Il ARC HITET TURA - Il Giornale dell'Architettura
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Magazine<br />
<strong>Il</strong><br />
ANNO 4, N. 34, SETTEMBRE-<br />
O T T O B R E 2010 (I N C L U S O N E L<br />
G I O R N A L E D E L L’A R C H I T E T T U R A.<br />
NON VENDIBILE SEPARATAMENTE)<br />
dell’<br />
IL GIORNALE DELL’<strong>ARC</strong><strong>HITET</strong><strong>TURA</strong><br />
<strong>ARC</strong> <strong>HITET</strong> <strong>TURA</strong><br />
Fotografata dal vivo tutta la<br />
B I E N N A L E
“ L’immagine<br />
più forte<br />
che emerge da<br />
questi dieci anni<br />
di Biennali<br />
è il prevalere<br />
d e l l ’ a l l e s t i m e n t o<br />
sui contenuti,<br />
di una<br />
p a r t e c i p a z i o n e<br />
che vive<br />
di se stessa<br />
e rinuncia<br />
anche solo alla<br />
s c o m m e s s a<br />
d’incidere<br />
su ciò che<br />
l ’ o p i n i o n e<br />
pubblica<br />
si fa della<br />
a r c h i t e t t u r a<br />
In collaborazione con<br />
”<br />
4 Le Biennali degli anni<br />
duemila: un bilancio<br />
Carlo Olmo<br />
5-9 L’album della mostra<br />
«People meet<br />
A r c h i t e c t u r e », Arsenale<br />
e Palazzo delle<br />
Esposizioni<br />
6 Le affinità elettive<br />
di Sejima<br />
Fulvio Irace<br />
Le Biennali degli anni<br />
d u e m i l a (aspettando Balzac)<br />
Con la 12. Mostra Internazionale di Architettura,<br />
curata da Kazuyo Sejima, si chiude un<br />
decennio in cui la Biennale ha conquistato finalmente<br />
una sua regolare cadenza. È forse<br />
possibile tentare allora un primo, incompleto, bilancio.<br />
Le sei Biennali dal 2000 al 2010 segnano un mutamento<br />
importante rispetto alle sei che le hanno precedute<br />
dal 1980 in poi.<br />
<strong>Il</strong> racconto dell’architettura diviene via via più metaforico,<br />
mentre le intenzioni appaiono, almeno dai titoli di scena,<br />
sempre più sociali. La rappresentazione diviene essa<br />
stessa un evento (spesso è un’installazione) e ogni<br />
mostra si offre come esperienza, quasi sempre conclusa<br />
in sé. La tendenza è accentuata dal fiorire, attorno<br />
alla Biennale, di manifestazioni collaterali ogni anno<br />
più rilevanti.<br />
<strong>Il</strong> distacco tra intenti e forme del racconto, dove le seconde<br />
prevalgono sui primi, tende a ridurre l’architettura<br />
a figure quasi sempre artistiche e a esaltare l’autorialità<br />
dell’opera. È singolare il fatto che spesso si ripetano,<br />
nelle sei Biennali degli anni duemila, i nomi dei<br />
protagonisti, ma ancor più che manchino, quasi totalmente,<br />
i tanti attori del processo decisionale, costruttivo<br />
e abitativo che fanno dell’architettura un’opera umana<br />
u n i c a. Visitando le Corderie o i Giardini quella che<br />
emerge è u n ’ a r c h i t e t t u r a sempre più eterea e personalizzata,<br />
che nasconde, quando non esclude, l’avventura<br />
c o l l e t t i v a che, anche solo a livello progettuale, ne è il<br />
fascino discreto.<br />
Questa tendenza è indubbiamente in sintonia con<br />
quanto questo decennio ha enfatizzato anche in altre<br />
Biennali, non solo di Architettura. Una tendenza che<br />
una sola volta, nel 2006, era stata negata, quando il curatore<br />
Ricky Burdett puntò invece a un salto di scala: quell’edizione<br />
si occupò infatti della metropoli, del rapporto<br />
tra urbanizzazione e società. Ma l’architettura è un<br />
complicato e tutt’altro che lineare gioco di scale. Sceglierne<br />
una è come suonare un notturno di Chopin<br />
solo in re.<br />
Fatte salve alcune eccezioni (come il padiglione italiano<br />
nel 2008 o la sezione «Trasformazioni» sulla riconversione<br />
di edifici esistenti alle Corderie nel 2004), è<br />
stata privilegiata una concezione del tempo sempre basata<br />
sull’esclusiva dimensione del presente, mentre l’architettura<br />
è invece stratificazione di tempi. Prevale l’av-<br />
Numero speciale dedicato alla 12. Biennale<br />
di Architettura<br />
a cura di Roberta Chionne, Cristiana Chiorino<br />
e Laura Milan. Fotografie di Stefano Manca*<br />
* dove non diversamente indicato<br />
6 Convergenze e latitanze<br />
Massimo Pica Ciamarra<br />
8 Lunga vita alla<br />
Biennale!<br />
William Menking<br />
I giornali del giorno<br />
dopo<br />
una selezione da<br />
Le Monde, The Financial<br />
Times, Los Angeles<br />
Times, El Pais,<br />
«<strong>Il</strong> Magazine dell’Architettura»<br />
abbinato a «<strong>Il</strong> <strong>Giornale</strong> dell’Architettura», è una testata edita dalla Società editrice Umberto Allemandi<br />
& C. spa, 8 via Mancini, 10131 Torino, tel. 011.81 99 111 - fax 011.81 93 090 e-mail: redazion<br />
e a r c h i t e t t u r a @ a l l e m a n d i . c o m<br />
Direttore scientifico: Carlo Olmo Direttore responsabile: Umberto Allemandi C a p o r e d a t t ore:<br />
Luca Gibello Redazione: Roberta Chionne, Cristiana Chiorino, Laura Milan I m p a g i n azione:<br />
Elisa Bussi Pubblicità: Angela Piciocco 011.81.99.153, pubblicita.architettura@allemandi.com<br />
Stampa: <strong>Il</strong>te, Moncalieri (To)<br />
w w w. a l l e m a n d i . c o m<br />
4 | IL MAGAZINE DELL’<strong>ARC</strong><strong>HITET</strong><strong>TURA</strong><br />
The Guardian,<br />
The Architect’s Journal<br />
10-13 L’album dei<br />
padiglioni nazionali<br />
14 L’album degli eventi<br />
collaterali e non<br />
15 Who’s Who<br />
Questo mese per ragioni di spazio sono omesse le rubriche Progetto del mese e Rivisitati che ritornano nel prossimo numero.<br />
2000. «Less Aestethics, More Ethics», Massimiliano Fuksas<br />
2002. «Next», Deyan Sudjic<br />
2004. «Metamorph», Kurt W. Forster<br />
2006. «Città. Architettura e società», Richard Burdett<br />
2008. «Out There: Architecture Beyond Building», Aaron Betsky<br />
venimento; la Biennale appare sufficiente<br />
a se stessa, legittimata da un crescente<br />
consumo di visitatori, di servizi<br />
giornalistici e televisivi e poi di social<br />
network, ripercorrendo forse involontariamente<br />
la strada delle Esposizioni universali<br />
dopo il 1900. Basti pensare che<br />
quest’anno, già nella prima settimana,<br />
le presenze sono state 12.444, contro le<br />
11.585 nello stesso periodo del 2008.<br />
Uno spazio sempre crescente viene dato<br />
alle scuole di architettura. Sono tentativi<br />
importanti; alcuni davvero significativi<br />
(come nel 2006). Restano tuttavia<br />
all’interno di una rappresentazione<br />
dell’architettura come «progetto» e dell’esposizione<br />
come luogo di un’esperienza<br />
che purtroppo non va al di là del<br />
proprio confine e delle date della manif<br />
e s t a z i o n e .<br />
L’immagine più forte che emerge da<br />
questi dieci anni di Biennali è il prevalere<br />
dell’allestimento sui contenuti, di<br />
una partecipazione che vive di se stessa<br />
e rinuncia anche solo alla scommessa<br />
d’incidere sull’idea che l’opinione pubblica<br />
si fa dell’architettura. Per fare un<br />
altro esempio, solo nei tre giorni di vernice,<br />
quest’anno si sono accreditati<br />
9.578 addetti ai lavori, di cui 1.885 giornalisti<br />
(altro dato in crescita rispetto all’edizione<br />
precedente).<br />
Ma gli immaginari rimangono fortemente<br />
c o n s e r v a t o r i anche quando usano twitter<br />
o facebook, perché non si mette in<br />
discussione che cosa sia architettura né<br />
le stesse finalità delle mostre di costituire<br />
un evento.<br />
Probabilmente le Biennali raccontano<br />
con onestà una società immersa nella<br />
complessità della condizione abitativa<br />
metropolitana. Una complessità ormai<br />
diventata dominante che non si tenta o<br />
non si può governare. Di essa si accettano<br />
ormai il relativismo accidioso e un<br />
