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LE ANGIOSPERME (Magnoliophyta1)

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<strong>LE</strong> <strong>ANGIOSPERME</strong> (Magnoliophyta 1 )<br />

Comparse forse già nel Triassico (circa 200 milioni di anni fa) o più probabilmente nel successivo<br />

Giurassico, le angiosperme si diffusero rapidamente in un grande numero di forme diverse a partire<br />

dalla fine del Cretaceo (90 milioni di anni fa circa). Stando ai ritrovamenti più recenti, i primi reperti<br />

fossili riconducibili con sicurezza a angiosperme risalirebbero a 135 milioni di anni fa (inizio del<br />

Cretaceo). Molti aspetti dell’origine delle piante a fiore sono ancora misteriosi. Non si sa con precisione<br />

né quando e dove si siano originate, né quale gruppo di gimnosperme ne sia il progenitore. Non è<br />

neppure certo che si tratti di un gruppo monofiletico, benché la maggioranza degli studiosi ritenga che<br />

sia così. Anche se praticamente tutti i gruppi di gimnosperme conosciuti allo stato fossile sono stati di<br />

volta in volta indicati dai diversi autori come possibili antenati diretti delle piante a fiore, appare<br />

abbastanza convincente l’ipotesi di un’affinità filogenetica delle angiosperme con una linea che ha<br />

portato anche alle Cycadopsida, soprattutto se si considera la somiglianza tra i macrosporofilli fogliacei<br />

con ovuli marginali presenti ancora oggi in alcuni rappresentanti di questo gruppo di gimnosperme e il<br />

macrosporofillo ancestrale che ripiegandosi lungo la nervatura centrale avrebbe dato origine al carpello<br />

delle angiosperme. Non è chiaro nemmeno come abbiano fatto le piante a fiore a diversificarsi così<br />

rapidamente. C’è chi ritiene che questo possa essere spiegato con un’origine in zone montuose tropicali<br />

con climi caratterizzati da alternanza di periodi umidi e aridi, zone cioè dove sono presenti forti<br />

pressioni selettive che avrebbero provocato una rapida evoluzione e insieme però anche condizioni<br />

sfavorevoli alla formazione e conservazione dei fossili. Le prime tappe della comparsa e della<br />

diversificazione delle piante a fiore si sarebbero quindi svolte senza lasciare tracce. Secondo altri<br />

studiosi, le tre caratteristiche che definiscono le angiosperme (ovuli racchiusi entro un carpello, doppia<br />

fecondazione, presenza di fiori) sarebbero comparse separatamente e distanziate fra loro nel tempo,<br />

combinandosi insieme solo nel Cretaceo. Sta di fatto che in un tempo relativamente breve le<br />

angiosperme sono diventate il gruppo di vegetali che domina il nostro pianeta, grazie alla loro estrema<br />

varietà morfologica e fisiologica e in particolare alla diversità di tipi di foglie e di tessuti conduttori, che<br />

consentono a queste piante la vita negli ambienti più diversi. Il risultato è che le Magnoliophyta sono i<br />

vegetali dominanti in tutti i grandi biomi terrestri, dai deserti alle foreste pluviali e costituiscono un<br />

elemento fondamentale del paesaggio, naturale o modificato dall’uomo. Con oltre 250.000 specie<br />

viventi, riunite in circa 400 famiglie (ma il numero varia di molto a seconda degli autori), sono il gruppo<br />

di piante più numeroso e vario: basti pensare che tutti gli altri gruppi di tracheofite (pteridofite e<br />

gimnosperme) comprendono insieme solo circa 15.000 specie. Le angiosperme hanno anche un’enorme<br />

importanza applicativa ed economica, comprendendo tutte le principali piante coltivate (a scopo<br />

alimentare, medicinale, foraggero, ornamentale, tessile, ecc.), nonché la maggior parte delle infestanti.<br />

Le angiosperme sono caratterizzate da un’impressionante varietà di forme, a cominciare dalla<br />

fisionomia generale della pianta: si va da alberi giganteschi a erbe annue, a arbusti, liane, piante epifite,<br />

succulente, insettivore, parassite prive di clorofilla, ecc. Forme diversissime sono presenti in tutti gli<br />

organi della pianta, in particolare nelle foglie e nei fiori, così da consentire lo svolgimento delle<br />

fondamentali funzioni vegetative e riproduttive negli ambienti più vari. La struttura secondaria del fusto<br />

è caratterizzata dalla presenza di legno di tipo eteroxilo, dove elementi specializzati per le diverse<br />

funzioni di conduzione e sostegno (trachee, tracheidi, fibre) sono fra loro combinati nelle proporzioni<br />

più adatte a garantire la miglior efficienza del tessuto nelle diverse condizioni ambientali. 2<br />

Una tale diversità e capacità di adattamento è stata raggiunta dalle piante a fiore grazie soprattutto<br />

alla grande possibilità di insorgenza di nuovi caratteri legata all’affinamento dei processi riproduttivi,<br />

che raggiungono qui la massima efficienza e perfezione conosciuta nei vegetali.<br />

Il fiore e gli elementi fiorali.<br />

Caratteristica del gruppo è la presenza del carpello, che può essere interpretata come un<br />

macrosporofillo entro cui sono contenuti e racchiusi gli ovuli (macrosporangi rivestiti da tegumenti). Il<br />

carpello dà luogo a una struttura detta pistillo, formata in genere da tre porzioni con funzioni diverse:<br />

- l’ovario, parte allargata basale che contiene gli ovuli;<br />

- lo stimma, parte apicale recettiva per il polline;<br />

1 In alcuni testi indicate anche con il nome di Antophyta.<br />

2 L’anatomia e la fisiologia delle piante a fiore sono affrontati nel corso di Biologia vegetale. Le<br />

caratteristiche morfologiche degli organi vegetativi (radici, fusti, foglie) e riproduttivi (fiori, frutti) vengono<br />

considerate nelle esercitazioni del modulo di Botanica sistematica e per il loro approfondimento si rimanda alla<br />

relativa Guida alla descrizione. Le caratteristiche vegetative e l’interesse economico ed ecologico delle<br />

angiosperme arboree di interesse forestale vengono trattate nel modulo di Botanica forestale.


- lo stilo, parte allungata che collega l’ovario allo stimma.<br />

Il pistillo (ovario-stilo-stimma) è un’unità morfologico-funzionale che può essere formata da un solo<br />

carpello nel caso di ginecei monocarpellari o pluricarpellari apocarpici (e in questo caso i termini<br />

carpello e pistillo coincidono) o da più carpelli fusi insieme nel caso di ginecei pluricarpellari sincarpici.<br />

I carpelli, insieme alle altre strutture riproduttive, sono organizzati nel fiore, il complicato e<br />

perfezionatissimo organo esclusivo delle angiosperme 3 da qualcuno definito come un insieme di<br />

strutture che proteggono e nutrono i gametofiti e controllano la gamia (Gerola).<br />

Il fiore è un complesso specializzato in cui sono riuniti ed organizzati tutti gli organi e le strutture<br />

legati alla riproduzione. È qui che:<br />

- si formano i macro- e i microsporangi;<br />

- avviene la meiosi, con produzione delle macro- e delle microspore;<br />

- vengono prodotti, nutriti e protetti i gametofiti maschile e femminile;<br />

- vengono messi in atto i processi di incompatibilità controllati geneticamente che favoriscono il<br />

raggiungimento dell’oosfera da parte del gamete maschile “più adatto”;<br />

- avvengono la gamia e il successivo sviluppo dell’embrione, primo stadio vitale del nuovo sporofito;<br />

