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iv dispense integrative del manuale di blanchard - Emiliano ...

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IV<br />

DISPENSE INTEGRATIVE<br />

DEL MANUALE DI BLANCHARD<br />

4.1 Una specificazione <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lo <strong>di</strong> determinazione <strong>del</strong>la produzione <strong>di</strong><br />

equilibrio<br />

Nei primi tre capitoli <strong>del</strong> libro <strong>di</strong> Blanchard avete stu<strong>di</strong>ato il mo<strong>del</strong>lo <strong>di</strong><br />

determinazione <strong>del</strong>la produzione <strong>di</strong> equilibrio, in funzione <strong>del</strong> l<strong>iv</strong>ello <strong>del</strong>la<br />

domanda <strong>di</strong> merci. Blanchard ritiene che questo mo<strong>del</strong>lo valga solo nel breve<br />

periodo, e sotto con<strong>di</strong>zioni piuttosto restritt<strong>iv</strong>e. Noi pensiamo invece che tale<br />

mo<strong>del</strong>lo abbia una valenza esplicat<strong>iv</strong>a più vasta, e quin<strong>di</strong> riteniamo opportuno<br />

approfon<strong>di</strong>rne qui le caratteristiche.<br />

Come sapete, la struttura <strong>di</strong> partenza <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lo è questa. La domanda<br />

compless<strong>iv</strong>a <strong>di</strong> merci è data dalla spesa per beni <strong>di</strong> consumo, dalla spesa per beni<br />

d’investimento e dalla spesa pubblica:<br />

Z C I G<br />

Dove la spesa per consumi è data da:<br />

C c c ( Y T )<br />

0<br />

1<br />

mentre investimenti, spesa pubblica e tasse possono essere considerati esogeni,<br />

cioè dati dalle decisioni autonome <strong>del</strong>le imprese e <strong>del</strong> governo. La con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong><br />

equilibrio tra produzione e domanda è dunque:<br />

Y Z<br />

Ricor<strong>di</strong>amo che il termine Y sta ad in<strong>di</strong>care sia il l<strong>iv</strong>ello <strong>del</strong>la produzione <strong>di</strong> merci<br />

realizzata, sia il red<strong>di</strong>to <strong>di</strong>stribuito. Produzione e red<strong>di</strong>to infatti sono sempre<br />

equ<strong>iv</strong>alenti, dal momento che il valore <strong>del</strong>la produzione venduta finisce<br />

interamente, sotto forma <strong>di</strong> red<strong>di</strong>to, nelle mani dei capitalisti e dei lavoratori che<br />

1


hanno concorso a realizzarla. Dunque un aumento <strong>del</strong>la produzione realizzata e<br />

venduta deve sempre corrispondere ad un aumento equ<strong>iv</strong>alente <strong>del</strong> red<strong>di</strong>to<br />

<strong>di</strong>stribuito ai capitalisti e ai lavoratori che hanno concorso alla sua realizzazione.<br />

Ecco perché, nel definire Y, noi useremo in<strong>di</strong>fferentemente sia il termine<br />

“produzione” che il termine “red<strong>di</strong>to”.<br />

Detto ciò, torniamo alla con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> equilibrio tra produzione domanda Y = Z.<br />

Effettuando le sostituzioni e dopo qualche passaggio matematico:<br />

Y C I G<br />

Y c c ( Y T)<br />

I G<br />

Y c Y c I G c T<br />

1<br />

1<br />

0<br />

1<br />

0<br />

( 1<br />

c ) Y c I G c T<br />

alla fine si ottiene:<br />

0<br />

1<br />

Y ( c0<br />

I G c T)<br />

1<br />

c<br />

( 1)<br />

1<br />

1<br />

1<br />

1<br />

che è appunto l’equazione <strong>di</strong> equilibrio sul mercato dei beni, vale a <strong>di</strong>re<br />

<strong>del</strong>l’equilibrio tra produzione e domanda. Il termine tra parentesi è detto spesa<br />

autonoma (poiché include le componenti <strong>del</strong>la spesa dette autonome, nel senso<br />

che non <strong>di</strong>pendono dal red<strong>di</strong>to), mentre il termine 1/1-c1 è detto moltiplicatore<br />

<strong>del</strong>la spesa autonoma. Conoscendo i l<strong>iv</strong>elli <strong>del</strong>le variabili esogene che concorrono<br />

a determinare la domanda <strong>di</strong> merci (cioè I, G, T, c0 e c1), questa equazione<br />

consente <strong>di</strong> determinare il l<strong>iv</strong>ello <strong>di</strong> equilibrio <strong>del</strong>la produzione Y.<br />

Ovviamente l’equazione può essere mo<strong>di</strong>ficata per calcolare non i l<strong>iv</strong>elli ma<br />

<strong>di</strong>rettamente le variazioni. Si può cioè ipotizzare che le componenti <strong>del</strong>la<br />

domanda si mo<strong>di</strong>fichino, e si può desiderare <strong>di</strong> calcolare la variazione <strong>del</strong>la<br />

produzione che ne consegue. In tal caso l’equazione d<strong>iv</strong>enta:<br />

1<br />

( 2)<br />

<br />

Y ( c0<br />

I<br />

G<br />

c1T<br />

)<br />

1<br />

c<br />

1<br />

2


Chiaramente può ben darsi che tra le variabili che compongono la domanda solo<br />

una si mo<strong>di</strong>fichi mentre le altre rimangono costanti. Supponiamo ad esempio che<br />

si verifichi una “crisi <strong>di</strong> fiducia” da parte <strong>del</strong>le imprese sulle loro aspettat<strong>iv</strong>e <strong>di</strong><br />

profitto. Gli impren<strong>di</strong>tori risultano cioè sfiduciati sull’andamento futuro<br />

<strong>del</strong>l’economia, temono che venderanno poco e quin<strong>di</strong> ritengono che riusciranno a<br />

conseguire ben pochi profitti. In tal caso essi non avranno alcuna intenzione <strong>di</strong><br />

espandere la loro att<strong>iv</strong>ità, e quin<strong>di</strong> decideranno <strong>di</strong> ridurre gli investimenti (cioè<br />

decideranno <strong>di</strong> ridurre la domanda <strong>di</strong> nuovi macchinari e impianti). 1 Ciò significa<br />

che gli investimenti si riducono (quin<strong>di</strong> I


c<br />

0<br />

50<br />

I 200<br />

G 100<br />

T 100<br />

c<br />

1<br />

<br />

0,<br />

5<br />

<br />

1/<br />

2<br />

Sostituendo questi valori nella equazione (1), otteniamo il l<strong>iv</strong>ello <strong>di</strong> equilibrio<br />

<strong>del</strong>la produzione:<br />

1<br />

Y ( 50 200 100<br />

( 1/<br />

2)<br />

100)<br />

1<br />

1/<br />

2<br />

Y 2(<br />

300)<br />

Y 600<br />

ESEMPIO N.2: la crisi <strong>di</strong> fiducia. Supponiamo ora che si verifichi una “crisi <strong>di</strong><br />

fiducia” sulle prospett<strong>iv</strong>e <strong>di</strong> profitto, e quin<strong>di</strong> che gli investimenti <strong>del</strong>le imprese si<br />

riducano. Ipotizziamo ad esempio che adesso I = 150. Ciò significa che, rispetto al<br />

valore precedente, gli investimenti si sono ridotti <strong>di</strong> 50 miliar<strong>di</strong>. Possiamo dunque<br />

usare l’equazione (1) per calcolare il nuovo l<strong>iv</strong>ello <strong>del</strong>la produzione, tenendo<br />

conto <strong>del</strong> nuovo l<strong>iv</strong>ello <strong>di</strong> I. Avremo:<br />

1<br />

Y ( 50 150<br />

100<br />

( 1/<br />

2)<br />

100)<br />

1<br />

1/<br />

2<br />

Y 2(<br />

250)<br />

Y 500<br />

La produzione è adesso pari a 500 miliar<strong>di</strong>, rispetto ai 600 realizzati prima <strong>del</strong>la<br />

crisi. Alternat<strong>iv</strong>amente possiamo anche calcolare <strong>di</strong>rettamente la variazione Y,<br />

senza bisogno <strong>di</strong> calcolare i l<strong>iv</strong>elli. Sapendo che gli investimenti si sono ridotti <strong>di</strong><br />

I = 50, mentre per ipotesi c0 = G = T = 0, sostituendo questi valori nella<br />

equazione (2) otteniamo:<br />

1<br />

Y<br />

( 50)<br />

1<br />

1/<br />

2<br />

Y<br />

2(<br />

50)<br />

Y<br />

100<br />

4


La produzione dunque si è ridotta <strong>di</strong> 100 miliar<strong>di</strong> (che corrispondono appunto alla<br />

<strong>di</strong>fferenza tra il valore iniziale <strong>di</strong> 600 e quello success<strong>iv</strong>o alla crisi <strong>di</strong> 500).<br />

Insomma, la crisi innesca una caduta <strong>del</strong>la domanda <strong>di</strong> merci, la quale costringe le<br />

imprese a ridurre la produzione. Ed è chiaro che questo dovrebbe implicare anche<br />

una serie <strong>di</strong> licenziamenti e quin<strong>di</strong> una riduzione <strong>del</strong> numero degli occupati. Il<br />

calo <strong>del</strong>la domanda comporta dunque un calo <strong>del</strong>la produzione e un aumento <strong>del</strong>la<br />

<strong>di</strong>soccupazione.<br />

Si noti che, a fronte <strong>di</strong> una riduzione iniziale <strong>del</strong>la domanda <strong>di</strong> merci (e in<br />

particolare <strong>di</strong> beni d’investimento) pari a 50, alla fine si assiste ad una riduzione<br />

<strong>del</strong>la produzione <strong>di</strong> 100. La produzione cioè varia più <strong>di</strong> quanto sia variata<br />

inizialmente la domanda. Si ricor<strong>di</strong> che questo fenomeno è dovuto al<br />

moltiplicatore <strong>del</strong>la spesa autonoma. Il moltiplicatore tende ad accentuare la<br />

variazione iniziale <strong>del</strong>la spesa autonoma. Il meccanismo tramite il quale esso<br />

agisce è il seguente: nel momento in cui la domanda <strong>di</strong> macchinari si riduce, le<br />

imprese che producono i macchinari non riescono a venderli e quin<strong>di</strong> sono<br />

costrette a licenziare; i lavoratori d<strong>iv</strong>enuti <strong>di</strong>soccupati non <strong>di</strong>sporranno più <strong>di</strong> un<br />

red<strong>di</strong>to, e quin<strong>di</strong> ridurranno a loro volta i consumi; ciò provocherà una serie <strong>di</strong><br />

licenziamenti anche presso le imprese che producono beni <strong>di</strong> consumo; ci saranno<br />

pertanto altri lavoratori <strong>di</strong>soccupati costretti a ridurre le loro spese, il che<br />

provocherà ulteriori cali <strong>di</strong> produzione e licenziamenti, e così via. Alla fine <strong>di</strong><br />

questo processo cumulat<strong>iv</strong>o il calo <strong>del</strong>la domanda e <strong>del</strong>la produzione risulterà per<br />

l’appunto “moltiplicato” rispetto al calo iniziale degli investimenti.<br />

4.2 Il paradosso <strong>del</strong> risparmio<br />

Abbiamo appena esaminato una caduta degli investimenti e quin<strong>di</strong> <strong>del</strong>la<br />

produzione e <strong>del</strong>l’occupazione. Alcuni economisti <strong>di</strong> stampo liberista talvolta<br />

hanno affermato che per rime<strong>di</strong>are a un calo degli investimenti occorre aumentare<br />

i risparmi. L’idea è che le famiglie consumano troppo e quin<strong>di</strong> forniscono poco<br />

risparmio alle imprese per il finanziamento degli investimenti. Secondo questa<br />

visione, solo se la popolazione riduce il consumo e decide <strong>di</strong> rendere <strong>di</strong>sponibili<br />

maggiori risparmi per le imprese, queste ultime potranno usarli per aumentare gli<br />

investimenti in nuovi macchinari e attrezzature e rendere così più efficiente e<br />

produtt<strong>iv</strong>a l’economia. Stando a questa concezione – che era molto in voga tra gli<br />

economisti liberisti <strong>del</strong>l’Inghilterra “vittoriana” <strong>di</strong> fine ‘800 e che oggi pare<br />

tornata <strong>di</strong> moda - è solo attraverso le virtù <strong>del</strong>la parsimonia e <strong>del</strong>l’astinenza dai<br />

consumi, che si può uscire da una crisi e sviluppare l’economia.<br />

5


Questa visione è stata fortemente criticata da John Maynard Keynes, autore <strong>del</strong>la<br />

Teoria generale <strong>del</strong> 1936. Keynes, che scr<strong>iv</strong>eva in un’epoca <strong>di</strong> grave crisi<br />

economica mon<strong>di</strong>ale, sostenne che il tentat<strong>iv</strong>o <strong>di</strong> risollevare l’economia riducendo<br />

i consumi per aumentare i risparmi avrebbe soltanto peggiorato la situazione<br />

economica. In particolare, Keynes mise in luce l’esistenza <strong>di</strong> un “paradosso <strong>del</strong><br />

risparmio”, che andava contro i luoghi comuni dei teorici <strong>del</strong>l’astinenza: il<br />

paradosso infatti evidenzia che se si riducono i consumi la produzione non<br />

aumenta ma si riduce, ed inoltre i risparmi non aumentano ma restano invariati.<br />

Per comprendere il senso <strong>del</strong>la critica <strong>di</strong> Keynes, applichiamo la ricetta dei<br />

liberisti e ve<strong>di</strong>amo cosa accade. Supponiamo che per uscire dalla crisi si decida <strong>di</strong><br />

ridurre il consumo autonomo c0. Si spera che in tal modo i consumi si riducano, i<br />

risparmi aumentino e quin<strong>di</strong> vi siano più risorse finanziarie per riatt<strong>iv</strong>are gli<br />

investimenti <strong>del</strong>le imprese e per rilanciare la produzione. Ma al <strong>di</strong> là degli auspici,<br />

quali saranno gli effetti reali <strong>di</strong> questa riduzione <strong>del</strong> consumo autonomo? Come<br />

vedremo, gli effetti sono due: la domanda, la produzione e il red<strong>di</strong>to si riducono,<br />

mentre il risparmio resta invariato.<br />

Dimostriamo questi risultati riprendendo l’equazione (1) <strong>del</strong>la produzione <strong>di</strong><br />

equilibrio:<br />

1<br />

Y ( c0<br />

I G c T)<br />

1<br />

c<br />

( 1)<br />

1<br />

1<br />

Da questa equazione rileviamo facilmente che la riduzione <strong>di</strong> c0 implica una<br />

riduzione <strong>del</strong>la domanda <strong>di</strong> merci e quin<strong>di</strong> anche <strong>del</strong>la produzione,<br />

<strong>del</strong>l’occupazione e <strong>del</strong> red<strong>di</strong>to. Si viene pertanto a determinare un effetto<br />

esattamente opposto a quello auspicato, e questo per una ragione molto semplice:<br />

gli economisti che intendono applicare le ricette <strong>del</strong>l’epoca “vittoriana”, e che<br />

propongono quin<strong>di</strong> la riduzione dei consumi e l’aumento dei risparmi per<br />

risollevare l’economia, non tengono conto <strong>del</strong> fatto che se si riducono i consumi si<br />

determina un calo ulteriore <strong>di</strong> domanda, <strong>di</strong> produzione, <strong>di</strong> occupazione e <strong>di</strong><br />

red<strong>di</strong>to, e quin<strong>di</strong> un aggravamento <strong>del</strong>la crisi.<br />

Ma c’è <strong>di</strong> più. E’ possibile infatti <strong>di</strong>mostrare che, contrariamente alle attese, la<br />

riduzione <strong>del</strong> consumo autonomo non riesce nemmeno a provocare un aumento<br />

dei risparmi. Il che in effetti sembra strano, nel senso che <strong>di</strong> fronte a un calo dei<br />

consumi pare naturale attendersi un aumento corrispondente dei risparmi. Per<br />

spiegare questo apparente “paradosso” pren<strong>di</strong>amo l’equazione <strong>del</strong> risparmio S.<br />

Questo è dato dal red<strong>di</strong>to al netto <strong>del</strong>le tasse, meno i consumi:<br />

S <br />

Y T C<br />

6


da cui, sostituendovi l’equazione <strong>del</strong> consumo, otteniamo:<br />

S Y T c<br />

S c<br />

0<br />

0<br />

c ( Y T )<br />

( 1<br />

c )( Y T)<br />

1<br />

1<br />

Da quest’ultima equazione possiamo trarre le seguenti considerazioni. Ve<strong>di</strong>amo<br />

subito che la riduzione <strong>del</strong> consumo autonomo dà luogo a due effetti contrastanti:<br />

da un lato essa provoca effett<strong>iv</strong>amente un aumento <strong>di</strong>retto <strong>del</strong> risparmio S;<br />

dall’altro lato, però, come abbiamo visto prima, al <strong>di</strong>minuire <strong>di</strong> c0 si verifica pure<br />

una riduzione <strong>del</strong>la domanda, quin<strong>di</strong> una riduzione <strong>del</strong>la produzione e <strong>del</strong> red<strong>di</strong>to<br />

Y e dunque anche un calo <strong>del</strong> risparmio S. Il che dopotutto è ovvio: la caduta dei<br />

consumi provoca cali <strong>di</strong> produzione e <strong>di</strong> occupazione, ed è chiaro che se<br />

aumentano i <strong>di</strong>soccupati questi si ritroveranno senza red<strong>di</strong>to e quin<strong>di</strong> anche senza<br />

possibilità <strong>di</strong> risparmiare.<br />

La riduzione <strong>del</strong> consumo autonomo produce dunque due effetti contrastanti sul<br />

risparmio: uno <strong>di</strong>retto che è posit<strong>iv</strong>o, e l’altro me<strong>di</strong>ato dalla domanda e dal red<strong>di</strong>to<br />

che invece è negat<strong>iv</strong>o. Ma quale dei due effetti tende a prevalere? Alla fine si<br />

<strong>di</strong>mostra che i due effetti si elidono a vicenda, e quin<strong>di</strong> il risparmio non subisce<br />

alcun mutamento in seguito alla riduzione <strong>del</strong> consumo autonomo. Infatti,<br />

partendo dalla equazione <strong>del</strong>l’equilibrio tra produzione e spesa:<br />

Y C I G<br />

Sottraendo a destra e a sinistra T e C, otteniamo:<br />

Y T C I G T<br />

Ma il termine a sinistra corrisponde proprio al risparmio S, e quin<strong>di</strong> possiamo<br />

scr<strong>iv</strong>ere:<br />

S I G T<br />

Ora, si vede chiaramente che in equilibrio il risparmio <strong>di</strong>pende esclus<strong>iv</strong>amente<br />

dagli investimenti <strong>del</strong>le imprese e dalla spesa pubblica al netto <strong>del</strong>le tasse. Ma<br />

questi come è noto sono tutti dati esogeni. Per cui, se questi dati non si<br />

mo<strong>di</strong>ficano, nemmeno il risparmio può mo<strong>di</strong>ficarsi, nonostante che il consumo<br />

autonomo si sia ridotto. Ecco dunque <strong>di</strong>mostrato il paradosso <strong>del</strong> risparmio.<br />

7


ESEMPIO N.3: il paradosso <strong>del</strong> risparmio. Il fatto che la riduzione <strong>del</strong> consumo<br />

autonomo non riesca a risollevare l’economia, ma provochi al contrario un calo <strong>di</strong><br />

produzione e lasci pure <strong>del</strong> tutto invariato il risparmio, può essere verificato<br />

tramite un esempio numerico. Supponiamo che, dopo la crisi <strong>di</strong> fiducia e la caduta<br />

degli investimenti, si cerchi <strong>di</strong> risollevare l’economia tramite una riduzione <strong>di</strong> c0<br />

da 50 a 40 miliar<strong>di</strong>. I dati dunque sono:<br />

c<br />

0<br />

40<br />

I 150<br />

G 100<br />

T 100<br />

c<br />

1<br />

<br />

0,<br />

5<br />

<br />

1/<br />

2<br />

Calcoliamo la produzione <strong>di</strong> equilibrio:<br />

1<br />

Y ( 40 150<br />

100<br />

( 1/<br />

2)<br />

100)<br />

1<br />

1/<br />

2<br />

Y 2(<br />

240)<br />

Y 480<br />

Rileviamo subito che la riduzione <strong>del</strong> consumo autonomo, anziché migliorare la<br />

situazione, ha provocato un ulteriore calo <strong>del</strong>la produzione. Ve<strong>di</strong>amo infine cosa è<br />

accaduto al risparmio. Data l’equazione <strong>del</strong> risparmio riportata in precedenza:<br />

S c<br />

1<br />

c )( Y T)<br />

0<br />

( 1<br />

calcoliamo innanzitutto il l<strong>iv</strong>ello <strong>del</strong> risparmio prima <strong>del</strong>la riduzione <strong>del</strong> consumo<br />

autonomo, cioè con c0 = 50 e Y = 500:<br />

S 50<br />

( 1<br />

1/<br />

2)(<br />

500 100)<br />

150<br />

Ricalcoliamo quin<strong>di</strong> il risparmio dopo la riduzione <strong>del</strong> consumo autonomo, cioè<br />

con c0 = 40 e Y = 480:<br />

S 40<br />

( 1<br />

1/<br />

2)(<br />

480 100)<br />

150<br />

Come si vede, la riduzione <strong>del</strong> consumo autonomo non ha provocato alcun effetto<br />

sul risparmio, visto che il calo <strong>di</strong> c0 è perfettamente compensato dal calo <strong>di</strong><br />

domanda e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> Y. Il “paradosso” è dunque confermato. Per uscire dalla crisi<br />

occorre cercare altre strade. Ad esempio, come vedremo, la politica espans<strong>iv</strong>a.<br />

8


4.3 Spesa pubblica, tassazione e teorema <strong>di</strong> Haavelmo sul bilancio in pareggio<br />

ESEMPIO N.4: una politica <strong>di</strong> espansione <strong>del</strong>la spesa pubblica. E’ chiaro che la<br />

crisi <strong>di</strong> fiducia, e la conseguente riduzione <strong>del</strong>la domanda e <strong>del</strong>la produzione,<br />

avranno scatenato un’ondata <strong>di</strong> licenziamenti, e avranno quin<strong>di</strong> accresciuto la<br />

<strong>di</strong>soccupazione. In tal caso le autorità politiche potrebbero cercare <strong>di</strong> effettuare<br />

politiche espans<strong>iv</strong>e, al fine <strong>di</strong> aumentare la domanda <strong>di</strong> merci ed uscire così dalla<br />

crisi. Supponiamo ad esempio che le autorità <strong>di</strong> governo decidano <strong>di</strong> aumentare la<br />

spesa pubblica. Ad esempio, possiamo assumere che la spesa pubblica d<strong>iv</strong>enti G =<br />

150, ossia aumenti <strong>di</strong> G = 50 rispetto al suo valore iniziale <strong>di</strong> 100. Dunque ora<br />

abbiamo:<br />

c<br />

0<br />

50<br />

I 150<br />

G 150<br />

T 100<br />

c<br />

1<br />

<br />

0,<br />

5<br />

<br />

1/<br />

2<br />

Utilizzando sempre l’equazione (1), possiamo calcolare il nuovo l<strong>iv</strong>ello <strong>di</strong><br />

equilibrio <strong>del</strong>la produzione:<br />

1<br />

Y ( 50 150<br />

150<br />

( 1/<br />

2)<br />

100)<br />

1<br />

1/<br />

2<br />

Y 2(<br />

300)<br />

Y 600<br />

Si noti che, grazie all’aumento <strong>del</strong>la spesa pubblica, il governo è riuscito a<br />

riportare l’economia al l<strong>iv</strong>ello <strong>di</strong> produzione antecedente alla crisi. Ovviamente lo<br />

stesso calcolo poteva essere <strong>di</strong>rettamente effettuato sulle variazioni, senza passare<br />

per il calcolo dei l<strong>iv</strong>elli. Sapendo che G = 50, e assumendo sempre per ipotesi<br />

che c0 = I = T = 0, usando la (2) otteniamo:<br />

9


Y<br />

Y<br />

1<br />

( 50)<br />

1<br />

1/<br />

2<br />

2(<br />

50)<br />

Y<br />

100<br />

che corrisponde esattamente all’aumento <strong>del</strong>la produzione dal l<strong>iv</strong>ello <strong>di</strong> 500<br />

causato dalla crisi al nuovo l<strong>iv</strong>ello <strong>di</strong> 600 generato dall’espansione <strong>del</strong>la spesa<br />

pubblica. Si noti che il moltiplicatore <strong>del</strong>la spesa autonoma funziona non solo “in<br />

negat<strong>iv</strong>o”, come nel caso precedente, ma anche “in posit<strong>iv</strong>o” come in questo caso.<br />

Infatti, al governo è bastato un aumento <strong>di</strong> spesa pubblica <strong>di</strong> 50 per ottenere un<br />

aumento finale <strong>del</strong>la produzione <strong>di</strong> 100. Posto ad esempio che il governo abbia<br />

speso 50 miliar<strong>di</strong> per la costruzione <strong>di</strong> nuovi e<strong>di</strong>fici scolastici, evidentemente avrà<br />

impiegato nei cantieri dei lavoratori che precedentemente erano <strong>di</strong>soccupati e<br />

quin<strong>di</strong> nullatenenti. Questi lavoratori, essendo occupati, adesso <strong>di</strong>spongono <strong>di</strong> un<br />

red<strong>di</strong>to e quin<strong>di</strong> potranno aumentare a loro volta i consumi, il che farà aumentare<br />

l’att<strong>iv</strong>ità <strong>del</strong>le imprese produttrici <strong>di</strong> beni <strong>di</strong> consumo, e dunque anche<br />

l’occupazione <strong>di</strong> ulteriori lavoratori presso <strong>di</strong> esse, e così via. Alla fine l’aumento<br />

<strong>del</strong>la spesa compless<strong>iv</strong>a, e conseguentemente anche <strong>del</strong>la produzione e degli<br />

occupati necessari a realizzarla, è maggiore <strong>del</strong>la spesa pubblica iniziale.<br />

Si noti che il moltiplicatore, rappresentato dal termine 1/1-c1, genera effetti tanto<br />

più intensi quanto maggiore è la propensione al consumo. Ad esempio, se c1<br />

aumenta da 1/2 a 2/3 il motiplicatore 1/1-c1 aumenta da 2 a 3 e quin<strong>di</strong> tende ad<br />

accentuare la variazione iniziale <strong>del</strong>la spesa autonoma. La spiegazione è semplice:<br />

se i lavoratori hanno una forte propensione a consumare, allora nel momento in<br />

cui vengono assunti e retribuiti tratterranno poco red<strong>di</strong>to per fini <strong>di</strong> risparmio e<br />

tenderanno a spenderne molto per consumi. Ciò significa che solo una piccola<br />

parte <strong>del</strong> red<strong>di</strong>to resterà giacente nei portafogli, mentre la maggior parte verrà<br />

rimessa nel circuito economico, il che darà luogo ad un elevato effetto<br />

moltiplicat<strong>iv</strong>o sulla domanda e sulla produzione.<br />

ESEMPIO N.5: una politica <strong>di</strong> riduzione <strong>del</strong>la tassazione. In effetti, per stimolare<br />

la domanda <strong>di</strong> merci e uscire così dalla crisi, il governo potrebbe anche ridurre le<br />

tasse anziché aumentare la spesa pubblica. Le tasse sono fondamentali per<br />

finanziare l’amministrazione <strong>del</strong>lo Stato e i servizi essenziali come l’or<strong>di</strong>ne<br />

pubblico, la sanità, l’istruzione, ecc. Al tempo stesso però esse sottraggono<br />

red<strong>di</strong>to ai singoli citta<strong>di</strong>ni, e quin<strong>di</strong> tendono a deprimere le loro spese per consumi<br />

pr<strong>iv</strong>ati. Abbattendo la tassazione, il governo può quin<strong>di</strong> lasciare ai pr<strong>iv</strong>ati una<br />

maggiore <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> red<strong>di</strong>to, e permette ad essi <strong>di</strong> accrescere la domanda <strong>di</strong><br />

merci. In sostituzione <strong>di</strong> G = 50, il governo può dunque decidere <strong>di</strong> ridurre le<br />

10


tasse <strong>di</strong> T = 50. Senza bisogno <strong>di</strong> calcolare il l<strong>iv</strong>ello, soffermiamoci<br />

<strong>di</strong>rettamente sulla variazione <strong>del</strong>la produzione che consegue alla riduzione <strong>del</strong>le<br />

tasse. Sapendo che T = 50, e che per ipotesi c0 = I = G = 0, sostituendo<br />

questi valori nella equazione (2):<br />

1<br />

Y ( c0<br />

I<br />

G<br />

c1T<br />

)<br />

1<br />

c<br />

otteniamo che:<br />

Y<br />

Y<br />

1<br />

1<br />

( 0<br />

1<br />

1/<br />

2<br />

2 ( 25)<br />

Y<br />

50<br />

0 0 <br />

( 1/<br />

2)(<br />

50))<br />

A questo punto è fondamentale notare una <strong>di</strong>fferenza tra la politica precedente, <strong>di</strong><br />

espansione <strong>del</strong>la spesa pubblica, e la politica appena esaminata, basata sulla<br />

riduzione <strong>del</strong>le tasse. L’aumento <strong>di</strong> spesa pubblica pari a 50 aveva infatti<br />

provocato un aumento compless<strong>iv</strong>o <strong>del</strong>la produzione pari a 100. In questo caso,<br />

invece, una riduzione <strong>del</strong>le tasse <strong>di</strong> 50 (ovvero una riduzione <strong>di</strong> pari entità rispetto<br />

all’aumento <strong>del</strong>la spesa pubblica) provoca un aumento <strong>del</strong>la produzione <strong>di</strong> soli 50<br />

miliar<strong>di</strong>, ossia molto minore. Dunque la politica basata sulla espansione <strong>del</strong>la<br />

spesa pubblica G risulta più efficace <strong>del</strong>la politica fondata sulla riduzione <strong>del</strong>le<br />

tasse T. Quali sono le cause <strong>di</strong> questa d<strong>iv</strong>ersa efficacia? La risposta può essere<br />

ind<strong>iv</strong>iduata osservando nuovamente l’equazione (2):<br />

1<br />

Y ( c0<br />

I<br />

G<br />

c1T<br />

)<br />

1<br />

c<br />

1<br />

Da questa equazione si rileva chiaramente che mentre le variazioni <strong>di</strong> G si<br />

scaricano interamente sulla produzione Y, invece solo la percentuale c1 <strong>del</strong>le<br />

variazioni <strong>di</strong> T si ripercuote su Y. La ragione è che se il governo aumenta ad<br />

esempio G <strong>di</strong> 50 miliar<strong>di</strong>, questi si trasformeranno interamente in maggiore spesa<br />

(es. per la costruzione <strong>di</strong> e<strong>di</strong>fici scolastici, <strong>di</strong> strade, ecc.) e quin<strong>di</strong> anche in<br />

maggiore produzione e in maggiore red<strong>di</strong>to per i lavoratori che partecipano alla<br />

produzione. Al contrario, se il governo riduce T <strong>di</strong> 50 miliar<strong>di</strong>, i citta<strong>di</strong>ni<br />

effett<strong>iv</strong>amente si ritroveranno con un red<strong>di</strong>to <strong>di</strong>sponibile maggiore, ma <strong>di</strong> questo<br />

maggiore red<strong>di</strong>to essi ne spenderanno soltanto una parte. Ad esempio, se la<br />

propensione al consumo è c1 = 1/2, questo significa che i citta<strong>di</strong>ni spendono solo il<br />

50% dei loro red<strong>di</strong>ti a fini <strong>di</strong> consumo, mentre accantonano l’altro 50% sotto<br />

forma <strong>di</strong> risparmio. Dunque, se a seguito <strong>di</strong> una riduzione <strong>del</strong>le tasse i citta<strong>di</strong>ni si<br />

11


trovano con 50 miliar<strong>di</strong> in più <strong>di</strong> red<strong>di</strong>to <strong>di</strong>sponibile, essi ne spenderanno solo 25<br />

e quin<strong>di</strong> alla fine questa politica darà luogo ad un aumento <strong>di</strong> domanda e <strong>di</strong><br />

produzione inferiore rispetto a quella basata sulla spesa <strong>di</strong>retta <strong>del</strong> governo.<br />

La maggiore efficacia <strong>di</strong> G rispetto a T può essere formalizzata attraverso il<br />

cosiddetto teorema <strong>di</strong> Haavelmo sul bilancio in pareggio. Per descr<strong>iv</strong>ere il<br />

teorema, partiamo dalla seguente ipotesi: per evitare <strong>di</strong> aggravare il <strong>di</strong>savanzo<br />

pubblico il governo intende finanziare tutti gli aumenti <strong>di</strong> spesa pubblica con<br />

uguali incrementi <strong>del</strong>la tassazione. Il <strong>di</strong>savanzo (detto anche deficit) <strong>di</strong> bilancio<br />

pubblico è dato infatti dall’eventuale eccesso <strong>di</strong> spese <strong>del</strong>lo Stato G rispetto alle<br />

entrate fiscali T.<br />

(3) Deficit pubblico = G - T<br />

Se si vuole evitare questo <strong>di</strong>savanzo, se cioè si vuole mantenere il bilancio<br />

pubblico in pareggio, occorre che G e T siano uguali e si muovano assieme. Ossia,<br />

partendo da una ipotetica situazione <strong>di</strong> pareggio, per mantenerla occorre che: G<br />

= T.<br />

A prima vista si potrebbe pensare che questo tipo <strong>di</strong> politica non provochi alcun<br />

effetto sul l<strong>iv</strong>ello <strong>di</strong> equilibrio <strong>del</strong>la produzione Y. Si può infatti presumere che<br />

l’espansione <strong>del</strong>la domanda <strong>di</strong> merci causata dall’aumento <strong>di</strong> G venga<br />

perfettamente neutralizzata dalla riduzione <strong>del</strong>la domanda causata dal pari<br />

aumento <strong>di</strong> T. In realtà, contrariamente alle apparenze, il teorema <strong>di</strong> Haavelmo<br />

<strong>di</strong>mostra che la politica basata sul bilancio in pareggio (cioè su G = T) dà<br />

luogo a un incremento <strong>di</strong> Y.<br />

Per <strong>di</strong>mostrare questo teorema partiamo dalla equazione (2), che ci <strong>di</strong>ce <strong>di</strong> quanto<br />

varia Y al variare <strong>del</strong>le componenti autonome <strong>del</strong>la domanda, cioè nel nostro caso<br />

al variare <strong>di</strong> G e <strong>di</strong> T:<br />

1<br />

Y ( c0<br />

I<br />

G<br />

c1T<br />

)<br />

1<br />

c<br />

1<br />

Se assumiamo che gli investimenti e i consumi autonomi non mutino, allora si ha<br />

che c0 = I = 0 e quin<strong>di</strong> possiamo riscr<strong>iv</strong>ere l’equazione nel seguente modo:<br />

1<br />

<br />

Y ( G<br />

c1T<br />

)<br />

1<br />

c<br />

1<br />

12


Ma noi sappiamo pure che, per ipotesi, il governo sta effettuando una politica <strong>di</strong><br />

bilancio in pareggio, per cui G = T. Possiamo quin<strong>di</strong> sostituire il termine T<br />

con G e ottenere:<br />

1<br />

Y<br />

( G<br />

c1G)<br />

1<br />

c<br />

( 1<br />

c1)<br />

Y<br />

G<br />

1<br />

c<br />

1<br />

1<br />

Y<br />

( 1<br />

c1)<br />

G<br />

1<br />

c<br />

1<br />

1<br />

da cui, semplificando numeratore e denominatore <strong>del</strong>la frazione, si ottiene:<br />

Y G<br />

Abbiamo dunque <strong>di</strong>mostrato che, con G = T, le due politiche non si<br />

neutralizzano a vicenda ma hanno invece un effetto posit<strong>iv</strong>o sulla produzione. Più<br />

precisamente, l’aumento <strong>di</strong> Y sarà esattamente pari all’aumento iniziale <strong>di</strong><br />

spesa pubblica. Ma perché l’aumento <strong>del</strong>le tasse, pur essendo identico<br />

all’aumento <strong>del</strong>la spesa pubblica, non riesce a neutralizzare quest’ultima? La<br />

ragione è sempre la stessa. L’aumento <strong>di</strong> spesa pubblica G si traduce<br />

interamente in spesa e quin<strong>di</strong> in un aumento <strong>del</strong>la produzione. Invece l’uguale<br />

aumento <strong>del</strong>le tasse T, pur rappresentando una sottrazione <strong>di</strong> red<strong>di</strong>to ai pr<strong>iv</strong>ati,<br />

se fosse rimasto nelle tasche <strong>di</strong> questi sarebbe stato speso non interamente ma solo<br />

in parte, ossia nella percentuale data dalla propensione al consumo c1. Alla fine<br />

dunque l’effetto espans<strong>iv</strong>o <strong>del</strong>la spesa prevale sull’effetto restritt<strong>iv</strong>o <strong>del</strong>le<br />

tasse, e quin<strong>di</strong> domanda e produzione aumentano.<br />

4.4 Il finanziamento <strong>del</strong> <strong>di</strong>savanzo pubblico e il Trattato <strong>di</strong> Maastricht<br />

Abbiamo appena esaminato una politica basata sull’obiett<strong>iv</strong>o <strong>di</strong> mantenere il<br />

pareggio <strong>di</strong> bilancio pubblico, finanziando gli incrementi <strong>di</strong> spesa pubblica G con<br />

uguali incrementi <strong>del</strong>le entrate fiscali T.<br />

E’ possibile tuttavia che un governo possa essere spinto ad effettuare <strong>del</strong>le spese<br />

in <strong>di</strong>savanzo (detto anche deficit). Dall’equazione (3) noi sappiamo che il deficit<br />

pubblico si viene a creare quando la spesa pubblica eccede le entrate fiscali. Ci<br />

sono varie ragioni per cui questo eccesso <strong>di</strong> spesa può venirsi a creare. In primo<br />

13


luogo, è possibile che le autorità politiche siano indotte ad effettuare maggiori<br />

spese per tentare <strong>di</strong> stimolare l’att<strong>iv</strong>ità produtt<strong>iv</strong>a e quin<strong>di</strong> l’occupazione. Inoltre,<br />

più in generale, i governi possono essere sottoposti a vari tipi <strong>di</strong> pressioni<br />

politiche. Alcuni gruppi sociali chiederanno infatti <strong>di</strong> accrescere la spesa pubblica<br />

(magari per migliorare i servizi sanitari, scolastici, i trasporti pubblici, ecc.), altri<br />

reclameranno una riduzione <strong>del</strong>la tassazione. Di conseguenza è possibile che <strong>di</strong><br />

fronte a simili spinte contrastanti le autorità politiche finiscano per generare<br />

deficit pubblici, ossia eccessi sistematici <strong>del</strong>le spese sulle entrate.<br />

