Sergio Santarnecchi HEIDEGGER 1. La vita Martin ... - Russell Newton
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<strong>Sergio</strong> <strong>Santarnecchi</strong><br />
53). Libertà per la morte che non significa fuga dal mondo o distacco, ma anzi decisione<br />
per l’agire, senza illusioni.<br />
Ogni situazione nella quale ci troviamo a vivere deve essere concepita per quel che è,<br />
ovvero come possibilità; se l’Esserci è progetto esso non può bloccarsi in una sola<br />
dimensione senza neanche averla colta come possibilità, rinunciando in questo modo<br />
alla sua realtà ontologica, ovvero il suo aprirsi alla realtà, e parimenti disperdendo la sua<br />
esistenza in frammenti. Solo la consapevolezza anticipatrice della morte consente<br />
all’Esserci di aprirsi al mondo, di non chiudersi in se stesso, e contemporaneamente dà<br />
un senso unitario al suo progetto esistenziale. In questi termini, dunque, Heidegger<br />
chiarisce quella distinzione che era stata introdotta in precedenza tra <strong>vita</strong> autentica e <strong>vita</strong><br />
inautentica: in sintesi la <strong>vita</strong> inautentica è la rinuncia alla propria dimensione<br />
progettuale e di possibilità, la <strong>vita</strong> autentica è essere per la morte, consapevolezza della<br />
possibilità nullificante, che apre e progetta ogni altra possibilità.<br />
<strong>La</strong> posizione di Heidegger, quindi, è del tutto opposta rispetto a quella di Epicuro,<br />
che per tranquillizzare il soggetto, consigliava di non preoccuparsi della morte, in<br />
quanto quando noi ci siamo essa non c’è, quando essa c’è, noi non ci saremo più: questa<br />
è esattamente la posizione del Si, che come abbiamo visto Heidegger respinge come<br />
inautentica.<br />
9. Temporalità e storia.<br />
Una funzione importante, per la scoperta della dimensione più vera di sé, è svolta<br />
dalla coscienza, dalla chiamata della coscienza. Il richiamo della coscienza non<br />
comunica alcunché, non ha alcuna informazione da dare, e nemmeno può essere<br />
considerato come un colloquio con se stesso. Essa parla piuttosto col modo del tacere e<br />
richiama l’Esserci al silenzio che gli si addice, alla sua intrinseca finitudine,<br />
sottraendolo alla chiacchiera. “Al se stesso richiamato non è detto nulla; esso è<br />
semplicemente ridestato a se stesso, cioè al suo più proprio poter essere” (ET 56). <strong>La</strong><br />
chiamata della coscienza è la chiamata alla consapevolezza del proprio esser colpevole,<br />
alla responsabilità del proprio essere senza fondamento che l’Esserci deve assumersi.<br />
Allora “la chiamata è chiamata della Cura. L’esser-colpevole costituisce l’essere che<br />
noi chiamiamo Cura” (ET 58). Schematicamente, il percorso che abbiamo visto è<br />
questo: il soggetto trova se stesso e la sua profonda unità, come Cura (autoprogetto),<br />
attraversando, grazie al richiamo della coscienza, le situazioni nullificanti dell’angoscia<br />
e dell’anticipazione della morte.<br />
<strong>La</strong> Cura, essendo la realtà ontologica dell’Esserci, lo definisce come temporalità.<br />
All’analisi del concetto di tempo, sia in relazione all’Esserci, che in relazione alle<br />
discipline storiche, sono dedicati gli ultimi capitoli di Essere e tempo. Il soggetto è<br />
intrinsecamente temporalità; esso infatti si progetta nel futuro, a partire dalla<br />
consapevolezza di quel che ora è ed è stato. Le tre dimensioni della temporalità<br />
convergono tutte sul presente: l’Esserci, in quanto ci, è esser presente, situazione<br />
attuale, si proietta nel futuro come anticipazione, ripetendo (riprendendo) tutto quello<br />
che è stato. “Solo perché l’Esserci è, in generale, un io sono-stato, esso può, in quanto<br />
ad-veniente, pervenire a se stesso nel modo del rivenire. E’ autenticamente adveniente<br />
solo l’Esserci autenticamente stato. L’anticipazione della possibilità estrema e più<br />
propria è il comprendente rivenire al più proprio esser stato. L’Esserci può<br />
autenticamente esser-stato solo in quanto adveniente. Il passato scaturisce in un certo<br />
modo dall’avvenire” (ET 65). Al di là delle difficoltà linguistiche, Heidegger ci vuole<br />
dire che solo il soggetto che si progetta per il suo futuro, può autenticamente esser se<br />
stesso, e in quanto autenticamente se stesso assumersi la responsabilità di tutto il<br />
proprio passato. E quindi il mio passato trova un senso solo in relazione al mio futuro.<br />
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