Daniela Sacco, Pensiero in azione. Bertolt Brecht ... - Engramma
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<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
<strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
<strong>Bertolt</strong> <strong>Brecht</strong>, Robert Wilson, Peter Sellars: tre protagonisti del teatro contemporaneo<br />
Quaderni di <strong>Engramma</strong><br />
collana diretta da Monica Centanni<br />
ISBN 978-88-98260-02-7<br />
prima edizione novembre 2012<br />
edizioni Associ<strong>azione</strong> Culturale <strong>Engramma</strong><br />
www.engramma.org
SOMMARIO<br />
5 PRESENTAZIONE<br />
7 Pensare per immag<strong>in</strong>i. Il pr<strong>in</strong>cipio drammaturgico del montaggio.<br />
A partire dal Kriegsfibek di <strong>Bertolt</strong> <strong>Brecht</strong><br />
21 Una partitura (post)drammatica<br />
Per una lettura di E<strong>in</strong>ste<strong>in</strong> on the Beach di Robert Wilson<br />
33 “C’è una nuvola <strong>in</strong> un pezzo di carta”<br />
Attualità del mito nel teatro di Peter Sellars<br />
47 La cre<strong>azione</strong> del frammento<br />
Kafka Fragments di Peter Sellars<br />
53 APPENDICE<br />
“There is a cloud <strong>in</strong> a piece of paper”<br />
The actuality of the myth <strong>in</strong> the theater of Peter Sellars
PRESENTAZIONE<br />
<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
Questo volume raccoglie alcuni contributi dedicati al teatro contemporaneo e <strong>in</strong> particolare a tre<br />
maestri della scena <strong>in</strong>ternazionale, europea e statunitense: <strong>Bertolt</strong> <strong>Brecht</strong> (1898-1956), Robert<br />
Wilson (1941), Peter Sellars (1957)*.<br />
Pur nella distanza storica e culturale che separa le loro poetiche e le loro esperienze, i tre autori<br />
possono essere accomunati per un particolare modo e una precisa <strong>in</strong>tenzione nella costruzione<br />
della messa <strong>in</strong> scena: l’impronta della composizione per montaggio, e la restituzione tragica e<br />
mitica della materia della rappresent<strong>azione</strong> teatrale. Nelle riflessioni sui tre casi presi <strong>in</strong> esame,<br />
il montaggio – term<strong>in</strong>e preso a prestito, nella sua accezione tecnica, dall’arte c<strong>in</strong>ematografica e<br />
traslato a def<strong>in</strong>ire un dispositivo più generale – si propone come un metodo privilegiato della<br />
drammaturgia contemporanea, già a partire dalle Avanguardie, di cui <strong>Brecht</strong>, Wilson, Sellars,<br />
ciascuno a suo modo, ereditano e <strong>in</strong>terpretano le premesse teoriche e gli stilemi compositivi. E<br />
proprio il montaggio, adottato come meccanismo mitopoietico nel teatro def<strong>in</strong>ito<br />
‘postdrammatico’ nella fase della cosiddetta ‘postmodernità’, rappresenta bensì la struttura<br />
compositiva del ‘pensare per immag<strong>in</strong>i’ propria della visione del mondo del Novecento, ma<br />
appare sorprendentemente aff<strong>in</strong>e alle modalità compositive delle prime forme teatrali, sorte <strong>in</strong><br />
Grecia nel V secolo a.C, al teatro che è stato def<strong>in</strong>ito ‘predrammatico’.<br />
Seguendo il filo di questa riflessione si è cercato di <strong>in</strong>dagare <strong>in</strong> che term<strong>in</strong>i il teatro<br />
contemporaneo, con l’<strong>in</strong>tento dichiarato di trascendere il dramma moderno considerato come<br />
una forma decaduta e imborghesita di tragedia, riesca ad esprimere al meglio la sua tensione<br />
teoretica e le proprie valenze orig<strong>in</strong>ali quando adotta la forma e il senso del tragico antico, e<br />
cosa della sensibilità e della visione del mondo propria del Novecento lo rende possibile.<br />
<strong>Brecht</strong>, Wilson, Sellars condividono la volontà di superare la rappresent<strong>azione</strong> come mimesis:<br />
nella loro poetica non si tratta più di riprodurre l’imit<strong>azione</strong> di una realtà pensata come separata<br />
dal soggetto, secondo la concezione propria del dualismo moderno, ma di affermare il senso e la<br />
ragione propri della poiesis: senso e ragione orig<strong>in</strong>ali, e purtuttavia consonanti con la<br />
produzione drammaturgica tragica antica.<br />
<strong>Bertolt</strong> <strong>Brecht</strong>, a cavallo tra la prima e la seconda riforma del teatro novecentesco, si fa<br />
promotore di un teatro epico che è tragico nella misura <strong>in</strong> cui è dialettico, ed è mitico nella<br />
misura <strong>in</strong> cui <strong>in</strong>terrompe attraverso il montaggio la narr<strong>azione</strong> storica. Un teatro qu<strong>in</strong>di tragico e<br />
mitico nella volontà di smarcarsi dal teatro drammatico <strong>in</strong>teso come forma decaduta di tragedia.<br />
Una modalità drammaturgica che risulta particolarmente evidente sia attraverso l’analisi<br />
un’opera non propriamente teatrale – il Kriegsfiebel, messo <strong>in</strong> rel<strong>azione</strong> all’evento tragico della<br />
Seconda guerra mondiale – sia dalla scrittura dell’Antigone des Sophokles.<br />
Robert Wilson e Peter Sellars, entrambi esponenti di una cultura americana esemplare per<br />
l’approccio visibile al sensibile, a una distanza epocale dal predecessore europeo costituiscono<br />
due casi <strong>in</strong>dicativi di ri-cre<strong>azione</strong> di mythos <strong>in</strong> due versioni, complementari e apparentemente<br />
antitetiche, della cre<strong>azione</strong> di storie secondo il pr<strong>in</strong>cipio aristotelico della mimesis praxeos. Ma<br />
Wilson e Sellars – per i quali si propongono qui le letture di E<strong>in</strong>ste<strong>in</strong> on the Beach e<br />
dell’eclettico Kafka Fragments – rilanciano anche il pr<strong>in</strong>cipio compositivo della<br />
framment<strong>azione</strong> e 'polverizz<strong>azione</strong>' <strong>in</strong> scena delle storie secondo il pr<strong>in</strong>cipio della nuda visibilità<br />
scenica – quell’opsis, che ancora Aristotele nella Poetica <strong>in</strong>dicava come elemento essenziale<br />
caratterizzante del dramma rispetto a tutti gli altri generi poetici.<br />
* Il saggio Pensare per immag<strong>in</strong>i, sul Kriegsfibek di <strong>Bertolt</strong> <strong>Brecht</strong>, è stato già pubblicato <strong>in</strong> “La Rivista di <strong>Engramma</strong>”, n.<br />
100 (ottobre 2012); il saggio Una partitura (post)drammatica, su E<strong>in</strong>ste<strong>in</strong> on the Beach di Rober Wilson, è stato pubblicato<br />
<strong>in</strong> “La Rivista di <strong>Engramma</strong>”, n. 98 (maggio-giugno 2012); l’<strong>in</strong>tervista a Peter Sellars, nella versione italiana e <strong>in</strong>glese, è<br />
stata pubblicata <strong>in</strong> “La Rivista di <strong>Engramma</strong>”, n. 87 (gennaio-febbraio 2011) e numero 91 (luglio 2011); il saggio La<br />
cre<strong>azione</strong> del frammento, sui Kafka Fragments di Sellars, è pubblicato per la prima volta <strong>in</strong> questo volume.<br />
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<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
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<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
PENSARE PER IMMAGINI. IL PRINCIPIO DRAMMATURGICO DEL MONTAGGIO<br />
A partire dal Kriegsfibel di <strong>Bertolt</strong> <strong>Brecht</strong><br />
D'accordo con Arnold Hauser si può affermare che "il ‘Novecento’ com<strong>in</strong>cia dopo la prima<br />
guerra mondiale, cioè fra il 1920 e il 1930, come l’‘Ottocento’ era com<strong>in</strong>ciato solo con il 1830",<br />
ossia con quella che è stata nom<strong>in</strong>ata ‘la rivoluzione di luglio’, o seconda rivoluzione francese<br />
(HAUSER [1955/1956] 1967, p. 451). Le guerre, <strong>in</strong> forma diversa rispetto al frangente storico <strong>in</strong><br />
cui si collocano, registrando profonde crisi sociali, dischiudono qu<strong>in</strong>di una cesura rispetto al<br />
passato e corrispondono alla nascita di una nuova visione del mondo. Il ‘pensare per immag<strong>in</strong>i’<br />
sembra essere il tratto saliente della visione del mondo che permea la trasform<strong>azione</strong> della<br />
coscienza nel XX secolo a seguito della f<strong>in</strong>e della modernità illum<strong>in</strong>isticamente <strong>in</strong>tesa. La prima<br />
e la seconda guerra mondiale – le tragedie del Novecento – segnano <strong>in</strong>fatti una frattura nel<br />
passaggio dalla visione del mondo della modernità a quella che è stata def<strong>in</strong>ita ‘postmodernità’.<br />
Si è assistito cioè alla crisi della forma metafisica di pensiero che improntata sulla supremazia<br />
del logos sul mythos ha predom<strong>in</strong>ato come paradigma concettuale nella cultura europea<br />
dall’antichità f<strong>in</strong>o al XIX, e, di seguito all’emersione di un pensiero diversamente improntato<br />
all’immag<strong>in</strong>e: un ‘pensiero per immag<strong>in</strong>i’ appunto, che, <strong>in</strong> una term<strong>in</strong>ologia ancora <strong>in</strong>fluenzata<br />
da un’ottica evoluzionistica, <strong>in</strong>dica l’ambito del ‘prelogico’ o del ‘prediscorsivo’, come ad<br />
esempio è stato def<strong>in</strong>ito da Olaf Breidbach e Federico Vercellone (BREIDBACH, VERCELLONE<br />
2010). La f<strong>in</strong>e del pensiero metafisico è accompagnata alla crisi del concetto di identità e unità<br />
trascendentale che lo ha governato nelle sue decl<strong>in</strong>azioni filosofiche e religiose e nell’episteme<br />
della scienza moderna. Nel passaggio tragico dalla distruzione di un ord<strong>in</strong>e – il caos – alla<br />
cre<strong>azione</strong> di un nuovo ord<strong>in</strong>e – il cosmos – attraverso un <strong>in</strong>edito o r<strong>in</strong>novato paradigma<br />
gnoseologico dell’immag<strong>in</strong>e, ad essere stravolto è anche il modo di <strong>in</strong>tendere il rapporto tra le<br />
parti e l’<strong>in</strong>tero, a sua volta riflesso <strong>in</strong> un diverso modo di percepire lo spazio e il tempo. Il<br />
rapporto tra particolare e universale, unità e molteplicità si ridef<strong>in</strong>isce rispetto all’approccio<br />
consolidato dal pensiero logico filosofico tendente a ridurre il molteplice nell’unità e<br />
nell’identità. Nel pensiero improntato all’immag<strong>in</strong>e, il rapporto tra l’uno e i molti è rovesciato:<br />
non è l’unità che contiene il molteplice ma il molteplice che contiene al suo <strong>in</strong>terno l’unità e<br />
l'identità. E questo avviene di riflesso a una ricolloc<strong>azione</strong> dell’uomo nel mondo che si smarca<br />
dall’impost<strong>azione</strong> dualista moderna secondo cui il rapporto uomo-mondo è basato<br />
fondamentalmente sulla frattura cartesiana tra io e non io, res cogitans e res extensa.<br />
La forma del pensare em<strong>in</strong>entemente visiva, attraverso cui si articola questo mutato rapporto tra<br />
uomo e mondo e tra particolare e universale risulta essere leggibile strutturalmente attraverso il<br />
meccanismo compositivo del montaggio. Term<strong>in</strong>e novecentesco preso a prestito dal c<strong>in</strong>ema –<br />
nuova arte che significativamente <strong>in</strong>augura il XX secolo – e traslato a significare un dispositivo<br />
più generale, il montaggio appare allora come il pr<strong>in</strong>cipio costruttivo e il dispositivo<br />
compositivo del pensare per immag<strong>in</strong>i. Nella misura <strong>in</strong> cui il Novecento risolve il dualismo<br />
moderno è aff<strong>in</strong>e a quel pensiero che viene prima del dualismo: il pensiero antico, per cui la<br />
conoscenza è profondamente veicolata dal paradigma visivo ed è nella sua natura tragica e<br />
mitica, come tragica è la cifra del secolo scorso.<br />
Si potrebbe tracciare una costell<strong>azione</strong> molto ampia di <strong>in</strong>tellettuali e artisti che nel secolo<br />
scorso, <strong>in</strong> ambiti discipl<strong>in</strong>ari diversi, hanno denunciato la crisi della modernità <strong>in</strong>troducendo una<br />
visione del mondo alternativa a quella che la modernità stessa sottende, permeata da un<br />
r<strong>in</strong>novato valore gnoseologico attribuito all’immag<strong>in</strong>e. È però nel contesto teatrale che è<br />
possibile riconoscere il pensare per immag<strong>in</strong>i – e il meccanismo che lo <strong>in</strong>forma, il montaggio –<br />
nella sua peculiarità profondamente drammatica, e qu<strong>in</strong>di tragica. Questa riflessione parte nello<br />
specifico da un’opera che ha preso forma nella temperie tragica della seconda guerra mondiale:<br />
il Kriegsfibel di <strong>Bertolt</strong> <strong>Brecht</strong>, ossia il ‘sillabario’, l’Abicí della guerra, come è stato tradotto<br />
nella prima edizione italiana pubblicata da E<strong>in</strong>audi nel 2002. Si tratta di un’opera significativa<br />
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<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
per molteplici aspetti: oltre che per il frangente storico <strong>in</strong> cui viene creata, anche per la forma<br />
che la contraddist<strong>in</strong>gue e per il fatto che, pur non essendo un lavoro teatrale, è rivelativa del<br />
metodo teatrale del suo autore. È <strong>in</strong>oltre un’opera <strong>in</strong>teressante da considerare alla luce delle<br />
riflessioni teoriche e al mutato atteggiamento di <strong>Brecht</strong> nei confronti dei classici e del mito dopo<br />
l’esperienza dell’esilio avvenuto durante la seconda guerra mondiale.<br />
Come ha argomentato Georges Didi-Huberman, il Kriegsfibel può essere considerato a tutti gli<br />
effetti un caso di ‘forma Atlante’ se posto a confronto con l’esemplare supremo del Bilderatlas<br />
Mnemosyne di Aby Warburg (DIDI-HUBERMAN 2009). Il sillabario composto da <strong>Brecht</strong> è di<br />
fatto un atlante fotografico sul tema della guerra che nella struttura tematica sembra seguire<br />
cronologicamente lo svolgimento del conflitto mondiale: dalla guerra di Spagna alla<br />
controffensiva degli Alleati al ritorno dei prigionieri. Pubblicato per la prima volta nel 1955<br />
nella Berl<strong>in</strong>o Est, dopo una serie di rimaneggiamenti e non poche battaglie contro tentativi di<br />
censura, il Kriegsfibel viene <strong>in</strong>vero composto molto prima, nel contesto tragico dell’esilio che<br />
tiene <strong>Brecht</strong> lontano dall’impegno attivo ed esclusivo <strong>in</strong> teatro per ben qu<strong>in</strong>dici anni, dal 1933 al<br />
1947. L’esilio, com<strong>in</strong>ciato il 28 febbraio del 1933, il giorno dopo l’<strong>in</strong>cendio del Reichstag, a<br />
seguito dell’avvento al potere di Hitler e del partito nazionalsocialista <strong>in</strong> Germania, durerà f<strong>in</strong>o<br />
al 1947 e lo porterà a vivere per periodi di tempo diversi a Praga, Parigi, Londra, Mosca, <strong>in</strong><br />
Danimarca, a Stoccolma, <strong>in</strong> F<strong>in</strong>landia, a Len<strong>in</strong>grado, di nuovo a Mosca e <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e negli Stati<br />
Uniti, passando da Los Angeles a New York, per poi tornare a Zurigo e <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e a Berl<strong>in</strong>o.<br />
Rientrato <strong>in</strong> Germania, nel 1948 <strong>Brecht</strong> si stabilisce def<strong>in</strong>itivamente nella Berl<strong>in</strong>o Est dove<br />
riprende a lavorare e fonda il Berl<strong>in</strong>er Ensemble.<br />
La struttura compositiva di questo particolare atlante segue il meccanismo dell’assemblaggio<br />
associativo di immag<strong>in</strong>i e testi e risulta fatto secondo lo stesso metodo dell’Arbeitsjournal, a cui<br />
si dedica <strong>Brecht</strong> durante tutto il periodo dell’esilio (BRECHT [1938-42; 1942-55] 1976). Il<br />
Diario di lavoro, a cui <strong>Brecht</strong> ricorrerà <strong>in</strong> modo più programmatico anche per studiare e<br />
costruire alcune messe <strong>in</strong> scena, è un montaggio di testi di varia natura e di immag<strong>in</strong>i altrettanto<br />
varie che ritaglia e <strong>in</strong>colla seguendo il flusso associativo del suo pensiero. Nel considerare il<br />
Kriegsfibel un’opera significante nell’orizzonte del ‘pensare per immag<strong>in</strong>i’ tre sono gli aspetti<br />
su cui posare l’attenzione: l’appartenenza al contesto della guerra; la sua peculiarità formale; il<br />
legame metodologico e <strong>in</strong>sieme poetico e compositivo con il lavoro drammaturgico dell’autore.<br />
Il lavoro sul s<strong>in</strong>golare abbecedario è qu<strong>in</strong>di il frutto della condizione di esiliato <strong>in</strong> cui è costretto<br />
<strong>Brecht</strong>, per lo più senza la possibilità di lavorare <strong>in</strong> teatro, senza denaro e <strong>in</strong> contesti culturali e<br />
l<strong>in</strong>guistici estranei, ovvero <strong>in</strong> una condizione assolutamente precaria <strong>in</strong> cui "non era <strong>in</strong> grado di<br />
fare altro che ritagliare immag<strong>in</strong>i della stampa e comporre qualche ‘piccolo epigramma’ di<br />
quattro versi" (BRECHT 1940, cit. <strong>in</strong> DIDI-HUBERMAN 2009, p. 31). <strong>Brecht</strong> è 'esposto alla<br />
guerra', con tutta la fragilità e i limiti che questa esposizione comporta, ma anche, per converso,<br />
con il guadagno dell’accentu<strong>azione</strong> di facoltà di pensiero diverse da quelle utilizzate <strong>in</strong><br />
condizioni di normalità; questa 'esposizione alla guerra' ha <strong>in</strong>fatti rappresentato per <strong>Brecht</strong> "un<br />
sapere, una presa di posizione e un <strong>in</strong>sieme di scelte estetiche assolutamente determ<strong>in</strong>anti"<br />
(DIDI-HUBERMAN 2009, p. 13).<br />
Assieme alla riduzione del testo <strong>in</strong> frammenti <strong>in</strong> cui si riflette anche una certa fragilità del logos,<br />
della capacità razionale di fare ord<strong>in</strong>e sugli eventi tragici che lo <strong>in</strong>vestono, si accompagna<br />
dall’altra un 'acutizzarsi della vista' che, nel pathos del momento, si esprime nella necessità di<br />
parlare per immag<strong>in</strong>i. L’epigramma è la forma poetica che <strong>Brecht</strong> desume dall’antichità classica<br />
per commentare la selezione di immag<strong>in</strong>i apposte nel Kriegsfibel, e che nell’<strong>in</strong>sieme andranno a<br />
formare quello che ha def<strong>in</strong>ito un "Fotoepigramm". Il fatto che storicamente <strong>in</strong> orig<strong>in</strong>e<br />
l’epigramma sia un’iscrizione legata per lo più a contesti funebri rende la scelta obbligata<br />
ancora più pert<strong>in</strong>ente rispetto alla tragicità degli eventi su cui riflette. Il montaggio è il<br />
meccanismo compositivo con cui <strong>Brecht</strong> tesse le relazioni tra gli elementi, testi e immag<strong>in</strong>i, e si<br />
rivela "un metodo di conoscenza e una procedura formale nata dalla guerra, che prende atto del<br />
‘disord<strong>in</strong>e del mondo’" (DIDI-HUBERMAN 2009, p. 86).<br />
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<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
<strong>Brecht</strong> è ‘esposto’ alla guerra così come lo era stato, e con modalità forse ancora più<br />
destabilizzanti, Aby Warburg. Sono numerosi i “sismografi sensibilissimi”, per riprendere<br />
un’espressione di Warburg (cfr. A. Warburg, Burckhardt e Nietzsche [1927], tradotto <strong>in</strong> italiano<br />
a cura di M. Ghelardi <strong>in</strong> Jacob Burckhardt, Friedrich W. Nietzsche, Carteggio, 2002), che<br />
direttamente o <strong>in</strong>direttamente hanno sofferto sulla loro pelle la tragedia dei due conflitti<br />
mondiali e hanno restituito tale sofferenza al mondo <strong>in</strong> forma di creazioni artistiche o<br />
<strong>in</strong>tellettuali <strong>in</strong> cui l’immag<strong>in</strong>e ha un valore gnoseologico profondo. Volendo rimanere nella<br />
metafora del ‘sismografo sensibilissimo’ che accomuna per aff<strong>in</strong>ità elettive Warburg, Jacob<br />
Burckhardt e Friedrich Nietzsche si potrebbe aggiungere ai tre anche Carl Gustav Jung –<br />
virtuosamente legato sia al pensiero dello storico dell’arte che del filosofo – per cui la<br />
composizione di Das rote Buch, Il libro rosso, un libro <strong>in</strong> forma di scrittura drammatizzata e<br />
immag<strong>in</strong>i di cre<strong>azione</strong> dello stesso autore, è profondamente segnata dallo scoppio della prima<br />
guerra mondiale (SACCO 2011). Ma si potrebbe aggiungere anche Ernst Jünger, autore di un<br />
‘sillabario per immag<strong>in</strong>i’, composto da foto relative alla prima guerra mondiale, che<br />
significativamente titola Il mondo mutato. Sillabario per immag<strong>in</strong>i del nostro tempo: Die<br />
Veränderte Welt: e<strong>in</strong>e Bilderfibel Unserer Zeit (SCHULTZ, JÜNGER 1933). Anche <strong>in</strong> questo caso<br />
la scelta della parola sillabario o abbecedario, associata all’evento della guerra, risulta essere<br />
rivelatrice di un azzeramento della s<strong>in</strong>tassi, qu<strong>in</strong>di del raggiungimento di un punto zero della<br />
signific<strong>azione</strong> del mondo a cui segue una r<strong>in</strong>om<strong>in</strong><strong>azione</strong> elementare.<br />
Il disord<strong>in</strong>e del mondo come effetto della conflagr<strong>azione</strong> della guerra è colto nel segno<br />
dall’immag<strong>in</strong>e della ‘guerra cubista’ tratteggiata da Gertrude Ste<strong>in</strong> <strong>in</strong> Picasso. La riflessione sul<br />
cubismo condotta dalla scrittrice è l’occasione per dist<strong>in</strong>guere la cultura ottocentesca da quella<br />
novecentesca: la differenza essenziale tra i due mondi è compresa nel fatto che se i pittori<br />
dell’Ottocento avevano bisogno di un modello da guardare, quelli del Novecento si sbarazzano<br />
del modello, perché "l’assioma secondo cui le cose vedute con gli occhi sono le sole cose reali<br />
aveva perso ogni significato" (STEIN [1938] 1959, p. 19). Ciò che cambia nelle generazioni,<br />
osserva Ste<strong>in</strong>, è "il modo di vedere ed essere veduti", la gente rimane la stessa ma a cambiare è<br />
la "composizione della gener<strong>azione</strong>"; ossia il cambiamento, leggibile nel mondo, ad esempio<br />
delle strade, del modo di essere trasportati nelle strade, del modo <strong>in</strong> cui le strade sono<br />
frequentate, è questo che determ<strong>in</strong>a la ‘composizione’.<br />
Allora, riflettendo sulla prima guerra mondiale, Ste<strong>in</strong> osserva come: "la composizione della<br />
guerra 1914-1918 non era la composizione delle guerre precedenti. Questa composizione non<br />
era una composizione <strong>in</strong> cui c’era un uomo al centro, circondato da una massa di altri uom<strong>in</strong>i;<br />
era una composizione senza né capo né coda, una composizione <strong>in</strong> cui un angolo contava<br />
quanto un altro angolo: la composizione del cubismo, <strong>in</strong>somma" (STEIN [1938] 1959, p. 21). Il<br />
cubismo è la forma artistica capace di riflettere il fenomeno di distruzione proprio dell’evento<br />
guerra, così come alla f<strong>in</strong>e degli anni ’10 il dadaismo berl<strong>in</strong>ese usava i fotomontaggi per mettere<br />
<strong>in</strong> scena "il disord<strong>in</strong>e di una cultura ridotta <strong>in</strong> frantumi dalla catastrofe della prima guerra<br />
mondiale" (SOMAINI 2011, p. XIII). La frantum<strong>azione</strong> corrisponde al decoupage che è sempre<br />
sotteso al montage: il meccanismo del montaggio utilizzato nella cre<strong>azione</strong> pittorica dei cubisti<br />
come <strong>in</strong> quella fotografica dei dadaisti implica <strong>in</strong>tr<strong>in</strong>secamente la sua oper<strong>azione</strong> <strong>in</strong>versa, ossia<br />
lo smontaggio, la scomposizione <strong>in</strong> parti, <strong>in</strong> frammenti che vengono successivamente<br />
ricomposti, montati appunto.<br />
L’immag<strong>in</strong>e della “guerra cubista” di Ste<strong>in</strong> è raccolta da Stephen Kern per leggere nella prima<br />
guerra mondiale un s<strong>in</strong>tomo dei radicali cambiamenti che, complici le nuove tecnologie, hanno<br />
<strong>in</strong>vestito i modi di pensare e di esperire lo spazio e il tempo tra Ottocento e Novecento (KERN<br />
[1938] 1959, KERN [1983] 1988). Nell’impossibilità di <strong>in</strong>dividuare una tesi unica che racchiuda<br />
tutti questi cambiamenti, Kern riconosce tra le nuove idee emergenti: “l’idea della<br />
simultaneità”, “l’afferm<strong>azione</strong> di una pluralità di tempi e spazi”, e <strong>in</strong> particolare “l’afferm<strong>azione</strong><br />
della realtà del tempo privato” e “il livellamento di gerarchie spaziali tradizionali”, a cui segue<br />
una rivalut<strong>azione</strong> fondamentale dello spazio non più <strong>in</strong>teso come semplice contenitore ma<br />
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<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
significante <strong>in</strong> ogni sua parte. La filosofia di Bergson (la durata – durée – che implica un<br />
rapporto cont<strong>in</strong>uo tra passato e presente e dischiude al tempo personale) e il cubismo (la non<br />
gerarchia tra i piani rappresentati) sono soltanto due tra i molti esempi che esprimono queste<br />
novità. Kern pone questo livellamento delle gerarchie tradizionali <strong>in</strong> parallelo con il progressivo<br />
sgretolamento della società aristocratica, l’ascesa della democrazia e la dissoluzione della<br />
dist<strong>in</strong>zione tra lo spazio sacro e lo spazio profano della religione. Con il livellamento delle<br />
gerarchie tradizionali è messo <strong>in</strong> discussione il fondamento metafisico implicito che le<br />
sosteneva, e le istituzioni sociali, politiche e religiose fondate su di esso. Di riflesso, le<br />
immag<strong>in</strong>i della frontiera, della tr<strong>in</strong>cea e della ‘terra di nessuno’, proprie del vissuto della guerra<br />
mondiale, restituiscono la framment<strong>azione</strong> e la distruzione dell’idea di unità e identità che<br />
l’evento tragico rende tangibile: "La framment<strong>azione</strong> psicologica sperimentata nella terra di<br />
nessuno durante la guerra non era altro che una serie di forme ridotte a pezzi – conf<strong>in</strong>i nazionali,<br />
sistemi politici, classi sociali, vita familiare, relazioni sessuali, sensibilità umane" (KERN<br />
[1983] 1988, p. 383). Sono immag<strong>in</strong>i della framment<strong>azione</strong> del vecchio mondo, immag<strong>in</strong>i che<br />
registrano la frantum<strong>azione</strong> della s<strong>in</strong>tassi tradizionale e aprono alla nuova s<strong>in</strong>tassi che trova il<br />
suo meccanismo compositivo nel montaggio, nella costruzione a partire da frammenti. Kern<br />
osserva ad esempio l’impressionante analogia tra un cambiamento strutturale della strategia<br />
delle battaglie, ossia ‘la difesa <strong>in</strong> profondità’ anziché il mantenimento della ‘l<strong>in</strong>ea del fronte’<br />
(dove "l’<strong>in</strong>tero esercito <strong>in</strong>calzava <strong>in</strong> unità ammassate sotto un unico comando") e lo<br />
spostamento <strong>in</strong> pittura dal s<strong>in</strong>golo punto di fuga prospettica alle prospettive molteplici del<br />
cubismo: "In guerra e <strong>in</strong> pittura l’idea della l<strong>in</strong>ea perse la sua <strong>in</strong>violabilità come una frontiera<br />
che separa due regni dist<strong>in</strong>ti. Le due arti assunsero una composizione nuova che <strong>in</strong>corporava le<br />
ambiguità e i contorni irregolari della realtà. I cubisti avevano cercato una nuova unific<strong>azione</strong><br />
del valore estetico dell’<strong>in</strong>tera superficie pittorica; la guerra riunì elementi disparati di classe,<br />
rango, professione e n<strong>azione</strong> livellando le dist<strong>in</strong>zioni gerarchiche tradizionali" (KERN [1983]<br />
1988, p. 388). Osserv<strong>azione</strong> che potrebbe stimolare una riflessione sul montaggio come ‘forma<br />
simbolica’ del pensiero della ‘postmodernità’, così come lo è stata, nella def<strong>in</strong>izione che ne ha<br />
dato Panofsky (PANOFSKY [1924/1932] 1999), la prospettiva nel R<strong>in</strong>ascimento per la modernità<br />
(SPINDLERN 1978, pp. 197-198).<br />
Ma sono molti gli autori che, alla pari di Kern, hanno prediletto una lettura della guerra come<br />
fenomeno da osservare dal punto di vista degli effetti mentali: assieme a Hereward Carr<strong>in</strong>gton<br />
(1918), Charles Carr<strong>in</strong>gton (1929), Eric J. Leed (1979), per fare qualche esempio, più di recente<br />
Antonio Gibelli (GIBELLI [1991] 1998) che, <strong>in</strong> un contesto storicistico, a partire dalle<br />
testimonianze di medici, psichiatri e psicologi, ha studiato la trasform<strong>azione</strong> delle strutture<br />
mentali come conseguenze degli effetti traumatici provocati dalla guerra. Il vissuto della guerra<br />
suscita, attraverso l’esperienza percettiva disgregata e scomposta, la moltiplic<strong>azione</strong> e la<br />
framment<strong>azione</strong> delle immag<strong>in</strong>i visive e sonore del mondo. E ciò avviene con il concorso delle<br />
tecnologie e di nuove forme di comunic<strong>azione</strong>, di rappresent<strong>azione</strong>, nuove forme di<br />
riproduzione e manipol<strong>azione</strong> delle immag<strong>in</strong>i, assunte anche dalle correnti artistiche<br />
dell’avanguardia, dalla pubblicità e <strong>in</strong> generale nella comunic<strong>azione</strong> sociale. In quest’ottica<br />
discont<strong>in</strong>uità e dissoci<strong>azione</strong> sono associate all’esperienza della guerra sia come effetto che<br />
come s<strong>in</strong>tomo di un diverso rapportarsi dell’uomo alla realtà.<br />
Qu<strong>in</strong>di, come anche il Kriegsfibel di <strong>Brecht</strong> mostra, la risposta formale al conflitto della guerra<br />