Quando uno Stato si trova in una situazione <strong>di</strong> deficit, può finanziare le spese<br />

eccedenti in due mo<strong>di</strong>. Il primo modo consiste nel farsi prestare denaro dai<br />

pr<strong>iv</strong>ati, ossia nell’indebitarsi con i pr<strong>iv</strong>ati vendendo loro titoli <strong>del</strong> debito pubblico<br />

(esempio tipico sono i BOT); in tal caso si avrà una emissione <strong>di</strong> nuovi titoli, e<br />

quin<strong>di</strong> un aumento <strong>del</strong> debito pubblico, che qui definiremo con il termine B. Il<br />

secondo modo <strong>di</strong> finanziamento verte sulla creazione <strong>di</strong> nuova moneta, ossia sulla<br />

stampa <strong>di</strong> banconote da parte <strong>del</strong>la banca centrale; in tal caso si avrà un aumento<br />

<strong>del</strong>l’offerta <strong>di</strong> moneta, che qui definiremo con M. Dunque, in linea <strong>di</strong> principio,<br />

dato un certo l<strong>iv</strong>ello <strong>del</strong> deficit pubblico G - T, si potrà finanziarlo con una pari<br />

variazione <strong>del</strong> debito pubblico, o <strong>del</strong>la quantità <strong>di</strong> moneta, oppure <strong>di</strong> una<br />

combinazione dei due:<br />

G T B<br />

M<br />

Fino alla seconda metà degli anni ’70, era prassi abbastanza consolidata favorire<br />

l’espansione <strong>del</strong>la spesa pubblica al <strong>di</strong> là <strong>del</strong>le entrate fiscali attraverso l’aumento<br />

<strong>del</strong> debito e la creazione <strong>di</strong> moneta. Questo orientamento ha indubbiamente dato<br />

luogo a un’espansione <strong>del</strong>l’apparato burocratico <strong>del</strong>lo Stato. D’altro canto esso ha<br />

pure consentito ai governi <strong>di</strong> finanziare politiche <strong>di</strong> espansione <strong>del</strong>la spesa<br />

pubblica per accrescere la domanda e quin<strong>di</strong> la produzione e l’occupazione.<br />

Inoltre, la medesima impostazione ha favorito lo sviluppo <strong>del</strong> cosiddetto “stato<br />

sociale”, vale a <strong>di</strong>re <strong>del</strong>l’istruzione e <strong>del</strong>la sanità pubblica garantita a tutti i<br />

citta<strong>di</strong>ni, e dei sistemi <strong>di</strong> previdenza e <strong>di</strong> assistenza sociale per i meno abbienti.<br />

Tuttavia a partire dagli anni ’80 si è imposto un d<strong>iv</strong>erso orientamento, talvolta<br />

definito “liberista”, teso ad impe<strong>di</strong>re le politiche espans<strong>iv</strong>e e a contrastare la<br />

crescita <strong>del</strong> bilancio statale attraverso l’introduzione <strong>di</strong> rigi<strong>di</strong> vincoli all’aumento<br />

<strong>del</strong> debito pubblico e <strong>del</strong>la massa monetaria.<br />

Il Trattato <strong>di</strong> Maastricht <strong>del</strong> 1991, che ha dato avvio al progetto <strong>del</strong>la moneta<br />

unica europea, è stato fortemente ispirato da questa impostazione liberista. Infatti,<br />

tra le altre cose, ai paesi membri <strong>del</strong>l’Unione monetaria europea il Trattato<br />

impone i seguenti d<strong>iv</strong>ieti: 1) il d<strong>iv</strong>ieto per la Banca centrale europea <strong>di</strong> finanziare<br />

i deficit pubblici tramite creazione <strong>di</strong> moneta, un d<strong>iv</strong>ieto che può essere<br />

facilmente espresso in termini algebrici nel seguente modo:<br />

14


M 0<br />

e 2) il d<strong>iv</strong>ieto per gli stati membri <strong>del</strong>l’Unione monetaria <strong>di</strong> finanziare i deficit<br />

pubblici tramite emissione <strong>di</strong> titoli oltre il vincolo <strong>del</strong> 3% <strong>del</strong> Pil (che corrisponde<br />

al l<strong>iv</strong>ello <strong>di</strong> produzione Y). Questo secondo d<strong>iv</strong>ieto può essere espresso<br />

algebricamente nel modo che segue. Partiamo dalla definizione <strong>del</strong> deficit<br />

pubblico. In tal caso esso coincide con la sola emissione <strong>di</strong> nuovi titoli <strong>del</strong> debito<br />

pubblico, visto che il Trattato esclude il finanziamento tramite creazione <strong>di</strong><br />

moneta:<br />

G T B<br />

d<strong>iv</strong>i<strong>di</strong>amo tutto per il Pil, ossia per il l<strong>iv</strong>ello <strong>di</strong> produzione Y:<br />

G T B<br />

<br />

Y Y<br />

Infine, introduciamo il vincolo <strong>del</strong> 3% imposto dal Trattato <strong>di</strong> Maastricht:<br />

G T B<br />

0, 03 ( ossia 3%)<br />

Y Y<br />

ESEMPIO N.6: verifica <strong>del</strong> rispetto o meno <strong>del</strong> vincolo <strong>del</strong> 3% <strong>del</strong> Trattato <strong>di</strong><br />

Maastricht. Se pren<strong>di</strong>amo i dati <strong>del</strong> terzo esempio precedente - nel quale si<br />

cercava <strong>di</strong> rime<strong>di</strong>are a una crisi <strong>di</strong> fiducia tramite la spesa pubblica – si può<br />

verificare se quella situazione rispetti o meno il vincolo <strong>del</strong> Trattato. Sapendo che<br />

G = 150, che T = 100 e che il l<strong>iv</strong>ello <strong>di</strong> equilibrio <strong>del</strong>la produzione è Y = 600,<br />

otteniamo:<br />

G T 150 100<br />

0,<br />

083 <br />

Y 600<br />

8,<br />

3%<br />

Dunque ci troviamo <strong>di</strong> fronte a un l<strong>iv</strong>ello <strong>del</strong> deficit pubblico che in base al<br />

Trattato dovremmo considerare “eccess<strong>iv</strong>o”, poiché esso andrebbe ben al <strong>di</strong> là <strong>del</strong><br />

limite <strong>del</strong> 3% previsto dagli accor<strong>di</strong> europei. Anziché accrescere la spesa pubblica<br />

il paese dovrà dunque ridurla per rientrare nei limiti <strong>del</strong> Trattato, nonostante la già<br />

bassa domanda causata dalla crisi. L’esempio chiarisce che il vincolo <strong>del</strong> Trattato<br />

può mettere in seria <strong>di</strong>fficoltà un paese attraversato da una crisi, poiché impe<strong>di</strong>sce<br />

<strong>di</strong> rime<strong>di</strong>are ad essa tramite l’espansione <strong>del</strong>la spesa pubblica.<br />

15


Gli economisti <strong>di</strong> orientamento liberista tendono a <strong>di</strong>fendere i d<strong>iv</strong>ieti al<br />

finanziamento dei deficit pubblici imposti dal Trattato <strong>di</strong> Maastricht. Molti <strong>di</strong> essi<br />

infatti auspicano che i d<strong>iv</strong>ieti <strong>del</strong> Trattato comprimano il bilancio pubblico e<br />

quin<strong>di</strong> riducano la presenza <strong>del</strong>lo Stato nell’economia. Altri economisti, talvolta<br />

ispirati dalle opere eterodosse <strong>di</strong> Marx e <strong>di</strong> Keynes, hanno invece criticato i d<strong>iv</strong>ieti<br />

imposti dal Trattato <strong>di</strong> Maastricht. Essi ritengono che tali vincoli impe<strong>di</strong>scano <strong>di</strong><br />

effettuare politiche espans<strong>iv</strong>e e quin<strong>di</strong> costringano i paesi membri <strong>del</strong>l’Unione<br />

monetaria europea in una situazione <strong>di</strong> bassa domanda e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> bassa<br />

produzione e occupazione. Gli stessi economisti ritengono inoltre che tali d<strong>iv</strong>ieti,<br />

restringendo il bilancio statale, provocheranno una drammatica riduzione <strong>del</strong>la<br />

produzione <strong>di</strong> beni e servizi pubblici destinati ai citta<strong>di</strong>ni europei, e soprattutto ai<br />

lavoratori e alle fasce sociali più deboli. Viene dunque sollecitata una riforma <strong>del</strong><br />

Trattato <strong>di</strong> Maastricht, che elimini o almeno attenui i vincoli vigenti. La grave<br />

crisi economica in corso potrebbe in effetti dare man forte alle loro tesi,<br />

costringendo le istituzioni europee a r<strong>iv</strong>edere almeno le clausole più controverse<br />

<strong>del</strong> Trattato.<br />

4.5 La politica monetaria e il Trattato <strong>di</strong> Maastricht<br />

Fino a questo momento abbiamo assunto che, a seguito <strong>di</strong> una crisi <strong>di</strong> fiducia e <strong>di</strong><br />

una conseguente caduta degli investimenti <strong>del</strong>le imprese, il governo intervenga<br />

attraverso una politica <strong>di</strong> espansione <strong>del</strong>la spesa pubblica e/o <strong>di</strong> riduzione <strong>del</strong>le<br />

tasse. Tuttavia è anche possibile che in una situazione <strong>del</strong> genere intervenga la<br />

banca centrale al posto <strong>del</strong> governo (o al limite in concerto con esso). Ad<br />

esempio, in Europa la Banca centrale europea (BCE) potrebbe esser chiamata a un<br />

intervento per contrastare la crisi, negli Stati Uniti questo compito spetta alla<br />

Federal Reserve (FED), ecc.<br />

Quando c’è una crisi la banca centrale interviene con una politica monetaria<br />

espans<strong>iv</strong>a, cioè con un aumento <strong>del</strong>la quantità <strong>di</strong> moneta M in circolazione. La<br />

banca centrale può decidere <strong>di</strong> aumentare M al fine <strong>di</strong> ridurre il tasso d’interesse.<br />

La riduzione dei tassi d’interesse rappresenta infatti una riduzione <strong>del</strong> costo dei<br />

prestiti e può quin<strong>di</strong> stimolare le imprese a chiedere finanziamenti alle banche per<br />

riatt<strong>iv</strong>are gli investimenti, e con essi la domanda <strong>di</strong> merci e quin<strong>di</strong> la produzione e<br />

l’occupazione.<br />

Ma qual è la relazione che lega un aumento <strong>del</strong>la quantità <strong>di</strong> moneta in<br />

circolazione a una riduzione <strong>del</strong> tasso d’interesse? La spiegazione grafica - basata<br />

sulla intersezione tra la curva <strong>di</strong> domanda <strong>di</strong> moneta e l’offerta <strong>di</strong> moneta - è<br />

16


molto semplice, e può essere facilmente rintracciata nel capitolo 4 <strong>del</strong> <strong>manuale</strong> <strong>di</strong><br />

Blanchard. Qui però ci soffermiamo sulla spiegazione economica, cioè concreta,<br />

<strong>del</strong> fenomeno.<br />

La procedura solitamente adottata dalla banca centrale per mo<strong>di</strong>ficare la quantità<br />

<strong>di</strong> moneta circolante è la cosiddetta operazione <strong>di</strong> mercato aperto, che non è<br />

altro che una operazione <strong>di</strong> compraven<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> titoli e <strong>di</strong> moneta sul mercato<br />

finanziario. La banca centrale entra cioè in relazione con gli operatori pr<strong>iv</strong>ati che<br />

agiscono su quel mercato. Ad esempio, se l’obiett<strong>iv</strong>o è <strong>di</strong> ridurre il tasso<br />

d’interesse e stimolare così l’economia, allora la banca centrale dovrà da un lato<br />

offrire moneta e dall’altro domandare titoli. In questo modo infatti la banca<br />

centrale crea un eccesso <strong>di</strong> domanda <strong>di</strong> titoli sul mercato che farà aumentare il<br />

prezzo dei titoli stessi (come accade per i prezzi <strong>di</strong> tutte le merci, anche i prezzi<br />

dei titoli aumentano se c’è un eccesso <strong>di</strong> domanda, mentre <strong>di</strong>minuiscono se c’è un<br />

eccesso <strong>di</strong> offerta).<br />

Assumiamo ora che i titoli sul mercato siano “a red<strong>di</strong>to fisso”. Un caso tipico <strong>di</strong><br />

titoli a red<strong>di</strong>to fisso sono i titoli <strong>di</strong> Stato, emessi dai governi per farsi prestare<br />

denaro dai pr<strong>iv</strong>ati (per esempio in Italia abbiamo i BOT). Un titolo a red<strong>di</strong>to fisso<br />

è definito così poiché alla scadenza <strong>di</strong> fine anno chi lo ha emesso è tenuto a<br />

pagare sempre la stessa somma al proprietario <strong>del</strong> titolo, ad esempio 100 euro.<br />

Dunque il tasso d’interesse su questo titolo sarà dato dalla <strong>di</strong>fferenza tra<br />

ren<strong>di</strong>mento e costo <strong>del</strong> titolo, cioè sarà dato dalla cedola <strong>di</strong> 100 euro che il<br />

proprietario ottiene alla scadenza <strong>di</strong> fine anno, meno il prezzo al quale il<br />

proprietario ha acquistato il titolo, il tutto d<strong>iv</strong>iso per il medesimo prezzo:<br />

P<br />

i <br />

P<br />

100<br />

T<br />

T<br />

Questa formula ovviamente può essere riscritta così:<br />

i <br />

100<br />

1<br />

PT<br />

Per esempio, se un operatore pr<strong>iv</strong>ato compra al prezzo <strong>di</strong> 95 euro un titolo che a<br />

fine anno darà una cedola fissa <strong>di</strong> 100 euro, è chiaro che il tasso <strong>di</strong> interesse <strong>del</strong><br />

titolo sarà pari a i = 100/95 – 1 = 0,052 = 5,2%.<br />

La formula chiarisce la relazione inversa tra prezzo <strong>del</strong> titolo e tasso d’interesse:<br />

una operazione <strong>di</strong> mercato aperto basata su una maggiore offerta <strong>di</strong> moneta e su<br />

una maggiore domanda <strong>di</strong> titoli da parte <strong>del</strong>la banca centrale, farà aumentare il<br />

prezzo <strong>di</strong> mercato PT <strong>del</strong> titolo e quin<strong>di</strong> (visto che il denominatore <strong>del</strong>la frazione<br />

17


aumenta) farà <strong>di</strong>minuire il tasso d’interesse i. Il che <strong>del</strong> resto è ovvio: l’operazione<br />

espans<strong>iv</strong>a <strong>del</strong>la banca centrale fa aumentare il prezzo <strong>di</strong> mercato <strong>del</strong> titolo, ma al<br />

tempo stesso il ren<strong>di</strong>mento assoluto che il titolo garantisce è rimasto fisso a 100<br />

euro. Pertanto, dopo l’operazione <strong>del</strong>la banca centrale accade che chi compra il<br />

titolo sul mercato lo paga <strong>di</strong> più, ma alla fine ottiene sempre la stessa somma <strong>di</strong><br />

cento euro. Pertanto è chiaro che il tasso d’interesse – cioè il ren<strong>di</strong>mento<br />

percentuale <strong>del</strong> titolo rispetto al prezzo - si riduce.<br />

In generale possiamo quin<strong>di</strong> scr<strong>iv</strong>ere che le operazioni <strong>di</strong> mercato aperto <strong>del</strong>la<br />

banca centrale possono essere:<br />

Operazioni<br />

espans<strong>iv</strong>e<br />

Operazioni<br />

restritt<strong>iv</strong>e<br />

La banca centrale offre<br />

moneta e domanda titoli<br />

La banca centrale<br />

domanda moneta e offre<br />

titoli<br />

Conseguenza: eccesso <strong>di</strong><br />

domanda <strong>di</strong> titoli<br />

Conseguenza: eccesso <strong>di</strong><br />

offerta <strong>di</strong> titoli<br />

PT i <br />

PT i <br />

Abbiamo dunque chiarito il rapporto intercorrente tra quantità <strong>di</strong> moneta,<br />

prezzo dei titoli e tasso d’interesse. Più in particolare, abbiamo mostrato in che<br />

modo la banca centrale può aumentare la moneta in circolazione, aumentare il<br />

prezzo dei titoli, ridurre il tasso d’interesse e cercare così <strong>di</strong> stimolare gli<br />

investimenti per far uscire l’economia da una situazione <strong>di</strong> crisi.<br />

Tuttavia, così come accadeva per le manovre sulla spesa pubblica e sulla<br />

tassazione, anche la politica monetaria risulta oggigiorno fortemente vincolata. Il<br />

Trattato <strong>di</strong> Maastricht, infatti, non solo vieta alla Banca centrale europea <strong>di</strong><br />

finanziare i deficit pubblici con moneta, ma più in generale le impone <strong>di</strong><br />

perseguire politiche fortemente restritt<strong>iv</strong>e, al fine <strong>di</strong> contenere il più possibile<br />

l’inflazione. Il risultato è che la Bce <strong>di</strong>fficilmente potrà decidere <strong>di</strong> espandere la<br />

moneta in circolazione al fine <strong>di</strong> ridurre i tassi d’interesse per dare sostegno alla<br />

domanda e alla produzione. Anche per questo mot<strong>iv</strong>o il Trattato <strong>di</strong> Maastricht è<br />

oggetto <strong>di</strong> numerose critiche.<br />

4.6 Politica monetaria e speculazione<br />

Ma se anche i vincoli <strong>del</strong> Trattato venissero eliminati o attenuati, la politica<br />

monetaria espans<strong>iv</strong>a potrebbe incontrare altri tipi <strong>di</strong> ostacoli in grado <strong>di</strong> renderla<br />

comunque inefficace.<br />

18


Un primo ostacolo risiede nel comportamento degli speculatori, vale a <strong>di</strong>re <strong>di</strong><br />

quegli operatori pr<strong>iv</strong>ati che effettuano compraven<strong>di</strong>te sul mercato finanziario al<br />

fine <strong>di</strong> lucrare guadagni dalle variazioni dei prezzi dei titoli. Gli speculatori<br />

cercano infatti <strong>di</strong> comprare quando ritengono che i prezzi dei titoli siano bassi e<br />

siano quin<strong>di</strong> destinati ad aumentare, e cercano invece <strong>di</strong> vendere quando ritengono<br />

che i prezzi siano alti e siano pertanto destinati a cadere.<br />

Gli speculatori cercano dunque <strong>di</strong> prevedere l’andamento futuro dei prezzi dei<br />

titoli, in modo da poter lucrare su <strong>di</strong> essi. A seconda che prevedano rialzi o cadute<br />

dei prezzi, essi si d<strong>iv</strong>idono in rialzisti (detti anche “tori”) e ribassisti (detti “orsi”).<br />

Qui <strong>di</strong> seguito sono riportati due esempi <strong>di</strong> strategie speculat<strong>iv</strong>e, rispett<strong>iv</strong>amente<br />

dei rialzisti e dei ribassisti:<br />

Caso A: I rialzisti scommettono<br />

su un aumento futuro <strong>di</strong> PT<br />

1) Mi faccio prestare 100 al tasso <strong>del</strong> 10%<br />

(quin<strong>di</strong> dovrò restituire 110)<br />

2) Compro 50 titoli al prezzo corrente PT=2<br />

3) Attendo che il prezzo dei titoli aumenti<br />

4) R<strong>iv</strong>endo i 50 titoli al nuovo prezzo PT=3<br />

5) Dalla ven<strong>di</strong>ta ricavo 150<br />

6) Restituisco i 110 dovuti al prestatore<br />

7) Ed ottengo dunque 150 – 110 = 40<br />

<strong>di</strong> guadagno speculat<strong>iv</strong>o netto.<br />

Caso B: I ribassisti scommettono<br />

su una riduzione futura <strong>di</strong> PT<br />

19<br />

1) Mi faccio prestare 50 titoli al tasso <strong>del</strong> 10%<br />

(quin<strong>di</strong> dovrò restituire i titoli più il 10% <strong>del</strong><br />

loro<br />

valore corrente)<br />

2) Vendo i 50 titoli al prezzo corrente PT=3<br />

ed ottengo quin<strong>di</strong> 150<br />

3) Attendo che il prezzo dei titoli <strong>di</strong>minuisca<br />

4) Ricompro i 50 titoli al nuovo prezzo PT=2<br />

spendendo quin<strong>di</strong> 100 per l’acquisto<br />

5) Restituisco i titoli al proprietario e pago<br />

anche un<br />

interesse <strong>di</strong> 15 (cioè il 10% dei 150 che<br />

valevano all’inizio)<br />

6) Alla fine mi restano 150 – 100 - 15 = 35<br />

<strong>di</strong> guadagno speculat<strong>iv</strong>o netto<br />

Chiaramente questi esempi si riferiscono a situazioni in cui gli speculatori vedono<br />

confermate le loro attese. Ben d<strong>iv</strong>ersa sarebbe la situazione se l’andamento dei<br />

prezzi non confermasse le previsioni <strong>di</strong> tali operatori.<br />

ESEMPIO N.7: speculazioni errate. Si calcoli il risultato netto <strong>del</strong> rialzista nel<br />

caso in cui il nuovo prezzo <strong>di</strong> mercato <strong>del</strong> titolo sia PT = 1 anziché PT = 3. Si<br />

calcoli poi il risultato netto <strong>del</strong> ribassista nel caso in cui il prezzo <strong>di</strong> mercato <strong>del</strong><br />

titolo rimanga al l<strong>iv</strong>ello iniziale PT = 3 anziché <strong>di</strong>minuire a PT = 2. Si


verificherà che in queste d<strong>iv</strong>erse circostanze gli speculatori conseguono <strong>del</strong>le<br />

per<strong>di</strong>te in conto capitale.<br />

Descritto a gran<strong>di</strong> linee il comportamento degli speculatori, si tratta ora <strong>di</strong> capire<br />

in quale circostanza questi possono rendere inefficace una politica monetaria<br />

espans<strong>iv</strong>a. La circostanza in questione è quella in cui sul mercato prevalgono<br />

nettamente i ribassisti. Questi soggetti sono convinti che i titoli siano destinati a<br />

deprezzarsi, e quin<strong>di</strong> non vedono l’ora <strong>di</strong> liberarsi degli stessi non appena<br />

troveranno un acquirente. Pertanto, nel momento in cui la banca centrale<br />

interviene sul mercato offrendo moneta e domandando titoli, essa si ritroverà con<br />

una gran massa <strong>di</strong> operatori pronti a venderle tutti i titoli <strong>di</strong> cui <strong>di</strong>spongono.<br />

Questo significa che l’offerta <strong>di</strong> titoli da parte dei ribassisti sarà tale che non si<br />

verrà a creare nessun eccesso <strong>di</strong> domanda. La conseguenza è che il prezzo dei<br />

titoli non aumenta e il tasso d’interesse non <strong>di</strong>minuisce. La politica <strong>del</strong>la banca<br />

centrale risulta quin<strong>di</strong> inefficace a causa <strong>del</strong>l’interferenza degli speculatori.<br />

In letteratura questo caso va sotto il nome <strong>di</strong> trappola <strong>del</strong>la liqui<strong>di</strong>tà. Il nome<br />

in<strong>di</strong>ca quelle situazioni in cui molti operatori finanziari vanno a caccia <strong>di</strong> moneta<br />

liquida e cercano invece <strong>di</strong> liberarsi <strong>del</strong>le scorte <strong>di</strong> titoli, poiché ritengono che<br />

questi siano destinati a perdere valore. Essendo convinti <strong>di</strong> un prossimo ribasso<br />

dei prezzi dei titoli, gli operatori cercano <strong>di</strong> venderli e <strong>di</strong> ottenere in cambio<br />

moneta, detta anche liqui<strong>di</strong>tà.<br />

4.7 Politica monetaria, libera circolazione dei capitali e controlli<br />

Esiste infine un ulteriore ostacolo alla politica monetaria espans<strong>iv</strong>a, che si<br />

presenta nel caso in cui vi sia libera circolazione dei capitali da un paese<br />

all’altro. Gli speculatori e gli altri operatori sui mercati finanziari, infatti, oltre a<br />

fare scommesse sui prezzi futuri sono anche alla continua ricerca sul mercato<br />

mon<strong>di</strong>ale <strong>di</strong> titoli che assicurino il tasso d’interesse più elevato.<br />

Nel dopoguerra la ricerca da parte degli operatori pr<strong>iv</strong>ati <strong>di</strong> titoli ad elevato<br />

ren<strong>di</strong>mento era comunque limitata a causa <strong>del</strong>l’esistenza <strong>di</strong> norme che ponevano<br />

rigi<strong>di</strong> vincoli e controlli alla circolazione dei capitali da un paese all’altro.<br />

Tuttavia, con il passare degli anni questi vincoli sono stati via via rimossi. La<br />

conseguenza è che oggi sussiste quasi in tutto il mondo una situazione <strong>di</strong> libera<br />

circolazione dei capitali. E’ chiaro allora che in con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> piena libertà <strong>di</strong><br />

movimento, i capitalisti finanziari cercano <strong>di</strong> spostare le loro ricchezze in quei<br />

paesi che garantiscono più vantaggi, e in particolare che assicurano tassi<br />

20


d’interesse più elevati rispetto agli altri. Tali movimenti <strong>di</strong> capitale da un paese<br />

all’altro si arrestano solo nel momento in cui i titoli dei vari paesi offrono il<br />

medesimo ren<strong>di</strong>mento, al netto <strong>del</strong>le variazioni attese <strong>del</strong> tasso <strong>di</strong> cambio. La<br />

con<strong>di</strong>zione che ferma gli spostamenti, e che mette dunque in equilibrio i mercati,<br />

è detta con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> arbitraggio, oppure con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> parità scoperta dei tassi<br />

d’interesse. Dal testo <strong>di</strong> Blanchard noi sappiamo che tale con<strong>di</strong>zione è data da:<br />

1<br />

i ( 1<br />

i<br />

t<br />

*<br />

t )<br />

E<br />

E<br />

t<br />

e<br />

t 1<br />

dove la parte sinistra in<strong>di</strong>ca il ren<strong>di</strong>mento i che si ottiene acquistando titoli<br />

nazionali, mentre la parte destra in<strong>di</strong>ca il ren<strong>di</strong>mento i* der<strong>iv</strong>ante dall’acquisto <strong>di</strong><br />

titoli esteri. Questo secondo ren<strong>di</strong>mento, si ba<strong>di</strong>, è calcolato includendo le<br />

eventuali variazioni <strong>del</strong> tasso <strong>di</strong> cambio nominale E. 3<br />

Ora, è chiaro che finché la parte sinistra risulta inferiore alla parte destra<br />

<strong>del</strong>l’equazione, allora conviene spostare i capitali all’estero per acquistare titoli<br />

stranieri, che rendono <strong>di</strong> più. Viceversa, nel caso in cui la parte sinistra sia<br />

maggiore, conviene tenere i capitali in patria. Si comprende pertanto che se la<br />

banca centrale vuole evitare fughe <strong>di</strong> capitali all’estero, dovrà sempre fissare<br />

un tasso d’interesse interno in grado <strong>di</strong> rispettare la con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> parità<br />

scoperta, dati ovviamente il tasso prevalente all’estero e il tasso <strong>di</strong> cambio atteso.<br />

ESEMPIO N.8: il tasso minimo per evitare fughe <strong>di</strong> capitale. Assumendo che il<br />

tasso <strong>di</strong> cambio corrente sia dato da Et = 1,08$/1, che il tasso <strong>di</strong> cambio atteso<br />

sia Et+1 = 1$/1, e che il tasso d’interesse sui titoli USA sia i* = 0,1 (ossia il<br />

10%), calcoliamo il tasso d’interesse i che la Banca centrale europea dovrà fissare<br />

per evitare fughe <strong>di</strong> capitale all’estero:<br />

3 Attenzione: qui si fa l’ipotesi che il tasso <strong>di</strong> cambio nominale E sia definito in termini <strong>del</strong> prezzo<br />

<strong>del</strong>la moneta nazionale in termini <strong>di</strong> moneta estera, dove per “nazionale” inten<strong>di</strong>amo l’Italia e più<br />

in generale l’Europa, mentre per “estero” inten<strong>di</strong>amo prevalentemente gli Stati Uniti. Cioè, dal<br />

punto <strong>di</strong> vista <strong>di</strong> noi italiani (ed europei), definiamo il cambio come prezzo <strong>di</strong> un euro in termini <strong>di</strong><br />

dollari. Ad esempio, potremmo avere che E = 1,20$/1Є. Le versioni più recenti <strong>del</strong> <strong>manuale</strong> <strong>di</strong><br />

Blanchard usano esattamente questa convenzione. Se invece si usa la definizione alternat<strong>iv</strong>a <strong>del</strong><br />

cambio, come prezzo <strong>del</strong>la moneta estera in termini <strong>di</strong> moneta nazionale, oppure se per<br />

“nazionale” si intendono gli USA (come accadeva nelle prime versioni <strong>del</strong> <strong>manuale</strong> <strong>di</strong> Blanchard<br />

tradotte in italiano), allora la formula <strong>del</strong>la con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> parità va invertita.<br />

21


1<br />

i<br />

t<br />

1<br />

i<br />

t<br />

1,<br />

08<br />

( 1<br />

0,<br />

1)<br />

1<br />

1,<br />

188<br />

da cui si ricava che il tasso d’interesse europeo necessario ad evitare fughe <strong>di</strong><br />

capitale negli Stati Uniti dovrà essere almeno pari a it = 0,188, cioè al 18,8%. Si<br />

noti che si tratta <strong>di</strong> un interesse più elevato <strong>di</strong> quello americano, che è pari al 10%.<br />

La ragione per cui in questo esempio la Banca centrale europea, se vuole evitare<br />

le fughe, deve fissare un tasso superiore a quello USA, è dovuta al fatto che ci si<br />

attende un deprezzamento <strong>del</strong>l’euro, ossia una sua per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> valore rispetto al<br />

dollaro. Questa previsione incent<strong>iv</strong>a gli operatori finanziari a spostare ricchezze<br />

negli Stati Uniti. Per indurli a non spostare le ricchezze occorre quin<strong>di</strong> che il tasso<br />

d’interesse europeo sia più alto <strong>di</strong> quello americano così da compensare la per<strong>di</strong>ta<br />

che ci si attende dal deprezzamento <strong>del</strong> cambio. Chiaramente l’opposto<br />

avverrebbe se ci si attendesse un apprezzamento <strong>del</strong>l’euro: in tal caso la BCE<br />

potrebbe rispettare la con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> parità anche con un tasso d’interesse inferiore<br />

a quello USA.<br />

Naturalmente, al <strong>di</strong> là <strong>del</strong>l’esempio specifico, è chiaro che l’esigenza <strong>di</strong> rispettare<br />

la con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> parità scoperta costituisce un grave ostacolo per la politica<br />

monetaria <strong>del</strong>le banche centrali. Queste infatti non potranno ridurre i tassi<br />

d’interesse a piacimento, visto che c’è sempre il rischio <strong>di</strong> provocare fughe <strong>di</strong><br />

capitale. Una conseguenza è che in molte circostanze le banche centrali <strong>di</strong> paesi<br />

afflitti da crisi economiche interne non solo non hanno potuto ridurre i tassi<br />

d’interesse per tentare <strong>di</strong> stimolare l’economia, ma hanno ad<strong>di</strong>rittura dovuto<br />

aumentarli per evitare fughe <strong>di</strong> capitale (col rischio <strong>di</strong> aggravare ulteriormente la<br />

caduta <strong>del</strong>la domanda interna e quin<strong>di</strong> la crisi).<br />

I vincoli alla politica monetaria espans<strong>iv</strong>a causati dal pericolo <strong>di</strong> fughe <strong>di</strong> capitale<br />

hanno assunto negli anni ‘90 un rilievo drammatico, a seguito <strong>del</strong> ripetersi <strong>di</strong> crisi<br />

valutarie ed economiche in Europa, in Asia e in America Latina. Sono state<br />

pertanto avanzate <strong>del</strong>le proposte per tentare <strong>di</strong> dare maggiore libertà <strong>di</strong> manovra<br />

alla politica monetaria dei singoli paesi. In particolare, è stata suggerita la<br />

reintroduzione <strong>di</strong> limiti, più o meno stringenti, alla circolazione dei capitali nel<br />

mondo. Una ben nota proposta in tal senso è la cosiddetta Tobin tax (dal nome<br />

<strong>del</strong> suo ideatore, il premio Nobel per l’economia James Tobin), un’imposta su<br />

tutti gli scambi tra valute finalizzata a rendere costosi, e quin<strong>di</strong> a <strong>di</strong>sincent<strong>iv</strong>are,<br />

gli spostamenti <strong>di</strong> capitale da un paese all’altro.<br />

ESEMPIO N.9: la Tobin tax agevola la riduzione <strong>del</strong> tasso d’interesse interno.<br />

Supponiamo che l’Europa stia attraversando una fase <strong>di</strong> crisi e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

22


<strong>di</strong>soccupazione. La Banca centrale europea può esser dunque chiamata ad<br />

intervenire con una espansione monetaria, al fine <strong>di</strong> ridurre i tassi d’interesse,<br />

stimolare gli investimenti e quin<strong>di</strong> la domanda, la produzione e l’occupazione.<br />

Ipotizziamo che la situazione sia quella già descritta nell’esempio precedente.<br />

Come abbiamo visto, il tasso d’interesse necessario ad evitare le fughe <strong>di</strong> capitale<br />

è <strong>del</strong> 18,8%. Tuttavia per stimolare la domanda bisognerebbe ridurre<br />

ulteriormente il tasso d’interesse interno. Può l’introduzione <strong>di</strong> una Tobin tax<br />

rendere possibile tale riduzione? Per rispondere dobbiamo innanzitutto mo<strong>di</strong>ficare<br />

la con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> parità scoperta dei tassi d’interesse al fine <strong>di</strong> contemplare<br />

l’imposta.<br />

A questo proposito, noi sappiamo che l’acquisto <strong>di</strong> un titolo americano prevede i<br />

seguenti passaggi: in primo luogo la conversione da euro a dollari, quin<strong>di</strong><br />

l’acquisto <strong>del</strong> titolo in questione ed infine, alla data <strong>di</strong> scadenza <strong>del</strong> medesimo, la<br />

riconversione da dollari ad euro <strong>del</strong> guadagno ottenuto. La Tobin tax è un’imposta<br />

sulle transazioni valutarie. Essa quin<strong>di</strong> si applicherà in due momenti: all’atto <strong>del</strong>la<br />

conversione iniziale da euro a dollari, e all’atto <strong>del</strong>la conversione finale da dollari<br />

ad euro. Posto che t sia l’aliquota d’imposta applicata ad ogni conversione, la<br />

con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> parità scoperta d<strong>iv</strong>enta:<br />

1<br />

* Et<br />

( 1<br />

it<br />

)<br />

E<br />

it e<br />

t1<br />

( 1<br />

t)<br />

t<br />

Adesso inseriamo nella nuova con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> parità i valori assunti dalle variabili.<br />

Immaginiamo in primo luogo che l’aliquota <strong>del</strong>la Tobin tax venga fissata dalle<br />

autorità al l<strong>iv</strong>ello t = 0,01 = 1%. Inseriamo inoltre i valori <strong>del</strong>l’esercizio<br />

precedente relat<strong>iv</strong>i al tasso d’interesse americano (i* = 0,1) e ai cambi corrente e<br />

atteso (rispett<strong>iv</strong>amente Et = 1,08 ed Et+1 = 1). L’unica incognita rimasta è il tasso<br />

d’interesse interno it, che rappresenta il tasso minimo necessario ad evitare le<br />

fughe <strong>di</strong> capitale all’estero. Sostituendo le cifre alle variabili otteniamo:<br />

1<br />

i<br />

t<br />

1<br />

i<br />

t<br />

1,<br />

08<br />

( 1<br />

0,<br />

1)<br />

( 1<br />

0,<br />

01)<br />

0,<br />

01<br />

1<br />

<br />

1,<br />

166<br />

E’ facile a questo punto verificare che, grazie all’introduzione <strong>del</strong>la Tobin tax, il<br />

tasso interno necessario ad evitare le fughe <strong>di</strong> capitale si è ridotto, essendo<br />

d<strong>iv</strong>entato it = 0,166 = 16,6%. Dunque un’imposta <strong>del</strong>l’1% sul valore <strong>di</strong> tutti gli<br />

scambi <strong>di</strong> euro contro dollari e viceversa, renderà costosi gli spostamenti <strong>di</strong><br />

23


capitale da un luogo all’altro, e quin<strong>di</strong> dovrebbe permettere alla Banca centrale<br />

europea <strong>di</strong> ridurre il tasso d’interesse interno dal l<strong>iv</strong>ello iniziale <strong>del</strong> 18,8% al<br />

nuovo l<strong>iv</strong>ello <strong>del</strong> 16,6% senza il rischio <strong>di</strong> una fuga <strong>di</strong> capitali verso l’estero.<br />

Ovviamente, il ragionamento può essere anche ribaltato. Supponiamo cioè che la<br />

Banca centrale europea intenda calcolare quella aliquota <strong>di</strong> imposta t che le<br />

consenta <strong>di</strong> mantenere il tasso interno esattamente al medesimo l<strong>iv</strong>ello <strong>del</strong> tasso<br />

estero <strong>del</strong> 10% fissato dalla banca centrale americana. In tal caso si tratta <strong>di</strong><br />

esprimere la con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> parità isolando il termine t. Dopo semplici passaggi la<br />

con<strong>di</strong>zione d<strong>iv</strong>enta:<br />

( 1<br />

it<br />

)<br />

t 1<br />

* E<br />

( 1<br />

it<br />

)<br />

E<br />

t<br />

e<br />

t 1<br />

Prendendo i dati <strong>del</strong> nostro esempio, e ponendo it = it* = 10%, si scopre che per<br />

mantenere i due tassi d’interesse al medesimo l<strong>iv</strong>ello nonostante la svalutazione<br />

attesa <strong>del</strong>l’euro, l’aliquota <strong>del</strong>la Tobin tax dovrebbe essere pari a t = 0,075 =<br />

7,5%.<br />

L’istituzione <strong>di</strong> una Tobin tax a l<strong>iv</strong>ello internazionale è stata caldeggiata da molti,<br />

sia in ambito accademico che politico. Essa tuttavia è stata pure da più parti<br />

contestata. Gli economisti <strong>di</strong> ispirazione liberista l’hanno sempre considerata<br />

un’interferenza rispetto al libero operare <strong>del</strong>le forze <strong>del</strong> mercato. Gli stu<strong>di</strong>osi <strong>di</strong><br />

orientamento critico, ispirati dalle opere <strong>di</strong> pensatori eterodossi come Marx e<br />

Keynes, ritengono invece che la Tobin tax rappresenti uno strumento troppo<br />

debole per contrastare i continui movimenti <strong>di</strong> capitale sui mercati mon<strong>di</strong>ali.<br />