multiculturalismo che ha rinunciato a<br />
far emergere lo scarto tra culture.<br />
In realtà, e forse al di là delle intenzioni<br />
dei tanti curatori, le Biennali sono state<br />
i luoghi di una contaminazione non<br />
programmata: per questo motivo si possono<br />
considerare spazi urbani per eccellenza.<br />
Forse da questa eredità sarà necessario<br />
ripartire, con un’attenzione a<br />
culture, soprattutto architettoniche, le<br />
quali sono risorse che si modificano proprio<br />
contaminandosi tra di loro. E cerca<br />
di superare l’omologazione è l’aspetto<br />
più irritante che emerge da alcuni padiglioni<br />
nazionali, nei quali quasi sempre<br />
le idee di comunità racchiuse entro<br />
presunte identità convivono con progetti<br />
firmati da architetti, malamente definiti<br />
archistar.<br />
Una postilla. L’architettura è una comédie<br />
humaine di straordinaria complessità e<br />
fascino. Forse la sua rappresentazione richiede<br />
un mutamento profondo della messa<br />
in scena, degli attori, dei dialoghi, delle<br />
forme e persino della scena stessa. E un<br />
regista che abbia letto Honoré de Balzac.<br />
C arlo Olmo
Smiljan Radic + Marcela Correa.<br />
The Boy Hidden in a Fish<br />
Ricordo naif e disimpegnato<br />
del terremoto cileno<br />
PEOPLE MEET IN <strong>ARC</strong>HITECTURE (Arsenale e Palazzo delle Esposizioni)<br />
Walter Niedermayr. Isfahan, Iran<br />
Atmosfera svaporata per spazi pubblici di regime<br />
Studio Mumbai Architects. Work-place (menzione speciale)<br />
Intrigante, ma quanto mi costa trasportare tutto dall’India?<br />
Hans Ulrich Obrist. Now Interviews<br />
Bla bla bla…<br />
Antón García-Abril & Ensamble Studio. Balancing Act<br />
È solo una questione di equilibrio?<br />
Architecten de vylder vinck taillieu. 7 Houses for 1 House<br />
Finalmente, un po’ di disegni e modelli<br />
Junya.ishigami+associates. Architecture as Air: Study for Château la coste (Leone d’oro).<br />
Ma è bastato il passaggio di un gatto per farne crollare l’intelaiatura concettuale<br />
R&Sie(n). Isobiot®ope/The Building Which Never Dies<br />
Visitors in salsa blob<br />
Mark Pimlott + Tony Fretton Architects. Piazzasalone<br />
Da Fretton ci si attendeva di più dell’allestimento da autosalone<br />
Transsolar KlimaEngineering + Tetsuo Kondo Architects.<br />
Cloudscapes<br />
Nebbia in Laguna: peccato che l’idea l’avessero già avuta<br />
Diller&Scofidio per la Swiss Expo del 2002<br />
Olafur Eliasson. Your Split Second House<br />
Disco, strobo, ma soprattutto spreco (di acqua e luce)
“ I pezzi forti<br />
di quest’ultima<br />
Biennale<br />
si muovono<br />
tra i due poli<br />
del «miracolo»<br />
e del «trauma»:<br />
tra l’esperienza<br />
del sottrarci<br />
al mondo<br />
dell’utilità<br />
e la ferita<br />
p s i c h i c a<br />
provocata<br />
da una violenza<br />
e s t e r n a<br />
”<br />
Le ampie<br />
condivisioni<br />
di principio, le<br />
f o r t i<br />
c o n v e r g e n z e<br />
c u l t u r a l i ,<br />
mancano però<br />
di adeguati<br />
riscontri nelle<br />
p r a s s i<br />
“<br />
”<br />
Le affinità elettive<br />
di Sejima tra miracoli e traumi<br />
Una rampa che si avvita nell’umido di una nuvola<br />
(Tr a n s s o l a r). Un castello d’aria (o nell’aria),<br />
pronto a disfarsi al primo soffio di vento<br />
(quello di Junya Ishigami, apparso nella p r ev<br />
i e w del 27 agosto, disfatto la mattina del 28, premiato<br />
come migliore installazione il 29!). E ancora: lastre<br />
trasparenti per «nuovo modo prototipico di vivere»: un modulo<br />
di 350 mm (un Modulor dell’ambiguità?) che<br />
teorizza la «s c o m o d i t à» (Sou Fujimoto) come «impulso a<br />
molteplici attività umane». Una cappella per la contemplazione<br />
dei ciliegi della Valle del Jerte e un masso di<br />
granito scavato come metafora di un «futuro protetto,<br />
profumato, sicuro» (Smiljan Radic+Marcela Correa) per ricordare<br />
il terremoto del 27 febbraio in Cile.<br />
Per parafrasare Mario Perniola, si direbbe che i «p e z z i<br />
f o r t i» di quest’ultima Biennale si muovono tra i due<br />
poli del «m i r a c o l o» e del «t r a u m a»: tra l’esperienza del<br />
«sottrarci al mondo dell’utilità» e la ferita psichica provocata<br />
da una violenza esterna. Comune a entrambi è il<br />
fatto di sottrarsi a ogni spiegazione razionale.<br />
«People meet in architecture»: il titolo scelto equivaleva<br />
a un messaggio. Finalmente, dopo dimenticabili<br />
edizioni all’insegna del miracolo tecnologico e del<br />
computer al potere, veniva promesso un ritorno alla riflessione<br />
sulla natura sociale dell’architettura e alla sua<br />
responsabilità nel configurare una via d’uscita alla<br />
crisi.<br />
Di buon auspicio anche la lista degli invitati: un ovvio<br />
allargamento a Oriente, un netto restringimento<br />
degli arci-architetti (con l’eccezione inspiegabile di<br />
Rem Koolhaas che, tolta la casacca di nihilista dell’ipermodernità,<br />
ha camuffato il suo congenito cinismo con<br />
la tunica del p r e s e r v a z i o n i s t a a p r è s Morris e Ruskin).<br />
In realtà, tolti pochi appropriati casi (dai tedeschi di<br />
r a u m l a b o r ai sudafricani Noero Wolff Architects o agli<br />
indiani di S t u d i o - M u m b a i), Sejima ha disegnato la mostra<br />
come una speciale autobiografia delle sue affinità<br />
elettive: mettendo così in campo il dispiegamento com-<br />
6 | IL MAGAZINE DELL’<strong>ARC</strong><strong>HITET</strong><strong>TURA</strong><br />
posito di una poetica dell’etereo e del trasfigurante che<br />
ha come tratto unificante il tentativo di esplorare una<br />
nozione non canonica di spazio attraverso un approccio<br />
più simile alla libertà individuale dell’artista che a<br />
quella compromissoria dell’architetto. <strong>Il</strong> suono, la luce,<br />
l’ombra e il buio, le parole e il tatto influiscono sulla<br />
percezione dello spazio; ma questo non era affatto ignoto<br />
né ai costruttori del Pantheon né a Le Corbusier q u a ndo<br />
progettava la Tourette, ad Erik Gunnar A s p l u n d<br />
quando pensava al cimitero di Stoccolma o a C a r l o<br />
S c a r p a quando costruiva la tomba Brion.<br />
E allora che cosa è cambiato da giustificare l’enorme<br />
presunzione di trovare nel miracolo dell’alterità ciò che<br />
ogni buona architettura dovrebbe per sua natura garantire<br />
e contenere? Perniola direbbe l’egemonia del<br />
presente sul passato, la perdita di specificità, l’eclisse<br />
del sistema professionale. Si tratta di una mutazione<br />
genetica del sistema culturale, definibile, senza retorica,<br />
epocale e che corrisponde al ritratto di società dove<br />
tutti scrivono ma pochi leggono, tutti parlano e nes-<br />
Convergenze e latitanze<br />
Questa di Kazuyo Sejima consolida la serie delle<br />
Biennali che pongono all’attenzione internazionale<br />
declinazioni di temi generali. «People meet<br />
in architecture» è un titolo splendido, acuta<br />
sintesi di questioni antiche e attuali. «A i l a t i », la riflessione<br />
di Luca Molinari, curatore del Padiglione italiano, scava<br />
nella stessa direzione; così altri padiglioni nazionali. Accantonato<br />
ogni equivoco, l’a r c h i t e t t u r a (tecnica e arte civile)<br />
afferma il suo ruolo sociale. «Less architects, more arc<br />
h i t e c t u r e » - come anche le questioni proposte dall’I n / A r c h<br />
quest’anno nella sua prima partecipazione veneziana.<br />
Come sempre interpretazioni plurime, ma la 12. Mostra<br />
internazionale di Architettura è ben singolare. Irrompe nel<br />
dibattito contemporaneo con messaggi semplici (comprensibili<br />
a chiunque viva o s’incontri in ambienti costruiti)<br />
peraltro che aleggiano da tempo: a più di cinquant’anni<br />