- attraverso la formazione del seme e del frutto, vengono forniti al nuovo sporofito i mezzi per<br />

affrontare con le maggiori probabilità di successo il distacco dalla pianta madre e la diffusione in un<br />

nuovo ambiente.<br />

Il fiore è un germoglio a crescita determinata con internodi raccorciati e nodi che portano foglie<br />

specializzate: antofilli sterili (sepali e petali, che costituiscono il perianzio) e sporofilli fertili<br />

(microsporofilli o stami e macrosporofilli o carpelli).<br />

L’enorme varietà morfologica e biologica che si trova nei fiori è il risultato di un lungo processo<br />

evolutivo nel corso del quale la selezione ha premiato quelle caratteristiche che nei diversi ambienti si<br />

sono rivelate più adatte a favorire l’efficienza della riproduzione. Si ritiene che nei fiori delle prime<br />

angiosperme gli elementi fiorali fossero in numero elevato e indefinito, disposti a spirale su un asse<br />

(ricettacolo o talamo) ben sviluppato. Fiori di questo tipo si ritrovano ancora in angiosperme che hanno<br />

conservato caratteri di primitività, come le magnolie.<br />

È possibile individuare alcune tendenze evolutive che si sono ripetute molte volte indipendentemente<br />

nell’evoluzione dei fiori dei diversi gruppi di angiosperme, come ad esempio:<br />

- da fiori con elementi numerosi a fiori con elementi in numero ridotto;<br />

- da fiori con numero variabile di pezzi a fiori con numero fisso di elementi per ogni specie;<br />

- da disposizione spiralata dei pezzi fiorali (fiori aciclici) a disposizione in verticilli, dapprima solo<br />

di una parte degli elementi fiorali (fiori emiciclici, come nella fragola) e poi di tutti (fiori ciclici, come<br />

nella maggioranza delle angiosperme attuali);<br />

- da fiori con elementi tutti liberi (calice dialisepalo, corolla dialipetala, gineceo apocarpico, ecc.) a<br />

fiori con elementi saldati nello stesso verticillo (calice gamosepalo, corolla gamopetala, gineceo<br />

sincarpico, ecc.) o tra verticilli contigui (ad esempio stami epicorollini, ovario infero);<br />

- da fiori a simmetria raggiata (attinomorfi) a fiori a simmetria bilaterale (zigomorfi);<br />

- da fiori in cui sono presenti tutti i verticilli (fiori completi) a fiori in cui uno o più verticilli<br />

mancano (fiori momoclamidati e nudi; fiori unisessuali, ecc.).<br />

I verticilli di un fiore completo sono (dal basso verso l’alto se il ricettacolo è allungato ed evidente, o<br />

dall’esterno verso l’interno nel caso più comune di ricettacoli brevi e più o meno piani):<br />

- calice, formato da sepali, con funzione principalmente di protezione degli altri verticilli nelle prime<br />

fasi del loro sviluppo<br />

- corolla, formata da petali, prevalentemente con funzione di richiamo sul fiore degli insetti<br />

impollinatori. L’origine dei petali non è la stessa in tutte le angiosperme: in alcuni casi si tratta<br />

chiaramente di sepali modificati, in altri appare evidente la loro origine da stami sterili sovrannumerari.<br />

L'insieme di calice e corolla forma il perianzio. Se i due verticilli perianziali non sono molto diversi per<br />

aspetto e funzione, prendono il nome di tepali e il loro insieme di perigonio. Il perigonio può avere<br />

aspetto corollino (tepali petaloidi) o calicino (tepali sepaloidi). La presenza di un perigonio anziché di<br />

un perianzio è la condizione più frequente nelle monocotiledoni (Liliopsida).<br />

- androceo (di solito in due verticilli), formato da microsporofilli o stami. Accanto a normali stami<br />

fertili (composti da filamento e antera) possono essere presenti stami sterili (staminodi) più o meno<br />

modificati, che assumono funzioni diverse, spesso di richiamo per gli insetti pronubi in aggiunta o in<br />

sostituzione dei petali;<br />

- gineceo, formato da macrosporofilli o carpelli. Fiori dove sono presenti sia stami che carpelli si<br />

3 Anche se il termine fiore viene a volte usato per analogia in riferimento alle strutture riproduttive delle<br />

gimnosperme, è più corretto riservarne l’uso solo per le angiosperme.


chiamano perfetti (o monoclini, o ermafroditi). I fiori diclini (o unisessuali) portano invece solo stami<br />

(fiori maschili) o solo carpelli (fiori femminili) e si trovano sullo stesso individuo nelle piante monoiche<br />

(come il mais o la quercia) e su individui diversi nelle piante dioiche (come i salici).<br />

Non sempre tutti i verticilli sono presenti. Uno o più di essi possono mancare e si possono così avere<br />

fiori monoclamidati, fiori nudi, fiori unisessuali, fiori sterili, ecc. La successione dei verticilli è però la<br />

stessa in tutte le angiosperme e questo costituisce uno degli indizi a favore di una loro origine<br />

monofiletica. Nei fiori impollinati da insetti è frequente la presenza di nettàrii, strutture più o meno<br />

evidenti dove viene raccolto il nèttare. I nettàrii possono trovarsi alla base dei petali, sul ricettacolo,<br />

sulle pareti o alla base dell'ovario o altrove; anche petali o sepali possono essere trasformati<br />

parzialmente o totalmente in nettàrii. In alcune piante i nettàrii si trovano su organi vegetativi come<br />

foglie o stipole (nettàrii extrafiorali).<br />

La disposizione verticillata ha consentito la fusione tra elementi di ciascun verticillo o di verticilli<br />

adiacenti, con la comparsa - ad esempio - di calici gamosepali e corolle gamopetale, di stami<br />

epicorollini, del passaggio alla posizione infera dell’ovario con la saldatura sulla sua parete delle basi<br />

degli altri pezzi fiorali.<br />

Nella maggior parte dei casi, la selezione naturale ha premiato i tipi di fiori in cui viene favorita<br />

l’allogamia, cioè l’unione tra gameti geneticamente diversi perché provenienti da fiori o addirittura da<br />

individui diversi. Questa offre infatti maggiori possibilità di ricombinazione genetica e comparsa di<br />

nuovi caratteri. Ciò non toglie che in alcuni casi ci sia stata invece un’evoluzione verso l’autogamia (o<br />

addirittura verso forme diverse e anche molto raffinate di propagazione vegetativa, come l’apomissia),<br />

laddove le condizioni ambientali la rendevano vantaggiosa.<br />

Molte caratteristiche del fiore sono legate al tipo di impollinazione, cioè di trasporto del polline dalle<br />

antere degli stami fino allo stimma del pistillo. Nei fiori entomogami (o entomofili), in cui il trasporto<br />

del granulo è affidato a insetti, si ha in genere un particolare sviluppo della corolla, con forme, colori,<br />

odori, strutture meccaniche atte a favorire la visita degli animali, massimizzando l’efficienza nel<br />

trasporto del polline, minimizzando i danni e nelle forme più evolute arrivando a selezionare i pronubi.<br />