è il montaggio, ossia un dispositivo creativo che implica <strong>in</strong> sé il pr<strong>in</strong>cipio del conflitto, della<br />
discordia, della disgreg<strong>azione</strong> e della composizione per frammenti. Dal punto di vista formale a<br />
strutturale le pag<strong>in</strong>e del Kriegsfibel sono nel complesso un montaggio di frammenti poetici,<br />
immag<strong>in</strong>i tratte dalla stampa e didascalie, di modo che ciascun ‘quadro’ è composto da una foto<br />
che può avere o meno la relativa didascalia, e da un epigramma posto a commento. Come ha<br />
osservato Didi-Huberman, il meccanismo compositivo è regolato da rapporti dialettici tra le<br />
componenti <strong>in</strong> gioco, così come, pur nella diversa articol<strong>azione</strong> compositiva, accade nelle tavole<br />
warburghiane. Perciò nel testo si condensano e <strong>in</strong>teragiscono dialetticamente piani differenti:<br />
l’evento storico che il drammaturgo <strong>in</strong>tende riportare, l’immag<strong>in</strong>e fotografica del giornale che lo<br />
immortala, assieme alla didascalia esplicativa, che di per sé rappresenta già una <strong>in</strong>terpret<strong>azione</strong>,<br />
10
<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
e il suo commento poetico. L’effetto che ne consegue è una visione assolutamente <strong>in</strong>edita degli<br />
accadimenti <strong>in</strong> corso durante la guerra.<br />
Accade qu<strong>in</strong>di che il montaggio, strumentale alla composizione di tutti questi elementi,<br />
disarticola la percezione abituale dell’evento, o la percezione che passa la cronaca o il dettato<br />
storico e costruisce un nuovo ord<strong>in</strong>e di senso. Interviene cioè una comprensione nuova che<br />
attraverso il montaggio smonta l’ord<strong>in</strong>e spaziale e temporale delle cose che vengono così<br />
sottratte alla loro ‘orig<strong>in</strong>e’, al loro primo contesto di appartenenza, poste <strong>in</strong> una nuova<br />
colloc<strong>azione</strong>, rispetto a un nuovo contesto e così <strong>in</strong>serite <strong>in</strong> un “reticolo di relazioni”, come lo<br />
ha def<strong>in</strong>ito Didi-Huberman, con gli altri elementi <strong>in</strong> cui si <strong>in</strong>trecciano dialetticamente.<br />
<strong>Brecht</strong> legge la polarità spesso già espressa <strong>in</strong>tr<strong>in</strong>secamente nell’immag<strong>in</strong>e e la rende esplicita o<br />
amplifica nel testo di commento giustapposto alla didascalia. Si potrebbero fare molti esempi:<br />
tra le immag<strong>in</strong>i più cariche di ambiguità tra quelle scelte da <strong>Brecht</strong> certamente è da considerare<br />
quella che compare nel quadro n. 52.<br />
quadro n. 52 / quadro n. 23<br />
Si tratta di una foto apparsa su "Life" che ritrae soldati dormienti all’<strong>in</strong>terno <strong>in</strong> buche scavate<br />
nella terra. La didascalia del giornale descrive "soldati esausti" ("Erschöpfte Soldaten") che<br />
"colgono l’occasione di farsi un sonnell<strong>in</strong>o al sole" ("e<strong>in</strong> kurzes Schläfchen <strong>in</strong> der Sonne zu<br />
machen") all’<strong>in</strong>terno di tane scavate con le loro stesse mani e, noncuranti del fuoco tedesco,<br />
dormono a terra "senza nessun riparo" ("schlafen ungeschützt auf dem Erdboden").<br />
<strong>Brecht</strong> coglie l’evidente risvolto macabro dell’immag<strong>in</strong>e, un aspetto che appare totalmente<br />
ignorato dalla didascalia: le pose più o meno naturali dei soldati, <strong>in</strong>fatti, pur appartenendo a<br />
delle persone dormienti, stimolano immediatamente l’idea della morte. Le tane scavate<br />
somigliano piuttosto a delle fosse e i corpi stesi a terra sembrano dormire un sonno di morte.<br />
L’epigramma <strong>in</strong>fatti parla di tombe, e l’ultimo verso condensa <strong>in</strong> una frase il dest<strong>in</strong>o di morte<br />
dei soldati <strong>in</strong> guerra: "Ma se non dormissero, non sarebbero svegli lo stesso" ("Doch wären sie,<br />
nicht schlafend, auch nicht wach").<br />
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<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
quadro n.9<br />
Il quadro n. 9 è composto con un’immag<strong>in</strong>e senza didascalia e come si legge dall’epigramma si<br />
tratta di una foto della città di Roubaix scattata dopo un bombardamento. La ragione della scelta<br />
appare evidente nel profondo contrasto che trasmette l’immag<strong>in</strong>e e nel commento che lo<br />
esplicita: si tratta di una città devastata dal bombardamento ma le rov<strong>in</strong>e, i frammenti sono<br />
composti nel massimo ord<strong>in</strong>e; l’immag<strong>in</strong>e della deflagr<strong>azione</strong> e della ricomposizione sono<br />
sovrapposte polarmente. Per questo l’epigramma recita: "Non ci fu mai tanto ord<strong>in</strong>e a Roubaix.<br />
Ha trionfato, assoluto è il suo potere" ("Nie herrschte solche Ordnung <strong>in</strong> Roubaix. Sie hat<br />
gesiegt, sie herrscht jetzt absolut").<br />
Il quadro n. 23 si compone di una foto che ritrae Hitler durante un discorso tenuto "<strong>in</strong> una<br />
fabbrica di armi vic<strong>in</strong>o a Berl<strong>in</strong>o", così <strong>in</strong>fatti è <strong>in</strong>dicato il luogo nella didascalia <strong>in</strong> cui sono<br />
citati anche i personaggi che compaiono al suo fianco. Il riferimento alla fabbrica di armi è<br />
giustificato dalla presenza di enormi cannoni alle spalle del dittatore ed è da questo dettaglio –<br />
<strong>in</strong>nocuo nella didascalia – che scaturisce l’epigramma di commento. Qui rispetto al parlare del<br />
Führer, "uno dei suoi grandi discorsi" ("e<strong>in</strong>e se<strong>in</strong>er großen Reden") – come è scritto nella<br />
didascalia della foto – e al "parlare di tempi nuovi" ("reden von der Zeitenwende"), come scrive<br />
<strong>Brecht</strong> nel primo verso, fa da contrappunto la m<strong>in</strong>accia muta dei cannoni dietro di lui; i cannoni<br />
muti, come si legge nella composizione, sono idealmente puntati su chi guarda: "puntati su di<br />
voi: sono le opere delle vostre mani che vedete" ("Doch h<strong>in</strong>ter ihm, seht, Werke eurer Hände:<br />
Große Kanonen, stumm auf euch gericht"). Assieme alla m<strong>in</strong>accia per quello che verrà è<br />
comunicato anche il senso di responsabilità per chi condivide il dest<strong>in</strong>o di guerra: le armi sono il<br />
frutto del lavoro del popolo.<br />
La composizione del Kriegsfibel rivela come per <strong>Brecht</strong> la Polarität è un elemento<br />
fondamentale (DIDI-HUBERMAN 2009, pp. 51-59) così come per Warburg la polarità e la<br />
polarizz<strong>azione</strong> sono il fulcro del suo approccio morfologico all’immag<strong>in</strong>e (PINOTTI 2001, p.<br />
177). Nella dialettica tra testo e immag<strong>in</strong>e è quest’ultima a catturare per prima lo sguardo e a<br />
direzionare la vista stimolando l’attenzione tanto per il dettaglio quanto per la visione<br />
d’<strong>in</strong>sieme. È proprio la peculiarità del darsi visivo dell’immag<strong>in</strong>e a imporre la necessità di<br />
considerarla mai irrelata ma cont<strong>in</strong>uamente connessa al contesto: l’immag<strong>in</strong>e apre alla<br />
rel<strong>azione</strong>, e alla multidirezionalità della prospettiva. A direzionare il movimento di lettura del<br />
quadro è la polarità semantica provocata dalla giustapposizione degli elementi <strong>in</strong> gioco,<br />
12
<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
riconoscibile proprio dallo sguardo d’<strong>in</strong>sieme capace di cogliere visivamente immag<strong>in</strong>e e testo<br />
<strong>in</strong> modo s<strong>in</strong>ottico.<br />
Didi-Huberman, <strong>in</strong> riferimento al Bilderatlas Mnemosyne, riprendendo una afferm<strong>azione</strong> di<br />
Saxl secondo cui nell’Atlante si avrebbe una "dimostr<strong>azione</strong> ad oculos", osserva come questa<br />
dimostr<strong>azione</strong> non ha "la forma di un sillogismo classico: non riduce il diverso all’unità di una<br />
funzione logica" (DIDI-HUBERMAN [2002] 2006, p. 424). Qu<strong>in</strong>di è il primato della vista, non<br />
dell’argoment<strong>azione</strong> logico discorsiva, che guida il senso e il significato della disposizione e<br />
della lettura di tale disposizione. E attraverso la vista si configura propriamente la forma di<br />
conoscenza mediata dal montaggio: <strong>in</strong> esso si dispiega la complessità, la molteplicità non<br />
riconducibile a univocità che la tensione polare cont<strong>in</strong>uamente rifrange.<br />
Ponendo una proporzione esplicativa si potrebbe affermare che il montaggio sta al pensiero<br />
fantastico/immag<strong>in</strong>ale come la logica sta al pensiero razionale. Nel primo caso le particelle<br />
elementari che vengono composte dal montaggio sono immag<strong>in</strong>i che, <strong>in</strong>tese come frammenti,<br />
r<strong>in</strong>viano sempre ad altro, accostate tra di loro per giustapposizione, secondo legami associativi<br />
guidati da un pr<strong>in</strong>cipio di polarità semantica di modo da creare una rete di rapporti non univoci.<br />
Nel secondo caso le particelle elementari sono concetti, qu<strong>in</strong>di astrazioni che sussumono una<br />
molteplicità sensibile <strong>in</strong> una unità di segno, legati tra loro secondo rapporti univoci di<br />
consequenzialità logica, tali da garantire la non equivocità del senso.<br />
L’associ<strong>azione</strong> tra immag<strong>in</strong>i e testi avviene qu<strong>in</strong>di <strong>in</strong> virtù di un rapporto di giustapposizione<br />
permesso da una dimensione e colloc<strong>azione</strong> spaziale. Significativamente Jean Luc Nancy,<br />
<strong>in</strong>troducendo il concetto di ‘spaziatura’ (NANCY [1996] 2001), usa la giustapposizione di parole<br />
per <strong>in</strong>dicare il rapporto tra "essere s<strong>in</strong>golare e plurale" che si può pensare solo dopo la f<strong>in</strong>e di<br />
ogni ontologia metafisica, svelando però <strong>in</strong> questo modo quale sia il limite della signific<strong>azione</strong><br />
discorsiva rispetto alla potenza della colloc<strong>azione</strong> spaziale, visiva. La giustapposizione di parole<br />
riproduce il meccanismo di segment<strong>azione</strong> dell’immag<strong>in</strong>e <strong>in</strong> <strong>in</strong>quadrature semplicemente poste<br />
l’una accanto all’altra – senza che vi siano qu<strong>in</strong>di segni <strong>in</strong>terpuntivi o congiunzioni – come è<br />
proprio del l<strong>in</strong>guaggio c<strong>in</strong>ematografico. “Essere s<strong>in</strong>golare plurale" è a tutti gli effetti un<br />
montaggio di parole accostate, dove l’<strong>in</strong>tervallo, lo spazio tra le parole è fondante, perché<br />
l’assenza di determ<strong>in</strong><strong>azione</strong> s<strong>in</strong>tattica garantisce il significato che il filosofo francese <strong>in</strong>tende<br />
comunicare: "‘essere’ può essere verbo e sostantivo, ‘s<strong>in</strong>golare’ e ‘plurale’ possono essere<br />
aggettivi o sostantivi, si può scegliere la comb<strong>in</strong><strong>azione</strong> che si vuole – marcano al tempo stesso<br />
un’equivalenza assoluta e la sua articol<strong>azione</strong> aperta, impossibile da racchiudere <strong>in</strong> un’identità".<br />
Qui <strong>in</strong> discussione è l’essere che agli albori della filosofia ha fondato il pr<strong>in</strong>cipio di identità e<br />
non contraddizione, e che è stato posto come sostanza preesistente all’esistenza; l’essere che<br />
<strong>in</strong>tende svelare Nancy è "s<strong>in</strong>golarmente plurale e pluralmente s<strong>in</strong>golare" e "non preesiste al suo<br />
s<strong>in</strong>golare plurale". Nella spaziatura c’è allora la co-essenzialità dell’essere, quella "spartizione<br />
<strong>in</strong> guisa di assemblaggio", dove la rel<strong>azione</strong> è fondante, il ‘con’ fa essere, non è semplicemente<br />
aggiunto all’essere.<br />
Significativamente è <strong>in</strong> riferimento a <strong>Brecht</strong> che è stato <strong>in</strong>trodotto per la prima volta da Roger<br />
Planchon nel contesto teatrale il concetto di ‘scrittura scenica’, <strong>in</strong>dice del mutato rapporto con lo<br />
spazio proprio del teatro novecentesco. Ossia lo spazio <strong>in</strong>teso non come semplice contenitore<br />
ma come campo di segni; secondo Planchon per <strong>Brecht</strong> "la rappresent<strong>azione</strong> forma al contempo<br />
una scrittura drammatica e una scrittura scenica; ma questa scrittura scenica – ed è stato il primo<br />
a dirlo […] – ha una responsabilità uguale alla scrittura drammatica e, <strong>in</strong> def<strong>in</strong>itiva, un<br />
movimento sulla scena, la scelta di un colore, di una decor<strong>azione</strong>, d’un costume, etc., impegna<br />
una responsabilità totale" (PLANCHON [1961] 2003). E la nuova spazialità auspicata <strong>in</strong> realtà già<br />
dalle Avanguardie Storiche – per non parlare di Artaud – è riflesso di una trasform<strong>azione</strong> della<br />
visione del mondo che co<strong>in</strong>volge tutti gli ambiti discipl<strong>in</strong>ari. Come ha osservato Michel<br />
Foucault – tra i primi a mettere l’accento sulla questione negli anni ’60 – se "la grande<br />
ossessione che ha assillato il XIX secolo è stata la storia […] forse quella attuale potrebbe<br />
essere considerata l’epoca dello spazio" (FOUCAULT [1967/1984] 2001, p. 19).<br />
13
<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
Nel metodo di composizione per montaggio che dà forma al Kriegsfibel si può leggere il portato<br />
sovversivo del teatro che <strong>Brecht</strong>, fondando, ha def<strong>in</strong>ito ‘epico’. Collocandosi a metà strada tra la<br />
prima e la seconda riforma del teatro novecentesco, il regista e drammaturgo riforma il teatro a<br />
partire dalle stesse premesse poste dall’Avanguardia Storica. A essere messo <strong>in</strong> discussione è,<br />
come per Artaud, la distanza accumulata dal teatro rispetto alla vita, l’<strong>in</strong>capacità di parlare del e<br />
al tempo presente, e qu<strong>in</strong>di l’attaccamento a stilemi obsoleti per quanto alla moda. Sotto accusa<br />
è l’estetizz<strong>azione</strong> del teatro, il suo vuoto formalismo, e l’obiettivo è resuscitarne la forza<br />
politica, la capacità di impatto sulla società appiattita a una fruizione neutralmente dis<strong>in</strong>teressata<br />
e f<strong>in</strong>alizzata semplicemente allo svago e al divertimento. Di qui, <strong>in</strong> nome di un realismo<br />
socialista, le accuse di <strong>Brecht</strong> al teatro decaduto – di cui fanno parte anche le messe <strong>in</strong> scena dei<br />
classici – che nella bellezza formale della facciata nasconde un contenuto stantio e riflette delle<br />
immag<strong>in</strong>i falsate della vera realtà. Il teatro per il regista e drammaturgo tedesco ha il potere e il<br />
dovere di trasformare il pubblico e con il pubblico il mondo. <strong>Brecht</strong> però, a differenza di Artaud<br />
che parte dalle stesse premesse critiche per rovesciare il sistema che vuole combattere, fa i conti<br />
con il sistema che cerca di trasformare convivendoci, standoci dentro e operando <strong>in</strong> esso. Qu<strong>in</strong>di<br />
non <strong>in</strong>tende negare la ‘rappresent<strong>azione</strong>’ – quella estr<strong>in</strong>sec<strong>azione</strong> della violenza del pensiero<br />
metafisico occidentale che Derrida ha letto nel tentativo della sua destituzione fatto da Artaud<br />
(DERRIDA [1966] 2002, p. 301) – ma la mette <strong>in</strong> scena e così la svela, la smaschera attraverso il<br />
meccanismo di straniamento proprio del teatro epico.<br />
<strong>Brecht</strong>, alla drammaturgia che provoca l’immedesim<strong>azione</strong> dello spettatore nei personaggi<br />
imitati dagli attori, oppone una drammaturgia <strong>in</strong> cui il meccanismo dell’immedesim<strong>azione</strong> viene<br />
annullato nell’effetto di ‘straniamento’: il 'Verfremdungseffekt' teorizzato negli scritti sul teatro<br />
ed elemento fondante del teatro epico. La f<strong>in</strong>zione nel teatro secondo <strong>Brecht</strong> deve essere<br />
dichiarata ed esplicitata per stimolare la distanza critica dello spettatore. Qu<strong>in</strong>di,<br />
differentemente da Artaud la rappresent<strong>azione</strong> non è negata con l’<strong>in</strong>tenzione di recuperare uno<br />
stato che la precede – quella “Parola prima delle parole” che è poi la voce del mito e della<br />
tragedia – ma è esibita, messa <strong>in</strong> scena, esplicitata, dimostrata e messa <strong>in</strong> crisi attraverso<br />
l’effetto dello straniamento. <strong>Brecht</strong> attua proprio quello “spezzare il l<strong>in</strong>guaggio” che si era<br />
proposto Artaud (ARTAUD [1935] 1997, p. 132) per riformare la cultura occidentale attraverso il<br />
teatro e lo fa scegliendo i drammi storici come trame privilegiate delle sue messe <strong>in</strong> scena.<br />
Artaud e <strong>Brecht</strong>, come eredi delle Avanguardie Storiche, sembrano spartirsi i dom<strong>in</strong>i<br />
rispettivamente del mito e della storia, come orizzonti di senso del teatro che <strong>in</strong>tendono<br />
riformare, sostenendo il primo l’ipotesi tragica e il secondo l’ipotesi epica (LONGHI 1999,<br />
2001).<br />
Così facendo, <strong>Brecht</strong>, con la consapevolezza di non poter parlare alla sua epoca presc<strong>in</strong>dendo da<br />
essa, rivoluziona il teatro a partire dal sistema, lo mette <strong>in</strong> scena e lo spezza al suo <strong>in</strong>terno.<br />
L’esito ultimo di questa oper<strong>azione</strong> sarà scoprire la natura em<strong>in</strong>entemente dialettica del teatro, e<br />
della vita che nel teatro trova espressione. Allora la Storia, come una delle pr<strong>in</strong>cipali forme di<br />
rappresent<strong>azione</strong>, come narr<strong>azione</strong> che nel sistema occidentale più di altre ha preso il posto<br />
della narr<strong>azione</strong> del mito e che ha il suo momento culm<strong>in</strong>ante nello storicismo ottocentesco, è<br />
condotta da <strong>Brecht</strong> sulla scena nella forma epica, ed è spezzata per essere ricondotta al presente<br />
del dramma. A permettere questo spezzettamento, la frantum<strong>azione</strong> della narr<strong>azione</strong> storica<br />
nella forma dello straniamento è il meccanismo del montaggio.<br />
L’oper<strong>azione</strong> epica del teatro di <strong>Brecht</strong> consiste da un lato nello spezzare lo svolgimento<br />
cronologico dei fatti, qu<strong>in</strong>di nel creare delle <strong>in</strong>terruzioni nello svolgimento storico, e dall’altro<br />
nel mettere <strong>in</strong> crisi l’effetto illusionistico della f<strong>in</strong>zione rappresentativa. Rispetto a queste due<br />
operazioni, il montaggio ricolloca gli eventi tra loro secondo un 'reticolo di relazioni' che ne<br />
stravolge totalmente la connot<strong>azione</strong>. La trama portata sulla scena, come vede bene Benjam<strong>in</strong><br />
nello scritto sul teatro epico, è sottoposta all’atto dello "snodare le articolazioni f<strong>in</strong>o al limite<br />
estremo" (BENJAMIN [1939] 1966, p. 128). La sua <strong>in</strong>terruzione crea discont<strong>in</strong>uità e anacronismi<br />
funzionali a una visione differente, nuova e <strong>in</strong>usuale, delle vicende che devono provocare<br />
14
<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
stupore, non immedesim<strong>azione</strong>. Attraverso questa percezione straniata dell’evento si afferma il<br />
paradigma em<strong>in</strong>entemente politico del montaggio che mette <strong>in</strong> crisi la visione abituale del dato<br />
di fatto per stimolare non tanto una identific<strong>azione</strong> dello spettatore ma una "presa di posizione"<br />
(BRECHT [1931] 1975). Allo stesso modo Benjam<strong>in</strong> <strong>in</strong>tende "adottare nella storia" (BENJAMIN<br />
[1927-1940] 1986, p. 515) il montaggio per spezzarla, per <strong>in</strong>terromperne la cronologia, per<br />
operare una rottura rispetto all’ord<strong>in</strong>e temporale dello storicismo.<br />
Rispetto ai primi scritti sul teatro epico, permeati di pensiero storicistico, andrebbe <strong>in</strong> verità<br />
osservato il risvolto dialettico e tragico di cui si colora la teoria di <strong>Brecht</strong> di ritorno dalla guerra,<br />
aprendosi a uno sfondo più tragico e mitico che epico e storicistico. Il valore dialettico<br />
dell’oper<strong>azione</strong> di straniamento è <strong>in</strong>fatti un’acquisizione più matura nella teoria di <strong>Brecht</strong> e<br />
risulta così fortemente improntata all’esperienza dell’esilio e della guerra. A seguito di questa<br />
acquisizione il montaggio allora, anche rispetto all’uso che <strong>Brecht</strong> ne fa nel Kriegsfibel così<br />
come nel Diario di lavoro, appare <strong>in</strong> tutto il suo portato di "gesto drammaturgico fondamentale",<br />
come lo ha def<strong>in</strong>ito Didi-Huberman (DIDI-HUBERMAN 2009, p. 79). È il riconoscimento<br />
dell’elemento dialettico, che <strong>Brecht</strong> matura significativamente solo dopo l’esperienza della<br />
guerra, a rendere pienamente il senso della drammaturgia brechtiana, e a caricare di un ulteriore<br />
senso il teatro def<strong>in</strong>ito epico che è em<strong>in</strong>entemente dialettico nella misura <strong>in</strong> cui il suo processo<br />
compositivo avviene attraverso il montaggio.<br />
Il teatro dialettico <strong>in</strong>tende mostrare qu<strong>in</strong>di i conflitti e le contraddizioni, e la tecnica utilizzata<br />
per la scena sarà tutta f<strong>in</strong>alizzata alla loro resa. Ad esempio <strong>Brecht</strong> osserva come nel lavoro<br />
dell’attore devono comporsi procedimenti contrari: "L’attore ottiene i propri effetti ricavandoli<br />
dalla tensione, come pure dalla profondità, dei due elementi <strong>in</strong> contrasto" (BRECHT [1948]<br />
1975a, p. 120), elementi che qu<strong>in</strong>di non devono s<strong>in</strong>tetizzarsi o annullarsi tra di loro, ma<br />
mostrare il loro <strong>in</strong>tersecarsi. Secondo questo pr<strong>in</strong>cipio ad esempio un ruolo femm<strong>in</strong>ile sarà reso<br />
meglio da un attore uomo, come il ruolo di un vecchio sarà reso meglio da un attore giovane o il<br />
ruolo di un borghese da un attore abituato a recitare il ruolo del proletario. La tensione polare tra<br />
gli elementi contrastanti che rende l’effetto dello straniamento emerge dal conflitto degli stessi<br />
elementi che è mantenuto <strong>in</strong> scena. La contraddizione, l’ambiguità, la tensione polare, la<br />
complexio oppositorum def<strong>in</strong>iscono la dialettica del montaggio con cui vengono composti gli<br />
elementi <strong>in</strong> scena, e però colorano di senso tragico e mitico il teatro epico che, rispetto a questi<br />
elementi, può essere compreso pienamente nella sua accezione propriamente drammatica.<br />
La def<strong>in</strong>izione di montaggio che troviamo <strong>in</strong> uno scritto di Ejzenštejn del ’29 (EJZENŠTEJN<br />
[1929] 1992), per prendere le distanze da quella dei suoi predecessori, rende il senso dello<br />
scarto tra epico e drammatico e permette di riconsiderare il valore ‘epico’ del teatro che <strong>Brecht</strong><br />
rivendica rispetto al teatro drammatico. Secondo Ejzenštejn <strong>in</strong>fatti il montaggio non implica "un<br />
pensiero composto da pezzi che si succedono bensì un pensiero che trae orig<strong>in</strong>e dallo scontro di<br />
due pezzi <strong>in</strong>dipendenti l’uno dall’altro (pr<strong>in</strong>cipio drammatico)". Il pr<strong>in</strong>cipio epico implica<br />
qu<strong>in</strong>di il rapporto di ‘successione’, e rende il montaggio ‘descrittivo’, il pr<strong>in</strong>cipio drammatico<br />
<strong>in</strong>vece implica il rapporto conflittuale, lo scontro tra le parti e la loro ‘sovrapposizione’ che<br />
genera lo scontro.<br />
Nello scarto tra successione e giustapposizione si condensa qu<strong>in</strong>di lo scarto tra epico e<br />
drammatico e, si può ev<strong>in</strong>cere, di riflesso tra storico e mitico; e qu<strong>in</strong>di tra un tempo l<strong>in</strong>eare che<br />
implica la successione cronologica di un prima rispetto a un poi e un tempo <strong>in</strong> cui si ha la<br />
giustapposizione di due tempi diversi: <strong>in</strong> cui presente e passato sono considerati<br />
contemporaneamente. Nello stesso scritto <strong>in</strong>oltre l’arte <strong>in</strong>tesa nel complesso, coerentemente a<br />
una visione filosofica dialettica che si riconduce esplicitamente al pensiero di Marx ed Engels, è<br />
<strong>in</strong>tesa da Ejzenštejn come frutto di un conflitto: "l’arte è sempre conflitto, per la sua missione<br />
sociale, per la sua natura essenziale, per la sua metodologia". E, qualche pag<strong>in</strong>a dopo, il<br />
montaggio è considerato proprio come il meccanismo che quella metodologia è chiamato a<br />
regolare.<br />
15
<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
Se accettando la def<strong>in</strong>izione di Ejzenštejn si considera la dialettica, il conflitto, come la cifra del<br />
drammatico e non dell’epico, allora, nella misura <strong>in</strong> cui la dialettica è strumento del teatro<br />
epico, questo teatro è nel fondo drammatico. Di fatto “la forma drammatica del teatro” rispetto<br />
alla quale <strong>Brecht</strong>, <strong>in</strong> uno schema stilato <strong>in</strong> un saggio del 1931 (BRECHT [1931] 1975),<br />
contrappone “la forma epica del teatro”, è da riferirsi al dramma che ha dom<strong>in</strong>ato f<strong>in</strong>o alla<br />
modernità come forma decaduta di tragedia e contro cui si impone la rivoluzione del teatro<br />
novecentesco dalle Avanguardie Storiche <strong>in</strong> poi. In altre parole si comprende come il teatro<br />
epico di <strong>Brecht</strong> sia profondamente drammatico nella misura <strong>in</strong> cui è tragico e dialettico. Se di<br />
ritorno dall’esilio <strong>Brecht</strong> utilizza l’accezione di dialettico per qualificare ulteriormente il teatro<br />
epico, allo stesso tempo cambia anche l’atteggiamento nei confronti dei classici e, rispetto<br />
all’adesione al realismo socialista, muta <strong>in</strong> favore di un recupero della funzione artistica del<br />
godimento estetico, che non è più vista <strong>in</strong> contrasto con la funzione em<strong>in</strong>entemente politica del<br />
teatro, ma si presenta come un suo importante complemento.<br />
In uno scritto del 1928 <strong>in</strong> cui, <strong>in</strong> forma dialogata riporta una discussione radiofonica con il<br />
critico e amico Herbert Jher<strong>in</strong>g a proposito del contributo di quest’ultimo sui classici, <strong>Brecht</strong> si<br />
domanda: "Se sono [i classici] morti, quando sono morti? La verità è questa: sono morti <strong>in</strong><br />
guerra – sono anch’essi vittime della guerra" (BRECHT [1929] 1975, p. 85). I classici sono<br />
tacciati di essere <strong>in</strong>attuali, e, evidentemente, nella sua prospettiva, la guerra ha cambiato il<br />
mondo, e il teatro che ripropone i classici alla maniera classica, secondo i dettami e l’ideale che<br />
ha predom<strong>in</strong>ato f<strong>in</strong>o all’Ottocento con la ragione illum<strong>in</strong>ata, sembra essere ignaro di questo<br />
cambiamento. I classici non sono più efficaci e la critica a essi è perfettamente <strong>in</strong> l<strong>in</strong>ea con la<br />
critica al naturalismo, al f<strong>in</strong>to illusionismo, all’estetismo, al teatro di cui si può fare solo un “uso<br />
cul<strong>in</strong>ario”. Il mutato atteggiamento nei confronti dei classici e delle loro messe <strong>in</strong> scena è<br />
leggibile nella scelta artistica fatta da <strong>Brecht</strong> nel 1948, di ritorno dall’esilio americano, di<br />
cimentarsi subito con un classico, e <strong>in</strong> particolare una tragedia greca: l’Antigone di Sofocle con<br />
traduzione di Hölderl<strong>in</strong>, andata <strong>in</strong> scena il 15 febbraio del 1948 <strong>in</strong> Svizzera presso lo<br />
Staddtheater di Coira con il titolo Antigone des Sophokles.<br />
Senza entrare nello specifico dell’opera, <strong>in</strong>teressa qui parlarne come segno del mutato approccio<br />
di <strong>Brecht</strong> dipendente dal vissuto di guerra, e come esperienza fondante anche per la più matura<br />
teorizz<strong>azione</strong> del teatro epico come teatro dialettico. Come ha osservato Olga Taxidou, è il<br />
concetto di frammento, di rov<strong>in</strong>a che connota la nuova attitud<strong>in</strong>e di <strong>Brecht</strong> nei confronti dei<br />
classici (TAXIDOU 2007, p. 171). Nella Pref<strong>azione</strong> all’Antigone-Modell-Buch (BRECHT [1948]<br />
1975b), il ‘libro-modello’ relativo alla messa <strong>in</strong> scena di Antigone, costruito con bozzetti e foto<br />
delle prove secondo la modalità di montaggio di testi e immag<strong>in</strong>i propria sia del Kriegsfibel che<br />
del Arbeitsjournal, la rov<strong>in</strong>a è pensata come quel che rimane del vecchio con il pericolo sempre<br />
<strong>in</strong> agguato della sua restaur<strong>azione</strong>, ma è anche il pr<strong>in</strong>cipio della possibilità della ricostruzione,<br />
ne catalizza la sfida, oltre che rappresentarne la memoria storica. E significativamente, a<br />
simbolizzare questo valore della rov<strong>in</strong>a come frammento, sullo sfondo della scena dello<br />
spettacolo, <strong>Brecht</strong> fa apporre “una grande fotografia di città ridotta <strong>in</strong> macerie”.<br />
L’idea del frammento è <strong>in</strong>tr<strong>in</strong>secamente legata a quella di montaggio. Ne è parte costitutiva, la<br />
particella elementare, e però allo stesso tempo rimanda alla composizione. La frantum<strong>azione</strong> è<br />
