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VIA MORETTO - Comune di Brescia

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<strong>VIA</strong> <strong>MORETTO</strong><br />

1. chiesa <strong>di</strong> San Lorenzo<br />

2. monofora trilobata<br />

3. portale marmoreo, n.56<br />

4. casa Glisenti già Baitelli, n.58<br />

5. facciata meri<strong>di</strong>onale della crociera <strong>di</strong> San Luca<br />

6. palazzo Carpani Glisenti già Poncarali, n.64<br />

7. lapide commemorativa <strong>di</strong> Tito Speri, n.72<br />

8. palazzo Martinengo Colleoni,<br />

sede del Tribunale, n.78<br />

9. palazzo Bettoni Cazzago già Avogadro, n.84<br />

10. frammenti <strong>di</strong> affresco<br />

11. convento e chiesa <strong>di</strong> San Bartolomeo<br />

(ex caserma “Serafino Gnutti”)<br />

12. fontana <strong>di</strong> piazzetta dello Sguazzo<br />

Toponomastica e cenni storici<br />

Via Moretto collega l’omonima piazza – de<strong>di</strong>cata al<br />

massimo pittore del Rinascimento bresciano, Alessandro<br />

Bonvicino detto il Moretto – a corso Martiri della Libertà.<br />

Il suo tracciato regolare è precedente al piano urbanistico <strong>di</strong> Alberico da Gambara<br />

(1237), che in<strong>di</strong>ca già via Moretto come “strada vecchia” che costeggia i posse<strong>di</strong>menti<br />

degli Umiliati. Dal punto <strong>di</strong> vista archeologico i molteplici ritrovamenti<br />

confermano l’antichità della strada: nel tratto orientale compreso fra piazzetta<br />

Sant’Alessandro e piazza Moretto è stato rinvenuto nel 1991 un basolato stradale<br />

romano posteriore al II secolo d.C., quando l’incremento demografico giustificò<br />

uno sviluppo urbanistico anche al <strong>di</strong> fuori della cerchia muraria. Sul tracciato<br />

romano si affacciavano anche e<strong>di</strong>fici precedenti, databili al I secolo d.C., le cui<br />

pavimentazioni sono state rinvenute sotto il livello del basolato stradale. In prossimità<br />

<strong>di</strong> questo nucleo inse<strong>di</strong>ativo era inoltre presente una struttura monumentale<br />

in opera cementizia, forse un arco o una porta. Le poderose murature <strong>di</strong> questo<br />

complesso sono state in<strong>di</strong>viduate nell’angolo fra via Moretto e via Crispi, che costituiva<br />

il prolungamento meri<strong>di</strong>onale del cardo maximus citta<strong>di</strong>no.<br />

Durante il periodo me<strong>di</strong>evale la zona a nord della via venne occupata dagli inse-<br />

54


<strong>di</strong>amenti degli Umiliati <strong>di</strong> Gambara, <strong>di</strong> San Marco de Me<strong>di</strong>o, <strong>di</strong> San Luca e delle<br />

Umiliate <strong>di</strong> Santa Maria Maddalena. Queste comunità erano state attirate non<br />

solo dalla <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> terreni esterni alla cerchia muraria offerti dal vescovo<br />

per ragioni <strong>di</strong> promozione della vita religiosa, ma anche dalla ricchezza <strong>di</strong> acque<br />

necessarie alle loro attività produttive. La presenza <strong>di</strong> numerosi canali come il<br />

Garza, il Bova e il Celato <strong>di</strong>retti a sud ed il vaso Molin del Brolo, caratterizzato<br />

da un orientamento verso est, <strong>di</strong>edero impulso alla costruzione <strong>di</strong> numerosi mulini<br />

ed opifici, alcuni dei quali sorsero in prossimità delle chiese <strong>di</strong> San Lorenzo,<br />

Sant’Alessandro e San Bartolomeo.<br />

Dal punto <strong>di</strong> vista spirituale fu particolarmente rilevante l’inse<strong>di</strong>amento dei Domenicani,<br />

che e<strong>di</strong>ficarono la propria chiesa e un imponente convento nella zona<br />

a sud dell’attuale via Moretto. San Carlo Borromeo soggiornò nel complesso domenicano<br />

dal 24 febbraio al 24 marzo 1580, durante la sua visita apostolica alla<br />

città. Nel 1844 sorse in prossimità del convento <strong>di</strong> San Domenico l’Ospedale<br />

Maggiore citta<strong>di</strong>no, che occupò <strong>di</strong>verse strutture assistenziali già e<strong>di</strong>ficate nel<br />

corso del XVI secolo, come l’Ospedale degli Incurabili (1523), l’Infermeria e la<br />

Chiesa <strong>di</strong> Santa Maria della Pietà. In effetti, il quadrilatero compreso fra corso<br />

Zanardelli, via San Martino della Battaglia e via Cavour, attraversato dal lungo<br />

percorso <strong>di</strong> via Moretto che ne costituiva il fulcro, appare sede <strong>di</strong> istituzioni ospe-<br />

Facciata dell’Ospedale Civile, eretta da Giovanni Cherubini nel 1842<br />

55


daliere già a partire dal Quattrocento, quando si costituisce il primo ospedale citta<strong>di</strong>no,<br />

noto come Crociera <strong>di</strong> San Luca. Fino ai primi decenni del Novecento via<br />

Moretto era definita via dell’Ospedale: successivamente la denominazione cambiò<br />

in onore dell’artista bresciano, al quale era già stata de<strong>di</strong>cata la vicina piazza<br />

in occasione del IV centenario della nascita (1898).<br />

Passeggiando per via Moretto<br />

Il percorso <strong>di</strong> visita riguarda il tratto <strong>di</strong> via Moretto compreso fra l’intersezione<br />

con via Gramsci e quella con via Crispi. Il primo segmento della strada presenta<br />

sulla destra una struttura moderna che ospita uffici ed istituti <strong>di</strong> cre<strong>di</strong>to. In questa<br />

zona sorgeva nell’Ottocento l’Ospedale Maggiore citta<strong>di</strong>no, che aveva progressivamente<br />

ere<strong>di</strong>tato le funzioni della Crociera <strong>di</strong> San Luca, i cui pa<strong>di</strong>glioni erano<br />

sempre più insufficienti alle necessità comuni. L’Ospedale, la cui facciata era stata<br />

progettata dall’ingegner Giovanni Cherubini, rimase in funzione fino agli anni<br />

Cinquanta.<br />

La strada si <strong>di</strong>lata poi in prossimità <strong>di</strong> un vasto piazzale delimitato a sud dall’e<strong>di</strong>ficio<br />

della banca Nazionale del Lavoro <strong>di</strong>segnato dall’architetto Luigi Caccia Dominioni<br />

e a oriente dall’ex struttura della SIP, realizzata nel 1953 su progetto dell’ingegnere<br />

Mario Moretti sull’area della <strong>di</strong>strutta chiesa <strong>di</strong> San Domenico.<br />