dalle tesi del Team X; un po’ meno da Architecture without<br />
architects, la provocatoria apologia di Bernard Rudofsky;<br />
a quasi quaranta da Architecture de surviedi Yona Friedman<br />
che ad aprile era in mostra ai Magazzini del sale; a pochi<br />
mesi dal convegno della Fondazione Zevi Per un’architettura<br />
e un’arte frugale; a poche settimane da l’Eloge du vide<br />
di Jorge Cruz Pintosull’ultimo numero del «Carré Bleu».<br />
Le ampie condivisioni di principio, le forti convergenze<br />
culturali, mancano però di adeguati riscontri nelle prassi.<br />
“ L’edizione non è inutile<br />
se ci spinge a ripensare<br />
il significato, a riconsiderare l’utilità<br />
della formula, a controbilanciare<br />
l’arbitrio del curatore<br />
con un comitato scientifico<br />
che l’aiuti a sbrogliare la matassa<br />
dei pensieri, come una volta<br />
l’editor nei confronti dello scrittore.<br />
Ma questa è un’altra storia.<br />
E non è detto<br />
che possa accadere<br />
”<br />
«A i l a t i » (aspira a un palindromo?) si avvale d’installazioni<br />
come metafore ed esplora il futuro, soprattutto ospita alcuni<br />
giovani eroi che iniettano fiducia con esempi coraggiosi<br />
di spazi ad alto contenuto civile immessi nei magmi<br />
soffocanti prodotti dai più. Senza rinunciare a sperimentazioni<br />
innovative sugli assunti della sostenibilità, declinando<br />
in forme nuove il «privilegio al paesaggio» e la cultura<br />
delle stratificazioni, tutto riafferma che compito primo<br />
del costruire è contribuire al miglioramento della condizione<br />
umana. «People meet in architecture» attiva una<br />
riflessione su architettura, nuovi valori e stili di vita; può<br />
proiettare un’ombra lunga, può far uscire dal torpore, innescare<br />
conseguenze. Può segnare l’eclissi delle archistar,<br />
il disinteresse per autonomie disancorate dai contesti, la<br />
presa di coscienza che l’assenza di qualità favorisce criminalità<br />
e devianze. Nel nostro contesto stimola la qualità<br />
della domanda, precondizione della «qualità diffusa», perché<br />
domande ben poste e articolate richiedono buoni progetti<br />
e buone realizzazioni e poi incidono sui processi formativi<br />
e sui vari fattori della filiera produttiva. Quindi<br />
sprona anche la committenza pubblica: strumento per elevare<br />
le relazioni tra individui/attività/spazi, l’architettura<br />
ha il compito di generare una res publica tesa ad aggregare<br />
e dare senso a ogni comunità.<br />
Quasi simultanea Shanghai 2010 «Better City, Better Li-<br />
suno ascolta. Da questo punto di vista, la 12. Biennale<br />
offre una metafora assai brillante con il Wall of Nam<br />
e s di Hans Ulrich Obrist: 850 nomi trascritti sul muro,<br />
come una Spoon River della civiltà del talk show;<br />
un’intera stanza delle Corderie dedicata all’e s a l t a z i one<br />
narcisistica del critico-curatore come il borgesiano<br />
archivista del mondo, ridotto al format di nastri registrati,<br />
voci mute il cui concerto produce il più assordante<br />
silenzio.<br />
Non sarebbe bastato dunque a Sejima di svolgere onestamente<br />
il suo tema, prendendosi il tempo necessario<br />
allo sviluppo di una mostra sotto gli occhi di un pubblico<br />
così globalmente esteso? E non avrebbe potuto riflettere<br />
con più coerenza su tutti i passaggi di un racconto<br />
di cui sfugge il finale?<br />
Certo. Ma la logica della Biennale è diventata sempre<br />
più istantanea e, nonostante le voci provenienti dagli<br />
ambiti più diversi, la scelta del curatore è sempre più<br />
simile al coup de théâtre tanto amato dalla società della<br />
comunicazione. La stessa nozione di mostra, che in<br />
un recente passato implicava l’elaborazione di un sapere<br />
mai sottratto al controllo dell’autocritica, si è<br />
schiantata sotto l’incombente leggerezza dell’evento,<br />
dell’estemporaneità spettacolare; da consumare, cioè,<br />
entro la data di scadenza pena la perdita di valore nutrizionale.<br />
L’edizione tuttavia non è inutile se ci spinge<br />
a ripensare il significato dell’istituzione (ha ancora<br />
senso la cadenza ravvicinata di una biennale?), a riconsiderare<br />
l’utilità della formula (un’esposizione allargata<br />
a dismisura per catturare la benevola attenzione<br />
del mitico pubblico generalista nella perdurante convinzione<br />
che la comunicazione sia di per sé un dialogo) ,<br />
a controbilanciare l’arbitrio del curatore con un comitato<br />
scientifico che l’aiuti a sbrogliare la matassa dei pensieri,<br />
come una volta l’editor nei confronti dello scrittore.<br />
Ma questa è un’altra storia. E non è detto che possa<br />
accadere.<br />
Fulvio Irace<br />
fe» attraverso Urbanian / City Being / Urban Planet sembra<br />
enunci obiettivi analoghi. Mostra eccezionali sperimentazioni;<br />
delinea una rigenerazione urbana polimerica,<br />
senza precedenti per dimensioni e chiarezza di programma.<br />
Afferma però futuri diversi da quelli sottesi alle variegate<br />
ma convergenti linee della mostra veneziana.<br />
Convegni, congressi, libri, riviste, mostre, istituti, associazioni:<br />
sono utili per quanto aiutino davvero a cambiare le<br />
cose. Venezia 2010 spinge verso coraggiose mutazioni: i<br />
suoi messaggi non possono riecheggiare solo in mondi ristretti,<br />
devono far riflettere e produrre effetti, dovrebbero<br />
improntare il senso comune, rimbalzare con energia per<br />
raggiungere nel profondo politica e governi regionali perché,<br />
diceva Gandhi, «in democrazia nessun fatto di vita si sottrae<br />
alla politica». Ma i nostri governi, al di là del condividere<br />
le conferenze delle Nazioni unite sugli insediamenti<br />
umani o del sottoscrivere abulicamente le risoluzioni dell’Unione<br />
europea (anche quella che proprio su questi temi<br />
sollecita «politiche esemplari»), hanno mai dedicato<br />
anche una sola seduta a riflettere, in termini strutturali, su<br />
come promuovere la qualità delle trasformazioni del territorio?<br />
<strong>Il</strong> Parlamento, i politici, hanno coscienza che regole<br />
e procedure sono, fra i principali ostacoli alla qualità dei<br />
paesaggi voluta dalla Costituzione?<br />
Massimo Pica Ciamarra
PEOPLE MEET IN <strong>ARC</strong>HITECTURE (Arsenale e Palazzo delle Esposizioni)<br />
Amateur Architecture Studio. Decay of a Dome (menzione speciale)<br />
Della serie: «siamo tutti architetti»<br />
Berger&Berger. Ça va (a prefabricated movie theater)<br />
Piet Oudolf. <strong>Il</strong> Giardino delle Vergini (menzione speciale)<br />
People meet in… gard e n<br />
Caruso St. John + Thomas D e m a n d .<br />
Nagel Haus, progetto per Escher-Wy s s -<br />
Platz, Zurigo<br />
Valerio Olgiati. Perm<br />
Museum XXI, Russia<br />
raumlaborberlin. Kitchenmonument<br />
Che «calde» le discussioni di «Domus»!<br />
Andrés Jaque Arquitectos. Fray Foam Home<br />
Delirio concettuale per artisti mancati<br />
Do ho Suh + Suh Architects (Eulho Suh e KyungEn Kim). Blueprint<br />
Zanzariera prêt à porter<br />
Toyo Ito & Associates, Architects. Ta i c h u n g<br />
Metropolitan Opera House, Ta i w a n<br />
Interessante e ricco ma stravisto<br />
Office Kersten Geers David Van Severen + Bas Princen.<br />
Installazione con fotografie (Leone d’argento)<br />
Spazi e architetture anonimi che diventano luoghi d’incontro<br />
Aranda\Lasch con Island Planning Corporation. Modern Primitives<br />
Sedute non proprio erg o n o m i c h e<br />
Tom Sachs. Mc Busier<br />
Lasciamo che Corbu riposi in pace<br />
Aldo Cibic. Rethinking happiness<br />
Rifondazione urbanistica alla Playmobil<br />
Janet Cardiff. The Forty Part Motet<br />
Che il coro polifonico avesse una valenza spaziale, lo sapevamo già<br />
Peter Ebner and friends. Enjoy the view<br />
