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Relazione della Giuria 35^ edizione 2005 - Provincia di Padova

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stampato nel suo in<strong>di</strong>menticabile sorriso, insieme aperto, fanciullesco<br />

e sfuggente, ritratto in sé, quasi sorpreso.<br />

Giovanni era soprattutto un poeta, con ogni probabilità il migliore<br />

<strong>della</strong> sua generazione in Italia. Piuttosto pigramente lo si classificava<br />

come l’ultimo rappresentante notevole <strong>della</strong> cosiddetta “linea lombarda”.<br />

Smantellando come è opportuno questa categoria generica,<br />

ma anche conservandone un po’ del succo (Raboni stesso usava per<br />

poeti lombar<strong>di</strong> affini l’immagine <strong>di</strong> bottega artistica), si deve <strong>di</strong>re che<br />

all’inizio, cioè a partire da Il catalogo è questo del 1961, Giovanni si è<br />

posto, consapevolmente ma subito con ogni originalità, come al punto<br />

d’incrocio fra le due forti lezioni <strong>di</strong> Sereni e <strong>di</strong> Fortini (<strong>di</strong> entrambi<br />

era anche amico personale). E allora ecco una poesia formalmente<br />

sciolta, che assorbiva in sé prosa, conversazione e monologo interiore<br />

senza perdere in consistenza ritmica; e dal punto <strong>di</strong> vista dei contenuti<br />

e dello stesso accento, una presenza etica e più precisamente politica<br />

dei suoi versi – presenza <strong>della</strong> sua turbata Milano anzitutto – che<br />

ha pochissimi riscontri o pari. Ma questo sempre come da una <strong>di</strong>stanza<br />

che allontanava e felpava l’urgenza dei temi. Piaceva molto a Giovanni<br />

il magnifico detto <strong>di</strong> La Fontaine: “Parler de loin ou bien se<br />

taire”. È strabiliante come questo poeta riesca ad essere assieme moralmente<br />

perentorio ed elusivo, provvisorio, a immergersi tutto in cronaca<br />

e storia e a trasformarle in sfuggenti allegorie (Barlumi <strong>di</strong> storia<br />

s’intitola l’ultima sua raccolta).<br />

In seguito abbiamo assistito, fermi restando i caratteri che ho<br />

abbozzato, a un’ammirevole capacità <strong>di</strong> trasformarsi, <strong>di</strong> trasfondersi<br />

in tutt’altri registri poetici da quelli iniziali, fino all’esercizio perfettamente<br />

padroneggiato del sonetto e <strong>di</strong> altre forme chiuse e ai risultati<br />

per me eccezionali del suo teatro in versi, che rinnova totalmente il<br />

genere (spicca soprattutto Alcesti o La recita dell’esilio). Ma tutto ciò<br />

avveniva con naturalezza, per necessità interna, senza programmi <strong>di</strong><br />

tipo avanguar<strong>di</strong>stico o viceversa anticheggiante. Se posso <strong>di</strong>r così,<br />

Giovanni sperimentava senza sperimentalismo, anche quando traduceva<br />

– e secondo me benissimo – la sestina <strong>di</strong> Arnaut Daniel producendo<br />

poi su questa acute variazioni.<br />

Come si è dato non <strong>di</strong> rado nel secolo passato, questo notevolissimo<br />

poeta è stato anche un critico letterario – e soprattutto <strong>di</strong> poesia –<br />

altrettanto notevole. Era capace <strong>di</strong> definizioni fulminee e ultimative,<br />

come quando parlava per Solmi <strong>di</strong> “malinconia <strong>della</strong> ragione”, o<br />

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