A sinistra si affaccia invece il prospetto della chiesa <strong>di</strong> San Lorenzo (1) (cfr. visita<br />

guidata p.)<br />

Il piccolo sagrato della chiesa comunica con l’attigua piazzetta Bruno Boni, da<br />

cui lo separa soltanto l’alto muro in pietra e mattoni della scomparsa chiesa <strong>di</strong><br />

Santa Maria Maddalena. Proseguendo lungo via Moretto sulla destra, fra gli e<strong>di</strong>fici<br />

sorti dopo la demolizione della chiesa <strong>di</strong> San Domenico, emerge il palazzo al<br />

civico 48, che presenta un balcone sostenuto da peducci con triglifi e girali stilizzati.<br />

Sulla sommità dell’arco marmoreo compare ancora il numero 1112, legato<br />

alla classificazione ottocentesca delle abitazioni.<br />

Al civico 54 è visibile un’elegante monofora trilobata (2), con tracce vistose <strong>di</strong><br />

cromatismo, che appartiene ad un e<strong>di</strong>ficio tardo-gotico. Qui era ospitato anticamente<br />

il brefotrofio con la ruota degli esposti, annesso alla struttura dell’Ospedale.<br />

Insieme al brefotrofio <strong>di</strong> Salò, consentiva alle famiglie in <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> abbandonare<br />

i propri figli in un luogo sicuro, mantenendo l’anonimato. Erano interessati<br />

all’esposizione alla ruota i bambini in età pre-scolare o i neonati, soprattutto<br />

nei mesi primaverili ed estivi che impegnavano i genitori nel lavoro dei campi.<br />

Un piccolo oggetto <strong>di</strong> riconoscimento, come una carta da gioco spezzata o un<br />

ciondolo, consentivano talora l’agnizione ed il ricongiungimento familiare in una<br />

56


fase successiva.<br />

Al civico 56 si segnala invece un portale marmoreo (3) in pietra simona, estratta<br />

nelle vicine cave della Val Camonica. L’arco a tutto sesto è delimitato da un<br />

cordone a nastro intrecciato, interrotto soltanto da due capitelli ricchi <strong>di</strong> motivi<br />

vegetali. Nella ghiera dell’arco è presente l’emblema <strong>di</strong> san Bernar<strong>di</strong>no da Siena,<br />

che <strong>di</strong>mostra l’originaria appartenenza dell’e<strong>di</strong>ficio ad una congregazione religiosa.<br />

San Bernar<strong>di</strong>no (1380-1444) appartenne all’or<strong>di</strong>ne francescano. Dopo aver<br />

organizzato l’assistenza agli appestati senesi durante l’epidemia del 1400, entrò a<br />

far parte dell’or<strong>di</strong>ne dei frati minori e attraversò l’Italia pre<strong>di</strong>cando contro le<br />

gran<strong>di</strong> piaghe del tempo (usura, superstizione, gioco d’azzardo) e propagando la<br />

devozione al Nome <strong>di</strong> Gesù. Proprio per questo il suo più frequente attributo è<br />

l’abbreviazione del nome greco <strong>di</strong> Gesù, IHS, circondata da fiamme stilizzate. A<br />

<strong>Brescia</strong> la sua pre<strong>di</strong>cazione costituì un forte stimolo all’istituzione del Monte <strong>di</strong><br />

Pietà per il prestito su pegno, contribuendo a sottrarre la moltitu<strong>di</strong>ne dei poveri<br />

dalla morsa degli usurai.<br />

Proseguendo sul versante destro<br />

<strong>di</strong> via Moretto, al civico<br />

58 si apre il portale <strong>di</strong> casa<br />

Glisenti già Baitelli (4). Di<br />

particolare interesse è la prospettiva<br />

scenografica che si<br />

apre sul cortile interno, caratterizzato<br />

da una fontana<br />

con mascherone e da un timpano<br />

con statue marmoree<br />

databili alla fine del XVII secolo.<br />

Sulla ghiera del portale<br />

è presente una testa virile <strong>di</strong><br />

profilo racchiusa in un clipeo,<br />

che ricorda l’aspetto volitivo<br />

<strong>di</strong> un Perseo.<br />

I nobili Baitelli, provenienti<br />

dalla Valsassina, si trasferirono<br />

a <strong>Brescia</strong> nel XIV secolo<br />

per sviluppare in un contesto<br />

nuovo l’attività <strong>di</strong> commercio<br />

<strong>di</strong> tessuti cui dovevano<br />

la propria fortuna. Inse-<br />

Interno dell’Ospedale Civile<br />

57


<strong>di</strong>atisi in contrada Sant’Agata, <strong>di</strong>edero vita a <strong>di</strong>versi rami, alcuni dei quali si trasferirono<br />

nella prima quadra <strong>di</strong> Sant’Alessandro alla fine del XVI secolo. Un secolo<br />

più tar<strong>di</strong> la famiglia che si era inse<strong>di</strong>ata in questa casa, attigua alla Crociera<br />

<strong>di</strong> San Luca e alla chiesa <strong>di</strong> San Lorenzo, si estinse senza <strong>di</strong>scendenza e la <strong>di</strong>mora<br />

venne acquistata da altri gruppi nobiliari, fra i quali la famiglia Carpani Glisenti.<br />

L’interno dell’e<strong>di</strong>ficio presenta ancora decorazioni settecentesche, con riferimenti<br />

al paesaggio e a soggetti sacri.<br />

Davanti al portale <strong>di</strong> casa Baitelli, sul versante sinistro della strada è visibile la<br />

facciata meri<strong>di</strong>onale della Crociera <strong>di</strong> San Luca (5), caratterizzata da un prospetto<br />

asimmetrico scan<strong>di</strong>to da finte lesene. Una cornice marcapiano con regolare<br />

alternanza <strong>di</strong> triglifi e metope costituisce l’unica ornamentazione superstite.<br />

Sopra il portale d’accesso si aprono due finestre quadrangolari e un rosone ovale,<br />

ormai privi <strong>di</strong> vetrate (cfr. corso Zanardelli, p.).<br />

Sul lato destro <strong>di</strong> via Moretto, superata l’intersezione con via San Martino della<br />

Battaglia, è possibile ammirare la struttura austera <strong>di</strong> palazzo Carpani già Poncarali<br />

(6), al civico 64.<br />

L’e<strong>di</strong>ficio appartenne alla famiglia<br />

Poncarali, che intorno<br />

alla metà del XV secolo<br />

si trasferì in questo settore<br />

della Cittadella Nuova, noto<br />

come quadra <strong>di</strong> Sant’Alessandro.<br />

Nei primi decenni<br />

del Settecento il palazzo<br />

venne ceduto al conte Mario<br />

Provaglio, mentre alcuni<br />

esponenti della famiglia<br />

Poncarali trovarono una<br />

nuova sistemazione nel vasto<br />

e confortevole palazzo <strong>di</strong><br />

corso Magenta 56, attualmente<br />

sede del liceo classico<br />

Arnaldo (cfr. corso Magenta,<br />

p.). La <strong>di</strong>mora passò poi in<br />

proprietà alla famiglia Bettolini<br />

– che apportò alcune<br />

mo<strong>di</strong>fiche alla facciata,<br />

commissionando al pittore<br />

Crociera <strong>di</strong> San Luca: facciata meri<strong>di</strong>onale<br />