Secondo questa visione, per liberare la politica monetaria dalla minaccia <strong>del</strong>le<br />

fughe non basta semplicemente tassare gli spostamenti <strong>di</strong> capitali. Bisognerebbe<br />

piuttosto sottoporli a ben più rigi<strong>di</strong> vincoli, e al limite vietarli <strong>del</strong> tutto quando si<br />

tratta <strong>di</strong> spostamenti a breve termine, come <strong>del</strong> resto già avven<strong>iv</strong>a all’epoca dei<br />

ferrei controlli vigenti nel dopoguerra.<br />

Tra le ragioni per cui gli economisti critici ritengono che gli spostamenti <strong>di</strong><br />

capitali andrebbero fortemente vincolati o ad<strong>di</strong>rittura vietati, vi è il fatto che tali<br />

spostamenti non solo creano problemi alla politica monetaria, ma <strong>di</strong> fatto<br />

determinano effetti ben più gravi sull’intera economia mon<strong>di</strong>ale. Infatti, se i<br />

capitali possono scorazzare liberamente da un paese all’altro, è chiaro che essi si<br />

muoveranno verso le nazioni che offrono loro i massimi vantaggi economici. Ed è<br />

chiaro che i vantaggi economici potranno essere <strong>di</strong> varia natura. In con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong><br />

libera circolazione dei capitali, infatti, i vari paesi non si limitano semplicemente a<br />

tenere i tassi d’interesse alti in modo da evitare fughe <strong>di</strong> capitale, ma si faranno<br />

24


concorrenza tra loro su molti altri piani, e soprattutto sulla <strong>di</strong>sciplina fiscale,<br />

finanziaria e <strong>del</strong> lavoro, in modo da attirare la massima quantità <strong>di</strong> capitale. I<br />

governi dei vari paesi ad esempio ridurranno le spese sociali in modo da ridurre la<br />

tassazione, adotteranno aliquote fiscali particolarmente basse sui possessori <strong>di</strong><br />

capitale, garantiranno il segreto bancario a tutela dei gran<strong>di</strong> capitali, introdurranno<br />

norme <strong>di</strong> sicurezza sul lavoro più blande in modo da ridurre i costi per le imprese,<br />

imporranno forti vincoli al <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> sciopero e alle organizzazioni sindacali in<br />

modo da contenere le r<strong>iv</strong>en<strong>di</strong>cazioni salariali, eccetera, e tutto questo per indurre i<br />

proprietari <strong>del</strong> capitale a investire dalle loro parti. Tutti questi provve<strong>di</strong>menti<br />

ovviamente faranno aumentare i tassi d’interesse e più in generale i margini <strong>di</strong><br />

profitto a l<strong>iv</strong>ello globale, mentre probabilmente comporteranno una riduzione dei<br />

salari e <strong>del</strong>le spese sociali. Insomma, secondo gli economisti critici la libertà <strong>di</strong><br />

movimento dei capitali induce i vari paesi ad adottare politiche orientate a<br />

favore dei proprietari <strong>di</strong> capitale, e spesso a detrimento degli interessi dei<br />

lavoratori. Anche per questo alcuni hanno sostenuto che la globalizzazione dei<br />

mercati ha determinato una specie <strong>di</strong> “<strong>di</strong>ttatura <strong>del</strong> capitale finanziario”, poiché gli<br />

interessi <strong>del</strong> capitale incidono più fortemente che in passato sulle decisioni<br />

politiche. In quest’ottica, dunque, i controlli sui movimenti <strong>di</strong> capitale vengono<br />

incoraggiati anche allo scopo <strong>di</strong> ri<strong>di</strong>mensionare l’influenza sulle decisioni <strong>di</strong><br />

governo esercitata in questi anni dalle lobbies finanziarie.<br />

4.8 Due interpretazioni alternat<strong>iv</strong>e <strong>del</strong>la crisi<br />

Giunti al termine <strong>di</strong> queste <strong><strong>di</strong>spense</strong>, è opportuno de<strong>di</strong>care una riflessione<br />

conclus<strong>iv</strong>a al tema attualissimo <strong>del</strong>la crisi mon<strong>di</strong>ale in corso. Siamo <strong>di</strong> fronte a<br />

una recessione estremamente grave, forse la più pesante dai tempi <strong>del</strong> dopoguerra.<br />

La produzione nazionale è in netto calo in quasi tutti i paesi avanzati, e la<br />

<strong>di</strong>soccupazione tende ogni giorno ad aumentare. I governi dei vari paesi stanno<br />

adottando vari provve<strong>di</strong>menti per tentare <strong>di</strong> superare o almeno arginare la crisi in<br />

corso. Fino a questo momento, però, non si può <strong>di</strong>re che le politiche adottate<br />

abbiano sod<strong>di</strong>sfatto le attese. Allo stato dei fatti, non sembra probabile una rapida<br />

uscita dalla recessione.<br />

Gli economisti si sono att<strong>iv</strong>amente impegnati in questi mesi per tentare <strong>di</strong> fornire<br />

una valida interpretazione <strong>del</strong>le cause <strong>del</strong>la crisi. Come spesso accade in campo<br />

economico, le conclusioni degli stu<strong>di</strong>osi non sono state un<strong>iv</strong>oche. Pertanto, qui <strong>di</strong><br />

seguito ci soffermeremo su due spiegazioni alternat<strong>iv</strong>e <strong>del</strong>la recessione. La prima<br />

può essere definita l’interpretazione “finanziaria” <strong>del</strong>la crisi, ed è sostenuta<br />

25


dagli esponenti <strong>del</strong>la scuola neoclassica dominante, come Alesina, Giavazzi e in<br />

parte dallo stesso Blanchard. La seconda interpretazione suggerisce invece che<br />

questa può esser definita “la crisi <strong>di</strong> un mondo <strong>di</strong> bassi salari”, le cui cause<br />

vanno quin<strong>di</strong> ricercate in fenomeni strutturali e sociali e non semplicemente in<br />

problemi <strong>di</strong> tipo monetario e finanziario. Come vedremo, dal punto <strong>di</strong> vista<br />

analitico l’interpretazione finanziaria si avvale <strong>del</strong> moltiplicatore <strong>del</strong>la base<br />

monetaria, mentre l’interpretazione da bassi salari si avvale <strong>del</strong> moltiplicatore<br />

<strong>del</strong>la spesa autonoma.<br />

L’interpretazione “finanziaria” <strong>del</strong>la crisi<br />

Iniziamo col descr<strong>iv</strong>ere l’interpretazione finanziaria <strong>del</strong>la crisi. Si tratta in<br />

effetti <strong>del</strong>la lettura che finora ha prevalso sui me<strong>di</strong>a e a l<strong>iv</strong>ello politico. L’idea <strong>di</strong><br />

fondo è che questa deve essere intesa come una crisi nata in ambito finanziario,<br />

che solo in seguito si è propagata nell’economia reale. Secondo questa visione,<br />

tutto deve esser fatto risalire a un catt<strong>iv</strong>o comportamento <strong>del</strong>le banche pr<strong>iv</strong>ate,<br />

specialmente americane. Si parte dal fatto che nel corso <strong>di</strong> questi anni - soprattutto<br />

negli USA ma anche in Gran Bretagna e in altri paesi d’Europa - le banche si sono<br />

largamente indebitate e hanno utilizzato le risorse ottenute in prestito per<br />

concedere mutui a soggetti <strong>di</strong>fficilmente solvibili. I meccanismi <strong>di</strong> indebitamento<br />

erano molto sofisticati, ma quel che conta è che alla lunga essi non hanno retto.<br />

Infatti, le banche a un certo punto si sono ritrovate con parecchi mutuatari<br />

insolventi, e quin<strong>di</strong> a loro volta non sono state in grado <strong>di</strong> onorare i loro debiti. In<br />

tutto il mondo si è quin<strong>di</strong> <strong>di</strong>ffuso un clima <strong>di</strong> incertezza attorno alla tenuta <strong>del</strong>le<br />

banche e al pericolo che molte <strong>di</strong> esse potessero fallire. Di conseguenza, ogni<br />

banca è stata indotta ad aumentare le proprie riserve <strong>di</strong> moneta per fare fronte a<br />

eventuali richieste <strong>di</strong> rimborso. Il risultato è stato quello che in gergo si definisce<br />

un “cre<strong>di</strong>t crunch”, ossia un razionamento <strong>del</strong> cre<strong>di</strong>to: anziché prestare denaro, le<br />

banche hanno preferito accumularlo per evitare <strong>di</strong> risultare insolventi <strong>di</strong> fronte ai<br />

loro cre<strong>di</strong>tori. Ma il blocco dei prestiti dopo un po’ ha determinato la caduta degli<br />

investimenti, <strong>del</strong>la produzione e <strong>del</strong>l’occupazione. E la crisi si è quin<strong>di</strong> propagata<br />

dall’ambito finanziario a quello reale.<br />

Esaminiamo analiticamente l’interpretazione finanziaria appena descritta. A<br />

questo scopo, occorre innanzitutto riprendere l’equazione <strong>del</strong> moltiplicatore<br />

monetario, che Blanchard descr<strong>iv</strong>e nel cap. 4.<br />

Per arr<strong>iv</strong>are al moltiplicatore monetario, occorre seguire questa procedura. Noi<br />

sappiamo che la domanda <strong>di</strong> moneta è la quantità <strong>di</strong> moneta che i risparmiatori<br />

desiderano detenere, ed è data da Md. Sappiamo pure che questa domanda<br />

compless<strong>iv</strong>a <strong>di</strong> moneta si ripartisce in depositi D = (1-c)Md e in circolante CU =<br />

26


cMd, dove c non è altro che la percentuale <strong>di</strong> moneta che le persone desiderano<br />

tenere in tasca, sotto forma <strong>di</strong> circolante. Inoltre, sappiamo che il denaro che gli<br />

ind<strong>iv</strong>idui hanno depositato presso le banche pr<strong>iv</strong>ate verrà in larga parte impiegato<br />

da queste ultime per effettuare prestiti. Tuttavia, per sicurezza, le banche terranno<br />

parte <strong>del</strong> denaro depositato in riserva, nelle loro casse, a scopo precauzionale.<br />

Definendo le riserve con R e l’aliquota <strong>di</strong> riserva desiderata dalle banche con θ<br />

possiamo scr<strong>iv</strong>ere che R = θD e quin<strong>di</strong> che R = θ(1-c)Md. A questo punto,<br />

possiamo definire la base monetaria con il termine H: questa non è altro che la<br />

quantità <strong>di</strong> banconote emesse dalla banca centrale. Ebbene, è evidente che queste<br />

banconote, una volta emesse, potranno fisicamente trovarsi solo in due luoghi: o<br />

nelle tasche degli ind<strong>iv</strong>idui, sotto forma <strong>di</strong> circolante CU, oppure nelle riserve R<br />

<strong>del</strong>le banche. Per cui è ovvio che H = CU + R. A questo punto basta effettuare le<br />

sostituzioni per ottenere che la domanda compless<strong>iv</strong>a <strong>di</strong> moneta è data da:<br />

M d<br />

1<br />

<br />

H<br />

[ c <br />

( 1<br />

c)]<br />

Ma dato che in equilibrio la domanda totale <strong>di</strong> moneta è sempre uguale all’offerta<br />

totale <strong>di</strong> moneta, allora Md = M e quin<strong>di</strong> si può scr<strong>iv</strong>ere che:<br />

1<br />

M <br />

H<br />

[ c <br />

( 1<br />

c)]<br />

La frazione è detta moltiplicatore <strong>del</strong>la base monetaria, o semplicemente<br />

moltiplicatore monetario. Dunque l’offerta compless<strong>iv</strong>a <strong>di</strong> moneta M è data dalla<br />

base monetaria H moltiplicata per il cosiddetto moltiplicatore.<br />

L’ultima equazione mette in luce l’importanza <strong>del</strong>le banche pr<strong>iv</strong>ate all’interno <strong>del</strong><br />

sistema economico. Infatti, essendo solitamente c e θ minori <strong>di</strong> uno, allora il<br />

denominatore <strong>del</strong>la frazione è minore <strong>di</strong> uno, e quin<strong>di</strong> la frazione è maggiore <strong>di</strong><br />

uno. Ecco perché la frazione è detta moltiplicatore <strong>del</strong>la base monetaria: per una<br />

data base H emessa dalla banca centrale, l’offerta <strong>di</strong> moneta M compless<strong>iv</strong>a sarà<br />

un multiplo <strong>di</strong> essa.<br />

La spiegazione economica <strong>di</strong> questo effetto moltiplicat<strong>iv</strong>o è semplice: il<br />

moltiplicatore esprime la capacità <strong>del</strong>le banche <strong>di</strong> alimentare la circolazione <strong>del</strong>la<br />

moneta. E’ chiaro infatti che se dei risparmiatori depositano dei sol<strong>di</strong> in banca,<br />

questa non terrà il denaro giacente in cassa ma tenderà in gran parte a prestarlo, in<br />

modo da lucrarci un interesse. In questo modo però viene att<strong>iv</strong>ato un meccanismo<br />

che tende ad auto-alimentarsi. Infatti, chi riceve i sol<strong>di</strong> in prestito li spenderà per<br />

27


effettuare acquisti <strong>di</strong> merci, e chi effettuerà le ven<strong>di</strong>te <strong>di</strong> tali merci a sua volta<br />

depositerà in un’altra banca i sol<strong>di</strong> guadagnati, la quale a sua volta effettuerà altri<br />

prestiti. Si sviluppa così un meccanismo depositi-prestiti-depositi-prestiti che crea<br />

più moneta totale M rispetto alla base H iniziale. Si tratta <strong>di</strong> un meccanismo<br />

potentissimo poiché favorisce lo sviluppo <strong>del</strong> cre<strong>di</strong>to e <strong>del</strong>l’economia, ma al<br />

tempo stesso è anche un meccanismo fragile, poiché si basa tutto sulla fiducia<br />

<strong>del</strong>la clientela verso le banche. Infatti, il meccanismo descritto chiarisce che le<br />

banche tengono in cassa un ammontare <strong>di</strong> banconote sufficiente per far fronte alle<br />

normali richieste <strong>di</strong> contante che perio<strong>di</strong>camente i clienti effettuano, agli sportelli<br />

o ancor più <strong>di</strong> frequente tramite il bancomat. Se però crolla la fiducia il sistema<br />

bancario va in crisi. Ad esempio, se tra i depositanti si <strong>di</strong>ffondono dubbi sulla<br />

solvibilità <strong>del</strong>le banche, questi potrebbero decidere all’improvviso <strong>di</strong> andare a<br />

ritirare in massa i loro sol<strong>di</strong> dai depositi. Ma in tal caso le banche inevitabilmente<br />

fallirebbero, dal momento che esse prestano gran parte dei sol<strong>di</strong> ricevuti e quin<strong>di</strong><br />

non hanno mai in cassa una quantità <strong>di</strong> riserve monetarie sufficienti per<br />

fronteggiare una corsa generalizzata agli sportelli da parte <strong>di</strong> tutti i clienti.<br />

Ecco allora che nel momento in cui la fiducia viene meno, accade che gli<br />

ind<strong>iv</strong>idui tendono ad aumentare la percentuale <strong>di</strong> moneta c che preferiscono tenere<br />

in tasca anziché nei depositi, e al tempo stesso le banche tendono ad aumentare<br />

l’aliquota <strong>di</strong> riserva θ per cautelarsi contro eventuali richieste <strong>di</strong> rimborso. Il<br />

risultato <strong>di</strong> questo doppio comportamento è che il denominatore <strong>del</strong>la frazione<br />

aumenta, e la quantità totale <strong>di</strong> moneta M si riduce. Verifichiamo:<br />

ESEMPIO N. 10: un clima <strong>di</strong> sfiducia sulla solvibilità <strong>del</strong>le banche riduce il<br />

moltiplicatore monetario. Assumiamo che la base monetaria emessa dalla banca<br />

centrale americana sia pari ad H = 1000 miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> dollari. Assumiamo che<br />

inizialmente c = 0,2 e θ = 0,1. Il moltiplicatore monetario sarà dato da:<br />

[ 0,<br />

2<br />

<br />

1<br />

0,<br />

1(<br />

1<br />

<br />

0,<br />

2)]<br />

<br />

1<br />

0,<br />

28<br />

<br />

3,<br />

57<br />

e quin<strong>di</strong> la quantità compless<strong>iv</strong>a <strong>di</strong> moneta sarà M = 3,57 x H = 3,57 x 1000 =<br />

3570 miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> dollari. Adesso però consideriamo quel che è avvenuto nei mesi<br />

scorsi negli Stati Uniti e poi nel resto <strong>del</strong> mondo. L’eccesso <strong>di</strong> indebitamento <strong>del</strong>le<br />

banche ha sollevato dubbi sulla loro capacità <strong>di</strong> onorare i prestiti. Di conseguenza<br />

i clienti sospettosi hanno aumentato la propensione al circolante. A loro volta, le<br />

banche per cautelarsi hanno reagito con un aumento <strong>del</strong>l’aliquota <strong>di</strong> riserva.<br />

Possiamo ad esempio supporre che i nuovi valori siano d<strong>iv</strong>entati: c = 0,3 e θ = 0,4.<br />

Il risultato è che il moltiplicatore monetario si è ridotto:<br />

28


[ 0,<br />

3<br />

<br />

1<br />

0,<br />

4(<br />

1<br />

<br />

0,<br />

3)]<br />

<br />

1<br />

0,<br />

58<br />

1,<br />

72<br />

e la quantità totale <strong>di</strong> moneta <strong>di</strong> conseguenza è caduta, d<strong>iv</strong>entando pari a M = 1,72<br />

x 1000 = 1720 miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> dollari. Dal crollo <strong>del</strong>la moneta in circolazione è poi<br />

scaturito tutto il resto: un aumento dei tassi d’interesse, una riduzione dei prestiti<br />

bancari, una caduta degli investimenti, <strong>del</strong>la domanda, e quin<strong>di</strong> <strong>del</strong>la produzione e<br />

<strong>del</strong>l’occupazione.<br />

Si noti ancora una cosa. Se al limite la propensione dei clienti a detenere<br />

circolante d<strong>iv</strong>entasse pari a c = 1 (cioè i clienti ritirano il 100% dei depositi per<br />

tenere tutti i sol<strong>di</strong> in tasca), allora è facile verificare che [c + θ(1 – c)] = 1, e<br />

quin<strong>di</strong> tutto il moltiplicatore monetario d<strong>iv</strong>enterebbe anch’esso pari a uno, da cui<br />

M = H. La ragione è semplice: in una situazione estrema come questa (in cui i<br />

clienti preferiscono tenere tutti i sol<strong>di</strong> “sotto il materasso”, come si usa <strong>di</strong>re) le<br />

banche scomparirebbero completamente, e quin<strong>di</strong> l’effetto moltiplicat<strong>iv</strong>o <strong>del</strong>la<br />

base monetaria si annullerebbe.<br />

Stando dunque alla interpretazione finanziaria descritta, la crisi si è sviluppata<br />

secondo questo schema: un eccesso <strong>di</strong> indebitamento <strong>del</strong>le banche, un clima <strong>di</strong><br />

sfiducia sulla loro solvibilità, un conseguente aumento <strong>del</strong>la propensione al<br />

circolante da parte dei clienti e <strong>del</strong>l’aliquota <strong>di</strong> riserva da parte <strong>del</strong>le banche, un<br />

conseguente crollo <strong>del</strong>la quantità <strong>di</strong> moneta, e quin<strong>di</strong> un aumento dei tassi<br />

d’interesse, una caduta dei prestiti, degli investimenti, <strong>del</strong>la domanda e<br />

<strong>del</strong>l’economia nel suo complesso. Stando ad alcuni economisti <strong>di</strong> orientamento<br />

liberista, sia la Grande Crisi <strong>del</strong> 1929 sia la crisi attuale possono in buona misura<br />

essere spiegate alla luce <strong>del</strong>la sequenza descritta. Giavazzi (che cura l’e<strong>di</strong>zione<br />

italiana <strong>del</strong> libro <strong>di</strong> Blanchard) e in parte lo stesso Blanchard sembrano aderire a<br />

una interpretazione <strong>del</strong> genere (per un approfon<strong>di</strong>mento, si veda il paragrafo sulla<br />

crisi che si trova nel cap. I <strong>del</strong> <strong>manuale</strong> <strong>di</strong> Blanchard, ma che è stato scritto dagli<br />

economisti italiani Alesina e Giavazzi).<br />

Da questo tipo <strong>di</strong> interpretazione solitamente gli economisti ortodossi traggono le<br />

seguenti conclusioni politiche: 1) per evitare il ripetersi <strong>di</strong> simili crisi è sufficiente<br />

tenere sotto maggior controllo il comportamento <strong>del</strong>le banche, e in particolare<br />

bisognerebbe introdurre <strong>del</strong>le norme che impe<strong>di</strong>scano alle banche <strong>di</strong> indebitarsi<br />

eccess<strong>iv</strong>amente per prestare denaro con troppa facilità, a favore <strong>di</strong> soggetti che<br />

<strong>di</strong>fficilmente potranno rimborsarlo; 2) il sistema dovrebbe essere in grado <strong>di</strong><br />

uscire spontaneamente dalla crisi in atto, ma al limite si può aiutare l’economia<br />

alla ripresa tramite incrementi <strong>del</strong>la base monetaria che compensino la riduzione<br />

29


<strong>del</strong> moltiplicatore monetario causata dal clima <strong>di</strong> sfiducia. Insomma, stando alla<br />

interpretazione finanziaria <strong>del</strong>la crisi, basterà un po’ <strong>di</strong> <strong>di</strong>sciplina finanziaria in<br />

più nella erogazione dei cre<strong>di</strong>ti, e magari una temporanea maggiore emissione <strong>di</strong><br />

base monetaria, e pian piano tutto dovrebbe rimettersi a posto.<br />

In effetti fino a questo momento le autorità <strong>di</strong> governo dei vari paesi hanno aderito<br />

a questo tipo <strong>di</strong> interpretazione <strong>del</strong>la crisi, e hanno adottato misure sotto vari<br />

aspetti ispirate alle conclusioni che abbiamo elencato. Le banche centrali hanno<br />

aumentato <strong>di</strong> molto la base monetaria, ed è stato avviato un processo <strong>di</strong> riforma<br />

<strong>del</strong>la regolamentazione bancaria. Il problema è che tali misure non sembrano<br />

avere sortito effetti significat<strong>iv</strong>i: finora infatti la crisi non sembra essersi attenuata.<br />

Forse allora è il caso <strong>di</strong> ricercare nuove spiegazioni e nuove soluzioni.<br />

La crisi <strong>di</strong> un mondo <strong>di</strong> bassi salari<br />

Alcuni economisti appartenenti alle scuole <strong>di</strong> pensiero critico ritengono che<br />

l’interpretazione finanziaria <strong>del</strong>la crisi presenti alcuni elementi <strong>di</strong> verità ma sia<br />

anche troppo superficiale. Per ind<strong>iv</strong>iduare allora le cause <strong>di</strong> fondo <strong>del</strong>la crisi, essi<br />

propongono la seguente interpretazione alternat<strong>iv</strong>a. La crisi attuale rappresenta<br />

l’esito <strong>del</strong>le politiche liberiste che sono state adottate nel corso <strong>del</strong>l’ultimo<br />

trentennio. Per molti anni abbiamo assistito in tutto il mondo a un vasto processo<br />

<strong>di</strong> liberalizzazione e <strong>di</strong> deregolamentazione dei mercati: mercati finanziari,<br />

mercati <strong>del</strong>le merci e soprattutto mercato <strong>del</strong> lavoro. Queste liberalizzazioni e<br />

deregolamentazioni hanno aumentato la libertà <strong>di</strong> azione e <strong>di</strong> movimento <strong>del</strong><br />

capitale, e hanno invece ridotto le tutele legali e contrattuali dei lavoratori. Di<br />

conseguenza, i possessori <strong>di</strong> capitale si sono rafforzati molto mentre i lavoratori e<br />

i loro sindacati si sono indeboliti.<br />

Il mutamento dei rapporti <strong>di</strong> forza tra lavoro e capitale ha fatto sì che la<br />

<strong>di</strong>stribuzione <strong>del</strong> red<strong>di</strong>to si spostasse a favore <strong>di</strong> quest’ultimo. Infatti, grazie al<br />

progresso tecnico e all’intensificazione dei ritmi <strong>di</strong> lavoro, abbiamo assistito in<br />

tutto il mondo a un significat<strong>iv</strong>o aumento <strong>del</strong>la produtt<strong>iv</strong>ità oraria <strong>del</strong> lavoro A. A<br />

questo incremento, però, non ha fatto seguito un aumento equ<strong>iv</strong>alente <strong>del</strong> salario<br />

reale orario W/P. Gli incrementi <strong>di</strong> produtt<strong>iv</strong>ità dei lavoratori sono stati cioè in<br />

gran parte assorbiti dal margine <strong>di</strong> profitto µ. Infatti noi sappiamo che:<br />

W<br />

P ( 1<br />

)<br />

A<br />

da cui:<br />

30


W<br />

P<br />

A<br />

<br />

1<br />

<br />

Che può anche essere espressa in termini ribaltati:<br />

A<br />

1<br />

W / P<br />

E’ chiaro allora che se la produtt<strong>iv</strong>ità A aumenta ma W/P resta pressoché<br />

invariato, tutto l’incremento <strong>di</strong> produtt<strong>iv</strong>ità andrà a beneficio <strong>del</strong> mark-up µ.<br />

Siamo <strong>di</strong> fronte insomma a un mondo <strong>di</strong> bassi salari. Si tratta <strong>di</strong> un mondo in cui<br />

il l<strong>iv</strong>ello dei salari reali non <strong>di</strong>minuisce necessariamente. Tuttavia, è un mondo in<br />

cui il salario reale arranca mentre il margine <strong>di</strong> profitto dei proprietari <strong>del</strong> capitale<br />

aumenta continuamente. I capitalisti godono in via pressoché esclus<strong>iv</strong>a <strong>del</strong><br />

progresso tecnico e dei maggiori sforzi dei lavoratori.<br />

Ma per quale mot<strong>iv</strong>o questo mondo <strong>di</strong> bassi salari dovrebbe dare luogo a una<br />

crisi? La ragione è questa: se la produtt<strong>iv</strong>ità <strong>del</strong> lavoro aumenta ma i salari<br />

aumentano meno o ad<strong>di</strong>rittura restano al palo, ciò significa che la capacità<br />

produtt<strong>iv</strong>a dei lavoratori cresce <strong>di</strong> continuo mentre la loro capacità <strong>di</strong> spesa<br />

non aumenta. Pertanto, ci troveremo <strong>di</strong> fronte a un calo <strong>del</strong>la domanda <strong>di</strong> merci,<br />

e quin<strong>di</strong> anche <strong>del</strong>la produzione e <strong>del</strong>l’occupazione.<br />

Per afferrare analiticamente quanto detto, dobbiamo riprendere il moltiplicatore<br />

<strong>del</strong>la spesa autonoma (che Blanchard descr<strong>iv</strong>e nel cap. III) e apportare ad esso<br />

alcune mo<strong>di</strong>fiche.<br />

Innanzitutto ricor<strong>di</strong>amo che l’equazione <strong>di</strong> equilibrio tra produzione e domanda<br />

aggregata è data da Y = C + I + G e che il consumo è dato da C = c0 + c (Y – T).<br />

La produzione aumenterà o <strong>di</strong>minuirà fino ad eguagliare la spesa aggregata.<br />

Inoltre teniamo presente che il valore <strong>del</strong>la produzione venduta verrà <strong>di</strong>stribuito<br />

sotto forma <strong>di</strong> red<strong>di</strong>to tra i capitalisti proprietari <strong>del</strong>le imprese e i lavoratori.<br />

Ricor<strong>di</strong>amo infatti che Y corrisponde non solo alla produzione, ma anche al<br />

red<strong>di</strong>to <strong>di</strong>stribuito ai capitalisti e ai lavoratori che l’hanno realizzata.<br />

Esprimendo il tutto in termini monetari anziché reali, possiamo quin<strong>di</strong> scr<strong>iv</strong>ere<br />

che i ricavi PY der<strong>iv</strong>anti dalle ven<strong>di</strong>te <strong>di</strong> merci saranno <strong>di</strong>stribuiti ai lavoratori<br />

nell’ammontare WN che corrisponde al monte salari compless<strong>iv</strong>o, e ai capitalisti<br />

nell’ammontare µWN che corrisponde ai profitti calcolati come percentuale <strong>del</strong><br />

monte salari. Dunque possiamo scr<strong>iv</strong>ere che PY = (1 + µ)WN. Per<br />

tornare poi a una espressione in termini reali, basta d<strong>iv</strong>idere tutto per P:<br />

31


W<br />

Y ( 1<br />

)<br />

P<br />

N<br />

Questa equazione sembra una novità, ma se la si osserva con attenzione si scoprirà<br />

che essa è <strong>del</strong> tutto equ<strong>iv</strong>alente alla equazione dei prezzi, che conosciamo bene e<br />

che ci <strong>di</strong>ce che: P = (1 + µ)W/A. 4<br />

Fin qui nulla <strong>di</strong> particolarmente nuovo rispetto a quanto già stu<strong>di</strong>ato nei cap. III e<br />

VI <strong>di</strong> Blanchard. Ora però introduciamo una novità. Assumiamo infatti che i<br />

lavoratori e i capitalisti abbiano d<strong>iv</strong>erse abitu<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> consumo: per ogni euro<br />

aggiunt<strong>iv</strong>o <strong>di</strong>sponibile sottoforma <strong>di</strong> red<strong>di</strong>to, supponiamo che i lavoratori<br />

tenderanno a consumarne una percentuale maggiore rispetto ai capitalisti, che<br />

invece possono più facilmente permettersi <strong>di</strong> risparmiare e <strong>di</strong> accumulare. Questa<br />

ipotesi sembra cond<strong>iv</strong>isibile. Infatti, se il red<strong>di</strong>to <strong>di</strong> un operaio aumenta <strong>di</strong> 100<br />

euro, è probabile che questi spenderà buona parte <strong>di</strong> questi euro aggiunt<strong>iv</strong>i.<br />

Invece, se il red<strong>di</strong>to <strong>di</strong> un capitalista aumenta <strong>di</strong> 100 euro, essendo il suo red<strong>di</strong>to<br />

già piuttosto alto può darsi che egli nemmeno se ne accorga, ed è quin<strong>di</strong> probabile<br />

che quei 100 euro aggiunt<strong>iv</strong>i rimangano fermi in portafoglio, a rimpinguare<br />

ulteriormente i risparmi. Ciò significa che da ora in poi non avremo più una<br />

generica propensione al consumo c <strong>del</strong>la popolazione, ma avremo due d<strong>iv</strong>erse<br />

propensioni al consumo, una alta per i lavoratori cw e una bassa per i capitalisti<br />

ck, ossia cw > ck. Pertanto, ricordando che il red<strong>di</strong>to si ripartisce nel seguente<br />

modo:<br />

W<br />

Y ( 1<br />

)<br />

P<br />

N<br />

dove (W/P)N va ai lavoratori e µ(W/P)N ai capitalisti, sottraendo a questi red<strong>di</strong>ti le<br />

imposte T, e sapendo ora che questo red<strong>di</strong>to sarà consumato in mo<strong>di</strong> d<strong>iv</strong>ersi dagli<br />

uni e dagli altri, possiamo riscr<strong>iv</strong>ere una nuova equazione <strong>del</strong> consumo:<br />

W<br />

W <br />

c0<br />

cw<br />

N T c N T <br />

P P <br />

C k<br />

Per semplificare l’analisi, introduciamo ora un’ipotesi estrema, in base alla quale i<br />

capitalisti proprietari <strong>del</strong>le imprese destinano tutti i loro red<strong>di</strong>ti al risparmio e<br />

all’accumulazione e quin<strong>di</strong> non consumano alcunché, per cui la loro propensione<br />

4 Partiamo da Y=(1 + µ)WN/P. Moltiplichiamo a sinistra e a destra per P e otteniamo PY=(1 +<br />

µ)WN. D<strong>iv</strong>i<strong>di</strong>amo a sinistra e a destra per Y e otteniamo P = (1 + µ)WN/Y. Ma ricordando che Y =<br />

AN noi sappiamo che N/Y corrisponde a 1/A e quin<strong>di</strong> possiamo scr<strong>iv</strong>ere P = (1 + µ)W/A.<br />

L’equ<strong>iv</strong>alenza è <strong>di</strong>mostrata.<br />

32


al consumo d<strong>iv</strong>enta ck = 0. Di conseguenza la nuova equazione <strong>del</strong> consumo si<br />

semplifica:<br />

W<br />

<br />

c0<br />

c N T <br />

P <br />

C w<br />

A questo punto possiamo vedere in che modo questa novità incide sulla equazione<br />

<strong>di</strong> equilibrio tra produzione domanda e quin<strong>di</strong> anche sul moltiplicatore <strong>del</strong>la spesa<br />

autonoma. L’equazione <strong>di</strong> equilibrio Y = C + I + G può essere ora espressa nel<br />

seguente modo:<br />

W<br />

<br />

Y c0<br />

cw<br />

N T I G<br />

P <br />

Ricordando che la produzione è data Y = AN e quin<strong>di</strong> che N = Y/A possiamo<br />

sostituire e ottenere:<br />

W<br />

Y <br />

Y c0<br />

cw<br />

T I G<br />

P A <br />

W Y<br />

Y c0<br />

cw<br />

cwT<br />

I G<br />

P A<br />

Y c<br />

w<br />

W<br />

P<br />

Y<br />

A<br />

c<br />

1<br />

Y <br />

W 1<br />

1<br />

cw<br />

P A<br />

0<br />

I G c<br />

w<br />

T<br />

c I G c T <br />

0<br />

w<br />

Infine, ricordando che P = (1 + µ)W/A da cui (W/P)(1/A)=1/(1 + µ), possiamo<br />

sostituire e scr<strong>iv</strong>ere:<br />

( 1'<br />

)<br />

1<br />

1<br />

1<br />

cw<br />

1<br />

<br />

c I G c T <br />

Y 0<br />

w<br />

Questa è la nuova equazione <strong>del</strong>la produzione <strong>di</strong> equilibrio. Il termine tra<br />

parentesi rappresenta la spesa autonoma, e la frazione fuori parentesi in<strong>di</strong>ca il<br />

moltiplicatore <strong>del</strong>la spesa autonoma. Va notato che siamo <strong>di</strong> fronte a un nuovo<br />

33


moltiplicatore <strong>del</strong>la spesa autonoma. La caratteristica peculiare <strong>di</strong> questo nuovo<br />

moltiplicatore è che esso <strong>di</strong>pende anche dal margine <strong>di</strong> profitto µ e quin<strong>di</strong> dalla<br />

<strong>di</strong>stribuzione <strong>del</strong> red<strong>di</strong>to tra profitti e salari. Supponiamo ad esempio che i<br />

capitalisti godano <strong>di</strong> una posizione <strong>di</strong> forza contrattuale rispetto ai lavoratori, e<br />

quin<strong>di</strong> che gli incrementi <strong>di</strong> produtt<strong>iv</strong>ità <strong>del</strong> lavoro siano interamente assorbiti<br />

dall’incremento <strong>del</strong> mark-up µ. E’ facile notare che l’aumento <strong>di</strong> µ provoca una<br />

riduzione <strong>del</strong> termine cw (1/(1 + µ)), un conseguente aumento <strong>del</strong> denominatore 1<br />

- cw (1/(1 + µ)), ed infine una riduzione <strong>del</strong>la frazione rappresentat<strong>iv</strong>a <strong>del</strong><br />

moltiplicatore:<br />

se <br />

1<br />

1<br />

1<br />

cw<br />

1<br />

<br />

<br />

E’ chiaro che, a parità <strong>di</strong> spesa autonoma, la riduzione <strong>del</strong> moltiplicatore farà<br />

cadere la produzione Y e quin<strong>di</strong> anche l’occupazione. Sul piano economico questa<br />

sequenza si spiega abbastanza semplicemente. Ricor<strong>di</strong>amo infatti la nostra ipotesi<br />

sulle abitu<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> consumo: mentre i lavoratori hanno una elevata propensione a<br />

consumare i loro red<strong>di</strong>ti, i capitalisti hanno una propensione al consumo minore e<br />

al limite nulla. Pertanto, se il mark-up aumenta, si verificherà uno spostamento <strong>del</strong><br />

red<strong>di</strong>to a favore dei capitalisti e a danno dei lavoratori. Ma dato che i capitalisti<br />

hanno una minor propensione a consumare, accadrà che una quota maggiore <strong>del</strong><br />

red<strong>di</strong>to resterà giacente nei portafogli anziché essere spesa. Ciò provocherà una<br />

riduzione <strong>del</strong> moltiplicatore e quin<strong>di</strong> <strong>del</strong>la produzione e <strong>del</strong>l’occupazione. Il<br />

mondo <strong>di</strong> bassi salari tende dunque spontaneamente verso la crisi.<br />

ESEMPIO N. 11: l’aumento <strong>del</strong> margine <strong>di</strong> profitto rispetto al salario conduce a<br />

una crisi economica. Ipotizziamo che le componenti <strong>del</strong>la spesa autonoma, che la<br />

propensione al consumo dei lavoratori, che il salario reale e che la produtt<strong>iv</strong>ità <strong>del</strong><br />

lavoro <strong>del</strong> paese considerato abbiano i seguenti valori:<br />

34


c<br />

0<br />

50<br />

I 200<br />

G 100<br />

T 100<br />

c<br />

w<br />

<br />

0,<br />

5<br />

W / P 1<br />

A 1,<br />

25<br />

1/<br />

2<br />

In primo luogo possiamo calcolare il mark-up µ spettante ai capitalisti proprietari<br />

<strong>del</strong>le imprese. Infatti, sapendo che il prezzo <strong>del</strong>le merci è dato da P = (1 + µ)W/A,<br />

effettuando poche operazioni si ottiene che:<br />

A<br />

1<br />

W / P<br />

da cui si ricava che il margine <strong>di</strong> profitto è µ = (1,25/1) - 1 = 0,25 = 1/4. A questo<br />

punto possiamo sostituire tutti i valori nella equazione (1’), e otteniamo così il<br />

l<strong>iv</strong>ello <strong>di</strong> equilibrio <strong>del</strong>la produzione:<br />

1<br />

Y <br />

( 50 200 100<br />

( 1/<br />

2)<br />

100)<br />

1 1 <br />

1<br />

<br />

2 1<br />

1/<br />

4 <br />

Y<br />

<br />

( 1,<br />

66)(<br />

300)<br />

Y 498<br />

Adesso supponiamo che il progresso tecnico e l’intensificazione <strong>del</strong>lo<br />

sfruttamento facciano aumentare la produtt<strong>iv</strong>ità <strong>del</strong> lavoro, che d<strong>iv</strong>enta A = 1,5.<br />

Inoltre, supponiamo che i lavoratori siano contrattualmente deboli e quin<strong>di</strong> che<br />

non riescano a conquistare benefici dall’incremento <strong>del</strong>la loro produtt<strong>iv</strong>ità, per cui<br />

il salario reale rimane invariato a W/P = 1. Calcoliamo dunque il nuovo margine<br />

<strong>di</strong> profitto: µ = (1,5/1) - 1 = 0,5 = 1/2. A questo punto possiamo verificare in che<br />

modo questo mutamento incide sul moltiplicatore e sulla produzione. Sostituiamo<br />

i nuovi valori nella (1’):<br />

35


1<br />

Y <br />

( 50 200 100<br />

( 1/<br />

2)<br />

100)<br />

1 1 <br />

1<br />

<br />

2 1<br />

1<br />

/ 2 <br />

Y<br />

<br />

( 1,<br />

5)(<br />

300)<br />

Y 450<br />

Si vede chiaramente che la conquista da parte dei capitalisti <strong>di</strong> tutto l’incremento<br />