tutto quello che rimane del mondo precedente distrutto, e i frammenti tratti dalle macerie<br />
possono trovare nella ricomposizione una nuova comb<strong>in</strong><strong>azione</strong>, la promessa della possibile<br />
ricostruzione di un nuovo mondo. Il teatro che è sopravvissuto alla guerra deve secondo <strong>Brecht</strong><br />
rispondere a quella 'sete di novità' che "il completo sfacelo materiale e spirituale ha<br />
<strong>in</strong>dubbiamente prodotto nel nostro paese sventurato e provocatore di sventura" (BRECHT [1948]<br />
1975b, p. 237). Ed è, però, una sete di novità che deve fare i conti con il passato: "Il guaio delle<br />
rov<strong>in</strong>e non è solo che va distrutta la casa, ma anche che il posto non c’è più; e i progetti degli<br />
architetti, a quanto sembra, non si cancellano mai del tutto; sicché con la ricostruzione<br />
riappaiono le vecchie <strong>in</strong>filtrazioni e i focolai di malattia. Quella che è vita febbricitante afferma<br />
di essere vita sprizzante di energia: nessuno muove passi più decisi del tisico che ha perso ogni<br />
sens<strong>azione</strong> dalla pianta dei piedi. […]. Può darsi perciò che, proprio <strong>in</strong> tempo di ricostruzione,<br />
16
<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
fare dell’arte progressiva sia tutt’altro che facile. Ma questa dovrebbe essere la sfida" (BRECHT<br />
[1948] 1975b, p. 238, traduzione modificata).<br />
Qu<strong>in</strong>di l’Antigone che <strong>Brecht</strong> mette <strong>in</strong> scena di ritorno dall’esilio, a guerra conclusa, sembra<br />
avere la funzione e il valore di un phármakon come ha osservato Taxidou leggendo un’aff<strong>in</strong>ità<br />
con l’idea di teatro veleno/rimedio di Artaud. La scelta di questa tragedia greca <strong>in</strong> particolare è<br />
dettata dalla conv<strong>in</strong>zione che Antigone <strong>in</strong>carni "la funzione della violenza al momento del<br />
crollo dell’autorità statale" (BRECHT [1948] 1975a, p. 238), qu<strong>in</strong>di l’argomento che solleva è<br />
percepito come attuale. E però non c’è alcun <strong>in</strong>tento filologico e alcuna <strong>in</strong>tenzione di "evocare<br />
lo spirito degli antichi" ma lo scopo è "di far fare ad essa [l’opera] qualcosa per noi"<br />
(BRECHT [1948] 1975a, p. 238-239). Lo studio e la prepar<strong>azione</strong> dell’Antigone è<br />
significativamente contemporaneo alla scrittura del Breviario di estetica teatrale<br />
(BRECHT [1948] 1975a), il primo testo teorico <strong>in</strong> cui sia espressa <strong>in</strong> modo maturo una accezione<br />
dialettica di teatro, e dove si coglie la peculiarità del metodo capace di rendere la<br />
contraddittorietà dei processi sociali e umani <strong>in</strong> cont<strong>in</strong>ua trasform<strong>azione</strong>. Le idee di<br />
contraddizione, polarità, di dialettica tra passato e presente sono ricorrenti <strong>in</strong> tutto lo scritto.<br />
Allo stesso modo, nell’Antigone <strong>Brecht</strong> non <strong>in</strong>tende mettere <strong>in</strong> scena l’affermarsi di un potere<br />
su di un altro, o di una violenza su di un’altra, ma la compresenza dialettica, irrisolta di due<br />
sistemi differenti che sussistono contemporaneamente <strong>in</strong> uno stato di guerra (TAXIDOU 2007, p.<br />
174).<br />
Anche rispetto alla contraddizione tra imparare, qu<strong>in</strong>di mantenere la distanza dallo spettacolo, e<br />
divertirsi, ossia lasciarsi immedesimare nella scena, <strong>Brecht</strong> ha <strong>in</strong> questi anni mutato<br />
atteggiamento, la def<strong>in</strong>isce <strong>in</strong>fatti una contraddizione "da conservare come un elemento<br />
importante" (BRECHT [1948] 1975a, p. 186). Qu<strong>in</strong>di, anche questa mutata posizione è <strong>in</strong>dice di<br />
una ricolloc<strong>azione</strong> del significato epico del teatro <strong>in</strong> una accezione propriamente drammatica,<br />
perché ciò che fa dramma nel teatro epico di <strong>Brecht</strong> è il meccanismo dialettico reso possibile<br />
con il metodo del montaggio.<br />
Assieme alla comprensione della natura <strong>in</strong>timamente dialettica del teatro, nell’Antigone-Modell-<br />
Buch, <strong>Brecht</strong> chiarifica anche il senso di <strong>in</strong>tendere il rapporto con il modello, e qu<strong>in</strong>di di<br />
conseguenza anche il rapporto da <strong>in</strong>trattenere con i classici, <strong>in</strong>tesi nella nuova accezione.<br />
Modello è quanto c’è di “imitabile e <strong>in</strong>imitabile” al tempo stesso, qu<strong>in</strong>di quanto viene proposto<br />
per essere violato; il suo tradimento <strong>in</strong>staura il rapporto dialettico con esso che è auspicabile di<br />
contro a un’epoca "che sa applaudire solo l’‘orig<strong>in</strong>ale’, l’‘<strong>in</strong>comparabile’ il ‘mai visto’: che non<br />
ammette altro che l’‘unico’". E aggiunge <strong>in</strong>oltre che "perché qualcosa possa essere utilmente<br />
imitato, bisogna che si faccia vedere ‘come si fa’": qu<strong>in</strong>di è il meccanismo creativo, il metodo, a<br />
dover essere imitato, non la cre<strong>azione</strong>, il prodotto. I classici, rispetto alla precedente presa di<br />
posizione, non sono negati ma accolti diversamente.<br />
Rispetto alle riflessioni sulla natura dialettica del teatro e alla scelta di mettere <strong>in</strong> scena<br />
l’Antigone – una tragedia greca, un mito – il teatro epico di <strong>Brecht</strong> non risulta qu<strong>in</strong>di<br />
riconducibile tout court all’orizzonte della narr<strong>azione</strong> storica, come la denom<strong>in</strong><strong>azione</strong> epica<br />
<strong>in</strong>tende significare. Il teatro epico del regista e drammaturgo tedesco è qu<strong>in</strong>di tragico nella<br />
misura <strong>in</strong> cui è dialettico e <strong>in</strong>terrompe attraverso il montaggio la narr<strong>azione</strong> storica. Ed è tragico<br />
e qu<strong>in</strong>di mitico, nella misura <strong>in</strong> cui si smarca dal teatro drammatico <strong>in</strong>teso come forma decaduta<br />
di tragedia. Significativamente, la consapevolezza della natura dialettica, e qu<strong>in</strong>di tragica, del<br />
teatro epico avviene come conseguenza della messa <strong>in</strong> scena di una tragedia greca. La scelta è<br />
dettata dall’esperienza della guerra che, come ha riconosciuto James Hillman, è un fatto<br />
<strong>in</strong>tellegibile solo con categorie mitiche, con categorie i cui strumenti <strong>in</strong>terpretativi si<br />
compongono <strong>in</strong> immag<strong>in</strong>i e trascendono l’ord<strong>in</strong>e esclusivamente razionale del discorso. La<br />
terribilità della sua natura richiede un salto di prospettiva, le categorie della storia non sono<br />
sufficienti a renderne conto: allora «l’immag<strong>in</strong><strong>azione</strong> diventa il metodo di elezione» (HILLMAN<br />
[2004] 2005, p. 19). Anche per questo si spiega il fatto che molti artisti e <strong>in</strong>tellettuali ne abbiano<br />
cercato la comprensione o il contenimento con dispositivi composti <strong>in</strong> immag<strong>in</strong>i. Il montaggio –<br />
17
<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
meccanismo che plasma il metodo artistico di <strong>Brecht</strong> – può essere riletto qu<strong>in</strong>di alla luce di un<br />
pensare per immag<strong>in</strong>i. E si rivela così un meccanismo mitopoietico per eccellenza.<br />
English abstract<br />
The Kriegsfibel (War primer) is <strong>Bertolt</strong> <strong>Brecht</strong>’s reference work to recognize the montage as a device<br />
for composition that structurally mirrors the transformation of the world view of the twentieth century,<br />
characterized by a way of th<strong>in</strong>k<strong>in</strong>g that can be def<strong>in</strong>ed ‘<strong>in</strong> images’, which is regulated by a dramaturgic<br />
pr<strong>in</strong>ciple; a way of th<strong>in</strong>k<strong>in</strong>g, dist<strong>in</strong>ct from the modern rationalist way, which recovers the gnoseological<br />
value of images and a new evaluation of space, as a consequence of the crisis of metaphysical th<strong>in</strong>k<strong>in</strong>g.<br />
It is a significant work for several reasons. First, the historical moment <strong>in</strong> which it is realized: the<br />
experience of the exile dur<strong>in</strong>g the Second World War; second, because of its characteristic form: a<br />
montage of texts and images; third, for the reason that, though not a theatrical work, it is however<br />
reveal<strong>in</strong>g of the theatrical method of its author. This work is also <strong>in</strong>terest<strong>in</strong>g <strong>in</strong> relation to the change of<br />
<strong>Brecht</strong>’s consideration of classics and myth after the experience of war. The decision to stage a Greek<br />
tragedy – the Antigone des Sophokles – on his return from the exile, and the reflections about the<br />
dialectic nature of theater, are reveal<strong>in</strong>g of this shift and allow to th<strong>in</strong>k back on the mean<strong>in</strong>g of ‘epic’,<br />
term used by <strong>Brecht</strong> to def<strong>in</strong>e his theater. The epic theater can be brought back to an horizon of mythical<br />
and tragic – rather than historical – thought, made of a dialectic and dramaturgic mechanism that, as<br />
Ejzenštejn noticed <strong>in</strong> his reflections about montage, implies not the succession but the conflict and the<br />
juxtapositions of parts (texts, images as fragments).<br />
18
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20
<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
UNA PARTITURA (POST)DRAMMATICA<br />
Per una lettura di E<strong>in</strong>ste<strong>in</strong> on the Beach di Robert Wilson<br />
<br />
1976-2012: le due date scandiscono la distanza temporale che <strong>in</strong>tercorre dalla prima dello<br />
spettacolo E<strong>in</strong>ste<strong>in</strong> on the Beach, andato <strong>in</strong> scena il 25 luglio del ’76 al Festival d’Avignone, e<br />
la più recente ripresa che quest’anno porta l’opera <strong>in</strong> tournée nelle pr<strong>in</strong>cipali scene<br />
<strong>in</strong>ternazionali, tra cui lo scorso marzo le due repliche italiane al Teatro Valli di Reggio Emilia.<br />
Alla notizia della riedizione dello spettacolo, che ha segnato <strong>in</strong> modo <strong>in</strong>delebile la storia del<br />
teatro musicale e non, la prima domanda è se per quest’opera il tempo è passato, se lo spettacolo<br />
a 35 anni di distanza risulta vecchio, superato o nella migliore delle ipotesi provoca una<br />
sens<strong>azione</strong> ‘v<strong>in</strong>tage’. E la risposta corale – a giudicare dalle <strong>in</strong>numerevoli recensioni che hanno<br />
registrato il suo passaggio – è no: E<strong>in</strong>ste<strong>in</strong> on the Beach è vivo, come lo era all’atto della sua<br />
cre<strong>azione</strong>, e lo è senza essere stato modificato, almeno nella struttura compositiva, di una<br />
virgola. Evidentemente, viene da pensare, quanto si ha modo di vedere <strong>in</strong> giro per il mondo<br />
dell’universo teatrale contemporaneo non mostra qualcosa di più rispetto a quello che a suo<br />
tempo ha significato quest’opera. Il codice di scrittura scenica <strong>in</strong>trodotto da Wilson rompendo<br />
con la tradizione è lo stesso codice che, assunto nel corso degli anni, riconosciamo variamente<br />
applicato nelle tante forme di teatro contemporaneo, spesso def<strong>in</strong>ito d’avanguardia. Gli attori <strong>in</strong><br />
scena sono ovviamente diversi, gli orchestrali anche, le coreografie, un tempo firmate da Andy<br />
de Groat, sono oggi affidate a Luc<strong>in</strong>da Childs che nel ’76 le eseguiva <strong>in</strong> scena, le tecnologie<br />
utilizzate sono potenziate, ma la struttura e composizione dell’opera rimangono <strong>in</strong>variate così<br />
come la musica di Philip Glass. Ed è proprio sulla struttura, su cui la musica viene a sua volta<br />
costruita <strong>in</strong> un processo di riproduzione e amplific<strong>azione</strong>, che si concentra la peculiarità ed<br />
eccezionalità dell’opera e l’<strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e proposta qui di seguito, che non <strong>in</strong>tende essere una<br />
recensione allo spettacolo ma proporre una riflessione di filosofia del teatro sullo spettacolo di<br />
Wilson.<br />
E<strong>in</strong>ste<strong>in</strong> on the Beach, bozzetto di struttura dell’opera<br />
21
<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
Le creazioni di Robert Wilson, e <strong>in</strong> particolare E<strong>in</strong>ste<strong>in</strong> on the Beach, sono considerate tra i<br />
pr<strong>in</strong>cipali e primi esempi di teatro ‘postdrammatico’, la cui def<strong>in</strong>izione è da attribuirsi anzitutto<br />
a Hans-Thies Lehmann. Quello che dist<strong>in</strong>gue il teatro postdrammatico, collocato a partire dagli<br />
anni ’70 del Novecento, da quello drammatico, che <strong>in</strong>dicativamente lo precede, è secondo<br />
Lehmann la non dom<strong>in</strong>anza del testo ridimensionato a elemento tra gli altri che concorrono alla<br />
cre<strong>azione</strong> dello spettacolo nel suo <strong>in</strong>sieme. E per testo Lehmann <strong>in</strong>tende <strong>in</strong> primis la ‘favola’, la<br />
narr<strong>azione</strong>, che è considerata il cuore del teatro drammatico ed è ricondotta alla mimesis<br />
praxeos secondo una <strong>in</strong>terpret<strong>azione</strong> della Poetica di Aristotele consolidata dall’età moderna.<br />
Mimesis praxeos, ossia imit<strong>azione</strong> dell’<strong>azione</strong>, che avviene secondo verisimiglianza e regole<br />
drammaturgiche precise, rispettose dell’unità di tempo e di spazio e aderenti a una tracciato<br />
logico. Il teatro postdrammatico, di fondo antiaristotelico, allora negherebbe queste unità e<br />
sarebbe em<strong>in</strong>entemente caratterizzato dalla framment<strong>azione</strong>, dalla frattura logica e dalla<br />
<strong>in</strong>consistenza delle trame che vengono totalmente assorbite nella scrittura scenica, nella<br />
composizione globale dell’evento teatrale. Qu<strong>in</strong>di nel passaggio dalle avanguardie storiche alle<br />
neoavanguardie degli anni ’50 e ’60 f<strong>in</strong>o alle esperienze postdrammatiche proprie della f<strong>in</strong>e del<br />
XX secolo, si assiste alla destruttur<strong>azione</strong> della tensione all’unità e alla totalità unificata che il<br />
dramma – secondo una lettura modernista e logocentrica – ottemperava nel rispetto delle regole<br />
logiche di composizione delle vicende trasposte sulla scena. Nel teatro postdrammatico non si<br />
cerca più di realizzare sulla scena la totalità coerente di una composizione costituita da parole,<br />
suoni, gesti, azioni perché questi elementi vengono riorganizzati secondo un montaggio che<br />
tende alla framment<strong>azione</strong> e si smarca dal criterio di unità e s<strong>in</strong>tesi propria del dramma<br />
moderno. Viene meno qu<strong>in</strong>di la volontà di sviluppare una vicenda oppure questa viene relegata<br />
<strong>in</strong> secondo piano di modo che la categoria del nuovo teatro è ‘la situ<strong>azione</strong>’, ‘l’<strong>in</strong>sieme<br />
d<strong>in</strong>amico’ piuttosto che la vicenda.<br />
Lehmann denuncia la totale equivalenza che la modernità ha posto tra teatro e dramma e<br />
l’esclusione di altre realtà determ<strong>in</strong>ate di teatro oltre che, di conseguenza, l’occultamento della<br />
comprensione del fenomeno teatro <strong>in</strong> tutta la sua complessità. Equivalenza che non solo ha<br />
portato l’esclusione del teatro contemporaneo postdrammatico, ma anche quello che def<strong>in</strong>isce il<br />
teatro ‘predrammatico’, ossia la tragedia greca; per cui: “La tragedia antica, i drammi di Rac<strong>in</strong>e<br />
e la drammaturgia visiva di Wilson sono, certamente, delle forme di teatro. Ma si può dire – se<br />
ci si basa sull’accezione moderna del dramma – che la prima è di natura ‘predrammatica’, che i<br />
drammi di Rac<strong>in</strong>e sono <strong>in</strong>dubitabilmente del teatro drammatico, e che le ‘opere’ di Robert<br />
Wilson devono essere qualificate come postdrammatiche”. Lehmann non entra nel merito della<br />
peculiarità del teatro predrammatico, semplicemente lo qualifica come altro e storicamente<br />
precedente rispetto al teatro drammatico, <strong>in</strong>dividuando un conf<strong>in</strong>e rispetto a cui si collocano sia<br />
il teatro drammatico che il teatro postdrammatico. È però a partire dalla dichiar<strong>azione</strong> di questi<br />
conf<strong>in</strong>i che si pone una <strong>in</strong>terrog<strong>azione</strong> su ciò che possono avere <strong>in</strong> comune le due forme di<br />
teatro, quella precedente e quella successiva, nello smarcarsi entrambe dal teatro def<strong>in</strong>ito<br />
drammatico.<br />
Quello che si vuole sostenere qui, a partire dalla consider<strong>azione</strong> dell’opera di Wilson e oltre le<br />
speculazioni di Lehmann, è che non è tanto la presenza della narr<strong>azione</strong> o della favola a fare la<br />
drammaticità di un’opera teatrale, ma la composizione della sua struttura, che di fatto può<br />
trascendere le epoche. Teatro predrammatico, teatro drammatico e teatro postdammatico,<br />
nell’accezione di Lehmann, se da un lato si dist<strong>in</strong>guono per il ruolo attribuito al testo, dall’altra<br />
sono ‘teatro’ nella misura <strong>in</strong> cui si compongono ugualmente secondo una struttura che ne<br />
garantisce il drama, l’<strong>azione</strong>, lo svolgimento, l’efficacia e questo oltre la priorità attribuita al<br />
testo o alla narr<strong>azione</strong> di una storia, o di un filo narrativo con un <strong>in</strong>izio e una f<strong>in</strong>e. Questa<br />
struttura che orchestra la framment<strong>azione</strong> è il meccanismo del montaggio, ossia il m<strong>in</strong>imo<br />
comune denom<strong>in</strong>atore all’opera sia nel teatro ‘predrammatico’ che <strong>in</strong> quello ‘postdrammatico’,<br />
la stessa struttura elementare di base. Il montaggio per dare vita alla tensione drammatica non è<br />
un caotico assemblaggio di frammenti, ma una giustapposizione di elementi eterogenei che si<br />
struttura per contrappunto, per polarità semantica, dove le parti sono accostate pr<strong>in</strong>cipalmente<br />
secondo un rapporto di conflittualità, secondo il pr<strong>in</strong>cipio del contrasto, della contrapposizione.<br />
22
<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
E questo si può affermare per la tragedia greca come per l’opera di Robert Wilson. Un’<strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e<br />
sulla tragedia greca, tenendo come riferimento teorico la riflessione di Aristotele sulla poetica,<br />
permette di cogliere il carattere compositivo e frammentario della drammaturgia antica, che<br />
risulta costituirsi secondo una comb<strong>in</strong><strong>azione</strong> di parti giustapposte attraverso polarità<br />
semantiche, attraverso un <strong>in</strong>treccio di eterogenei e antitetici. Nel caso di Eschilo ad esempio, il<br />
contrasto, l’attrito, il contrappunto, che sono l’effetto della giustapposizione semantica, fungono<br />
da <strong>in</strong>dicatori di senso che creano e dirigono il movimento del dramma: sono il motore che dà<br />
energia all’<strong>azione</strong>, gli snodi, i nessi lungo i quali si conduce e si alimenta l’<strong>azione</strong> dipanandosi<br />
via via nello svolgimento della tramatura. E la struttura del dramma, nella disposizione alternata<br />
di scene <strong>in</strong> sequenza e <strong>in</strong>terventi dei personaggi – nella scansione e alternanza concatenata di<br />
prologo, parodo, episodi, stasimi, esodo – è l’elemento fondamentale che concorre a dare forma<br />
allo stile, a contenere, articolandola a livello micro e macroscopico, la peculiarità semantica<br />
polare della scrittura eschilea. Anche la scansione della forma lessicale che caratterizza di volta<br />
<strong>in</strong> volta gli <strong>in</strong>terventi lirici o recitativi dei diversi personaggi, rispetta la regola del contrappunto,<br />
nell’alternarsi ad <strong>in</strong>castro del parlato rispetto al canto e al recitativo: le rhesis, i brani, i dialoghi<br />
sticomitici, e di canti e corali con diversificata composizione strofica e relativa vari<strong>azione</strong><br />
ritmica del metro che ne caratterizza i versi. L’alternarsi e l’<strong>in</strong>castrarsi di tutte queste parti,<br />
all’<strong>in</strong>terno delle quali la polarità semantica si riverbera <strong>in</strong> un cont<strong>in</strong>uo gioco di rimandi, danno il<br />
ritmo del tempo e la colloc<strong>azione</strong> nello spazio, ossia strutturano il movimento della<br />
composizione tragica nella sua dimensione temporale e spaziale, per dare forma<br />
all’accadimento, allo svolgimento dell’<strong>azione</strong>. Nella scansione e distribuzione degli elementi<br />
che vengono composti dialetticamente nel dramma ed entrano così <strong>in</strong> rel<strong>azione</strong>, la staticità<br />
propria dell’unità viene vanificata; la dynamis che tale composizione provoca <strong>in</strong>nesca il<br />
movimento, lo sviluppo dell’<strong>azione</strong>. In questo senso è da leggere l’afferm<strong>azione</strong> di Aristotele<br />
secondo cui il mythos è ‘imit<strong>azione</strong> dell’<strong>azione</strong>’, ossia riproduce nella composizione<br />
drammaturgica dei fatti <strong>in</strong> scena l’accadere degli eventi. E l’altro elemento essenziale<br />
costitutivo della tragedia, e del teatro più <strong>in</strong> generale, tendenzialmente trascurato nella molto<br />
riduttiva lettura moderna della Poetica di Aristotele, è la vista. Tra i c<strong>in</strong>que elementi costitutivi<br />
dell’arte tragica, accanto al più importante, il µῦθος, il filosofo riconosce la vista, l’ὄψις che,<br />
rispetto ai caratteri, al l<strong>in</strong>guaggio, al pensiero e alla musica ha una prevalenza su tutti gli altri<br />
(ὄψις ἔχει πᾶν). Il mythos <strong>in</strong>oltre è <strong>in</strong>dicato anzitutto come “composizione di fatti” (λέγω γὰρ<br />
µῦθον τοῦτον τ ὴν σύvθεσιν τῶν πραγµάτων), oltre che µίµησις πράξεως su cui la lettura<br />
modernista sembra essersi concentrata esclusivamente.<br />
Una peculiarità del teatro postdrammatico, come di tutto il teatro novecentesco improntato a<br />
una forma mentis che possiamo def<strong>in</strong>ire propria di un ‘pensare per immag<strong>in</strong>i’, è sicuramente la<br />
prevalenza del fattore visivo. È opportuno qu<strong>in</strong>di ridare a questo elemento il valore riconosciuto<br />
già da Aristotele (che completa quello della mimesis praxeos), e leggere nel teatro di Wilson il<br />
suo dispiegamento, ossia il dispiegamento della visione, dell’ὄψις.<br />
Ciò di cui E<strong>in</strong>ste<strong>in</strong> on the Beach sembra proprio sbarazzarsi è la narr<strong>azione</strong>. La non narratività<br />
di quello che viene portato <strong>in</strong> scena è quanto viene da subito dichiarato dai suoi autori, per cui lo<br />
spettacolo non <strong>in</strong>tende raccontare la storia del famoso scienziato. Pur utilizzando <strong>in</strong>dizi che<br />
rimandano alla sua biografia (il titolo nasce dalla suggestione di una fotografia <strong>in</strong> cui E<strong>in</strong>ste<strong>in</strong><br />
appare su di una spiaggia, i costumi usati <strong>in</strong> scena riprendono dettagli del suo modo di vestire,<br />
la sua figura impersonata da un viol<strong>in</strong>ista), l’<strong>in</strong>tenzione è di mettere <strong>in</strong> scena “un’opera ritratto”,<br />
come l’ha def<strong>in</strong>ita Philip Glass, senza raccontarne trama e vicende. Accade allora che molti<br />
elementi utilizzati rimand<strong>in</strong>o ad E<strong>in</strong>ste<strong>in</strong>, ma siano usati con libertà e aperti a un’ulteriorità di<br />
senso che la narr<strong>azione</strong> di una vicenda avrebbe potuto imbrigliare. Lo stesso approccio è stato<br />
utilizzato da Wilson per altre figure storiche a cui ha dedicato alcune sue opere, ad esempio The<br />
Life and Times of Sigmund Freud o The Life and Times of Joseph Stal<strong>in</strong> e, di fatto, la cre<strong>azione</strong><br />
di tutti i suoi spettacoli s<strong>in</strong> dall’<strong>in</strong>izio della carriera procede secondo una d<strong>in</strong>amica modulare,<br />
ripetendo, riprendendo e ampliando <strong>in</strong> ciascun nuovo spettacolo i motivi affrontati <strong>in</strong> quelli<br />
precedenti, e creando così una cont<strong>in</strong>uità. È uno stesso pensiero che si rivela di volta <strong>in</strong> volta<br />
nella poetica specifica di ciascuna differente opera; e Wilson per rendere questo concetto usa la<br />
23
<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
metafora eraclitea del fiume, diverso <strong>in</strong> ogni suo punto ma sempre uguale a sé stesso, svelando<br />
<strong>in</strong> questo modo l’assunto del suo creare pensato ad immag<strong>in</strong>e del divenire, dove l’immag<strong>in</strong>e è il<br />
fondamento del divenire.<br />
Foto che ritrae Albert E<strong>in</strong>ste<strong>in</strong> su di una spiaggia<br />
Per quanto la cont<strong>in</strong>uità modulare tra le opere fa sì che molte osservazioni che si possono fare<br />
per uno spettacolo valgano <strong>in</strong> generale per tutta la sua poetica, ciò non toglie che E<strong>in</strong>ste<strong>in</strong> on the<br />
Beach costituisca, <strong>in</strong> cont<strong>in</strong>uità con le prime esperienze databili dal ’65, un passaggio<br />
importante per la compiutezza della sua poetica. E la presenza della partitura musicale realizzata<br />
da Glass, perfettamente consonante alla struttura dell’opera, segna lo scarto rispetto alle opere<br />
precedenti costruite anch’esse su personaggi le cui vicende storiche sono trasfigurate<br />
poeticamente <strong>in</strong> scena. In E<strong>in</strong>ste<strong>in</strong> on the Beach la speriment<strong>azione</strong> sullo spazio e il suono va a<br />
completare quella sul tempo e la visione a cui era approdato con i lavori precedenti. Se la storia<br />
di E<strong>in</strong>ste<strong>in</strong> non è quanto Wilson <strong>in</strong>tende raccontare nell’opera, la sua immag<strong>in</strong>e è però evocativa<br />
della rivoluzione del modo di <strong>in</strong>tendere lo spazio e il tempo di cui lo scienziato è stato<br />
portavoce, rivoluzione che, di riflesso, vuole essere rappresentata <strong>in</strong> scena come trasform<strong>azione</strong><br />
del modo di <strong>in</strong>tendere e vivere lo spazio e il tempo del teatro, dist<strong>in</strong>tiva della poetica del regista<br />
statunitense rispetto al teatro che lo ha preceduto. Come ha osservato Franco Quadri, se nelle<br />
altre creazioni di Wilson l’<strong>in</strong>trusione di un personaggio storico poteva risultare puramente<br />
pretestuosa, questo è ‘veramente uno spettacolo su E<strong>in</strong>ste<strong>in</strong>’, e Wilson per parlare dello<br />
scienziato è sceso sul proprio terreno, perché ‘oltre che col suono, ha a che fare<br />
<strong>in</strong><strong>in</strong>terrottamente e esclusivamente col problema dello spazio e col problema del tempo nel<br />
teatro’ (QUADRI 1976, p. 17).<br />
Secondo Frédéric Maur<strong>in</strong>: “al tempo astratto, assoluto, omogeneo e meccanico come lo<br />
concepiva Newton, segue <strong>in</strong> Wilson un tempo <strong>in</strong>stabile, irregolare: lo stesso che ha messo a<br />
nudo E<strong>in</strong>ste<strong>in</strong> e che il regista può giocare a <strong>in</strong>terrompere, a lavorare a <strong>in</strong>vertire o a far<br />
scomparire secondo i suoi bisogni” (MAURIN 1998/2010, p. 49). Il tempo si spazializza, si offre<br />
come uno spazio da costruire, viene pensato esclusivamente rispetto a esso, e il ritmo che regola<br />
i movimenti degli attori, così come la musica, è creato rispetto allo spazio. Questo aspetto è<br />
illustrato metaforicamente anche attraverso dettagli che compaiono <strong>in</strong> scena: gli orologi<br />
collocati <strong>in</strong> scena sono orologi senza lancette oppure con lancette che si muovono all’<strong>in</strong>verso, o<br />
orologi che impiegano venti m<strong>in</strong>uti per segnare un’ora. Ma è soprattutto agito nello spazio<br />
24
<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
attraverso le coreografie dei movimenti che per rendere il senso di questo tempo si alternano<br />
nella polarità tra lentezza e velocità. Qu<strong>in</strong>di, ad esempio, alla lentezza della prima immag<strong>in</strong>e che<br />
appare nella prima scena del primo atto, ossia l’immag<strong>in</strong>e di una locomotiva che avanza<br />
impercettibilmente dal fondo della scena, si giustappone il movimento veloce e carico di energia<br />
dell’attrice – Luc<strong>in</strong>da Childs nel ’76, Kate Moran nel 2012 – che dal proscenio disegna una<br />
diagonale composta da otto passi <strong>in</strong> avanti e otto passi <strong>in</strong>dietro: l’effetto è tale che “la diversità<br />
dei tempi si sovraimprime sulla scena, i tempi diversi si urtano nella percezione”.<br />
La slow motion è un elemento essenziale nel teatro di Wilson perché la sua importanza è legata<br />
a una percezione dello spazio e del tempo diversa da quella canonica. Infatti gli esperimenti<br />
sul ralenti nascono nei suoi primi lavori teatrali dall’osserv<strong>azione</strong> di persone portatrici<br />
di handicap, che gli permette di comprendere e riprodurre sulla scena i meccanismi di una<br />
percezione diversa. L’attenzione per una percezione altra sembra la costante nei primi lavori e<br />
conferma l’esigenza da parte di Wilson di appropriarsi di un codice diverso di percezione del<br />