La varietà dei fiori entomogami è il risultato di processi di coevoluzione che hanno interessato<br />

angiosperme e insetti dal Cretaceo in avanti. Al contrario, nei tipici fiori anemogami, dove è il vento il<br />

vettore del polline, si assiste ad un insieme di adattamenti morfo-funzionali che facilitano il trasporto, da<br />

alcuni indicati come “sindrome anemogama”: polline abbondante e leggero, stami con antere mobili e<br />

filamenti lunghi, perianzio ridotto o assente e privo di profumi, stimmi voluminosi e piumosi, elevato<br />

rapporto numero di stimmi/numero di ovuli, da cui derivano frutti spesso monospermi. L’anemogamia è<br />

diffusa tra le specie erbacee di ambienti aperti (praterie), come le graminacee, e tra le specie arboree<br />

degli strati superiori delle foreste. Un tempo le angiosperme anemofile, caratterizzate da fiori con<br />

struttura semplice e ridotta, erano considerate meno evolute rispetto a quelle con i più complessi fiori<br />

entomogami, secondo un’interpretazione che vedeva l’evoluzione come un processo sempre diretto<br />

verso una maggiore complessità delle strutture. In seguito si sono trovate le prove che angiosperme<br />

anemofile a fiori estremamente ridotti erano derivate da forme con fiori entomofili complessi. È bene<br />

tenere sempre presente che non esistono caratteri in assoluto più e meno evoluti, ma solo più e meno<br />

adatti a particolare condizioni ambientali che li rendono vincenti nella selezione. Un carattere punito<br />

dalla selezione in un ambiente e in un’epoca può essere premiato in un ambiente diverso o ricomparire<br />

in un’epoca successiva.<br />

La riproduzione sessuale.<br />

Come detto, nel fiore sono riunite le strutture dove si svolgono tutte le fasi della riproduzione, fasi<br />

che nelle altre piante terrestri avvengono in luoghi diversi e al di fuori del diretto controllo<br />

dell’individuo genitore.<br />

I microsporangi sono riuniti a gruppi di quattro a costituire le quattro logge o sacche polliniche delle<br />

antere degli stami (microsporofilli). In ogni sporangio si riconoscono, a partire dall’esterno, un tessuto<br />

protettivo bistratificato (esotecio e endotecio), un tappeto nutritivo e un tessuto sporigeno o<br />

archesporio, formato di cellule madri delle microspore, ognuna delle quali per meiosi originerà quattro<br />

microspore.<br />

Le microspore, avvolte come nelle gimnosperme da esina e endina, germinano ancora nell’antera,<br />

producendo al loro interno un minuscolo gametofito costituito da una cellula vegetativa (o cellula del<br />

tubetto) che include una piccola cellula generativa. La maggior parte dei granuli pollinici (microspore<br />

germinate) lascia l’antera a questo stadio di sviluppo (pollini binucleati); in poche angiosperme più<br />

evolute, prima che il polline venga rilasciato la cellula generativa si divide in due gameti maschili o<br />

cellule spermatiche (pollini trinucleati). Le caratteristiche morfologiche dell'esina e in particolare la<br />

presenza e il tipo di solchi o pori di germinazione sono specifiche nei diversi gruppi sistematici e


possono consentire l'identificazione comunemente fino al livello di famiglia e in qualche caso fino al<br />

livello di specie.<br />

Trasportati dagli agenti dell’impollinazione (vento, insetti o altro), i granuli raggiungono lo stimma.<br />

Se il polline è di tipo compatibile, lo stimma secerne zuccheri, sali minerali, vitamine e altre sostanze<br />

che stimolano l’idratazione del granulo, provocando l’aumento di volume del citoplasma e la fuoriuscita<br />

del tubetto pollinico. Questo si fa strada nei tessuti lassi dello stilo, secernendo esoenzimi (pectinasi ed<br />

altri) che solubilizzano le lamelle mediane delle cellule. Nei pollini binucleati è durante la crescita del<br />

tubetto che avviene la formazione dei due gameti maschili. Questi vengono trasportati dal tubetto fino<br />

agli ovuli contenuti nell’ovario.<br />

Nel frattempo, all’interno degli ovuli si è prodotto il ridottissimo gametofito femminile o sacco<br />

embrionale. Nella nucella dell’ovulo una sola cellula madre delle macrospore subisce meiosi e origina<br />

quattro spore, di cui di regola una sola resta vitale, mentre le tre più prossime al micropilo degenerano.<br />

Il nucleo dell’unica macrospora superstite si divide in due nuclei che migrano ai poli opposti della<br />

cellula, sospinti da un grosso vacuolo centrale. Con due successive divisioni di ciascun nucleo, si<br />

ottengono quattro nuclei al polo micropilare e quattro al polo opposto (calazale). Due nuclei, uno per<br />

ciascun polo, si trasferiscono al centro del sacco embrionale e si rivestono di una parete comune (nuclei<br />

polari). Anche gli altri sei nuclei a questo punto si cellularizzano, completando così lo sviluppo del<br />

gametofito, che nel tipo più comune risulta quindi costituito da sette sole cellule: l’oosfera<br />

accompagnata da due sinergidi al polo micropilare, tre antipodi al polo calazale e una cellula con due<br />

nuclei migrati dai due poli (nuclei polari) al centro. Il sacco embrionale è ora pronto per la<br />

fecondazione.<br />

I gameti maschili, portati dal tubetto, sono frattanto giunti fino al gametofito femminile (sacco<br />

embrionale), dove il tubetto si apre, riversandoli di solito in una delle due sinergidi. Da qui una delle<br />

due cellule spermatiche raggiunge l’oosfera, a cui si unisce per formare lo zigote, mentre l’altra si fonde<br />

con i nuclei polari, originando l’endosperma secondario 4 , tessuto di riserva normalmente triploide tipico<br />

delle angiosperme. In alcune specie il tessuto è subito cellulare, in altre passa prima per uno stadio a<br />

nuclei liberi. Questo processo di doppia fecondazione, che avviene in tutte le angiosperme con modalità<br />

simili, è un altro argomento a sostegno dell'ipotesi di un'origine monofiletica delle Magnoliophyta. A<br />

differenza dell’endosperma primario delle gimnosperme, l’endosperma secondario si forma solo in<br />

seguito all’avvenuta fecondazione, realizzando il massimo di efficienza e di risparmio energetico. Nelle<br />

gimnosperme invece l’endosperma primario si forma indipendentemente dalla fecondazione: in quelle<br />

più arcaiche questo avviene prima ancora dell’arrivo del polline, in quelle più evolute solo in seguito<br />

all’impollinazione.<br />

Dopo la fecondazione, l’ovulo si trasforma in seme. Dallo zigote si sviluppa un embrione, spinto<br />

dalla sua parte basale (sospensore) dentro l’endosperma. A differenza di quanto avviene nelle<br />

gimnosperme, l'embrione delle angiosperme è cellularizzato fin dall'inizio dello sviluppo, come nelle<br />

pteridofite. A un certo punto del suo sviluppo, che si svolge con modalità diverse nelle dicotiledoni e<br />

nelle monocotiledoni, l’embrione arresta la crescita. In questo stadio sono in genere riconoscibili uno o<br />

due foglie embrionali (cotiledoni) che circondano un apice caulino (piumetta), e una radichetta<br />