58


Giuseppe Teosa l’apparato decorativo interno – e successivamente alla famiglia<br />

Carpani Glisenti.<br />

La facciata, caratterizzata da una cornice a beccatelli <strong>di</strong> gusto secentesco, rivela<br />

in realtà anche un rimaneggiamento settecentesco, per la presenza <strong>di</strong> rinforzi marmorei<br />

agli spigoli, <strong>di</strong> lunette che sovrastano le finestre a pian terreno e <strong>di</strong> leggere<br />

bugnature nella parte inferiore.<br />

Il portale, impreziosito da una cornice marmorea a bugnato prospettico, consente<br />

la vista dell’androne, delimitato a nord da una sequenza <strong>di</strong> pilastri e a sud da<br />

un porticato con colonne tuscaniche, che accoglie nella campata centrale un’elegante<br />

fontana neoclassica. Nel cortile interno è visibile la cornice modanata che<br />

si snoda in prossimità del tetto e i curiosi beccatelli con maschere fantastiche e<br />

volti animaleschi, che rivelano strette analogie con i beccatelli <strong>di</strong> Palazzo Bozzi<br />

Comini già Mazzucchelli, in via Gambara 17. L’unico affresco settecentesco presente<br />

nella zona del porticato proviene da casa Sala in via Tosio.<br />

Le sale al primo piano, riccamente affrescate, rivelano una scelta accurata <strong>di</strong> temi<br />

mitologici legati alla figura <strong>di</strong> Diana (Diana in riposo, Diana a caccia, Diana ed<br />

En<strong>di</strong>mione, Diana ed Apollo che fulmina i figli <strong>di</strong> Niobe, Diana e Atteone) e <strong>di</strong><br />

Achille (Achille affidato al centauro Chitone, l’eroe con le figlie <strong>di</strong> Licomede, la<br />

Palazzo Carpani Glisenti già Poncarali: cortile interno<br />

59


madre Teti che commissiona a Vulcano lo scudo, la lite fra Achille ed Agamennone),<br />

accanto a scene più intimistiche che alludono alle ninfe amate da Giove (Io,<br />

Europa, Leda e Danae) e alla vicenda <strong>di</strong> Amore e Psiche, collocata simbolicamente<br />

nell’alcova.<br />

Alla pre<strong>di</strong>lezione per il mito si accompagna anche lo sfoggio <strong>di</strong> suggestioni letterarie<br />

provenienti dall’epica classica e moderna, come gli amori <strong>di</strong> Clorinda e<br />

Tancre<strong>di</strong>, Enea e Didone, Teseo e Arianna, Angelica e Medoro, Rinaldo ed Armida<br />

affrescati nelle sovrapporte.<br />

Proseguendo sul versante destro della strada, al civico 72, è murata una lapide (7)<br />

che ricorda l’eroe del Risorgimento bresciano Tito Speri. Nato il 2 agosto 1825,<br />

partecipò come volontario ai moti del 1848. Nel 1849 organizzò l’insurrezione<br />

citta<strong>di</strong>na contro il governo austriaco: condotto a Mantova nel carcere <strong>di</strong> San Giorgio,<br />

venne condannato alla pena capitale nel marzo del 1853, insieme a Carlo<br />

Montanari e all’arciprete <strong>di</strong> Revere don Bartolomeo Grazioli. L’esecuzione avvenne<br />

il 3 marzo 1853 sugli spalti <strong>di</strong> Belfiore presso Mantova e Tito Speri volle<br />

essere impiccato per ultimo. La casa <strong>di</strong> via Moretto fu la <strong>di</strong>mora <strong>di</strong> Tito Speri,<br />

come si legge nel breve testo della lapide: Qui abitò Tito Speri / che fra i <strong>di</strong>sperati<br />

ar<strong>di</strong>menti del 1849 / esempio <strong>di</strong> ar<strong>di</strong>mento e volere / salì fortemente al patibolo<br />

a Mantova / il 3 marzo 1853.<br />

Superata l’intersezione con corso Cavour, la prospettiva si <strong>di</strong>lata fino ad accogliere,<br />

a sinistra, l’antica chiesa <strong>di</strong> Sant’Alessandro affacciata sull’omonima piazzetta<br />

(cfr. via Cavour, p.) e, a destra, la struttura monumentale <strong>di</strong> palazzo Martinengo<br />

Colleoni (8), attuale sede del Tribunale.<br />

Risalente al XVIII secolo, il palazzo fu e<strong>di</strong>ficato per volere della famiglia Martinengo<br />

Colleoni <strong>di</strong> Malpaga, fra le più antiche ed insigni <strong>di</strong> Bergamo. Alla metà<br />

del Quattrocento i fratelli Gherardo, Gaspare e Iacopo Martinengo sposarono le<br />

figlie del condottiero Bartolomeo Colleoni, assumendo il nome congiunto <strong>di</strong><br />

Martinengo Colleoni ed ere<strong>di</strong>tandone i posse<strong>di</strong>menti, raccolti intorno ai centri <strong>di</strong><br />

Malpaga e <strong>di</strong> Cavernago. Alla fine del Quattrocento la famiglia si trasferì a <strong>Brescia</strong>.<br />

A <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> tempo, nella prima metà del Settecento, alcuni esponenti della famiglia<br />

fecero e<strong>di</strong>ficare un imponente palazzo sui terreni a sud della chiesa <strong>di</strong> Sant’Alessandro,<br />

dove sorgeva in precedenza la loro sobria <strong>di</strong>mora. L’architetto bolognese<br />

Alfonso Torregiani che progettò l’e<strong>di</strong>ficio, <strong>di</strong>ede vita ad un vasto complesso<br />

con due <strong>di</strong>fferenti prospetti. L’imponente facciata aperta su corso Cavour<br />

presenta una fascia marcapiano, che scan<strong>di</strong>sce l’articolazione fra il pianoterra e i<br />

due piani superiori, e uno stemma gentilizio allusivo ad entrambe le famiglie. Il<br />

prospetto che si affaccia su via Moretto è invece più contenuto ma s’impone al-<br />

60


l’attenzione per la presenza <strong>di</strong> un balcone <strong>di</strong> gusto barocco e <strong>di</strong> un settore leggermente<br />

rialzato sopra il portale d’ingresso (facciata a T rovesciato), come nell’assetto<br />

originario dell’attiguo palazzo Avogadro. All’interno dell’e<strong>di</strong>ficio un grande<br />

scalone e due vaste sale decorate con stucchi ed affreschi ad effetto illusionistico<br />

testimoniano i fasti settecenteschi della famiglia Martinengo Colleoni, il cui<br />

archivio privato, ricco <strong>di</strong> testimonianze sulla gestione dei posse<strong>di</strong>menti bresciani,<br />

si trova attualmente custo<strong>di</strong>to presso la Civica Biblioteca Angelo Maj <strong>di</strong> Bergamo.<br />

Proseguendo sul lato destro della strada, si raggiunge il prospetto monumentale<br />