reale, come bagaglio fondamentale per la costruzione della sua poetica; si pensi anzitutto al caso<br />
di Raymond, il ragazzo sordomuto che appare <strong>in</strong> The Deafman Glance, ma anche al caso<br />
schizoide di C<strong>in</strong>dy <strong>in</strong> Ouverture, o a Franc<strong>in</strong>e <strong>in</strong> The Life and Time of Joseph Stal<strong>in</strong>, o alla<br />
balbuzie di Christopher Knowles <strong>in</strong> A letter for Queen Victoria. Sono tutti casi <strong>in</strong> cui Wilson<br />
scopre una percezione sensoriale dist<strong>in</strong>ta dalla comprensione verbale che <strong>in</strong> casi di ‘normalità’<br />
ha la preponderanza nel rapportarsi al reale. Ad esempio l’atrofia del tempo, che è resa dal<br />
ralenti del movimento, ha l’effetto di provocare l’ipertrofia dello sguardo, per cui, come<br />
afferma Wilson: “più gli attori si muovono lentamente, più si vedono cose”. È evidentemente<br />
questa percezione, che ha un rapporto diverso con il tempo e lo spazio, a <strong>in</strong>teressarlo e che<br />
vuole portare sulla scena.<br />
L’alternanza polare tra lentezza e velocità è totalmente f<strong>in</strong>alizzata alla costruzione di una<br />
struttura drammatica generale regolata dal ritmo. Come ha dichiarato Glass, ‘contrapporre scene<br />
contrastanti’ è un espediente drammaturgico, è funzionale all’efficacia dell’opera che deve poter<br />
essere recepita dallo spettatore. Così, secondo Glass, ‘l’assenza di un “significato” connotativo<br />
diretto ha reso molto più facile allo spettatore personalizzare questa esperienza attribuendole un<br />
“significato” particolare, emerso dal suo vissuto, mentre l’opera <strong>in</strong> sé rimaneva risolutamente<br />
astratta’. La questione del significato viene fatta qu<strong>in</strong>di rimbalzare dall’autore allo spettatore,<br />
che costruisce a piacere la storia o il senso di ciò a cui assiste; lo spettatore è libero di<br />
<strong>in</strong>terpretare come crede senza essere v<strong>in</strong>colato a precise direttive.<br />
La contrapposizione, pr<strong>in</strong>cipio drammaturgico fondante, nell’opera di Wilson trova espressione<br />
soprattutto attraverso la ripetizione e vari<strong>azione</strong>. La struttura dello spettacolo, che è la base su<br />
cui si costruisce il tutto ed è pensata e resa <strong>in</strong> immag<strong>in</strong>i, è costruita totalmente sulla ripetizione e<br />
vari<strong>azione</strong>. “Io com<strong>in</strong>cio da una forma – afferma Wilson – anche prima di sapere l’argomento.<br />
Com<strong>in</strong>cio da una struttura visiva e all’<strong>in</strong>terno di questa forma, conosco il contenuto”. (Wilson <strong>in</strong><br />
MAURIN 1998/2010, p. 87) La struttura elementare di base, concepita come un edificio – Wilson<br />
ha abbandonato gli studi di architettura per dedicarsi al teatro – viene riempita di contenuti scelti<br />
secondo dei meccanismi associativi, che si dispongono nella griglia di partenza. Così E<strong>in</strong>ste<strong>in</strong><br />
on the Beach si struttura <strong>in</strong> quattro atti, della durata di un’ora circa ciascuno, <strong>in</strong>frammezzati da<br />
c<strong>in</strong>que Knee Plays, o giunture (letteralmente: ‘scene g<strong>in</strong>occhio’) della durata di circa dieci<br />
m<strong>in</strong>uti, che <strong>in</strong>quadrano ogni atto dando così l’idea di un’opera pensata nella sua <strong>in</strong>terezza come<br />
corpo o organismo anatomico. Ciascun atto si compone a sua volta di due scene eccetto il<br />
quarto e ultimo atto che è composto da tre; nel corso dei diversi quadri che formano questa<br />
struttura, tre elementi costituiti da immag<strong>in</strong>i emblematiche o tipi di ambiente-immag<strong>in</strong>e, ossia<br />
un treno, un tribunale e un campo-macch<strong>in</strong>a spaziale si alternano e ripetono per tre volte<br />
trasformandosi via via. La struttura è modulare secondo il ripetersi, l’accorparsi e l’alternarsi<br />
della scansione dei numeri 1-2-3. Di modo tale che nei primi tre atti i tre elementi si ripetono<br />
due volte con alternanze e comb<strong>in</strong>azioni di ambienti <strong>in</strong>terni ed esterni: così il treno (1), il<br />
processo (2) e il campo-macch<strong>in</strong>a spaziale (3) si dispongono nell’ord<strong>in</strong>e 1-2 (nel primo atto), 3-<br />
25
<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
1 (nel secondo atto), 2-3 (nel terzo atto), andando a formare <strong>in</strong> successione la serie 1-2-3/1-2-3.<br />
Inf<strong>in</strong>e, nel quarto atto ricompaiono tutti e tre gli elementi però trasformati.<br />
Scena 1B del II Atto<br />
Gli elementi che compongono gli atti, nel ricomparire nelle varie scene, implicano ogni volta un<br />
mutamento del punto di visione e della prospettiva, per cui nella prima scena il treno appare<br />
avanzare lentamente dal fondo della scena da destra verso s<strong>in</strong>istra, nella seconda scena <strong>in</strong>vece si<br />
<strong>in</strong>travvede la coda del treno; il tribunale, che appare frontalmente nella prima scena con accanto<br />
un letto, nella seconda è sezionato e appare per metà come prigione; il campo è percorso da<br />
un’astronave/macch<strong>in</strong>a del tempo che attraversa lo spazio e nella seconda scena si avvic<strong>in</strong>a <strong>in</strong><br />
primo piano; nella terza scena gli elementi che tornano sono trasfigurati: il treno è trasformato<br />
<strong>in</strong> edificio che ne mantiene i contorni, il tribunale è sostituito <strong>in</strong>teramente dal letto che prima gli<br />
stava accanto e si trasfigura ulteriormente all’arrivo dell’astronave/macch<strong>in</strong>a del tempo di cui<br />
alla f<strong>in</strong>e si <strong>in</strong>travvede l’<strong>in</strong>terno.<br />
Nella metamorfosi delle scene si riconoscono così gli elementi nel loro cont<strong>in</strong>uo differire. I<br />
Knee Plays agiscono sia da taglio che da sutura, qu<strong>in</strong>di appartengono a pieno titolo alla struttura<br />
e però la destabilizzano: rispetto all’opera totale possono <strong>in</strong>trodurre un pr<strong>in</strong>cipio di<br />
discont<strong>in</strong>uità, d’alternanza e di specularità. La struttura dello spettacolo qu<strong>in</strong>di si def<strong>in</strong>isce come<br />
ha osservato Maur<strong>in</strong> attraverso “una dialettica spazialista con il divenire, attraverso un ritmo<br />
temporale che nasce, come una tavola visiva, dai rapporti di equilibrio e di simmetria, di<br />
disequilibrio e d’asimmetria, tra differenti unità costitutive”. Infatti, oltre alla polarità<br />
lentezza/velocità anche la polarità ripetizione/vari<strong>azione</strong> ha l’effetto di rovesciare l’ord<strong>in</strong>e<br />
strettamente cronologico del tempo.<br />
26
<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
Scena da Knee Play<br />
Ciò non toglie che le immag<strong>in</strong>i utilizzate, quali il treno o l’astronave, avessero nelle <strong>in</strong>tenzioni<br />
di Wilson anche un valore storico rispetto alla vita di E<strong>in</strong>ste<strong>in</strong>, <strong>in</strong>dicando “<strong>in</strong> qualche modo la<br />
misura della durata della sua vita”, ad esempio il treno come mezzo di trasporto ai tempi<br />
dell’<strong>in</strong>fanzia dello scienziato e l’astronave come emblema dello sviluppo della tecnologia al<br />
momento della morte. Allo stesso modo un disco nero che ricopre un quadrante di un orologio<br />
con due luci alle estremità del diametro <strong>in</strong>tende ricondurre per analogia alla eclissi di luna che<br />
nel 1919 ha confermato la teoria della curvatura dello spazio formulata dallo scienziato. Gli<br />
eventi storici, i dettagli accaduti realmente sono così trasfigurati nel prodotto artistico <strong>in</strong> entità<br />
mitico-poetiche; per questa ragione il teatro di Wilson è stato letto anche come una delle<br />
‘mitologie artistiche dei nostri tempi’ o un teatro ‘neomitico’. Secondo Maur<strong>in</strong>, non si tratta<br />
tanto di immag<strong>in</strong>i della storia, ma “di immag<strong>in</strong>i tagliate della storia”, per cui nella cre<strong>azione</strong><br />
<strong>in</strong>terviene il decoupage, il taglio, l’estr<strong>azione</strong> del dato, del fatto storico che viene ricollocato <strong>in</strong><br />
un nuovo contesto, e per questo trasfigurato poeticamente. Sono immag<strong>in</strong>i mitiche<br />
<strong>in</strong>differentemente Medea o Prometeo, E<strong>in</strong>ste<strong>in</strong> o Freud, piuttosto che Stal<strong>in</strong> o Faust, tutte figure<br />
che compaiono <strong>in</strong> forme diverse nei suoi spettacoli e tutte figure riassorbite nel contesto virtuale<br />
di un catalogo d’immag<strong>in</strong>i della storia dell’umanità, che sembra fungere, come ha notato<br />
Marranca, da immenso archivio da cui att<strong>in</strong>gere a piene mani.<br />
Si comprende ulteriormente questa accezione di mitico se si <strong>in</strong>tende il teatro immag<strong>in</strong>e di<br />
Wilson come <strong>in</strong>dicativo del montaggio del visuale proprio dell’epoca contemporanea, perché di<br />
fatto il metodo dell’artista americano si realizza, come ha scritto Maur<strong>in</strong>, attraverso un vero e<br />
proprio “pensare <strong>in</strong> immag<strong>in</strong>i”. È attraverso il montaggio di immag<strong>in</strong>i che Wilson assembla<br />
elementi eterogenei e compone le sue opere. Anche una sola immag<strong>in</strong>e è considerata da Wilson<br />
un elemento mitico e <strong>in</strong> quanto tale di per sé già una storia: <strong>in</strong> occasione di un'<strong>in</strong>tervista l’artista<br />
americano dichiara che l’ide<strong>azione</strong> di un’opera com<strong>in</strong>cia dalla def<strong>in</strong>izione dello spazio e della<br />
struttura con cui viene composta la scena: “la prima cosa che faccio quando penso a una pièce<br />
sono i diagrammi della scena. È quello il mio punto di partenza. Una volta stabilito il mio<br />
spazio la storia è narrata. Per esempio basta mostrare una sala di una corte e la cosa essenziale è<br />
detta, perché sei già di fronte a una situ<strong>azione</strong> mitica”. (Wilson <strong>in</strong> ADNAN 1976, p. 18)<br />
Sulla scena si assiste a un ripetersi e variare di motivi che, anche rispetto alla resa scenica di<br />
azioni propria del teatro drammatico o alla narr<strong>azione</strong> di eventi (la mimesis praxeos), può essere<br />
27
<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
spiegato come un processo di ‘metamorfosi’ come lo ha def<strong>in</strong>ito Lehmann. Le ripetizioni e<br />
variazioni trasportano lo spettatore <strong>in</strong> un “universo immag<strong>in</strong>ario fatto di trasformazioni,<br />
d’ambiguità e di corrispondenze” <strong>in</strong> cui realtà uguali e eterogenee vengono collegate <strong>in</strong> una<br />
pluralità di piani. In un cosmo che può essere <strong>in</strong>teso come mitico, come il microcosmo degli<br />
spettacoli wilsoniani, non c’è term<strong>in</strong>e migliore per rendere il senso del movimento e della<br />
trasform<strong>azione</strong> della forma che quello di metamorfosi. Come “il fenomeno precede la<br />
narr<strong>azione</strong>” allo stesso modo, si può affermare, sempre con Lehmann, il carattere fenomenico<br />
delle opere di Wilson: l’aspetto morfogenetico <strong>in</strong> cui cogliere e catturare il trasformarsi della<br />
forma.<br />
Wilson compara esplicitamente il suo teatro ai processi naturali, la vita che <strong>in</strong>tende portare <strong>in</strong><br />
scena è parte della molteplicità cosmica, <strong>in</strong> un’idea di cosmo dove non è affermata la divisione<br />
tra spazio e tempo, soggetto e oggetto, per cui lo spazio non è concepito secondo un apriori<br />
kantiano, implicito nella visione newtoniana ed euclidea, ma è un pullulare di processi, è saturo<br />
di dispersioni, diffrazioni, variazioni. Anche le parti costitutive dell’opera sono chiamate da<br />
Wilson con una term<strong>in</strong>ologia pittorica e naturalistica: i Knee Plays, che utilizza <strong>in</strong> tutti i suoi<br />
spettacoli, corrispondono a dei ‘ritratti’ perché si compongono di oggetti o persone <strong>in</strong> primo<br />
piano; le scene <strong>in</strong> cui compare il treno o il processo sono <strong>in</strong>tese come ‘nature morte’ perché si<br />
collocano <strong>in</strong> una profondità di campo <strong>in</strong>termedia; e le scene di danza e movimenti degli attori<br />
nello spazio sono ‘paesaggi’, perché utilizzano tutto lo spazio del palcoscenico e sfruttano tutta<br />
la profondità di campo. A questi tre tipi di spazio corrispondo <strong>in</strong>oltre tre gradi di <strong>in</strong>tensità<br />
espressiva del gesto che va da un’<strong>in</strong>tensità m<strong>in</strong>ima a una media a una massima.<br />
Scena da Knee Play<br />
E<strong>in</strong>ste<strong>in</strong> on the Beach è tutto costruito sulla comb<strong>in</strong><strong>azione</strong> di strati vocali, musicali e verbali<br />
realizzati secondo le stesse modalità di ripetizione e vari<strong>azione</strong> progressiva, per cui accade che<br />
una stessa scena è ripetuta <strong>in</strong> momenti diversi e atti diversi dello spettacolo con m<strong>in</strong>ime<br />
variazioni: qu<strong>in</strong>di ad esempio il movimento dell’attrice lungo la diagonale si ripete, ma spostato<br />
rispetto al punto spaziale <strong>in</strong> cui veniva fatto prima, o un’<strong>azione</strong> viene ripetuta quasi identica<br />
salvo qualche vari<strong>azione</strong> nei movimenti o un suono si ripete ma leggermente modificato. Anche<br />
la drammaturgia – quella che Marranca ha def<strong>in</strong>ito “una drammaturgia del testo disperso”<br />
28
<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
poiché si tratta più che altro di testi, per la precisione undici brani <strong>in</strong> tutto, che vengono cantati o<br />
parlati <strong>in</strong> ord<strong>in</strong>e sparso da qualche personaggio – si struttura secondo la stessa modalità, ossia si<br />
sviluppa nella ripetizione di una stessa frase che può progressivamente addizionarsi di parole; si<br />
tratta di parole che fungono da unità sonore, che valgono come atomi di materialità fonica che si<br />
amalgamano al suono e al movimento.<br />
Il senso della ripetizione <strong>in</strong> Wilson sta tutto, come ha colto Maur<strong>in</strong>, nella funzione “di dire o<br />
mostrare lo stesso diversamente, di dire o mostrare l’altro dello stesso; <strong>in</strong> breve, di salvare la<br />
differenza dallo scoglio della ridondanza”. (MAURIN 1998/2010, p. 119) Nella ripetizione si<br />
riverbera il rapporto tra l’unità e la molteplicità. Si tratta della stessa funzione e significato della<br />
ripetizione utilizzata nella scrittura da Gertrud Ste<strong>in</strong>, che ha profondamente <strong>in</strong>fluenzato la<br />
poetica di Wilson. Nel ‘presente cont<strong>in</strong>uo’ teorizzato dalla scrittrice americana un oggetto o un<br />
personaggio è mostrato nella sua identità da prospettive ogni volta differenti. È il senso della<br />
famosa espressione “a rose is a rose is a rose”, secondo cui una rosa può essere rossa per la<br />
prima volta dopo un secolo di poesia <strong>in</strong>glese; espressione che qu<strong>in</strong>di non è da <strong>in</strong>tendersi come<br />
una conferma del pr<strong>in</strong>cipio logico dell’identità di una cosa con se stessa quanto, al contrario,<br />
l’afferm<strong>azione</strong> del riverbero della novità, della sua identità vivente, nella ripetizione e<br />
vari<strong>azione</strong> cont<strong>in</strong>ua. L’iter<strong>azione</strong>, afferma Mour<strong>in</strong>, ha il potere di “cristallizzare l’essenza” e<br />
questo però avviene nello spostamento cont<strong>in</strong>uo, per cui questa ‘essenza’ è ogni volta differente<br />
poiché l’istante con il quale co<strong>in</strong>cide non è mai lo stesso. Secondo Gertrud Ste<strong>in</strong> nella<br />
ripetizione, come nell’<strong>in</strong>sistenza che qualifica il movimento della vita, ogni volta c’è una<br />
differenza perché si colloca ogni volta nel presente, <strong>in</strong> un presente che è ogni volta differente.<br />
La rosa si dice ogni volta nella differenza, garantisce la ripetizione: è ciò che sposta e differisce<br />
cont<strong>in</strong>uamente l’identità ontologica; è ciò che acuisce la differenza precisa di ogni fenomeno.<br />
Il modello di scrittura di Gertrude Ste<strong>in</strong> è considerato da Lehmann come riferimento<br />
drammaturgico rilevante per comprendere l’istanza ant<strong>in</strong>arrativa propria del teatro<br />
postdrammatico. Wilson è giudicato il regista ideale per la realizz<strong>azione</strong> scenica delle opere<br />
teatrali e non di Ste<strong>in</strong>, ignorate o considerate a lungo non trasponibili. A permettere<br />
l’afferm<strong>azione</strong> di questa ‘fili<strong>azione</strong>’ è lo stesso Wilson che dichiara come la lettura di The<br />
Mak<strong>in</strong>g of Americans lo abbia portato a fare teatro. La Ste<strong>in</strong> con il term<strong>in</strong>e ‘Landscape Play’<br />
<strong>in</strong>troduce l’idea che il teatro, la scena e il testo sono da <strong>in</strong>tendersi come paesaggio, ossia<br />
esprime la volontà di rapportarsi al teatro, a quanto si realizza sulla scena, sia dal punto di vista<br />
dell’autore che dello spettatore, come si trattasse della contempl<strong>azione</strong> di un parco o di un<br />
paesaggio, dove qu<strong>in</strong>di la spazialità e la visione che la coglie hanno un ruolo assolutamente<br />
preponderante.<br />
Significativamente, lo scrittore e drammaturgo americano Thornton Wilder, amico di Ste<strong>in</strong>,<br />
autore di prefazioni ai suoi libri e <strong>in</strong>fluenzato nella scrittura teatrale anch’esso dall’opera The<br />
Mak<strong>in</strong>g of Americans, spiega l’assimil<strong>azione</strong> da parte di Ste<strong>in</strong> del teatro al paesaggio nella<br />
dimensione del presente propria del mito e che trascende la narr<strong>azione</strong>: “Un mito non è una<br />
storia che si legge da s<strong>in</strong>istra a destra, dall’<strong>in</strong>izio alla f<strong>in</strong>e, ma una cosa che si ha costantemente<br />
davanti agli occhi. Può essere ciò che voleva dire Gertrude Ste<strong>in</strong> quando pensava a una pièce di<br />
teatro come un paesaggio”. (LEHMANN [1999] 2002, p. 95) La dimensione del presente come<br />
propria del mito è allo stesso tempo la dimensione del presente che Wilder afferma come<br />
paradosso del teatro: “sul palco è sempre ‘ora’: i personaggi sono sempre <strong>in</strong> piedi sul quel<br />
rasoio-bordo, tra il passato e il futuro, che è proprio dell’essere coscienti; le parole salgono alle<br />
loro labbra <strong>in</strong> una spontaneità immediata”. (WILDER 1956, p. 25) Il teatro contemporaneo e<br />
postdrammatico ha voluto catturare totalmente questo presente, cercando di metterlo <strong>in</strong> scena.<br />
Così il pr<strong>in</strong>cipio del “cont<strong>in</strong>uo presente”, gli <strong>in</strong>tervalli di tempo presente che condensano<br />
nell’attimo il passato e il futuro, reso nella scrittura di Ste<strong>in</strong>, trovano concretizz<strong>azione</strong> sulle<br />
scene con l’annullamento della narr<strong>azione</strong> drammatica o storica, di protagonisti def<strong>in</strong>iti o<br />
personaggi identificabili con nettezza.<br />
29
<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
Scena 3C del IV Atto<br />
Allora è la novità ciò che Wilson cerca nella ripetizione: cerca l’effetto della resistenza e del<br />
decentramento percettivo mettendo ogni volta <strong>in</strong> gioco l’identità di quanto viene ripetuto.<br />
Questo vale per l’opera <strong>in</strong>tesa nel complesso, come ripetizione e vari<strong>azione</strong> di scene nel<br />
passaggio da un atto all’altro, e vale per ciascun elemento che compone la scena, dalla musica<br />
alla coreografia. Così la musica def<strong>in</strong>ita m<strong>in</strong>imalista o post-m<strong>in</strong>imalista creata da Glass<br />
per E<strong>in</strong>ste<strong>in</strong> on the Beach segue gli stessi meccanismi della struttura drammaturgica, per cui il<br />
materiale elementare di base, seguendo la modalità della ripetizione e vari<strong>azione</strong> del processo<br />
additivo e ciclico, dà vita a sequenze <strong>in</strong> cont<strong>in</strong>ua trasform<strong>azione</strong> che danno il senso del<br />
movimento e del divenire, l’effetto di staticità dato della ripetizione è apparente: secondo lo<br />
stesso Glass la “musica non si ripete mai, ma cambia per tutto il tempo”. E di riflesso, anche per<br />
ciò che concerne la coreografia, a seconda della prospettiva viene di volta <strong>in</strong> volta colta la<br />
vari<strong>azione</strong> di uno stesso elemento.<br />
L’opera di Wilson è <strong>in</strong>dicativa di come l’opsis, la visione, sia attivata e composta secondo delle<br />
regole che def<strong>in</strong>iscono la struttura compositiva delle immag<strong>in</strong>i e queste regole rispondano al<br />
meccanismo del montaggio. La frammentarietà con cui si qualifica la caratteristica dell’opera<br />
postdrammatica, spesso con un’accezione caotica, nega solo apparentemente il pr<strong>in</strong>cipio della<br />
mimesis praxeos: come si è già detto, nello spettacolo di Wilson i Knee Plays sono elementi di<br />
frattura, di <strong>in</strong>tervallo, ma allo stesso tempo sono elementi di sutura, di rel<strong>azione</strong> e collegamento.<br />
La framment<strong>azione</strong> è un processo ambivalente, nella separ<strong>azione</strong> e nell’<strong>in</strong>tervallo c’è al tempo<br />
stesso la coord<strong>in</strong><strong>azione</strong>, la rel<strong>azione</strong>, il collegamento, il dialogo tra le parti: <strong>in</strong> questa duplicità<br />
sta il pr<strong>in</strong>cipio del montaggio. E questo stesso pr<strong>in</strong>cipio, che si struttura secondo la d<strong>in</strong>amica del<br />
contrasto, del contrappunto, della polarità semantica, è riconoscibile all’opera sia nella<br />
drammaturgia antica <strong>in</strong> cui si tende a leggere soprattutto il meccanismo della mimesis<br />
praxeos che <strong>in</strong> quella postdrammatica <strong>in</strong> cui si vede concretizzato soprattutto l’opsis. E però è<br />
r<strong>in</strong>venibile all’opera anche dietro le narrazioni del teatro moderno riconosciuto come<br />
propriamente drammatico, là dove a far dramma è per l’appunto il meccanismo compositivo<br />
polare e non la presenza o meno della storia.<br />
Ne consegue che sostenere la postdrammaticità come neg<strong>azione</strong> della mimesis praxeos implica<br />
attribuire al mythos, all’<strong>in</strong>treccio che dà forma alla narr<strong>azione</strong> delle storie, una logicità che<br />
appartiene <strong>in</strong>vece pienamente solo al logos – al pensiero logico razionale che ha posto l’identità<br />
30
<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
di una cosa con se stessa, la consequenzialità sillogistica, il pr<strong>in</strong>cipio di causalità, escludendo<br />
ambiguità e polarità semantica – e non riconoscere <strong>in</strong>vece nella struttura del mythos la tramatura<br />
del meccanismo del montaggio, che non risponde a quella logicità ma al pr<strong>in</strong>cipio del contrasto<br />
e per l’appunto dell’ambiguità e polarità. La categorizz<strong>azione</strong> proposta da Lehmann avviene<br />
all’<strong>in</strong>terno dell’acquisizione <strong>in</strong>debita che il logos ha fatto del mythos, riconducendolo alla<br />
propria logicità; e nel momento <strong>in</strong> cui il pensiero ‘postrammatico’ o ‘postmoderno’ vuole<br />
sottrarre al mythos questa logicità per affermare l’opsis, la pura visibilità di contro alla<br />
narr<strong>azione</strong>, non può che negarlo tout court. Il pensiero contemporaneo e la riflessione sul teatro<br />
contemporaneo può <strong>in</strong>vece salvare il mythos se ne riconosce la sua coappartenenza all’opsis.<br />
Una coappartenenza che si fonda sulla condivisione della stressa struttura compositiva<br />
elementare di base, ossia quella del montaggio, che è meccanismo mitopoietico per eccellenza.<br />
Allora l’opsis, la pura visibilità, il darsi sensibile della cosa non contraddice l’<strong>in</strong>treccio<br />
narrativo, il mythos, ma ne è la sua parte costitutiva, il suo complementare. Ciò che qualifica la<br />
loro apparente differenza è una questione di prospettiva, si tratta, come ha scritto Rancière, di<br />
vedere lo stesso fenomeno da due punti differenti, ossia di vedere l’<strong>in</strong>f<strong>in</strong>itamente piccolo (il<br />
particolare, il materiale) piuttosto che l’<strong>in</strong>f<strong>in</strong>itamente grande (l’ideale come tipo, come s<strong>in</strong>tesi<br />
del molteplice), o di riconoscere all’opera nell’uno come nell’altro il medesimo meccanismo<br />
basilare del montaggio, al di là della diversa comb<strong>in</strong><strong>azione</strong> che può regolare la connessione o<br />
sconnessione tra le parti, facendo prevalere l’<strong>in</strong>treccio o la visibilità. L’opera di Wilson è qu<strong>in</strong>di<br />
drammaturgica nella misura <strong>in</strong> cui, nella struttura compositiva, risponde al meccanismo del<br />
contrappunto, della polarità che regola l’articol<strong>azione</strong> per montaggio all’opera sia nella<br />
‘mimesis praxeos’ che nell’opsis, i due poli che danno forma al mythos. Qu<strong>in</strong>di è attuale, ancora<br />
oggi rispetto alla sua prima edizione non solo perché risponde al codice ancora vivo che ha<br />
<strong>in</strong>augurato ma anche perché risponde alla regola, elementare, della partitura drammatica.<br />
English Abstract<br />
On the occasion of the <strong>in</strong>ternational revival of E<strong>in</strong>ste<strong>in</strong> on the Beach, Robert Wilson’s masterpiece dated<br />
1976, this paper proposes a reflection on the topicality of the work that changed, among other th<strong>in</strong>gs, the<br />
history of musical theater: the orig<strong>in</strong>ality of Wilson's play lies <strong>in</strong> its dramatic structure which deeply<br />
renews contemporary stag<strong>in</strong>g and still rema<strong>in</strong>s faithful, at the same time, to the basic pr<strong>in</strong>ciples of<br />
dramaturgical composition. While Hans-Thies Lehmann considers Wilson’s work as one of the best<br />
examples of 'postdramatic' theater, because of the subord<strong>in</strong>ate importance of the 'story' that lies<br />
underneath staged narration, this paper asserts that it is not the fairytale that ‘makes drama’ but its<br />
structural composition which, always, follows the pr<strong>in</strong>ciples of montage: that is, the juxtaposition of<br />
heterogeneous elements composed by counterpo<strong>in</strong>t, by semantic polarity, where the parts are comb<strong>in</strong>ed<br />
and connected ma<strong>in</strong>ly by a relationship based on conflict, contrast and opposition. This mechanism<br />
‘makes drama’ when is at work both <strong>in</strong> 'predramatic' theater – e.g. <strong>in</strong> Aeschylus' Greek tragedy – and <strong>in</strong><br />
'postdramatic' theater, because it consists of the same elementary structure: montage can be considered<br />
the mythmak<strong>in</strong>g mechanism par excellence.<br />
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Riferimenti bibliografici<br />
<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
E<strong>in</strong>ste<strong>in</strong> on the Beach, opera <strong>in</strong> quattro atti, Edizioni del Teatro Municipale Valli, Reggio Emilia 2012.<br />
ADNAN 1976<br />
Etel Adnan, Intervista con Robert Wilson, tr. it. <strong>in</strong> Franco Quadri (a cura di), Il teatro di Robert Wilson, Venezia,<br />
Edizioni de La Biennale, 1976.<br />
QUADRI 1976<br />
Franco Quadri, a cura di, Il teatro di Robert Wilson, Venezia, Edizioni de La Biennale, 1976.<br />
LEHMANN [1999] 2002<br />
Hans-Thies Lehmann, Postdramatisches Theater, tr. fr. Le Théâtre postdramatique, Paris, L’Arche, 2002.<br />
MARRANCA [1996] 2006<br />
Bonnie Marranca, Robert Wilson and the Idea of the Archive. Drammaturgy as an Ecology, tr. it. Robert Wilson e<br />
l’idea di archivio. Drammaturgia come ecologia, <strong>in</strong> V. Valent<strong>in</strong>i (a cura di) American Performance 1975-2005,<br />
Roma, Bulzoni, 2006.<br />
MAURIN 1998/2010<br />
Frédéric Maur<strong>in</strong>, Robert Wilson, Le temps pour voir, l’espace pour écouter, Paris, Actes Sud, 2010.<br />
RANCIÈRE [2001] 2006<br />
Jacques Rancière, La favola c<strong>in</strong>ematografica, tr. it. Pisa, Edizioni ETS, 2006.<br />
WILDER 1956<br />
Thornton Wilder, Thornton Wilder <strong>in</strong>terviewed by Richard H. Goldstone, “Paris Review”, n. 15, W<strong>in</strong>ter 1956.<br />
32
<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
“C’È UNA NUVOLA IN UN PEZZO DI CARTA”<br />
Attualità del mito nel teatro di Peter Sellars *<br />
Abbiamo <strong>in</strong>contrato Peter Sellars lo scorso novembre al Teatro Palladium di Roma nel contesto<br />
del Romaeuropa Festival 2010. Qui il regista statunitense si trovava per la prima italiana di<br />
Kafka Fragments, la messa <strong>in</strong> scena dell’opera composta da György Kurtág per soprano e<br />
viol<strong>in</strong>o su una tessitura di frasi tratte dai diari, lettere e aforismi privati di Franz Kafka. I Kafka<br />
Fragmente, creati tra il 1985 e il 1986 dal compositore romeno naturalizzato ungherese, sono<br />
costituiti da quaranta frammenti, divisi <strong>in</strong> quattro parti, che musicati durano da una manciata di<br />
secondi a sette m<strong>in</strong>uti; i temi a cui fanno riferimento i brani sono vari: l’amore, il sogno, il<br />
dolore, l’esilio, la musica... La sapiente regia riesce a esaltare l’accostamento ardito tra soprano<br />
e viol<strong>in</strong>o – gli ottimi Dawn Upshaw e Geoff Nuttal –, rendendo a tutti gli effetti voce e suono<br />