embrionale con il suo apice meristematico. A raccordare cotiledoni e radichetta può essere visibile un<br />

asse ipocotile, più sviluppato nelle specie a germinazione epigea. Attorno all’embrione si organizza<br />

l’endosperma, dapprima in forma nucleare e poi cellularizzato. A spese dello sporofito genitore,<br />

l’endosperma si arricchisce di sostanze di riserva, diverse a seconda delle specie: amidi (come nei<br />

cereali), proteine (come nei legumi), lipidi (come nel ricino o nell'olivo), emicellulose, e altro. In molte<br />

dicotiledoni, nel corso dello sviluppo del seme le riserve vengono trasferite interamente ai cotiledoni e<br />

l’endosperma viene completamente riassorbito e non è presente nel seme maturo (semi cosiddetti<br />

esalbuminati). Mentre si formano l’embrione e le riserve, i tegumenti dell’ovulo si modificano a<br />

costituire i tegumenti del seme. Quando questo ha terminato il suo sviluppo, va incontro ad un processo<br />

di disidratazione, mentre l’embrione entra in quiescenza. Tornerà a idratarsi e riprenderà la crescita solo<br />

quando, lontano nel tempo e nello spazio dalla pianta madre, troverà l’ambiente adatto alla<br />

germinazione e alla successiva crescita della nuova pianta. Ad impedire che questo avvenga prima che<br />

tutte le condizioni ambientali siano favorevoli, in molti semi di angiosperme sono presenti caratteri<br />

morfologici o fenomeni di dormienza che non consentono la germinazione prima che siano rimossi<br />

blocchi di tipo meccanico o biochimico.<br />

Anche i semi delle angiosperme, come avviene in alcune gimnosperme, possono presentare strutture<br />

che ne facilitino la dispersione, come ali (betulla) o filamenti (pioppi) nelle specie disseminate dal<br />

4 Nel testo di Raven, Evert & Eichhorn, l'endosperma secondario delle angiosperme è sempre indicato per errore come 'endosperma<br />

primario'. Nello stesso testo, a pag. 520 (fine della prima colonna) è scritto per errore gimnosperme anziché angiosperme; a pag. 524<br />

(prima colonna) è scritto angiosperme anziché gimnosperme.


vento, o porzioni appetibili (arilli, caruncole, strofioli) in quelle che sfruttano gli animali. Ma nelle<br />

piante a fiore questo compito viene svolto anche e soprattutto dal frutto, organo specializzato esclusivo<br />

delle angiosperme che deriva dalla trasformazione del pistillo - e in particolare delle pareti dell’ovario -<br />

dopo la fecondazione. Essendo una foglia modificata, l'ovario avrà una struttura anatomica a tre strati,<br />

che corrispondono all'epidermide superiore e inferiore e al mesofillo. Questi nel frutto vanno a costituire<br />

il pericarpo, in cui spesso è possibile individuare tre diversi tessuti: epicarpo (o esocarpo), mesocarpo e<br />

endocarpo. Il pericarpo si arricchisce di acqua e zuccheri nei frutti carnosi, che per la disseminazione<br />

devono essere ingeriti dagli animali; assume invece consistenza cartacea o legnosa nei frutti secchi. I<br />

tanti tipi di frutti che si possono osservare non sono altro che il risultato delle possibili modificazioni dei<br />

diversi tipi di gineceo (mono- o pluricarpellare, apocarpico o sincarpico, con ovario supero o infero,<br />

ecc.) in funzione dei diversi agenti di dispersione. Tra i frutti carnosi, la drupa (pesca, oliva) deriva da<br />

ovari che contengono in genere un solo seme ed è caratterizzata da avere un endocarpo legnoso; la<br />

bacca (pomodoro, uva) deriva da ovari pluricarpellari sincarpici contenenti di solito più semi. Tipi<br />

particolari di bacca sono stati descritti con nomi particolari: ad esempio, il peponide è un tipo di bacca<br />

con epicarpo duro a maturità, caratteristico della famiglia delle cucurbitacee (zucca, melone). I frutti<br />

secchi vengono in genere distinti in frutti deiscenti (che si aprono a maturità per far fuoriuscire i semi) e<br />

frutti indeiscenti. I frutti secchi indeiscenti sono di norma monospermi, cioè contengono un solo seme e<br />

hanno l'aspetto di semi piuttosto che di frutti, tanto che molti vengono considerati comunemente semi<br />

(ad esempio i “semi” di girasole, che in realtà sono frutti secchi del tipo achenio). Il tipo più semplice di<br />

frutto secco indeiscente è l'achenio. Gli altri possono essere considerati modificazioni di acheni: la<br />

sàmara, presente in molte angiosperme arboree come frassini e olmi, è un achenio con pericarpo<br />

espanso in un'ala che facilita la dispersione ad opera del vento; la cariosside (frutto delle graminacee) è<br />

un achenio con pericarpo saldato ai tegumenti del seme. Alcuni ovari pluricarpellari si suddividono a<br />

maturità in porzioni contenenti un solo seme, ciascuna con l'aspetto di un singolo frutto secco<br />

indeiscente (schizocarpi): così la disàmara degli aceri che si divide in due sàmare, il tetrachenio delle<br />

labiate che si separa in quattro acheni, ed altri. I frutti secchi deiscenti contengono in genere più semi e a<br />

maturità si aprono per consentire a ciascun seme di diffondersi autonomamente. Comprendono il<br />

follicolo (elleboro, oleandro), che si apre lungo una sola linea di deiscenza; il legume (pisello, robinia),<br />

che deriva da un gineceo monocarpellare e a maturità si apre lungo due linee, corrispondenti alla<br />

nervatura centrale e alla linea di sutura dei margini del macrosporofillo; la siliqua (senape, rapa), che<br />

deriva da un ovario bicarpellare sincarpico e si apre in due valve che lasciano sul peduncolo fiorale un<br />

setto su cui sono portati i semi; la capsula (iris, paulownia), che deriva da ovari pluricarpellari sincarpici<br />

e contiene in genere numerosi semi. Le capsule possono aprirsi con modalità diverse (per setti, pori,<br />

coperchi) e tipi particolari di capsule sono indicati con nomi particolari: ad esempio il treto del<br />

papavero, tipo di capsula che libera i semi attraverso pori apicali. Da ginecei pluricarpellari apocarpici si<br />

possono originare frutti composti (detti anche frutti aggregati), come nel caso della mora di rovo o del<br />

lampone; da infiorescenze derivano invece le infruttescenze (o frutti multipli) dell'ananas o del gelso,<br />

dove gli ovari dei diversi fiori che compongono l'infiorescenza si saldano fra loro a formare un'unica<br />

struttura. Vengono considerati falsi frutti (o frutti accessori) quelli in cui la parte carnosa non è data<br />

dalla trasformazione delle pareti dell'ovario, ma da altri organi: nella fragola la porzione rossa e<br />

zuccherina deriva dall'ingrossamento del ricettacolo su cui erano inseriti i numerosi carpelli<br />

monospermi che a maturità si trasformano negli acheni disseminati sulla superficie della fragola; nel<br />

pomo (mela, pera) che deriva da ovario infero, le pareti dell'ovario corrispondono grosso modo al<br />

torsolo, mentre la parte carnosa deriva dall'ingrossamento dei tessuti dell'ipanzio 5 .<br />