<strong>di</strong> palazzo Bettoni Cazzago già Avogadro (9), al civico 84. Eretto intorno alla<br />

metà del Seicento, appartenne alla famiglia Avogadro, che in virtù <strong>di</strong> un lascito<br />

ricevuto nel 1485 venne ad abitare nella zona <strong>di</strong> Sant’Alessandro. Originari della<br />

Val Trompia, gli Avogadro avevano ottenuto potere e ricchezza esercitando la<br />

carica <strong>di</strong> advocati ecclesiae brixiensis, dalla quale trassero anche il nome. I fratelli<br />

Francesco e Gerolamo Avogadro commissionarono la costruzione <strong>di</strong> questo<br />

sontuoso palazzo, che risulta fra i primi in ambito citta<strong>di</strong>no ad esibire la caratteristica<br />

facciata a T rovesciato: come nel Palazzo Martinengo Palatino, il prospetto<br />

dell’e<strong>di</strong>ficio presenta una parte centrale più elevata sopra il portale d’ingresso,<br />

Palazzo del Tribunale già Martinengo Colleoni<br />

61


in corrispondenza del salone al piano superiore. In palazzo Avogadro la porzione<br />

emergente a livello del tetto era ingentilita da un fastigio con statue marmoree,<br />

asportate fra il 1833 e il 1840. Il massiccio portale, sovrastato da un balcone sorretto<br />

da poderosi mensoloni, si configura come una delle testimonianze più significative<br />

del gusto barocco, mescolando il bugnato delle modanature alla rappresentazione<br />

<strong>di</strong> protomi leonine e <strong>di</strong> festoni vegetali. Sulla ghiera dell’arco è presente<br />

uno stemma a scudo, bordato da festoni <strong>di</strong> frutta. Superato l’androne, si penetra<br />

nel portico scan<strong>di</strong>to da colonne tuscaniche, la cui prospettiva culmina scenograficamente<br />

nel lontano giar<strong>di</strong>no, arricchito da una fontana a grotta visibile<br />

dalla strada.<br />

Le sale del palazzo, spesso <strong>di</strong>latate da finte architetture <strong>di</strong>pinte nella volta, presentano<br />

affreschi che alludono alle <strong>di</strong>vinità del pantheon greco e romano, con<br />

qualche apertura a temi geografici (la rappresentazione delle quattro parti del<br />

mondo conosciuto) e a episo<strong>di</strong> che si prestavano ad una interpretazione allegorica<br />

(Difesa della Verità dalla Menzogna). Ai numerosi artisti attivi fra XVII e<br />

XVIII secolo (Pietro Avogadro, allievo <strong>di</strong> Pompeo Ghitti; Carlo Molinari; Pietro<br />

Maggi) si aggiunsero successivamente<br />

Giuseppe Teosa<br />

e Alessandro Sala.<br />

Nella prima metà del XIX<br />

secolo, infatti, l’e<strong>di</strong>ficio<br />

venne restaurato dal nuovo<br />

proprietario Clateo Franzini,<br />

che affidò la progettazione<br />

dell’intervento all’architetto<br />

Luigi Donegani. Assecondando<br />

l’orientamento neoclassico<br />

allora imperante, la<br />

magnificenza barocca del<br />

palazzo venne ricondotta a<br />

canoni <strong>di</strong> equilibrio e <strong>di</strong> misura,<br />

livellando in altezza la<br />

facciata ed eliminando le<br />

statue che coronavano il fastigio,<br />

forse trasferite in palazzo<br />

Avogadro-Fenaroli a<br />

Palazzo del Tribunale già Martinengo Colleoni:<br />

stemma nobiliare<br />

62<br />

Rezzato, dove rimasero per<br />

qualche tempo. Anche la de-


corazione interna dell’e<strong>di</strong>ficio venne ampiamente cancellata dalle trasformazioni<br />

ottocentesche, ad eccezione <strong>di</strong> alcuni ambienti che ancora conservano stucchi e<br />

affreschi del XVIII secolo. Il palazzo appartenne nell’Ottocento anche ai conti<br />

Bettoni Cazzago e attualmente alla famiglia Lechi.<br />

Prima che la famiglia Avogadro si estinguesse, le gallerie e i saloni <strong>di</strong> questa ricca<br />

<strong>di</strong>mora accoglievano una delle più rilevanti collezioni d’arte nell’ambito dell’Italia<br />

settentrionale. Questo prezioso patrimonio era stato incrementato soprattutto<br />

da Luigi Avogadro, che ere<strong>di</strong>tando l’amore per l’arte del padre Scipione,<br />

aveva costituito un corpus <strong>di</strong> 500 opere. La quadreria pervenne poi alla famiglia<br />

Fenaroli, che la trasferì quasi completamente nella villa <strong>di</strong> Rezzato. Alla fine dell’Ottocento<br />

il patrimonio pittorico delle due famiglie, che comprendeva ormai<br />

numerosi <strong>di</strong>pinti d’arte moderna e importanti pezzi antichi, venne <strong>di</strong>sperso in seguito<br />

alla famosa asta del 1882. La per<strong>di</strong>ta della documentazione relativa all’asta<br />

(<strong>di</strong>strutta dal bombardamento aereo del 1945) non consente <strong>di</strong> valutare pienamente<br />

il valore anche economico delle opere che facevano parte della raccolta ma la<br />

conoscenza <strong>di</strong> alcuni autori certamente presenti – Moretto, Romanino, Reni, Velasquez,<br />

Rubens, Van Dyck, Ceruti – rende evidente l’intelligenza delle scelte<br />

collezionistiche compiute dai proprietari. Alcune opere del Ceruti vennero acquistate<br />

dai conti Salvadego e assunsero il nome <strong>di</strong> “ciclo <strong>di</strong> Padernello”, dal nome<br />

del castello bresciano dove furono trasferite. Alcune <strong>di</strong> queste tele sono ora conservate<br />

presso la Pinacoteca Tosio Martinengo.<br />

Nell’ultimo tratto <strong>di</strong> via Moretto, in corrispondenza dei civici 86-87, sono presenti<br />

due portali marmorei <strong>di</strong> identiche proporzioni, che pur nella linea essenziale e<br />

nelle ridotte <strong>di</strong>mensioni, <strong>di</strong>mostrano una certa pre<strong>di</strong>lezione per i rivestimenti pregiati,<br />

assai <strong>di</strong>ffusa non solo presso l’aristocrazia ma anche presso le famiglie borghesi<br />

bresciane. La bellezza del marmo e della pietra utilizzata nelle <strong>di</strong>more citta<strong>di</strong>ne<br />

non mancava <strong>di</strong> affascinare i visitatori che si intrattenevano a <strong>Brescia</strong> per<br />

qualche giorno. Nel suo manoscritto intitolato Crudezze. Viaggio in Francia e in<br />