personaggi teatrali. Sellars mette la voce nei panni di una casal<strong>in</strong>ga alle prese con le attività<br />
domestiche, e il suono <strong>in</strong> quelli di un musicista da strada, con l’effetto di catapultare a terra,<br />
nella brutale quotidianità, le altezze toccate dai frammenti. La scena che contorna i due è<br />
essenziale: i frammenti leggibili su schermi posti alle spalle degli artisti si alternano a un veloce<br />
susseguirsi di immag<strong>in</strong>i suggestive e contestualizzanti realizzate da David Michalek.<br />
<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Ho letto alcune sue <strong>in</strong>terviste <strong>in</strong> cui parla di ‘fare mitologia’, creare ‘sistemi mitologici’ <strong>in</strong> cui<br />
le ‘immag<strong>in</strong>i risuonano’. Può spiegarmi esattamente cosa <strong>in</strong>tende con queste espressioni?<br />
Come possiamo parlare di mitologia oggi? Che significato ha per noi oggi?<br />
Peter Sellars<br />
Penso che molto abbia a che fare con la prima <strong>in</strong>fanzia: appena nati si è impressionabili, ci sono<br />
immag<strong>in</strong>i che rimangono impresse molto fortemente. Poi, quando si è grandi, capitano delle<br />
esperienze che toccano quelle impressioni. La psicologia ci ha <strong>in</strong>segnato che queste sono le cose<br />
che ci formano, che formano la nostra sensibilità. Stiamo prendendo consapevolezza che la cosa<br />
più importante che possiamo fare è assicurarci che i bamb<strong>in</strong>i siano curati molto bene alla scuola<br />
materna, ossia che l’<strong>in</strong>vestimento più profondo dell’essere umano deve avvenire presto nella<br />
vita, <strong>in</strong> questi primissimi anni, e non più tardi. Questa prima fase è fondamentale perché al<br />
bamb<strong>in</strong>o possono essere dati gli strumenti per avere <strong>in</strong> mano il proprio dest<strong>in</strong>o. Le impressioni<br />
che si vivono <strong>in</strong> quel periodo creano una camera di risonanza e così, quando qualcosa tocca<br />
quelle prime impressioni, colpisce il centro del proprio essere e dei momenti formativi<br />
dell’essere umano: va a toccare, cioè, qualcosa che è al centro della propria identità e quel che si<br />
percepirà poi non saranno che delle semplici <strong>in</strong>formazioni. Dunque, per sviluppare un tema caro<br />
a Platone, la nostra <strong>in</strong>fanzia è fatta di tantissime <strong>in</strong>fanzie precedenti, queste impressioni vanno<br />
<strong>in</strong>dietro di tante vite e noi ci troviamo <strong>in</strong> mezzo a un’impressione che è stata creata cento vite fa.<br />
Poi, tutto d’un tratto, qualcosa tocca l’epicentro del nostro essere da una vita precedente: questa<br />
è la mitologia. È qualcosa che si conosce molto bene e che viene dai primi anni della propria<br />
esistenza.<br />
Qu<strong>in</strong>di esiste una specie di “camera di risonanza” che si è formata. La risonanza è una cosa<br />
davvero speciale, basti pensare ad esempio a quanto succede nella musica classica. Kafka<br />
Fragments, questa performance, risuona diversamente <strong>in</strong> una bellissima sala da concerti. A<br />
Londra l’abbiamo fatta <strong>in</strong> una sala del Barbican dove di solito suona la London Symphony<br />
Orchestra: la sala è fatta apposta per creare la risonanza, perché è tutta di legno, qu<strong>in</strong>di quando<br />
* In Appendice di questo stesso volume la versione orig<strong>in</strong>ale, <strong>in</strong> l<strong>in</strong>gua <strong>in</strong>glese, dell’<strong>in</strong>tervista.<br />
33
<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
Geoff Nuttall suona il viol<strong>in</strong>o la risonanza col legno crea un calore, una presenza, una risonanza<br />
speciale appunto. Qui a Roma, lo spazio del Palladium, è stato pensato per la musica rock: non<br />
c’è legno nell’architettura, e il viol<strong>in</strong>o è un po’ freddo e un po’ solo; le note sono<br />
“semplicemente” note. Invece la risonanza si ha quando l’ambiente risponde, e qu<strong>in</strong>di un suono<br />
o un’impressione viaggia oltre se stesso perché è <strong>in</strong> un ambiente che lo riconosce, perché è <strong>in</strong><br />
solidarietà, <strong>in</strong> un rapporto di simpatia: e l’impressione diventa più profonda, più ricca… A Los<br />
Angeles, per fare un altro esempio, c’è una meravigliosa sala da concerti disegnata da Frank O.<br />
Gehry, la “Walt Disney Concert Hall”, dove abbiamo portato Kafka Fragments. la sala è stata<br />
costruita da Yasuhisa Toyota che si è ispirato al teatro tradizionale giapponese Nō, che è<br />
<strong>in</strong>teramente di legno, e sotto il palcoscenico dei teatri ci sono dei tamburi, qu<strong>in</strong>di, quando gli<br />
attori lo calpestano si avverte una risonanza del suono, perché il palcoscenico stesso è un organo<br />
di risonanza. Quando c’è una percussione l’effetto è amplificato. La stessa cosa può dirsi per<br />
Epidauro. Quella dell’acustica è la questione più importante per l’estetica greca, proprio perché<br />
era basata sul suono e sulla maschera-persona, attraverso la quale si faceva arrivare il suono.<br />
Tutto è centrato sulla risonanza e per i greci era molto importante questo qualcosa che tocca il<br />
centro dell’essere, non solo la superficie. Come per la sala da concerti disegnata dal signor<br />
Toyota con i pr<strong>in</strong>cipi del teatro Nō – là dove la superficie sembra liscia ma <strong>in</strong> realtà sotto<br />
contiene questi giganteschi organi di risonanza, i risuonatori, che vibrano, che tengono il suono<br />
– così la curva degli anfiteatri greci tiene il suono: non è un’architettura di rettangoli, ma è<br />
l’architettura di un profondissimo risuonatore che tiene il suono. Questo ricettacolo è tanto<br />
importante perché tiene, ricrea, amplifica. Qu<strong>in</strong>di non si tratta di portare qualcosa da “fuori” a<br />
“dentro”, ma il risuonatore è dentro ogni essere umano…<br />
D.S.<br />
Dawn Upshaw <strong>in</strong> Kafka Fragments<br />
Ciò di cui mi piacerebbe discutere con lei è la sua idea che il teatro “riveli l’<strong>in</strong>visibile”. Può<br />
dirmi cosa <strong>in</strong>tende per <strong>in</strong>visibile? Che cosa viene reso visibile? C’è qualche connessione con<br />
l’espressione di Paul Klee per cui “l’arte non riproduce il visibile ma rende visibile”?<br />
Possiamo pensare all’arte teatrale <strong>in</strong> questi term<strong>in</strong>i?<br />
Peter Sellars<br />
Molto semplicemente, l’arte sta <strong>in</strong>torno a noi ma è <strong>in</strong>visibile, non la puoi toccare: come l’amore,<br />
che è ovunque ma non lo vediamo. I maggiori sentimenti, i pensieri più importanti, i pr<strong>in</strong>cipi<br />
della vita sono tutti <strong>in</strong>visibili e il mondo visibile non ha quasi nulla a che fare con i sentimenti<br />
34
<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
personali. Eppure, il mondo visibile è un miracolo: la luce sugli alberi verso la f<strong>in</strong>e della<br />
giornata, ieri, qui a Roma, era <strong>in</strong>credibile, la luna piena che sale verso f<strong>in</strong>e pomeriggio… Il<br />
mondo visibile è magnifico. Come dice il Corano, il mondo è anche fatto per essere letto, la<br />
bellezza non è semplicemente la luna o il tramonto o le rond<strong>in</strong>i che scendono verso il fiume<br />
facendo dei disegni nel cielo, ma è anche un messaggio: si impara a leggere il cielo, la luna, il<br />
sole. Tutti questi sono anche dei testi, sono un messaggio di una cre<strong>azione</strong> più immensa, di una<br />
durata di tempi più lunga di un ciclo di vita. Qu<strong>in</strong>di il mondo visibile, come direbbe il Corano, è<br />
un segno che le persone possono decifrare, non l’oggetto <strong>in</strong> se stesso.<br />
Allo stesso modo, la mia sens<strong>azione</strong> rispetto al testo musicale di Kurtág non è il punto di<br />
partenza, né il punto di arrivo: è il vascello, il viaggio, non è la dest<strong>in</strong><strong>azione</strong>. Il punto di<br />
partenza deve essere qualcosa dentro di te, quando per esempio stai avendo un’esperienza<br />
profonda e guardi il cielo, vedi tante cose diverse, e il cielo significa tutte queste cose. Il mondo<br />
visibile deve essere attivato dai tuoi sentimenti <strong>in</strong>terni, dalla tua capacità di cre<strong>azione</strong>, dalla tua<br />
vita <strong>in</strong>terna. Qu<strong>in</strong>di, anche al contrario, il mondo visibile è fatto per risvegliare le tue domande<br />
sulla vita, sul significato della vita. Ed è anche lì per ricordarti che hai un’altra giornata a<br />
disposizione, che il sole risorgerà e tu ci puoi riprovare, che questi sono tutti dei messaggi<br />
profondi e che qu<strong>in</strong>di tutti i cerchi nel mondo e tutte le l<strong>in</strong>ee dritte sono, come diceva Platone,<br />
un’altra geometria, un altro tipo di ord<strong>in</strong>e. Credo che questo sia il potere della scienza, così<br />
come credo che l’arte funzioni <strong>in</strong> parallelo alla scienza, e stia a guardare il mondo visibile<br />
cercando i suoi pr<strong>in</strong>cipi e non quello che il mondo visibile dice di se stesso. Il mondo visibile è<br />
un <strong>in</strong>dicatore di realtà più vaste, oppure, è alla ricerca di disegni, motivi più specifici, o un<br />
ord<strong>in</strong>e, l’ord<strong>in</strong>e più profondo.<br />
D.S.<br />
Rispetto alla sua form<strong>azione</strong> artistica, ha fatto spesso dichiarazioni sulla precoce e importante<br />
esperienza formativa nello studio del c<strong>in</strong>ema... Potrebbe dirmi perché ha eletto il teatro a sua<br />
espressione artistica d’eccellenza rispetto a quella c<strong>in</strong>ematografica?<br />
Peter Sellars<br />
Secondo me l’elemento più importante per il teatro è, socialmente, la condivisione di uno spazio<br />
e la domanda imponente del XX secolo è ‘come condividiamo questo pianeta?’. Possiamo<br />
condividere il pianeta con il resto del mondo? Con altre persone? La grande questione che<br />
ossessionava i Greci era di ricevere gli stranieri. Cosa condividiamo nella vita su questo<br />
pianeta? La cosa più importante non è costruire un muro fra la Palest<strong>in</strong>a e Israele o fra gli Stati<br />
Uniti e il Messico, ma il contrario, chiedersi che cosa condividiamo, e la ricerca di quello che<br />
condividiamo oltre che la sua afferm<strong>azione</strong>. Nel teatro tante persone si riuniscono <strong>in</strong> uno spazio<br />
che alla f<strong>in</strong>e della serata non è né il “mio” spazio né il “tuo” spazio, ma uno spazio condiviso<br />
dove si ha un’esperienza condivisa, dove i conf<strong>in</strong>i sono dissolti. Per il c<strong>in</strong>ema non è così: il film<br />
ha il proprio spazio e il pubblico, a sua volta, ha il suo; è uno spazio mentale perché lo spazio<br />
fisico non è lo stesso. Qu<strong>in</strong>di per me la ragione per cui il teatro ha la priorità è proprio la<br />
condivisione. Ci sono i diritti alla terra, all’acqua; c’è la questione di come condividiamo la<br />
terra e come ne facciamo tesoro perché non è una cosa che dobbiamo dividere a parcelle e<br />
vendere, è sacra, dobbiamo riconoscere la sacralità della terra, del cibo, dell’aria, dell’acqua.<br />
Non puoi semplicemente comprare e vendere l’acqua, nell’acqua c’è qualcosa di sacro ed è di<br />
tutti: quando la Coca-Cola vorrà comprare tutta l’acqua del mondo – quello che stanno cercando<br />
davvero di fare – avremo la crisi. E qu<strong>in</strong>di questo spazio condiviso fa ricordare a tutti che la<br />
terra è sacra, la luce è sacra, l’acqua è sacra nel senso che è condivisa e tutti ne hanno bisogno.<br />
Le piante, gli animali e la vita hanno una dimensione sacra e non alla maniera della religione<br />
organizzata ma nel senso del teatro, dove tutto ha una risonanza, un’aura, un <strong>in</strong>sondabile, dove<br />
tocchiamo qualcosa di <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito: abbiamo una quantità d’acqua che è f<strong>in</strong>ibile ma abbiamo un<br />
livello di generosità <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito. Ci sono cose <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ite, come amore, coraggio, generosità onestà e ci<br />
sono altre cose che sono limitate, come l’acqua o la terra: tutto sta nel capire come usare queste<br />
35
<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
cose f<strong>in</strong>ibili, come trovare una correttezza nell’usare le cose f<strong>in</strong>ibili. Il teatro è un punto di<br />
<strong>in</strong>contro di questa <strong>in</strong>f<strong>in</strong>itezza e di questa limitatezza sociale che è la condivisione.<br />
Il c<strong>in</strong>ema è certamente un grandissimo l<strong>in</strong>guaggio, io adoro il c<strong>in</strong>ema prima del c<strong>in</strong>ema: penso<br />
alla pittura c<strong>in</strong>ese, o al teatro c<strong>in</strong>ese e <strong>in</strong>diano, al teatro d’ombre di Java, o alla pittura nelle<br />
caverne. C’è sempre stato il c<strong>in</strong>ema prima del c<strong>in</strong>ema: l’impulso c<strong>in</strong>ematografico è molto<br />
profondo <strong>in</strong> noi, e non viene solo dal XIX o XX secolo, così il montaggio ...<br />
D.S.<br />
A questo proposito, vorrei proprio parlare specificatamente della tecnica del montaggio, del<br />
valore che ne dà e l’uso che ne fa, di come lo studio del montaggio nel c<strong>in</strong>ema è stato formativo<br />
per la cre<strong>azione</strong> del suo metodo teatrale.<br />
Peter Sellars<br />
Il montaggio è cruciale; ed è anche la tecnica con cui ha lavorato Sofocle. Sofocle creava<br />
sempre degli episodi che poi venivano tagliati e <strong>in</strong> cui <strong>in</strong>seriva il coro: <strong>in</strong> lui non vedi il<br />
dispiegarsi degli eventi nel tempo reale, c’è tantissimo che non mostra, anzi esclude. Sofocle<br />
presenta un momento molto specifico nel tempo, poi taglia <strong>in</strong> un altro momento e affianca<br />
questi due momenti nel tempo contigui: ciò ha un impatto emotivo straord<strong>in</strong>ario, esattamente<br />
perché Sofocle lavora al montaggio di questi pezzi. Lo stesso si potrebbe dire per Aristofane,<br />
forse ancora di più. Da questi momenti distribuiti nel tempo che normalmente non vengono<br />
attaccati assieme, ma che vengono connessi grazie a questa tecnica, si ottengono dei contrasti<br />
molto <strong>in</strong>tensi e molto estremi. Si crea una crisi, ma anche qualcosa di più profondo, ossia la<br />
consapevolezza che tutto è connesso. Il montaggio ci dice semplicemente che due cose qualsiasi<br />
nel mondo sono connesse: se le connettiamo attraverso una giuntura, questa <strong>in</strong>terconnettività è<br />
poesia. Questa sedia non è semplicemente una sedia e questo teatro non è semplicemente questo<br />
teatro: niente è solo se stesso, tutto è se stesso <strong>in</strong> rapporto ad altro. Qu<strong>in</strong>di la questione del<br />
rapporto è la ragione per cui il montaggio è così eccitante: perché aguzza, <strong>in</strong>tensifica e rende più<br />
profondo questo senso del rapporto.<br />
Quando ero all’Università la mia tesi era su Mejerchol'd ed ero assorbito anche da Ejsenstejn e<br />
il c<strong>in</strong>ema degli albori; ero molto attratto dal c<strong>in</strong>ema muto, e mi sono specializzato <strong>in</strong> Griffith, ho<br />
studiato Hitchcock, Godard… Per ciò che concerne il c<strong>in</strong>ema molto importante è il periodo che<br />
ho passato a Bruxelles dove tra i 20 e i 30 anni ho lavorato a molti progetti, e dove alla c<strong>in</strong>eteca<br />
potevo vedere due film muti ogni sera, con le musiche dal vivo. Adoro l’idea del c<strong>in</strong>ema con la<br />
musica dal vivo, al modo di Godard, dove hai due tracce – una video e una audio – che son<br />
diverse: qu<strong>in</strong>di c’è sempre tensione fra il visivo e il sonoro. È una cosa molto soddisfacente,<br />
diversamente da quanto accade a Hollywood dove il sonoro è schiavo del visivo. Non amo<br />
avere questa modalità, <strong>in</strong> cui un elemento fa da padrone e l’altro da schiavo, preferisco un<br />
rapporto tra due adulti consenzienti che possono essere d’accordo o meno, che possono<br />
convergere o anche separarsi. Questo è eccitante del montaggio: separa il sonoro dall’immag<strong>in</strong>e,<br />
dando la possibilità a tutti e due di avere un loro <strong>in</strong>flusso narrativo e una loro dimensione<br />
narrativa, e di andare all’unisono producendo un’esperienza complessa.<br />
D.S.<br />
Sto <strong>in</strong>dagando il rapporto tra mitopoiesi e montaggio. A me pare che sia il mito che il<br />
montaggio pongano la stessa rel<strong>azione</strong> tra particolare e universale nel senso che entrambi<br />
tendono a rappresentare il ‘tipico’. Penso, a questo proposito, anche al concetto di immag<strong>in</strong>e<br />
generalizzata e della pars pro toto nelle speculazioni di Ejzenštejn sul montaggio. Crede che si<br />
possa affermare questo rapporto?<br />
36
Peter Sellars<br />
<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
Sì, e anche fra metafora e metonimia. Un esempio che mi capita spesso di fare è quello<br />
dell’immag<strong>in</strong>e buddista del pezzo di carta e della nuvola; ossia l’idea che quando vedi una<br />
nuvola vedi anche un pezzo di carta o che quando vedi un pezzo di carta vedi anche una nuvola.<br />
Questo perché un pezzo di carta viene da un albero, e perché quell’albero sia diventato un foglio<br />
di carta c’è voluto un boscaiolo che ha tagliato l’albero, e deve esserci stata anche una fabbrica<br />
di carta, così come deve esserci stato anche il pranzo del boscaiolo. Doveva esserci tutto ciò<br />
perché questo diventasse un pezzo di carta. E perché l’albero esistesse nella foresta doveva<br />
esserci il sole, la pioggia, la nuvola… Per questo, quando guardi un pezzo di carta vedi una<br />
nuvola. Il buddista dice che tutto contiene tutto quello di cui non è: un pezzo di carta è fatto di<br />
elementi non di carta.<br />
Questo è molto importante quando pensi, anche letteralmente, a Platone, per cui noi siamo già<br />
stati qua, <strong>in</strong> questo mondo, i nostri corpi si decompongono e poi ritornano, come alberi, come<br />
rocce, come piante, animali, cent<strong>in</strong>aia di volte. Non è solo un’immag<strong>in</strong>e poetica, è una realtà<br />
fisica, noi ci siamo decomposti <strong>in</strong> molte forme e siamo tornati <strong>in</strong> altre forme: questo è un<br />
processo fisico oltre che spirituale.<br />
La bellezza del montaggio è che si contrappone un’esistenza precedente con un’esistenza che è<br />
ora: abbiamo a che fare, ancora di nuovo, con l’<strong>in</strong>terconnettività di tutto, per cui se c’è un pezzo<br />
di carta deve esserci una nuvola. Mettere due cose una accanto all’altra, ha l’effetto di scioccare<br />
attraverso il processo lungo delle loro esistenze, cattura l’attenzione proprio perché si avverte un<br />
salto nell’ord<strong>in</strong>e delle cose, e non si percorre, <strong>in</strong>vece, il lungo sentiero tra loro. Il pezzo di<br />
giuntura che viene <strong>in</strong>serito diventa quel lungo sentiero: ed è lì che ci sono i secoli, che qu<strong>in</strong>di<br />
passano tutti <strong>in</strong> un <strong>in</strong>serto, <strong>in</strong> un punto solo. Qu<strong>in</strong>di tagli vengono fatti attraverso il tempo,<br />
attraverso lo spazio e attraverso il processo…<br />
D.S.<br />
È <strong>in</strong> questi tagli che si manifesta il ‘tipico’?<br />
Peter Sellars<br />
Il montaggio porta dallo specifico alla presa di coscienza che lo specifico è un’<strong>in</strong>dic<strong>azione</strong> di<br />
qualcosa di più vasto, come dicono i buddisti: realtà condizionata contro realtà <strong>in</strong>condizionata.<br />
Edipo Re è una realtà condizionata: c’è quella madre, quel padre, tutto nella sua vita era basato<br />
su un certo numero di condizioni; ma d’altro canto, quello specifico gruppo di condizioni porta<br />
a una realtà <strong>in</strong>condizionata. Come esseri umani noi non sappiamo nulla di noi stessi, le<br />
specifiche condizioni di quella realtà condizionata sono un <strong>in</strong>dicatore della realtà<br />
<strong>in</strong>condizionata, di una verità più grande che <strong>in</strong> qualche modo guida la verità più piccola. Qu<strong>in</strong>di<br />
sei dentro a un rapporto di verità relativa, di verità condizionata, di verità provvisoria e di verità<br />
più grandi, che rimangono tali attraverso un tempo più o meno lungo e attraverso periodi della<br />
storia più lunghi e vite diverse.<br />
37
D.S.<br />
<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
Peter Sellars, Per farla f<strong>in</strong>ita con il giudizio di Dio di Anton<strong>in</strong> Artaud, 2003<br />
Il suo teatro è realizzato <strong>in</strong> America e si rivolge pr<strong>in</strong>cipalmente a un pubblico americano, pur<br />
essendo, naturalmente, un teatro <strong>in</strong>ternazionale, che si alimenta profondamente di culture<br />
diverse. Pensa che la cultura americana abbia qualcosa da <strong>in</strong>segnare a quella europea? Che<br />
<strong>in</strong>tenzione comunicativa c’è nel suo teatro nei confronti della cultura europea? Ad esempio nel<br />
caso specifico di Kafka Fragments?<br />
Peter Sellars<br />
Sofocle, Mozart, Shakespeare scrivevano per l’America! Sono tutti americani! Scrivevano<br />
specificatamente per il mio Paese: stranamente, scrivono del Paese ‘più potente’, scrivono di<br />
potere, di come funziona il potere e l’America è, oggi, il Paese al mondo che sta vivendo<br />
proprio l’esperienza di cui scrivono loro. Soprattutto ora, ogni sbaglio sociale, catastrofico che<br />
fa l’America, l’Europa lo ripete dopo c<strong>in</strong>que anni. Vorrei poter dire che non c’è nulla da<br />
imparare dall’America, ma il fatto è che avete delle cose terribili da imparare, se è così che<br />
trattate i rifugiati, se è così che costruite prigioni, se è così che vengono condotte le guerre<br />
contro la droga… Sono cose terribili che hanno distrutto l’Europa negli ultimi venti anni,<br />
proprio perché l’Europa imita l’America, i politici europei imitano quelli americani: ci sono<br />
personaggi catastrofici come Berlusconi e Sarkozy i quali hanno imparato tutto dall’America.<br />
Sento, come americano che viene <strong>in</strong> Europa a presentare le sue opere, che sto dando agli<br />
europei un quadro che gli sarà presto molto familiare e sto cercando di allertare le persone,<br />
come se dicessi: ‘guardate che è questo che sta per arrivare’. Mi dispiace che tutto il mondo sia<br />
così <strong>in</strong>fluenzato dall’America <strong>in</strong> questo momento. Tutti stanno chiudendo i loro conf<strong>in</strong>i, stanno<br />
conducendo una guerra economica, stanno diventando egoisti e il risultato è la stagn<strong>azione</strong><br />
economica e sociale <strong>in</strong> America e ora <strong>in</strong> Europa. E vi state tagliando fuori dal futuro, state<br />
retrocedendo a una versione fasulla del passato: questo fa male. Ora <strong>in</strong> America e <strong>in</strong> Europa si<br />
vede di nuovo apparire il fascismo: ad esempio quel che accade <strong>in</strong> Olanda è <strong>in</strong>credibile. Per me,<br />
<strong>in</strong> questo pezzo di Kurtág, c’è l’immag<strong>in</strong>e del viol<strong>in</strong>ista z<strong>in</strong>garo: solo, per strada, non ha una<br />
casa, non avrà mai una casa. Il suono rumeno di Kurtág è il suono che l’Europa ha già cercato di<br />
38
<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
distruggere ad Auschwitz e che ora Berlusconi sta cercando di annientare: questo lo percepisco<br />
già dall’America. Penso che il teatro bulgaro sia universale quando è massimamente bulgaro,<br />
non quando cerca di imitare qualcosa d’altro: noi tutti dobbiamo parlare la nostra l<strong>in</strong>gua <strong>in</strong><br />
modo più profondo possibile, con le sue sfumature e facendo tesoro di tutto quello che ogni<br />
l<strong>in</strong>gua può dare, e non semplicemente parlare un’altra l<strong>in</strong>gua che nessuno parla bene. Dobbiamo<br />
tutti parlare la nostra l<strong>in</strong>gua, con la sua complessità e con l’abilità di toccare quello che è più<br />
profondo, le verità <strong>in</strong>tr<strong>in</strong>seche a quella cultura e poi condividerle. In Giappone le persone<br />
vedono qualcosa del mio mondo americano che riconoscono e altre cose che non riconoscono;<br />
ma credo che l’umanità abbia degli specchi dove tutti possano riflettersi: ed è molto <strong>in</strong>teressante<br />
guardare allo specchio di Sofocle, a quello di Mozart o a quello di Shakespeare, e così facendo<br />
ritrovare se stessi. Qu<strong>in</strong>di, per me i testi di questi grandi non sono importanti perché lo erano <strong>in</strong><br />
uno specifico periodo storico, per specifiche persone, ma al contrario, i loro testi funzionano<br />
come specchi attraverso cui la storia e ogni gener<strong>azione</strong> si ritrova, ed è questa la cosa potente.<br />
D.S.<br />
Non crede che l’America possa essere un riferimento per la giov<strong>in</strong>ezza del suo approccio alla<br />
cultura?<br />
Peter Sellars<br />
L’America è stata fondata con molta consapevolezza su dei pr<strong>in</strong>cipi ateniesi, nel tentativo di<br />
capire la democrazia ateniese, e con altrettanta consapevolezza le strutture del nostro governo si<br />
sono basate sui modelli di Atene, sui testi classici. Non è a caso che <strong>in</strong> America l’ufficio postale<br />
abbia i capitelli cor<strong>in</strong>zi, o la Casa Bianca un’architettura che si rifà alla classicità greca. Queste<br />
cose non sono a caso: ci siamo costruiti nell’immag<strong>in</strong>e di Atene e su quella che era la promessa<br />
della democrazia ateniese. Per me i testi greci sono fondanti del mio paese, non fondanti di un<br />
qualsiasi altro paese: per me hanno un significato personale. E credo che lo abbiano avuto anche<br />
per Jefferson e Frankl<strong>in</strong> che hanno anche dibattuto a lungo su questi temi, cercando di tirarne<br />
fuori un futuro, cosa che non era stata possibile nell’Atene di Pericle, che <strong>in</strong>fatti è collassata.<br />
Qu<strong>in</strong>di è vero che l’America è giovane, ma <strong>in</strong> rapporto all’Atene di Pericle è anche vecchia: la<br />
democrazia americana è andata avanti più a lungo che non <strong>in</strong> qualsiasi altro posto e la si è<br />
scontata con dei terribili problemi. La democrazia è molto m<strong>in</strong>acciata <strong>in</strong> questo momento<br />
dall’economia, così come accade <strong>in</strong> Europa o ovunque. Euripide e Sofocle furono molto chiari<br />
su questo punto: ammonivano di non lasciare che il denaro m<strong>in</strong>acciasse la democrazia, e<br />
sapevano che era esattamente questa la ragione della crisi. Qu<strong>in</strong>di, guardo questi testi e vedo il<br />
mio paese nella consapevolezza di dove siamo ora, rispetto a quello che erano i pr<strong>in</strong>cipi e i miti<br />
di fond<strong>azione</strong>.<br />
39
D.S.<br />
<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
Peter Sellars, Per farla f<strong>in</strong>ita con il giudizio di Dio di Anton<strong>in</strong> Artaud, 2003<br />
Anche rispetto ai miti di fond<strong>azione</strong>, crede la cultura americana sveli una particolare<br />
sensibilità per il mito?<br />
Peter Sellars<br />
Sì perché l’America stava già creando dei miti ai suoi <strong>in</strong>izi e nel suo governarsi ha sempre usato<br />
il mito. C’è la mitologia dei Kennedy, la mitologia di Richard Nixon: tutti questi leader<br />
americani sono mitici, oltre ad essere delle vere persone, e sapevano come costruire e come<br />
usare il mito o il mitico. La cultura americana ha usato il mito s<strong>in</strong> dalle orig<strong>in</strong>i, perché era un<br />
paese basato su un’idea grande, non semplicemente sull’etnicità o su tutte quelle cose su cui si<br />
basano di solito i paesi: c’era un’idea nuova, che non si radicava semplicemente sulla gente che<br />
vi aveva vissuto, anzi quelle persone sono state escluse per far spazio ad altri che stavano<br />
arrivando, oltre agli schiavi. Qu<strong>in</strong>di era un paese molto strano che non assomigliava a nessun<br />
altro nella storia: è diventato un paese della mente, che bisognava immag<strong>in</strong>are, con l’idea di<br />
lavorare per un progetto più grande. E questo progetto più grande era quello che voleva<br />
l’America. L’America non era un fatto, era un luogo che rappresentava certe idee, aspirazioni,<br />
successi: la gente da tutto il mondo arrivava per cercare di costruire una nuova vita, un nuovo<br />
futuro. Credo che, nella storia, non vi sia stato alcun paese con un simile tipo di sp<strong>in</strong>ta, che<br />
l’America prendeva proprio dalla mitologia. Arrivavano da tutte le parti dicendo “andiamo <strong>in</strong><br />
America, lì c’è il nostro futuro”: è <strong>in</strong>credibile, gener<strong>azione</strong> dopo gener<strong>azione</strong>, è avvenuto così; e<br />
si è creato un futuro. È per questo che l’America ha creato il miracolo sociale ed economico a<br />
dispetto di tutti i suoi fallimenti. I suoi successi sono <strong>in</strong>credibili proprio grazie a questi ideali<br />
alti, che erano ateniesi. Abbiamo fatto questo paese, con un’immag<strong>in</strong>e di sé completamente<br />
diversa; ed è per questo che mi sembra un <strong>in</strong>cubo quando proprio l’America dice di no<br />
all’immigr<strong>azione</strong>, che la l<strong>in</strong>gua ufficiale è l’<strong>in</strong>glese, che vuole solo bianchi e tutte queste cose<br />
“non americane”: perché tutto ciò rappresenta una viol<strong>azione</strong> dei pr<strong>in</strong>cipi fondanti del paese.<br />
40
D.S.<br />
<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
Il suo teatro è politico: ciò significa che la funzione mitica del teatro, che si rivolge a un<br />
pubblico attraverso dei significati universali, è allo stesso tempo politica?<br />
Peter Sellars<br />