La dispersione può avvenire ad opera di vari agenti e può interessare i singoli semi, i frutti, o<br />

entrambi: gli animali trasportano a distanza frutti o semi delle specie zoocore, che vengono ingeriti e poi<br />

espulsi successivamente o aderiscono al vello tramite aculei o altre strutture; il vento è l'agente di<br />

dispersione delle angiosperme anemocore, che hanno frutti o semi leggeri, muniti di ali o altre appendici<br />

che facilitino il volo, come il pappo degli acheni delle composite o le brattee dei tigli; molte<br />

angiosperme di ambiente acquatico sono idrocore, cioè si servono dell'acqua per la dispersione e hanno<br />

semi o frutti adattati al galleggiamento e alla sopravvivenza in ambiente acquatico, come la palma da<br />

cocco. Poche specie autocore provvedono autonomamente alla dispersione, come il cocomero asinino<br />

(Ecballium elaterium), una cucurbitacea i cui frutti a maturità si aprono con violenza al minimo urto<br />

espellendo i semi, o numerose crucifere del genere Cardamine, le cui silique si aprono a scatto<br />

lanciando i semi a distanza. Semi o frutti privi di particolari adattamenti per la dispersione si<br />

5 Va osservato che in realtà in tutti i frutti derivati da ovari inferi i tessuti del frutto derivano almeno in piccola<br />

parte dalla trasformazione dell'ipanzio o delle basi dei pezzi fiorali saldati sulla parete dell'ovario.


allontanano dalla pianta madre semplicemente grazie all'azione della forza di gravità (specie barocore).<br />

Spesso più strategie di dispersione sono presenti contemporaneamente nei frutti o semi di una stessa<br />

specie.<br />

La propagazione vegetativa spontanea è molto diffusa nei diversi gruppi di angiosperme. Il<br />

fondamento biologico della propagazione vegetativa sta nella proprietà delle cellule vegetali di<br />

mantenersi totipotenti non solo nella linea germinativa, ma anche in quella somatica, tanto che in<br />

opportune condizioni cellule di tessuti già differenziati possono essere indotte a sdifferenziarsi e tornare<br />

allo stato di tessuti meristematici. In questo modo, in condizioni favorevoli da tessuti di fusti possono<br />

svilupparsi radici avventizie. In natura si possono formare talee spontanee come adattamento a<br />

particolari condizioni ambientali, ad esempio in piante che crescono lungo corsi d’acqua (salici,<br />

oleandro). Molto diffusa tra le piante erbacee perenni è la propagazione per frammentazione di fusti<br />

modificati come stoloni, fusti rizomatosi, rizomi, tuberi, bulbi, ecc. È questo il mezzo di diffusione di<br />

molte infestanti (gramigna), che si avvantaggiano delle lavorazioni del terreno che frammentano i loro<br />

fusti sotterranei. Molte angiosperme arboree sono in grado di emettere polloni dalla ceppaia in seguito al<br />

taglio, all’incendio o al morso di animali. Questa capacità viene sfruttata dall'uomo nel governo a ceduo<br />

dei boschi. Alcune angiosperme arboree particolarmente invadenti come la robinia e l'ailanto emettono<br />

polloni anche dalle radici.<br />

In genere le piante capaci di propagazione vegetativa mantengono anche la capacità di riprodursi per<br />

seme. La propagazione vegetativa consente alla pianta una rapida diffusione in un ambiente uniforme,<br />

ma può risultare svantaggiosa in caso di cambiamento delle condizioni ambientali; la riproduzione<br />

sessuale interviene a fornire nuovi genomi che possono rivelarsi più adatti alle condizioni mutate.<br />

La propagazione vegetativa è da sempre utilizzata dall’uomo per mantenere inalterate nella<br />

discendenza le caratteristiche (organolettiche, morfologiche, di produttività, di resistenza) di molte<br />

cultivar di interesse economico (cloni) e per ottenere in breve tempo molti individui già con caratteri<br />

adulti. Le tecniche di moltiplicazione più usate dall’uomo sono la talea, l’innesto e la propaggine e<br />

possono prevedere l’utilizzo di sostanze stimolanti (fitormoni del tipo delle auxine) e/o di particolari<br />

condizioni ambientali, come le serre di nebulizzazione. Attualmente vengono utilizzate comunemente<br />

anche le tecniche di propagazione in vitro, che consentono di ottenere moltissime piantine in breve<br />

tempo a partire da pochissimo materiale. La tecnica prevede la coltura in ambiente sterile su mezzo<br />

nutritivo di frammenti di tessuti che vengono trattati con fitormoni: cambiando il rapporto<br />

citochinine/auxine viene stimolata dapprima la formazione di un tessuto indifferenziato (callo), poi<br />

l’insorgenza di germogli avventizi e infine di radici.<br />

La sistematica delle Angiosperme<br />

Secondo una visione tradizionale della sistematica basata essenzialmente sui caratteri morfologici, le<br />

angiosperme venivano divise nelle due classi delle monocotiledoni (Liliopsida) e dicotiledoni<br />

(Magnoliopsida). All’interno di queste ultime, venivano individuate in passato un piccolo numero di<br />

sottoclassi sulla base delle caratteristiche del perianzio: piante con fiori privi sia di calice che di corolla<br />

oppure provvisti di un solo verticillo; piante a fiori con corolla dialipetala; piante a fiori con petali fusi<br />

in corolla gamopetala. Tra queste sottoclassi veniva individuata una linea evolutiva che andava dal<br />

perianzio ridotto o assente, alla corolla a elementi liberi, a quella gamopetala. Sulla base di<br />

un’impostazione sistematica di questo tipo, tutte le angiosperme della flora mondiale vennero<br />

inquadrate dal sistematico tedesco Engler in uno schema tassonomico molto articolato che arrivava fino<br />

al rango di genere (Engler & Prantl Die Natürlichen Pflanzenfamilien, 1887-1915). Partendo<br />

dall’ordinamento di Engler, famiglie e generi sono stati ordinati in una sequenza sistematica su presunte<br />

basi filogenetiche, dal genere ritenuto meno evoluto a quello ritenuto più evoluto. Schematizzando<br />

molto, nelle dicotiledoni si andava dalle cosiddette amentifere – piante arboree con fiori anemogami a<br />

perianzio nullo o ridotto riuniti in amenti di famiglie come Salicaceae, Betulaceae, Fagaceae – fino alle<br />

più complesse composite (Asteraceae), con fiori a corolla gamopetala riuniti in infiorescenze<br />

specializzate a capolino. Nelle monocotiledoni, da famiglie con fiori regolari come Alismataceae,<br />

Juncaceae, Liliaceae, alle Orchidaceae con fiori irregolari complessi.<br />

Questa impostazione sistematica ha goduto a lungo di un vasto seguito in gran parte d’Europa.<br />