Le potenzialità del calcestruzzo traslucido<br />
Cerith Wyn Evans. Joanna (Chapter One...) Sat in the Plan<br />
Luci d’artista 2, la vendetta<br />
Sou Fuiimoto Architects. Primitive Future House<br />
Modulor dell’ambiguità?<br />
Andrea Branzi. Per una Nuova Carta di Atene<br />
Rifondazione urbanistica alla Kellog’s
I GIORNALI DEL GIORNO DOPO<br />
Le Monde<br />
L’architecture dans tous ses éclats à Ve n i s e<br />
[…] <strong>Il</strong> tema scelto da Sejima suggerisce un gran calderone benevolo<br />
che lascia immaginare il felice incontro tra umanità e contesto di vita.<br />
L’effetto è una miscela molto piacevole e curiosa. La maggior parte<br />
degli invitati sembra aver abbandonato l’architettura e l’urbanistica<br />
a favore di installazioni che ricordano quelle di una biennale di arti<br />
plastiche […]. Del resto, all’Arsenale, Kazuyo Sejima ha invitato<br />
un grande artista di ispirazione ecologista che di professione non fa<br />
l’architetto. Si tratta del danese Olafur Eliasson che mette in mostra<br />
inattese spirali d’acqua che si materializzano nell’oscurità illuminate<br />
da una luce stroboscopica. E degno di nota è anche l’architetto giapponese<br />
Junya Ishigami, la cui opera si compone di fili impercettibili<br />
così tesi che già dal primo giorno hanno ceduto al passaggio di un<br />
gatto, mentre lo Studio Mumbai (India) presenta una curiosa composizione<br />
di pezzi di impalcatura e strumenti di carpenteria, forma ultima<br />
della dispersione dell’architettura.<br />
Alcuni dei partecipanti rimangono più vicini alla realtà. Un esempio<br />
è il padiglione giapponese, graziosa riflessione sulla casa, lo spazio<br />
vitale e i legami di vicinato. Altri invece fanno della Biennale un<br />
campionato di narcisismo. È il caso del teorico Hans Ulrich O b r i s t,<br />
che si ritrae come un intervistatore di centinaia di personalità, offrendo<br />
un’interminabile perorazione che risulta in un muro di nomi celebri.<br />
Troviamo ancora difficile, infine, identificare il legame tra il tema<br />
e il lavoro dell’architetto cinese Wang Shu: una semplice cupola<br />
autoportante in legno, incontro tra le strutture asiatiche e una delle forme<br />
classiche dei monumenti occidentali.<br />
[…] Sejima ama i progetti visionari. Ma quando si tratta di presentare<br />
il suo lavoro espone una serie di costruzioni realizzate in Giappone<br />
che appaiono leggere e fluttuanti come nuvole. È altrettanto concreta<br />
quando offre un’anticipazione del lavoro a Taïchung di To y o<br />
I t o, presso il cui studio ha lavorato. Come Sejima, Ito è campione di<br />
un’architettura che sfugge alle legge di gravità; tuttavia il suo progetto<br />
è massiccio, un formidabile intreccio di vuoti e pieni, tutto forza e<br />
struttura, la cui densità è tanto difficile da determinare quanto quella<br />
del g r u y è r e f r a n c e s e .<br />
Anche i padiglioni nazionali hanno la forte tendenza a far svanire la<br />
realtà costruita o a ritornare alle origini del rifugio abitativo, utilizzando<br />
soprattutto il legno. In questo gioco di costruzione, gli antichi paesi<br />
dell’est si rivelano dei veri campioni, come la Repubblica Ceca, che<br />
fa sorgere dal disordine degli alberi una struttura sorprendentemente<br />
ordinata: un messaggio senza dubbio poetico lanciato in risposta a un<br />
tempo di crisi che si annuncia duraturo. <strong>Il</strong> C i l e, invece, nella crisi s’immerge<br />
del tutto, presentando le strategie per far fronte ai terremoti. <strong>Il</strong><br />
Regno del Bahrain, infine, racconta il lamento dei popoli esiliati dalla<br />
terra ferma e costretti a rifugiarsi sul mare o sulle spiagge a causa della<br />
speculazione edilizia.<br />
E la Francia? Dominique Perrault ha moltiplicato il disordine di cinque<br />
grandi agglomerati francesi, il cui disegno e destino rispondono<br />
all’ideale del ricongiungimento tra l’uomo e l’architettura. Infine,<br />
rimane l’archistar Rem Koolhaas […] che offre una riflessione<br />
radicale e significativa sulla nozione di patrimonio. Domande senza<br />
risposta, le sue, che ci lasciano non senza una certa angoscia nonostante<br />
l’ironia e la causticità che lo caratterizzano.<br />
Frédéric Edelmann, 30 agosto 2010<br />
El País<br />
Se buscan arquitectos de urgencia<br />
Cosa determina la vita delle persone? Le decisioni piccole o quelle<br />
grandi? L’architetto Kazuyo Sejima pensa che siano quelle piccole a<br />
scatenare l’infelicità o rendere possibile una vita tranquilla. Spiega di<br />
averlo imparato dagli architetti che hanno studiato le persone e i loro<br />
comportamenti prima di dedicarsi all’analisi delle forme. La lista è<br />
lunga: da Cedric Price, Rem Koolhaas o Lina Bo Bardi a non architetti,<br />
come l’artista Olafur Eliasson o il regista Wim We n d e r s. Per questo<br />
l’architettura scelta da Sejima non vuole cambiare il mondo, ma<br />
la vita delle persone che lo popolano […]. Per studiare le relazioni tra<br />
l’architettura e le persone (e lo spazio come origine di queste relazioni)<br />
Sejima espone le fotografie di Walter Niedermayr, che illustrano<br />
lo spazio pubblico in Iran, il meraviglioso studio (ricostruito letteralmente)<br />
degli architetti indiani Studio Mumbai, gli schizzi che la scomparsa<br />
Lina Bo Bardi realizzava come lavoro preparatorio a qualunque<br />
edificio, le inquietanti fontane illuminate di Olafur Eliasson o la<br />
nube di Matthias Schuler (Transsolar) e Tetsuo Kondo [ … ]<br />
Sejima ha anche invitato a partecipare paesi mai presenti prima: Albania,<br />
Iran, Malesia o il Regno del Bahrain, nel cui padiglione - di<br />
nuovo letteralmente - ci si può accomodare per un momento in un’abitazione<br />
tipica.<br />
La presenza spagnola va al di là del padiglione nazionale, per il cui<br />
allestimento si è preferito, solo all’ultimo momento, spostare a Venezia<br />
la mostra Solar Decathlon, che indaga la realizzazione di abitazioni<br />
che funzionano a energia solare […]<br />
Fra i progetti spagnoli, quello di Selgas Cano […], il risultato di uno<br />
8 | IL MAGAZINE DELL’<strong>ARC</strong><strong>HITET</strong><strong>TURA</strong><br />
Lunga vita<br />
alla Biennale!<br />
È un «giocattolo» da 30 milioni<br />
di dollari, ma ne vale la pena<br />
La Biennale di architettura di Venezia è forse sopravvissuta<br />
alla sua utilità? In quasi tutte le<br />
Biennali, a partire dal 1980, i curatori hanno<br />
detto di voler creare una mostra non tanto per<br />
gli architetti, quanto per il pubblico. Per Vittorio Greg<br />
o t t i, ad esempio, se si trattava di presentare l’architettura<br />
«la comunicazione con il pubblico era praticamente<br />
impossibile», ma poi, quando è diventato curatore<br />
delle prime mostre di architettura della Biennale<br />
prima della 1. Mostra internazionale di Architettura,<br />
ha detto: «Ho voluto dichiarare in modo chiaro e inequivocabile<br />
che la Biennale è aperta al pubblico, alla<br />
città di Venezia e ai non addetti ai lavori». Persino P a olo<br />
Portoghesi, curatore della nota mostra del 1980 «Strada<br />
Novissima» che si tenne all’Arsenale,<br />
sosteneva che l’architettura aveva per-<br />
so la capacità di «parlare alla gente comune».<br />
Ma dietro la creazione delle sue<br />
facciate cinematografiche su entrambi i<br />
lati dell’Arsenale si trovava proprio<br />
questa mancanza di comunicatività.<br />
All’apertura della mostra, la stampa specializzata<br />
internazionale cala sulla Serenissima<br />
per due o tre giorni, c r i t i c a n d one<br />
l’elitarismo e l’assenza di legami con i<br />
reali problemi urbani del mondo. Se in<br />
parte questo riflette l’onnipresenza della<br />
comunicazione e delle immagini in rete,<br />