Certamente, perché il mito muove <strong>in</strong> due modi: anzitutto dà potere, dà coraggio; il teatro mette<br />
<strong>in</strong> presenza di grandissime azioni eroiche di un’altra epoca e qu<strong>in</strong>di fa pensare che se nel<br />
passato erano <strong>in</strong> grado di fare grandi cose, allo stesso modo ci si può riuscire oggi. Il teatro è<br />
qualcosa che ispira ma è anche resp<strong>in</strong>gente, qu<strong>in</strong>di il mito dà forza ma può essere anche un<br />
monito e mettere limiti all’ambizione umana, quando è politico o è economico, nei riguardi<br />
dell’onore, del controllo, del possesso, dell’hybris. Invece la mitologia è molto fortificante<br />
quando tratta di idee alte, creative, che attraverso il tempo e lo spazio <strong>in</strong>vitano ad avere un’idea<br />
più ampia dell’umanità, dell’umana possibilità. Qu<strong>in</strong>di la mitologia lavora <strong>in</strong> questi due sensi: è<br />
una f<strong>in</strong>estra sull’<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito e un monito dei limiti umani. Ed è qui tutto il suo potere: è illimitata,<br />
<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ita, apre la mente su visioni più ampie, ma allo stesso tempo ti dice “stai attento, chi ignora<br />
il limite viene annientato”.<br />
D.S.<br />
Crede che l’uso della tecnologia, che si alimenta proprio dell’hybris, possa contribuire alla<br />
costruzione della mitologia?<br />
Peter Sellars<br />
Certo, la tecnologia è una pietra, è una matita, è anche un razzo che va su Marte: tutto è<br />
tecnologia. La tecnologia di per sé è neutra: puoi prendere una matita e puoi usarla per<br />
disegnare tua figlia o una bomba atomica, e tra le mani avrai sempre comunque una matita. Per<br />
me la mitologia esisterà sempre qualsiasi forma avremo per comunicarla o per farla circolare.<br />
D.S.<br />
È il modo <strong>in</strong> cui ne facciamo uso che può essere umano o disumano …<br />
Peter Sellars<br />
Sì, la tecnologia da sola non ha un’anima, tutto dipende dall’uso che ne fai: è quello che dà alla<br />
tecnologia il potere. Abbiamo tutti visto film meravigliosi e pessimi e stranamente la mitologia<br />
è presente <strong>in</strong> entrambi i casi. K<strong>in</strong>g Kong è un pessimo film, ma ha dato alle persone un mito che<br />
è rimasto potente, pericoloso, razzista e orribile. Quello che rimane è che gli uom<strong>in</strong>i bianchi<br />
hanno paura dell’uomo nero; è l’immag<strong>in</strong>e di un uomo nero che fa violenza su una donna<br />
bianca: ed è terribile che la paura dell’uomo nero sia derivata anche da un film, da una<br />
“scimmia” creata negli anni Trenta. Chiediamoci perché questo pezzo di spazzatura, questo<br />
kitsch, dovrebbe avere una vita così lunga. È <strong>in</strong>teressante osservare come lavorano certe cose<br />
nel nostro conscio: perché, ad esempio, Harry Potter, <strong>in</strong> questi anni, sta toccando così tante<br />
persone? Perché parla all’immag<strong>in</strong><strong>azione</strong>? Cosa ci trova la gente? Cosa c’è <strong>in</strong> Harry Potter che<br />
risuona con la realtà? È una domanda strana e affasc<strong>in</strong>ante: penso che la risposta stia nel<br />
desiderio nostalgico per l’autoritarismo del sistema privato collegiale, del sistema <strong>in</strong>glese<br />
all’antica, dove c’è un ord<strong>in</strong>e ma, allo stesso tempo, c’è la libertà di muovere una bacchetta<br />
magica e fare accadere una magia o far sparire tutto. È uno stranissimo desiderio di questa<br />
gener<strong>azione</strong> per un regime ultraconservatore dove ci sono sempre le risposte a tutto, dove tutto è<br />
rigido e ord<strong>in</strong>ato e non ci sono vere domande, ma, allo stesso tempo, si può cambiare tutto<br />
quello che non piace per magia. Allora mi domando che cosa nutre il mito di Harry Potter?<br />
Questa per me è una questione <strong>in</strong>teressante. Come lo è il bisogno degli uom<strong>in</strong>i di essere<br />
41
<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
bamb<strong>in</strong>i per sempre: gli attori di Harry Potter hanno quaranta anni ma si comportano come se<br />
ne avessero quattordici. Cos’è questo desiderio di voler rimanere a scuola per sempre? Sono<br />
curiosi questi fenomeni, che mostrano una cultura con delle stranissime proiezioni nelle fantasie<br />
delle persone.<br />
Ma, per tornare alla suggestione del possibile rapporto tra tecnologia e mitologia, voglio dire<br />
che la questione della tecnologia è più profonda. La tecnologia è la nuova mitologia, <strong>in</strong> un modo<br />
molto profondo. Penso ad esempio alla rivoluzione del Chiapas, dove il comandante Marcos ha<br />
fatto una guerra che è mitologica e reale, proprio perché quella lotta è stata condotta anche<br />
attraverso l’uso di <strong>in</strong>ternet. Ciò significa che noi non siamo certo nelle giungle del Chiapas ma,<br />
allo stesso tempo, grazie a <strong>in</strong>ternet, siamo là <strong>in</strong> solidarietà. E, quando i militari messicani<br />
attaccano i Campes<strong>in</strong>i <strong>in</strong> Chiapas, <strong>in</strong> tutto il mondo quell’attacco diventa parte delle nostre vite.<br />
L’idea di un popolo che lotta <strong>in</strong> un luogo molto remoto <strong>in</strong> Messico, diventa <strong>in</strong> tutto il mondo<br />
qualcosa che entra nelle coscienze, nella testa di tutti; e la rivoluzione <strong>in</strong> Chiapas diventa così<br />
un’immag<strong>in</strong>e molto potente per tutto il mondo. Nel frattempo, il fatto che le persone possano<br />
entrare nel web e denunciare l’attacco dell’esercito messicano, fa sì che nel mondo <strong>in</strong>tero ci sia<br />
riprov<strong>azione</strong>. Per il governo messicano si pongono una serie di scelte e di pressioni tali da non<br />
potere far nulla che vada contro l’op<strong>in</strong>ione pubblica mondiale che sostiene gli agricoltori e il<br />
popolo del Chiapas. Questo è molto <strong>in</strong>teressante perché si assiste assieme a una realtà e a una<br />
mitologia: così, <strong>in</strong> questo momento storico, quel luogo è sia molto remoto che molto presente, e<br />
la sua presenza implica molte cose immag<strong>in</strong>ate <strong>in</strong> molte parti del mondo.<br />
D.S.<br />
In questo contesto si crea uno strano <strong>in</strong>treccio tra storia e mitologia…<br />
Peter Sellars<br />
Tra storia e mitologia c’è un gioco: la storia è quanto hai sentito dire da qualcuno, perciò è già<br />
mitologia. Provo a spiegare: pensiamo alla visione di un evento. Tu non c’eri, ma anche se ci<br />
fossi stato, avresti avuto una visione parziale: hai visto solo quanto potevi vedere, proprio<br />
perché l’evento è sempre più grande di quel che si può vedere. Qu<strong>in</strong>di, tutte le volte che<br />
descriviamo qualcosa facciamo mitologia, perché noi non abbiamo una visione completa, ma<br />
abbiamo bisogno di dipendere da quanto ci viene detto da altri. Già l’atto di ascoltare, dunque,<br />
entra <strong>in</strong> questa sfera mitica.<br />
D.S.<br />
Per tornare al montaggio, anche <strong>in</strong> rel<strong>azione</strong> a quanto appena detto: crede che abbia una<br />
funzione particolare nella costruzione narrativa e che agisca nel rapporto tra verità e f<strong>in</strong>zione?<br />
Peter Sellars<br />
Quello che succede con il montaggio è che <strong>in</strong>terrompe il flusso normale della narrativa e lima i<br />
marg<strong>in</strong>i della verità. Il flusso narrativo normale può procedere con quello che accade, ma il<br />
montaggio mette <strong>in</strong> questione ogni sviluppo, e lo mette sotto la lente per esam<strong>in</strong>arlo: crea così<br />
una situ<strong>azione</strong> <strong>in</strong> cui guardi le cose da tante sfaccettature anziché da una sola. Le sfaccettature<br />
sono punti di vista: per questo il montaggio è un meccanismo tanto potente. Ti accorgi che la<br />
storia, la realtà, è composita e la vedi fatta da tante sfaccettature, come l’occhio di una mosca:<br />
più sfaccettature vedi, più composita diventa la tua visione del reale, e più sfaccettature ci sono,<br />
più multidimensionale è la cosa che vedi. La narrativa non è mai una s<strong>in</strong>gola narrativa, ossia<br />
non vi è un s<strong>in</strong>golo montaggio: ma sempre sono narrative “multiple”, ovvero immag<strong>in</strong>i<br />
multiple. Tutto è multiplo e dunque vi è spazio per molte narrazioni e meta-narrazioni. C’è una<br />
narr<strong>azione</strong> più grande, oltre quello che raccontiamo e ci sono tante narrazioni più piccole che<br />
42
<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
non sono state <strong>in</strong>cluse nella storia che viene raccontata. E qu<strong>in</strong>di si è sempre consci di tutte<br />
queste narrazioni che potrebbero <strong>in</strong> un momento qualsiasi <strong>in</strong>tersecarsi.<br />
D.S.<br />
Probabilmente la scelta dell’<strong>in</strong>terruzione è sempre un atto politico…<br />
Peter Sellars<br />
Sì, <strong>in</strong>fatti, perché a volte la narr<strong>azione</strong> pr<strong>in</strong>cipale è <strong>in</strong>terrotta, e questo è un buon segno. Per<br />
questa ragione è così importante fare dei frammenti: perché tutti sanno che la narr<strong>azione</strong><br />
pr<strong>in</strong>cipale, quella maestra, è una “bugia”. Il grande film hollywoodiano, con l’orchestra e il<br />
crescendo di musica, è una bugia totale! Tutte le volte che può essere rotto è un buon segno!<br />
L’unica cosa <strong>in</strong> cui possiamo avere fiducia sono i piccoli momenti di verità che possiamo<br />
verificare e questi frammenti sono la materia con cui lavoriamo. Possiamo ricomporre i<br />
frammenti <strong>in</strong> tanti modi: le nostre vite e le nostre società sono state frantumate, ma da queste<br />
rotture noi raccogliamo dei piccoli pezzi e <strong>in</strong>iziamo a ricomporli…<br />
Kurtag, ad esempio, scrive Kafka Fragmente con l’esperienza di essere stato un rifugiato: ma<br />
cosa vuol dire? Che quando scappi sotto la barriera che segna il conf<strong>in</strong>e, hai dovuto<br />
abbandonare la tua vita precedente. E tutto quello che rimane di quella vita sono i frammenti, e<br />
da quei frammenti devi costruire una nuova esistenza, dovunque tu sia arrivato. L’idea di verità<br />
frammentaria e di vita frammentaria, di sistemi rotti ed esperienze di vita rotte, è<br />
emozionalmente molto destrutturante e allo stesso tempo stranamente liberatoria. Come<br />
nell’esperienza degli immigrati, che ricostruiscono le loro vite e poi creano nuove narrative da<br />
questi pezzi rotti. Penso che questa sia una forma speciale di narr<strong>azione</strong>, che ho apprezzato a<br />
partire da Beckett <strong>in</strong> poi: ed è la constat<strong>azione</strong> che il frammento è probabilmente <strong>in</strong> grado di<br />
rappresentare la verità, perché non pretende di essere totale, perché dice s<strong>in</strong> dall’<strong>in</strong>izio che è una<br />
comprensione parziale, e non pretende di essere l’<strong>in</strong>tero. La forma del frammento, dunque, è<br />
molto soddisfacente artisticamente.<br />
Da qui nasce l’ossessione, lungo i secoli, per le rov<strong>in</strong>e greche: perché un frammento è sia “non<br />
f<strong>in</strong>ito” che dest<strong>in</strong>ato a f<strong>in</strong>ire ulteriormente, poiché non ce ne saranno più. Questa comb<strong>in</strong><strong>azione</strong><br />
di qualcosa che è permanentemente <strong>in</strong>completo è molto potente e la mitologia lo è nello stesso<br />
modo, è sempre “rotta”. Ci sono tante versioni del mito di Medea: tutti sono <strong>in</strong> disaccordo, ci si<br />
chiede se quanto successo è vero o quale mito sia veramente <strong>in</strong> atto. Tutti hanno una versione<br />
diversa, tutto è frammento: ma dal frammento ricreiamo sempre qualcosa. Stiamo tutti<br />
costruendo un mondo a partire da cose rotte – le nostre vite, le nostre emozioni, le nostre<br />
speranze <strong>in</strong>cluse – eppure dobbiamo cont<strong>in</strong>uare: raccogliamo pezzetti e andiamo avanti…<br />
43
D.S.<br />
<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
Dawn Upshaw e Geoff Nuttal <strong>in</strong> Kafka Fragments<br />
Quello che possiamo fare è cercare di creare delle composizioni di volta <strong>in</strong> volta diverse…<br />
Peter Sellars<br />
Sì, proprio così. È questo l’atto forte di perseveranza umana e determ<strong>in</strong><strong>azione</strong>. In Kafka<br />
Fragments le immag<strong>in</strong>i che fanno da sfondo, proiettate di cont<strong>in</strong>uo, sono di persone co<strong>in</strong>volte <strong>in</strong><br />
progetti di recupero, <strong>in</strong> comunità per alcolisti e tossicodipendenti: persone che avevano la vita a<br />
pezzi ma che hanno <strong>in</strong>iziato a raccogliere i pezzi per ricostruirsi la vita.<br />
D.S.<br />
Questo sembrerebbe anche tipico dei nostri tempi…<br />
Peter Sellars<br />
In realtà è di tutti i tempi: anche nella Grecia antica, dove tutti arrivavano da posti strani,<br />
lontani, o da qualche mito parziale. A Epidauro il mio compagno di viaggio è stato Pausania<br />
che, viaggiando di posto <strong>in</strong> posto, <strong>in</strong>contrava popoli differenti, con racconti di storie diversi.<br />
Non è mai una questione di fatti, ma di diverse storie: osservi un rito <strong>in</strong> un popolo e lo osservi<br />
come cambia <strong>in</strong> un altro, così ritrovi lo stesso mito associato a un altro rito, con un altro<br />
significato. Secondo me è sempre stato così, una questione di pezzi rotti: anche ai tempi di<br />
Pausania era già tutto rotto, e lui aveva il compito di ricostruire, con tutte le contraddizioni, con<br />
tutte le <strong>in</strong>formazioni mancanti e con tutti i frammenti che non si assemblavano, con l’obbligo di<br />
fare una scelta tra opzioni differenti. Adoro tutto questo! Lo stesso mito può essere trattato <strong>in</strong> un<br />
modo da Sofocle e <strong>in</strong> modo completamente diverso da Euripide. Ora, a Chicago, <strong>in</strong> febbraio,<br />
metterò <strong>in</strong> scena l’Eracle di Händel basandomi su Le Trach<strong>in</strong>ie di Sofocle. Ma quando dici<br />
“Eracle” ti chiedi: quale Eracle? È una domanda significativa. Tra l’altro, avendo già messo <strong>in</strong><br />
scena I figli di Eracle di Euripide, ho riscontrato una serie di problemi particolari. La morte di<br />
Eracle, ad esempio, è completamente diversa: stesso personaggio, diversa morte, diversa storia,<br />
44
<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
diversa traiettoria…Ce ne sono tanti di Eracle! Da dove com<strong>in</strong>ciare? Per me la questione è<br />
sempre stata questa.<br />
English Abstract<br />
We met Peter Sellars last November <strong>in</strong> Rome dur<strong>in</strong>g the Romaeuropa Festival 2010. He was there for the<br />
Italian premiere of Kafka Fragments, the stag<strong>in</strong>g of the opera by György Kurtág. The American director<br />
talked about several topics: the idea of mythology <strong>in</strong> the present day; the concept of 'resonance'; how<br />
c<strong>in</strong>ema has <strong>in</strong>fluenced his approach to theater; montage <strong>in</strong> the art of theater, and the importance of<br />
classical culture <strong>in</strong> the found<strong>in</strong>g myths of America.<br />
45
<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
46
LA CREAZIONE DEL FRAMMENTO<br />
Kafka Fragments di Peter Sellars<br />
<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
Personalità eclettica, Peter Sellars spazia dalle produzioni <strong>in</strong>ternazionali del teatro lirico, il<br />
teatro musicale, e dal teatro di prosa all’anim<strong>azione</strong> teatrale <strong>in</strong> situazioni marg<strong>in</strong>ali, socialmente<br />
problematiche; si confronta spesso con i classici, la tragedia greca ma non solo, e fa liberamente<br />
uso dei nuovi media. Storicamente viene poco dopo la speriment<strong>azione</strong> avanguardistica di<br />
Robert Wilson, ed avendo com<strong>in</strong>ciato a lavorare dagli anni ’80 si colloca artisticamente a pieno<br />
titolo negli anni ’90 f<strong>in</strong>o ad oggi. È dagli anni ’90 che nel teatro si regista la tendenza a tornare<br />
al testo dopo l’elabor<strong>azione</strong> dell’esperienza della ‘drammaturgia visiva’ che ha avuto la<br />
massima diffusione tra gli anni ’70 e ’80. Secondo Valent<strong>in</strong>a Valent<strong>in</strong>i, la seconda ondata di<br />
artisti americani – che comprende per fare qualche esempio: John Jesurun, Robert Lepage, il<br />
Wooster Group – prende le distanze dalla precedente per effetto di una re<strong>azione</strong>, generalizzata<br />
negli Stati Uniti, “al conformismo degli anni Ottanta dell’arte e della cultura, al c<strong>in</strong>ismo e<br />
yuppismo post-avanguardistico che a sua volta nasceva dal rifiuto dell’impegno totale della<br />
gener<strong>azione</strong> degli artisti della neo-avanguardia” (VALENTINI 1999, p. 63).<br />
In sostanza si tratta come ha osservato anche Bonnie Marranca di un rifiuto di un certo<br />
formalismo disimpegnato, e <strong>in</strong> qualche modo di un ritorno, per quanto diverso, all’impegno<br />
politico che aveva caratterizzato le neo-avanguardie degli anni ’60 e ‘70. E <strong>in</strong>fatti Peter Sellars,<br />
alla domanda sulla sua posizione rispetto al nuovo teatro americano risponde di aver visto<br />
E<strong>in</strong>ste<strong>in</strong> on the Beach c<strong>in</strong>que volte, di ammirare la grandezza di Wilson ma di non apprezzare<br />
troppo il suo formalismo che manca, a suo giudizio, di “presenza morale” (Sellars <strong>in</strong> POMARICO<br />
[1997] 1999, p. 80).<br />
Di fatto Wilson e Sellars si collocano ai due poli che danno forma al mythos, come li ha<br />
<strong>in</strong>dividuati Aristotele nella Poetica <strong>in</strong> riferimento alla tragedia: la mimesis praxeos (l’imit<strong>azione</strong><br />
delle azioni) e l’opsis (la visione). Wilson <strong>in</strong> occasione di un’<strong>in</strong>tervista, alla domanda<br />
sull’afferm<strong>azione</strong> di un giudizio morale su Stal<strong>in</strong>, relativamente all’opera The Life and Time of<br />
Joseph Stal<strong>in</strong> risponde appellandosi alla sospensione del giudizio, evidentemente al di là del<br />
bene e del male: “No. Guarda Ivan il terribile di Ejzenštejn. Non ti vien fatto di dire quanto è<br />
malvagio. Lo è e basta. Tutto diventa scenico e non giudichi più, guardi e basta” (Wilson <strong>in</strong><br />
ADNAN 1976, p. 20). Questo è il regime della pura visibilità, dell’opsis, dove si annulla il<br />
giudizio per far emergere la crudezza della cosa <strong>in</strong> sé. Sellars di contro non vuole annullare il<br />
giudizio e quanto <strong>in</strong>tende mettere <strong>in</strong> scena sono storie, o non storie, che hanno la capacità di<br />
comunicare un senso morale. Entrambi sono americani ed entrambi rivendicano <strong>in</strong>fluenze<br />
comuni nella loro form<strong>azione</strong>, a partire da Gertrude Ste<strong>in</strong> a cui Wilson si è esplicitamente<br />
ricondotto, e con cui Sellars condivide la città d’orig<strong>in</strong>e, Pittsburgh <strong>in</strong> Pennsylvania e ha<br />
condiviso la casa parig<strong>in</strong>a, nella quale il regista diciottenne ha trovato ospitalità.<br />
Quello di Sellars è un teatro politico; il teatro è “un dialogo con il testo e fra gli attori, è una<br />
convers<strong>azione</strong> sempre aperta tra persone che collaborano” (Sellars <strong>in</strong> POMARICO [1997] 1999,<br />
p. 79). Il teatro di cui vuole essere portavoce “è cambiamento” e <strong>in</strong> questo segue la via aperta da<br />
<strong>Brecht</strong> che con Mejerchol’d è tra i pr<strong>in</strong>cipali riferimenti nella sua form<strong>azione</strong>. Sellars <strong>in</strong><br />
particolare, anche rispetto a Wilson, rivendica cont<strong>in</strong>uamente le sue orig<strong>in</strong>i americane, la sua<br />
nazionalità, e questo proprio perché il suo teatro è connotato politicamente. Il contesto <strong>in</strong> cui si<br />
fa teatro è un aspetto impresc<strong>in</strong>dibile per il regista statunitense, dovendo essere un luogo di<br />
confronto e condivisione è fondamentale <strong>in</strong> esso “dare forma a una esperienza comune” (Sellars<br />
<strong>in</strong> MARRANCA [2004] 2006, p. 149) e questo può avvenire solo sulla base di una<br />
consapevolezza profonda del contesto <strong>in</strong> cui si agisce. Sellars lavora con artisti americani e crea<br />
negli Stati Uniti le sue produzioni nella conv<strong>in</strong>zione che il teatro debba “fondare le sue radici<br />
sulla sua <strong>in</strong>fanzia, sul suo futuro condiviso, sul suo passato <strong>in</strong> comune”. Porta nel mondo le sue<br />
opere consapevole del filtro culturale americano che propone alle altre culture ed è cosciente di<br />
metterlo cont<strong>in</strong>uamente <strong>in</strong> discussione. Il teatro richiede la comunic<strong>azione</strong> e il dialogo perché<br />
“riporta sempre alla questione della democrazia”. Questo aspetto è centrale nella poetica di<br />
47
<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
Sellars che non si stanca mai di dichiarare cont<strong>in</strong>uamente il debito che il teatro contemporaneo<br />
dovrebbe riconoscere con la tragedia greca.<br />
Nell’ottica del regista statunitense, il teatro dovrebbe ritrovare la funzione per cui è nato, ossia<br />
come “una delle prime pietre miliari nella storia dell’istituzione della democrazia” che “forniva<br />
ai cittad<strong>in</strong>i l’<strong>in</strong>form<strong>azione</strong> di cui avevano bisogno per votare, facendo loro udire voci che<br />
normalmente non ascoltavano”. E come modello di riferimento per il teatro contemporaneo<br />
assieme al potere visivo del teatro greco Sellars rivendica anche “il potere acustico” e “lo spazio<br />
sonoro, spazio d’ascolto” proprio del teatro antico che era pensato, anche <strong>in</strong> funzione di questo,<br />
<strong>in</strong> term<strong>in</strong>i architettonici. In questo spazio sonoro, <strong>in</strong> questa struttura pubblica che contempla un<br />
posto per ogni cittad<strong>in</strong>o, trovano colloc<strong>azione</strong> le voci che sono ignorate nei centri di potere, <strong>in</strong><br />
questo senso il teatro è il luogo fondante della democrazia. Il proprium del teatro secondo<br />
Sellars è la condivisione dello spazio, e questa peculiarità lo dist<strong>in</strong>gue profondamente dal<br />
c<strong>in</strong>ema; è fondamentale tenere conto di questo aspetto nel momento <strong>in</strong> cui si considera la<br />
trasform<strong>azione</strong> che il teatro ha subito nel Novecento a seguito dell’<strong>in</strong>fluenza dei nuovi media. Il<br />
teatro è sì il luogo della visibilità ma è anche il luogo della condivisione e questo aspetto,<br />
secondo Sellars, ne sancisce anche la priorità; perciò nell’<strong>in</strong>tervista pubblicata <strong>in</strong> questo stesso<br />
volume afferma: “Nel teatro tante persone si riuniscono <strong>in</strong> uno spazio che alla f<strong>in</strong>e della serata<br />
non è né il ‘mio’ spazio né il ‘tuo’ spazio, ma uno spazio condiviso dove si ha un’esperienza<br />
condivisa, dove i conf<strong>in</strong>i sono dissolti. Per il c<strong>in</strong>ema non è così: il film ha il proprio spazio e il<br />
pubblico, a sua volta, ha il suo; è uno spazio mentale perché lo spazio fisico non è lo stesso.<br />
Qu<strong>in</strong>di per me la ragione per cui il teatro ha la priorità è proprio la condivisione” (si veda, <strong>in</strong>fra,<br />
Intervista a Peter Sellars).<br />
La consapevolezza della natura <strong>in</strong>tr<strong>in</strong>secamente democratica del meccanismo teatrale sembra<br />
essere derivata anche dalla concezione che l’artista ha dell’idea di democrazia nel suo valore<br />
fondante nella cultura americana. Quell’idea di democrazia che proprio rispetto all’antico<br />
modello greco ateniese è stata parte costitutiva del mito di fond<strong>azione</strong> della cultura e della<br />
politica americana; a questo proposito Sellars è molto esplicito:<br />
“L’America è stata fondata con molta consapevolezza su dei pr<strong>in</strong>cipi ateniesi, nel tentativo di<br />
capire la democrazia ateniese, e con altrettanta consapevolezza le strutture del nostro governo si<br />
sono basate sui modelli di Atene, sui testi classici. Non è a caso che <strong>in</strong> America l’ufficio postale<br />
abbia i capitelli cor<strong>in</strong>zi, o la Casa Bianca un’architettura che si rifà alla classicità greca. Queste<br />
cose non sono a caso: ci siamo costruiti nell’immag<strong>in</strong>e di Atene e su quella che era la promessa<br />
della democrazia ateniese. Per me i testi greci sono fondanti del mio paese, non fondanti di un<br />
qualsiasi altro paese: per me hanno un significato personale. E credo che lo abbiano avuto anche<br />
per Jefferson e Frankl<strong>in</strong> che hanno anche dibattuto a lungo su questi temi, cercando di tirarne<br />
fuori un futuro, cosa che non era stata possibile nell’Atene di Pericle, che <strong>in</strong>fatti è collassata” (si<br />
veda, <strong>in</strong>fra, Intervista a Peter Sellars).<br />
Ed è rispetto al costante pericolo del collassare della democrazia o al pericolo della sua crisi, del<br />
suo misconoscimento che Sellars impronta l’<strong>azione</strong> del suo teatro. Si tratta di un’<strong>azione</strong> politica,<br />
ma anche di un’<strong>azione</strong> estetica e culturale, per cui rispetto alla politica <strong>in</strong>tesa <strong>in</strong> senso stretto la<br />
f<strong>in</strong>alità non è quella di ottenere nell’immediato un qualcosa, ad esempio la riforma di una legge,<br />
ma di agire <strong>in</strong> profondità, per mirare a una trasform<strong>azione</strong> che avviene nel tempo, attraverso le<br />
generazioni e con delle conseguenze a lungo term<strong>in</strong>e. E questo, secondo Sellars, è il proprium<br />
della dimensione artistica <strong>in</strong> cui si colloca il teatro.<br />
Anche per questo, per la natura em<strong>in</strong>entemente poietica del teatro, Sellars afferma che il suo<br />
lavoro implica “la cre<strong>azione</strong> di un autentico sistema mitologico, <strong>in</strong> cui risuon<strong>in</strong>o una serie di<br />
immag<strong>in</strong>i, e che permetta a una certa società di parlare a se stessa” (Sellars <strong>in</strong> SHEWEY 1984, p.<br />
24). Si comprende questa afferm<strong>azione</strong> se si considera che nel teatro di Sellars il visivo e<br />
auditivo sono considerati <strong>in</strong>sc<strong>in</strong>dibili e il significato della parola mito è ricondotto all’accezione<br />
del ‘dire gli universali’ coniata da Aristotele a cui di frequente il regista fa riferimento; e il mito<br />
è ugualmente ricondotto anche al significato personale dell’esistenza s<strong>in</strong>gola, e nella vicenda<br />
48
<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
<strong>in</strong>carnata <strong>in</strong>dividualmente dal personaggio teatrale <strong>in</strong> cui ‘risuona’ il valore universale. Il<br />
concetto di risonanza, che ricava dalla conoscenza dell’uso del suono nel teatro Nō, è <strong>in</strong>dicativo<br />
per Sellars dell’importanza della musica nel teatro al punto da fargli affermare tra i due una<br />
perfetta equivalenza o – che è lo stesso – di non essersi mai occupato di prosa <strong>in</strong> vita sua<br />
(DELGADO 1999, p. 28). Per questo considera l’opera il genere teatrale da privilegiare, per<br />
l’utilizzo della musica che, se da un lato ha una formul<strong>azione</strong> completamente astratta – gli artisti<br />
cantano note e non si confonde il cantante dal ruolo che impersona – dall’altra implica anche<br />
una identific<strong>azione</strong> emozionale totale, e questi due aspetti sono simultanei, implicando al tempo<br />
stesso distanziamento e immediatezza emotiva (TROUSDELL 1991, pp. 67-70). Per questa stessa<br />
ragione può affermare come la poetica brechtiana sia stata redenta dalla musica e che la musica<br />
implica di per sé un effetto di straniamento. L’opera è da privilegiare <strong>in</strong> un’epoca <strong>in</strong> cui la<br />
questione dei rapporti e delle <strong>in</strong>terazioni tra le cose è centrale:<br />
“Per la sua dimensione multil<strong>in</strong>gue, multiculturale, multimediale, per il suo aspetto diacronico,<br />
dialogico, dialettico, per quel strano diletto che provoca, è la sola forma capace di evocare e di<br />
rappresentare la simultaneità degli eventi, la loro confusione, la loro giustapposizione, l’amara<br />
tragedia del mondo – <strong>in</strong> breve, tutto il caos che costituisce la trama della storia contemporanea”<br />
(SELLARS [1989] 2003, p. 16).<br />
Sellars <strong>in</strong>travvede nell’opera la tragedia greca analizzata da Aristotele: “Nella Poetica sostiene<br />
una s<strong>in</strong>tesi ibrida composta da musica, danza, poesia, di pittura e di spirito civico”, genere che è<br />
stato cont<strong>in</strong>uamente re<strong>in</strong>ventato nel corso delle epoche f<strong>in</strong>o ad arrivare alla contemporaneità.<br />
L’amore per l’opera lo ha portato ad occuparsene di frequente e a essere il più delle volte<br />
iconoclasta rispetto alla tradizione consolidata del genere.<br />
Un esempio significativo di re<strong>in</strong>venzione di opera è Kafka Fragments andato <strong>in</strong> scena per la<br />
prima volta nel 2005 a New York, e portato <strong>in</strong> Italia nel novembre del 2010 al Teatro Palladium<br />
di Roma, <strong>in</strong> occasione del Roma Europa Festival. Quest’opera, come molte altre, affronta un<br />
tema ricorrente nelle produzioni di Sellars: il confronto tra culture diverse che si ritrovano a<br />
vivere assieme, la questione della condivisione, della comunione. Il regista <strong>in</strong>fatti non si stanca<br />
mai di ripetere che la questione fondamentale del XXI secolo è come condividere il territorio e<br />
