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Allegato [pdf]: Dicembre 2007 - Fondazione Laudato sì

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editoriale<br />

accontentano di condividere il pane della sopravvivenza, quelli<br />

più esigenti reclamano il ristabilimento di condizioni fondate sulla<br />

giustizia. Non a caso quarant’anni fa papa Paolo VI, profeta inascoltato,<br />

invocava nella enciclica Populorum progressio l’instaurazione<br />

di un nuovo ordine mondiale fondato sulla solidarietà.<br />

E Giovanni Paolo II ha più volte parlato di strutture di peccato<br />

da trasformare. Se continueremo a dormirci sopra, saremo<br />

risvegliati dalla collera dei poveri.<br />

In ogni caso, e quali che siano le nostre reazioni, appare evidente<br />

che la prospettiva futura si apre su uno scenario in cui le società<br />

occidentali sono destinate a subire trasformazioni epocali<br />

in un lasso di tempo calcolabile in qualche decennio o anche meno.<br />

Già balbettiamo di società multietnica benché i numeri siano<br />

a tutt’oggi ancorati a una larghissima maggioranza della popolazione<br />

italiana. Nel prossimo futuro la società sarà davvero multietnica<br />

con proporzioni numeriche del tutto diverse dalle attuali.<br />

Se questo è vero, come io credo, bisogna attrezzarsi culturalmente<br />

e politicamente per una risposta adeguata sia sul piano istituzionale<br />

che su quello sociale. A questo proposito sarebbe<br />

interessante pensare a una riforma della Costituzione aperta alla<br />

dimensione futura, anziché immiserita dalle beghe di contrada.<br />

Co<strong>sì</strong> come il tema della sicurezza andrebbe pensato positivamente<br />

a favore di tutti e non contro qualcuno, per l’eterna tentazione<br />

di nascondere dietro il volto di un capro espiatorio l’incapacità<br />

di costruire comunità conviviali anziché ghetti etnici.<br />

Abbiamo la necessità e l’urgenza di costruire un consenso etico<br />

tra culture diverse per favorire la crescita di un senso comune della<br />

cittadinanza tra modi eterogenei di vivere e concepire l’esistenza,<br />

per identificare percorsi e comportamenti comuni, in base a regole<br />

comuni. Una scelta che dovrebbe metterci in condizione di<br />

misurare prima ciò che ci divide e poi ciò che ci unisce, per sollecitare<br />

un atteggiamento di accoglienza reciproca, di dialogo, di<br />

confronto anche polemico alla ricerca appunto della convergenza.<br />

Quando si fanno questi discorsi è inevitabile scontrarsi con<br />

quanti temono il cambiamento come l’annuncio di una sopraffazione<br />

destinata a cancellare la nostra stessa identità. Abbiamo<br />

sempre detto che non conta il colore della pelle o l’origine territoriale<br />

o la razza a mettere in discussione la comune umanità,<br />

ma all’atto pratico la diversità ci spaventa sempre e ancora di<br />

più. Anche su questo terreno ci sarebbe da riflettere a lungo per<br />

chiarire a noi stessi dove come quando perché si costruisce un’identità<br />

e quali sono i confini che la certificano o le invasioni che<br />

la mortificano. Possiamo essere orgogliosi delle nostre radici ma<br />

anche interrogarci che differenza passa tra radici vere e sterpaglie<br />

abbarbicate alla pianta in cerca di un riconoscimento ufficiale.<br />

C’è materia per discutere a lungo.<br />

Ma a proposito di identità c’è un aspetto che ha risvolti meno<br />

nebulosi ed è quello che riguarda l’identità religiosa o, meglio,<br />

della fede. Anche in questo caso le polemiche se non sono quo-<br />

Raphaël - DICEMBRE <strong>2007</strong><br />

tidiane, sono almeno settimanali. La crescente presenza di immigrati<br />

mussulmani piuttosto che buddisti o induisti solleva l’allarme<br />

di chi teme tradimenti o quantomeno contaminazioni perniciose<br />

per i cattolici. Minacciati da queste presenze, rischierebbero<br />

di perdere la fede. A me sembra una polemica paradossale.<br />

E mi spiego.<br />

Il cristianesimo si è diffuso nel mondo a partire dall’annuncio di<br />

un manipolo di uomini che ad un certo punto hanno affrontato il<br />

mondo intero, per quanto era possibile allora, per annunciare la<br />

buona novella. Se avessero avuto paura delle contaminazioni sarebbero<br />

ancora chiusi nel Cenacolo a domandarsi da che parte<br />

incominciare e come difendersi dai nemici, che erano tutti.<br />

E dopo di loro altri uomini coraggiosi, ma soprattutto forti nella<br />

fede, hanno percorso tutto il mondo per rinnovare l’annuncio a<br />

chi non l’aveva ancora udito. Tutti costoro quando partivano,<br />

quando andavano, quando agivano non si preoccupavano della<br />

propria identità ma erano spinti dallo zelo missionario che fa parte<br />

integrante dell’essere cristiani. Chi ha incontrato veramente<br />

Gesù Cristo non può trattenersi dalla voglia di gridarlo sui tetti.<br />

Gli apostoli, i primi e quelli che li hanno seguiti, se fossero in<br />

mezzo a noi sarebbero felici di avere l’opportunità di incontrare<br />

persone che non conoscono Gesù Cristo o comunque professano<br />

altre fedi e di poter loro offrire quell’annuncio senza bisogno<br />

di andare in terre lontane. Non sto parlando di un proselitismo<br />

conquistatore, ma semplicemente dell’ occasione di testimoniare<br />

la fede nel Dio di Gesù Cristo per farla conoscere. Invece temiamo<br />

di essere contaminati se non conquistati. A me sinceramente<br />

sembra una pubblica ammissione di debolezza che per un<br />

cristiano è davvero sconcertante. Non perché nutra fiducia assoluta<br />

nella forza della mia fede ma perché penso che la forza<br />

non viene da me ben<strong>sì</strong> dallo Spirito, quello stesso che ha mandato<br />

in orbita un manipolo di pescatori ignoranti i quali sono andati<br />

a sfidare colossi come la cultura greca e l’impero romano, uscendone<br />

vincitori, se vogliamo dare un’occhiata alla storia.<br />

È troppo ricordare san Paolo? «Chi ci separerà dunque dall’amore<br />

di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la<br />

fame, la nudità, il pericolo, la spada? Proprio come sta scritto:<br />

Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo trattati<br />

come pecore da macello. Ma in tutte queste cose noi siamo<br />

più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti<br />

persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente<br />

né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra<br />

creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo<br />

Gesù, nostro Signore» (Romani 8, 35–39).<br />

E non siamo certo nelle condizioni descritte da Paolo. Eppure<br />

soffriamo di sindrome da accerchiamento. Qualcuno mi obietterà<br />

che a temere sono anche persone di un certo peso. Può darsi.<br />

Vuol dire che il loro peso è presunto perché sono come piume<br />

in balia del vento. Forse perché credono di credere.<br />

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