c’è anche la sensazione che sarebbe meglio<br />
spendere il denaro per risolvere questio-<br />
Per gli<br />
architetti<br />
e i media<br />
i n c o n t r a r e<br />
vecchi colleghi e<br />
voci importanti<br />
e conversare<br />
ad alto livello<br />
è una delle<br />
grandi doti della<br />
Biennale.<br />
È ciò che la<br />
salva dalla<br />
f r i v o l e z z a ,<br />
r e n d e n d o l a<br />
degna di<br />
p r o s e g u i r e<br />
malgrado<br />
i costi<br />
“<br />
”<br />
ni più urgenti, come la povertà e l’esigenza<br />
di pensare alloggi sociali accessibili.<br />
So per esperienza che allestire un padiglione<br />
nazionale in Biennale costa più<br />
di 400.000 dollari: sembra che quest’anno<br />
quello austriaco superi gli 800.000<br />
dollari mentre i tedeschi, pur esponendo<br />
solo disegni, ne hanno sborsati comunque<br />
650.000. Sommando padiglioni,<br />
Arsenale e Giardini, per non parlare di feste<br />
e biglietti aerei, si tratta di un affare<br />
da 20-30 milioni di dollari, un festeggiamento di due mesi<br />
sempre più appariscente.<br />
Le critiche alla Biennale spesso ruotano attorno al fatto<br />
che Arsenale e padiglioni nazionali mostrano opere<br />
che si potrebbero definire «arte» piuttosto che architettura.<br />
Eppure il problema di ogni mostra di architettura,<br />
nei musei o nelle gallerie, è: come si può esibire<br />
il frutto del lavoro degli architetti - disegni, prospetti e<br />
sezioni, persino rendering - senza annoiare il pubblico?<br />
Ironicamente, un modo per comunicare le idee architettoniche<br />
è la realizzazione di esposizioni che si potrebbero<br />
definire «installazioni artistiche». La strategia<br />
di solito consiste nel prendere un concetto architettonico,<br />
come «spazio», «esperienza» o addirittura l’idea<br />
di «comunicazione» di Portoghesi, e cercare di riprodurlo<br />
in un audace gesto teatrale.<br />
E questo è proprio ciò che è accaduto quest’anno all<br />
’A r s e n a l e.<br />
Entrando nel grande edificio delle C o r d e r i e ci si trova<br />
di fronte una serie di installazioni: la nuvola del giapponese<br />
Tetsuo Kondo con gli ingegneri ambientali Tr a ns<br />
s o l a r, le enormi travi in equilibrio dell’architetto spagnolo<br />
Antón García-Abril e persino l’installazione di O l afur<br />
Eliasson, con spruzzi d’acqua catturati da tremule<br />
luci stroboscopiche. Tutte impiegano strategie diverse<br />
ben note alla Biennale d’arte, come i cambiamenti di<br />
scala (le travi di García-Abril), i teatrali trompe l’oeil<br />
(Eliasson) e le installazioni artistiche (la nuvola di<br />
Kondo). Mettendo da parte la pretesa che l’architettura<br />
abbia una sua noiosa e ipocrita sicurezza delle proprie<br />
convinzioni solo quando affronta povertà e degrado<br />
ambientale, i progetti della Biennale di quest’anno<br />
hanno un forte impatto sugli spettatori. Quando l’architettura<br />
è esibita così, si perde però il legame con l’ambiente<br />
urbano che la contraddistingue. Troppo spesso<br />
ciò che resta non è architettura ma «design».<br />
L’aspetto importante della Biennale è che, a prescindere<br />
dalle singole opinioni su ruolo e significato dell’architettura<br />
nella società contemporanea, chiunque<br />
può trovare qualcosa da amare o da odiare, a ulteriore<br />
conferma del fatto che può esistere una mostra d’ar-<br />
chitettura incentrata su oggetti che parlano<br />
persino quando sono immersi nelle<br />
crude esigenze della vita e della protesta<br />
urbana. <strong>Il</strong> catalogo del padiglione del B ah<br />
r a i n spiega che il paese sta svendendo la<br />
sua costa al miglior offerente, ma che gli<br />
abitanti si oppongono a questa tragedia<br />
costruendo baracche abusive sul litorale.<br />
Anche il padiglione degli Stati Uniti, che<br />
lega l’architettura ai problemi quotidiani<br />
della pratica contemporanea, la storia<br />
del kibbutz di I s r a e l e, l’installazione della<br />
Gran Bretagna e la piccola riproduzione<br />
della laguna veneta valgono la fatica<br />
di andare fino a Venezia. Ho molto apprezzato<br />
anche la montagna di gabbie per<br />
uccelli della P o l o n i a, che permettono di<br />
arrampicarsi fino alla cima e saltare in un<br />
abisso nero di gommapiuma, aggiunte<br />
degne di nota all’esperienza, alle sfide e<br />
al discorso sull’architettura. E a proposito<br />
di discorso, è un tratto tipico della<br />
Biennale che sedi come la bolla gonfiabile<br />
di r a u m l a b o r, le conferenze organizzate<br />
dalla rivista «Volume» al p a d i g l i o n e<br />
o l a n d e s e e le soirée al Dark Side Club di<br />
Robert White diano ad architetti e me-<br />
dia l’opportunità di discutere, lamentarsi e parlare dello<br />
stato della professione. Per gli architetti e i media,<br />
questa è una delle grandi doti della Biennale: i n c o n t r a r e<br />
vecchi colleghi e voci importanti e conversare ad alto livello<br />
su ciò che hanno gradito o meno. Posso assicurarvi<br />
che il livello della discussione e del dialogo in Biennale<br />
supera di gran lunga quello di ogni altro convegno,<br />
fiera o esibizione del calendario internazionale di<br />
architettura e, tutto sommato, è ciò che la salva dalla<br />
frivolezza, rendendola degna di proseguire malgrado<br />
i costi.<br />
Infine, se ricordate il colorato padiglione nomade a tenda<br />
che ogni ora si spostava in un punto diverso dei<br />
Giardini o il tubo giallo dell’E s t o n i a che correva dal<br />
padiglione russo a quello tedesco (senza che loro lo sapessero)<br />
- scaltri progetti della Biennale del 2008 -, quest’anno<br />
dovete amare la partecipazione croata. Una<br />
mattina sono andato ad aspettare la chiatta-padiglione<br />
realizzata in Croazia per poter essere riutilizzata a<br />
ogni Biennale, ma non è mai arrivata perché non è riuscita<br />
ad attraccare vicino ai Giardini. È proprio per<br />
progetti come questo, concepiti da giovani architetti<br />
con budget limitati che per far parte del dibattito internazionale<br />
sull’architettura contano solo su creatività<br />
e passione, che si continua a tornare a Venezia ogni<br />
due anni. Lunga vita alla Biennale di architettura!<br />
William Menking
PEOPLE MEET IN <strong>ARC</strong>HITECTURE (Arsenale e Palazzo delle Esposizioni)<br />
Atelier Bow-Wow. House Behaviorology<br />
Modelli dell’accogliente abitare nipponico<br />
Selgas Cano. Vacuum Pack-ing (on Room 25)<br />
Merzbau architettonico sottovuoto<br />
Pezo von Ellrichshausen Architects. Detached<br />
Autocitazionismo compiaciuto<br />
Amid.cero9. Palacio del Cerezo en Flor, Valle del Jerte, Spagna<br />
Ma la valle stava bene anche senza il friendly-meteorite<br />
Cedric Price. Venic Venic<br />
Omaggio a un maestro degli spazi meeting<br />
Lina Bo Bardi. Sesc Fábrica da Pompéia<br />
Perché Hadid non è la prima modernista radicale<br />
Kazuyo Sejima & Associates + Office of Ryue Nishizawa. Inujima Art House<br />
e Teshima Art Museum<br />
Sejima autore f e renziale 1<br />
Oma - Office for Metropolitan Architecture. Preservation<br />
Koolhaas da teorico del Junkspace a sacerdote della tutela<br />
OpenSimSim. Opensimsim.net<br />
Strumenti virtuali di partecipazione<br />
dePaor architects. 4am<br />
Teatrino concettuale (dell’assurdo)<br />
Aires Mateus. Voids<br />
Spazi per sottrazione (ma ci restano tot mc di plastico…)<br />
Oma<br />
Fiona Tan. Cloud Island<br />
Le voci degli abitanti di Inujima: Sejima autore f e renziale 2<br />
Christian Kerez. Some Structural Models and Pictures<br />
Va bene il minimalismo, però…<br />
Noero Wolff Architects. Strangeness and familiarity<br />
Scuole in contesti socialmente difficili: finalmente, «People meet in Arc h i t e c t u re » !