<strong>di</strong> produtt<strong>iv</strong>ità ha comportato un calo <strong>del</strong> moltiplicatore da 1,66 a 1,5 e una<br />

conseguente <strong>di</strong>minuzione <strong>del</strong>la domanda e <strong>del</strong>la produzione da 498 a 450.<br />

L’interpretazione <strong>del</strong>la crisi basata sui bassi salari è stata dunque confermata.<br />

Può darsi a questo punto che venga spontaneo affermare che l’aumento dei salari<br />

dovrebbe convenire a tutti. Ai lavoratori, ovviamente, ma anche ai proprietari<br />

<strong>del</strong>le imprese, che potrebbero in tal modo scongiurare la crisi economica. Questa<br />

conclusione tuttavia risulterebbe ingenua e fuorviante, per due mot<strong>iv</strong>i. In primo<br />

luogo, bisogna tener presente che i salari presentano due facce: per la singola<br />

impresa sono fonte <strong>di</strong> costi, mentre per le imprese nel loro complesso sono fonte<br />

<strong>di</strong> domanda. Ora, è chiaro che ogni impresa non potrà mai avere una visione<br />

d’insieme <strong>del</strong> problema dei salari. L’impresa sa infatti che per generare un<br />

aumento <strong>di</strong> domanda non basterebbe mai il solo aumento dei salari dei suoi<br />

lavoratori, ma ci vorrebbe un incremento generalizzato e contestuale dei salari da<br />

parte <strong>di</strong> tutte le imprese. Di conseguenza, la singola impresa è indotta sempre a<br />

vedere le retribuzioni dei lavoratori solo come dei costi. E dunque, essa tenderà<br />

sistematicamente a contenerli e a schiacciarli, senza badare al fatto che facendo<br />

così tutte le imprese, la domanda è destinata a crollare. In secondo luogo, bisogna<br />

tener presente che i capitalisti proprietari <strong>del</strong>le imprese potrebbero non avere<br />

interesse alla crescita <strong>del</strong>la produzione e <strong>del</strong>la occupazione. Del resto, come<br />

abbiamo visto nell’esempio, la crisi si verifica in concomitanza con un aumento<br />

dei margini <strong>di</strong> profitto, e quin<strong>di</strong> può ben darsi che i capitalisti siano ben <strong>di</strong>sposti a<br />

tollerare la prima pur <strong>di</strong> ottenere il secondo. Per i capitalisti potrebbe quin<strong>di</strong> essere<br />

più importante <strong>di</strong>sporre <strong>del</strong> pieno controllo dei loro capitali e dei lavoratori,<br />

rispetto alla possibilità <strong>di</strong> avere un’economia in piena espansione nella quale siano<br />

però forti anche le r<strong>iv</strong>en<strong>di</strong>cazioni dei lavoratori. In particolare, se per generare una<br />

forte crescita <strong>del</strong>la produzione occorre far crescere i salari reali e tener fermi i<br />

margini <strong>di</strong> profitto, è probabile che molti capitalisti preferiscano un’economia<br />

meno <strong>di</strong>namica, purché le richieste dei lavoratori siano tenute sotto controllo e i<br />

margini <strong>di</strong> profitto possano aumentare più facilmente.<br />

36


Queste due considerazioni ci fanno capire che: 1) il capitalismo è in primo luogo<br />

un modo <strong>di</strong> produzione scoor<strong>di</strong>nato, in cui ogni attore agisce sulla base <strong>del</strong><br />

proprio interesse specifico, che può anche entrare in contrad<strong>di</strong>zione con<br />

l’interesse collett<strong>iv</strong>o; 2) il capitalismo è un modo <strong>di</strong> produzione intrinsecamente<br />

conflittuale, in cui per i capitalisti può contare molto <strong>di</strong> più il mantenimento <strong>del</strong><br />

potere che non la crescita <strong>del</strong>la ricchezza e <strong>del</strong> benessere sociale.<br />

Tali conclusioni traggono spunto dalle opere dei gran<strong>di</strong> pensatori eterodossi, da<br />

Marx a Keynes, e in generale dai contributi degli economisti critici. Le scuole <strong>di</strong><br />

pensiero critico ci fanno quin<strong>di</strong> capire che dalla crisi <strong>di</strong> un mondo <strong>di</strong> bassi salari<br />

non si esce semplicemente invocando un aumento dei salari. E’ probabile<br />

infatti che una tale invocazione cadrà nel vuoto se il potere politico è orientato<br />

prevalentemente alla tutela degli interessi dei detentori <strong>di</strong> capitale. Perché allora si<br />

possa uscire dalla crisi <strong>di</strong> un mondo <strong>di</strong> bassi salari, è necessario introdurre dei<br />

mutamenti strutturali all’interno <strong>del</strong> sistema, come ad esempio l’incremento <strong>del</strong>le<br />

tutele legali e sindacali dei lavoratori, il controllo dei movimenti <strong>di</strong> capitale per<br />

impe<strong>di</strong>re la loro fuga, e l’intervento pubblico finalizzato alla creazione <strong>di</strong><br />

occupazione per la produzione <strong>di</strong>retta <strong>di</strong> beni collett<strong>iv</strong>i. Si tratta chiaramente <strong>di</strong><br />

interventi che permetterebbero ai lavoratori <strong>di</strong> rafforzare la loro posizione, e<br />

quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> esigere che gli incrementi <strong>di</strong> produtt<strong>iv</strong>ità si traducano in aumenti<br />

salariali. Ma più in generale tali interventi potrebbero arr<strong>iv</strong>are a mettere in<br />

<strong>di</strong>scussione lo stesso carattere capitalistico <strong>del</strong> modo <strong>di</strong> produzione. L’idea degli<br />

economisti critici, infatti, è che la crisi economica è un fenomeno connaturato<br />

al capitalismo, e che dunque non si può sperare <strong>di</strong> scongiurarla senza puntare al<br />

superamento almeno tendenziale <strong>del</strong>la organizzazione capitalistica <strong>del</strong>le relazioni<br />

economiche e sociali.<br />

37


V<br />

ANTI-BLANCHARD<br />

Sappiamo che nell’ambito <strong>del</strong>l’economia politica e <strong>del</strong>la macroeconomia si sono<br />

formate varie scuole <strong>di</strong> pensiero. Blanchard, ad esempio, appartiene alla<br />

tra<strong>di</strong>zione dominante, al mainstream che si ispira alla cosiddetta “sintesi<br />

neoclassica”. Ma esistono anche <strong>del</strong>le scuole <strong>di</strong> pensiero critico, tra le quali in<br />

questa sede ricorderemo quelle che prendono spunto più o meno <strong>di</strong>rettamente<br />

dalle opere <strong>di</strong> Karl Marx, John Maynard Keynes, Piero Sraffa e molti altri, e<br />

che risultano antagonistiche rispetto alla teoria dominante.<br />

Questa breve lettura si propone <strong>di</strong> offrire allo studente una descrizione<br />

semplificata <strong>di</strong> alcune <strong>del</strong>le obiezioni che gli economisti “critici” r<strong>iv</strong>olgono alla<br />

teoria neoclassica e alla cosiddetta “sintesi”. Queste critiche verranno esaminate<br />

facendo <strong>di</strong>retto riferimento al mo<strong>del</strong>lo contenuto nel <strong>manuale</strong> <strong>di</strong> Blanchard. Lo<br />

studente avrà così l’opportunità <strong>di</strong> comprendere che, soprattutto nel campo <strong>del</strong>la<br />

macroeconomia, è necessario tenere sempre v<strong>iv</strong>o lo spirito critico, dal momento<br />

che – a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> quanto sembra emergere dalla lettura dei tipici manuali<br />

americani - non esiste affatto una sola rappresentazione possibile <strong>del</strong>la realtà<br />

economica e sociale.<br />

La consapevolezza che esistono più mo<strong>del</strong>li economici, spesso contrapposti gli<br />

uni agli altri, ha <strong>del</strong>le importanti implicazioni non solo sul piano astratto ma anche<br />

su quello <strong>del</strong>la politica economica. Questi mo<strong>del</strong>li danno infatti luogo a<br />

interpretazioni d<strong>iv</strong>erse anche riguardo agli interventi politici che si possono<br />

realizzare in ambito economico. In particolare, noi qui soffermeremo l’attenzione<br />

su due fondamentali interrogat<strong>iv</strong>i <strong>del</strong> <strong>di</strong>battito <strong>di</strong> politica economica, sui quali i<br />

neoclassici da un lato, e gli economisti “critici” dall’altro, hanno proposto<br />

valutazioni contrastanti.<br />

Stiamo parlando essenzialmente <strong>del</strong>le seguenti questioni: 1) cosa determina il<br />

l<strong>iv</strong>ello <strong>del</strong>la produzione sociale realizzata (e quin<strong>di</strong> anche il l<strong>iv</strong>ello <strong>di</strong><br />

occupazione)? e 2) cosa determina la <strong>di</strong>stribuzione tra le classi sociali <strong>di</strong> quella<br />

produzione (vale a <strong>di</strong>re, principalmente, la <strong>di</strong>stribuzione tra i salari dei lavoratori<br />

38


e i profitti dei capitalisti proprietari <strong>del</strong>le imprese)? Noi qui ci porremmo questi<br />

interrogat<strong>iv</strong>i con riferimento ad un sistema economico capitalistico, che è quello<br />

attualmente più <strong>di</strong>ffuso nel mondo (per capitalismo si intende un sistema in cui la<br />

proprietà e/o il controllo dei mezzi <strong>di</strong> produzione spettano esclus<strong>iv</strong>amente ad una<br />

specifica classe sociale, quella dei capitalisti).<br />

Si tratta, beninteso, <strong>di</strong> questioni che investono aspetti fondamentali <strong>del</strong>la vita<br />

sociale. La <strong>di</strong>scussione sui salari, ad esempio, non solo descr<strong>iv</strong>e i termini <strong>del</strong>la<br />

contesa politica tra le classi sulla ripartizione <strong>del</strong>la produzione sociale, ma<br />

racchiude in sé anche il problema <strong>di</strong> quanto tempo de<strong>di</strong>care al lavoro e quanto allo<br />

svago, alla cura <strong>del</strong>la persona e <strong>del</strong>le relazioni affett<strong>iv</strong>e. Oppure si pensi al fatto<br />

che l’interrogat<strong>iv</strong>o sulle determinanti <strong>del</strong> l<strong>iv</strong>ello <strong>del</strong>la produzione, ossia <strong>del</strong><br />

“quanto produrre”, è anche legato alle attualissime questioni <strong>del</strong> “cosa e come<br />

produrre”, ossia alla scelta tra beni pr<strong>iv</strong>ati e beni collett<strong>iv</strong>i, nonché al conflitto tra<br />

la crescita <strong>del</strong>la produzione capitalistica e la <strong>di</strong>fesa <strong>del</strong>l’ambiente.<br />

Come vedremo, i neoclassici e Blanchard rispondono a tali questioni sostenendo<br />

che in un sistema capitalistico sia l’occupazione che i salari tendono<br />

spontaneamente ad un l<strong>iv</strong>ello <strong>di</strong> equilibrio definito “naturale”. Qualsiasi tentat<strong>iv</strong>o<br />

<strong>di</strong> accrescere l’una e gli altri attraverso pressioni <strong>di</strong> tipo politico e sociale, è<br />

destinato secondo Blanchard a r<strong>iv</strong>elarsi inutile se non ad<strong>di</strong>rittura dannoso. La<br />

morale che dunque si trae dal mo<strong>del</strong>lo neoclassico <strong>di</strong> Blanchard è questa: le<br />

uniche politiche valide sono quelle armoniche e compatibili con i l<strong>iv</strong>elli <strong>di</strong><br />

equilibrio naturale <strong>del</strong>l’occupazione e dei salari. Tentare <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficare questi<br />

l<strong>iv</strong>elli naturali è inutile e forse anche <strong>del</strong>eterio. Per questo, il mo<strong>del</strong>lo neoclassico<br />

<strong>di</strong> Blanchard viene talvolta definito “compatibilista”.<br />

Vedremo invece che, secondo gli economisti <strong>del</strong>le scuole “critiche”, in un sistema<br />

capitalistico non esiste alcun l<strong>iv</strong>ello <strong>di</strong> equilibrio “naturale” <strong>del</strong>l’occupazione e dei<br />

salari. I valori che queste variabili assumono sono piuttosto il risultato <strong>del</strong><br />

conflitto tra le classi sociali sulla determinazione <strong>del</strong> l<strong>iv</strong>ello, <strong>del</strong>la composizione e<br />

<strong>del</strong>la <strong>di</strong>stribuzione <strong>del</strong>la produzione, e più in generale sulla determinazione dei<br />

rapporti <strong>di</strong> potere, economico e politico. Secondo i “critici”, dunque, il successo o<br />

il fallimento <strong>del</strong>le pressioni politiche e sociali finalizzate ad aumentare<br />

l’occupazione e i salari non <strong>di</strong>pende affatto dalla loro compatibilità o meno con il<br />

presunto equilibrio “naturale” <strong>di</strong> cui parlano i neoclassici, ma <strong>di</strong>pende piuttosto<br />

dallo stato dei rapporti <strong>di</strong> forza tra le classi sociali, e in particolare dal conflitto tra<br />

capitalisti e lavoratori. Prendendo spunto da queste riflessioni, vedremo dunque<br />

che è possibile costruire un mo<strong>del</strong>lo alternat<strong>iv</strong>o <strong>di</strong> analisi <strong>del</strong> sistema capitalistico,<br />

un mo<strong>del</strong>lo che viene talvolta definito “conflittualista”.<br />

Soffermandoci sulle d<strong>iv</strong>erse risposte date ai due interrogat<strong>iv</strong>i suddetti, cercheremo<br />

in primo luogo <strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>re meglio le caratteristiche dei due mo<strong>del</strong>li, quello<br />

39


neoclassico-compatibilista <strong>di</strong> Blanchard e quello alternat<strong>iv</strong>o-conflittualista degli<br />

economisti critici. In seguito, ci occuperemo poi <strong>di</strong> una ulteriore critica, <strong>di</strong><br />

ispirazione marxista, che può essere r<strong>iv</strong>olta al mo<strong>del</strong>lo alternat<strong>iv</strong>o che abbiamo<br />

definito “conflittualista”. E’ bene chiarire che l’analisi marxista accetta sul piano<br />

strettamente logico l’impianto <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lo alternat<strong>iv</strong>o. I marxisti cioè<br />

cond<strong>iv</strong>idono l’idea che l’occupazione e i salari sono il risultato <strong>di</strong> un conflitto e<br />

non un dato “naturale” e ineluttabile <strong>del</strong> sistema economico. Tuttavia, essi<br />

invitano ad una lettura non ingenua <strong>di</strong> questa visione. In particolare, i marxisti<br />

rifiutano l’idea semplicistica secondo cui in un sistema capitalistico quelle due<br />

variabili possano essere accresciute ad un l<strong>iv</strong>ello tale da assicurare magari sia la<br />

piena occupazione che l’appropriazione da parte dei lavoratori <strong>del</strong>l’intera<br />

produzione sociale. Secondo i marxisti, infatti, simili obiett<strong>iv</strong>i risultano<br />

incompatibili con i rapporti <strong>di</strong> proprietà e <strong>di</strong> potere che dominano all’interno <strong>del</strong><br />

capitalismo. Per conseguirli pienamente, allora, non basta semplicemente<br />

pretendere una crescita dei salari o <strong>del</strong>la occupazione. Piuttosto, bisognerebbe<br />

puntare a superare il modo <strong>di</strong> produzione capitalistico, per pervenire a un nuovo<br />

sistema <strong>di</strong> organizzazione <strong>del</strong>le relazioni economiche e sociali.<br />

40


IL MODELLO NEOCLASSICO<br />

E “COMPATIBILISTA” DI BLANCHARD<br />

Esaminiamo in primo luogo il mo<strong>del</strong>lo <strong>di</strong> Blanchard. In questo mo<strong>del</strong>lo si parte<br />

dal mo<strong>del</strong>lo IS-LM per determinare la domanda aggregata <strong>di</strong> merci (in inglese<br />

aggregate demand, in<strong>di</strong>cata con AD). Si parte invece dal mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong> mercato <strong>del</strong><br />

lavoro per determinare l’offerta aggregata <strong>di</strong> merci (in inglese aggregate supply,<br />

in<strong>di</strong>cata con AS). Una volta note la domanda aggregata e l’offerta aggregata il<br />

mo<strong>del</strong>lo AS-AD <strong>di</strong> Blanchard è completo.<br />

mo<strong>del</strong>lo<br />

IS-LM<br />

mo<strong>del</strong>lo<br />

mercato <strong>del</strong> lavoro<br />

AD<br />

AS<br />

Fig. 1 – Come si perviene al mo<strong>del</strong>lo completo <strong>di</strong> Blanchard<br />

5.1 Dal mo<strong>del</strong>lo IS-LM alla domanda aggregata<br />

mo<strong>del</strong>lo<br />

AS-AD<br />

Come è noto il mo<strong>del</strong>lo IS-LM determina tutte le combinazioni <strong>di</strong> tasso<br />

d’interesse i e <strong>di</strong> produzione (ovvero red<strong>di</strong>to) Y che mettono in equilibrio il<br />

mercato monetario e il mercato dei beni. Da quel mo<strong>del</strong>lo scaturisce una<br />

fondamentale relazione macroeconomica che caratterizza l’analisi <strong>di</strong><br />

Blanchard: le variazioni dei prezzi provocano mutamenti <strong>del</strong>l’offerta reale <strong>di</strong><br />

moneta, il che dà luogo a mutamenti nel tasso d’interesse, negli investimenti, nella<br />

domanda aggregata, e quin<strong>di</strong> nella produzione. Ad esempio, se per qualsiasi<br />

mot<strong>iv</strong>o si verificasse un aumento dei prezzi P, questo darebbe luogo a una<br />

riduzione <strong>del</strong>l’effett<strong>iv</strong>o potere d’acquisto M/P <strong>del</strong>le scorte monetarie detenute<br />

dalla popolazione. La riduzione <strong>del</strong> valore reale <strong>del</strong>le scorte monetarie indurrà<br />

molti operatori a recuperare moneta tramite la ven<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> titoli. Ciò provocherà<br />

una riduzione <strong>del</strong> prezzo dei titoli e un conseguente aumento <strong>del</strong> tasso d’interesse<br />

41


i. A quel punto il costo dei finanziamenti bancari sarà più elevato, e le imprese<br />

ridurranno quin<strong>di</strong> la richiesta <strong>di</strong> prestiti e il relat<strong>iv</strong>o acquisto <strong>di</strong> beni<br />

d’investimento I. Ciò comporterà un calo generale <strong>di</strong> domanda aggregata Z, una<br />

caduta <strong>del</strong>la produzione Y e <strong>del</strong>l’occupazione N, e un aumento <strong>del</strong>la<br />

<strong>di</strong>soccupazione u. Possiamo cioè scr<strong>iv</strong>ere:<br />

M<br />

P i I Z Y N u <br />

P<br />

Ovviamente se i prezzi si riducono avverrà l’esatto opposto: il valore reale <strong>del</strong>le<br />

scorte monetarie aumenta, gli ind<strong>iv</strong>idui useranno le scorte eccedenti per comprare<br />

titoli, il prezzo dei titoli aumenta e il tasso <strong>di</strong> interesse <strong>di</strong>minuisce, gli investimenti<br />

vengono dunque stimolati e con essi anche la produzione. Secondo Blanchard,<br />

dunque, esiste una relazione inversa tra prezzi, domanda e produzione. Questa<br />

relazione può essere descritta dalla seguente equazione <strong>di</strong> domanda aggregata:<br />

Y f ( G,<br />

T,<br />

M / P)<br />

L’equazione ci <strong>di</strong>ce che la domanda aggregata e la relat<strong>iv</strong>a produzione <strong>di</strong>pendono<br />

da vari fattori, tra i quali spiccano la spesa pubblica, il l<strong>iv</strong>ello <strong>di</strong> tassazione e<br />

l’offerta reale <strong>di</strong> moneta, ossia l’effett<strong>iv</strong>o potere d’acquisto <strong>del</strong>le scorte liquide a<br />

<strong>di</strong>sposizione <strong>del</strong>la popolazione. L’equazione può essere rappresentata<br />

graficamente tramite la curva <strong>di</strong> domanda aggregata AD:<br />

P<br />

AD<br />

Fig. 1 – La curva <strong>di</strong> domanda aggregata AD<br />

Y<br />

42


Un movimento lungo la curva sta appunto ad in<strong>di</strong>care che, per le ragioni suddette,<br />

al <strong>di</strong>minuire dei prezzi la domanda e la produzione aumentano. Gli spostamenti<br />

<strong>del</strong>la curva vengono invece causati da mutamenti <strong>di</strong> tutte le variabili che non sono<br />

poste sugli assi. Ad esempio, un aumento <strong>del</strong>la spesa pubblica G da parte <strong>del</strong><br />

governo, oppure un aumento <strong>del</strong>l’offerta <strong>di</strong> moneta nominale M da parte <strong>del</strong>la<br />

banca centrale, comporteranno un incremento <strong>di</strong> domanda aggregata e <strong>di</strong><br />

produzione Y a parità <strong>di</strong> P, e quin<strong>di</strong> si tradurranno in uno spostamento verso<br />

l’destra <strong>del</strong>la AD. Invece, un aumento <strong>del</strong>la tassazione T comporta una riduzione<br />

<strong>di</strong> domanda e <strong>di</strong> produzione Y a parità <strong>di</strong> P, e quin<strong>di</strong> determina uno spostamento<br />

<strong>del</strong>la AD verso sinistra. Ed ancora, una ondata <strong>di</strong> pessimismo <strong>del</strong>le imprese che le<br />

induca a ridurre l’acquisto <strong>di</strong> beni d’investimento I, comporterà una riduzione<br />

<strong>del</strong>la domanda e uno spostamento verso il sinistra <strong>del</strong>la AD, e così via.<br />

5.2 Il salario monetario e il salario reale domandato dai lavoratori<br />

Una volta ottenuta la domanda aggregata, possiamo passare all’analisi <strong>del</strong> mercato<br />

<strong>del</strong> lavoro, dalla quale faremo scaturire l’offerta aggregata. Iniziamo con la<br />

determinazione <strong>del</strong> salario monetario. Blanchard lo fa der<strong>iv</strong>are dalla seguente<br />

equazione:<br />

e<br />

( 1)<br />

W P F(<br />

u,<br />

z)<br />

dove W è il salario monetario, P e il l<strong>iv</strong>ello atteso dei prezzi, u è il tasso <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>soccupazione. Riguardo al parametro z, esso comprende vari fattori in grado <strong>di</strong><br />

incidere sul salario richiesto dai lavoratori: dal l<strong>iv</strong>ello dei sussi<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>soccupazione, alle norme a tutela <strong>del</strong> lavoro, al grado <strong>di</strong> conflittualità dei<br />

sindacati. Di fatto z in<strong>di</strong>ca il grado <strong>di</strong> “conflittualità” dei lavoratori, ossia la loro<br />

minore o maggiore capacità <strong>di</strong> r<strong>iv</strong>en<strong>di</strong>care salari più alti.<br />

Si assume che la relazione tra u e W sia inversa: se la <strong>di</strong>soccupazione u si riduce,<br />

allora W aumenta. Al contrario si ipotizza che la relazione tra z e W sia <strong>di</strong>retta: se<br />

z aumenta, magari a causa <strong>di</strong> un aumento <strong>del</strong>le norme a protezione dei lavoratori<br />

contro i licenziamenti oppure per un aumento degli iscritti a sindacati molto<br />

combatt<strong>iv</strong>i, allora anche W aumenta. Se infine i lavoratori si attendono prezzi<br />

futuri P e più alti, allora chiederanno pure W più alti per compensare ed evitare<br />

quin<strong>di</strong> per<strong>di</strong>te <strong>di</strong> potere d’acquisto.<br />

Ovviamente è possibile che nel breve periodo i lavoratori commettano errori <strong>di</strong><br />

previsione. Questo significa che i prezzi P effett<strong>iv</strong>i <strong>di</strong> equilibrio possono risultare<br />

43


d<strong>iv</strong>ersi dai prezzi P e che i lavoratori si attendevano. Tuttavia è ragionevole credere<br />

che a lungo andare questi errori tendano a sparire, nel senso che col passare <strong>del</strong><br />

tempo i lavoratori dovrebbero riuscire ad adeguare le loro previsioni<br />

all’andamento effett<strong>iv</strong>o dei prezzi. Pertanto si può assumere che in una situazione<br />

<strong>di</strong> equilibrio P e = P e quin<strong>di</strong> che il salario monetario contrattato tra imprese e<br />

lavoratori sia dato da:<br />

W PF(<br />

u,<br />

z)<br />

da cui si determina facilmente il salario reale contrattato, ossia l’effett<strong>iv</strong>o potere<br />

d’acquisto dei salari monetari, che è poi la grandezza alla quale i lavoratori sono<br />

maggiormente interessati:<br />

W<br />

( 1')<br />

F(<br />

u,<br />

z)<br />

P<br />

L’equazione segnala una relazione inversa tra la <strong>di</strong>soccupazione e il salario reale<br />

contrattato: quanto maggiore è u, tanto minore sarà W/P richiesto. Un modo<br />

intuit<strong>iv</strong>o per spiegare questa relazione è <strong>di</strong> ritenere che i sindacati dei lavoratori<br />

vengano contrattualmente indeboliti da un elevato tasso <strong>di</strong> <strong>di</strong>soccupazione.<br />

Infatti, se la <strong>di</strong>soccupazione è alta, è <strong>di</strong>fficile trovare un nuovo posto <strong>di</strong> lavoro e<br />

quin<strong>di</strong> la minaccia <strong>di</strong> licenziamento induce i lavoratori a moderare le<br />

r<strong>iv</strong>en<strong>di</strong>cazioni e ad accettare salari reali più bassi. Viceversa, se la <strong>di</strong>soccupazione<br />

è bassa i lavoratori ritengono sia facile trovare un nuovo impiego, per cui temono<br />

<strong>di</strong> meno il licenziamento e quin<strong>di</strong> r<strong>iv</strong>en<strong>di</strong>cheranno salari reali più alti. Inoltre,<br />

l’equazione in<strong>di</strong>ca una relazione crescente tra il parametro z e il salario reale. Il<br />

parametro <strong>di</strong> conflittualità z è un in<strong>di</strong>catore sintetico <strong>del</strong>la situazione politicoistituzionale<br />

nella quale i lavoratori si ritrovano a contrattare. Esso è tanto più alto<br />

quanto più favorevole ai lavoratori sia la situazione. Ad esempio, se i sussi<strong>di</strong> per i<br />

<strong>di</strong>soccupati sono elevati, se le protezioni legislat<strong>iv</strong>e contro i licenziamenti<br />

ingiustificati sono forti, oppure ancora se il tasso <strong>di</strong> sindacalizzazione è elevato,<br />

tutti questi fattori tendono ad aumentare z. In questi casi infatti i lavoratori si<br />

sentiranno contrattualmente più forti e quin<strong>di</strong> aumenteranno le loro richieste<br />

salariali. Sulla base <strong>di</strong> queste spiegazioni, <strong>di</strong>remo che la (1’) è l’equazione <strong>del</strong><br />

salario reale der<strong>iv</strong>ante dalla determinazione dei salari monetari, ed in<strong>di</strong>ca il<br />

salario reale richiesto dai lavoratori.<br />

A questo punto forniamo una rappresentazione grafica <strong>del</strong>la equazione (1’). In<br />

Figura 2 abbiamo due grafici in cui poniamo il tasso <strong>di</strong> <strong>di</strong>soccupazione u sulle<br />

ascisse e il salario reale W/P sulle or<strong>di</strong>nate. La equazione (1’) è una curva<br />

decrescente, per in<strong>di</strong>care che all’aumentare <strong>del</strong>la <strong>di</strong>soccupazione i lavoratori sono<br />

indeboliti e quin<strong>di</strong> chiedono salari reali inferiori, e viceversa se la <strong>di</strong>soccupazione<br />

si riduce. A seconda che si mo<strong>di</strong>fichino variabili poste sugli assi (come u) o poste<br />

44


fuori dagli assi (come z), avremo rispett<strong>iv</strong>amente movimenti lungo la curva<br />

oppure movimenti <strong>del</strong>la curva:<br />

W/P<br />

F(u,z)<br />

u<br />

W/P<br />

F(u,z’)<br />

F(u,z)<br />

Fig. 2 – Il grafico a sinistra in<strong>di</strong>ca un movimento lungo la curva <strong>del</strong> salario reale<br />

richiesto dai lavoratori: al ridursi <strong>del</strong>la <strong>di</strong>soccupazione aumenta il salario reale<br />

richiesto. Il grafico a destra in<strong>di</strong>ca un movimento <strong>del</strong>la curva: al crescere <strong>del</strong>la<br />

conflittualità aumenta il salario reale richiesto<br />

Nel grafico <strong>di</strong> sinistra, mostriamo gli effetti <strong>di</strong> una variazione <strong>del</strong> tasso <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>soccupazione u, che dà luogo a un movimento lungo la curva: ad esempio se u<br />

<strong>di</strong>minuisce, i lavoratori si sentono più forti e quin<strong>di</strong> il salario reale W/P che essi<br />

richiedono aumenta. Nel grafico <strong>di</strong> destra mostriamo invece gli effetti <strong>di</strong> una<br />

variazione <strong>del</strong> parametro z <strong>di</strong> conflittualità dei lavoratori, che corrisponde a un<br />

movimento <strong>del</strong>la curva: ad esempio se z aumenta la curva F(u, z) <strong>del</strong> salario reale<br />

richiesto si sposta in alto. Ciò significa che i lavoratori sono più combatt<strong>iv</strong>i e<br />

quin<strong>di</strong> – a parità <strong>di</strong> <strong>di</strong>soccupazione, che per ipotesi non è variata – essi chiedono<br />

un W/P più alto.<br />

Ci sarebbe inoltre da tener presente che i mutamenti <strong>del</strong>la situazione politicoistituzionale,<br />

che comportino mutamenti <strong>del</strong> parametro <strong>di</strong> conflittualità,<br />

potrebbero incidere pure sulla pendenza <strong>del</strong>la curva <strong>del</strong> salario reale<br />

richiesto dai lavoratori. Infatti, se i lavoratori <strong>di</strong>spongono <strong>di</strong> scarse tutele<br />

normat<strong>iv</strong>e, hanno contratti precari e non sono sindacalizzati, è probabile che al<br />

<strong>di</strong>minuire <strong>del</strong>la <strong>di</strong>soccupazione essi tendano ad aumentare solo <strong>di</strong> poco il salario<br />

reale richiesto. In tal caso la curva <strong>del</strong> salario richiesto dovrebbe esser tracciata<br />

quasi piatta. Viceversa, se i lavoratori agiscono in un contesto politico e<br />

u<br />

45


normat<strong>iv</strong>o favorevole, al <strong>di</strong>minuire <strong>del</strong>la <strong>di</strong>soccupazione la spinta sul salario reale<br />

richiesto potrebbe essere forte. In tal caso, la curva va tracciata molto ripida.<br />

5.3 Il l<strong>iv</strong>ello dei prezzi e il salario reale offerto dalle imprese<br />

Passiamo ora ad esaminare il modo in cui le imprese fissano i prezzi. A questo<br />

scopo descr<strong>iv</strong>iamo innanzitutto la funzione <strong>di</strong> produzione:<br />

Y AN<br />

Questa funzione ci <strong>di</strong>ce che il l<strong>iv</strong>ello <strong>del</strong>la produzione <strong>di</strong> merci Y <strong>di</strong>pende dal<br />

numero N dei lavoratori impiegati, moltiplicato per la produtt<strong>iv</strong>ità A <strong>di</strong> ogni<br />

singolo lavoratore (vale a <strong>di</strong>re la quantità <strong>di</strong> merce che un lavoratore è in grado <strong>di</strong><br />

produrre in un determinato arco <strong>di</strong> tempo, ad esempio in un giorno oppure in un<br />

anno <strong>di</strong> lavoro). Per Blanchard il termine A è determinato dalla tecnologia<br />

<strong>di</strong>sponibile. Esso deve quin<strong>di</strong> essere considerato come un dato che non può essere<br />

soggetto a variazioni, a meno <strong>di</strong> particolari innovazioni tecniche che rendano il<br />

lavoro più produtt<strong>iv</strong>o.<br />

Si ba<strong>di</strong> che, per semplificare l’analisi, Blanchard nel suo libro suggerisce <strong>di</strong><br />

considerare A = 1, cioè ogni lavoratore produce una sola unità <strong>di</strong> merce. Questo<br />

<strong>di</strong> fatto permette a Blanchard <strong>di</strong> non visualizzare mai il termine A. In questa sede<br />

tuttavia non adottiamo la semplificazione <strong>di</strong> Blanchard. Per noi la produtt<strong>iv</strong>ità<br />

potrà assumere svariati valori, e quin<strong>di</strong> il termine A risulterà sempre presente, sia<br />

nella funzione <strong>di</strong> produzione che, come vedremo, nella equazione dei salari<br />

offerti.<br />

Dato il termine A dalla tecnologia <strong>di</strong>sponibile, si può a questo punto calcolare il<br />

costo <strong>di</strong> ogni unità <strong>di</strong> merce prodotta. Se ad esempio assumiamo che il salario <strong>di</strong><br />

ogni lavoratore sia <strong>di</strong> W = 10 euro all’ora, e che la produtt<strong>iv</strong>ità <strong>di</strong> quel lavoratore<br />

sia pari ad A = 5 unità <strong>di</strong> merce prodotte in un’ora, questo significa che il costo <strong>del</strong><br />

lavoro per ogni singola unità <strong>di</strong> merce prodotta sarà dato da W/A, che nel nostro<br />

esempio corrisponde a 2 euro per unità <strong>di</strong> merce:<br />

W/A = 10 euro all’ora/ 5 unità <strong>di</strong> merce all’ora = 2 euro per unità <strong>di</strong> merce<br />

46


Noto il costo <strong>del</strong> lavoro W/A <strong>di</strong> ogni merce, assumiamo che le imprese<br />

aggiungano ad esso un margine <strong>di</strong> profitto (detto anche mark-up) in modo da<br />

fissare il prezzo <strong>di</strong> ven<strong>di</strong>ta <strong>del</strong>le merci. Il margine <strong>di</strong> profitto serve non solo a<br />

remunerare gli impren<strong>di</strong>tori capitalisti, ma anche a sostenere i costi extra rispetto<br />

al lavoro, come ad esempio i costi <strong>del</strong>le materie prime (petrolio, ecc.). Il margine<br />

<strong>di</strong> profitto, o mark-up, lo in<strong>di</strong>chiamo con µ e quin<strong>di</strong> scr<strong>iv</strong>iamo:<br />

W<br />

( 2)<br />

P ( 1<br />

)<br />

A<br />

Il mark-up è una percentuale, che si applica al costo <strong>del</strong> lavoro. Da esso si ricava<br />

il profitto monetario effett<strong>iv</strong>o, che <strong>di</strong> fatto è la <strong>di</strong>fferenza tra prezzo e costo <strong>del</strong><br />

lavoro per unità <strong>di</strong> merce. Ricordando che nel nostro esempio il costo W/A = 2<br />

euro per unità <strong>di</strong> merce, se assumiamo che le imprese intendano guadagnare un<br />

margine <strong>di</strong> profitto <strong>del</strong> 25% su ogni unità, avremo che le imprese fissano il prezzo<br />

<strong>di</strong> ven<strong>di</strong>ta nel modo seguente: P = (1 + 0,25)W/A = (1 + 0,25)2 = 2,50 euro per<br />

unità <strong>di</strong> merce. Il profitto monetario in tal caso è pari a 50 centesimi, che è la<br />

<strong>di</strong>fferenza tra il prezzo <strong>di</strong> 2,50 meno il costo per unità <strong>di</strong> merce <strong>di</strong> 2. Se poi le<br />

imprese riuscissero ad aumentare il mark-up al 50%, allora avremmo che P = (1 +<br />

0,5)W/A = (1 + 0,5)2 = 3 euro per unità <strong>di</strong> merce. E il profitto monetario in questo<br />

caso salirebbe a 1 euro.<br />

A questo punto, tramite semplici passaggi dalla (2) si ottiene:<br />

2')<br />

W<br />

P<br />

<br />

A<br />

( 1<br />

)<br />

Questa è l’equazione <strong>del</strong> salario reale W/P determinato dal meccanismo <strong>di</strong><br />

fissazione dei prezzi da parte <strong>del</strong>le imprese. Oppure, più semplicemente,<br />

possiamo <strong>di</strong>re che la (2’) in<strong>di</strong>ca il salario reale che le imprese sono <strong>di</strong>sposte ad<br />

offrire.<br />

Come si vede, il salario reale offerto <strong>di</strong>pende esclus<strong>iv</strong>amente dalla produtt<strong>iv</strong>ità <strong>del</strong><br />

lavoro A e dal mark-up µ. Secondo Blanchard entrambe queste variabili debbono<br />

essere considerate esogene, cioè date dall’esterno <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lo. In particolare,<br />

Blanchard ritiene che la produtt<strong>iv</strong>ità sia determinata esclus<strong>iv</strong>amente dallo<br />

sviluppo <strong>del</strong> progresso tecnologico e quin<strong>di</strong> dalla migliore dotazione <strong>di</strong> impianti<br />

e attrezzature per i lavoratori (Blanchard non sembra quin<strong>di</strong> avvedersi <strong>del</strong> fatto<br />

che la produtt<strong>iv</strong>ità è anche il risultato <strong>di</strong> uno sforzo produtt<strong>iv</strong>o imposto ai<br />

lavoratori, ed è quin<strong>di</strong> una variabile politica, sulla quale imprese e sindacati<br />

spesso contrattano aspramente). Riguardo poi al mark-up, Blanchard ritiene che<br />

esso sia determinato dalla forma <strong>di</strong> mercato vigente: se sul mercato c’è molta<br />

47


concorrenza, allora il mark-up che le imprese possono guadagnare è basso; se<br />

invece c’è poca concorrenza e magari le imprese sono poche e gran<strong>di</strong>, allora<br />

probabilmente esse godranno <strong>di</strong> un certo potere <strong>di</strong> monopolio e quin<strong>di</strong> potranno<br />

fissare un margine elevato. Ovviamente, <strong>di</strong>ce Blanchard, la forma <strong>di</strong> mercato<br />

<strong>di</strong>penderà in buona misura dal tipo <strong>di</strong> legislazione anti-trust (cioè anti-monopoli)<br />

vigente. Una legge anti-trust blanda favorirà le imprese gran<strong>di</strong> e con più potere, e<br />

quin<strong>di</strong> consentirà loro <strong>di</strong> ottenere un margine alto. Viceversa, una legge anti-trust<br />

rigorosa stimolerà la concorrenza e quin<strong>di</strong> costringerà le imprese a ridurre il markup.<br />