Sequenze di famiglie e generi basate su un simile schema di riferimento sono tuttora alla base<br />

dell’ordinamento seguito in flore autorevoli anche recenti (Flora Europaea, Flora d’Italia di Pignatti) e<br />

nelle collezioni di molti erbari.<br />

Tuttavia, indagini sistematiche condotte nell’ultimo mezzo secolo utilizzando altri dati oltre a quelli<br />

morfologici (dati anatomici, cromosomici e biosistematici in genere, dati biochimici) hanno messo in<br />

luce legami filogenetici e linee evolutive molto diversi da quelli ipotizzati da Engler e in particolare si è


iconosciuto il carattere in genere derivato dei fiori anemofili rispetto a quelli entomofili. Sulla base di<br />

queste nuove conoscenze sono stati proposti vari schemi di classificazione delle piante a fiore di<br />

impostazione più rigorosamente filogenetica, in molte delle quali scompare la stessa distinzione tra<br />

monocotiledoni e dicotiledoni.<br />

Tra questi, uno dei più accettati è stato a lungo quello di Arthur Cronquist (in seguito integrato e<br />

modificato da altri autori), in cui le angiosperme più primitive non sono più ritenute le amentifere, ma<br />

quelle a fiori con elementi numerosi disposti a spirale, del tipo delle Magnoliaceae, Nymphaeaceae,<br />

Ranunculaceae, ecc. In questo schema, le piante a fiore sono divise in una decina di sottoclassi, il cui<br />

numero e la cui delimitazione hanno subìto via via numerose modifiche, col progredire delle<br />

conoscenze.<br />

Fig. 5 – Una classificazione delle Magnoliophyta in 11 sottoclassi, basata sul sistema di Cronquist<br />

(modificato da Gerola, Biologia e diversità dei vegetali Ed. UTET, 1995).<br />

La classificazione di Cronquist è stata accettata da molti autori nei decenni passati, ma attualmente è<br />

ritenuta anch’essa superata sulla base delle nuove conoscenze derivate dall’analisi e confronto del DNA<br />

dei diversi taxa, attraverso la quale diventa possibile ricostruire direttamente almeno in parte i legami<br />

filogenetici tra i diversi taxa. Questo tipo di indagini è sfociato in un nuovo approccio strumentale alla<br />

sistematica (sistematica molecolare), che ha portato a dare negli ultimi decenni nuovo impulso agli studi<br />

sulla filogenesi e conseguentemente sulla tassonomia delle angiosperme. Le indagini sistematiche sulle<br />

Magnoliophyta conoscono attualmente un momento di grande floridità, col risultato che nuovi schemi<br />

tassonomici vengono proposti si può dire ogni anno.


Al momento, nessuno di questi ha trovato l’accordo della maggioranza degli studiosi ed è<br />

accettato come risolutivo, tanto che in alcuni testi recenti le angiosperme vengono inquadrate in<br />

generi, famiglie, ordini, ma al di sopra di questo rango sono riunite in gruppi provvisori senza<br />

valore tassonomico.<br />

In particolare, è stata messa fortemente in discussione la tradizionale distinzione delle angiosperme<br />

nelle due classi delle monocotiledoni e delle dicotiledoni, secondo le regole della nomenclatura botanica<br />

meglio denominate come classi Liliopsida e Magnoliopsida. Inizialmente si è ritenuto che la<br />

separazione tra le due classi fosse avvenuta molto precocemente, dal momento che tra i resti<br />

fossili del Cretaceo si possono riconoscere già forme attribuibili all’una o all’altra e che alcune<br />

famiglie di angiosperme viventi che hanno conservato caratteri di maggiore primitività<br />

appaiono difficilmente inquadrabili tra le dicotiledoni o le monocotiledoni. I dati più recenti<br />

sembrerebbero invece dimostrare che solo le monocotiledoni costituiscono un gruppo<br />

monofiletico, derivano cioè tutte da un unico antenato comune, mentre le dicotiledoni<br />

comprenderebbero almeno due gruppi a origine indipendente:<br />

- il grande gruppo delle “vere dicotiledoni” (o eu-dicotiledoni), caratterizzate da avere polline con tre<br />

solchi (tricolpato). Questo gruppo comprende la maggior parte delle famiglie tradizionalmente<br />

inquadrate nelle dicotiledoni;<br />

- un gruppo molto più piccolo che include le famiglie che hanno mantenuto caratteri più primitivi.<br />

Questo secondo gruppo, che corrisponde grosso modo alla sottoclasse Magnoliidae della<br />

classificazione di Cronquist, può essere ulteriormente suddiviso in due:<br />

famiglie a portamento legnoso con foglie più o meno coriacee, come le Magnoliaceae (gruppo<br />

delle “Magnoliidi arboree”);<br />

famiglie erbacee a foglie sottili, come le Nymphaeaceae e le Aristolochiaceae, con caratteristiche<br />

in parte simili a quelle delle monocotiledoni, di cui rappresenterebbero il gruppo ancestrale<br />

(“Paleoerbe non monocotiledoni”). Si tratta di un gruppo abbastanza eterogeneo.<br />

Fig. 6 – Classificazione delle angiosperme su base filogenetica (ridotto e modificato da Judd,<br />

Campbell, Kellogg, Stevens Botanica sistematica Ed. Piccin, 2002).<br />

Tuttavia, per una sistematica elementare a carattere applicativo, la distinzione in monocotiledoni e<br />

dicotiledoni appare ancora utile e ad essa verrà fatto riferimento anche nella trattazione delle principali<br />

famiglie di interesse applicativo ed ecologico che è riportata più avanti.


TERMINI GIUSTI AL POSTO GIUSTO<br />

Nella angiosperme:<br />

- il microsporangio si chiama sacca pollinica. Quattro sacche polliniche formano<br />

l'antera degli stami.<br />

- il microsporofillo si chiama stame, costituito da un filamento sterile che porta<br />

un'antera fertile (insieme di quattro microsporangi).<br />

- il microgametofito (gametofito maschile) è formato da tre cellule (una cellula<br />

vegetativa e due gameti) e è racchiuso dalla parete della microspora<br />

a formare il granulo pollinico.<br />

- l'anteridio (gametangio maschile) è scomparso, viste le dimensioni ridotte del<br />

gametofito.<br />

- il macrosporangio si chiama nucella dell'ovulo. Uno o più ovuli (macrosporangi<br />

rivestiti da tegumenti) sono racchiusi nell'ovario.<br />

- il macrosporofillo si chiama carpello. Un carpello o più carpelli uniti formano il<br />

pistillo: ovario e stimma collegati da uno stilo che può mancare.<br />

- il macrogametofito (gametofito femminile) si chiama sacco embrionale. Nel caso più<br />

comune è formato da sette cellule e otto nuclei: oosfera, due<br />

sinergidi, tre antipodi, due nuclei polari.<br />

- l'archegonio (gametangio femminile) è scomparso. Alcuni interpretano le due cellule<br />

sinergidi come un residuo del collo dell'archegonio (ancora presente<br />

nelle gimnosperme).