PADIGLIONI NAZIONALI<br />
I GIORNALI DEL GIORNO DOPO<br />
dei lavori sul campo di Andrés Jaque o lo scultoreo uditorio che indaga<br />
l’essenza della Valle del Jerte di Cristina Díaz Aranda e E f r é n<br />
García Grinda (Amid Cero 9) si distribuiscono nel Palazzo delle Esposizioni,<br />
in cui si danno appuntamento due delle migliori mostre di<br />
questa edizione. La più architettonica arriva dalla mano del portoghese<br />
Aires Mateus, che ritaglia paesaggi per sollevare nuove ombre.<br />
La più irriverente la lancia Rem Koolhaas che ci ricorda che il concetto<br />
di preservare, come la modernità, è un’invenzione dell’Occidente<br />
e conclude domandando se la Cina debba salvare Venezia.<br />
Tra i padiglioni nazionali, i n o r d i c i parlano di «luoghi comuni» […].<br />
Gli i n g l e s i sono ritornati a Ruskin per costruire la loro ironica Villa<br />
Frankenstein e discutere dei legami tra progresso e vita domestica. I<br />
cileni hanno mostrato come riprendersi dal terremoto con i fatti, ma<br />
anche con le fotografie dell’architetto Mathias Klotz, capaci di restituire<br />
la bellezza di un sisma […]. Questa è una Biennale propositiva,<br />
che si conclude con un’idea tanto vaga quanto reale: non esiste<br />
un’unica soluzione […].<br />
Anatxu Zabalbeascoa, 27 agosto 2010<br />
The Guardian<br />
Venice Architecture Biennale: castles in the air<br />
Ho avuto l’impressione che molti architetti da ogni parte del mondo<br />
stiano cercando di ritornare alle origini. Non per ricondurci a una<br />
qualche epoca austera, ma per aiutarci a riflettere su come si possa davvero<br />
fare di più con meno […]. La Biennale vuole stimolare la nascita<br />
di nuove idee architettoniche in un’epoca di ristrettezze economiche,<br />
paure ambientali e, nonostante questo, opportunità smisurate<br />
[…]. A conferma di questo, mentre entravo nelle gigantesche Corderie,<br />
un gruppo di architetti giapponesi era alle prese con la costruzione<br />
di una casa quasi inesistente […]. L’abitazione che Junya Ishig<br />
a m i e i suoi colleghi stavano edificando è fatta di ciò che sembrerebbero<br />
essere fili finissimi di acciaio. Era come se quei diligenti architetti<br />
stessero innalzando una delle città invisibili di Italo Clavino, dando<br />
forma a una struttura che potrebbe essere tanto reale quanto immaginaria<br />
[…]. A fianco si trovava un’installazione intitolata «Cloudscapes»<br />
dove i visitatori salivano lungo fragilissime rampe di acciaio<br />
addentrandosi in una nuvola creata artificialmente. La nuvola non è<br />
una novità - fu già presentata dallo studio newyorkese Diller + Scofidio<br />
sulle sponde del lago Neuchâtel in occasione dell’Esposizione<br />
Nazionale Svizzera del 2002 - eppure qui, camminando con la testa<br />
tra le nuvole nel chiuso di un edificio, l’atmosfera si fa meravigliosamente<br />
sognante […]. Oppure si può semplicemente guardare come<br />
intontiti la scintillante bellezza stroboscopica di «Your Split Second<br />
House» dell’artista danese Olafur Eliasson che ha creato uno spazio<br />
cavernoso e buio dove schiocchi di frusta e spirali d’acqua si presentano<br />
davanti al visitatore avvolgendolo e suggerendo strutture elettrizzanti<br />
che non potranno mai esistere davvero e che scompaiono prima<br />
ancora che gli occhi abbiano registrato le loro forme incerte. Queste<br />
installazioni […] sono, a parer mio, estremamente efficaci […] sono<br />
esempi di bellezza, un modo per farci aprire gli occhi e capire quale<br />
potenziale potrebbero avere l’architettura e gli spazi da essa creati se<br />
solo potessimo pensarli liberamente.<br />
Un team di architetti, ingegneri e musicisti spagnoli guidati da A ntón<br />
García-Abril e dall’Ensamble Studio ci suggeriscono che è solo una<br />
questione di equilibrio. La loro installazione è costituita da due enormi<br />
travi di cemento che occupano l’intero spazio della sala delle Corderie.<br />
Queste sembrano tenute ferme da una roccia e da una molla che<br />
ci ricordano che siamo drammaticamente in bilico su una labile linea<br />
di confine tra un futuro positivo e l’autodistruzione.<br />
[…] Quest’anno, l’idea di lanciare temi e messaggi forti ma al tempo<br />
stesso semplici ha caratterizzato l’intera mostra […]. <strong>Il</strong> Leone<br />
d’Oro per il miglior padiglione nazionale è stato assegnato al R e g n o<br />
del Bahrain […]. La toccante esposizione di questo paese mette in<br />
scena una cultura locale fatta di capanne elementari ma belle, cultura<br />
che sta velocemente scomparendo in un angolo di mondo dominato<br />
dall’ampollosità architettonica. In un’atmosfera di austerità, il<br />
padiglione belga invece mostra frammenti di tessuto presi da uffici<br />
usurati, con l’intento di sottolineare la nozione di durevolezza e gli effetti<br />
del consumo e del decadimento […]. L’olandese presenta modelli<br />
di edifici vuoti per rappresentare la folle mostruosità dello spreco<br />
edilizio […]. L’ungherese si presenta come un labirinto di matite<br />
colorate di un giallo brillante che pendono dal soffitto appese a fili<br />
di cotone […]. <strong>Il</strong> messaggio è che, per quanto innegabilmente ingegnoso,<br />
il design assistito dal calcolatore non è riuscito a renderci più<br />
felici né più umani. La forza ispiratrice degli edifici che più ci colpiscono<br />
rimane ancora il progetto fatto a mano. «Che cosa rende una<br />
città vivibile?», si chiedono invece i d a n e s i. Dietro uno striscione giallo<br />
su cui compare questa domanda perenne si trova un distributore<br />
automatico di birra Carlsberg che, immagino, offra la risposta, specialmente<br />
in un’estate veneziana calda e appiccicosa quanto colla liquida<br />
[…]. Se i f i n l a n d e s i ci chiedono di «stare con gli elementi» e<br />
«vicini alla natura», gli a u s t r i a c i vorrebbero che conservassimo qualcosa<br />
dell’innocenza della fanciullezza proponendo diversi modelli per<br />
10 | IL MAGAZINE DELL’<strong>ARC</strong><strong>HITET</strong><strong>TURA</strong><br />
Albania. Beyond Color<br />
Belgio. Usus/Usures<br />
Buona l’idea sui materiali consumati, ma l’allestimento è estetizzante<br />
Cina Cipro. Encounters: A Walking Movie<br />
Estonia. 100 Maja / Houses<br />
<strong>Il</strong> territorio della dispersione immobiliare<br />
Gran Bretagna. Villa Frankestein<br />
Criptico omaggio a Venezia<br />
(e a John Ruskin)<br />
Italia. Ailati. Riflessi dal futuro<br />
Grecia. The Ark. Old seeds<br />
for New Culture<br />
Poco di più oltre alle deliziose fragranze<br />
Argentina. Meeting places<br />
Pochi mezzi, messaggio chiaro<br />
Brasile. 50 years after Brasilia<br />
Omaggio a Niemeyer insieme a grandi progetti pubblici<br />
Finlandia. Schools<br />
Bei progetti: children «meet in Architecture»<br />
Grecia Iran. Persian Garden<br />
Italia. Laboratorio Italia<br />
Ecumenismo per progetti quasi tutti déjà vu
Armenia. The Crossroads<br />
Canada. Hylozoic Ground<br />
Aiuto, le meduse!<br />
Corea. re.place.ing: documentary of changing metropolis Seoul<br />
Paesi nordici: Finlandia, Norvegia e Svezia. Stay in To u c h<br />
Spazi e arc h i t e t t u re firmati che diventano luoghi d’incontro<br />
Iran<br />
Irlanda. Of de Blacam & Meagher<br />
Australia. Now+When Australian Urbanism<br />
Visioni e incubi urbani in filmati 3D<br />
Cile. Chile 8.8<br />
Pensieri e azioni dopo il terremoto<br />
Croazia. Brod/The Ship/La nave: a Floating Pavilion<br />
<strong>Il</strong> progetto del padiglione galleggiante, che però<br />
a Venezia non ha attraccato<br />
Francia. Metropolis<br />
Grandeur cinerama per Parigi, Lione, Marsiglia, Bordeaux, Nantes<br />
Italia. Italia 2050<br />
Versione aggiornata del «Monumento continuo» di Superstudio<br />
Austria. Under Constructions<br />
<strong>Il</strong> decostruzionismo di Owen Moss<br />
ha il sopravvento<br />
Cina. Here for a Chinese Appointment<br />
Etereo come Sejima<br />
Francia<br />
PADIGLIONI NAZIONALI<br />
Regno del Bahrain. Reclaim (Leone d’oro)<br />
Giusto l’appello, ma mancano le proposte<br />
Cina<br />
D a n i m a r c a . Q&A: Urban Questions_Copenhagen Answers<br />
Cosa rende vivibile una città? <strong>Il</strong> distributore di birra<br />
Carlsberg lì nell’angolo…<br />
Israele. Kibbutz: An Architecture Without Precedents<br />
Belli tema e allestimento, ma che spreco di carta!<br />