Italia (1611) il viaggiatore inglese Thomas Coryat ricorda che durante la breve<br />

sosta a <strong>Brescia</strong> l’avevano colpito proprio i molti palazzi signorili, “per lo più costruiti<br />

con pietra e non con mattoni, come in molte altre città d’Italia”.<br />

Proseguendo la passeggiata in via Moretto, lungo le murature esterne che raccordano<br />

la chiesa <strong>di</strong> Sant’Alessandro agli e<strong>di</strong>fici dell’ex caserma “Serafino Gnutti”,<br />

sono visibili frammenti <strong>di</strong> affresco (10), che riproducono un motivo ad archetti<br />

rosso acceso ed una scena più complessa, in cui una figura angelica con vesti viola<br />

ed ali rosse, recante in mano un elemento vegetale, si rivolge ad una seconda<br />

figura <strong>di</strong>sposta all’interno <strong>di</strong> un clipeo circolare che pare forse un Cristo pantocratore.<br />

La staticità delle figure ed il particolare cromatismo concorrono a datare<br />

63


queste testimonianze tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo.<br />

L’ingresso secondario alla caserma Gnutti, collocato lungo il versante sinistro <strong>di</strong><br />

via Moretto, si apre sull’area che anticamente limitava la chiesa <strong>di</strong> San Bartolomeo<br />

e l’attiguo complesso monastico (11). L’origine <strong>di</strong> queste strutture si deve<br />

alla presenza degli Umiliati che costituirono a <strong>Brescia</strong> una quin<strong>di</strong>cina <strong>di</strong> inse<strong>di</strong>amenti<br />

entro la prima metà del XIII secolo.<br />

Nell’area compresa fra Porta Matolfa e il Vaso Molin del Brolo, al limite sudorientale<br />

della città, si stabilì il gruppo degli Umiliati <strong>di</strong> Contignaga, che e<strong>di</strong>ficò<br />

la propria casa e acquisì terreni fra il 1236 e il 1245, grazie all’intraprendenza del<br />

frate fondatore Giovanni de Contignaga.<br />

Ben presto la comunità religiosa ricevette dal <strong>Comune</strong> quattro importanti investiture<br />

(custo<strong>di</strong>a del grano, ufficio del sale, controllo del bilancio comunale e vigilanza<br />

sulle mercanzie in entrata<br />

e in uscita dalla città). L’or<strong>di</strong>ne<br />

degli Umiliati fu poi definitivamente<br />

sciolto nel 1571<br />

da papa Pio V, per il grave deca<strong>di</strong>mento<br />

dei costumi e la cattiva<br />

gestione del patrimonio<br />

ecclesiastico, che rese necessaria<br />

l’istituzione della commenda,<br />

vale a <strong>di</strong>re l’affidamento<br />

in conduzione dei beni<br />

ecclesiastici a famiglie nobili<br />

generalmente filo-veneziane.<br />

Il patrimonio della domus<br />

umiliata <strong>di</strong> Contignaga venne<br />

affidato alla famiglia Pesaro,<br />

<strong>di</strong> origini venete.<br />

Nel 1643 la chiesa <strong>di</strong> San Bartolomeo<br />

e gli annessi e<strong>di</strong>fici<br />

conventuali furono ceduti ai<br />

padri Somaschi che vi istituirono<br />

un collegio assai rinomato,<br />

in cui si formarono impor-<br />

Ex chiesa <strong>di</strong> san Bartolomeo:<br />

Miracolo <strong>di</strong> san Bartolomeo (particolare), affresco,<br />

XVII – XVIII secolo<br />

64<br />

tanti intellettuali bresciani<br />

(Giovan Maria Mazzucchelli,<br />

Gian Battista Corniani). Nel


1694 i frati procedettero anche ad una ricostruzione della chiesa, aggiungendo<br />

una nuova abside a pianta quadrata.<br />

Nel 1797 l’or<strong>di</strong>ne dei Padri Somaschi venne soppresso ed il complesso <strong>di</strong> San<br />

Bartolomeo fu indemaniato e trasformato in centro militare per la manifattura <strong>di</strong><br />

armi d’or<strong>di</strong>nanza. Al termine della dominazione francese, anche gli Austriaci<br />

mantennero la produzione armiera, sebbene ridotta, e nel 1859 il complesso <strong>di</strong><br />

San Bartolomeo assunse la denominazione <strong>di</strong> Arsenale, che fino ai primi decenni<br />

del Novecento risulta applicata anche al tratto <strong>di</strong> via Crispi su cui l’e<strong>di</strong>ficio si<br />

affacciava.<br />

Nel XX secolo tutta l’area venne gravemente danneggiata dai bombardamenti aerei<br />

e a partire dal 1963, negli ambienti in parte ricostruiti, s’inse<strong>di</strong>arono <strong>di</strong>versi<br />

Coman<strong>di</strong> dell’Esercito. Nel 1979 la Caserma è stata intitolata alla memoria <strong>di</strong> Serafino<br />

Gnutti (1916-1941), sottotenente e comandante <strong>di</strong> plotone del VI Reggimento<br />

Battaglione Alpini “Val Chiese”, caduto in Albania il 21 gennaio 1941. Il<br />

complesso non è attualmente aperto al pubblico. Nella parte conventuale si conservano<br />

ancora il porticato che cinge il primo chiostro e una serie <strong>di</strong> ambienti <strong>di</strong><br />

rappresentanza con antiche decorazioni affrescate.<br />

La chiesa <strong>di</strong> San Bartolomeo, parzialmente visibile da piazza Moretto, è stata recentemente<br />

sottoposta a restauro: l’e<strong>di</strong>ficio, ad aula unica con quattro altari laterali,<br />

presenta un ricco apparato <strong>di</strong> affreschi realizzati tra la fine del Seicento e i<br />

primi anni del Settecento da un ignoto decoratore. In origine la chiesa si apriva<br />

ad ovest e i fedeli vi accedevano dalla contrada <strong>di</strong> Sant’Alessandro. Lungo la navata<br />

sono presenti nella volta le Allegorie della Fede e della Volontà, organizzate<br />

attorno all’affresco principale raffigurante la Gloria <strong>di</strong> san Bartolomeo. Nella<br />

zona absidale sono invece rappresentate a destra la Passione <strong>di</strong> Cristo e a sinistra<br />

la figura <strong>di</strong> San Michele arcangelo. Nella volta sopra l’altare campeggia la Gloria<br />

del Santissimo Sacramento. Sull’arco santo è invece rappresentata la Salita al<br />

calvario, cui corrisponde su un piano <strong>di</strong> figurazione simbolica, l’affresco in controfacciata<br />

– un cuore alato con la scritta AMOR ADDIT (l’amore aggiunge) – testimonianza<br />

della devozione al Sacro Cuore <strong>di</strong> Gesù.<br />

La letteratura artistica ricorda la presenza nella chiesa <strong>di</strong> San Bartolomeo <strong>di</strong> importanti<br />

pale d’altare, realizzate dal Moretto, da Lattanzio Gambara, Pietro Marone,<br />