Il fatto che il margine <strong>di</strong> profitto µ che le imprese intendono guadagnare sia<br />

assunto da Blanchard come un dato ha una importante conseguenza. Esso infatti<br />

in<strong>di</strong>ca che le imprese agiranno sul l<strong>iv</strong>ello dei prezzi al fine <strong>di</strong> ottenere esattamente<br />

il mark-up µ dato, nulla <strong>di</strong> meno e nulla <strong>di</strong> più. Pertanto, avendo l’obiett<strong>iv</strong>o <strong>di</strong><br />

lasciare invariato il loro margine, le imprese risponderanno a qualsiasi aumento<br />

dei salari monetari con un uguale aumento dei prezzi. Qualunque aumento dei<br />

salari monetari W ottenuto dai lavoratori verrà quin<strong>di</strong> sempre compensato da un<br />

uguale aumento <strong>di</strong> P, in modo rendere inefficace la r<strong>iv</strong>en<strong>di</strong>cazione e da lasciare µ<br />

invariato. Dunque nell’ottica <strong>di</strong> Blanchard non c’è nessuna possibilità che il<br />

salario reale che le imprese sono <strong>di</strong>sposte ad offrire possa essere mo<strong>di</strong>ficato dalle<br />

r<strong>iv</strong>en<strong>di</strong>cazioni dei lavoratori sul salario monetario. Visto che le imprese possono<br />

sempre scaricare gli aumenti <strong>di</strong> W sul prezzo <strong>di</strong> ven<strong>di</strong>ta <strong>del</strong>le merci P, è chiaro che<br />

il salario reale offerto rappresenta una scelta autonoma <strong>del</strong>le imprese. I lavoratori<br />

possono solo decidere <strong>di</strong> adeguarsi oppure possono decidere <strong>di</strong> non lavorare, ma<br />

non possono influenzare quella scelta.<br />

Consideriamo poi il caso <strong>di</strong> un incremento <strong>del</strong>la produtt<strong>iv</strong>ità <strong>del</strong> lavoro. Possiamo<br />

ad esempio assumere che - a seguito <strong>di</strong> un miglioramento tecnologico oppure <strong>di</strong><br />

un aumento <strong>del</strong>lo sforzo produtt<strong>iv</strong>o imposto ai lavoratori - aumenti il numero <strong>di</strong><br />

merci A che ogni singolo occupato è in grado <strong>di</strong> produrre in un anno. Ebbene,<br />

dalla (2’) si nota che un aumento <strong>di</strong> A provoca un aumento <strong>del</strong> salario reale offerto<br />

dalle imprese. Infatti, dato il salario monetario W un eventuale aumento <strong>di</strong> A<br />

determina una riduzione <strong>del</strong> costo <strong>del</strong> lavoro per unità <strong>di</strong> prodotto W/A, quin<strong>di</strong><br />

provoca una riduzione <strong>del</strong> l<strong>iv</strong>ello dei prezzi P = (1 + µ)W/A, e dunque un<br />

aumento <strong>del</strong> salario reale W/P = A/(1 + µ) offerto dalle imprese. In quest’ottica,<br />

dunque, possiamo affermare che ogni incremento <strong>di</strong> produtt<strong>iv</strong>ità andrà a beneficio<br />

esclus<strong>iv</strong>o dei lavoratori. Si noti però che questa conclusione <strong>di</strong> Blanchard <strong>di</strong>pende<br />

dalla ipotesi che a seguito <strong>del</strong>l’aumento <strong>di</strong> A le imprese lascino invariato il loro<br />

margine <strong>di</strong> profitto µ e non decidano <strong>di</strong> aumentarlo (se lo aumentassero è chiaro<br />

che i prezzi P potrebbero non ridursi e quin<strong>di</strong> il salario reale W/P potrebbe non<br />

aumentare).<br />

48


In Figura 3 rappresentiamo graficamente l’equazione (2’) <strong>del</strong> salario reale offerto<br />

dalle imprese. Come si vede dal grafico <strong>di</strong> sinistra, l’equazione è descritta da una<br />

retta orizzontale. La ragione è che il salario offerto dalle imprese <strong>di</strong>pende solo dai<br />

l<strong>iv</strong>elli dati <strong>di</strong> produtt<strong>iv</strong>ità A e <strong>del</strong> margine µ, mentre non risulta assolutamente<br />

influenzato dall’andamento <strong>del</strong>la <strong>di</strong>soccupazione. Pertanto, quale che sia il l<strong>iv</strong>ello<br />

<strong>di</strong> u il salario reale offerto non subisce alcuna variazione. Si osservi poi il grafico<br />

a destra. Esso descr<strong>iv</strong>e gli effetti <strong>di</strong> un cambiamento <strong>del</strong> mark-up sul salario<br />

offerto. Per esempio, supponiamo che a seguito <strong>di</strong> una legge anti-trust più rigorosa<br />

il mark-up <strong>del</strong>le imprese µ si riduca (da µ a µ’


W/P<br />

A/(1 + µ)<br />

F(u, z)<br />

un u<br />

Fig. 4 – L’equilibrio “naturale” nel mercato <strong>del</strong> lavoro<br />

Il grafico mostra che c’è un solo tasso <strong>di</strong> <strong>di</strong>soccupazione in corrispondenza <strong>del</strong><br />

quale il salario richiesto dai lavoratori coincide con il salario offerto dalle<br />

imprese. Questo tasso <strong>di</strong> equilibrio viene definito da Blanchard “tasso <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>soccupazione naturale”, in<strong>di</strong>cato con il termine un. In corrispondenza <strong>di</strong> tutti<br />

gli altri tassi <strong>di</strong> <strong>di</strong>soccupazione, si può notare che il salario richiesto e il salario<br />

offerto non coincidono.<br />

Come si vede dalla Figura 4, il l<strong>iv</strong>ello <strong>del</strong> tasso “naturale” <strong>di</strong> <strong>di</strong>soccupazione<br />

<strong>di</strong>pende dai parametri che determinano la posizione <strong>del</strong>le curve <strong>del</strong> salario<br />

richiesto dai lavoratori e <strong>del</strong> salario offerto dalle imprese, ossia da z, µ, A. Una<br />

eventuale mo<strong>di</strong>fica dei parametri determina uno spostamento <strong>del</strong>le curve e quin<strong>di</strong><br />

una mo<strong>di</strong>fica <strong>del</strong> tasso <strong>di</strong> <strong>di</strong>soccupazione naturale un.<br />

Osserviamo in tal senso la Figura 5. Nel grafico <strong>di</strong> destra, si consideri un<br />

indebolimento <strong>del</strong>la legislazione contro i monopoli. Questo provoca una riduzione<br />

<strong>del</strong>la concorrenza, un aumento <strong>del</strong> mark-up µ, un aumento dei prezzi P =<br />

(1 + µ)W/A fissati dalle imprese, una conseguente riduzione <strong>del</strong> salario reale<br />

offerto W/P = A/(1 + µ) e quin<strong>di</strong> uno spostamento verso il basso <strong>del</strong>la retta<br />

orizzontale corrispondente. La conseguenza, come si può notare, è che il tasso <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>soccupazione naturale un aumenta. Infatti, solo un più elevato tasso <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>soccupazione può far sì che i lavoratori si indeboliscano a tal punto da accettare<br />

esattamente il più basso salario che viene ora offerto dalle imprese. Nel grafico <strong>di</strong><br />

sinistra, si consideri invece il caso <strong>di</strong> una riduzione <strong>del</strong>le protezioni legislat<strong>iv</strong>e<br />

contro i licenziamenti ingiustificati. Evidentemente un provve<strong>di</strong>mento <strong>del</strong> genere<br />

indebolisce i lavoratori e quin<strong>di</strong> riduce il parametro <strong>di</strong> conflittualità z. In tal caso<br />

il salario richiesto dai lavoratori si riduce e la rispett<strong>iv</strong>a curva si sposta verso il<br />

50


asso. Di conseguenza, il tasso <strong>di</strong> <strong>di</strong>soccupazione naturale si riduce. Infatti, visto<br />

che i lavoratori adesso temono <strong>di</strong> perdere più facilmente il posto <strong>di</strong> lavoro, allora<br />

saranno <strong>di</strong>sposti ad accettare il medesimo salario offerto dalle imprese anche in<br />

corrispondenza <strong>di</strong> una minore <strong>di</strong>soccupazione.<br />

A/(1+µ)<br />

W/P<br />

un’ un<br />

F(u, z)<br />

F(u, z’)<br />

Fig. 5 – Nel grafico <strong>di</strong> destra, gli effetti <strong>di</strong> un indebolimento <strong>del</strong>la legge<br />

anti-trust (da cui µ’>µ). Nel grafico <strong>di</strong> sinistra, gli effetti <strong>di</strong> una riduzione <strong>del</strong>le<br />

protezioni contro i licenziamenti ingiustificati (da cui z’


Osservando la fig. 6, doman<strong>di</strong>amoci cosa accade quando il tasso <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>soccupazione <strong>di</strong>fferisce dal tasso naturale. Nel caso in cui u0 < un, la<br />

<strong>di</strong>soccupazione è bassa e quin<strong>di</strong> la forza contrattuale dei lavoratori è alta.<br />

Pertanto, il salario reale da essi richiesto (in<strong>di</strong>cato dal punto A) eccede il salario<br />

reale offerto dalle imprese (in<strong>di</strong>cato dal punto B). Questa d<strong>iv</strong>ergenza tra richieste<br />

e offerte, corrispondente al segmento AB, provocherà una rincorsa reciproca tra<br />

salari monetari W e prezzi P, dal momento che i lavoratori cercheranno<br />

continuamente <strong>di</strong> strappare incrementi <strong>del</strong> salario monetario per raggiungere il<br />

l<strong>iv</strong>ello desiderato <strong>del</strong> salario reale. Dal canto loro, però, le imprese risponderanno<br />

con uguali incrementi dei prezzi al fine <strong>di</strong> lasciare invariato il loro margine <strong>di</strong><br />

profitto µ. Pertanto, se le imprese riescono a mantenere invariato il margine µ,<br />

anche il salario reale effett<strong>iv</strong>o W/P = A/(1 + µ) resterà invariato.<br />

Dunque, un tasso <strong>di</strong> <strong>di</strong>soccupazione u0 < un provocherà una crescita continua <strong>di</strong> W<br />

e <strong>di</strong> P, ossia provocherà inflazione. Viceversa, con un tasso u1 > un i lavoratori<br />

risultano indeboliti. Ciò provoca richieste salariali inferiori ai salari offerti<br />

(segmento CD). Si verificherà dunque una tendenza alla riduzione <strong>di</strong> W e quin<strong>di</strong><br />

una riduzione dei costi W/A <strong>del</strong>le imprese. E se assumiamo che queste ultime<br />

decidano anche in tal caso <strong>di</strong> lasciare invariato il margine <strong>di</strong> profitto, la<br />

conseguenza <strong>del</strong>la riduzione dei costi sarà una riduzione proporzionale dei prezzi<br />

P, ossia una deflazione.<br />

W/P<br />

A<br />

B<br />

C<br />

u0 un u1<br />

D<br />

Fig. 6 – Le d<strong>iv</strong>ergenze dal tasso naturale<br />

provocano inflazione o deflazione<br />

u<br />

52


Pertanto, tassi <strong>di</strong> <strong>di</strong>soccupazione d<strong>iv</strong>ersi dal l<strong>iv</strong>ello “naturale” corrispondono a<br />

situazioni <strong>di</strong> instabilità monetaria. Solo al l<strong>iv</strong>ello <strong>del</strong> tasso naturale i lavoratori<br />

chiedono esattamente quel che le imprese sono <strong>di</strong>sposte ad offrire, e quin<strong>di</strong> la<br />

spirale al rialzo o al ribasso dei salari e dei prezzi si ferma.<br />

5.6 Dal mercato <strong>del</strong> lavoro all’offerta aggregata<br />

Dal mercato <strong>del</strong> lavoro è possibile adesso passare all’analisi <strong>del</strong>l’offerta aggregata<br />

<strong>di</strong> merci. Ripren<strong>di</strong>amo le equazioni (1) e (2) dei salari e dei prezzi:<br />

e<br />

( 1)<br />

W P F(<br />

u,<br />

z)<br />

W<br />

( 2)<br />

P ( 1<br />

)<br />

A<br />

Si noti che nella (1) è ora nuovamente riportato il l<strong>iv</strong>ello atteso dei prezzi P e . Ciò<br />

sta ad in<strong>di</strong>care che adesso l’analisi è <strong>di</strong> breve periodo, e quin<strong>di</strong> si ammette che i<br />

prezzi effett<strong>iv</strong>i possano temporaneamente <strong>di</strong>scostarsi dai prezzi attesi dai<br />

lavoratori. Sostituendo la (1) nella (2), otteniamo la seguente formulazione <strong>del</strong>la<br />

equazione dei prezzi:<br />

P <br />

( 1<br />

)<br />

e<br />

P F(<br />

u,<br />

z)<br />

A<br />

Teniamo adesso presente che il tasso <strong>di</strong> <strong>di</strong>soccupazione u è dato dal rapporto tra il<br />

totale dei <strong>di</strong>soccupati U e la forza lavoro compless<strong>iv</strong>a L, ossia u = U/L. A sua<br />

volta la forza lavoro corrisponde alla somma totale dei lavoratori <strong>di</strong>soccupati U e<br />

dei lavoratori occupati N: ossia L = U + N. Ovviamente, ciò significa pure che il<br />

totale dei <strong>di</strong>soccupati è dato dalla <strong>di</strong>fferenza tra la forza lavoro e gli occupati, e<br />

cioè che U = L – N. Per cui possiamo scr<strong>iv</strong>ere che:<br />

U L N N<br />

u 1 <br />

L L L<br />

Inoltre, noi sappiamo che la produzione è data dalla produtt<strong>iv</strong>ità <strong>di</strong> ogni singolo<br />

occupato moltiplicata per il numero degli occupati, ossia Y = AN. Pertanto, gli<br />

53


occupati sono dati a loro volta da N = Y/A. Quin<strong>di</strong> possiamo scr<strong>iv</strong>ere che:<br />

u 1 <br />

Y<br />

AL<br />

Se dunque sostituiamo questa espressione nella precedente equazione dei prezzi,<br />

otteniamo:<br />

( 1<br />

)<br />

e Y <br />

P P F1<br />

, z<br />

A AL <br />

Questa è l’equazione <strong>del</strong>la offerta aggregata AS <strong>del</strong>le imprese. Come si può<br />

notare, essa descr<strong>iv</strong>e la relazione tra l<strong>iv</strong>ello <strong>di</strong> produzione e l<strong>iv</strong>ello dei prezzi: per<br />

ogni dato l<strong>iv</strong>ello <strong>di</strong> Y essa infatti ci <strong>di</strong>ce quale sarà il corrispondente l<strong>iv</strong>ello <strong>di</strong> P<br />

deciso dalle imprese. Questa relazione è crescente. La ragione è che al crescere<br />

<strong>del</strong>la produzione Y aumenta l’occupazione N necessaria a realizzarla, e quin<strong>di</strong> il<br />

tasso <strong>di</strong> <strong>di</strong>soccupazione u si riduce. Di conseguenza i lavoratori si sentono più<br />

forti, aumenta il loro potere contrattuale e con esso aumenta pure il salario<br />

monetario W che richiedono. Ma le imprese, per mantenere fisso il mark-up,<br />

aumenteranno il l<strong>iv</strong>ello dei prezzi P in proporzione ai salari:<br />

se Y<br />

N u poterelavoratori<br />

W P <br />

Tracciando un grafico con il l<strong>iv</strong>ello <strong>di</strong> produzione Y sulle ascisse e con il l<strong>iv</strong>ello<br />

dei prezzi P sulle or<strong>di</strong>nate, possiamo dunque <strong>di</strong>segnare la curva <strong>di</strong> offerta<br />

aggregata AS con un andamento crescente:<br />

54


P<br />

Fig. 6 – La curva <strong>di</strong> offerta aggregata AS<br />

Finora abbiamo descritto i movimenti lungo la curva AS, causati dalle variazioni<br />

<strong>di</strong> Y. Gli spostamenti in alto o in basso <strong>del</strong>la curva AS avvengono invece quando<br />

si mo<strong>di</strong>ficano le variabili che si trovano nella equazione (3) ma che non sono<br />

poste sugli assi.<br />

Ad esempio, se aumenta il parametro <strong>di</strong> conflittualità z allora si verifica un<br />

aumento <strong>di</strong> W e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> P a parità <strong>di</strong> Y, e dunque la curva AS si sposta in alto.<br />

Oppure se aumenta µ allora si verifica un aumento <strong>di</strong> P a parità <strong>di</strong> Y, e quin<strong>di</strong><br />

anche in tal caso la curva AS va verso l’alto. Viceversa, nel caso <strong>di</strong> riduzioni <strong>di</strong><br />

questi parametri, la AS trasla in basso.<br />

Un altro mot<strong>iv</strong>o <strong>di</strong> traslazione in alto <strong>del</strong>la AS è la rincorsa tra salari e prezzi. Si<br />

prenda una situazione in cui il l<strong>iv</strong>ello <strong>di</strong> <strong>di</strong>soccupazione non corrisponde al tasso<br />

“naturale” e quin<strong>di</strong> non c’è accordo tra lavoratori e imprese sui salari reali. La<br />

conseguenza, come abbiamo visto prima, è che si verificherà una rincorsa<br />

continua tra salari monetari e prezzi. Ad esempio, se il tasso <strong>di</strong> <strong>di</strong>soccupazione<br />

effett<strong>iv</strong>o è u0P e ). La conseguenza è che <strong>di</strong> volta in volta i lavoratori<br />

dovranno r<strong>iv</strong>edere al rialzo i prezzi attesi P e . Ma questo aumento dei prezzi attesi<br />

implica che i lavoratori, per compensare, esigeranno una correzione al rialzo<br />

anche dei salari monetari W. Ma dato che le imprese intendono <strong>di</strong>fendere il loro<br />

AS<br />

Y<br />

55


mark-up, l’incremento dei salari monetari W a sua volta provocherà altri aumenti<br />

dei prezzi P, e così via. La rincorsa tra salari e prezzi può essere dunque descritta<br />

in questo modo:<br />

e<br />

W P P W P ......<br />

Ma quali sono gli effetti <strong>di</strong> questa rincorsa sulla curva AS? Per rispondere<br />

tracciamo in Figura 7 il grafico <strong>del</strong> mercato <strong>del</strong> lavoro al <strong>di</strong> sopra <strong>del</strong> grafico <strong>del</strong>la<br />

offerta aggregata.<br />

Si noti che il grafico <strong>del</strong> mercato <strong>del</strong> lavoro è stato ribaltato rispetto al modo in<br />

cui lo avevamo <strong>di</strong>segnato fino ad ora. Infatti, ora l’origine degli assi si trova a<br />

destra, il che significa che quanto più ci si sposta a destra la <strong>di</strong>soccupazione<br />

<strong>di</strong>minuisce anziché aumentare. Questo ribaltamento non ha nessun significato<br />

particolare: esso serve soltanto allo scopo pratico <strong>di</strong> rendere vis<strong>iv</strong>amente più<br />

chiaro il collegamento tra i due grafici. In particolare, il ribaltamento ci permette<br />

<strong>di</strong> mostrare che produzione Y e <strong>di</strong>soccupazione u si muovono sempre in <strong>di</strong>rezione<br />

opposta: ad esempio, a fronte <strong>di</strong> un aumento <strong>del</strong>la produzione Y (movimento a<br />

destra lungo l’asse orizzontale <strong>del</strong> grafico basso) corrisponde sempre una<br />

riduzione <strong>del</strong>la <strong>di</strong>soccupazione (movimento anch’esso a destra lungo l’asse<br />

orizzontale <strong>del</strong> grafico alto). Il che <strong>del</strong> resto è ovvio: se si produce <strong>di</strong> più<br />

occorrono più lavoratori e quin<strong>di</strong> i <strong>di</strong>soccupati si riducono, e viceversa se si<br />

produce <strong>di</strong> meno.<br />

56


F(u,z)<br />

u<br />

Fig. 7 – Con una <strong>di</strong>soccupazione inferiore a quella naturale (u0


Ovviamente, qualora fossimo partiti da un tasso <strong>di</strong> <strong>di</strong>soccupazione maggiore <strong>del</strong><br />

tasso “naturale”, avremmo registrato una corsa al ribasso dei salari e dei prezzi, e<br />

quin<strong>di</strong> una traslazione verso il basso <strong>del</strong>la AS.<br />

5.7 Il mo<strong>del</strong>lo <strong>di</strong> offerta e domanda aggregata AS-AD<br />

Possiamo a questo punto esaminare congiuntamente le curve <strong>di</strong> domanda e offerta<br />

aggregata. In Figura 8, sul grafico superiore è riportato ancora una volta il<br />

mercato <strong>del</strong> lavoro, mentre su quello inferiore sono tracciate sia la curva AS che<br />

la curva AD. Si può subito notare che l’intersezione tra AS e AD corrisponde al<br />

l<strong>iv</strong>ello <strong>di</strong> produzione naturale, il quale a sua volta è legato al tasso <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>soccupazione naturale corrispondente all’equilibrio sul mercato <strong>del</strong> lavoro.<br />

58


F(u, z)<br />

P<br />

P<br />

Yn<br />

un<br />

E<br />

Fig. 8 – Il mo<strong>del</strong>lo AS-AD completo<br />

A/(1+µ)<br />

Come vedremo, il mo<strong>del</strong>lo AS-AD completo permette a Blanchard <strong>di</strong> sostenere<br />

alcune tipiche posizioni liberiste. E cioè in primo luogo che il sistema economico<br />

tende sempre in modo spontaneo al suo equilibrio, vale a <strong>di</strong>re ai l<strong>iv</strong>elli “naturali”<br />

<strong>del</strong> salario reale, <strong>del</strong>la <strong>di</strong>soccupazione e <strong>del</strong>la produzione (ciò sta ad in<strong>di</strong>care che<br />

le forze <strong>del</strong> mercato sono in grado da sole <strong>di</strong> fare uscire il sistema da una<br />

AS<br />

AD<br />

W/P<br />

59


eventuale crisi, senza dover necessariamente ricorrere a un intervento politico <strong>di</strong><br />

“salvataggio”). Inoltre, con l’ausilio <strong>di</strong> questo mo<strong>del</strong>lo Blanchard <strong>di</strong>mostrerà che<br />

il tentat<strong>iv</strong>o <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficare i l<strong>iv</strong>elli “naturali” <strong>di</strong> equilibrio tramite le politiche<br />

espans<strong>iv</strong>e oppure tramite le r<strong>iv</strong>en<strong>di</strong>cazioni salariali è <strong>del</strong> tutto inutile e può anche<br />

r<strong>iv</strong>elarsi dannoso.<br />

5.8 Per uscire da una crisi la politica espans<strong>iv</strong>a non è in<strong>di</strong>spensabile<br />

Il mo<strong>del</strong>lo AS-AD <strong>di</strong> Blanchard consente in primo luogo <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrare la tipica<br />

tesi liberista secondo cui il sistema capitalistico, fondato sul libero operare <strong>del</strong>le<br />

sole forze <strong>del</strong> mercato, è nella sostanza autosufficiente. Il mo<strong>del</strong>lo mostra cioè che<br />

se anche dovesse verificarsi una crisi economica, l’economia <strong>di</strong> mercato<br />

potrebbe uscirne in modo spontaneo, senza cioè ricorrere necessariamente a<br />

una politica <strong>di</strong> espansione <strong>del</strong>la moneta o <strong>del</strong>la spesa pubblica. Il sistema è in<br />

grado infatti <strong>di</strong> tornare autonomamente al suo equilibrio “naturale”, dal quale la<br />

crisi lo aveva temporaneamente allontanato. Dunque, stando a questo mo<strong>del</strong>lo, per<br />

risollevare l’economia l’intervento <strong>del</strong>le autorità politiche in linea <strong>di</strong> principio non<br />

è in<strong>di</strong>spensabile. Per chiarire in che modo dopo una eventuale crisi il sistema<br />

tende sempre al suo equilibrio “naturale”, soffermiamoci sulla Figura 9.<br />

60


F(u,z)<br />

P<br />

A<br />

B N<br />

C<br />

u’ un<br />

E’<br />

E<br />

Y’ Yn<br />

AD’<br />

AS’<br />

A/(1+µ)<br />

Fig. 9 – La sola riduzione dei salari monetari e dei prezzi è in linea <strong>di</strong> principio<br />

sufficiente per uscire da una crisi. La politica espans<strong>iv</strong>a non è in<strong>di</strong>spensabile<br />

AS<br />

AD<br />

W/P<br />

61


Partiamo da una situazione <strong>di</strong> equilibrio “naturale”, descritta in alto dal punto N e<br />

in basso dal punto E. Come sappiamo, in tal caso si parla <strong>di</strong> equilibrio perché il<br />

tasso <strong>di</strong> <strong>di</strong>soccupazione “naturale” è esattamente quel tasso in corrispondenza <strong>del</strong><br />

quale la curva <strong>del</strong> salario richiesto e la retta <strong>del</strong> salario offerto si intersecano, il<br />

che significa che i lavoratori chiedono esattamente il salario reale che viene<br />

concesso dalle imprese. In questa situazione, dunque, non si assiste a nessuna<br />

corsa <strong>di</strong> salari e prezzi, né verso l’alto né verso il basso: in quel punto il sistema è<br />

stabile.<br />

Supponiamo però che per qualsiasi mot<strong>iv</strong>o – il timore <strong>di</strong> una crisi internazionale,<br />

o <strong>di</strong> una guerra, ecc. – gli impren<strong>di</strong>tori attraversino una crisi <strong>di</strong> fiducia sul futuro,<br />

ossia d<strong>iv</strong>entino improvvisamente pessimisti riguardo ai profitti che potranno<br />

guadagnare dalla loro att<strong>iv</strong>ità Essi quin<strong>di</strong> decidono <strong>di</strong> tagliare gli acquisti <strong>di</strong><br />

macchinari, impianti e attrezzature, cioè decidono <strong>di</strong> ridurre gli investimenti I. La<br />

riduzione degli investimenti comporta una riduzione <strong>del</strong>la domanda aggregata Z<br />

(spostamento <strong>del</strong>la AD a sinistra, da AD ad AD’). Dunque la produzione si riduce<br />

da Yn a Y’, la <strong>di</strong>soccupazione aumenta da un a u’ (spostamento da E ad A).<br />

L’aumento <strong>del</strong>la <strong>di</strong>soccupazione indebolisce i lavoratori, i quali richiedono un<br />

salario reale inferiore al salario reale offerto dalle imprese (segmento BC), e si<br />

rendono <strong>di</strong>sponibili a una riduzione <strong>del</strong> salario monetario W. Se si assume che le<br />

imprese non intendano approfittare <strong>del</strong>la situazione e decidano quin<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

mantenere invariato il mark-up, è chiaro che la riduzione dei salari monetari si<br />

tradurrà in una riduzione proporzionale dei prezzi P, quin<strong>di</strong> dei prezzi attesi P e ,<br />

quin<strong>di</strong> ancora dei salari monetari, dei prezzi, e così via (<strong>di</strong> conseguenza la AS<br />

trasla in basso, da AS ad AS’).<br />

La corsa al ribasso <strong>di</strong> salari e prezzi provocherà a sua volta un aumento <strong>del</strong> valore<br />

reale <strong>del</strong>le scorte monetarie M/P detenute dalla popolazione. Le scorte eccedenti<br />

verranno quin<strong>di</strong> impiegate per l’acquisto <strong>di</strong> titoli, il che provocherà un aumento<br />

dei prezzi dei titoli, una riduzione <strong>del</strong> tasso d’interesse i, un conseguente aumento<br />

degli investimenti I, un aumento <strong>di</strong> produzione Y e una riduzione <strong>del</strong>la<br />

<strong>di</strong>soccupazione u. Il processo continua fino a quando la <strong>di</strong>soccupazione non<br />

raggiunge nuovamente il suo l<strong>iv</strong>ello naturale un. A quel punto infatti i lavoratori<br />

richiedono nuovamente un salario reale uguale a quello offerto dalle imprese, e<br />

quin<strong>di</strong> la corsa al ribasso <strong>di</strong> salari monetari e prezzi si arresta (spostamento dal<br />

punto A al punto E’ sul grafico in basso, e ritorno al punto N sul grafico in alto). 5<br />

5 E’ interessante notare che l’intera sequenza si basa sulla ipotesi che, nonostante la debolezza dei<br />

lavoratori, le imprese decidano <strong>di</strong> non approfittarne. Infatti, nel momento in cui i salari monetari<br />

<strong>di</strong>minuiscono, le imprese ridurranno proporzionalmente i prezzi, lasciando così invariato il<br />

margine <strong>di</strong> profitto. Tuttavia, in una situazione simile, sembrerebbe più probabile che le imprese<br />

lascino invariati i prezzi – o li riducano meno dei salari – ottenendo così un aumento <strong>del</strong> mark-up.<br />

Ricor<strong>di</strong>amo infatti che i prezzi sono dati dal costo <strong>di</strong> ogni merce W/A moltiplicato per un margine,<br />

62


Abbiamo dunque visto che, stando almeno a questa visione <strong>del</strong> sistema<br />

economico, l’economia capitalista sarebbe in grado <strong>di</strong> risolvere una crisi da sé,<br />

vale a <strong>di</strong>re semplicemente attraverso le forze <strong>del</strong> mercato e senza alcuna politica<br />

espans<strong>iv</strong>a <strong>di</strong> supporto. Questo risultato teorico ha spinto d<strong>iv</strong>ersi economisti <strong>di</strong><br />

orientamento neoclassico-liberista a sostenere che persino in caso <strong>di</strong> crisi il<br />

governo e la banca centrale non dovrebbero fare assolutamente nulla.<br />

E’ bene tuttavia chiarire che Blanchard non cond<strong>iv</strong>ide una interpretazione così<br />

estrema <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lo AS-AD. Egli infatti non si spinge al punto <strong>di</strong> <strong>di</strong>chiarare che<br />

in caso <strong>di</strong> crisi le autorità politica dovrebbero restare a guardare. Il meccanismo<br />

spontaneo insito nel suo mo<strong>del</strong>lo si basa infatti comunque sulla <strong>di</strong>sponibilità dei<br />

lavoratori a ridurre i salari monetari, un fenomeno che <strong>di</strong>pende da vari fattori <strong>di</strong><br />

or<strong>di</strong>ne sindacale e politico e che non può certo darsi per scontato. Inoltre,<br />

Blanchard ha ben presente che il percorso <strong>di</strong> rientro verso l’equilibrio naturale<br />

tramite i soli meccanismi spontanei <strong>del</strong>la riduzione dei salari e dei prezzi potrebbe<br />

r<strong>iv</strong>elarsi molto lungo e tortuoso (magari a causa <strong>del</strong> fatto che i sindacati<br />

potrebbero fare resistenza contro la riduzione dei salari monetari). Egli non ha<br />

<strong>di</strong>menticato la lezione <strong>del</strong>la grande crisi <strong>del</strong> 1929, durante la quale proprio la<br />

tard<strong>iv</strong>a risposta <strong>del</strong>le autorità e la pretesa <strong>di</strong> affidarsi ai soli meccanismi <strong>del</strong><br />

mercato <strong>di</strong>edero luogo a una gravissima e prolungata depressione economica.<br />

Ecco perché Blanchard considera l’aggiustamento spontaneo un mero caso <strong>di</strong><br />

scuola. Nella pratica, se ci si trova in una situazione <strong>di</strong> crisi descritta dal punto A,<br />

egli invita comunque le autorità ad intervenire, in modo da accelerare la<br />

convergenza all’equilibrio naturale. In particolare, la sua proposta è che la banca<br />

centrale effettui una politica monetaria espans<strong>iv</strong>a, finalizzata ad accrescere la<br />

quantità <strong>di</strong> moneta M in circolazione (in tal modo la curva <strong>di</strong> domanda tornerebbe<br />

alla sua posizione iniziale, cioè passa da AD’ ad AD). In tal modo l’aumento <strong>del</strong>le<br />

scorte liquide reali M/P sarebbe più rapido, e con esso sarebbe più rapida anche la<br />

riduzione <strong>del</strong> tasso d’interesse, l’aumento degli investimenti e <strong>del</strong>la produzione, e<br />

il conseguente ritorno <strong>del</strong> sistema al suo equilibrio naturale (punto E nel grafico in<br />

basso, punto N nel grafico in alto).<br />

ossia: P = (1 + µ)W/A e quin<strong>di</strong> che il margine µ = (AP/W) – 1. Il mo<strong>del</strong>lo <strong>di</strong> Blanchard assume che<br />

al <strong>di</strong>minuire <strong>di</strong> W anche P si riduca proporzionalmente, e quin<strong>di</strong> che il mark-up resti invariato. E’<br />

chiaro però che se le imprese lasciassero P invariato, o comunque se lo riducessero meno <strong>di</strong> W,<br />

allora il mark-up aumenterebbe. Perché mai le imprese non dovrebbero sfruttare una simile<br />

occasione? Su questo punto torneremo in seguito, quando abbandoneremo l’ipotesi <strong>di</strong> mark-up<br />

fisso tipica <strong>di</strong> Blanchard e contestata dagli economisti critici.<br />

63


5.9 La politica espans<strong>iv</strong>a non può oltrepassare l’equilibrio “naturale”<br />

Abbiamo dunque visto che Blanchard riconosce un ruolo alla politica espans<strong>iv</strong>a,<br />

ritenendo opportuno che essa possa aiutare il sistema a convergere più<br />

rapidamente verso l’equilibrio naturale. Ma cosa accadrebbe se le autorità <strong>di</strong><br />

governo non intendessero usare la politica espans<strong>iv</strong>a solo per convergere<br />

all’equilibrio naturale, ma puntassero ad<strong>di</strong>rittura ad andare oltre quell’equilibrio?<br />

Cosa avverrebbe cioè se le autorità cercassero <strong>di</strong> usare gli strumenti <strong>di</strong> politica<br />

economica per ottenere un l<strong>iv</strong>ello <strong>di</strong> produzione maggiore <strong>del</strong> l<strong>iv</strong>ello naturale, e<br />

quin<strong>di</strong> una <strong>di</strong>soccupazione inferiore al l<strong>iv</strong>ello <strong>di</strong> equilibrio “naturale”? In tal<br />

caso la risposta <strong>di</strong> Blanchard è netta: a meno <strong>di</strong> generare una crescita continua<br />

<strong>del</strong>l’inflazione, la politica espans<strong>iv</strong>a non può mai ridurre la <strong>di</strong>soccupazione al<br />

<strong>di</strong> sotto <strong>del</strong> suo l<strong>iv</strong>ello “naturale”. Esaminando la Figura 10, ve<strong>di</strong>amo perché il<br />

mo<strong>del</strong>lo <strong>di</strong> Blanchard consente <strong>di</strong> pervenire a una simile conclusione, liberista e<br />

contraria all’intervento pubblico nell’economia.<br />

64


F(u,z)<br />

P<br />

u<br />

E’<br />

E<br />

Fig. 10 – La politica espans<strong>iv</strong>a non è in grado <strong>di</strong> portare stabilmente l’economia<br />

in una posizione migliore rispetto all’equilibrio “naturale”<br />

B<br />

N C<br />

un u’<br />

A<br />

Yn Y’<br />

AS’<br />

AS<br />

AD<br />

AD’<br />

W/P<br />

A/(1+µ)<br />

65


Partiamo da una situazione <strong>di</strong> equilibrio “naturale”, descritta dal punto N nel<br />

grafico in alto e dal punto E nel grafico in basso. Supponiamo che le autorità<br />

politiche siano insod<strong>di</strong>sfatte dei l<strong>iv</strong>elli <strong>di</strong> produzione e <strong>di</strong> <strong>di</strong>soccupazione<br />

“naturale”, e che intendano quin<strong>di</strong> effettuare una politica espans<strong>iv</strong>a al fine <strong>di</strong><br />

aumentare Y e ridurre u. La politica espans<strong>iv</strong>a può consistere ad esempio in un<br />

aumento <strong>del</strong>la spesa pubblica G (o in una riduzione <strong>del</strong>le tasse da parte <strong>del</strong><br />

governo, oppure in un aumento <strong>del</strong>l’offerta <strong>di</strong> moneta M da parte <strong>del</strong>la banca<br />

centrale, e così via. In entrambi i casi l’effetto <strong>del</strong>la politica espans<strong>iv</strong>a dovrebbe<br />

esser quello <strong>di</strong> accrescere la domanda aggregata Z (spostamento <strong>del</strong>la AD a<br />

destra, da AD ad AD’), e quin<strong>di</strong> anche la produzione e l’occupazione. Sul piano<br />

grafico il sistema si colloca quin<strong>di</strong> nel punto A, caratterizzato da una maggiore<br />

produzione (da Yn a Y’) e da una minore <strong>di</strong>soccupazione (da un a u’).<br />

In corrispondenza <strong>del</strong>la minor <strong>di</strong>soccupazione i lavoratori si sentono più forti sul<br />

piano contrattuale: essi quin<strong>di</strong> richiedono un salario reale maggiore <strong>del</strong> salario<br />

reale offerto dalle imprese (segmento BC), il che si traduce in una pressione al<br />

rialzo <strong>del</strong> salario monetario W e quin<strong>di</strong> dei costi <strong>di</strong> produzione. Se si fa l’ipotesi le<br />

imprese punteranno a lasciare intatto il loro mark-up, allora l’aumento dei salari<br />

monetari si tradurrà in un aumento proporzionale dei prezzi. In tal modo il<br />

margine µ non verrà eroso dalle r<strong>iv</strong>en<strong>di</strong>cazioni dei lavoratori.<br />

Parte dunque una rincorsa al rialzo dei salari monetari W, dei prezzi P, dei prezzi<br />

attesi P e , e quin<strong>di</strong> ancora dei salari, dei prezzi, ecc. il tutto a parità <strong>di</strong> produzione Y<br />

(<strong>di</strong> conseguenza la AS trasla in alto, da AS ad AS’).<br />

Inoltre, l’aumento dei prezzi provocherà a sua volta una riduzione <strong>del</strong> valore reale<br />

<strong>del</strong>le scorte monetarie M/P detenute dalla popolazione. La carenza <strong>di</strong> scorte<br />

liquide indurrà quin<strong>di</strong> molti soggetti a vendere titoli per procurarsi moneta, il che<br />

provocherà un calo dei prezzi dei titoli, un aumento <strong>del</strong> tasso d’interesse i, una<br />

conseguente riduzione degli investimenti I e <strong>del</strong>la produzione Y, e un aumento<br />

<strong>del</strong>la <strong>di</strong>soccupazione u. Il processo continua fino a quando la <strong>di</strong>soccupazione non<br />

raggiunge nuovamente il suo l<strong>iv</strong>ello naturale un. A quel punto infatti i lavoratori<br />

sono stati indeboliti, e richiedono nuovamente un salario reale uguale a quello<br />

offerto dalle imprese: pertanto la corsa al rialzo <strong>di</strong> salari monetari e prezzi si<br />

arresta (spostamento lungo la AD’ dal punto A al punto E’ sul grafico in basso, e<br />

ritorno al punto N sul grafico in alto).<br />

La politica espans<strong>iv</strong>a ha dunque un’efficacia solo temporanea, visto che il sistema<br />

torna al suo equilibrio naturale. Ma esiste un modo che consentirebbe <strong>di</strong><br />

mantenere il sistema a un l<strong>iv</strong>ello <strong>di</strong> produzione superiore all’equilibrio<br />

naturale? In teoria sì. La banca centrale dovrebbe aumentare M <strong>di</strong> pari passo con<br />