Italia. Amnesia nel presente Italia 1990-2010<br />
Egitto. The Search for Salvation<br />
Prezioso quanto incomprensibile<br />
Germania. Sehnsucht<br />
Noi non l’abbiamo capito, ma le sedie erano comode
PADIGLIONI NAZIONALI<br />
I GIORNALI DEL GIORNO DOPO<br />
il centro cittadino come uno fatto di fiori o uno dominato da un edificio<br />
a forma di tigre. La presentazione del Regno Unito è più oscura.<br />
La speranza che in futuro impareremo a rispettare la natura di Venezia<br />
tanto quanto abbiamo saputo amare la sua cultura e la sua architettura<br />
nel passato è rappresentata, tra le altre cose, da passaggi tratti<br />
da «Le pietre di Venezia» di Ruskin e da un modello in legno dello<br />
Stadio Olimpico attualmente in costruzione a Londra […]. Con un<br />
tocco leggero e al tempo stesso inconfondibile, Kazuyo Sejima è riuscita<br />
a dar vita a un evento che tratta questioni importantissime pur<br />
continuando a deliziarci con installazioni che evocano sentimenti profondi<br />
e atmosfere magiche ben lontane dal mondo privo di umorismo<br />
della «rigenerazione urbana» e dell’inutilità architettonica.<br />
Jonathan Glancey, 30 agosto 2010<br />
Los Angeles Ti m e s<br />
Venice Architecture Biennale has L.A. flavor<br />
[…] È risaputo che curare una Biennale di architettura è un compito<br />
difficile: le aspettative sono elevate, il tempo di preparazione è in genere<br />
limitato e i soldi non sono molti (solo la mostra del 1980 di Paolo<br />
Portoghesi viene ricordata ancora oggi con emozione generale). Eppure<br />
Sejima ha saputo migliorare radicalmente questo evento rispetto<br />
all’edizione del 2008 di Aaron Betsky, offrendo al pubblico una<br />
delle migliori Biennali degli ultimi anni.<br />
La sua mostra, che include artisti, cineasti e una lunga serie di giovani<br />
architetti e affermati professionisti, è studiata con impeccabile<br />
finezza e riesce con successo nel difficile intento di perseguire l’ottimismo,<br />
la bellezza e di avere, al tempo stesso, le idee molto chiare<br />
sui problemi ecologici ed economici. La tesi implicita della mostra<br />
- molto appropriata a un’epoca in cui fondi per le nuove costruzioni<br />
scarseggiano - è che gli architetti dovrebbero trovare delle<br />
soluzioni per reinventare, ricostruire o vedere con occhi diversi<br />
gli edifici e le città già esistenti piuttosto che dare vita a nuove gigantesche<br />
icone o progettare fantasie al computer. Ma questo pensiero<br />
è presentato in modo delicato, quasi elegiaco, senza evidente<br />
cinismo né alcun cenno di disperazione.<br />
Christopher Hawthorne, 27 Agosto 2010<br />
The Architect’s Journal<br />
Venice Architecture Biennale 2010<br />
Faceva caldo e le aspettative erano elevatissime. Ma già durante il weekend<br />
inaugurale era chiaro che quest’anno la mostra sarebbe stata un<br />
successo. <strong>Il</strong> tema è un concetto molto ampio e alquanto nebuloso, ma<br />
anche orientato all’esplorazione del ruolo pubblico dell’architettura<br />
[…]. Se la Biennale del 2008 è stata, come ha scritto Baratta, «allegramente<br />
pessimista», Sejima rimpiazza il nichilismo con un ottimismo<br />
giocoso. Molte delle esposizioni sono più interessate all’effimero,<br />
all’esperienza e alla temporaneità piuttosto che alla magniloquenza,<br />
all’ostentazione e al guadagno. Anche lo stadio presentato dal R e g n o<br />
U n i t o, un modellino in legno in scala 1:10 che riproduce una sezione<br />
dello Stadio Olimpico di Londra, non è stato costruito per celebrare<br />
la grandiosità dell’evento, ma per stimolare la discussione.<br />
Nel susseguirsi sensuale e teatrale delle sale espositive dell’Arsenale, il<br />
film in 3D di Wim We n d e r s, realizzato per il Rolex Learning Centre<br />
dello studio di architettura Sanaa, è seguito da «Cloudscapes»<br />
un’installazione dove una passerella a spirale attraversa una nuvola<br />
generata artificialmente […]. Hans Ulrich Obrist, invece, utilizza la<br />
sua sala espositiva per registrare e trasmettere una serie di interviste con<br />
i partecipanti della Biennale inserendo questo lavoro in uno più ampio<br />
ancora in corso […]. <strong>Il</strong> continuo susseguirsi di interviste può apparire<br />
inquietante e monomaniacale, ma dal punto di vista scenico,<br />
questa scelta risulta vincente, sebbene non priva di alcuni risvolti comici<br />
[…]. Altrettanto inquietante è la sala di Olafur Eliasson d o v e<br />
una spirale d’acqua illuminata da luci stroboscopiche schiocca improvvisamente<br />
come una frustata sul duro pavimento. <strong>Il</strong> visitatore ne<br />
esce bagnato per ritrovarsi di fronte alla cupola incompiuta di Wa n g<br />
S h u con ancora la vista annebbiata.<br />
Due sale più in là, si arriva all’installazione di Janet Cardiff in cui 40<br />
altoparlanti trasmettono musica rinascimentale. Navigando tra le casse<br />
si può sentire ogni singola parte corale o, negli intervalli, dei rumori<br />
di passi e degli schiarimenti di voce […]. I Giardini ospitavano invece<br />
una concentrazione di padiglioni alquanto stravaganti, mentre il<br />
Palazzo delle Esposizioni presentava delle opere decisamente più teatrali.<br />
Lo studio O m a / A m o rubava la scena con la sua indagine sul ruolo<br />
della conservazione. Tutto questo contrastava con il padiglione del<br />
B a r h a i n. Per la prima volta in mostra, questo paese ha portato con sé<br />
alcune capanne in legno prelevate direttamente dal loro sito d’origine.<br />
All’interno delle capanne, delle video interviste con i pescatori che le<br />
abitano - i cui mezzi di sostentamento sono minacciati da una pesca<br />
eccessiva e dal sottosviluppo - discutono sul significato delle capanne<br />
stesse senza sentimentalismo. Sembra quindi una scelta azzeccata per<br />
una Biennale così ben meditata da farti volentieri trasportare, quella<br />
di averlo premiato con il Leone d’Oro per il miglior padiglione.<br />
James Pallister, 1 Settembre 2010<br />
12 | IL MAGAZINE DELL’<strong>ARC</strong><strong>HITET</strong><strong>TURA</strong><br />
Giappone. Tokyo Metabolizing<br />
Nicchie confortevoli nella metropoli<br />
Giappone<br />
Montenegro. Places for Re-encounters-Recycling the Space<br />
Repubblica Ceca e Repubblica Slovacca. Natural Architecture<br />
La città dei pallets<br />
Repubblica di San Marino. Architetture nel piccolo Stato.<br />
San Marino. Nove fotografi per nove architetture<br />
Spagna. (Architecture within Limits)<br />
I modelli di case a energia zero dal concorso «Solar Decathlon»<br />
Olanda. Vacant NL, Where Architecture Meets Ideas<br />
Idee per gli edifici inutilizzati<br />
Romania. 1:1<br />
<strong>Il</strong> mio spazio vitale (con vernice inebriante)<br />
Ruanda. Tradizione e innovazione nel design delle fibre vegetali<br />
Stati Uniti. Workshopping: An American<br />
Model of Architectural Practice<br />
Forme professionali alternative<br />
per la costruzione della città<br />
Svizzera. Landscapes and<br />
personale di Jürg Conzett
Granducato del Lussemburgo.<br />
Rock_Paper_Scissors<br />
Olanda<br />
ructures. Un inventario<br />
tografato da Martin Linsi<br />
Ex Repubblica Jugoslava di Macedonia. Learning Architecture<br />
Vuoto per pieno<br />
Polonia. Emergency Exit<br />
Che bello tuffarsi nel vuoto, ma occhio all’atterraggio!<br />
Malesia. R e / Mixed<br />
Rassegna di progetti per edifici alti<br />
Russia. Factory Russia<br />
Romania Come riusare un’intera città industriale dismessa<br />
Russia<br />
Serbia. Seesaw Play-Grow<br />
Piante viaggianti e marchingegni in equilibrio: tutto dimenticabile<br />
Thailandia. Thailand Meet & Greet<br />
Dove incontrarsi a Bangkok<br />
Singapore. 1000 Singapores -<br />
A Model of the Compact City<br />
Ungheria. Borderline Architecture<br />
Viva il disegno a matita (appesa a un filo)<br />
Slovenia. All Shades of Green<br />
<strong>Il</strong> paesaggio dell’architettura<br />
PADIGLIONI NAZIONALI<br />
Portogallo. No Place Like<br />
4 case griffate Siza, Carrilho Da Graça, Mateus<br />
Uruguay. 5 Narrativas / 5 Edificios<br />
Biografie architettoniche in filmati
EVENTI COLLATERALI E NON<br />
I GIORNALI DEL GIORNO DOPO<br />
Financial Ti m e s<br />
Venice Architecture Biennale<br />
Da anni ormai la Biennale di Venezia […] è appesantita da un<br />