__________________________________________________________________<br />

Seguendo il filo dell’evoluzione – 6: uno sguardo d’insieme sulla<br />

riproduzione sessuale nelle piante terrestri<br />

Tutte le piante terrestri (embriofite) sono oogame. L’oosfera si sviluppa all’interno di un<br />

gametangio femminile (archegonio) circondato da uno strato di cellule sterili, e non<br />

semplicemente avvolto dalla parete cellulare come avviene nelle alghe.<br />

Nel corso dell’evoluzione delle piante terrestri, l’archegonio va incontro ad un processo di<br />

progressiva riduzione, fino a scomparire nelle angiosperme, dove le due cellule sinergidi ne<br />

rappresentano a parere di molti le ultime vestigia. In tutte le embriofite, nelle prime fasi di<br />

accrescimento dopo la formazione dello zigote (embrione), lo sporofito è parassita del<br />

gametofito.<br />

Questa dipendenza è completa e dura praticamente per l’intera durata di vita dello<br />

sporofito nelle briofite, dove lo sporofito svolge una limitatissima attività fotosintetica e affonda<br />

la sua parte basale nei tessuti del gametofito, da cui trae nutrimento. Solo in alcune briofite<br />

molto specializzate (Anthoceros) lo sporofito ha durata di vita pluriennale, arriva a contatto<br />

diretto con il terreno per mezzo di un piede e sembra assumere una certa capacità di vita<br />

autotrofa autonoma.<br />

Nei gruppi di piante più evoluti, lo sporofito è la generazione dominante, diventa perenne e<br />

la sua dipendenza trofica dal gametofito diventa temporanea, dal momento che si affranca dal<br />

gametofito in una fase sempre più precoce del suo sviluppo. Parallelamente, si assiste alla<br />

riduzione dell’entità e della durata di vita del gametofito.<br />

Nelle pteridofite, il gametofito (protallo) è ancora capace di vita autonoma e nutre il nuovo<br />

sporofito fino a che questo non si rende autonomo sia per l’assorbimento dell’acqua dal<br />

terreno che per la fotosintesi. A questo punto, il gametofito ha esaurito il suo compito e di<br />

regola muore. Eppure, nonostante il ribaltamento dei ruoli fra le due generazioni rispetto alle<br />

briofite e il miglior adattamento dello sporofito alla vita in ambiente terrestre grazie alla<br />

comparsa dei tessuti vascolari, le pteridofite non riescono ad emanciparsi del tutto dall’acqua<br />

e la loro diffusione rimane confinata ad ambienti umidi. Questo a causa di alcuni aspetti del<br />

loro ciclo riproduttivo che condividono con le briofite:<br />

- l’acqua - anche se in piccola quantità - è ancora necessaria al momento della gamia,<br />

perché consente ai gameti maschili flagellati di sopravvivere fuori dell’anteridio e di nuotare<br />

per breve tratto fino agli archegoni, dove si trovano i gameti femminili immobili.<br />

- l’organo di diffusione è ancora la meiospora, obbligata a germinare dove esistono le<br />

condizioni di umidità necessarie per la crescita del gametofito. Lo sporofito nasce<br />

nell’archegonio e per tutta la durata della sua vita sarà condannato a vegetare là dove si era<br />

sviluppato il gametofito. Pur essendo la generazione meno sviluppata e dalla vita più breve, è<br />

il gametofito che “sceglie” dove crescerà la nuova pianta, e non lo sporofito, che pure dispone<br />

di adattamenti che consentono la vita anche al di fuori dell’ambiente umido (radici, tessuti di<br />

conduzione).<br />

Entrambi questi limiti vengono definitivamente superati nelle spermatofite (piante a seme),<br />

le prime in grado di colonizzare anche ambienti aridi:<br />

- con la comparsa dell’ovulo e del granulo pollinico, l’oosfera raggiunge la massima<br />

protezione e inoltre nessuno dei due gameti viene più liberato all’esterno. Il gametofito<br />

maschile viene trasportato in vicinanza di quello femminile dal granulo pollinico e attraverso il<br />

tubetto il gamete maschile può raggiungere e fecondare quello femminile senza mai essere<br />

esposto all’aria. L’ambiente umido necessario all’incontro dei gameti viene ricreato all’interno<br />

dei tessuti della pianta. Il mare in cui nuotano e si incontrano i gameti degli organismi acquatici<br />

si riduce nelle piante terrestri dapprima a un velo di rugiada (briofite, pteridofite), poi alla<br />

microscopica quantità di liquido contenuto nella camera archegoniale (Cycadopsida,<br />

Gynkgoopsida), per scomparire definitivamente, insieme ai flagelli dei gameti maschili, nelle<br />

gimnosperme più evolute e nelle angiosperme.<br />

- l’organo di diffusione è il seme, giovane sporofito quiescente fornito di tessuti di riserva e<br />

protetto da tegumenti. Sarà questo a “scegliere” il luogo e l’ambiente dove crescerà la nuova<br />

pianta, al di fuori di ogni condizionamento da parte del gametofito. Inoltre il seme, organo<br />

pluricellulare con tessuti differenziati, potrà sviluppare strutture che facilitino e rendano più


efficiente la diffusione (ali, ecc.).<br />

Nelle angiosperme, i processi riproduttivi raggiungono il massimo livello di<br />

perfezionamento e di efficienza nel mondo vegetale, grazie a due fondamentali innovazioni<br />

premiate dalla selezione: il carpello e il fiore.<br />

Il carpello presenta una serie di notevoli vantaggi evolutivi:<br />

- ulteriore protezione del gametofito femminile dal pericolo di disseccamento e di<br />

danneggiamenti;<br />

- possibilità di aumentare il periodo di ricettività del polline, senza rischio di disseccamento<br />

per l’ovulo;<br />

- grazie all’allontanamento della superficie recettiva dall’oosfera, possibilità per la pianta di<br />

mettere in atto meccanismi di incompatibilità sul percorso più lungo del tubetto pollinico,<br />

arrivando in definitiva a scegliere il gamete maschile più “gradito” per la fecondazione;<br />

- possibilità di contribuire attivamente alla dispersione del seme, con la trasformazione del<br />

carpello in frutto dopo la fecondazione e le relative modificazioni in funzione dell’agente della<br />

dispersione (frutti carnosi ingeriti dagli animali, frutti alati portati dal vento, ecc.).<br />

Nel fiore gli organi e le strutture riproduttive sono organizzati in un complesso<br />

estremamente specializzato che garantisce la massima protezione ai gametofiti e la massima<br />

efficienza nella selezione e nell’incontro dei gameti.<br />

Nelle piante a fiore raggiunge dunque la massima espressione quella tendenza evolutiva<br />

verso il perfezionamento dei meccanismi riproduttivi che è alla base della possibilità di<br />

insorgenza di nuove forme e nuove funzioni da sottoporre al vaglio della selezione. È proprio<br />

grazie a questo che tra le angiosperme si è potuta evolvere quell’enorme varietà morfologica e<br />

fisiologica che ha loro consentito di diffondersi e diventare il gruppo di vegetali attualmente<br />

dominante in quasi tutti gli ambienti terrestri.