66


l’aumento <strong>di</strong> W e <strong>di</strong> P, in modo da contrastare la caduta <strong>di</strong> M/P ai l<strong>iv</strong>elli iniziali. 6<br />

In questo modo l’economia riceverebbe continue iniezioni <strong>di</strong> moneta al fine <strong>di</strong><br />

tenere la produzione al <strong>di</strong> là <strong>del</strong> suo l<strong>iv</strong>ello naturale. Inoltre, una strategia analoga<br />

potrebbe essere perseguita dal governo, che potrebbe aumentare continuamente<br />

G al punto da compensare la caduta <strong>di</strong> M/P causata dall’aumento dei prezzi.<br />

Anche in questo modo, grazie alla continua espansione <strong>del</strong>la spesa pubblica, si<br />

potrebbe tenere il sistema ad un l<strong>iv</strong>ello Y’> Yn. Tali politiche, tuttavia, da<br />

Blanchard e dai teorici neoclassici vengono considerate improponibili. La<br />

ragione è che entrambe collocherebbero il sistema economico in una situazione <strong>di</strong><br />

perenne conflitto tra i lavoratori e le imprese (segmento BC), il che<br />

provocherebbe una continua rincorsa inflazionistica tra salari e prezzi. Se dunque<br />

non si vuole far cadere l’economia in una spirale inflazionistica, occorre<br />

rassegnarsi all’equilibrio “naturale”.<br />

5.10 La neutralità <strong>del</strong>la moneta e la politica restritt<strong>iv</strong>a<br />

Nel caso in cui la politica espans<strong>iv</strong>a verta su un aumento <strong>del</strong>l’offerta <strong>di</strong> moneta M<br />

da parte <strong>del</strong>la banca centrale, il risultato finale è che “la moneta è neutrale”. Per<br />

neutralità <strong>del</strong>la moneta Blanchard intende l’impossibilità per le variabili<br />

monetarie (come M) <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficare quelle reali, cioè fisiche (come la produzione Y<br />

e la <strong>di</strong>soccupazione u). Infatti, il suo mo<strong>del</strong>lo ci <strong>di</strong>ce che l’espansione monetaria<br />

provoca una deviazione dall’equilibrio naturale che è solo temporanea. Quando il<br />

sistema torna alla sua posizione naturale, tutte le variabili fisiche sono <strong>di</strong> nuovo ai<br />

loro l<strong>iv</strong>elli <strong>di</strong> partenza. Inoltre, visto che alla fine i prezzi P sono cresciuti in<br />

misura esattamente proporzionale all’incremento iniziale <strong>di</strong> M, anche il valore<br />

reale M/P <strong>del</strong>le scorte liquide torna al suo l<strong>iv</strong>ello originario.<br />

Gli economisti liberisti più estremi hanno sfruttato la tesi <strong>del</strong>la neutralità<br />

<strong>del</strong>la moneta <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lo AS-AD non solo per criticare le politiche <strong>di</strong> espansione<br />

monetaria, ma ad<strong>di</strong>rittura anche per promuovere le politiche <strong>di</strong> restrizione<br />

monetaria, ossia <strong>di</strong> riduzione <strong>del</strong>l’offerta <strong>di</strong> moneta da parte <strong>del</strong>la banca centrale.<br />

I liberisti estremi in primo luogo contestano la politica <strong>di</strong> espansione monetaria<br />

poiché rilevano che essa alla fine è solo inflazionistica, visto che genera<br />

6 Nei primi anni ’70 in Italia si verificò in effetti un caso simile. Le r<strong>iv</strong>en<strong>di</strong>cazioni dei lavoratori<br />

erano intense, e spingevano sempre più in alto i salari. I prezzi aumentavano <strong>di</strong> conseguenza, e la<br />

Banca d’Italia decise <strong>di</strong> accomodare questi andamenti, facendo crescere la quantità <strong>di</strong> moneta al<br />

passo coi salari e i prezzi. L’ex governatore Guido Carli definì polemicamente questa fase un<br />

“labour standard sulla moneta”, volendo con ciò intendere che egli aveva <strong>di</strong> fatto perso il controllo<br />

sulla massa monetaria.<br />

67


semplicemente un incremento dei prezzi mentre non provoca alcun effetto sulle<br />

variabili fisiche, cioè sulla produzione e sulla <strong>di</strong>soccupazione. Inoltre, i liberisti<br />

estremi aggiungono che, essendo la moneta <strong>del</strong> tutto inefficace sulla produzione e<br />

sulle variabili fisiche, allora tanto vale la pena <strong>di</strong> usare la politica monetaria per<br />

fini restritt<strong>iv</strong>i anziché espans<strong>iv</strong>i. Infatti, visto che la moneta è neutrale, si può star<br />

certi che una politica <strong>di</strong> restrizione monetaria alla fine permette <strong>di</strong> ridurre i<br />

prezzi senza provocare effetti negat<strong>iv</strong>i permanenti sulla produzione e<br />

sull’occupazione, che torneranno sempre ai loro l<strong>iv</strong>elli “naturali”.<br />

Questa interpretazione liberista così estrema <strong>del</strong>la neutralità <strong>del</strong>la moneta non<br />

viene cond<strong>iv</strong>isa da Blanchard, il quale ritiene che una politica restritt<strong>iv</strong>a potrebbe<br />

tenere il sistema economico in una situazione <strong>di</strong> bassa produzione ed elevata<br />

<strong>di</strong>soccupazione per molto tempo.<br />

Tale posizione più estrema sembra invece caratterizzare a volte il comportamento<br />

<strong>del</strong>la Banca centrale europea (BCE), la quale usa l’argomento <strong>del</strong>la neutralità<br />

per giustificare l’orientamento restritt<strong>iv</strong>o anziché espans<strong>iv</strong>o <strong>del</strong>la sua politica<br />

monetaria. La BCE <strong>di</strong>chiara infatti che la sua politica non può far nulla per<br />

mo<strong>di</strong>ficare i l<strong>iv</strong>elli <strong>di</strong> equilibrio “naturale” <strong>di</strong> produzione e <strong>di</strong>soccupazione,<br />

mentre è decis<strong>iv</strong>a ai fini <strong>del</strong>la determinazione dei prezzi. Per questo la BCE<br />

giunge alla conclusione che la politica monetaria deve concentrarsi sull’unico<br />

obiett<strong>iv</strong>o che è alla sua portata: l’obiett<strong>iv</strong>o <strong>di</strong> tenere sotto controllo i prezzi per<br />

contrastare eventuali fenomeni inflazionistici.<br />

Infine, si consideri il caso in cui la politica espans<strong>iv</strong>a consista in una variazione<br />

<strong>del</strong> bilancio pubblico da parte <strong>del</strong> governo, ad esempio in un aumento <strong>del</strong>la spesa<br />

pubblica o una riduzione <strong>del</strong>le tasse. In questa circostanza non si può<br />

propriamente parlare <strong>di</strong> neutralità. Infatti, da un lato è vero che pure questa<br />

politica è inefficace, visto che alla lunga non è in grado <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficare i l<strong>iv</strong>elli <strong>di</strong><br />

equilibrio “naturale” <strong>del</strong>la produzione e <strong>del</strong>l’occupazione. Dall’altro lato, però, a<br />

<strong>di</strong>fferenza <strong>del</strong>la espansione monetaria, la politica basata sulla spesa pubblica (e/o<br />

sulle tasse) ha un effetto non neutrale sui tassi d’interesse e sugli investimenti.<br />

Un aumento <strong>di</strong> G infatti provoca un aumento <strong>di</strong> produzione Y, il che dà luogo a un<br />

aumento <strong>di</strong> red<strong>di</strong>to e <strong>di</strong> possibilità <strong>di</strong> spesa; ma per effettuare le spese aggiunt<strong>iv</strong>e<br />

occorre più moneta in portafoglio, il che spinge la popolazione a vendere titoli.<br />

Questa ven<strong>di</strong>ta comporterà quin<strong>di</strong> una riduzione dei prezzi dei titoli e un aumento<br />

dei tassi d’interesse, che a sua volta provocherà una caduta degli investimenti tale<br />

da compensare l’iniziale aumento <strong>del</strong>la spesa pubblica (in termini tecnici si parla<br />

<strong>di</strong> “spiazzamento” degli investimenti da parte <strong>del</strong>la spesa pubblica). La politica<br />

espans<strong>iv</strong>a basata sul bilancio pubblico determina dunque una crescita dei tassi<br />

d’interesse e una riduzione degli investimenti non temporanee, e quin<strong>di</strong> non può<br />

essere definita totalmente neutrale.<br />

68


5.11 Il conflitto salariale è inutile ed è dannoso<br />

Abbiamo dunque visto che, secondo il mo<strong>del</strong>lo AS-AD <strong>di</strong> Blanchard, la politica<br />

espans<strong>iv</strong>a non è in<strong>di</strong>spensabile per uscire da una crisi, ed inoltre è <strong>del</strong> tutto<br />

inefficace se si ha la pretesa <strong>di</strong> usarla per aumentare Y e per ridurre u al <strong>di</strong> là dei<br />

loro rispett<strong>iv</strong>i l<strong>iv</strong>elli <strong>di</strong> equilibrio “naturale”.<br />

E qual è invece la valutazione <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lo nei confronti <strong>del</strong> conflitto salariale?<br />

Cosa accade cioè se i lavoratori iniziano ad esigere salari più alti? La tesi <strong>di</strong><br />

Blanchard, al riguardo, è ancor più drastica: se i lavoratori d<strong>iv</strong>entano più<br />

conflittuali e aumentano le loro r<strong>iv</strong>en<strong>di</strong>cazioni, l’effetto sui salari reali sarà nullo<br />

ed inoltre l’effetto sull’occupazione sarà negat<strong>iv</strong>o. La maggiore conflittualità,<br />

insomma, non dà alcun beneficio salariale e genera solo maggiore <strong>di</strong>soccupazione.<br />

Esaminiamo la Figura 11 per capire in che modo Blanchard giunge a un simile<br />

risultato.<br />

69


F(u,z’)<br />

P<br />

F(u,z)<br />

u<br />

E’<br />

B<br />

N’ N<br />

u’n un<br />

E<br />

Y’n Yn<br />

Fig. 11 – Secondo il mo<strong>del</strong>lo <strong>di</strong> Blanchard la maggiore conflittualità<br />

dei lavoratori (con z’>z) provoca solo danni: infatti i salari reali<br />

restano invariati e la <strong>di</strong>soccupazione aumenta<br />

Il grafico descr<strong>iv</strong>e la seguente situazione. Partiamo da una situazione <strong>di</strong> equilibrio<br />

naturale, espressa dai l<strong>iv</strong>elli <strong>di</strong> <strong>di</strong>soccupazione e <strong>di</strong> produzione un e Yn. Questa<br />

situazione si definisce <strong>di</strong> equilibrio visto che i lavoratori chiedono esattamente<br />

AS’<br />

AS<br />

AD<br />

W/P<br />

A/(1+µ)<br />

70


quel che le imprese offrono (punto N <strong>del</strong> grafico in alto). Supponiamo adesso che<br />

i lavoratori d<strong>iv</strong>entino più combatt<strong>iv</strong>i, e comincino ad esigere salari più alti. Ciò<br />

può avvenire per svariati mot<strong>iv</strong>i: ad esempio per <strong>del</strong>le leggi che li tutelino<br />

maggiormente (come dei sussi<strong>di</strong> <strong>di</strong> <strong>di</strong>soccupazione più alti, o maggiori tutele<br />

contro i licenziamenti ingiustificati); oppure anche perché i lavoratori si iscr<strong>iv</strong>ono<br />

a dei sindacati più conflittuali e r<strong>iv</strong>en<strong>di</strong>cat<strong>iv</strong>i. Sul piano grafico questa maggiore<br />

conflittualità viene espressa dall’aumento <strong>del</strong> relat<strong>iv</strong>o parametro: da z a z’. Ciò<br />

provoca uno spostamento in alto <strong>del</strong>la curva <strong>del</strong> salario reale richiesto dai<br />

lavoratori. La conseguenza è che ora un e Yn non costituiscono più degli equilibri:<br />

adesso, infatti, a parità <strong>di</strong> tasso <strong>di</strong> <strong>di</strong>soccupazione i lavoratori esigono un salario<br />

reale che eccede il salario offerto dalle imprese (segmento BN <strong>del</strong> grafico in alto).<br />

Ciò significa che i lavoratori spingono al rialzo i salari monetari W. A loro volta le<br />

imprese aumenteranno i prezzi P al fine <strong>di</strong> <strong>di</strong>fendere i loro margini <strong>di</strong> profitto.<br />

Ma l’aumento dei prezzi effett<strong>iv</strong>i induce i lavoratori a r<strong>iv</strong>edere al rialzo anche i<br />

prezzi attesi P e , e questo li spinge a chiedere ulteriori aumenti dei salari monetari<br />

per compensare, che scateneranno ulteriori aumenti dei prezzi, e così via<br />

(traslazione in alto <strong>del</strong>la curva <strong>di</strong> offerta, da AS ad AS’).<br />

La corsa al rialzo dei salari e dei prezzi att<strong>iv</strong>a a sua volta un meccanismo che<br />

tende a comprimere la domanda. Infatti, al crescere <strong>di</strong> W e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> P, si verifica<br />

una riduzione <strong>del</strong> valore reale <strong>del</strong>le scorte monetarie M/P. Ciò induce la<br />

popolazione a recuperare moneta vendendo titoli, per cui i prezzi dei titoli<br />

<strong>di</strong>minuiscono e i tassi d’interesse i aumentano. Quin<strong>di</strong> la domanda <strong>di</strong> beni<br />

d’investimento I si riduce, e con essa si riducono la domanda aggregata Z, la<br />

produzione Y e l’occupazione N, mentre la <strong>di</strong>soccupazione u aumenta<br />

(spostamento lungo la AD, dal punto E ad E’). Il processo continua fino a quando<br />

non si raggiunge il nuovo equilibrio “naturale”, corrispondente a u’n (e quin<strong>di</strong><br />

anche a Y’n): in corrispondenza <strong>del</strong> nuovo equilibrio, infatti, la <strong>di</strong>soccupazione è<br />

così alta che spinge i lavoratori a chiedere nuovamente il salario offerto dalle<br />

imprese. Si noti al riguardo che il salario offerto è sempre rimasto allo stesso<br />

l<strong>iv</strong>ello: A/(1+µ). Il che è ovvio, visto che il mo<strong>del</strong>lo <strong>di</strong> Blanchard considera la<br />

produtt<strong>iv</strong>ità A e il mark-up µ come dati esogeni, non influenzabili dalle<br />

r<strong>iv</strong>en<strong>di</strong>cazioni dei lavoratori e dagli esiti <strong>del</strong>la contrattazione.<br />

La conclusione <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lo <strong>di</strong> Blanchard, dunque, è che il conflitto non paga.<br />

Secondo questa visione, i lavoratori farebbero bene ad evitare <strong>di</strong> fare pressioni sui<br />

salari, visto che queste non avrebbero nessun effetto sulle retribuzioni e<br />

provocherebbero solo un aumento <strong>del</strong>la <strong>di</strong>soccupazione.<br />

71


5.12 Le virtù <strong>del</strong>la moderazione salariale<br />

Ma allora, visto che il conflitto non paga, cosa dovrebbero fare i lavoratori per<br />

migliorare le loro con<strong>di</strong>zioni economiche? Il mo<strong>del</strong>lo <strong>di</strong> Blanchard suggerisce la<br />

seguente conclusione: occorre che i lavoratori riducano le loro pretese e attuino<br />

una politica <strong>di</strong> moderazione <strong>del</strong>le richieste salariali. Ossia, occorre che il<br />

parametro <strong>di</strong> conflittualità z <strong>di</strong>minuisca. Osserviamo in proposito la Figura 12.<br />

F(u,z)<br />

F(u,z’)<br />

P<br />

u<br />

N N’<br />

B<br />

un u’n<br />

Fig. 12 – La moderazione salariale (z’


La <strong>di</strong>sponibilità dei lavoratori a ridurre la conflittualità (z’


5.13 Petrolio, anti-trust, immigrazione, produtt<strong>iv</strong>ità, concorrenza estera<br />

Fino a questo punto abbiamo esaminato il mo<strong>del</strong>lo AS-AD <strong>di</strong> Blanchard<br />

soffermandoci sui possibili mutamenti <strong>del</strong>la domanda aggregata e <strong>del</strong> parametro<br />

<strong>di</strong> conflittualità sindacale dei lavoratori. Il mo<strong>del</strong>lo tuttavia si caratterizza per<br />

numerose altre variabili ed è in grado <strong>di</strong> descr<strong>iv</strong>ere molti altri fenomeni, sui quali<br />

sarà bene adesso spendere almeno qualche parola.<br />

Innanzitutto si deve ricordare che il mark-up µ <strong>del</strong>le imprese comprende non solo<br />

il margine <strong>di</strong> profitto che spetta ai titolari <strong>del</strong>le imprese ma anche tutti i costi extra<br />

rispetto al lavoro, come ad esempio il costo <strong>del</strong>le materie prime che vengono<br />

utilizzate nell’att<strong>iv</strong>ità produtt<strong>iv</strong>a. Quin<strong>di</strong> possiamo scr<strong>iv</strong>ere che il mark-up è dato<br />

da due componenti:<br />

<br />

m argine <strong>di</strong> profitto <strong>del</strong>leimprese<br />

costi<br />

extra oltre al lavoro ( es.<br />

petrolio,<br />

ecc.)<br />

Pertanto, se se assume che le imprese siano in grado <strong>di</strong> preservare totalmente il<br />

loro margine <strong>di</strong> profitto, è chiaro che al crescere dei costi <strong>di</strong> produzione extra (ad<br />

esempio a causa <strong>di</strong> un aumento <strong>del</strong> prezzo <strong>del</strong> petrolio) esse aumenteranno il<br />

mark-up µ in misura corrispondente. Stando al mo<strong>del</strong>lo AS-AD <strong>di</strong> Blanchard, la<br />

conseguenza <strong>del</strong>l’aumento <strong>del</strong> prezzo <strong>del</strong> petrolio, e quin<strong>di</strong> <strong>del</strong> mark-up, sarà<br />

una riduzione <strong>del</strong> salario reale e un aumento <strong>del</strong>la <strong>di</strong>soccupazione. Per<br />

<strong>di</strong>mostrare questo risultato osserviamo la Figura 13.<br />

74


P<br />

u<br />

F(u,z)<br />

N’ A<br />

A/(1+µ’)<br />

Fig. 13 – L’aumento <strong>del</strong> costo <strong>del</strong> petrolio (µ’>µ) ricade tutto sulle spalle dei lavoratori,<br />

visto che provoca una riduzione <strong>del</strong> salario reale e un aumento <strong>del</strong>la <strong>di</strong>soccupazione<br />

E’<br />

N<br />

u’n un<br />

AS’<br />

E<br />

Y’n Yn<br />

AD<br />

AS<br />

W/P<br />

A/(1+µ)<br />

75


La crescita <strong>del</strong> costo <strong>del</strong> petrolio induce le imprese ad aumentare il mark-up (da µ<br />

a µ’) e quin<strong>di</strong> ad incrementare i prezzi <strong>di</strong> ven<strong>di</strong>ta P = (1 + µ)W/A. La ragione è<br />

semplice: al fine <strong>di</strong> <strong>di</strong>fendere il loro margine <strong>di</strong> profitto, esse scaricano sui prezzi<br />

l’aumento <strong>del</strong> costo <strong>del</strong>la materia prima. L’aumento <strong>del</strong> mark-up e dei prezzi<br />

corrisponde a una riduzione <strong>del</strong> salario reale offerto dalle imprese, che determina<br />

una traslazione in basso <strong>del</strong>la retta orizzontale corrispondente. Il nuovo salario<br />

reale offerto è A/(1 + µ’). Si viene così a determinare un d<strong>iv</strong>ario tra il salario<br />

domandato dai lavoratori e il salario offerto dalle imprese (segmento NA sul<br />

grafico in alto). Di conseguenza partono le r<strong>iv</strong>en<strong>di</strong>cazioni dei lavoratori, che<br />

att<strong>iv</strong>ano la consueta rincorsa tra salari monetari, prezzi, prezzi attesi, salari<br />

monetari, prezzi, e così via (la AS trasla a sinistra). Inoltre, l’aumento dei prezzi<br />

riduce il valore reale <strong>del</strong>le scorte <strong>di</strong> moneta, induce quin<strong>di</strong> la popolazione a<br />

procurarsi liqui<strong>di</strong>tà vendendo titoli, quin<strong>di</strong> i prezzi dei titoli <strong>di</strong>minuiscono, i tassi<br />

d’interesse aumentano, gli investimenti, la domanda aggregata, la produzione e<br />

l’occupazione si riducono e la <strong>di</strong>soccupazione aumenta (movimento lungo la AD,<br />

dal punto E al punto E’). Il processo continua fino a quando non si raggiunge il<br />

nuovo equilibrio “naturale”, in corrispondenza <strong>del</strong> quale la <strong>di</strong>soccupazione è più<br />

alta e quin<strong>di</strong> i lavoratori sono così deboli da trovarsi costretti ad accettare il<br />

minore salario reale offerto dalle imprese. Alla fine, dunque, secondo il mo<strong>del</strong>lo<br />

<strong>di</strong> Blanchard l’aumento <strong>del</strong> costo <strong>del</strong> petrolio ricade interamente sui<br />

lavoratori: sia perché vedono ridursi il salario reale, sia perché vedono aumentare<br />

la <strong>di</strong>soccupazione.<br />

Ovviamente, va sempre tenuto presente che questo risultato <strong>di</strong>pende da una ipotesi<br />

chiave <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lo <strong>di</strong> Blanchard: quella secondo cui le imprese fissano in modo<br />

esogeno la parte <strong>del</strong> mark-up che spetta a loro, e i lavoratori non sono mai in<br />

grado <strong>di</strong> intaccarla. Pertanto, è sui lavoratori che dovrà per forza ricadere qualsiasi<br />

aumento dei costi <strong>del</strong>le materie prime.<br />

Sebbene Blanchard escluda che le r<strong>iv</strong>en<strong>di</strong>cazioni dei lavoratori possano intaccare i<br />

margini <strong>di</strong> profitto <strong>del</strong>le imprese, egli ammette che in alcuni casi questi ultimi<br />

possano ridursi. In particolare, egli ritiene che la parte <strong>del</strong> mark-up µ che<br />

costituisce i profitti <strong>di</strong>pende dal grado <strong>di</strong> monopolio <strong>del</strong> sistema economico. Se<br />

all’interno <strong>di</strong> un’economia le imprese sono molte e sono in concorrenza tra loro,<br />

allora esse cercheranno <strong>di</strong> ridurre i prezzi più che possono per accaparrarsi clienti,<br />

dunque i loro margini <strong>di</strong> profitto saranno bassi, e quin<strong>di</strong> sarà basso anche il markup<br />

µ. Viceversa, se le imprese sono poche e gran<strong>di</strong>, la concorrenza tra loro è<br />

scarsa. Esse sono quin<strong>di</strong> dotate <strong>di</strong> un elevato potere <strong>di</strong> mercato che gli permette <strong>di</strong><br />

imporre prezzi alti, per cui il grado <strong>di</strong> monopolio sarà elevato, il margine <strong>di</strong><br />

profitto sarà alto e quin<strong>di</strong> sarà alto pure il mark-up µ. Ora, Blanchard ritiene che<br />

sia possibile ridurre il grado <strong>di</strong> monopolio e quin<strong>di</strong> anche il mark-up attraverso<br />

una rigorosa legislazione anti-trust, ossia anti-concentrazioni. Si tratta <strong>di</strong> una<br />

legislazione che elimina le barriere alla concorrenza e che punisce i<br />

76


comportamenti collus<strong>iv</strong>i e le posizioni <strong>di</strong> monopolio. Dunque un inasprimento<br />

<strong>del</strong>la legislazione anti-trust aumenta la concorrenza tra le imprese, spinge i prezzi<br />

verso il basso e quin<strong>di</strong> riduce µ. Ebbene, si <strong>di</strong>mostra che nel mo<strong>del</strong>lo <strong>di</strong> Blanchard<br />

questo tipo <strong>di</strong> politica accresce il salario reale naturale e riduce la<br />

<strong>di</strong>soccupazione naturale (tutto parte dal fatto che le imprese, pressate dalla<br />

maggiore concorrenza, si vedono costrette a ridurre i prezzi e quin<strong>di</strong> µ, il che sul<br />

piano grafico implica una traslazione in alto <strong>del</strong>la retta orizzontale <strong>del</strong> salario<br />

offerto dalle imprese: lo studente verifichi il risultato finale tracciando il grafico e<br />

spiegando la sequenza economica ad esso sottesa).<br />

Il mark-up µ non rappresenta però l’unica variabile in grado <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficare<br />

l’equilibrio <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lo AS-AS <strong>di</strong> Blanchard. Anche l’immigrazione, ad<br />

esempio, può mutare l’equilibrio. Può accadere infatti che i lavoratori immigrati<br />

siano <strong>di</strong>sponibili a lavorare a salari più bassi rispetto ai nat<strong>iv</strong>i. Ciò corrisponde a<br />

una riduzione <strong>del</strong> parametro <strong>di</strong> conflittualità z, dovuto alla maggiore<br />

<strong>di</strong>sponibilità ad accontentarsi dei lavoratori provenienti dall’estero. E noi<br />

sappiamo che la riduzione <strong>di</strong> z implica una traslazione in basso <strong>del</strong>la curva <strong>del</strong><br />

salario reale richiesto, ed un nuovo equilibrio finale caratterizzato da un salario<br />

reale identico e da una minore <strong>di</strong>soccupazione naturale. La ragione per cui il<br />

salario reale non si mo<strong>di</strong>fica è sempre la stessa: il mo<strong>del</strong>lo <strong>di</strong> Blanchard assume<br />

che le imprese si accontentino in ogni caso <strong>del</strong> mark-up µ. Per cui, nel momento<br />

in cui, sotto la pressione degli immigrati, i lavoratori ridurranno i salari monetari<br />

W, le imprese a loro volta ridurranno i prezzi P, att<strong>iv</strong>ando così il solito<br />

meccanismo <strong>di</strong> espansione <strong>del</strong>la domanda <strong>di</strong> merci, <strong>del</strong>la produzione, <strong>del</strong>la<br />

occupazione, con conseguente abbassamento finale <strong>del</strong>la <strong>di</strong>soccupazione (lo<br />

studente verifichi, sia sul piano grafico che su quello <strong>del</strong>la spiegazione<br />

economica). Riguardo in particolare alla <strong>di</strong>soccupazione, va ricordato che per<br />

definizione essa è data da u = U/L = U/(U + N). Anche guardando questa formula<br />

si comprende che se tutti gli immigrati trovano un lavoro, allora gli occupati N<br />

aumenteranno nella stessa misura <strong>del</strong>l’aumento degli immigrati, e questo alla fine<br />

ridurrà il tasso <strong>di</strong> <strong>di</strong>soccupazione.<br />

Ed ancora, cosa accade se un cambiamento tecnologico accresce la produtt<strong>iv</strong>ità<br />

<strong>del</strong> lavoro A? E’ possibile ad esempio che un aumento <strong>del</strong>la produtt<strong>iv</strong>ità generi<br />

quella che viene solitamente definita <strong>di</strong>soccupazione tecnologica? La risposta <strong>del</strong><br />

mo<strong>del</strong>lo <strong>di</strong> Blanchard è negat<strong>iv</strong>a: la <strong>di</strong>soccupazione tecnologica non può esistere.<br />

Si potrebbe ritenere, a questo proposito, che se il miglioramento tecnico fa sì che<br />

ogni lavoratore produca un numero <strong>di</strong> merci maggiore, allora le imprese<br />

potrebbero liberarsi dei lavoratori d<strong>iv</strong>enuti eccedenti. Tuttavia Blanchard fa notare<br />

che un aumento <strong>di</strong> A comporta pure una riduzione dei costi <strong>di</strong> produzione W/A, e<br />

quin<strong>di</strong> – posto che µ resti come al solito invariato – determina una riduzione dei<br />

prezzi <strong>di</strong> ven<strong>di</strong>ta P = (1 + µ)W/A. Ma la riduzione dei prezzi a sua volta accresce<br />

la domanda, la produzione e l’occupazione, e consente quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> assorbire<br />

77


nuovamente i lavoratori che altrimenti sarebbero stati messi in esubero a causa<br />

<strong>del</strong> progresso tecnico. Stando al mo<strong>del</strong>lo <strong>di</strong> Blanchard, dunque, il risultato finale è<br />

interamente posit<strong>iv</strong>o, e in un certo senso opposto a quello che si poteva<br />

immaginare: il progresso tecnico, e la conseguente crescita <strong>del</strong>la produtt<strong>iv</strong>ità,<br />

determinano non solo un aumento <strong>del</strong> salario reale ma anche una riduzione<br />

<strong>del</strong>la <strong>di</strong>soccupazione naturale (lo studente verifichi gli effetti <strong>del</strong> cambiamento<br />

tecnico, sia sul piano grafico che su quello <strong>del</strong>la spiegazione economica: si parte<br />

dalla riduzione <strong>di</strong> P causata dall’aumento <strong>di</strong> A, e da uno spostamento in alto <strong>del</strong>la<br />

retta <strong>del</strong> salario offerto dalle imprese).<br />

Infine, consideriamo il caso <strong>di</strong> una economia aperta agli scambi internazionali e al<br />

conseguente fenomeno <strong>del</strong>la concorrenza estera. Supponiamo che per mantenere<br />

l’equilibrio negli scambi con l’estero, il nostro paese debba mantenere il prezzo<br />

<strong>del</strong>le sue merci al medesimo l<strong>iv</strong>ello <strong>del</strong> prezzo <strong>del</strong>le merci prodotte all’estero,<br />

ossia: P = P x . Se il prezzo interno d<strong>iv</strong>enta superiore al prezzo estero si viene a<br />

creare un eccesso <strong>di</strong> domanda <strong>di</strong> merci straniere rispetto a quelle nazionali, e si<br />

verrà quin<strong>di</strong> a determinare uno squilibrio alla lunga insostenibile nei conti esteri<br />

<strong>del</strong> paese. Supponiamo allora <strong>di</strong> partire da una situazione <strong>di</strong> equilibrio naturale,<br />

nella quale è rispettata pure la con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> equilibrio con l’estero P = P x .<br />

Assumiamo ora che improvvisamente il prezzo <strong>del</strong>le merci straniere si riduca. E’<br />

chiaro che bisognerà trovare il modo <strong>di</strong> ridurre anche il prezzo P interno, per<br />

evitare un insostenibile squilibrio internazionale. Per ottenere la riduzione <strong>di</strong> P le<br />

soluzioni principali sono due: 1) si attua una politica restritt<strong>iv</strong>a – ad esempio una<br />

riduzione <strong>di</strong> M – che faccia traslare la curva <strong>di</strong> domanda aggregata AD a sinistra e<br />

che alla fine conduca il sistema economico ad un nuovo equilibrio, caratterizzato<br />

da prezzi più bassi e dal medesimo l<strong>iv</strong>ello <strong>di</strong> produzione e <strong>di</strong>soccupazione<br />

naturale; oppure 2) si attua una politica <strong>di</strong> moderazione salariale – con riduzione<br />

<strong>di</strong> z – che faccia traslare in basso sia la curva <strong>del</strong> salario reale richiesto sia la curva<br />

<strong>di</strong> offerta aggregata AS, e che alla fine conduca il sistema ad un nuovo equilibrio<br />

caratterizzato da prezzi più bassi e anche da una minore <strong>di</strong>soccupazione naturale.<br />

La prima soluzione, puramente monetaria, è perfettamente neutrale: essa infatti<br />

agisce solo sui prezzi monetari e non ha alcun impatto sulle variabili fisiche. La<br />

seconda soluzione ha invece sia effetti monetari che reali, cioè fisici. In entrambi i<br />

casi, comunque, l’equilibrio sia “naturale” che dei conti esteri viene<br />

ripristinato senza gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>fficoltà, vale a <strong>di</strong>re con sacrifici solo temporanei:<br />

nel caso <strong>del</strong>la politica restritt<strong>iv</strong>a una crescita <strong>del</strong>la <strong>di</strong>soccupazione solo<br />

passeggera, e nel caso <strong>del</strong>la moderazione salariale un calo <strong>del</strong>le retribuzioni solo<br />

momentaneo. Dunque, stando al mo<strong>del</strong>lo AS-AD, la concorrenza estera non<br />

dovrebbe creare eccess<strong>iv</strong>e <strong>di</strong>fficoltà, e quin<strong>di</strong> vale sempre la pena <strong>di</strong> aprirsi agli<br />

scambi internazionali. Posto ovviamente che i lavoratori non facciano resistenza<br />

alle riduzioni dei salari monetari che servono per raggiungere le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong><br />

equilibrio (lo studente verifichi anche in tal caso la fondatezza <strong>di</strong> queste<br />

78


conclusioni, assumendo <strong>di</strong> dover portare il l<strong>iv</strong>ello dei prezzi da un iniziale P x a un<br />

success<strong>iv</strong>o P x’ < P x ).<br />

5.14 Le conclusioni <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lo <strong>di</strong> Blanchard<br />

Possiamo dunque riassumere le principali conclusioni politiche <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lo <strong>di</strong><br />

Blanchard. La prima è che le politiche economiche <strong>di</strong> espansione <strong>del</strong>la domanda<br />

non sono in<strong>di</strong>spensabili per uscire da una crisi economica. La seconda è che le<br />

medesime politiche non possono condurre l’economia al <strong>di</strong> là <strong>del</strong>l’equilibrio<br />

naturale (o meglio, possono oltrepassare l’equilibrio naturale ma finirebbero in tal<br />

modo per alimentare un conflitto perenne tra imprese e lavoratori e una<br />

conseguente, continua crescita <strong>del</strong>l’inflazione). La terza conclusione è che le<br />

r<strong>iv</strong>en<strong>di</strong>cazioni dei lavoratori non sono mai in grado <strong>di</strong> accrescere il salario reale <strong>di</strong><br />

equilibrio. Quest’ultimo è infatti determinato solo ed esclus<strong>iv</strong>amente dal mark-up<br />

deciso dalle imprese. Anziché r<strong>iv</strong>en<strong>di</strong>care inutilmente salari reali più alti, dunque,<br />

i lavoratori farebbero meglio a moderare le richieste salariali. Solo in tal modo,<br />

infatti, la <strong>di</strong>soccupazione potrebbe ridursi senza generare conflitti e conseguenti<br />

tensioni inflazionistiche.<br />

Insomma, il mo<strong>del</strong>lo neoclassico <strong>di</strong> Blanchard valuta molto negat<strong>iv</strong>amente le<br />

pressioni politiche dal lato <strong>del</strong>la domanda e le pressioni sociali dal lato dei salari.<br />

Per Blanchard occorre che l’azione dei governi e dei sindacati sia compatibile con<br />

i l<strong>iv</strong>elli <strong>di</strong> equilibrio “naturale” <strong>del</strong>la <strong>di</strong>soccupazione e dei salari. Al limite, solo<br />

moderando le richieste salariali i lavoratori potranno favorire una riduzione <strong>del</strong>la<br />

<strong>di</strong>soccupazione naturale.<br />

A questi risultati se ne aggiungono poi altri particolarmente ottimistici, come<br />

quelli secondo i quali fenomeni come l’immigrazione, il progresso tecnologico o<br />

la concorrenza estera possono essere assorbiti senza particolari <strong>di</strong>fficoltà dal<br />

sistema economico. I sacrifici per i lavoratori sarebbero infatti al limite solo<br />

temporanei. Alla fine, però, il sistema raggiungerà un equilibrio naturale<br />

caratterizzato da l<strong>iv</strong>elli <strong>di</strong> <strong>di</strong>soccupazione o dei salari invariati o al limite anche<br />

migliori rispetto al passato.<br />

In definit<strong>iv</strong>a, il mo<strong>del</strong>lo <strong>di</strong> Blanchard offre una interpretazione altamente<br />

ottimistica <strong>del</strong> funzionamento <strong>di</strong> una economia <strong>di</strong> mercato <strong>di</strong> tipo capitalistico.<br />

Tranne eccezioni limitate, il mo<strong>del</strong>lo giunge a conclusioni sostanzialmente<br />

avverse all’intervento pubblico nell’economia, e quin<strong>di</strong> può essere definito <strong>di</strong> tipo<br />

liberista. Più in particolare, il mo<strong>del</strong>lo giu<strong>di</strong>ca negat<strong>iv</strong>amente ogni pressione<br />

79


politica o sociale tesa a mo<strong>di</strong>ficare l’equilibrio naturale: le azioni dei governi e dei<br />

sindacati dovrebbero rendersi invece armoniche e compatibili rispetto<br />

all’equilibrio naturale, ed è per questo che il mo<strong>del</strong>lo può essere anche definito<br />

compatibilista.<br />

80


IL MODELLO “CONFLITTUALISTA”<br />

ALTERNATIVO<br />

Il mo<strong>del</strong>lo AS-AD <strong>di</strong> Blanchard rappresenta la versione più recente dei mo<strong>del</strong>li<br />

macroeconomici neoclassici. Le origini <strong>del</strong>la teoria neoclassica vengono<br />

solitamente fatte risalire al 1870 e ai contributi pionieristici <strong>di</strong> Jevons, Menger e<br />

Walras. Questa teoria si pose fin dai primor<strong>di</strong> in aperta contrad<strong>di</strong>zione con il<br />

marxismo. La visione teorica <strong>di</strong> Marx, infatti, si basava sull’idea che il conflitto<br />

tra le classi sociali rappresentasse il fondamentale motore <strong>del</strong>l’economia e più in<br />

generale <strong>del</strong>la Storia. L’impostazione neoclassica, al contrario, proponeva una<br />

interpretazione armonica <strong>del</strong> sistema economico, che al posto <strong>del</strong> conflitto<br />

poneva i concetti <strong>di</strong> equilibrio naturale e <strong>di</strong> compatibilità ad esso. In base a<br />

questa impostazione, il libero operare <strong>del</strong>le forze <strong>del</strong> mercato capitalistico avrebbe<br />

garantito il raggiungimento e il mantenimento <strong>del</strong>l’equilibrio naturale, ossia <strong>di</strong> un<br />

equilibrio vantaggioso per tutti.<br />

La teoria neoclassica si impose in ambito accademico e politico molto<br />

rapidamente. Il suo dominio culturale rimase in<strong>di</strong>scusso per tutto il periodo a<br />

cavallo tra il XIX e il XX secolo. Tuttavia, a seguito <strong>del</strong> primo conflitto mon<strong>di</strong>ale,<br />