senso di colpa: la sensazione che ci sia qualcosa di mostruoso nel<br />
mettere in mostra grattacieli sempre più ambiziosi, ville lussuose,<br />
sfarzosi teatri lirici e città visionarie […]. Anche quest’anno il titolo<br />
sembra rivolgersi a qualcosa che va al di là dell’edificio, a<br />
un’umanità soggiacente. […]. La mostra rappresenta un passaggio<br />
interessante poiché Sejima ha riportato alla Biennale l’architettura,<br />
l’oggetto. Tuttavia, diversamente dalle edizioni precedenti che<br />
mostravano ammassi decadenti di proposte sempre più stravaganti,<br />
questa edizione cerca di costruire e creare veri spazi da vivere<br />
piuttosto che semplicemente rappresentarli […].<br />
Negli ultimi anni la sequenza delle sale è stata una processione scoraggiante.<br />
[…]. Quest’anno mi ci sono voluti solo 10 minuti per<br />
attraversarle tutte e alla fine mi sono ritrovato con la sensazione di<br />
essere stato solleticato da esperienze sensoriali memorabili. C’è una<br />
scala, creata da Transsolar e Tetsuo Kondo, che sale curvando dolcemente<br />
verso una nuvola di vapore; c’è un’installazione magica<br />
firmata da Olafur Eliasson, in cui getti d’acqua emanati da tubi che<br />
girano vorticosamente sono illuminati da luci stroboscopiche che<br />
li rendono simili a scintille luminose come diamanti; c’è una gigantesca<br />
struttura reticolare in acciaio di Christian Kerez; c’è una<br />
poesia realizzata con lampade al neon di Cerith Wyn Evans; c’è un<br />
bizzarro simulacro di una casa ordinaria firmato da Caruso St John<br />
e Thomas Demand; c’è un’affascinante installazione di Tony Frett<br />
o n e Mark Pimlott che si soffermano sull’esperienza del trovarsi in<br />
uno spazio pubblico, e c’è una collezione di forme quasi dimenticate<br />
che creano una serie di atmosfere urbane in uno sfondo domestico.<br />
Le collaborazioni con gli artisti hanno portato a un approccio<br />
all’installazione più sofisticato dove il materiale viene privilegiato<br />
al simulacro, il reale al virtuale.<br />
I padiglioni nazionali quest’anno non hanno riservato molte gioie.<br />
È indicativo di un malessere generale il fatto che il padiglione<br />
b e l g a, con la sua esposizione scarna ma impeccabilmente allestita<br />
di oggetti quotidiani e superfici ordinarie, rappresenti l’esposizione<br />
più elegante e interessante. Utilizzando ogni tipo di oggetto, da<br />
una foto ingrandita di un rivestimento per sedili in polivinile a parti<br />
rimosse di edifici, gli architetti belgi trasmettono un senso di consumo<br />
e di perdita che è veramente poetico […]. Come spesso accade,<br />
i padiglioni dei paesi dell’Europa centrale e dell’Est con la loro<br />
arguzia offrono un piacere immediato. Gli architetti u n g h e r e s i<br />
dedicano una poesia al disegno architettonico (di cui ci sono pochi<br />
esempi quest’anno) invadendo lo spazio della sala con centinaia<br />
di matite appese che formano un affascinante labirinto di pendenti<br />
che ondeggiano dolcemente. Gli architetti s e r b i p r e s e n t a n o<br />
deliziose piante da vaso portatili ispirate a una poesia di Vasko Popa;<br />
i p o l a c c h i mostrano un’inquietante torre per il suicidio e i r u ss<br />
i una visione bucolica sottilmente ironica (almeno credo) di un<br />
panorama postindustriale cosparso da rovine dell’industria sovietica<br />
che figurano come pittoresche stravaganze architettoniche.<br />
<strong>Il</strong> padiglione b r i t a n n i c o è molto diverso dagli altri e sfugge all’immediatezza<br />
di molti padiglioni. È basato sulle virtù dell’osservazione<br />
in contrapposizione all’intervento […]. Una volta capito il messaggio<br />
(è però necessario leggere il catalogo), diventa uno dei pochi<br />
realmente profondi e interessanti poiché rivela davvero qualcosa<br />
sulla natura dell’osservazione ossessiva. Nel padiglione principale<br />
della Biennale si trovano sparse alcune meraviglie. <strong>Il</strong> mirabile<br />
progetto di Florian Beigel per l’area paludosa del Saemangeum<br />
(Corea del Sud) riflette la delicatezza acquea di Venezia, mentre<br />
la sala, estremamente gradita, dedicata a Lina Bo Bardi ci ricorda<br />
che Zaha Hadid non è affatto la prima donna modernista radicale.<br />
Infine, collocata in un contesto perfetto, c’è la mostra tipicamente<br />
provocatoria di O m a sulla conservazione. L’assunto è che una<br />
quantità crescente di superficie terrestre è protetta (un’area pari agli<br />
Stati Uniti) mentre l’età di ciò che viene conservato sta progressivamente<br />
diminuendo, una combinazione di tendenze tale per cui<br />
alla fine si arriverà a tutelare ciò che ancora dovrà essere costruito -<br />
una nozione che si rifà a Calvino che ben si confà a questa città raffinatamente<br />
imbalsamata.<br />
Questa è una Biennale particolare: bella a vedersi ma, quel che è<br />
preoccupante, povera di idee. La politica è stata eliminata, l’esperienza<br />
è stata preferita all’intelletto. Può essere forse un sollievo per<br />
gli architetti e i visitatori ma al tempo stesso lascia trasparire una<br />
certa riluttanza ad affrontare un futuro incerto. Come spettacolo<br />
dove gli architetti parlano agli architetti è notevole, ma dal punto<br />
di vista della comunicazione al mondo esterno è deludente. La gente<br />
potrà anche incontrarsi nell’architettura, ma che cosa capita una<br />
volta che l’incontro è avvenuto? Rimangono solo i ricordi e le fugaci<br />
impressioni di bellezza e di struttura?<br />
Edwin Heathcote, 31 Agosto 2010<br />
14 | IL MAGAZINE DELL’<strong>ARC</strong><strong>HITET</strong><strong>TURA</strong><br />
Audi Urban Future Award. Le installazioni di Jurgen Mayer H. (vincitore) e Alison Brooks Architects (partecipante),<br />
Scuola Grande della Misericordia<br />
Pier Luigi Nervi. Architettura come sfida, Palazzo Giustinian Lolin<br />
Mapping Contemporary Venice. From the City of Today to the Venice of the Future, Venice International University,<br />
Isola di San Servolo<br />
Sismycity. L’Aquila 2010,<br />
Loggia Foscara di Palazzo Ducale<br />
<strong>Il</strong> primo degli incontri del progetto Provincia<br />
italiana, Palazzo Bonaguro, Bassano del Grappa<br />
Vittorio Gregotti al primo<br />
dei Sabati dell’Architettura<br />
La mostra In/Arch, Artiglierie Arsenale<br />
Paris La Défense Seine Arche.<br />
Alex MacLean Given a Free Hand, Ca’ Asi<br />
La nuova sede della Biblioteca della Biennale -<br />
Asac, Palazzo delle Esposizioni<br />
Culture_Nature. Green Ethics - Habitat - Environment, Spazio Thetis,<br />
Arsenale Novissimo<br />
Festa per Faram e Miodino<br />
in occasione della presentazione<br />
del libro «Architecture matière»,<br />
Palazzo Grassi<br />
<strong>Il</strong> Centro Sociale Morion ha ospitato<br />
lo European Forum for Architectural<br />
Policies e il concorso Gau:di<br />
Parc des Ateliers Luma a Arles di Frank O. Gehry,<br />
Sala delle Colonne, Ca’ Giustinian<br />
Quotidian Architectures - Hong Kong<br />
in Venice, Campo della Tana
Presentazione di «Inventario», nuova rivista promossa da Foscarini<br />
e edita da Corraini. Da destra, Beppe Finessi, Artemio Croatto,<br />
Carlo Urbinati, Marzia Corraini e Alessandro Ve c c h i a t o<br />
Rem Koolhaas<br />
Jürg Conzett<br />
Paolo Baratta Yuval Yasky Amos Gitai<br />
Jonathan Solomon John Portman<br />
Giuliano Segre con Louise Hutton e Mathias Sauerbruch<br />
vincitori del concorso per il polo culturale M9 a Mestre<br />
Party alla Fenice per il padiglione russo Enzo Mari Italo Rota<br />
Odile Decq Wolf Prix Umberto Vattani<br />
Giorgio Orsoni Sergej Tc h o b a n<br />
Wang Shu Amateur architecture<br />
(menzione speciale)<br />
Emilio Nisivoccia e Lucio de Souza<br />
I curatori del padiglione del Bahrein (Leone d’oro)<br />
Tudor Vlasceanu<br />
Junya Ishigami (Leone d’oro)<br />
con Vittorio Sgarbi<br />
Kazuyo Sejima<br />
Alessandro Mendini Zissis Kotionis e Phoebe Gianissi<br />
Roger Sherman e Dana Cuff di CityLab Walter Hood<br />
I n a u g u r a z i o n e di Mapping Contemporary Venice, Isola di San Servolo.<br />
Da sx a dx Giuseppe Amato, Giancarlo Carnevale, Raffaella Guidobono, Stefano Micelli,<br />
Maria Sebregondi, Monica Scanu e Ezio Micelli<br />
WHO’S WHO<br />
David van Severen, Bas Princen<br />
e Kersten Geers (Leone d’argento)<br />
Pippo Ciorra<br />
Giovani architetti in… acqua<br />
davanti al padiglione britannico