Sui testi:<br />

RAVEN, EVERT, EICHHORN<br />

Cap. 21 Introduzione alle angiosperme (p. 509-528)<br />

Cap. 22 Evoluzione delle angiosperme (p. 529-565)<br />

Cap. 23 Prime fasi di sviluppo della pianta (p. 570-583)<br />

Cap. 25 La radice<br />

generalità, gli apparati radicali (p. 603-607)<br />

Cap. 26 Il germoglio<br />

Le foglie sono disposte... Morfologia della foglia (p. 641-642)<br />

Modificazioni del fusto ... (p. 658-661)<br />

CRONQUIST:<br />

Cap. 23 Introduzione alle Angiosperme (p. 349-350)<br />

Cap. 24 Angiosperme: fusti<br />

Evoluzione dei tipi di fusti, Fusti modificati, Riproduzione indotta (p. 375-381)<br />

Cap. 25 Angiosperme: radici<br />

Posizione, funzioni, tipi (p. 383-385)<br />

Radici modificate (p. 394-399)<br />

Cap. 26 Angiosperme: foglie<br />

Struttura esterna (p. 401-407)<br />

Foglie specializzate (p. 412-414)<br />

Cap. 27 Angiosperme: rapporti con l’acqua<br />

Idrofite, mesofite, xerofite (p. 427-430)<br />

Cap. 31 Angiosperme: fiori<br />

Introduzione, differenziazione (p. 484)<br />

Struttura dei fiori: organi, tipi di fiori, infiorescenze (p. 488-490, 491-494)<br />

Riproduzione (p. 494-503)<br />

Cap. 32 Angiosperme: frutti, semi e plantule<br />

Frutti, dispersione semi, struttura seme (p. 507-513)<br />

Cap. 34 Angiosperme: classificazione<br />

Introduzione, Principi, Dicotiledoni e Monocotil., Cenni storici, Tendenze<br />

evolutive (p. 546-555)<br />

Cap. 35 Angiosperme: importanza economica<br />

(E’ consigliata la lettura del capitolo)<br />

Cap. 38 L’evoluzione<br />

Storia, Alcuni concetti, Differenziazione: ruolo dell’isolamento (p. 622-627)<br />

Vita primitiva, Alghe (introduzione), Funghi, Embriofite (p. 629-630, 632-638)


__________________________________________________________________<br />

Seguendo il filo dell’evoluzione – 7: Da erba a albero e ritorno.<br />

Le prime piante terrestri furono erbe. La pressione selettiva portò successivamente nelle<br />

pteridofite all’evoluzione della forma arborea (con relativo accrescimento secondario), che<br />

garantiva una migliore dispersione delle spore e consentiva di sfuggire all’ombreggiamento<br />

delle altre piante.<br />

Anche le prime spermatofite o piante a seme furono alberi (pteridosperme) e arrivarono ad<br />

imporsi sulle contemporanee pteridofite arboree grazie alla maggiore efficienza dei processi<br />

riproduttivi legati alla comparsa dell’ovulo e del tubetto pollinico. Forme arboree di pteridofite<br />

(soprattutto licopodi) e in minor misura di gimnosperme dominarono la vegetazione del<br />

Carbonifero e della prima parte del Mesozoico (fino al Giurassico).<br />

Nelle gimnosperme, che sono le spermatofite meno evolute, il legno secondario è di tipo<br />

omoxilo, formato cioè da elementi (tracheidi) a lume relativamente sottile che svolgono<br />

funzioni sia di conduzione che di sostegno. Questa doppia funzionalità delle tracheidi va però<br />

a scapito dell’efficienza nella conduzione e questo è uno dei motivi dell’aspetto più o meno<br />

xerofilo comune praticamente a tutte le gimnosperme. Molto più efficiente e versatile si rivelerà<br />

il legno eteroxilo delle angiosperme, dove i compiti di conduzione e di sostegno sono distribuiti<br />

tra i vari elementi costituenti (fibre, fibrotracheidi, tracheidi, trachee). Per la conduzione si<br />

dimostrano particolarmente efficaci le trachee, a lume ampio e prive di pareti trasversali.<br />

Bisogna tenere presente che il volume di liquido condotto aumenta con la quarta potenza del<br />

raggio del conduttore, il che significa che anche un piccolo aumento del lume cellulare degli<br />

elementi conduttori del legno porta ad un enorme aumento del volume di acqua trasportato:<br />

raddoppiando il raggio, il flusso si moltiplica per 16 volte; quadruplicando il raggio, per 256<br />

volte. Questa efficienza di conduzione del legno eteroxilo rispetto al legno omoxilo è uno degli<br />

elementi che contribuirà all’affermazione delle angiosperme sulla terra.<br />

Probabilmente, anche le prime angiosperme furono arboree, anche se secondo alcuni<br />

paleobotanici la maggior parte delle linee filetiche delle antiche angiosperme comprendono sia<br />

specie erbacee che legnose. Con una certa approssimazione si può dire che fino alla loro<br />

comparsa il cammino dell’evoluzione delle piante terrestri sia andato costantemente nella<br />

direzione di una sempre maggiore altezza e longevità dei singoli individui. È nell’ambito delle<br />

angiosperme che la tendenza cambia e si assiste ad un ritorno secondario verso l’abito<br />

erbaceo e addirittura verso le piante a ciclo di vita annuale.<br />

Piccolo è bello: i vantaggi dell’abito erbaceo e del ciclo vitale breve.<br />

Che una pianta alta e longeva possa avere dei vantaggi rispetto a una pianta erbacea è<br />

intuitivo: ogni anno vincendo la concorrenza delle piante più basse manda più lontano i suoi<br />

elementi di propagazione (spore nelle pteridofite, semi nelle spermatofite) a colonizzare nuovi<br />

spazi; inoltre riesce a intercettare la luce a discapito di chi rimane negli strati inferiori<br />

ombreggiati.<br />

Più difficile è capire perché a un certo punto si sia rivelato vantaggioso il ritorno alle piccole<br />

dimensioni legate a un ciclo di vita breve. Eppure bisogna considerare che:<br />

- un albero impiega anni a raggiungere l’età riproduttiva. In tutto questo tempo non produce<br />

nuovi individui, cioè nuove combinazioni geniche che possano essere sperimentati<br />

dall’evoluzione. E ci sono molte possibilità che muoia prima di arrivare all’età riproduttiva e alle<br />

dimensioni definitive. Una pianta erbacea invece comincia a produrre semi fin dal primo anno,<br />

o dopo soli pochi anni di vita vegetativa.<br />

- anche quando è adulto e produce semi ogni anno, un albero dà una progenie che deriva<br />

sempre dallo stesso materiale genetico di partenza (lo sporofito genitore), quindi con ridotte<br />

possibilità di variazioni rispetto a questo e agli individui “fratelli”. In una pianta erbacea a ciclo<br />

breve, dopo qualche anno di produzione di semi (un solo anno nel caso estremo delle<br />

annuali), la pianta muore e viene sostituita da discendenti che hanno patrimonio genetico<br />

variato. Le generazioni si susseguono quindi molto più velocemente, con una possibilità<br />

enormemente più grande di comparsa di nuovi caratteri e in definitiva di evoluzione di nuove<br />

forme che si possono rivelare più adatte all’ambiente o a colonizzarne di nuovi.<br />

Se dunque la longevità è un vantaggio per il singolo individuo, non lo è ai fini<br />

dell’evoluzione della specie (o più in generale del gruppo) di cui quell’individuo fa parte. Ecco


un altro vantaggio evolutivo delle angiosperme: nei gruppi che comprendono rappresentanti a<br />

ciclo vitale breve, si sono potute evolvere forme e funzioni adatte agli ambienti più diversi in un<br />

tempo relativamente rapido. Basta considerare come appare limitata la varietà morfologica e<br />

ambientale presente in una famiglia di gimnosperme arboree come le Pinaceae se la si<br />

confronta con quella di angiosperme erbacee come le Poaceae (o Gramineae), diffuse a tutte<br />

le latitudini e nei più diversi ambienti: praterie, steppe, savane, sottobosco di foreste dei più<br />

diversi tipi, ambienti antropizzati, ecc. Nessuna famiglia di gimnosperme presenta un grado di<br />

diversità paragonabile.<br />

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