<strong>del</strong>la r<strong>iv</strong>oluzione socialista in Russia e poi <strong>del</strong>la grande crisi <strong>del</strong> 1929, la<br />

supremazia culturale neoclassica venne meno. L’idea <strong>di</strong> un sistema capitalistico<br />

armonico, in grado <strong>di</strong> raggiungere spontaneamente un equilibrio naturale e<br />

ottimale per tutti entrò in contrad<strong>di</strong>zione con una realtà storica dominata da guerre<br />

e conflitti sociali, e dalla palese incapacità <strong>del</strong>le sole forze <strong>del</strong> mercato <strong>di</strong> fare<br />

uscire l’economia mon<strong>di</strong>ale da una crisi che aveva generato elevatissimi l<strong>iv</strong>elli <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>soccupazione. Le scuole <strong>di</strong> pensiero antagoniste alla teoria neoclassica<br />

conquistarono dunque nuovamente la ribalta. Le idee <strong>di</strong> Marx tornarono a<br />

circolare, e ad esse si aggiunsero quelle <strong>di</strong> Keynes, un economista britannico che<br />

sosteneva la necessità <strong>di</strong> un massiccio intervento pubblico nell’economia al fine <strong>di</strong><br />

evitare le crisi e <strong>di</strong> assicurare la piena occupazione dei lavoratori. Queste teorie<br />

antagoniste godettero <strong>di</strong> un notevole successo, sia culturale che politico, fino alla<br />

seconda metà degli anni ’70. La loro <strong>di</strong>ffusione avvenne in concomitanza con un<br />

periodo <strong>di</strong> ampio intervento pubblico, <strong>di</strong> politiche economiche espans<strong>iv</strong>e e <strong>di</strong> forti<br />

r<strong>iv</strong>en<strong>di</strong>cazioni sociali da parte dei sindacati dei lavoratori.<br />

Ma a partire dagli anni ’80 la situazione politica e il clima culturale cambiano<br />

nuovamente. Con la vittoria dei partiti conservatori in Gran Bretagna e negli Stati<br />

Uniti, si impone nuovamente in tutto il mondo occidentale una concezione<br />

liberista <strong>del</strong> sistema economico. Le politiche espans<strong>iv</strong>e vengono ban<strong>di</strong>te, e le<br />

r<strong>iv</strong>en<strong>di</strong>cazioni sindacali vengono fortemente osteggiate. Le antiche idee<br />

81


neoclassiche tornano dunque a primeggiare, in una veste tuttavia aggiornata<br />

rispetto al passato. Il mo<strong>del</strong>lo <strong>di</strong> Blanchard, che va formandosi proprio tra gli anni<br />

’80 e ’90, rappresenta per l’appunto la nuova versione <strong>del</strong>la teoria neoclassica.<br />

Questo mo<strong>del</strong>lo, e le ricette neo-liberiste che esso propone, appaiono oggi<br />

dominanti sia sul piano accademico che politico. Tuttavia le scuole <strong>di</strong> pensiero<br />

“critico” lo incalzano su più fronti, mettendone in luce i punti deboli e le<br />

contrad<strong>di</strong>zioni. In quel che segue ci soffermeremo proprio sulle obiezioni che gli<br />

economisti “critici” r<strong>iv</strong>olgono al mo<strong>del</strong>lo neoclassico <strong>di</strong> Blanchard. Da queste<br />

critiche der<strong>iv</strong>eremo quin<strong>di</strong> un mo<strong>del</strong>lo macroeconomico alternat<strong>iv</strong>o, che come<br />

vedremo giunge a conclusioni ben d<strong>iv</strong>erse rispetto a quelle neoclassiche. In<br />

particolare, il mo<strong>del</strong>lo alternat<strong>iv</strong>o abbandona l’idea armonica <strong>del</strong>l’equilibrio<br />

“naturale” per introdurre nuovamente un’idea conflittuale dei rapporti sociali e<br />

<strong>del</strong> funzionamento <strong>del</strong>l’economia.<br />

Il mo<strong>del</strong>lo <strong>di</strong> Blanchard poggia su due pilastri teorici fondamentali: 1) la<br />

relazione inversa tra prezzi da un lato e domanda aggregata e produzione<br />

dall’altro (che dà luogo a una curva <strong>di</strong> domanda aggregata AD decrescente), e<br />

2) il carattere esogeno <strong>del</strong> mark-up µ e <strong>del</strong> parametro <strong>di</strong> conflittualità z (che danno<br />

luogo a una retta <strong>del</strong> salario offerto e a una curva <strong>del</strong> salario domandato immobili,<br />

e quin<strong>di</strong> <strong>del</strong> tutto insensibili agli esiti <strong>del</strong>la contrattazione tra imprese e<br />

lavoratori).<br />

Ve<strong>di</strong>amo allora in che modo gli esponenti <strong>del</strong>le scuole antagoniste sottopongono a<br />

critica questi due pilastri teorici.<br />

5.15 La critica alla AD decrescente <strong>di</strong> Blanchard<br />

Il mo<strong>del</strong>lo <strong>di</strong> Blanchard, come abbiamo visto, sancisce l’inefficacia <strong>del</strong>le politiche<br />

economiche rispetto al tentat<strong>iv</strong>o <strong>di</strong> allontanarsi dal tasso <strong>di</strong> <strong>di</strong>soccupazione<br />

naturale. Questa conclusione <strong>di</strong>pende dall’ipotesi che la curva <strong>di</strong> domanda AD sia<br />

decrescente. Infatti, solo se la AD è decrescente allora si può <strong>di</strong>re che le variazioni<br />

dei prezzi garantiranno sempre la convergenza spontanea <strong>del</strong> sistema economico<br />

alla produzione naturale Yn e quin<strong>di</strong> al tasso naturale un. Una politica <strong>di</strong><br />

espansione <strong>del</strong>la domanda potrebbe in effetti spingere la <strong>di</strong>soccupazione al <strong>di</strong><br />

sotto <strong>di</strong> un. Ma si tratterebbe, come abbiamo visto, <strong>di</strong> una situazione instabile.<br />

Infatti, a causa <strong>del</strong> conflitto tra imprese e lavoratori e <strong>del</strong>la conseguente crescita <strong>di</strong><br />

P, l’offerta <strong>di</strong> moneta reale M/P, la domanda <strong>di</strong> merci e la produzione si<br />

ridurrebbero e il sistema tornerebbe all’equilibrio naturale (si vedano i paragrafi 9<br />

82


e 10). Oppure, alternat<strong>iv</strong>amente, se a causa <strong>di</strong> una crisi ci si trovasse a un l<strong>iv</strong>ello<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>soccupazione u > un, allora i salari e i prezzi <strong>di</strong>minuirebbero, la domanda <strong>di</strong><br />

merci e la produzione aumenterebbero e il sistema economico convergerebbe<br />

spontaneamente all’equilibrio naturale, al limite senza alcun sostegno da parte<br />

<strong>del</strong>le politiche <strong>di</strong> espansione <strong>del</strong>la domanda (si veda il paragrafo 8). Dunque, sia<br />

che ci si trovi al <strong>di</strong> sotto oppure al <strong>di</strong> sopra <strong>del</strong>l’equilibrio naturale, in ogni caso si<br />

verificheranno dei mutamenti dei salari, dei prezzi, <strong>del</strong>la domanda e <strong>del</strong>la<br />

produzione che, muovendo l’economia lungo la curva AD decrescente,<br />

riporteranno il sistema in equilibrio.<br />

Ma cosa in effetti assicura che la <strong>di</strong>namica dei salari e dei prezzi riesca<br />

effett<strong>iv</strong>amente ad influenzare la domanda <strong>di</strong> merci? Ossia, chi ci assicura che<br />

la domanda aggregata AD sia effett<strong>iv</strong>amente decrescente? La risposta, come<br />

abbiamo visto prima, verte sulla solita sequenza: dato M, gli incrementi <strong>di</strong> P<br />

determinano <strong>di</strong>minuzioni <strong>di</strong> M/P, aumenti <strong>di</strong> i, <strong>di</strong>minuzioni <strong>di</strong> I, <strong>di</strong> Z e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> Y.<br />

Ovviamente, invece, le <strong>di</strong>minuzioni <strong>di</strong> P provocano aumenti <strong>di</strong> M/P, riduzioni <strong>di</strong> i,<br />

aumenti <strong>di</strong> I, Z e quin<strong>di</strong> Y. Esiste insomma una relazione inversa tra prezzi da un<br />

lato, e domanda e produzione dall’altro.<br />

Proprio questa relazione inversa è stata uno dei principali oggetti <strong>di</strong> contestazione<br />

da parte degli economisti critici, in particolare keynesiani. Durante la grande crisi<br />

degli anni Trenta, gli economisti neoclassici ritenevano che una riduzione dei<br />

salari e quin<strong>di</strong> dei prezzi fosse sufficiente ad accrescere la domanda e la<br />

produzione, e quin<strong>di</strong> a ridurre la <strong>di</strong>soccupazione. I neoclassici cioè ritenevano<br />

che, trovandosi l’economia mon<strong>di</strong>ale in un punto come A <strong>di</strong> Fig. 9, fosse<br />

sufficiente far declinare salari e prezzi per tendere verso il punto E’ ed uscire così<br />

dalla crisi. Il sistema economico tuttavia sembrava essersi da tempo incagliato in<br />

un punto come A, caratterizzato da una elevatissima <strong>di</strong>soccupazione. Per<br />

giustificare questa incapacità <strong>del</strong>l’economia <strong>di</strong> trarsi spontaneamente fuori dalla<br />

crisi, i teorici neoclassici puntarono il <strong>di</strong>to sui sindacati, colpevoli a loro avviso<br />

<strong>di</strong> opporsi al ribasso dei salari monetari e quin<strong>di</strong> dei prezzi, e <strong>di</strong> impe<strong>di</strong>re in tal<br />

modo che la domanda e la produzione potessero tornare a crescere.<br />

I keynesiani contestarono duramente l’interpretazione <strong>del</strong>la crisi da parte dei<br />

neoclassici. Egli sostenne che, se anche i sindacati avessero accettato la riduzione<br />

dei salari monetari, la conseguente riduzione dei prezzi non avrebbe<br />

necessariamente garantito una espansione <strong>del</strong>la domanda. La critica<br />

keynesiana, insomma, implicitamente solleva dubbi circa il fatto che la AD<br />

sia effett<strong>iv</strong>amente decrescente.<br />

Ci sono varie ragioni per cui gli economisti critici hanno dubitato <strong>del</strong>l’esistenza <strong>di</strong><br />

una AD decrescente, ossia <strong>di</strong> una relazione inversa tra prezzi e domanda<br />

aggregata.<br />

83


In primo luogo, essi ritengono che la riduzione <strong>di</strong> P e il conseguente aumento <strong>di</strong><br />

M/P non necessariamente provocano una <strong>di</strong>minuzione <strong>del</strong> tasso d’interesse i.<br />

La ragione è questa. La <strong>di</strong>minuzione <strong>di</strong> P genera un incremento <strong>del</strong> valore reale<br />

M/P <strong>del</strong>le scorte <strong>di</strong> moneta, e quin<strong>di</strong> dovrebbe spingere gli operatori a liberarsi<br />

<strong>del</strong>le scorte eccedenti acquistando titoli. L’acquisto <strong>di</strong> titoli farebbe aumentare il<br />

prezzo dei titoli e quin<strong>di</strong> ridurrebbe il tasso d’interesse. Il problema, secondo i<br />

keynesiani, è che se gli operatori sono convinti <strong>del</strong> fatto che in futuro il prezzo dei<br />

titoli sia destinato a cadere, essi eviteranno <strong>di</strong> comprarli anche se le loro scorte <strong>di</strong><br />

moneta risultano eccedenti. E’ evidente infatti che gli operatori finanziari<br />

professionisti non hanno alcuna intenzione <strong>di</strong> acquistare titoli che finiranno<br />

per perdere valore in futuro. Dunque, sebbene la riduzione <strong>di</strong> P generi un<br />

eccesso <strong>di</strong> M/P in portafoglio, non è affatto detto che ciò induca gli operatori a<br />

comprare titoli, e quin<strong>di</strong> non è detto che i prezzi degli stessi aumentino e che il<br />

tasso d’interesse si riduca. Questa situazione è nota come “trappola <strong>del</strong>la<br />

liqui<strong>di</strong>tà”, dal momento che in essa gli operatori sono spinti a trattenere<br />

esclus<strong>iv</strong>amente moneta liquida anziché titoli.<br />

In secondo luogo, i critici sostengono che, se anche al <strong>di</strong>minuire <strong>di</strong> P e al crescere<br />

<strong>di</strong> M/P il tasso d’interesse si riducesse, non è detto che gli investimenti<br />

aumenterebbero. Gli economisti critici infatti ritengono che gli investimenti in<br />

nuovi macchinari e impianti da parte <strong>del</strong>le imprese <strong>di</strong>pendono molto più dalle<br />

aspettat<strong>iv</strong>e sui profitti futuri che dal tasso d’interesse. Se ad esempio le<br />

imprese sono pessimiste circa i profitti che potranno in futuro trarre da eventuali<br />

nuovi impianti produtt<strong>iv</strong>i, esse rinunceranno ad investire nell’acquisto degli<br />

impianti anche se il tasso d’interesse fosse molto basso, ossia anche se fosse basso<br />

il costo dei prestiti necessari a finanziare quegli investimenti.<br />

Infine, prendendo spunto dagli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Piero Sraffa, è possibile <strong>di</strong>mostrare che il<br />

segno <strong>del</strong>la relazione tra il tasso d’interesse e gli investimenti è incerto, nel senso<br />

che al <strong>di</strong>minuire <strong>di</strong> i potrebbe anche accadere che gli investimenti si riducano<br />

anziché aumentare. Per comprendere il senso <strong>di</strong> questa critica, basti qui tener<br />

conto <strong>del</strong> fatto che gli investimenti corrispondono alla spesa monetaria <strong>del</strong>le<br />

imprese effettuata per l’acquisto <strong>di</strong> macchine, attrezzature e impianti. Per<br />

determinare gli investimenti occorre quin<strong>di</strong> moltiplicare queste macchine e queste<br />

attrezzature per i rispett<strong>iv</strong>i prezzi <strong>di</strong> ven<strong>di</strong>ta. Il punto è che il tasso d’interesse può<br />

esser considerato parte dei costi <strong>di</strong> produzione, e dunque contribuisce a sua volta a<br />

determinare i prezzi <strong>di</strong> ven<strong>di</strong>ta. Ma allora, se il tasso d’interesse si riduce, può ben<br />

darsi che i prezzi dei macchinari si riducano, e quin<strong>di</strong> che il valore degli<br />

investimenti tenda a ridursi anziché ad aumentare.<br />

84


Per queste ragioni noi qui escluderemo l’esistenza <strong>di</strong> una chiara relazione<br />

inversa tra prezzi e domanda. A titolo puramente esemplificat<strong>iv</strong>o, questa<br />

posizione teorica può essere descritta da una AD verticale anziché decrescente.<br />

La AD verticale in<strong>di</strong>ca che l’effetto dei prezzi sulla domanda aggregata non<br />

sussiste più. Anche se P <strong>di</strong>minuisce e M/P aumenta, non è più detto che i si<br />

riduca, e se anche quest’ultimo si riducesse non è certo che I reagisca. La AD<br />

verticale in<strong>di</strong>ca per l’appunto che le variazioni <strong>di</strong> P non agiscono più sul l<strong>iv</strong>ello <strong>di</strong><br />

domanda. Tuttavia, pur essendo verticale, la domanda aggregata risulterà<br />

comunque influenzata dalle altre variabili <strong>del</strong> sistema. Ad esempio, se per una<br />

crisi <strong>di</strong> fiducia gli investimenti <strong>del</strong>le imprese dovessero ridursi, la domanda<br />

aggregata si ridurrà e quin<strong>di</strong> la AD si sposterà verso sinistra. Oppure, se il<br />

governo decidesse <strong>di</strong> attuare una politica espans<strong>iv</strong>a – ad esempio tramite<br />

l’aumento <strong>di</strong> spesa pubblica o la riduzione <strong>del</strong>le tasse – la domanda aumenterà e<br />

assisteremo a uno spostamento <strong>del</strong>la AD a destra.<br />

5.16 La critica al carattere esogeno <strong>del</strong> mark-up e <strong>del</strong> parametro <strong>di</strong><br />

conflittualità<br />

Abbiamo visto che il mo<strong>del</strong>lo <strong>di</strong> Blanchard assume che il mark-up µ e il<br />

parametro <strong>di</strong> conflittualità z siano entrambi esogeni. Con ciò si vuole affermare<br />

l’idea che il salario offerto e il salario domandato non possano essere <strong>di</strong> volta in<br />

volta influenzati dai rapporti <strong>di</strong> forza tra imprese e lavoratori e dal relat<strong>iv</strong>o<br />

andamento <strong>del</strong>le contrattazioni.<br />

Al contrario, gli economisti critici hanno recuperato una idea tipica <strong>di</strong> Marx,<br />

secondo cui le modalità <strong>di</strong> realizzazione <strong>del</strong>la produzione e anche la sua<br />

<strong>di</strong>stribuzione tra salari e profitti <strong>di</strong>pendono dai rapporti <strong>di</strong> forza tra le classi<br />

sociali, e quin<strong>di</strong> possono mo<strong>di</strong>ficarsi al mutare <strong>di</strong> quei rapporti. Volendo<br />

applicare una simile concezione al presente <strong>di</strong>scorso, si scopre che il mo<strong>del</strong>lo <strong>di</strong><br />

Blanchard ne risulta stravolto. Infatti, in quest’ottica, si ritiene che tutte le<br />

variabili chiave <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lo siano con<strong>di</strong>zionate dagli interessi tra le parti in gioco,<br />

e dai conflitti che vengono ad instaurarsi tra <strong>di</strong> esse.<br />

Ciò significa, per esempio, che la produtt<strong>iv</strong>ità <strong>del</strong> lavoro A non è più una mera<br />

variabile tecnologica, ma d<strong>iv</strong>enta essa stessa oggetto <strong>di</strong> contrattazione. Inoltre, lo<br />

stesso l<strong>iv</strong>ello <strong>di</strong> domanda aggregata e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> produzione Y d<strong>iv</strong>entano soggetti a<br />

pressione da parte dei d<strong>iv</strong>ersi gruppi sociali: i lavoratori invocheranno magari una<br />

politica <strong>di</strong> piena occupazione, mentre i capitalisti potrebbero pre<strong>di</strong>ligere un certo<br />

l<strong>iv</strong>ello <strong>di</strong> <strong>di</strong>soccupazione, al fine <strong>di</strong> contenere il potenziale r<strong>iv</strong>en<strong>di</strong>cat<strong>iv</strong>o dei<br />

<strong>di</strong>pendenti.<br />

85


Ma soprattutto, noi qui ci soffermeremo su due variabili cruciali: assumeremo<br />

infatti che il mark-up e il parametro <strong>di</strong> conflittualità debbano esser fatti scaturire<br />

dallo stato dei rapporti <strong>di</strong> forza tra le classi sociali. I l<strong>iv</strong>elli <strong>di</strong> z e µ saranno<br />

soggetti alle pressioni sociali e saranno quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> volta in volta determinati dalla<br />

forza relat<strong>iv</strong>a <strong>del</strong>le imprese e dei lavoratori nelle fasi <strong>di</strong> contrattazione. Ciò<br />

significa che essi non possono più esser considerati entrambi esogeni.<br />

In particolare, se i rapporti <strong>di</strong> forza sono favorevoli ai lavoratori, allora z sarà<br />

considerato esogeno e µ sarà invece endogeno. Sul piano grafico, sarà dunque la<br />

retta orizzontale <strong>del</strong> salario offerto a doversi adeguare al salario richiesto.<br />

Viceversa, se i rapporti <strong>di</strong> forza sono favorevoli alle imprese, allora z sarà<br />

considerato endogeno e µ esogeno. Sul piano grafico, quin<strong>di</strong>, la curva <strong>del</strong> salario<br />

richiesto tenderà ad adeguarsi al salario offerto. Si capisce dunque che l’ipotesi <strong>di</strong><br />

µ esogeno, che Blanchard dava per scontata, qui è solo una tra le varie<br />

possibilità.<br />

Ovviamente quelli appena descritti sono solo i due casi estremi, utili soprattutto<br />

per scopi <strong>di</strong>dattici: più realisticamente, entrambe le variabili tenderanno ad<br />

avvicinarsi l’una all’altra, e quin<strong>di</strong> i nuovi l<strong>iv</strong>elli <strong>di</strong> µ e z si situeranno tra l’uno e<br />

l’altro estremo (in ogni caso, per prendere <strong>di</strong>mestichezza con il mo<strong>del</strong>lo e con i<br />

relat<strong>iv</strong>i esercizi, lo studente può inizialmente assumere che i lavoratori abbiano<br />

sempre la meglio, e che <strong>di</strong> conseguenza z sia esogeno e il mark-up µ sia costretto<br />

ad adeguarsi).<br />

Come vedremo, proprio il fatto che z e µ possano mo<strong>di</strong>ficarsi <strong>di</strong> continuo, e che<br />

almeno uno <strong>di</strong> essi debba necessariamente esser considerato endogeno, elimina<br />

qualsiasi possibilità <strong>di</strong> riferimento a un equilibrio “naturale”. L’equilibrio <strong>del</strong><br />

sistema, infatti, risulta ora con<strong>di</strong>zionato dal conflitto, e dalla <strong>di</strong>namica dei rapporti<br />

<strong>di</strong> forza tra le classi sociali.<br />

5.17 Il mo<strong>del</strong>lo conflittualista completo<br />

Una volta che si sia ipotizzata una curva AD verticale anziché decrescente e un<br />

mark-up µ e un parametro z che non possono esser più considerati entrambi<br />

esogeni, d<strong>iv</strong>enta possibile descr<strong>iv</strong>ere il mo<strong>del</strong>lo conflittualista alternat<strong>iv</strong>o. Si veda<br />

al riguardo la Figura 14:<br />

86


F(u, z)<br />

P<br />

u<br />

Y<br />

Fig. 14 – Il mo<strong>del</strong>lo conflittualista alternat<strong>iv</strong>o<br />

Questo mo<strong>del</strong>lo, come vedremo, giunge a risultati molto d<strong>iv</strong>ersi e talvolta opposti<br />

rispetto al mo<strong>del</strong>lo neoclassico-compatibilista <strong>di</strong> Blanchard. Del resto, già dal<br />

grafico <strong>di</strong> Figura 14 è possibile notare <strong>del</strong>le novità. In primo luogo la AD è<br />

verticale. In secondo luogo ora la retta <strong>del</strong> salario reale offerto e la curva <strong>del</strong><br />

u<br />

AD<br />

AS<br />

Y<br />

W/P<br />

A/(1 + µ)<br />

87


salario richiesto tenderanno ad adeguarsi l’una all’altra o viceversa, a seconda dei<br />

rapporti <strong>di</strong> forza tra le classi. Per questi mot<strong>iv</strong>i il l<strong>iv</strong>ello <strong>di</strong> produzione e il tasso <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>soccupazione <strong>di</strong> equilibrio non vengono più definiti “naturali”: in questo d<strong>iv</strong>erso<br />

contesto teorico, infatti, l’equilibrio capitalistico è sempre determinato da forze<br />

sociali in conflitto tra loro, ossia dalle pressioni che i vari gruppi sociali e i vari<br />

interessi esercitano, sia sulla politica economica che sulla contrattazione salariale.<br />

Il presunto carattere “naturale” <strong>del</strong>l’equilibrio viene dunque negato.<br />

E’ bene chiarire che la sequenza che conduce alla determinazione<br />

<strong>del</strong>l’equilibrio è ora ben d<strong>iv</strong>ersa da quella che caratterizzava il mo<strong>del</strong>lo <strong>di</strong><br />

Blanchard. Adesso, infatti, si parte innanzitutto dal l<strong>iv</strong>ello <strong>del</strong>la domanda<br />

aggregata, e dalla corrispondente posizione <strong>del</strong>la AD. Il l<strong>iv</strong>ello <strong>di</strong> domanda<br />

determina la produzione Y, la quale determina l’occupazione e quin<strong>di</strong> anche il<br />

tasso <strong>di</strong> <strong>di</strong>soccupazione <strong>di</strong> equilibrio u. Noto il tasso <strong>di</strong> <strong>di</strong>soccupazione, sarà la<br />

forza relat<strong>iv</strong>a <strong>di</strong> imprese e lavoratori a <strong>di</strong>rci quale dei due gruppi dovrà cedere, e<br />

quin<strong>di</strong> quale <strong>del</strong>le due variabili tra µ e z (con la rispett<strong>iv</strong>a retta <strong>del</strong> salario offerto e<br />

curva <strong>del</strong> salario domandato) dovrà maggiormente variare e adeguarsi all’altra.<br />

Dunque nel mo<strong>del</strong>lo conflittualista l’analisi parte dalla domanda, passa alla<br />

produzione, arr<strong>iv</strong>a alla <strong>di</strong>soccupazione, e poi si affida all’analisi dei rapporti <strong>di</strong><br />

forza per capire, in corrispondenza <strong>di</strong> quella <strong>di</strong>soccupazione, quale sarà il salario<br />

reale destinato a prevalere: se quello offerto dalle imprese o quello domandato dai<br />

lavoratori, oppure un l<strong>iv</strong>ello interme<strong>di</strong>o tra i due.<br />

Il proce<strong>di</strong>mento logico è quin<strong>di</strong> chiaramente ribaltato rispetto a quello che<br />

caratterizzava il mo<strong>del</strong>lo neoclassico-compatibilista <strong>di</strong> Blanchard. Nell’analisi<br />

compatibilista, infatti, µ e z erano dati, e determinavano la posizione <strong>del</strong>la curva<br />

<strong>del</strong> salario domandato e <strong>del</strong>la retta <strong>del</strong> salario offerto. Queste a loro volta<br />

determinavano il tasso <strong>di</strong> <strong>di</strong>soccupazione “naturale”, vale a <strong>di</strong>re l’unico in<br />

corrispondenza <strong>del</strong> quale i lavoratori avrebbero richiesto esattamente i salari reali<br />

offerti, e quin<strong>di</strong> salari e prezzi sarebbero stati stabili. Noto il tasso <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>soccupazione naturale, era quin<strong>di</strong> noto pure il l<strong>iv</strong>ello <strong>di</strong> produzione naturale.<br />

Infine, un solo l<strong>iv</strong>ello <strong>di</strong> equilibrio dei prezzi avrebbe garantito un l<strong>iv</strong>ello <strong>di</strong><br />

domanda esattamente uguale alla produzione naturale.<br />

5.18 La crisi non si risolve con le sole forze <strong>del</strong> mercato<br />

Esaminiamo ora più in dettaglio le caratteristiche <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lo conflittualista.<br />

Come si ricorderà, il mo<strong>del</strong>lo <strong>di</strong> Blanchard stabilisce che per uscire da una crisi<br />

l’intervento pubblico non è in<strong>di</strong>spensabile. La semplice riduzione dei salari e dei<br />

prezzi potrebbe infatti essere sufficiente per far crescere la domanda e riportare il<br />

88


sistema alla situazione precedente alla crisi. Il mo<strong>del</strong>lo alternat<strong>iv</strong>o tuttavia non<br />

cond<strong>iv</strong>ide questa conclusione. Si osservi al riguardo la Figura 15.<br />

F(u, z)<br />

P<br />

P<br />

u<br />

P’<br />

A N<br />

B<br />

u’ u<br />

AD’ AD<br />

E’<br />

Y’ Y<br />

Fig. 15 – A seguito <strong>di</strong> una crisi il sistema economico rimane bloccato<br />

in una situazione <strong>di</strong> bassa produzione e <strong>di</strong> elevata <strong>di</strong>soccupazione<br />

Partiamo da una situazione <strong>di</strong> equilibrio, descritta in alto dal punto N e in basso<br />

dal punto E (da notare che adesso l’equilibrio non viene più definito “naturale”).<br />

Supponiamo adesso che per qualsiasi mot<strong>iv</strong>o – il timore <strong>di</strong> una crisi<br />

E<br />

AS<br />

A/(1 + µ)<br />

Y<br />

W/P<br />

89


internazionale, o <strong>di</strong> una guerra, ecc. – gli impren<strong>di</strong>tori attraversino una crisi <strong>di</strong><br />

fiducia sul futuro, ossia d<strong>iv</strong>entino improvvisamente pessimisti riguardo ai profitti<br />

che potranno guadagnare dalla loro att<strong>iv</strong>ità Essi quin<strong>di</strong> decidono <strong>di</strong> tagliare gli<br />

acquisti <strong>di</strong> macchinari, impianti e attrezzature, cioè decidono <strong>di</strong> ridurre gli<br />

investimenti I. La conseguenza è che la AD trasla a sinistra, la domanda aggregata<br />

Z si riduce, e con essa si riduce anche la produzione (che passa da Y a Y’).<br />

La crisi e il conseguente aumento <strong>del</strong>la <strong>di</strong>soccupazione (da u a u’) indeboliscono i<br />

lavoratori, i quali riducono le loro richieste rispetto alle offerte (segmento AB) e si<br />

rendono <strong>di</strong>sponibili a ridurre i salari monetari W. Manteniamo per ora l’ipotesi<br />

che le imprese non approfittino <strong>del</strong>la situazione <strong>di</strong> debolezza dei lavoratori, e non<br />

tentino quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> aumentare il loro margine µ. Sotto questa ipotesi, è chiaro che la<br />

riduzione <strong>di</strong> W implicherà una riduzione proporzionale <strong>di</strong> P.<br />

Tuttavia adesso la AD non è decrescente ma è verticale. Con ciò si vuol far<br />

intendere che la riduzione dei prezzi non è in grado <strong>di</strong> generare effetti espans<strong>iv</strong>i<br />

sulla domanda e sulla produzione. La cosiddetta trappola <strong>del</strong>la liqui<strong>di</strong>tà e la scarsa<br />

sensibilità degli investimenti al tasso d’interesse possono inceppare il meccanismo<br />

espans<strong>iv</strong>o su cui si basava il mo<strong>del</strong>lo <strong>di</strong> Blanchard. Ecco perché, in questo<br />

mo<strong>del</strong>lo, i prezzi <strong>di</strong>minuiscono ma il sistema rimane bloccato al l<strong>iv</strong>ello <strong>di</strong><br />

produzione Y’ < Y. Possiamo anche immaginare ulteriori riduzioni dei prezzi al <strong>di</strong><br />

sotto <strong>di</strong> P’, con altre traslazioni <strong>del</strong>la AS verso il basso. Ma si tratterà <strong>di</strong><br />

movimenti lungo la AD verticale che non avranno alcun effetto su Y.<br />

Alla fine è probabile che anche la corsa al ribasso dei salari e dei prezzi si fermi.<br />

In una situazione <strong>del</strong> genere, è infatti lecito ritenere che le imprese a un certo<br />

punto approfitteranno <strong>del</strong>la situazione <strong>di</strong> elevata <strong>di</strong>soccupazione e <strong>del</strong>la<br />

conseguente debolezza dei lavoratori. Esse quin<strong>di</strong> decideranno <strong>di</strong> interrompere la<br />

caduta dei prezzi al fine <strong>di</strong> aumentare il mark-up µ, che in questo nuovo contesto<br />

teorico non è più un dato ma può mutare a seconda <strong>del</strong>lo stato dei rapporti <strong>di</strong><br />

forza. L’aumento <strong>del</strong> mark-up µ provocherà una riduzione <strong>del</strong> salario offerto dalle<br />

imprese A/(1 + µ) e una conseguente traslazione in basso <strong>del</strong>la retta orizzontale<br />

corrispondente. Il punto B d<strong>iv</strong>enta quin<strong>di</strong> un punto <strong>di</strong> equilibrio tra richieste e<br />

offerte, e la caduta dei salari e dei prezzi si ferma.<br />

Abbiamo dunque mostrato che, se si ritiene che la AD sia verticale, le sole forze<br />

<strong>del</strong> mercato non sono in grado <strong>di</strong> far uscire il sistema economico da una crisi.<br />

L’unico modo per risollevare l’economia è dunque una politica espans<strong>iv</strong>a: ad<br />

esempio, un aumento <strong>del</strong>la spesa pubblica o una riduzione <strong>del</strong>le tasse potrebbero<br />

far aumentare la domanda aggregata Z e la produzione fino a ripristinare il<br />

vecchio l<strong>iv</strong>ello <strong>di</strong> equilibrio Y (traslazione <strong>del</strong>la AD nuovamente a destra, verso la<br />

posizione originaria).<br />

90


5.19 Le politiche espans<strong>iv</strong>e possono avere effetti permanenti sull’equilibrio<br />

Blanchard in effetti ammette che le politiche espans<strong>iv</strong>e possano aiutare a far<br />

uscire il sistema da una crisi. Egli tuttavia nega che esse siano in grado <strong>di</strong> generare<br />

l<strong>iv</strong>elli <strong>di</strong> produzione stabilmente superiori e tassi <strong>di</strong> <strong>di</strong>soccupazione stabilmente<br />

inferiori a quelli corrispondenti all’equilibrio “naturale”. Secondo Blanchard, il<br />

sistema tende sempre a tornare al suo l<strong>iv</strong>ello naturale. La politica espans<strong>iv</strong>a è<br />

dunque alla lunga inefficace sulla produzione e genera solo inflazione. Ebbene, è<br />

facile comprendere che tali conclusioni <strong>di</strong>pendono dalle ipotesi che AD sia<br />

decrescente e che µ e z siano entrambi esogeni. Se si rimuovono queste ipotesi<br />

l’effetto <strong>del</strong>la politica espans<strong>iv</strong>a è ben d<strong>iv</strong>erso. Si osservi al riguardo la Figura 16.<br />

F(u, z)<br />

P<br />

P’<br />

P<br />

u<br />

E<br />

A<br />

N B<br />

u u’<br />

AD AD’<br />

E’<br />

Y Y’<br />

AS<br />

A/(1 + µ’)<br />

A/(1 + µ)<br />

Y<br />

W/P<br />

91


Fig. 16 – Gli effetti <strong>del</strong>la politica espans<strong>iv</strong>a nel mo<strong>del</strong>lo conflittualista<br />

Partiamo da una situazione <strong>di</strong> equilibrio, descritta dai punti N ed E, e dai l<strong>iv</strong>elli <strong>di</strong><br />

produzione e <strong>di</strong>soccupazione Y e u. Supponiamo che le autorità <strong>di</strong> governo,<br />

insod<strong>di</strong>sfatte <strong>del</strong>l’attuale equilibrio, decidano <strong>di</strong> attuare una politica espans<strong>iv</strong>a, ad<br />

esempio un aumento <strong>di</strong> spesa pubblica. Di conseguenza, la domanda aggregata Z<br />

aumenta, e con essa la produzione aumenta a Y’ e la <strong>di</strong>soccupazione si riduce a u’<br />

(traslazione <strong>del</strong>la curva <strong>di</strong> domanda a destra, nella nuova posizione AD’).<br />

La riduzione <strong>del</strong>la <strong>di</strong>soccupazione rende i lavoratori più forti sul piano<br />

contrattuale, e li spinge quin<strong>di</strong> a chiedere salari più alti <strong>di</strong> quelli offerti (segmento<br />

AB). Parte quin<strong>di</strong> una corsa al rialzo dei salari monetari e dei prezzi, che spinge i<br />

prezzi al nuovo l<strong>iv</strong>ello P’ (ma che potrebbe anche andare oltre, facendo traslare la<br />

AS ancora più in alto e portando i prezzi a l<strong>iv</strong>elli superiori; noi non mostreremo<br />

questi ulteriori mutamenti sul piano grafico, ma il lettore ne tenga conto).<br />

La novità fondamentale, però, è che in questo d<strong>iv</strong>erso ambito teorico la AD è<br />

verticale: ciò sta ad intendere, come sappiamo, che a causa <strong>del</strong>la trappola <strong>del</strong>la<br />

liqui<strong>di</strong>tà e <strong>del</strong>la scarsa sensibilità degli investimenti al tasso d’interesse, l’aumento<br />

<strong>di</strong> P non ha alcun effetto depress<strong>iv</strong>o sulla domanda <strong>di</strong> merci e quin<strong>di</strong> sulla<br />

produzione. Il sistema economico resta quin<strong>di</strong> ancorato ai nuovi l<strong>iv</strong>elli <strong>di</strong><br />

produzione Y’ e <strong>di</strong> <strong>di</strong>soccupazione u’. La politica espans<strong>iv</strong>a ha dunque un effetto<br />

permanente sull’equilibrio.<br />

Resta tuttavia lo scarto tra salari domandati e salari offerti (corrispondente al<br />

segmento AB), il quale provoca continue tensioni inflazionistiche tra salari e<br />

prezzi. Ora, è probabile che in una situazione <strong>del</strong> genere qualcuno alla fine<br />

tenderà a cedere e ad accontentarsi. Nell’esempio <strong>di</strong> Figura 16, noi abbiamo<br />

ipotizzato che la situazione sia favorevole ai lavoratori, il che significa che z resta<br />

esogeno e che sarà il mark-up a ridursi (al nuovo l<strong>iv</strong>ello µ’


imprese e lavoratori trovino un’intesa in corrispondenza <strong>del</strong> nuovo equilibrio u’, e<br />

quin<strong>di</strong> lungo il segmento AB. Ciò avverrà probabilmente tramite un<br />

avvicinamento reciproco <strong>di</strong> µ e z, che determinerà una nuova intersezione tra la<br />

curva <strong>del</strong> salario richiesto e la retta <strong>del</strong> salario offerto lungo il segmento AB.<br />

Ad ogni modo, è chiaro che la politica espans<strong>iv</strong>a ha avuto effetti ben d<strong>iv</strong>ersi<br />

rispetto a quelli annunciati da Blanchard. La produzione infatti è aumentata, e la<br />

<strong>di</strong>soccupazione si è ridotta, entrambe stabilmente. Inoltre, se si abbandona<br />

l’ipotesi <strong>di</strong> µ esogeno, anche il salario reale <strong>di</strong> equilibrio tenderà ad aumentare.<br />

Ovviamente, questi risultati valgono, in termini uguali e contrari, anche per una<br />

eventuale politica restritt<strong>iv</strong>a. Si ricorderà in proposito che gli economisti liberisti<br />

più estremi hanno sostenuto che, essendo la moneta “neutrale” rispetto alla<br />

produzione, tanto vale allora effettuare politiche restritt<strong>iv</strong>e per ridurre i prezzi.<br />

Ebbene, nel mo<strong>del</strong>lo alternat<strong>iv</strong>o le conclusioni non sono queste. Riguardo alla<br />

politica monetaria poco si può <strong>di</strong>re, visto che presa a sé stante essa almeno in linea<br />

teorica non sembra provocare effetti <strong>di</strong> rilievo, data la trappola e l’insensibilità<br />

degli investimenti al tasso d’interesse. Se invece si guarda alla politica <strong>di</strong> bilancio<br />

<strong>del</strong> governo, un orientamento restritt<strong>iv</strong>o <strong>di</strong> questa avrebbe certo effetti depress<strong>iv</strong>i<br />

permanenti sul sistema economico. La AD infatti traslerebbe a sinistra, e Y si<br />

ridurrebbe senza alcuna possibilità automatica <strong>di</strong> tornare al l<strong>iv</strong>ello iniziale. Il<br />

mo<strong>del</strong>lo alternat<strong>iv</strong>o è dunque molto critico verso le politiche restritt<strong>iv</strong>e.<br />