le risorse pianeta: è la massa di persone che abbandonano le loro terre <strong>in</strong> cerca di cibo,<br />
protezione, asilo nel mondo occidentale. Kafka Fragments è messa <strong>in</strong> scena dell’opera<br />
composta da György Kurtág per soprano e viol<strong>in</strong>o su una tessitura di frasi tratte dai diari, lettere<br />
e aforismi privati di Franz Kafka. I Kafka Fragmente, creati tra il 1985 e il 1986 dal<br />
compositore romeno naturalizzato ungherese, sono costituiti da quaranta frammenti, divisi <strong>in</strong><br />
quattro parti, che musicati durano da una manciata di secondi f<strong>in</strong>o a sette m<strong>in</strong>uti.<br />
I frammenti che il compositore seleziona da Kafka sembrano corrispondere allo stile aforistico<br />
che lo contraddist<strong>in</strong>gue, <strong>in</strong> cui brevità e profondità fanno la qualità delle sue ricerche sul suono.<br />
Questi frammenti sono estratti dal contesto d’orig<strong>in</strong>e e ridisposti secondo delle costellazioni a<br />
cui Kurtág dà una coloratura esistenziale e psicologica, e non a caso dedicherà l’opera alla sua<br />
psicoanalista. I temi che emergono dalla selezione sono vari: si spazia dall’amore, il sogno, la<br />
disper<strong>azione</strong>, l’esilio, alla salvezza, gli animali, il sentiero, il suolo. Portati sulla scena i<br />
frammenti sono cantati da un soprano e musicati da un viol<strong>in</strong>o, accostamento ardito, ma<br />
coerente alle sperimentazioni di Kurtág, se si pensa che il suono risulta più acuto della voce<br />
diversamente dal canone che vuole il suono più grave rispetto alla voce. Soprano e viol<strong>in</strong>o si<br />
avvicendano così per tessere la partitura dei frammenti, che sono scollegati come <strong>in</strong> un flusso di<br />
coscienza ma trovano un fil rouge proprio <strong>in</strong> questo duetto di voce e suono, <strong>in</strong> cui spesso il<br />
viol<strong>in</strong>o gioca con le onomatopee aiutando così la recezione del testo cantato. Ma soprano e<br />
viol<strong>in</strong>o sono anche personaggi: Sellars attribuisce alla prima il ruolo di una casal<strong>in</strong>ga e al<br />
secondo quello di un musicista da strada. Per cui i frammenti, altissimi nella tensione poetica<br />
che sprigionano, vengono catapultati a terra, perché cantati dalla casal<strong>in</strong>ga impegnata tra una<br />
faccenda e l’altra. Il passaggio tra un atto e l’altro è scandito dall’avvicendarsi della casal<strong>in</strong>ga<br />
tra una tavola da stiro, un secchio, uno straccio, una ramazza, nella volontà di creare un<br />
49
<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
contrasto forte tra le altezze dello spirito ma anche le passioni dell’anima e la banale realtà<br />
quotidiana.<br />
E il viol<strong>in</strong>o accanto <strong>in</strong>carna nelle <strong>in</strong>tenzioni del regista lo z<strong>in</strong>garo che solo, per strada, non ha<br />
una casa e non avrà mai una casa. Il tema del frammento è da Sellars strettamente collegato a<br />
Kurtág e alla sua condizione di rifugiato. Si tratta di fatto dello stesso valore che acquisisce il<br />
frammento nell’esperienza dell’esilio osservata anche per <strong>Brecht</strong>. Kurtág più precisamente<br />
compone i Kafka Fragmente <strong>in</strong> virtù del suo essere rifugiato, avendo alle spalle l’esperienza<br />
dell’esilio a seguito della rivoluzione ungherese del 1956. La frantum<strong>azione</strong> è tutto quello che<br />
rimane della vita precedente; ovvero come nel caso di <strong>Brecht</strong>, è l’unica forma di pensiero di cui<br />
si è capaci vivendo <strong>in</strong> una condizione precaria di esilio. E dai frammenti c’è la possibilità di<br />
ricom<strong>in</strong>ciare la ricostruzione per una nuova esistenza: Sellars riconosce questa condizione come<br />
propria dell’esperienza degli immigrati, che ricostruiscono le loro vite e creano nuove narrative<br />
dai pezzi rotti. I frammenti tratti dalle macerie trovano qu<strong>in</strong>di nella composizione la possibilità<br />
di una nuova comb<strong>in</strong><strong>azione</strong> e di una ricostruzione; quello vuole far vedere <strong>in</strong> scena Sellars è<br />
<strong>in</strong>fatti anche un grande meccanismo <strong>in</strong> cui vengono montati e ricomposti i frammenti che sono<br />
leggibili su schermi alle spalle dei due personaggi e si alternano a una serie di immag<strong>in</strong>i<br />
proiettate di cont<strong>in</strong>uo, che fanno da eco o da contrappunto ai testi. Si tratta per lo più di<br />
immag<strong>in</strong>i di persone – come ci racconta Sellars <strong>in</strong> occasione di un’<strong>in</strong>tervista alla prima romana<br />
dello spettacolo – “co<strong>in</strong>volte <strong>in</strong> progetti di recupero, <strong>in</strong> comunità per alcolisti e<br />
tossicodipendenti: persone che avevano la vita a pezzi ma che hanno <strong>in</strong>iziato a raccogliere i<br />
pezzi per ricostruirsi la vita” (si veda, <strong>in</strong>fra, Intervista a Peter Sellars).<br />
L’idea del frammento è <strong>in</strong>tr<strong>in</strong>secamente legata a quella di montaggio. Ne è parte costitutiva, la<br />
particella elementare e però allo stesso tempo rimanda alla composizione, all’<strong>in</strong>tero senza avere<br />
la pretesa di esserlo; per questo <strong>in</strong>carna: “l’idea di una verità frammentaria” e però <strong>in</strong> grado di<br />
rappresentare la verità, perché “non pretende di essere totale, perché dice s<strong>in</strong> dall’<strong>in</strong>izio che è<br />
una comprensione parziale, e non pretende di essere l’<strong>in</strong>tero”.<br />
Il frammento apre all’<strong>in</strong>tervallo, all’<strong>in</strong>terruzione della narr<strong>azione</strong> permessa dall’oper<strong>azione</strong> del<br />
montaggio che, <strong>in</strong>terrompendo il flusso normale della narrativa, lima i marg<strong>in</strong>i della verità, o di<br />
una particolare narr<strong>azione</strong> per sovrapporne altre. Per Sellars l’uso del montaggio è un<br />
meccanismo tanto potente perché “crea una situ<strong>azione</strong> <strong>in</strong> cui guardi le cose da tante<br />
sfaccettature anziché da una sola, da tanti punti di vista differenti”. Allo stesso modo “la<br />
narr<strong>azione</strong> non è mai una s<strong>in</strong>gola narr<strong>azione</strong>, ossia non vi è un s<strong>in</strong>golo montaggio: ma sono<br />
sempre narrazioni ‘multiple’, ovvero immag<strong>in</strong>i multiple. Tutto è multiplo e dunque vi è spazio<br />
per molte narrazioni e meta-narrazioni”.<br />
Il meccanismo del montaggio è quanto è esplicitamente utilizzato <strong>in</strong> Kafka Fragments sia nella<br />
composizione di Kurtág che nella messa <strong>in</strong> scena del regista americano, e scopertamente visibile<br />
a partire dalla sua particella costitutiva elementare: il frammento. Ma il montaggio è anche il<br />
metodo con cui Sellars compone le sue opere sia che si costruiscano su vicende sia che non<br />
abbiano una trama def<strong>in</strong>ita, o immediatamente riconoscibile. In entrambi i casi il montaggio è<br />
cruciale, e come ha osservato lo stesso regista si tratta di un meccanismo assolutamente<br />
contemporaneo ma allo stesso tempo antico, si tratta della stessa tecnica con cui lavoravano i<br />
tragici greci:<br />
“Sofocle creava sempre degli episodi che poi venivano tagliati e <strong>in</strong> cui <strong>in</strong>seriva il coro: <strong>in</strong> lui<br />
non vedi il dispiegarsi degli eventi nel tempo reale, c’è tantissimo che non mostra, anzi esclude.<br />
Sofocle presenta un momento molto specifico nel tempo, poi taglia <strong>in</strong> un altro momento e<br />
affianca questi due momenti nel tempo contigui: ciò ha un impatto emotivo straord<strong>in</strong>ario,<br />
esattamente perché Sofocle lavora al montaggio di questi pezzi. […] Da questi momenti<br />
distribuiti nel tempo che normalmente non vengono attaccati assieme, ma che vengono connessi<br />
grazie a questa tecnica, si ottengono dei contrasti molto <strong>in</strong>tensi e molto estremi. Si crea una<br />
crisi, ma anche qualcosa di più profondo, ossia la consapevolezza che tutto è connesso” (si<br />
veda, <strong>in</strong>fra, Intervista a Peter Sellars).<br />
50
<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
Il frammento è divisione e congiunzione al tempo stesso, e frammento è parte nella misura <strong>in</strong><br />
cui può valere per il tutto senza sostituirsi ad esso: nel montaggio, come aveva notato anche<br />
Ejzenštejn vale il meccanismo della pars pro toto. Il frammento, la parte, lo specifico è sempre<br />
l’<strong>in</strong>dic<strong>azione</strong> per s<strong>in</strong>eddoche di qualcosa di più vasto, per cui, sempre secondo Sellars nella<br />
parte c’è l’<strong>in</strong>contro tra realtà condizionata e realtà <strong>in</strong>condizionata, e sempre rifacendosi alla<br />
tragedia greca:<br />
“Edipo Re è una realtà condizionata: c’è quella madre, quel padre, tutto nella sua vita era basato<br />
su un certo numero di condizioni; ma d’altro canto, quello specifico gruppo di condizioni porta<br />
a una realtà <strong>in</strong>condizionata. Come esseri umani noi non sappiamo nulla di noi stessi, le<br />
specifiche condizioni di quella realtà condizionata sono un <strong>in</strong>dicatore della realtà<br />
<strong>in</strong>condizionata, di una verità più grande che <strong>in</strong> qualche modo guida la verità più piccola. Qu<strong>in</strong>di<br />
sei dentro a un rapporto di verità relativa, di verità condizionata, di verità provvisoria e di verità<br />
più grandi, che rimangono tali attraverso un tempo più o meno lungo e attraverso periodi della<br />
storia più lunghi e vite diverse” (si veda, <strong>in</strong>fra, Intervista a Peter Sellars).<br />
Questa frizione tra condizionato e <strong>in</strong>condizionato si gioca nel presente teatrale dove si<br />
<strong>in</strong>contrano due temporalità: il kairos, il tempo opportuno, si <strong>in</strong>terseca con l’aion, il tempo<br />
aoristico. Per questo Sellars afferma che: “La bellezza del montaggio è che si contrappone<br />
un’esistenza precedente con un’esistenza che è ora. Mettere due cose una accanto all’altra, ha<br />
l’effetto di scioccare attraverso il processo lungo delle loro esistenze, cattura l’attenzione<br />
proprio perché si avverte un salto nell’ord<strong>in</strong>e delle cose, e non si percorre, <strong>in</strong>vece, il lungo<br />
sentiero tra loro”.<br />
Allora il frammento: “Il pezzo di giuntura che viene <strong>in</strong>serito diventa quel lungo sentiero: ed è lì<br />
che ci sono i secoli, che qu<strong>in</strong>di passano tutti <strong>in</strong> un <strong>in</strong>serto, <strong>in</strong> un punto solo. Qu<strong>in</strong>di tagli<br />
vengono fatti attraverso il tempo, attraverso lo spazio e attraverso il processo…”. In questo<br />
senso si comprende anche il valore di tipicità e universalità precipitato nel frammento. E se<br />
colleghiamo le parti attraverso giunture, questa <strong>in</strong>terconnettività, ci <strong>in</strong>segna Sellars, si chiama<br />
poesia.<br />
English abstract<br />
On the occasion of the Italian premiere of Kafka Fragments, the Peter Sellars’ stag<strong>in</strong>g of the opera by<br />
György Kurtág, this paper proposes a reflection on the American director, on his idea of mythology <strong>in</strong> the<br />
present day and the importance of classical cultur <strong>in</strong> his work.<br />
51
Riferimenti bibliografici<br />
<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
ADNAN 1976<br />
Etel Adnan, Intervista con Robert Wilson, tr. it. <strong>in</strong> Il teatro di Robert Wilson, a cura di Franco Quadri, Venezia,<br />
Edizioni de La Biennale, 1976.<br />
DELGADO 1999<br />
Maria Delgado, “Fare teatro, fare società”: un’<strong>in</strong>troduzione al lavoro di Peter Sellars, <strong>in</strong> Peter Sellars, a cura di M.<br />
Delgado, V. Valent<strong>in</strong>i, Rubett<strong>in</strong>o Editore, Catanzaro 1999.<br />
MARRANCA [2004] 2006<br />
Bonnie Marranca, Etica e performance: domande per il XXI secolo. Convers<strong>azione</strong> con Peter Sellars, <strong>in</strong> American<br />
Performance 1975-2005, a cura di V. Valent<strong>in</strong>i, Bulzoni, Roma 2006.<br />
SELLARS [1989] 2003<br />
Peter Sellars, Sorties et entrées, tr. fr. <strong>in</strong> Peter Sellars. Les voies de la creation théâtrale, CNRS Éditions, Paris 2003.<br />
SHEWEY 1984<br />
Don Shewey, I Hate Decoration on Stage: Director Peter Sellars Talks about Design, “Theater Crafts”, gennaio<br />
1984.<br />
TROUSDELL 1991<br />
Richard Trousdell, Peter Sellars Rehearses Figaro, “The Drama Review” n. 129, primavera 1991.<br />
VALENTINI 1999<br />
Valent<strong>in</strong>a Valent<strong>in</strong>i, Interculturalismo e modernismo nel teatro di Peter Sellars, <strong>in</strong> Peter Sellars, a cura di M.<br />
Delgado e V. Valent<strong>in</strong>i, Rubett<strong>in</strong>o Editore, Catanzaro 1999.<br />
POMARICO [1997] 1999<br />
Peter Sellars, La vera vita del teatro, <strong>in</strong>tervista a Peter Sellars di Alessandra Pomarico con <strong>in</strong>terventi di Frédéric<br />
Maur<strong>in</strong> e Josette Féral, <strong>in</strong> Peter Sellars, a cura di M. Delgado e V. Valent<strong>in</strong>i, Rubett<strong>in</strong>o, Catanzaro 1999.<br />
52
Appendice<br />
<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
'THERE IS A CLOUD IN A PIECE OF PAPER'<br />
The actuality of myth <strong>in</strong> the theater of Peter Sellars *<br />
<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
I read some <strong>in</strong>terviews with you <strong>in</strong> which you talked about 'mak<strong>in</strong>g mythology' or creat<strong>in</strong>g<br />
'mythological systems' where 'images resonate'. Could you tell me what do you mean exactly by<br />
these expressions? What does mythology mean to us nowadays?<br />
Peter Sellars<br />
I th<strong>in</strong>k many th<strong>in</strong>gs have to do with your childhood, certa<strong>in</strong> images that you have when you are<br />
very small and com<strong>in</strong>g <strong>in</strong>to the world and when you are deeply impressionable. Later <strong>in</strong> your<br />
life you have experiences that touch those very deep early impressions. So it's very much <strong>in</strong> the<br />
same way that psychologists understand that life habits are formed at a very young age, by your<br />
first perceptions and by this early period of tak<strong>in</strong>g th<strong>in</strong>gs <strong>in</strong>. And that's why people are<br />
beg<strong>in</strong>n<strong>in</strong>g to realize that the most important th<strong>in</strong>g you can do is to make sure that <strong>in</strong> the<br />
k<strong>in</strong>dergarden children are really take care of. Actually the deepest <strong>in</strong>vestment <strong>in</strong> a human be<strong>in</strong>g<br />
is early on, not later, and what's really empower<strong>in</strong>g is this early time. That's when somebody is<br />
empowered or disempowered as a human be<strong>in</strong>g. So the impressions that you have at this time <strong>in</strong><br />
your life create a k<strong>in</strong>d of "echo-chamber", which means that later, when you feel someth<strong>in</strong>g<br />
touch<strong>in</strong>g those impressions, it goes to the core of your be<strong>in</strong>g and your formative moments as a<br />
human be<strong>in</strong>g. So it doesn't just become more <strong>in</strong>formation, it actually touches someth<strong>in</strong>g that is<br />
very, very deeply at the core of your <strong>in</strong>dividual identity.<br />
Now just to take Plato a little further: our childhood is also many previous lifetimes and so these<br />
impressions actually go back many many lifetimes and so what happens is that we are <strong>in</strong> the<br />
middle of an impression that was created a hundred lifetimes ago. Suddenly someth<strong>in</strong>g touches<br />
that core of our be<strong>in</strong>g from some previous lifetime: that's mythology. It's someth<strong>in</strong>g that you<br />
know very well from an early formative time <strong>in</strong> your existence. This "echo-chamber" is set up.<br />
So there is a resonance and resonance is someth<strong>in</strong>g very special that happens <strong>in</strong> classical music.<br />
I would suggest you to hear this performance of Kafka Fragments <strong>in</strong> a really beautiful concert<br />
hall. For example, <strong>in</strong> London, we did it <strong>in</strong> the Barbican's concert hall, where the London<br />
Symphony Orchestra plays. This hall is made entirely of wood, wood is everywhere. So when<br />
Geoff Nuttall plays the viol<strong>in</strong> the resonance of the wood aga<strong>in</strong>st the wood creates warmth, there<br />
is a special <strong>in</strong>tensity and this presence of the sound. Here <strong>in</strong> Rome, the Palladium's architecture<br />
is really made for rock music. So there is no resonance, the viol<strong>in</strong> is a little cold, a little alone<br />
and "notes are just notes". Whereas resonance is when the environment responds, and a sound<br />
or an impression goes further than itself, because the environment recognizes it, has <strong>in</strong> some<br />
sense a solidarity with it, a relationship that is sympathetic. So an impression becomes deeper,<br />
richer, more profound. To give another example, <strong>in</strong> Los Angeles we have an amaz<strong>in</strong>g concert<br />
hall, designed by Frank Gehry, the "Walt Disney Concert Hall", where we did Kafka<br />
Fragments. The concert hall was built by Yasuhisa Toyota, us<strong>in</strong>g the same build<strong>in</strong>g techniques<br />
employed <strong>in</strong> traditional Japanese No theater, <strong>in</strong> which everyth<strong>in</strong>g is made of wood. But <strong>in</strong><br />
Japan, drums are placed underneath the stage, so when the actors walk around there is a very<br />
strong resonance, because the stage itself actually resonates like a percussion <strong>in</strong>strument.<br />
The same is true for Epidaurus. Acoustic quality was enormously important question <strong>in</strong> Greek<br />
aesthetics, because <strong>in</strong> Greece theater was all about acoustics, sound, and the mask-persona<br />
* English edit<strong>in</strong>g by Silvia Schiav<strong>in</strong>ato and text revised by Jenny Condie.<br />
53
<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
through which sound was made. Everyth<strong>in</strong>g was about this question of resonance, and the<br />
Greeks were really concerned with someth<strong>in</strong>g that touched some <strong>in</strong>ner part of your be<strong>in</strong>g, that<br />
was not just the surface. Just like Mr Toyota design<strong>in</strong>g the concert hall accord<strong>in</strong>g to the<br />
Japanese pr<strong>in</strong>ciples of No drama, with smooth surfaces under which there are these big drums<br />
that resonate and hold the sound. In Greek amphitheaters the sound was held by the curves of<br />
the architecture of rectangles, but an architecture which was deep resonator, that held sound <strong>in</strong><br />
this special way. This receptacle is so important because it receives, holds and amplifies. So it's<br />
not just tak<strong>in</strong>g someth<strong>in</strong>g from outside and br<strong>in</strong>g<strong>in</strong>g it <strong>in</strong>, but the resonator is actually <strong>in</strong>side the<br />
human be<strong>in</strong>g.<br />
D.S.<br />
I would like to ask you about your idea that theater 'reveals the <strong>in</strong>visible'. What do you mean by<br />
the <strong>in</strong>visible? What is <strong>in</strong>visible? Is there any connections with what Paul Klee said when he<br />
stated "the arts don't reproduce the visible but make visible"? Is it possible to speak <strong>in</strong> the same<br />
terms about the theater?<br />
Peter Sellars<br />
Very simply: courage is all around us, but it's <strong>in</strong>visible, you can't touch it. Love is everywhere<br />
but it's not visible. The most important feel<strong>in</strong>gs, the most important arts, the most important<br />
pr<strong>in</strong>ciples of your life are all <strong>in</strong>visible. The visible world has almost noth<strong>in</strong>g to do with your<br />
feel<strong>in</strong>gs and the visible world is a miracle: the light on the trees at the end of the day, <strong>in</strong> Rome<br />
yesterday was unbelievable; the full moon com<strong>in</strong>g up <strong>in</strong> the later afternoon... The visual world<br />
is magnificent, but as the Koran says, the world is a book made to be read, and beauty is not just<br />
the moon, the sunset, the swallows mak<strong>in</strong>g their patterns as they come down to the river, but it<br />
is also a message: you learn to read the sky, you learn to read the moon or the sun. These are all<br />
texts, they are also a message about a larger creation, about the longer length of a life's cycle. So<br />
the visible world, as the Koran says, is a sign, and not itself the object. I feel about the musical<br />
score of Kurtág and Kafka, that it's neither the beg<strong>in</strong>n<strong>in</strong>g po<strong>in</strong>t nor is it the end po<strong>in</strong>t. It is the<br />
vessel, the journey. It's not the dest<strong>in</strong>ation and it's not the po<strong>in</strong>t of departure. The po<strong>in</strong>t of<br />
departure has to be someth<strong>in</strong>g deep <strong>in</strong>side you. So if you are hav<strong>in</strong>g some deep experience,<br />
when you look at the sky, you see all k<strong>in</strong>d of th<strong>in</strong>gs and the sky means all these other th<strong>in</strong>gs.<br />
The visible world is only made to be activated by your own <strong>in</strong>side, feel<strong>in</strong>gs and <strong>in</strong>ner life. But<br />
also aga<strong>in</strong>, <strong>in</strong> reverse, it's made also to activate and reawaken your own life' questions and to<br />
rem<strong>in</strong>d you that you have been given another day, that the sun will rise aga<strong>in</strong> and that you can<br />
try aga<strong>in</strong>. These are all profound messages and so the circles <strong>in</strong> the world and the straight l<strong>in</strong>es<br />
are, as Plato said, an <strong>in</strong>dication of another geometry, another k<strong>in</strong>d of order. I believe that this is<br />
science's power, that is why I believe that art is a parallel of science, that it is look<strong>in</strong>g at the<br />
visible world for its <strong>in</strong>ner pr<strong>in</strong>ciples and for what else it is tell<strong>in</strong>g us. Not as a end<strong>in</strong>g itself, but<br />
as an <strong>in</strong>dication of larger realities or more specific patterns and order, a deep order.<br />
D.S.<br />
You have talked elsewhere about your formative experience with puppetry and c<strong>in</strong>ema; could<br />
you tell me why you decided to work ma<strong>in</strong>ly <strong>in</strong> the theater rather than <strong>in</strong> film?<br />
Peter Sellars: For me it's probably the social element that makes theater more important:<br />
theater is shar<strong>in</strong>g space and the whole question of the XXI century is 'Can we share the planet?'.<br />
Can we share the planet with the rest of the world? With other people? This question of 'Do you<br />
receive foreigners?' was one which of course obsessed the Greeks. What is it that is not shared<br />
about life <strong>in</strong> this planet? The most powerful th<strong>in</strong>g is not to build the wall between Israel and<br />
Palest<strong>in</strong>e or between the United States and Mexico, but to ask the opposite: what do we share?<br />
Theater is the search for what we share and the assertation of what we f<strong>in</strong>d. In theater a lot of<br />
54
<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
people come together <strong>in</strong> a space which, by the end of the even<strong>in</strong>g, becomes not "my" space or<br />
"your" space, but a shared space where we had a shared experience. Where the borders are<br />
dissolved. Where we truly f<strong>in</strong>d these po<strong>in</strong>ts of shared experience <strong>in</strong> space. For me film doesn't<br />
share space <strong>in</strong> the same way: film has its own space, the audience has its own space; it's really a<br />
mental space, but the actual physical act of shar<strong>in</strong>g a room together is not the same. I th<strong>in</strong>k that<br />
the reason why for me theater has such priority has to do with the land rights of <strong>in</strong>digenous<br />
people, the water rights of <strong>in</strong>digenous people, the fact that aga<strong>in</strong> farmers are committ<strong>in</strong>g suicide<br />
<strong>in</strong> India and <strong>in</strong> Ohio. This question of land and how we share this land and how we treasure it.<br />
The earth isn't just someth<strong>in</strong>g to be divided up and sold, it's sacred. We have to admit the<br />
sacredness of the earth, of the food, of the air, of the water. You can't just buy or sell it. There is<br />
someth<strong>in</strong>g sacred, the water belongs to all of us: when Coca-Cola company buys all the water <strong>in</strong><br />
the world – which is what it is try<strong>in</strong>g to do – we have a crisis. So really this shared space,<br />
rem<strong>in</strong>ds everybody that the earth is sacred, the air is sacred, the water is sacred, the light is<br />
sacred, the plants are sacred, the animals are sacred, that life has a sacred dimension; not <strong>in</strong> the<br />
manner of organized religion but <strong>in</strong> the manner of theater. Where everyth<strong>in</strong>g has its resonance,<br />
its aura, its mistery, its depth. It becomes more touch<strong>in</strong>g, it becomes someth<strong>in</strong>g <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ite. We<br />
have a f<strong>in</strong>ite quantity of water, but an <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ite level of generosity. Certa<strong>in</strong> th<strong>in</strong>gs are <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ite:<br />
love, courage, generosity, honesty. Other th<strong>in</strong>gs are limited: the doma<strong>in</strong> of water, the doma<strong>in</strong> of<br />
land. It's really about understand<strong>in</strong>g how we use the th<strong>in</strong>gs that are <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ite, and how we<br />
correctly use the th<strong>in</strong>gs that are f<strong>in</strong>ite. Theater is the meet<strong>in</strong>g place of that <strong>in</strong>f<strong>in</strong>itude and this<br />
specific social limitation which is about shar<strong>in</strong>g. C<strong>in</strong>ema is a great language, I have a great love<br />
of c<strong>in</strong>ema before c<strong>in</strong>ema: Ch<strong>in</strong>ese watercolour pa<strong>in</strong>t<strong>in</strong>g, or traditional Ch<strong>in</strong>ese and Indian<br />
theater, or Javanese shadow puppets, or cave pa<strong>in</strong>t<strong>in</strong>gs. They were all c<strong>in</strong>ema before c<strong>in</strong>ema:<br />
this c<strong>in</strong>ematic impulse is so deep, it doesn't come only from the XIX or XX century, nor do the<br />
ideas of montage and cutt<strong>in</strong>g...<br />
D.S.<br />
Yes, I would like to discuss the importance of montage for you <strong>in</strong> the way you construct theater.<br />
I th<strong>in</strong>k it's really important today, for the theater as well as the c<strong>in</strong>ema. Did you learn about<br />
montage from c<strong>in</strong>ema?<br />
Peter Sellars<br />
Montage is crucial; it's also <strong>in</strong> Sophocles' works. Sophocles always created some episodes that<br />
he then cut and <strong>in</strong> place of those episodes he put the chorus. In Sophocles you can't see simple<br />
real time, because there is a lot that he doesn't show, that he cuts out. He only gives you a very<br />
specific moment <strong>in</strong> time and then he cuts to another moment <strong>in</strong> time and then he puts these two<br />
moments <strong>in</strong> time next to each other. It has an <strong>in</strong>credible emotional impact, precisely because<br />
Sophocles is construct<strong>in</strong>g his pieces, <strong>in</strong> chorus even more so, from these moments <strong>in</strong> time that<br />
normally will not come together, and by putt<strong>in</strong>g them right next to each other, the contrasts are<br />
so <strong>in</strong>tense and extreme that he creates a crisis, but he also creates the deeper th<strong>in</strong>g which is that<br />
everyth<strong>in</strong>g of course is l<strong>in</strong>ked. Montage is simply say<strong>in</strong>g: any two th<strong>in</strong>gs <strong>in</strong> the world are<br />
connected. And we are go<strong>in</strong>g to connect them across this supply and the <strong>in</strong>terconnector is the<br />
poetry: this chair isn't just this chair, this theater isn't just this theater, so noth<strong>in</strong>g is just itself.<br />
Everyth<strong>in</strong>g is itself <strong>in</strong> relation to this question of <strong>in</strong>terrelation and that is where montage is so<br />
excit<strong>in</strong>g, because it really sharpens, and heightens and deepens that sense of relation. When I<br />
was <strong>in</strong> university my obsession and my thesis was about Meyerhold and Ejzenštejn, and the<br />
dawn of c<strong>in</strong>ema. I was <strong>in</strong>fluenced by silent c<strong>in</strong>ema. I really specialized <strong>in</strong> Griffith, early<br />
Hitchcock, Godard, ...but <strong>in</strong> terms of silent c<strong>in</strong>ema, the really great period of my life was <strong>in</strong><br />
Brussels, where <strong>in</strong> my twenties I worked on many projects, and where there was a c<strong>in</strong>emateque<br />