Giuseppe Tortelli, Antonio Cappello, Francesco Paglia, Francesco Savanni,<br />

Francesco Zuccarelli. Ad eccezione <strong>di</strong> un <strong>di</strong>pinto conservato in collezione privata<br />

a Chiari, tutte le tele sono andate perdute. Alcune <strong>di</strong> esse celebravano il fondatore<br />

dell’or<strong>di</strong>ne dei Padri Somaschi, san Girolamo Emiliani (1497 - 1538), impegnato<br />

nell’assistenza agli orfani e nell’attività educativa. L’esaltazione pittorica <strong>di</strong><br />

San Bartolomeo apostolo era invece legata alla particolare devozione degli Umi-<br />

65


liati per questo santo, protettore dei macellai e dei conciatori, cui la Legenda Aurea<br />

attribuisce una pre<strong>di</strong>cazione in In<strong>di</strong>a e in Armenia ed il martirio per scorticamento<br />

ad opera del malvagio Astiage nel I secolo d.C.<br />

Superato l’accesso alla caserma Gnutti, si apre sulla sinistra una piccola piazzetta,<br />

compresa tra la parte finale <strong>di</strong> via Moretto e via Crispi. Nota come piazzetta<br />

dello Sguazzo, accoglie un’antica fontana (12) in pietra, addossata alla parete<br />

esterna della caserma. La fontana è composta da un basamento e da un <strong>di</strong>ffusore<br />

marmoreo che alimenta una sequenza <strong>di</strong> tre vasche: quella centrale è databile alla<br />

fine del XVI secolo, mentre le vasche laterali risalgono al periodo neoclassico. I<br />

tre bacini separati servivano ad attingere l’acqua corrente, a lavare i panni e ad<br />

abbeverare gli animali. Il <strong>di</strong>ffusore presenta una struttura a valve contrapposte,<br />

con un semplice motivo a baccellature e una coppia <strong>di</strong> mascheroni grotteschi nella<br />

parte inferiore, mentre nella parte superiore il coronamento è abbellito da una<br />

foglia d’acanto stilizzata e dal motivo della pigna. L’architettura complessiva rievoca,<br />

in forme semplificate, quella della vicina fontana <strong>di</strong> via Crispi, autentico<br />

trionfo <strong>di</strong> eleganza e monumentalità.<br />

Già nel Seicento, del resto, la città era famosa per il ricco patrimonio d’acque,<br />

esaltato da un sonetto del poeta camuno Bartolomeo Dotti (1651-1713), il quale<br />

affermava, quasi personificandolo, che “Ruscello, natural figlio dei monti, / figlio<br />

adottivo a la mia patria viene, / e per amor si svena in cento vene, e sparte cento<br />

vene in mille fonti”, consacrando così l’immagine <strong>di</strong> <strong>Brescia</strong> come città dalle mille<br />

fontane.<br />

Nelle vicinanze della piazzetta scorreva anticamente il Vaso Molin del Brolo, che<br />

attraversava gli orti occidentali del convento <strong>di</strong> San Bartolomeo, alimentava la<br />

fontana dello Sguazzo e proseguiva in <strong>di</strong>rezione del limite orientale della città.<br />

Nel suo percorso, il Vaso azionava <strong>di</strong>versi impianti produttivi: il mulino <strong>di</strong> Sant’Alessandro<br />

(poi trasformato in mola e demolito nel 1866), il mulino dei Cappuccini<br />

(poi convertito in segheria per legnami) e il filatoio per seta <strong>di</strong> San Gaetano,<br />

<strong>di</strong>venuto in seguito macina <strong>di</strong> zolfo.<br />

Fino al 1823 il Vaso Molin del Brolo scorreva scoperto nelle vicinanze del convento<br />

<strong>di</strong> San Bartolomeo, dando il proprio nome all’ultimo tratto dell’attuale via<br />

Moretto. Lo storico Fè D’Ostiani racconta che in prossimità del ponte <strong>di</strong> piazzetta<br />

dello Sguazzo avvenne un tragico duello fra il conte Durante Duranti e il conte<br />

Marcantonio Martinengo, nel quale quest’ultimo perse la vita (15 marzo 1750).<br />

Fuggito a Mantova, il Duranti venne assolto dal Governo Veneto per aver reagito<br />

in seguito a provocazione ma negli anni successivi, tormentato dal rimorso, si<br />

pronunciò apertamente in un suo scritto contro l’uso, ben ra<strong>di</strong>cato nel bresciano,<br />

<strong>di</strong> portare le armi in pubblico.<br />

66


VISITA GUIDATA<br />

Chiesa <strong>di</strong> San Lorenzo<br />

Orario <strong>di</strong> apertura: lunedì-sabato 16.00-18.00;<br />

domenica 8.00-12.00; 16.00-18.30<br />

Cenni storici<br />

La tra<strong>di</strong>zione vuole che la chiesa <strong>di</strong> San Lorenzo<br />

sia stata fondata, nella seconda metà<br />

del V secolo, da sant’Ottaziano, vescovo <strong>di</strong><br />

<strong>Brescia</strong>, fuori dalle mura urbiche. Solo con<br />

l’ampliamento della cinta muraria nel 1237<br />

la chiesa fu in essa compresa.<br />

Alla fine del Quattrocento è oggetto <strong>di</strong> un<br />

importante intervento <strong>di</strong> restauro strutturale,<br />

del quale resta un segno tangibile nel coro<br />

dove sopravvive una mezza crociera <strong>di</strong> volta,<br />

<strong>di</strong>pinta con figure <strong>di</strong> angeli <strong>di</strong> Lattanzio<br />

Gambara ed una porzione <strong>di</strong> arco santo poggiante<br />

su un capitello con l’effigie <strong>di</strong> sant’Ottaziano,<br />

nel vano <strong>di</strong>etro l’organo. Intorno<br />

alla metà del Seicento il presbiterio è colpito<br />

da un grave incen<strong>di</strong>o che portò alla per<strong>di</strong>ta<br />

pressoché totale degli affreschi <strong>di</strong> Gambara<br />

(1562).<br />

L’aspetto attuale della chiesa si deve ad una sostanziale ricostruzione operata nel<br />

XVIII secolo.<br />

I lavori promossi dal prevosto Giovan Pietro Dolfin nel 1751 si conclusero nell’arco<br />

<strong>di</strong> pochissimi anni nel 1760. La chiesa si trovava in pessimo stato <strong>di</strong> conservazione<br />

a causa dei danni riportati nel tempo alle coperture e alle strutture portanti,<br />

a causa anche dei frequenti <strong>di</strong>salveamenti del vicino fiume Garza. Tuttavia,<br />

la volontà <strong>di</strong> ammodernare l’e<strong>di</strong>ficio sacro è da leggersi soprattutto alla luce del<br />

clima <strong>di</strong> fervido rinnovamento delle fabbriche citta<strong>di</strong>ne promosso dal vescovo,<br />

car<strong>di</strong>nale Angelo Maria Querini. Il progetto fu commissionato all’abate Domenico<br />

Corbellini.<br />

67


Esterno<br />

La facciata, che si erge sul lato orientale della piccola piazzetta ricavata lungo via<br />

Moretto, fu realizzata tra il 1753 ed il 1757. Essa si compone <strong>di</strong> due corpi: quello<br />

centrale leggermente aggettante si inserisce a risega tra i due laterali e si sviluppa<br />

in altezza superando il doppio della quota <strong>di</strong> questi ultimi. Il corpo centrale<br />

