguito <strong>con</strong> l’integrazione cromatica delle stuccature mediante colori<br />

ad acquerello chimicamente stabili. L’integrazione cromatica è stata ultimata <strong>con</strong><br />

velature realizzate <strong>con</strong> colori a vernice per restauro.<br />

A <strong>con</strong>clusione dell’intervento è stato applicato un protettivo finale a base di resina<br />

mastice in trementina veneta.<br />

46


IL RESTAURO DEL SARACINO DI PESCIA<br />

47


FINITO DI STAMPARE<br />

DALLA TIPOLITO VANNINI<br />

BUGGIANO (PT)<br />

NEL MESE DI LUGLIO 2012<br />

48

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!