5.20 Conflitto versus moderazione salariale<br />

Il mo<strong>del</strong>lo <strong>di</strong> Blanchard, come è noto, condanna il conflitto salariale, a suo avviso<br />

inefficace sulle retribuzioni e foriero soltanto <strong>di</strong> <strong>di</strong>soccupazione; e apprezza<br />

invece la moderazione salariale, in grado <strong>di</strong> accrescere l’occupazione a parità <strong>di</strong><br />

salario reale percepito. Questi risultati <strong>di</strong>pendono dall’ipotesi che il mark-up e il<br />

parametro <strong>di</strong> conflittualità siano esogeni. Il mo<strong>del</strong>lo alternat<strong>iv</strong>o rimuove questa<br />

ipotesi, e ammette che µ e z possano variare. La conseguenza è che sugli esiti <strong>del</strong><br />

conflitto e <strong>del</strong>la moderazione il mo<strong>del</strong>lo alternat<strong>iv</strong>o risulta “aperto” a svariate<br />

possibilità. Esso cioè stabilisce l’impossibilità <strong>di</strong> conoscere a priori gli effetti<br />

<strong>del</strong>la contrattazione. Tutto <strong>di</strong>penderà infatti dallo stato dei rapporti <strong>di</strong> forza, dalla<br />

posizione relat<strong>iv</strong>a <strong>di</strong> vantaggio o <strong>di</strong> svantaggio dei lavoratori e <strong>del</strong>le imprese, dai<br />

loro possibili mutamenti e quin<strong>di</strong> dagli effetti su µ e z.<br />

93


Esaminiamo il caso <strong>di</strong> un aumento <strong>del</strong> parametro <strong>di</strong> conflittualità. Supponiamo ad<br />

esempio che i lavoratori decidano <strong>di</strong> iscr<strong>iv</strong>ersi a dei sindacati più combatt<strong>iv</strong>i e<br />

r<strong>iv</strong>en<strong>di</strong>cat<strong>iv</strong>i, e che z quin<strong>di</strong> aumenti. Il caso è illustrato in Figura 17.<br />

F(u, z’)<br />

F(u, z)<br />

P<br />

u<br />

P’<br />

P<br />

A<br />

Y<br />

B<br />

u<br />

AD<br />

AS’<br />

AS<br />

Fig. 17 – Gli effetti <strong>di</strong> un aumento <strong>del</strong> parametro <strong>di</strong><br />

conflittualità (z’>z) nel mo<strong>del</strong>lo conflittualista<br />

Y<br />

W/P<br />

A/(1 + µ)<br />

94


L’aumento <strong>del</strong>la conflittualità sindacale implica uno spostamento in alto <strong>del</strong>la<br />

curva <strong>del</strong> salario richiesto e un eccesso <strong>di</strong> richieste rispetto alle offerte (segmento<br />

AB). I lavoratori quin<strong>di</strong> spingono i salari monetari W verso l’alto. Ora, si può<br />

ritenere che almeno inizialmente le imprese cerchino <strong>di</strong> resistere alle pressioni<br />

salariali, e provino quin<strong>di</strong> a lasciare invariato il mark-up scaricando come sempre<br />

gli aumenti salariali sui prezzi. Di conseguenza la AS trasla in alto e il l<strong>iv</strong>ello dei<br />

prezzi aumenta da P a P’. Ovviamente ciò determinerà un rialzo ulteriore dei<br />

salari, quin<strong>di</strong> ancora dei prezzi, e così via.<br />

Tuttavia, essendo la AD verticale, questi aumenti dei prezzi non comporteranno<br />

riduzioni <strong>del</strong>la domanda e <strong>del</strong>la produzione e non determineranno quin<strong>di</strong> alcun<br />

aumento <strong>del</strong>la <strong>di</strong>soccupazione, che rimane ferma al tasso u iniziale. Per cui, visto<br />

che la <strong>di</strong>soccupazione non aumenta, i lavoratori non vengono indeboliti, la<br />

conflittualità permane e quin<strong>di</strong> la corsa al rialzo <strong>di</strong> salari e prezzi continua.<br />

Si tratta allora <strong>di</strong> capire in che modo la situazione possa tornare a stabilizzarsi.<br />

Evidentemente occorre che qualcuno, tra lavoratori ed imprese, finisca per cedere<br />

e per accontentarsi. Supponiamo che siano le imprese in tal caso a dover cedere,<br />

rinunciando ad ulteriori aumento dei prezzi e accettando una riduzione <strong>del</strong> markup.<br />

Sul piano formale ciò significa che il parametro <strong>di</strong> conflittualità resta elevato<br />

al nuovo l<strong>iv</strong>ello z’, e che il mark-up dovrà invece ridursi a un l<strong>iv</strong>ello µ’


salario offerto resta ferma, e sarà invece la curva <strong>del</strong> salario richiesto a tornare alla<br />

posizione originaria (sul piano grafico, si tornerebbe al punto <strong>di</strong> equilibrio B<br />

iniziale). In tal caso il conflitto non riesce a mutare il salario reale <strong>di</strong> equilibrio.<br />

Si tratta <strong>di</strong> un risultato analogo a quello <strong>di</strong> Blanchard: la ragione è che anche noi<br />

abbiamo in questa circostanza assunto che µ resti invariato e quin<strong>di</strong> W/P = A/(1 +<br />

µ) non si mo<strong>di</strong>fichi. Tuttavia, a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> Blanchard, la corsa al rialzo tra salari<br />

e prezzi non ha determinato un aumento <strong>del</strong>la <strong>di</strong>soccupazione, visto che nel<br />

mo<strong>del</strong>lo conflittualista la domanda è insensibile alle variazioni dei prezzi (lo<br />

studente descr<strong>iv</strong>a il caso, sia sul piano formale che grafico).<br />

Gli esempi riportati descr<strong>iv</strong>ono però due casi estremi: quello in cui z aumenta e µ<br />

si adegua totalmente, e quello in cui µ non si mo<strong>di</strong>fica e alla fine z deve tornare<br />

in<strong>di</strong>etro alla posizione originaria. Nella realtà è probabile che si verifichi un caso<br />

interme<strong>di</strong>o tra i due estremi, che attraverso aggiustamenti reciproci <strong>di</strong> µ e z fisserà<br />

il nuovo equilibrio in un punto situato all’interno <strong>del</strong> segmento AB (lo studente<br />

descr<strong>iv</strong>a il caso, sia sul piano formale che grafico).<br />

Resta infine da esaminare il caso opposto <strong>del</strong>la moderazione salariale. Si può ad<br />

esempio immaginare che i sindacati dei lavoratori accettino <strong>di</strong> attuare una politica<br />

<strong>di</strong> rigido controllo dei salari, oppure che la moderazione sia ottenuta attraverso<br />

un’abolizione <strong>del</strong>le tutele normat<strong>iv</strong>e e un conseguente indebolimento dei<br />

lavoratori. La moderazione può quin<strong>di</strong> essere ottenuta tramite un atto volontario<br />

<strong>del</strong>le rappresentanze dei lavoratori oppure tramite interventi coercit<strong>iv</strong>i. In<br />

entrambi i casi, comunque, la conseguenza è una riduzione <strong>del</strong> parametro <strong>di</strong><br />

conflittualità z e una conseguente traslazione in basso <strong>del</strong>la curva <strong>del</strong> salario<br />

richiesto. Le richieste d<strong>iv</strong>entano quin<strong>di</strong> inferiori alle offerte, e i salari monetari<br />

conseguentemente tendono a <strong>di</strong>minuire. Ora, possiamo anche ritenere che la<br />

riduzione <strong>di</strong> W comporti una riduzione <strong>di</strong> P. Tuttavia in questo ambito teorico la<br />

AD è verticale, e quin<strong>di</strong> il calo dei prezzi non avrà nessuna ripercussione sul tasso<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>soccupazione, che resta invariato. Inoltre, c’è da aggiungere che nel mo<strong>del</strong>lo<br />

conflittualista il mark-up non è più un dato. Può darsi allora che le imprese<br />

approfittino <strong>del</strong>la debolezza dei lavoratori per aumentare µ. I prezzi quin<strong>di</strong><br />

potranno anche <strong>di</strong>minuire, ma si ridurranno in misura meno che proporzionale<br />

rispetto ai salari monetari, e quin<strong>di</strong> alla fine il salario reale <strong>di</strong> equilibrio A/(1 + µ)<br />

si ridurrà. Sul piano grafico ciò può esser descritto dal fatto che la riduzione <strong>di</strong> z e<br />

la conseguente traslazione <strong>del</strong>la curva <strong>del</strong> salario richiesto siano accompagnate da<br />

un aumento <strong>di</strong> µ e da una traslazione in basso anche <strong>del</strong>la retta <strong>del</strong> salario offerto.<br />

La moderazione salariale dà così luogo a un nuovo equilibrio, in corrispondenza<br />

<strong>del</strong> quale la <strong>di</strong>soccupazione è rimasta invariata mentre il salario reale si è<br />

ridotto: potremmo <strong>di</strong>re, quin<strong>di</strong>, che è la moderazione che non paga, cioè non dà<br />

benefici ai lavoratori. Un risultato ancora una volta opposto a quello <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lo<br />

<strong>di</strong> Blanchard (lo studente descr<strong>iv</strong>a in termini formali e grafici questo caso).<br />

96


5.21 Altri esempi sul mo<strong>del</strong>lo conflittualista<br />

Il mo<strong>del</strong>lo conflittualista alternat<strong>iv</strong>o perviene a dei risultati d<strong>iv</strong>ersi rispetto<br />

all’analisi <strong>di</strong> Blanchard anche nell’analisi <strong>di</strong> altri fenomeni: come ad esempio<br />

l’aumento <strong>del</strong> prezzo <strong>del</strong> petrolio, le politiche anti-trust, l’immigrazione, la<br />

variazione <strong>del</strong>la produtt<strong>iv</strong>ità, la competizione estera e molti altri.<br />

Lo studente è invitato ad esaminare tutte queste circostanze, mettendo a confronto<br />

il mo<strong>del</strong>lo neoclassico-compatibilista <strong>di</strong> Blanchard con il mo<strong>del</strong>lo conflittualista<br />

alternat<strong>iv</strong>o. La comparazione dovrà essere effettuata tenendo conto dei risultati<br />

<strong>del</strong> paragrafo 13 (relat<strong>iv</strong>i al mo<strong>del</strong>lo <strong>di</strong> Blanchard) e ricordando che nel mo<strong>del</strong>lo<br />

alternat<strong>iv</strong>o la AD è verticale e che µ e z non sono più entrambi esogeni ma<br />

possono assumere svariati valori a seconda dei rapporti <strong>di</strong> forza tra imprese e<br />

lavoratori.<br />

5.22 Repliche neoclassiche e controrepliche conflittualiste<br />

Ci sono due or<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> obiezioni che Blanchard, e più in generale gli esponenti<br />

<strong>del</strong>la scuola neoclassica attualmente dominante, potrebbero avanzare nei confronti<br />

<strong>del</strong>le ipotesi <strong>di</strong>: 1) AD verticale e 2) µ e z non più esogeni che caratterizzano il<br />

mo<strong>del</strong>lo conflittualista fin qui <strong>del</strong>ineato.<br />

La prima obiezione dei neoclassici verte sul fatto che, nonostante le tesi<br />

keynesiane e sraffiane su trappola e insensibilità degli investimenti, è comunque<br />

possibile tracciare una AD decrescente, ossia è possibile riaffermare l’idea che le<br />

variazioni dei salari e quin<strong>di</strong> dei prezzi siano in grado <strong>di</strong> provocare mutamenti<br />

nella domanda <strong>di</strong> merci. Questa obiezione si basa sul cosiddetto “effetto Pigou”,<br />

con il quale i neoclassici hanno tentato, nella seconda metà <strong>del</strong> Novecento, <strong>di</strong><br />

reagire agli attacchi <strong>di</strong> Keynes. L’effetto Pigou consiste nell’idea che la riduzione<br />

<strong>di</strong> P e il conseguente incremento <strong>di</strong> M/P possano agire sulla domanda <strong>di</strong> merci<br />

attraverso più canali. Il primo, come è noto, passa per la riduzione <strong>del</strong> tasso<br />

d’interesse e l’aumento degli investimenti, ed è appunto quello che fu criticato da<br />

Keynes e dai suoi successori. Esisterebbe tuttavia un secondo canale, che si basa<br />

sull’idea che al crescere <strong>del</strong> valore reale M/P <strong>del</strong>le scorte monetarie, gli agenti<br />

economici potranno non solo domandare titoli ma potranno anche <strong>di</strong>rettamente<br />

domandare merci, ossia consumare. In tal caso la riduzione <strong>di</strong> P e l’aumento <strong>di</strong><br />

97


M/P agiscono <strong>di</strong>rettamente sui consumi, e quin<strong>di</strong> sulla domanda, ripristinando<br />

in tal modo la AD decrescente e scavalcando così l’attacco keynesiano e sraffiano.<br />

La seconda obiezione <strong>di</strong> Blanchard e dei neoclassici è r<strong>iv</strong>olta all’idea<br />

conflittualista secondo cui il mark-up e il parametro <strong>di</strong> conflittualità si muovono<br />

in base ai rapporti <strong>di</strong> forza tra le classi. Secondo i neoclassici, invece, esiste una<br />

ragione precisa per cui il mark-up deve esser considerato un dato insensibile alle<br />

pressioni sociali. Questa consiste nell’idea che il mark-up scaturisca in modo<br />

automatico dalle decisioni <strong>di</strong> massimizzazione dei profitti <strong>del</strong>le imprese, in un<br />

contesto <strong>di</strong> concorrenza monopolistica (detta anche concorrenza imperfetta).<br />

Qualsiasi tentat<strong>iv</strong>o <strong>di</strong> cambiare quel mark-up attraverso il conflitto sociale<br />

violerebbe la con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> massimizzazione dei profitti, ed indurrebbe<br />

pertanto le imprese a mutare le decisioni <strong>di</strong> produzione e <strong>di</strong> occupazione.<br />

Alla base <strong>del</strong> ragionamento neoclassico vi è l’idea che le imprese siano tenute a<br />

rispettare la con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> massimo profitto per restare sul mercato. Quin<strong>di</strong> il fatto<br />

che µ non possa essere influenzato dalle pressioni dei lavoratori è questione <strong>di</strong><br />

sopravv<strong>iv</strong>enza per le imprese. Sulla base <strong>di</strong> questa idea, i neoclassici <strong>di</strong>mostrano<br />

che il mark-up viene determinato all’interno <strong>di</strong> un mo<strong>del</strong>lo <strong>di</strong> massimizzazione<br />

<strong>del</strong> profitto <strong>del</strong>l’impresa in concorrenza monopolistica. Per descr<strong>iv</strong>ere il mo<strong>del</strong>lo,<br />

definiamo innanzitutto le seguenti variabili:<br />

R’ = ricavo marginale <strong>del</strong>l’impresa<br />

C’ = costo marginale <strong>del</strong>l’impresa<br />

Y = quantità prodotta<br />

P = prezzo merce<br />

W = salario<br />

A = produtt<strong>iv</strong>ità <strong>del</strong> lavoro<br />

La con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> massimo profitto in concorrenza monopolistica è che il ricavo<br />

marginale sia uguale al costo marginale, cioè<br />

R’ = C’<br />

Questo significa che l’impresa aumenta la produzione Y finché risulta che R’ ><br />

C’, e si ferma solo quando R’ = C’.<br />

In concorrenza monopolistica abbiamo inoltre che il costo marginale <strong>del</strong>l’impresa<br />

è dato da: C’ = W/A (in concorrenza perfetta avremmo invece che C’ = W//PML,<br />

ed essendo PML decrescente allora C’ sarebbe decrescente; ma nel caso <strong>del</strong>la<br />

concorrenza monopolistica si ritiene che PML = A, con una quantità <strong>di</strong><br />

attrezzature inutilizzate a <strong>di</strong>sposizione, per cui essendo A un valore costante anche<br />

C’ d<strong>iv</strong>enta costante). Riguardo al ricavo marginale, esso è dato da:<br />

98


P<br />

<br />

R P Y<br />

<br />

Y<br />

<br />

ovvero il ricavo <strong>di</strong> ogni unità aggiunt<strong>iv</strong>a <strong>di</strong> merce prodotta e venduta è pari al<br />

prezzo <strong>del</strong>l’unità aggiunt<strong>iv</strong>a più la riduzione <strong>di</strong> prezzo su tutte le altre unità<br />

necessaria a vendere l’unità aggiunt<strong>iv</strong>a (si tenga presente che ΔP/ ΔY < 0).<br />

Definiamo infine ε come l’elasticità <strong>del</strong>la domanda rispetto al prezzo, cioè la<br />

sensibilità <strong>del</strong>la domanda dei consumatori al variare <strong>di</strong> P. L’elasticità, che ci <strong>di</strong>ce<br />

se i consumatori siano o meno reatt<strong>iv</strong>i alle variazioni dei prezzi, è data dalla<br />

variazione percentuale <strong>del</strong>la domanda per una data variazione percentuale dei<br />

prezzi:<br />

Y<br />

/ Y Y<br />

<br />

P<br />

/ P P<br />

P<br />

Y<br />

Impostiamo ora la con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> massimo profitto e sviluppiamo alcuni calcoli:<br />

<br />

<br />

P<br />

W Y P<br />

W 1 W<br />

W<br />

R C P Y<br />

P<br />

P<br />

P <br />

1<br />

1<br />

1<br />

<br />

Y<br />

A P Y<br />

A A 1 A<br />

1<br />

<br />

<br />

Ora, consideriamo l’ultima equazione ottenuta e confrontiamola con la nostra<br />

vecchia equazione <strong>di</strong> determinazione dei prezzi: P = (1 + µ)W/A. Ebbene, dal<br />

confronto è facile notare che il termine 1/(1+1/ε) corrisponde a (1+µ). Per cui:<br />

1<br />

1<br />

1<br />

1<br />

<br />

Ciò significa che µ <strong>di</strong>pende solo ed esclus<strong>iv</strong>amente dalla elasticità <strong>del</strong>la domanda,<br />

ossia <strong>di</strong>pende solo dalle preferenze soggett<strong>iv</strong>e dei consumatori e non ha nulla a<br />

che fare con le pressioni r<strong>iv</strong>en<strong>di</strong>cat<strong>iv</strong>e dei lavoratori. Insomma, se si ritiene che le<br />

imprese debbano perseguire il massimo profitto se vogliono sopravv<strong>iv</strong>ere, allora<br />

si giunge alla conclusione che il mark-up non può essere con<strong>di</strong>zionato dal<br />

conflitto. L’idea conflittualista secondo cui µ e z possano essere soggetti a<br />

continui mutamenti a seconda dei rapporti <strong>di</strong> forza va dunque rigettata.<br />

99


100<br />

Gli economisti critici hanno a loro volta replicato a tali obiezioni nel seguente<br />

modo. Innanzitutto essi hanno affermato che l’effetto Pigou potrebbe essere<br />

neutralizzato dal fatto che, quando si verifica una riduzione dei prezzi P, anche la<br />

quantità <strong>di</strong> moneta M tende a ridursi. L’offerta <strong>di</strong> moneta <strong>di</strong>pende infatti<br />

dalla richiesta <strong>di</strong> finanziamenti <strong>del</strong>le imprese presso le banche. Ora, è chiaro<br />

che se i prezzi <strong>di</strong>minuiscono le imprese richiederanno a loro volta minori<br />

finanziamenti per avviare le loro att<strong>iv</strong>ità produtt<strong>iv</strong>e, e quin<strong>di</strong> anche la moneta M<br />

in circolazione si ridurrà. La conseguenza è che l’offerta <strong>di</strong> moneta reale M/P non<br />

aumenta, e quin<strong>di</strong> l’effetto Pigou non si att<strong>iv</strong>a. Sul piano grafico la AD viene<br />

quin<strong>di</strong> ancora tracciata verticale.<br />

Infine, l’idea che il mark-up sia determinato dai criteri impersonali <strong>di</strong><br />

massimizzazione dei profitti, e quin<strong>di</strong> non possa esser mo<strong>di</strong>ficato dalle pressioni<br />

sociali, appare vulnerabile alla seguente critica. La con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> massimo profitto<br />

in concorrenza monopolistica, per poter essere applicata, richiede una curva <strong>di</strong><br />

domanda inclinata negat<strong>iv</strong>amente. Solo in questo caso infatti è possibile ricavare<br />

una curva <strong>del</strong> ricavo marginale, anch’essa negat<strong>iv</strong>amente inclinata, che<br />

intersecandosi con il costo marginale determini sia il mark-up che la quantità da<br />

produrre. Se tuttavia, come abbiamo detto, la domanda non è inclinata ma è<br />

verticale, allora questo criterio <strong>di</strong> determinazione <strong>del</strong> mark-up d<strong>iv</strong>enta<br />

impossibile. Per <strong>di</strong>mostrarlo, basti notare che se la AD è verticale allora<br />

l’elasticità ε è pari a zero. Ma se l’elasticità è pari a zero allora 1/ε è pari a<br />

infinito, e quin<strong>di</strong> il mark-up è zero. Ma questo risultato è chiaramente pr<strong>iv</strong>o <strong>di</strong><br />

significato. Pertanto, l’unico criterio valido per determinare il margine <strong>di</strong> profitto<br />

torna ad essere quello evocato dai conflittualisti, relat<strong>iv</strong>o ai fattori politicoistituzionali<br />

che riflettono lo stato dei rapporti <strong>di</strong> forza tra le classi sociali.<br />

5.23 Limiti effett<strong>iv</strong>i <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lo conflittualista e prospett<strong>iv</strong>e future <strong>di</strong> ricerca<br />

Abbiamo visto in che modo il mo<strong>del</strong>lo alternat<strong>iv</strong>o appena <strong>del</strong>ineato pervenga a<br />

conclusioni opposte a quelle <strong>di</strong> Blanchard, soprattutto in merito alla efficacia o<br />

meno <strong>del</strong>le politiche <strong>di</strong> espansione <strong>del</strong>la domanda e <strong>del</strong> conflitto salariale. Per<br />

Blanchard le politiche <strong>di</strong> domanda non potevano mo<strong>di</strong>ficare i l<strong>iv</strong>elli <strong>di</strong> equilibrio<br />

<strong>del</strong>la produzione e <strong>del</strong>la <strong>di</strong>soccupazione, mentre per il mo<strong>del</strong>lo conflittualista<br />

alternat<strong>iv</strong>o esse risultano decis<strong>iv</strong>e. Blanchard inoltre riteneva che le r<strong>iv</strong>en<strong>di</strong>cazioni<br />

dei lavoratori fossero incapaci <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficare il salario reale <strong>di</strong> equilibrio e fossero<br />

inoltre dannose per l’occupazione. Il mo<strong>del</strong>lo alternat<strong>iv</strong>o attribuisce invece<br />

proprio alle r<strong>iv</strong>en<strong>di</strong>cazioni, e più in generale allo stato dei rapporti <strong>di</strong> forza tra<br />

imprese e lavoratori, la determinazione <strong>del</strong> salario reale <strong>di</strong> equilibrio.


101<br />

In effetti il mo<strong>del</strong>lo alternat<strong>iv</strong>o sembra giungere a <strong>del</strong>le conclusioni<br />

estremamente ottimistiche in merito alla efficacia <strong>del</strong>le pressioni sociali e<br />

politiche per l’aumento <strong>del</strong>l’occupazione e dei salari. Esaminando questo<br />

mo<strong>del</strong>lo, infatti, si potrebbe credere che attraverso opportune espansioni <strong>del</strong>la<br />

spesa pubblica si possa accrescere indefinitamente la produzione e l’occupazione,<br />

e quin<strong>di</strong> si possa ridurre indefinitamente la <strong>di</strong>soccupazione. In altri termini,<br />

sembrerebbero non sussistere vincoli agli spostamenti verso destra <strong>del</strong>la AD<br />

verticale. Inoltre, lo stesso mo<strong>del</strong>lo sembrerebbe in<strong>di</strong>care che le r<strong>iv</strong>en<strong>di</strong>cazioni sui<br />

salari possano far crescere indefinitamente il salario reale <strong>di</strong> equilibrio, e<br />

quin<strong>di</strong> possano ridurre indefinitamente il margine <strong>di</strong> profitto <strong>del</strong>le imprese.<br />

Giungere ad una simile conclusione sarebbe tuttavia errato. All’interno <strong>del</strong><br />

sistema capitalistico sussistono molteplici vincoli alla possibilità che la spesa<br />

pubblica e le r<strong>iv</strong>en<strong>di</strong>cazioni sindacali possano determinare significat<strong>iv</strong>i incrementi<br />

<strong>del</strong>la occupazione e dei salari. A questo scopo possiamo citare alcuni esempi,<br />

tratti dalla esperienza storica <strong>del</strong> Novecento.<br />

Consideriamo in primo luogo i limiti <strong>di</strong> efficacia <strong>del</strong>le r<strong>iv</strong>en<strong>di</strong>cazioni salariali.<br />

Supponiamo che i rapporti <strong>di</strong> forza risultino molto favorevoli ai lavoratori, e<br />

quin<strong>di</strong> che questi riescano a spuntare un salario reale molto alto. E’ probabile che<br />

una situazione <strong>del</strong> genere regga solo in via transitoria. E’ chiaro infatti che in un<br />

sistema capitalistico gli impren<strong>di</strong>tori godono <strong>di</strong> grande influenza politica. Essi,<br />

infatti, possono sempre minacciare <strong>di</strong> non effettuare più investimenti produtt<strong>iv</strong>i, o<br />

magari <strong>di</strong> trasferire gli investimenti in paesi nei quali la conflittualità sociale sia<br />

tenuta sotto controllo. Attraverso queste minacce, gli impren<strong>di</strong>tori capitalisti<br />

possono dunque esercitare una pressione sulle autorità politiche, in modo da<br />

convincerle a ridurre la domanda. La riduzione <strong>del</strong>la domanda, una volta<br />

attuata, provocherà riduzioni <strong>del</strong>la produzione ed aumenti <strong>del</strong>la <strong>di</strong>soccupazione, in<br />

misura sufficiente ad indebolire i sindacati e costringerli quin<strong>di</strong> a ri<strong>di</strong>mensionare<br />

le loro richieste.<br />

Consideriamo poi i limiti <strong>di</strong> efficacia <strong>del</strong>la spesa pubblica. Bisogna tener conto<br />

<strong>del</strong> fatto che, in un sistema capitalistico, il controllo <strong>del</strong>le decisioni in merito<br />

alla scala e alla composizione <strong>del</strong> prodotto sociale spetta comunque alle sole<br />

imprese pr<strong>iv</strong>ate. In un simile contesto, dunque, non si potrà mai esser certi che<br />

un incremento <strong>di</strong> domanda stimolato dalla spesa pubblica si traduca certamente in<br />

un aumento <strong>del</strong>la produzione e <strong>del</strong>l’occupazione. Può ben darsi infatti che le<br />

imprese si rifiutino <strong>di</strong> accrescere la produzione, e che <strong>di</strong> conseguenza<br />

l’incremento <strong>di</strong> spesa pubblica si traduca esclus<strong>iv</strong>amente in un aumento dei<br />

prezzi.


102<br />

Nell’ambito <strong>di</strong> un sistema capitalistico, dunque, si deve ammettere che le spinte<br />

sociali, finalizzate all’accrescimento <strong>del</strong> benessere <strong>del</strong>la classe lavoratrice,<br />

risultano vincolate dal fatto che le decisioni politiche sulla domanda, così come le<br />

decisioni economiche sulla produzione, risultano fortemente con<strong>di</strong>zionate dagli<br />

interessi <strong>del</strong>la classe capitalista egemone. Questa constatazione trae spunto dalle<br />

ricerche degli stu<strong>di</strong>osi <strong>di</strong> ispirazione marxista. Prendendo spunto da tali ricerche,<br />

si giunge alla conclusione che le spinte sociali e politiche potrebbero ritenersi<br />

efficaci solo qualora intervenissero <strong>di</strong>rettamente sulla struttura <strong>del</strong> sistema<br />

produtt<strong>iv</strong>o, neutralizzando almeno in parte i tratti capitalistici <strong>del</strong>lo stesso. Solo in<br />

tal modo, infatti, si potrebbe dar luogo a spostamenti persistenti e significat<strong>iv</strong>i dei<br />

rapporti <strong>di</strong> forza a favore <strong>del</strong>la classe lavoratrice. Esempi <strong>di</strong> tali mutamenti<br />

possono in tal senso rinvenirsi nel controllo dei movimenti <strong>di</strong> capitale per<br />

impe<strong>di</strong>re che le imprese minaccino <strong>di</strong> trasferirsi altrove, nella legislazione a<br />

tutela <strong>del</strong> lavoro, nell’intervento pubblico finalizzato alla gestione <strong>di</strong>retta<br />

<strong>del</strong>la produzione e non più semplicemente al mero controllo <strong>del</strong>la domanda.<br />

Queste considerazioni consentono dunque <strong>di</strong> evitare una lettura ingenua ed<br />

eccess<strong>iv</strong>amente ottimistica <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lo conflittualista, che può esser considerato<br />

valido solo in prima approssimazione ma che poi andrebbe opportunamente<br />

integrato e sviluppato. L’analisi marxista cond<strong>iv</strong>ide infatti l’idea degli economisti<br />

critici – in prevalenza keynesiani e sraffiani, - secondo cui l’occupazione e i salari<br />

sono determinati da fattori sociali e politici, e non da un immaginario equilibrio<br />

“naturale”. Al tempo stesso, però, i marxisti ci ricordano che in un sistema<br />

capitalistico esisteranno sempre dei limiti alle possibilità <strong>di</strong> crescita<br />

<strong>del</strong>l’occupazione e dei salari. Potremmo <strong>di</strong>re, in tal senso, che oltre un certo<br />

l<strong>iv</strong>ello l’aumento <strong>di</strong> queste variabili richiederebbe un intervento pubblico <strong>di</strong>retto<br />

negli assetti proprietari <strong>del</strong> capitale, un intervento cioè tale da mettere in<br />

<strong>di</strong>scussione lo stesso carattere capitalistico <strong>del</strong> modo <strong>di</strong> produzione.<br />

E’ in questa <strong>di</strong>rezione, tesa ad una maggiore integrazione <strong>del</strong>l’analisi<br />

conflittualista <strong>di</strong> base con quelle più propriamente marxiste, che la ricerca teorica<br />

alternat<strong>iv</strong>a all’analisi neoclassica potrebbe in futuro incamminarsi.<br />

5.24 Appen<strong>di</strong>ce: esogene ed endogene<br />

Il confronto tra il mo<strong>del</strong>lo compatibilista <strong>di</strong> Blanchard e il mo<strong>del</strong>lo conflittualista<br />

alternat<strong>iv</strong>o si basa in fondo su un ragionamento matematico molto semplice, che<br />

possiamo descr<strong>iv</strong>ere nel seguente modo. Supponiamo <strong>di</strong> trovarci <strong>di</strong> fronte ad una<br />

equazione <strong>di</strong> questo tipo:


ax by c 0<br />

103<br />

Ora, è chiaro che questa equazione potrà esser letta in vari mo<strong>di</strong>. Molto <strong>di</strong>penderà<br />

da quale variabile consideriamo esogena (cioè già conosciuta, data dall’esterno<br />

<strong>del</strong>l’equazione) e quale consideriamo endogena (cioè incognita, da determinarsi<br />

all’interno <strong>del</strong>l’equazione). Ad esempio, possiamo immaginare che la variabile x<br />

sia il dato esogeno <strong>di</strong> cui <strong>di</strong>sponiamo, e che la y sia l’incognita che dobbiamo<br />

determinare. In tal caso l’equazione può essere riscritta in tal modo:<br />

y = - (a/b)x – (c/a). Oppure, al contrario, possiamo ritenere che il dato esogeno sia<br />

y, e che la variabile endogena da determinare sia x. In questo caso l’equazione va<br />

ribaltata, cioè va riscritta nel seguente modo: x = -(b/a)y – (c/a).<br />

Di fatto anche il passaggio che abbiamo effettuato in precedenza, dal mo<strong>del</strong>lo<br />

compatibilista <strong>di</strong> Blanchard al mo<strong>del</strong>lo conflittualista alternat<strong>iv</strong>o, può esser visto<br />

sul piano matematico come un semplice ribaltamento <strong>di</strong> esogene ed endogene.<br />

Basti guardare al mark-up: in Blanchard era esogeno, nel mo<strong>del</strong>lo alternat<strong>iv</strong>o esso<br />

è endogeno, e così via.<br />

Qui <strong>di</strong> seguito è riportato un sistema <strong>di</strong> equazioni in grado <strong>di</strong> rappresentare<br />

efficacemente sia il mo<strong>del</strong>lo neoclassico <strong>di</strong> Blanchard che il mo<strong>del</strong>lo alternat<strong>iv</strong>o<br />

da noi definito conflittualista. Il sistema si trasforma nell’una o nell’altra struttura<br />

analitica proprio a seconda <strong>del</strong>la scelta relat<strong>iv</strong>a alle esogene e alle endogene, cioè<br />

alle variabili da considerarsi date e alle variabili da determinare all’interno <strong>del</strong><br />

mo<strong>del</strong>lo.<br />

Si tenga presente che abbiamo esplicitato l’equazione <strong>del</strong> salario reale domandato<br />

dai lavoratori nei seguenti termini:<br />

F( u,<br />

z)<br />

1<br />

u<br />

z<br />

dove δ è un parametro che in<strong>di</strong>ca la sensibilità <strong>del</strong> salario richiesto all’andamento<br />

<strong>del</strong>la <strong>di</strong>soccupazione, e quin<strong>di</strong> rappresenta la pendenza <strong>del</strong>la curva <strong>del</strong> salario<br />

richiesto. Inoltre, abbiamo sintetizzato l’equazione <strong>del</strong>l’equilibrio tra produzione e<br />

domanda aggregata nel seguente modo:<br />

Y ( G cT)<br />

I ( M / P)<br />

dove α esprime il moltiplicatore <strong>del</strong>la spesa autonoma, I sta ad in<strong>di</strong>care la<br />

componente autonoma degli investimenti e β(M/P) descr<strong>iv</strong>e invece la componente<br />

degli investimenti che <strong>di</strong>pende dal tasso d’interesse e quin<strong>di</strong> dal valore reale <strong>del</strong>le<br />

scorte <strong>di</strong> moneta. Il mo<strong>del</strong>lo completo sarà dunque:


( 1)<br />

( 2)<br />

( 3)<br />

( 4)<br />

( 5)<br />

W<br />

1<br />

u<br />

z<br />

P<br />

A<br />

1<br />

u<br />

z<br />

1<br />

<br />

Y (<br />

G cT ) I ( M / P)<br />

Y AN<br />

N ( 1<br />

u)<br />

L<br />

104<br />

Le equazioni (1) e (2) descr<strong>iv</strong>ono le equazioni <strong>del</strong> salario richiesto e offerto e il<br />

corrispondente equilibrio sul mercato <strong>del</strong> lavoro. L’equazione (3) descr<strong>iv</strong>e<br />

l’equilibrio sul mercato dei beni tra produzione e domanda. Le equazioni (4) e (5)<br />

esplicitano le relazioni esistenti tra produzione, occupazione e <strong>di</strong>soccupazione.<br />

Le variabili <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lo sono tre<strong>di</strong>ci: u, z, W, P, A, µ, Y, G, T, I, M, N, L. Tutti gli<br />

altri sono parametri fissi: α, β, δ, c. Il sistema è <strong>di</strong> cinque equazioni e quin<strong>di</strong><br />

ammette cinque endogene. Occorre dunque fissare <strong>di</strong> volta in volta otto variabili<br />

esogene, e determinare le altre cinque in modo endogeno.<br />

Il mo<strong>del</strong>lo <strong>di</strong> Blanchard perviene alla soluzione <strong>del</strong> sistema nel seguente modo. Si<br />

assume innanzitutto che β>0 e quin<strong>di</strong> che la domanda aggregata sia sensibile alle<br />

variazioni dei prezzi e la AD sia pertanto decrescente. In secondo luogo le<br />

variabili L, A, M, z, G, T, µ, I sono considerate esogene. Quin<strong>di</strong> si procede in<br />

sequenza alla determinazione <strong>del</strong>le variabili endogene. L’equazione (2) determina<br />

u. L’equazione (5) determina N. La (4) determina Y. La (3) determina P. Infine, la<br />

(1) determina W.<br />

Il mo<strong>del</strong>lo conflittualista giunge invece alla soluzione in modo pressoché opposto.<br />

Innanzitutto si può ritenere che β=0, in modo da riflettere l’idea che la domanda<br />

sia insensibile ai prezzi e che pertanto la AD sia verticale. Quin<strong>di</strong>, se si assume<br />

che i lavoratori siano in una posizione <strong>di</strong> forza, si possono considerare esogene le<br />

variabili: L, A, M, z, G, T, I, W. Infine, si possono determinare le variabili<br />

endogene seguendo questa procedura. La (3) determina Y. La (4) determina N. La<br />

(5) determina u. La (2) determina µ. La (1) determina P. Alternat<strong>iv</strong>amente, si<br />

potrebbe ritenere che le imprese siano contrattualmente più forti e che dunque µ<br />

sia esogeno e la (2) determini z. Più in generale, l’equazione (2) in<strong>di</strong>cherà le varie<br />

possibili combinazioni che potranno assumere µ e z, una volta note A e u.


Per approfon<strong>di</strong>menti<br />

105<br />

Circa l’adesione <strong>di</strong> Blanchard al para<strong>di</strong>gma neoclassico dominante, cfr.<br />

l’introduzione a O. Blanchard e S. Fischer, Lezioni <strong>di</strong> macroeconomia, Bologna, Il<br />

Mulino 1992. Cfr. anche un articolo <strong>di</strong> Blanchard apparso sul quoti<strong>di</strong>ano francese<br />

Liberation <strong>del</strong> 16 ottobre 2000. Sui fondamenti teorici <strong>del</strong>le equazioni <strong>del</strong> salario<br />

reale determinato dalla fissazione dei salari monetari e dei prezzi, cfr. W. Carlin e<br />

D. Soskice, Macroeconomia, Bologna, CLUEB 1992. Per un tipico esempio <strong>di</strong><br />

manualistica italiana, alternat<strong>iv</strong>a a quella dominante perché centrata sul continuo<br />

raffronto tra la scuola neoclassica e le scuole <strong>di</strong> pensiero critico, cfr. A. Graziani,<br />

Macroeconomia, Napoli, ESI 1992. L’abbozzo <strong>di</strong> mo<strong>del</strong>lo conflittualista<br />

presentato in questo scritto, nonché le critiche <strong>di</strong> stampo marxista che ad esso<br />

possono r<strong>iv</strong>olgersi, traggono in parte ispirazione da E. Brancaccio, “Un mo<strong>del</strong>lo<br />

<strong>di</strong> teoria monetaria <strong>del</strong>la produzione capitalistica”, Il pensiero economico italiano,<br />

anno XIII, n. 1, 2005; e da E. Brancaccio, “Uno schema <strong>di</strong> teoria monetaria <strong>del</strong>la<br />

riproduzione sociale”, in La crisi <strong>del</strong> pensiero unico, Franco Angeli, Milano,<br />

nuova e<strong>di</strong>zione, 2010.

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