è <strong>di</strong>viso in due or<strong>di</strong>ni da un architrave fortemente sporgente sorretto da quattro<br />

semicolonne <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne corinzio addossate alla parete. Queste colonne delineano<br />

tre comparti dei quali quello centrale ospita l’elegante portale affiancato da due<br />

modeste colonne ioniche e sormontato da un timpano con balaustra dalla cui sommità<br />

si affaccia la statua <strong>di</strong> San Lorenzo, proveniente dalla fabbrica precedente ed<br />

attribuita, per induzione stilistica, a Giovanni Carra o Prospero Antichi. Ai margini<br />

della balaustra sono due putti festanti che in<strong>di</strong>cano gioiosi il santo martire.<br />

Sono opera <strong>di</strong> Antonio Callegari,<br />

come pure i due al centro<br />

delle balaustre laterali (1756).<br />

I capitelli, le lesene e le colonne<br />

della facciata furono scolpite<br />

in marmo dal marmorino<br />

bresciano Vincenzo Zaina,<br />

imitando quelli del Duomo per<br />

preciso volere del committente.<br />

L’or<strong>di</strong>ne inferiore della facciata<br />

si conclude sopra la trabeazione<br />

con un frontone centinato<br />

oltre il quale si apre, nell’or<strong>di</strong>ne<br />

superiore, una finestra<br />

circolare fonte <strong>di</strong> luce per<br />

la navata interna. Il corpo centrale<br />

della facciata è concluso<br />

alla sommità da un frontone<br />

timpanato che ospita al centro<br />

una cartella sagomata in stucco,<br />

destinata in origine forse<br />

ad inquadrare una scritta perduta.<br />

Chiesa <strong>di</strong> San Lorenzo<br />

68


Interno<br />

L’interno si presenta ad aula unica con pianta longitu<strong>di</strong>nale, quin<strong>di</strong> priva <strong>di</strong> transetto.<br />

Per suggerire una sorta <strong>di</strong> pianta a croce greca, l’architetto Domenico Corbellini<br />

ha voluto approfon<strong>di</strong>re le due cappelle centrali de<strong>di</strong>cate al Crocifisso e alla<br />

Madonna della Provvidenza. All’altezza <strong>di</strong> queste cappelle, in corrispondenza<br />

della navata centrale, si apre un’ampia cupola decorata con elementi prospettici<br />

che ne imitano le nervature e aperta alla base con otto occhielli che ne consentono<br />

l’illuminazione interna. L’articolazione in cappelle delle pareti laterali è scan<strong>di</strong>ta<br />

dalla presenza <strong>di</strong> possenti colonne <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne corinzio addossate alle pareti. Su<br />

<strong>di</strong> esse poggia un lungo cornicione, decorato alternativamente da motivi a rosetta<br />

e mensole con motivi vegetali, che funge da elemento unificatore dell’intero<br />

ambiente.<br />

Alla parete destra entrando (a) è addossato il monumento funerario <strong>di</strong> Bartolomeo<br />

Averol<strong>di</strong>, vescovo <strong>di</strong> Calamona. Il monumento, voluto dal fratello Alessandro,<br />

prevosto della chiesa <strong>di</strong> San Lorenzo, è quel che resta <strong>di</strong> un antico mausoleo,<br />

fatto erigere nel 1538, presso la cappella <strong>di</strong> famiglia, la terza del lato destro. Per<br />

l’esecuzione <strong>di</strong> questo sarcofago il committente ha probabilmente preso a modello<br />

quello della sua famiglia nella collegiata dei santi Nazaro e Celso, dove il vescovo<br />

Altobello Averol<strong>di</strong> è ritratto in analoga posizione giacente.<br />

Sulla parete orientale dell’atrio trova collocazione un <strong>di</strong>pinto <strong>di</strong> Grazio Cossali<br />

che ritrae l’Incontro <strong>di</strong> Gesù con la Madre sulla via del Calvario (1616). La tela<br />

proviene da un’antica cappella de<strong>di</strong>cata alla Passione, <strong>di</strong>strutta nel corso dei lavori<br />

<strong>di</strong> ricostruzione settecenteschi. A questo <strong>di</strong>pinto si lega un voto particolare<br />

della comunità laurenziana che, nel corso <strong>di</strong> una terribile epidemia <strong>di</strong> colera nel<br />

1836, si affidò alla sua venerazione per scampare dal terribile morbo.<br />

La prima cappella sul lato destro è de<strong>di</strong>cata a san Biagio (b) e fu costruita fra il<br />

1757 e il 1763, come attesta una lapide sulla parete sinistra. Oggi ospita una pala<br />

centinata <strong>di</strong> Luigi Sigurtà che ritrae san Biagio mentre guarisce un fanciullo agonizzante<br />

per una lisca che gli si era conficcata in gola. Al margine destro in secondo<br />

piano due figure femminili reggono una lunga candela, ricordo <strong>di</strong> quella<br />

offerta che ogni anno una vedova rivolgeva al santo per averle restituito il porcellino<br />

perduto, unica sua sostanza. Dalla sovrapposizione <strong>di</strong> questi due eventi miracolosi<br />

è nata l’usanza <strong>di</strong> bene<strong>di</strong>re la gola con due ceri incrociati il 3 febbraio,<br />

giorno della festa del santo.<br />

Assai ricercato è il tabernacolo in onice e pietre orientali <strong>di</strong> grande pregio. Sembra<br />

che si conservassero e venerassero qui le reliquie del santo dal momento che<br />

nel tesoro della chiesa figura un reliquiario a braccio in argento databile tra la fine<br />

69


del XV secolo ed il principio <strong>di</strong> quello successivo.<br />

Segue quin<strong>di</strong> la cappella del Crocifisso (c), impreziosita dalla pala <strong>di</strong> Pietro Ricchi<br />

detto il Lucchese che ritrae la Crocifissione (1646 ca.). Qui aveva sede la<br />

scuola del Santissimo Sacramento. Ai lati della cappella sono due tele <strong>di</strong> Antonio<br />

