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Sergio Santarnecchi HEIDEGGER 1. La vita Martin ... - Russell Newton

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<strong>Sergio</strong> <strong>Santarnecchi</strong><br />

piuttosto la tecnica che utilizza le scienze esatte. Cos’è allora la tecnica? “<strong>La</strong> tecnica<br />

non è semplicemente un mezzo. <strong>La</strong> tecnica è un modo del disvelamento” (SD 9). Un<br />

disvelamento che non significa più, come un tempo, accudire e curare, ma piuttosto<br />

appropriarsi totalmente. Diversa è la relazione che un mulino ad acqua medioevale e<br />

una centrale idroelettrica hanno con lo stesso fiume: mentre il mulino si limita ad<br />

utilizzare il fiume, la centrale se ne impossessa fino in fondo, lo trasforma proprio in<br />

quello che Heidegger definisce fondo, ovvero possibilità indefinita di utilizzazione.<br />

Mentre il mulino ad acqua ha a che fare con un oggetto, quel fiume, la moderna<br />

tecnologia non ha più a che fare con oggetti, ma con possibilità nascoste che devono<br />

essere disvelate e utilizzate, risorse.<br />

L’essenza della tecnica è dunque imposizione, ovvero quella struttura rigida<br />

dell’oggettività che richiede, pretende, impiega la realtà. “Nell’imposizione accade la<br />

disvelatezza conformemente alla quale il lavoro della tecnica moderna disvela il reale<br />

come fondo” (SD 15). In questa situazione compare la scienza esatta della natura, come<br />

strumento di appropriazione della realtà da parte dell’uomo. “E’ perché l’essenza della<br />

tecnica moderna risiede nella sua imposizione che essa deve adoprare le scienze esatte.<br />

Di qui si origina la falsa apparenza che la moderna tecnica sia scienza applicata” (SD<br />

17).<br />

<strong>La</strong> tecnica è il destino dell’epoca moderna, destino inteso tuttavia non come fato<br />

necessario, ma come libera destinazione, la quale implica pertanto anche possibilità di<br />

liberazione dalla dicotomia: darsi alla tecnica in modo cieco o respingerla come opera<br />

del demonio. Heidegger, infatti, non si nasconde i pericoli insiti nell’approccio<br />

tecnico/scientifico alla realtà. Tali pericoli sono sostanzialmente due (prescindendo<br />

dalla banale considerazione dei possibili esiti o usi negativi delle scoperte scientifiche e<br />

tecnologiche): innanzi tutto, l’uomo stesso può finire per essere considerato solo come<br />

fondo, cioè come risorsa da utilizzare, L’uomo si crede il signore della terra, tutto ciò<br />

che sussiste sembra essere un prodotto dell’uomo, ma “in realtà proprio se stesso<br />

l’uomo di oggi non incontra più in alcun luogo, non incontra più cioè la propria<br />

essenza” (SD 21).<br />

Secondariamente, il pericolo vero è nell’essenza stessa della tecnica (il suo essere<br />

imposizione) ovvero il considerare la realtà solo come un insieme di enti da utilizzare,<br />

precludendosi così un rapporto più profondo, più originario, travolgendo l’uomo<br />

nell’attività dell’impiegare spacciata come unica possibilità di conoscere la realtà.<br />

Ovvero, come Heidegger dice in un suo altro intervento (L’abbandono), l’abbandono<br />

del pensiero meditante, che vada alla radice delle cose, per il solo pensiero calcolante,<br />

che approccia la realtà in modo puramente oggettivistico<br />

Tuttavia, Heidegger, citando Holderlin, un poeta romantico tedesco da lui molto<br />

amato, ricorda che “là dove c’è il pericolo, cresce / anche ciò che salva” (SD 22). E ciò<br />

che può salvare, è la poesia, è l’arte, che trae la sua origine dal medesimo atteggiamento<br />

produttivo della tecnica, cui tuttavia è concesso un disvelamento più originario.<br />

Meditando su un altro verso del poeta, Poeticamente abita l’uomo, Heidegger arriva a<br />

distinguere, riprendendo la distinzione tra esistenza autentica e inautentica, un vivere<br />

poetico da un vivere impoetico. Il vivere impoetico è il vivere di oggi,<br />

tecnologico/scientifico, che concepisce la realtà solamente come qualcosa da sfruttare e<br />

da controllare; il vivere poetico è invece curare, proteggere, custodire: “si limita ad<br />

organizzare il proprio soggiorno sulla terra sotto il cielo, prendendosi cura, come<br />

contadino, di ciò che cresce, e insieme erigendo edifici. Un tal coltivare-costruire è<br />

possibile all’uomo solo se egli già costruisce nel senso del poetante prender-misure”<br />

(SD 136). Il vivere poetico è, dunque, un vivere armonico in cui l’uomo lascia venire la<br />

misura che gli è assegnata, in cui si pone dei limiti, in equilibrio tra terra e cielo, divino<br />

e umano (il quadrato del mondo, SD 40), ove l’uomo si apre al linguaggio poetico in<br />

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