that every night showed two silent movies, with live music. So I lived there. I love the idea of<br />
c<strong>in</strong>ema and live music. In this Godardian way, the soundtrack and the image-track are different:<br />
you have the tension between the soundtrack and the image-track. That's a very satisfy<strong>in</strong>g th<strong>in</strong>g,<br />
55
<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
rather than the Hollywood th<strong>in</strong>g that the soundtrack is the slave of the image-track. I love<br />
hav<strong>in</strong>g not a "master slave" relationship, but a relationship between two consent<strong>in</strong>g adults, who<br />
can agree or can disagree, and can come together or separate. So for me that's one very excit<strong>in</strong>g<br />
element of montage: montage separates sound and image, and creates the possibility that each<br />
can have the wrong narrative flow and narrative dimension, then, when they come together, a<br />
complex experience is created.<br />
D.S.<br />
I'd like to know more about the relation between mythmak<strong>in</strong>g and montage. I th<strong>in</strong>k that both<br />
myth and montage are ways of describ<strong>in</strong>g the relation between particular and universal, <strong>in</strong> the<br />
sense that both tend to represent the "typical". I'm th<strong>in</strong>k<strong>in</strong>g about the concept of the generalized<br />
image and of the pars pro toto <strong>in</strong> Eisenste<strong>in</strong>'s speculations on montage. Do you belive that there<br />
is such a relation?<br />
Peter Sellars<br />
Yes, and the relation is also between metaphor and metonymy. An example that I often give is<br />
that of the Buddhist image of the piece of paper and the cloud; the idea is that when you see a<br />
cloud you see a piece of paper, or when you see a piece of paper you see a cloud. That's because<br />
a piece of paper comes from a tree, and for that tree to have become a piece of paper, there had<br />
to have been a lumberjack cutt<strong>in</strong>g down the tree and there had to have been a paper-mill, there<br />
had to have been the lumberjack tak<strong>in</strong>g his lunch break. There had to be everyth<strong>in</strong>g <strong>in</strong> world<br />
because it becomes a piece of paper and you can see it. But for the tree, which is <strong>in</strong> the forest,<br />
there had to have been the sunlight, the ra<strong>in</strong>, a cloud... So, when you see a piece of paper, you<br />
see a cloud. It's because, as the Buddhists say, everyth<strong>in</strong>g conta<strong>in</strong>s everyth<strong>in</strong>g and is not just<br />
itself: a piece of paper is not only made from paper but from elements. This is really important.<br />
Plato imag<strong>in</strong>ed that we had been <strong>in</strong> this world before, that our corpses decomposed and came<br />
back as trees, as rocks, as plants, as animals, hundreds times. It's not just a poetic image, it's a<br />
physical reality. We have decomposed many times and come back <strong>in</strong> some other forms. So this<br />
is physical as well spritual process. The beauty of montage is that it counters a current existence<br />
with a previous one: aga<strong>in</strong> the <strong>in</strong>ter-relatedness of th<strong>in</strong>gs that for piece of paper to exist there<br />
has to have been a cloud. So, <strong>in</strong> the same way, if two th<strong>in</strong>gs are put next to each other, the<br />
relatedness that is all of a sudden apparent shocks you and grabs your attention because it makes<br />
you jump all the other l<strong>in</strong>ks, tak<strong>in</strong>g a shortcut between one th<strong>in</strong>g and the other. Montage is<br />
where the long path is, where the centuries are, so they cross <strong>in</strong> one place. Cuts are made across<br />
time, across space, across process...<br />
D.S.<br />
Is it <strong>in</strong> these cuts that the "typical" manifests itself?<br />
Peter Sellars<br />
Montage goes from the specific to the understand<strong>in</strong>g that the specific is an <strong>in</strong>dication of<br />
someth<strong>in</strong>g larger, aga<strong>in</strong> as the Buddhists say: conditional reality versus un-conditional reality.<br />
Oedipus Rex is a conditional reality: because he had this mother, this father, everyth<strong>in</strong>g <strong>in</strong> his<br />
life is based on a particular set of conditions; on the other hand that specific set of conditions<br />
takes you to a conditional reality which is an <strong>in</strong>dicator of un-conditional reality, of a larger truth<br />
which is somehow guid<strong>in</strong>g this smaller truth. So you are <strong>in</strong> a relationship of reality of truth, of<br />
conditional truth, of small truths, of provisional truth and of larger truths. They are the ma<strong>in</strong><br />
truths across larger piece of time, larger pieces of history and different lifetimes.<br />
56
D.S.<br />
<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
Your theater is created <strong>in</strong> America and it is directed at an American audience, though it is also<br />
naturally, <strong>in</strong>ternational <strong>in</strong> scope and <strong>in</strong> its reference to other cultures ... Do you th<strong>in</strong>k that<br />
American culture has anyth<strong>in</strong>g to teach to European culture?<br />
Peter Sellars<br />
Sophocles, Mozart and Shakespeare were writ<strong>in</strong>g about America! They were all American!<br />
They were writ<strong>in</strong>g very specifically about my country: <strong>in</strong> a strange way, they were all writ<strong>in</strong>g<br />
about power, about the handl<strong>in</strong>g of power. Today of all the countries <strong>in</strong> the world, America is<br />
the one that is truly experienc<strong>in</strong>g what those people were writ<strong>in</strong>g about. Every catastrophic<br />
social mistake that America has made <strong>in</strong> the last 20 years, Europe has repeated 5 year later. I<br />
could say: there is noth<strong>in</strong>g to learn from America. The sad th<strong>in</strong>g is that you have terrible th<strong>in</strong>gs<br />
to learn, if this is how you start treat<strong>in</strong>g refugees, if you build more prisons, if this is how you<br />
conduct war, all of these are actually horrible th<strong>in</strong>gs that have destroyed Europe over the last 20<br />
years. Because Europe imitates America and European politicians imitate American politicians:<br />
we are see<strong>in</strong>g a catastrophy with Mr Berlusconi, with Mr Sarkozy, all of whom learned their<br />
conduct from America. So I feel, as an American com<strong>in</strong>g to present th<strong>in</strong>gs <strong>in</strong> Europe that I am<br />
giv<strong>in</strong>g Europeans a picture of what will soon be very familiar to them and I try to warn people:<br />
'This is what's com<strong>in</strong>g' and I'm sorry to say that the whole world is deeply <strong>in</strong>fluenced by<br />
America at this moment. Everybody is clos<strong>in</strong>g their borders, everybody is wag<strong>in</strong>g economic<br />
war, everybody is becom<strong>in</strong>g egoist and selfish and the result is economic and social stagnation<br />
<strong>in</strong> America, and now <strong>in</strong> Europe as well. So you watch Europe cutt<strong>in</strong>g itself off from the future<br />
and go<strong>in</strong>g backwards <strong>in</strong>to a false image of the past: it's pa<strong>in</strong>ful. Right now <strong>in</strong> America and <strong>in</strong><br />
Europe you see the rise of fascism aga<strong>in</strong>, it's back: for example <strong>in</strong> Holland, whath <strong>in</strong>credible for<br />
me <strong>in</strong> this Kurtág piece, was the image of the gypsy viol<strong>in</strong>ist on the street who is homeless who<br />
will never live anywhere. The Romanian sound of Kurtág is, of course, the sound of that Europe<br />
which was almost totally annihilated <strong>in</strong> Auschwitz and yet Mr Berlusconi cont<strong>in</strong>ues his<br />
politicies unchecked. I feel that from America. I th<strong>in</strong>k Bulgarian theater becomes universal<br />
when it is most Bulgarian, not when it tries to imitate someth<strong>in</strong>g else: I th<strong>in</strong>k we should always<br />
speak our own language as deeply as possible, with its own specificity, its own <strong>in</strong>teriority. Not<br />
just speak some other language which nobody else speaks. I th<strong>in</strong>k we all have to speak our<br />
language with our own deepest articulation and our ability to get <strong>in</strong> touch with culture through<br />
that language. In Japan people see <strong>in</strong> America some th<strong>in</strong>gs that they recognize, other th<strong>in</strong>gs they<br />
don't; but I believe humanity has a sort of mirror where we all look at ourselves: it's really<br />
<strong>in</strong>terest<strong>in</strong>g to look <strong>in</strong> a mirror of Sophocles, of Shakespeare and f<strong>in</strong>d yourself, and so for me<br />
that's why these texts exist: it's not that they have a certa<strong>in</strong> truth. There is no one truth <strong>in</strong> a<br />
certa<strong>in</strong> moment, <strong>in</strong> a certa<strong>in</strong> way from a certa<strong>in</strong> group of people but quite the opposite: certa<strong>in</strong><br />
texts are mirrored across all of human history and every generation f<strong>in</strong>d itself <strong>in</strong> a mirror and<br />
that's what's powerful.<br />
D.S.<br />
Do you believe that America should be a reference po<strong>in</strong>t for its youthful cultural approach?<br />
Peter Sellars<br />
I have to say that America was very consciously founded on try<strong>in</strong>g to understand Athenian<br />
democracy and the structures of our goverment and our country were based very consciously on<br />
models from Athens and on classical texts. It's not an accident that <strong>in</strong> America the post office<br />
has these cor<strong>in</strong>thian columns, or that the White House is built <strong>in</strong> the style of classical Greek<br />
architecture. These th<strong>in</strong>gs did not come about casually: we were modell<strong>in</strong>g ourselves after an<br />
image of Athens and what the promise of Athenian democracy held. For me these Greek texts<br />
are the fund<strong>in</strong>g texts of my country. I th<strong>in</strong>k that Thomas Jefferson and Benjam<strong>in</strong> Frankl<strong>in</strong> also<br />
took these texts very personally and struggled with them, and tried to draw from them a future<br />
57
<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
that had not been possible <strong>in</strong> Periclean Athens which eventually, of course, collapsed. So it's<br />
like say<strong>in</strong>g that America is young, but compare to Periclean Athens, it is old: democracy has<br />
been go<strong>in</strong>g on longer <strong>in</strong> America that anywhere else right now, and has run <strong>in</strong>to real and serious<br />
problems. Democracy is really threatened right now by money, as it is here <strong>in</strong> Europe and<br />
everywhere else. Euripides and Sophocles were very clear about that and they said very simply:<br />
do not let money replace democracy. They knew that this was the crisis po<strong>in</strong>t. So I look at these<br />
texts and I see my own country, both <strong>in</strong> terms of 'where we are right now', but also <strong>in</strong> terms of<br />
what the found<strong>in</strong>g pr<strong>in</strong>ciples and myths were.<br />
D.S.<br />
Do you th<strong>in</strong>k that American culture has a special relationship whit myth, or a particular<br />
sensitivity where mythology is concerned?<br />
Peter Sellars<br />
Yes, because America was already mythmak<strong>in</strong>g from the outset and its goverment has always<br />
been seen through the prisma of mythology. The mythology of the Kennedys, the mythology of<br />
Richard Nixon: the mythology of that all American leaders are mythical, as well as real people,<br />
and all of them have known how to construct and use myth. So American culture has been<br />
actively us<strong>in</strong>g the mythic from the beg<strong>in</strong>n<strong>in</strong>g, because it was a country based on a larger idea, it<br />
was not based on ethnicity or any of the th<strong>in</strong>gs that countries are usually based upon: it was a<br />
new idea, and therefore it wasn't for the people, who had always lived there, because they were<br />
actually excluded, it was a mythology only for the people, who arrived there, plus all the slaves.<br />
So it was a strange country like no country that had ever existed before: it became a country of<br />
the m<strong>in</strong>d, you have to imag<strong>in</strong>e it, you have to say, 'Ok, we are work<strong>in</strong>g on a large project'. And<br />
this large project was where all the Americans were and were they were represented. New<br />
America wasn't just a country of facts, it was a country that represented certa<strong>in</strong> values,<br />
aspirations, achievements: people from all over the world went there look<strong>in</strong>g to build a new life,<br />
a new future. I don't th<strong>in</strong>k that there is a country <strong>in</strong> history that had a <strong>in</strong>centive like that. It was a<br />
very unique mythology. People from all over the world said "We will go to America and that's<br />
where our future is": that's <strong>in</strong>credible, generation after generation did that, and they created the<br />
future for themselves. That's why America was able to create this k<strong>in</strong>d of economic and social<br />
miracle, <strong>in</strong> spite of all its flops. So it's just amaz<strong>in</strong>g, and it was due precisely to these higher<br />
ideals, that were Athenian. We made this country with a completely different selfimage; and<br />
that's why it's a nightmare when this country says no to immigration, and that English is the<br />
official language of white people only and judges all these other th<strong>in</strong>gs to be An-american:<br />
because it's a violation of the found<strong>in</strong>g pr<strong>in</strong>ciples of the country.<br />
D.S.<br />
Your theater is political: so do you th<strong>in</strong>k that the mythical function of theater is political as<br />
well?<br />
Peter Sellars<br />
Yes, especially because myth is always mov<strong>in</strong>g <strong>in</strong> two ways: <strong>in</strong> one sense it is empower<strong>in</strong>g<br />
because theater puts us <strong>in</strong> the presence of great heroic actions of a previous era and so it lets us<br />
th<strong>in</strong>k that if <strong>in</strong> the past they could do these th<strong>in</strong>gs, then <strong>in</strong> this era too we could do them. Theater<br />
can be really <strong>in</strong>spir<strong>in</strong>g <strong>in</strong> this way. But, at the same time, it can be horrify: it can act as a<br />
warn<strong>in</strong>g to control human ambition, when human ambition is political or economic or concerns<br />
honor, control or possession of hybris. Whereas mythology is very empower<strong>in</strong>g when it is about<br />
th<strong>in</strong>k<strong>in</strong>g <strong>in</strong> larger and more creative ways, which across time and space <strong>in</strong>vite you to share a<br />
larger idea of humanity, of human possibility. So mythology works <strong>in</strong> both directions: it's a<br />
w<strong>in</strong>dow on the <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ite and also a rem<strong>in</strong>der of human limitations. That's what's powerful: it is<br />
58
<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
unlimited, <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ite, it opens your m<strong>in</strong>d to shock<strong>in</strong>g visions, but at the same time it says "Watch<br />
out, those who ignore the limit will be killed".<br />
D.S.<br />
Do you believe that the use of technology, which feeds on hybris, is a way to make mythology?<br />
Peter Sellars<br />
Yes, it's so simple. Technology is a rock, it's a pencil, it's a rocket go<strong>in</strong>g to Mars: all of these are<br />
technology. Technology by itself is neutral: it's just a pencil, whether you use a pencil to draw<br />
your daughter or a neutron bomb. What you hold <strong>in</strong> your hand is still just a pencil. For me<br />
mythology always exists <strong>in</strong> whatever form we have to communicate or to circulate <strong>in</strong>formation.<br />
D.S.<br />
So it's <strong>in</strong> how we use technology that makes it human or <strong>in</strong>human?<br />
Peter Sellars<br />
Yes, technology by itself has no soul, it's what you do with it: that actually reveals its power.<br />
We've all seen really bad movies and really good movies and strangely the mythology is <strong>in</strong> both<br />
extremes. K<strong>in</strong>g Kong is a really bad movie, but it gave people a myth that rema<strong>in</strong>s potent and<br />
dangerous, racist and horrible. But it has rema<strong>in</strong>ed nevertheless, and everybody has it <strong>in</strong> his<br />
consciousness: white people imag<strong>in</strong><strong>in</strong>g black people rap<strong>in</strong>g a white woman. All this is ugly<br />
stuff from a bad movie about an ape made <strong>in</strong> the Thirties. Now why is it that this piece of<br />
kitsch, this piece of junk has had such a long life? It's <strong>in</strong>terest<strong>in</strong>g how these th<strong>in</strong>gs work <strong>in</strong> our<br />
consciousness: certa<strong>in</strong> th<strong>in</strong>gs, particularly bad th<strong>in</strong>gs, rema<strong>in</strong>. Now suddenly Harry Potter is<br />
everywhere <strong>in</strong> these years. We have to ask, why is it that this particular mythology is mak<strong>in</strong>g a<br />
real connection right now <strong>in</strong> people's imag<strong>in</strong>ation? What are people f<strong>in</strong>d<strong>in</strong>g <strong>in</strong> Harry Potter that<br />
resonates with their own reality? That's a really crazy question and maybe there's a k<strong>in</strong>d of<br />
strange long<strong>in</strong>g for an ultra-conservative British boys'-school, whith its strict discipl<strong>in</strong>e, but <strong>in</strong><br />
which at the same time there is total freedom to wave a magic wand and subvert the order. It's<br />
as if there were a strange long<strong>in</strong>g <strong>in</strong> this generation for some really horrible and conservative<br />
th<strong>in</strong>g, where the answers to everyth<strong>in</strong>g are simple and rigid, where there is an order that cannot<br />
be questioned but, at the same time, where you have the magical powers to change everyth<strong>in</strong>g.<br />
What is the Harry Potter myth feed<strong>in</strong>g? That's such an <strong>in</strong>terest<strong>in</strong>g question right now. And also<br />
the need that everybody has to rema<strong>in</strong> a child forever: even thought the Harry Potter actors are<br />
adults, they are still act<strong>in</strong>g like they are fourteen years old. It's like want<strong>in</strong>g to rema<strong>in</strong> <strong>in</strong> high<br />
school forever. It's such a strange moment where you get these phenomena. Culture has to do<br />
with our projections of people fantasies. We are all high school kids, but we are fight<strong>in</strong>g larger<br />
forces. But, to come back to the possible relationship between technology and mythology, for<br />
me the question of technology is deeper. Technology is the new mythology <strong>in</strong> a really profound<br />
way. I th<strong>in</strong>k of the revolution <strong>in</strong> Chiapas where sub-comandante Marcos has waged<br />
mythological and real war. And because the facts of this struggle takes place on the <strong>in</strong>ternet, it<br />
means that although we aren't actually there <strong>in</strong> the jungle of Chiapas, we are still there <strong>in</strong><br />
solidarity. So, when the Mexican army attacks the campes<strong>in</strong>os <strong>in</strong> Chiapas, all over the world<br />
this attack becomes part of our lives. So the idea of people struggl<strong>in</strong>g <strong>in</strong> a remote place <strong>in</strong><br />
Mexico becomes someth<strong>in</strong>g that enters <strong>in</strong>to our consciousness and all over the world you can<br />
see posters of the revolution <strong>in</strong> Chiapas. It is not just a revolution <strong>in</strong> Chiapas but it has become<br />
an image, an empower<strong>in</strong>g image for people everywhere. At the same time, the fact that they can<br />
go on the web and they can say that the Mexican army is attack<strong>in</strong>g, they can alert people all<br />
over the world and this creates, for the Mexican government a different set of choices and<br />
pressures, so the Mexican goverment can't do someth<strong>in</strong>g that would obliviously violate the<br />
world's op<strong>in</strong>ion, which is now <strong>in</strong> favour of the farmers <strong>in</strong> Chiapas. That's a very <strong>in</strong>terest<strong>in</strong>g<br />
59
<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
th<strong>in</strong>g where someth<strong>in</strong>g is both reality and mythology: so <strong>in</strong> this moment <strong>in</strong> history, that place is<br />
both very present and very far away, and it presents us with certa<strong>in</strong> th<strong>in</strong>gs that we have been<br />
imag<strong>in</strong><strong>in</strong>g, <strong>in</strong> many parts of the world.<br />
D.S.<br />
Do you th<strong>in</strong>k that mythology could substitute of history?<br />
Peter Sellars<br />
Between history and mythology there is only an <strong>in</strong>terplay: history is what somebody said<br />
happened, so it's already mythology. I'll try to expla<strong>in</strong> myself better: th<strong>in</strong>k about an event. You<br />
were not there, but if you were there, you only saw what you could see and the event is always<br />
bigger than what you could see of it. So every time we describe someth<strong>in</strong>g, it's mythology<br />
because we don't have a complete vision and we have to depend on what somebody else tell us.<br />
It's only by this act of hear<strong>in</strong>g, only by enter<strong>in</strong>g <strong>in</strong>to this mythical sphere that we can form a<br />
more complete idea.<br />
D.S.<br />
To come back to montage, <strong>in</strong> relation to what we have already said: do you believe that<br />
montage has a particular function <strong>in</strong> relation to the narrative construction and could it enter<br />
<strong>in</strong>to the relationship between truth and fiction?<br />
Peter Sellars<br />
What it is powerful about montage is that <strong>in</strong>terrupts normal narrative flow and it sharpens the<br />
edges of truth. Normal narrative flow goes along with whatever is happen<strong>in</strong>g, but montage<br />
questions each development, and it puts each development up for exam<strong>in</strong>ation by creat<strong>in</strong>g a<br />
situation which looks at someth<strong>in</strong>g from different angles <strong>in</strong>stead of from only one po<strong>in</strong>t of view.<br />
That's why montage becomes very powerful. You realize that history, that reality are composed<br />
of different facets like the eye of a house fly: and the more different facets you see, the more<br />
multi-dimensional reality becomes. So narrative is not a s<strong>in</strong>gle narrative, it's not a s<strong>in</strong>gle image,<br />
it's not a s<strong>in</strong>gle montage: every narrative is "multiple". Everyth<strong>in</strong>g is "multiple" and therefore<br />
there is room for meta-narratives and multi-narrative. There is a large narrative that is beh<strong>in</strong>d<br />
the story which is be<strong>in</strong>g told and there are many smaller narratives that haven't been <strong>in</strong>cluded <strong>in</strong><br />
the story which is beign told. And so we know that all these other narratives could, at any<br />
moment, <strong>in</strong>tersect with other narratives.<br />
D. S.<br />
Probably, when you decide to cut a scene it's always a political act...<br />
Peter Sellars<br />
Yes, and whenever the master narrative is <strong>in</strong>terruped, that's a good sign. That's why it's so<br />
important to make fragments: because everybody knows that the master narrative is a "lie". The<br />
big Hollywood movie, complete with swell<strong>in</strong>g orchestral music, is a total lie! Interrupt<strong>in</strong>g it is a<br />
good sign! The only th<strong>in</strong>g that we can trust is a small moment of truth that we can verify. We<br />
can work with these fragments. We can recomb<strong>in</strong>e fragments <strong>in</strong> whatever way: our lives, our<br />
societies have been broken, but out of everyth<strong>in</strong>g that has been broken, we pick up small pieces<br />
and put them together...<br />
Kurtág, for example, wrote Kafka Fragmensts out of his experience of beign a refugee: but what<br />
does it mean? That when you escape under the fence, you have to abandon your previous life.<br />
And all that rema<strong>in</strong>s is a few fragments, you hold on to them and from those fragments you<br />
60
<strong>Daniela</strong> <strong>Sacco</strong><br />
Qe 03• <strong>Pensiero</strong> <strong>in</strong> <strong>azione</strong><br />
have to build a new life, wherever your life is cont<strong>in</strong>u<strong>in</strong>g. This idea of fragmentary lives and<br />
fragmentary life, broken systems and broken life experiences is really quite destructive<br />
emotionally and at the same time strangely liberat<strong>in</strong>g. Like <strong>in</strong> this experience of immigrants,<br />
who are actually rebuild<strong>in</strong>g their lives creat<strong>in</strong>g new narratives out of the broken pieces. I th<strong>in</strong>k<br />
this is a special form of narration, someth<strong>in</strong>g that I really appreciate <strong>in</strong> Beckett: it's the<br />
understand<strong>in</strong>g that the fragment is probably able to represent truth precisely because it doesn't<br />
pretend to be total, it already declares that it is a partial understand<strong>in</strong>g of someone, and because<br />
it doesn't pretend to be all. The form of the fragment is really satisfy<strong>in</strong>g artistically. Which is<br />
why, <strong>in</strong> this century, the obsession with Greek ru<strong>in</strong>s is grow<strong>in</strong>g: because a fragment is both<br />
"unf<strong>in</strong>ished" and <strong>in</strong>complete and it will rema<strong>in</strong> <strong>in</strong>complete. This comb<strong>in</strong>ation of someth<strong>in</strong>g<br />
which is permanently <strong>in</strong>complete is very powerful and mythology is also that way, because<br />
mythology is always broken. There are many versions of the Medea myth: everybody disagrees<br />
on it, and everybody wonders if what happened <strong>in</strong> this myth is truth or what the myth stands for.<br />
Everybody has a different version, so everyth<strong>in</strong>g is fragmentary: and from that fragment<br />
someth<strong>in</strong>g is recreated. We are all build<strong>in</strong>g a world where broken th<strong>in</strong>gs are strewn around –<br />
<strong>in</strong>clud<strong>in</strong>g our own life, emotions and hopes – and we have to keep go<strong>in</strong>g: we pick up the pieces<br />
and move on...<br />
D.S.<br />
What we can do, sometime, is try to create different compositions...<br />
Peter Sellars<br />
Absolutely, that's the powerful act of human perseverance and determ<strong>in</strong>ation. In Kafka<br />
Fragments there are some images <strong>in</strong> the background, images of people <strong>in</strong> recovery programs,<br />
rehabilitation for alcoholics and drug-takers: they used their lives for shar<strong>in</strong>g and they are now<br />
pick<strong>in</strong>g up the pieces to rebuild their life.<br />
D.S.<br />
This could be a metaphor of the present...<br />
Peter Sellars<br />
It's always the same: <strong>in</strong> Greek times everybody was arriv<strong>in</strong>g from somewhere else, strange,<br />
faraway places, and they brought with them some partial myths. When I was visit<strong>in</strong>g Epidaurus<br />
my companion was Pausanias. He went from place to place, meet<strong>in</strong>g different people with<br />
different stories to tell. It was never a discussion of facts, it was about different stories: you<br />
listen to a folk tale and you observe how one myth changes <strong>in</strong>to another myth, so the same myth<br />
is associated with another myth, with another mean<strong>in</strong>g. I believe it's always that discussion, a<br />
discussion about broken pieces: by the time of Pausanias everyth<strong>in</strong>g was already broken, he had<br />
to reconstruct, with all the contradictions, with all the miss<strong>in</strong>g and different pieces of<br />
<strong>in</strong>formation. I love it! The same myth can be described by Sophocles and <strong>in</strong> a completely<br />
different way by Euripides. In February I staged Händel's Heracles, <strong>in</strong> Chicago, and I based it<br />
on Sophocles The Trach<strong>in</strong>ae... But when you say Heracles you ask: which Heracles? It's an<br />
important question. I've already staged Euriphides' The Sons of Heracles, and there were many<br />
problems. The death of Heracles, for example, is completely different: same character,<br />
completely different death, completely different story, completely different trajectory...there are<br />
so many Heracles! Where do I start? This, for me, is the perpetual question.<br />
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volume pubblicato da Centro studi ClassicA<br />
con il contributo di Università Iuav di Venezia<br />
novembre 2012