Gan<strong>di</strong>no che ritraggono a figura intera i santi Vincenzo <strong>di</strong> Saragozza sul lato sinistro<br />

e il vescovo Ottaziano sul lato opposto. Nel registro superiore si inseriscono<br />

due medaglioni in stucco, attribuiti al comasco Stefano Salterio. Sia le tele che<br />

i ton<strong>di</strong> sono esattamente i pendants <strong>di</strong> quelli prospicienti, <strong>di</strong>sposti ai lati della cappella<br />

della Beata Vergine della Provvidenza.<br />

Chiude il lato destro la cappella della Beata Vergine della Misericor<strong>di</strong>a (d), sorta<br />

tra il 1754 ed il 1756 in luogo dell’antica cappella della famiglia Averol<strong>di</strong>, come<br />

provano lo stemma sull’arcone <strong>di</strong> accesso, l’epigrafe sulla parete destra ed alcune<br />

lastre tombali sul pavimento.<br />

Oggi custo<strong>di</strong>sce una<br />

tela, databile all’ultimo decennio<br />

del Settecento, opera<br />

del bresciano Sante Cattaneo<br />

che ritrae la Madonna della<br />

misericor<strong>di</strong>a.<br />

L’ampio presbiterio (e) ed il<br />

sontuoso altare (1752-1754)<br />

furono realizzati impiegando<br />

i migliori marmi <strong>di</strong>sponibili:<br />

oltre ai marmi locali, quello<br />

<strong>di</strong> Carrara, il giallo <strong>di</strong> Serravezza,<br />

il verde antico, il <strong>di</strong>aspro<br />

<strong>di</strong> Sicilia. Altra componente<br />

della ricca decorazione<br />

è il gusto per l’esotismo, richiamato<br />

dalla cupola a cipolla<br />

orientaleggiante, impreziosita<br />

da nappine.<br />

Sotto la mensa, entro un’ara<br />

<strong>di</strong> forma bombata, si conservano<br />

le reliquie dei santi vescovi<br />

bresciani Ottaziano e<br />

Chiesa <strong>di</strong> San Lorenzo: altare della Beata Vergine<br />

della Provvidenza (particolare)<br />

70<br />

Vigilio. Al <strong>di</strong> sopra poggia il<br />

prezioso tabernacolo in forma


<strong>di</strong> piccolo santuario, tutto decorato con <strong>di</strong>aspri e lapislazzuli, detto “espositorio”:<br />

per la cultura della Controriforma l’altare è luogo fondamentale perché accoglie<br />

il corpo <strong>di</strong> Cristo, incentivandone il culto in contrapposizione alla Riforma protestante<br />

che negava la transustanziazione del corpo e del sangue <strong>di</strong> Cristo nella<br />

particola e nel vino.<br />

Sulla parete <strong>di</strong> fondo del presbiterio campeggia una grande tela centinata opera<br />

del veronese Giovan Battista Cignaroli con il Martirio <strong>di</strong> san Lorenzo (1755-<br />

1757). Lungo le pareti laterali si svolgeva un ciclo <strong>di</strong> affreschi <strong>di</strong> Lattanzio Gambara<br />

(1562), quasi interamente perduto nel corso <strong>di</strong> un terribile incen<strong>di</strong>o nel Seicento.<br />

Di quella decorazione sopravvive un frammento con ritratto d’uomo, oggi<br />

presso la Pinacoteca civica, tra<strong>di</strong>zionalmente ritenuto un autoritratto del pittore.<br />

Lungo il lato sinistro della navata, prossima al presbiterio, è la cappella dell’Angelo<br />

custode (f) dove aveva sede una “Scuola degli angeli custo<strong>di</strong>”, sicuramente<br />

attiva fino al 1917. La tela che adorna l’altare è opera <strong>di</strong> Sante Cattaneo (seconda<br />

metà del XVIII secolo).<br />

Segue quin<strong>di</strong> la cappella della Beata Vergine della Provvidenza (g) eretta per<br />

esporre al culto dei devoti l’immagine della Vergine col Bambino rinvenuta il 20<br />

luglio 1755, nel corso dei lavori <strong>di</strong> ricostruzione, sulla parete meri<strong>di</strong>onale della<br />

chiesa dove era stata <strong>di</strong>pinta ad affresco tra la fine del XIV secolo ed il principio<br />

<strong>di</strong> quello successivo. La miracolosa effige si trova oggi entro una complessa cornice<br />

in marmi versicolori, opera dello scultore Antonio Callegari, che imita una<br />

serie <strong>di</strong> preziosi drappi in lapislazzulo panneggiati e trattenuti da graziosissimi<br />

putti in volo.<br />

Anche l’altare rifulge degli stessi preziosi materiali. Straor<strong>di</strong>nariamente moderne<br />

appaiono inoltre le piccole vedute urbane e rurali <strong>di</strong> Giovanni Mariani che corrono<br />

lungo i comparti del gra<strong>di</strong>no inferiore della mensa d’altare e dei pilastrini, tutte<br />

realizzate a commesso impiegando lapislazzuli, alabastro, <strong>di</strong>aspro, bar<strong>di</strong>glio,<br />

topazio ed altri marmi rari.<br />

Completa il fastoso altare la maestosa pala <strong>di</strong> Francesco Lorenzi de<strong>di</strong>cata alla Sacra<br />

Famiglia con san Giovannino, sant’Anna e san Gioacchino (1762). L’opera<br />

denuncia l’evidente influsso che l’artista veneziano subì dell’allora imperante gusto<br />

tiepolesco.<br />

Ai lati della cappella trovano posto le tele del Gan<strong>di</strong>no ed i ton<strong>di</strong> a stucco, opera<br />

<strong>di</strong> Stefano Salterio, esatti corrispettivi <strong>di</strong> quelli posti ai lati della prospiciente cappella<br />

del Crocifisso. I <strong>di</strong>pinti raffigurano il <strong>di</strong>acono Lorenzo, santo de<strong>di</strong>catario<br />

della chiesa (alla destra), e il vescovo Vigilio (al lato opposto), mentre i ton<strong>di</strong><br />

ospitano i busti dell’evangelista Marco (alla sinistra) e Giovanni (sul lato opposto).<br />

71


A<strong>di</strong>acente è la cappella de<strong>di</strong>cata al culto <strong>di</strong> san Carlo (h). La grande tela che qui<br />

si custo<strong>di</strong>sce è opera <strong>di</strong> Francesco Giugno e raffigura san Carlo in gloria (1611<br />

ca.). I colori vivi<strong>di</strong> della composizione sono tipici della produzione matura dell’artista<br />

bresciano che, dopo un appren<strong>di</strong>stato presso Pietro da Marone, compì la<br />

sua formazione nella laguna veneta presso la scuola <strong>di</strong> Palma il Giovane.<br />

Chiude il lato sinistro la cappella iemale che fungeva da Battistero (i). A denunciare<br />

la primitiva destinazione d’uso è l’affresco settecentesco con il Battesimo <strong>di</strong><br />

Gesù, opera del pittore bresciano Francesco Savanni, sulla parete <strong>di</strong> fondo. All’interno<br />

della cappella, sulla parete destra, si trova una grande tela che ritrae l’Incontro<br />

<strong>di</strong> Abramo con Melchisedek (1584-1585), risultato dell’assemblaggio <strong>di</strong><br />

due tele separate <strong>di</strong>pinte da Pietro da Marone come ante dell’arma<strong>di</strong>o destinato a<br />

custo<strong>di</strong>re il gonfalone processionale della compagnia del Santissimo Sacramento.<br />

Sulla parete opposta campeggia un <strong>di</strong>pinto <strong>di</strong> Prospero Rabaglio raffigurante due<br />

episo<strong>di</strong> veterotestamentari, legati al tema eucaristico: L’acqua zampillante dalla<br />

roccia e La caduta della manna (1596). L’opera, in modo analogo alla precedente,<br />

nasce dall’unione delle ante interne del medesimo arma<strong>di</strong>o.<br />

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