1 Lezione 4 – IL SONETTO Ballata italiana o ballata antica Guido ...

Lezione 4 – IL SONETTO
LA BALLATA
Ballata italiana o ballata antica
Guido Cavalcanti, Era in penser d’amor quand’i trovai (Rime, XXX)
1 Era in penser d’amor quand’i’ trovai
due foresette nove.
L’una cantava: «E’ piove
gioco d’amore in noi»
5 Era la vista lor tanto soave
e tanto queta, cortese e umìle,
ch’i’ dissi lor: «Vo’ portate la chiave
di ciascuna vertù alta e gentile.
Deh, foresette, no m’abbiate a vile
10 per lo colpo ch’i porto;
questo cor mi fu morto
poi che ’n Tolosa fui». [...]
Ballata lauda
Iacopone da Todi, O segnor per cortesia
O segnor, per cortesia, A me venga mal de denti,
manname la malsania. mal de capo e mal de ventre,
a lo stomaco dolor pongenti
A me la freve quartana, 10 e ’n canna la squinanzia.
la contina e la terzana,
5 la doppia cotidïana
co la granne etropesia.
Ballata nel Novecento
A Liuba che parte Avalle [x abab cD(y)cd (y)x]
Non il grillo ma il gatto Non il grillo ma il gATTO
del focolare del focolARE
or ti consiglia, splendido or ti consIGLIA,
lare della dispersa tua famiglia. splendido lARE
La casa che tu rechi della dispersa tua famIGLIA.
con te ravvolta, gabbia o cappelliera? La casa che tu rECHI
sovrasta i ciechi tempi come il flutto con te ravvolta, gabbia o cappellIERA?
arca leggera – e basta al tuo riscatto. sovrasta i ciECHI
tempi come il flutto arca leggERA –
e basta al tuo riscATTO.
Il sonetto delle origini
Giacomo da Lentini, [C]hi non avesse mai veduto foco
[C]hi non avesse mai veduto foco,
no crederia che cocere potesse,
anzi li sembreria solazzo e gioco
lo so isprendor[e], quando lo vedesse.
5 Ma s’ello lo tocasse in alcun loco,
be·lli se[m]brara che forte cocesse:
quello d’Amore m’à toccato un poco,
molto me coce – Deo, che s’aprendesse!
Che s’aprendesse in voi, [ma]donna mia,
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10 che mi mostrate dar solazzo amando,
e voi mi date pur pen’e tormento.
Certo l’Amor[e] fa gran villania,
che no distringe te che vai gabando,
a me che servo non dà isbaldimento.
Il sonetto petrarchesco
Rvf 21
Mille fiate, o dolce mia guerrera,
per aver co’ begli occhi vostri pace
v’aggio profferto il cor; ma’ voi non piace
mirar sì basso colla mente altera.
5 Et se di lui fors’altra donna spera,
vive in speranza debile et fallace:
mio, perché sdegno ciò ch’a voi dispiace,
esser non può già mai così com’era.
Or s’io lo caccio, et e’ non trova in voi
10 ne l’exilio infelice alcun soccorso,
né star sol, né gire ov’altri il chiama,
poria smarrire il suo natural corso:
che grave colpa fia d’ambeduo noi,
et tanto più de voi, quanto più v’ama.
Il sonetto dopo Petrarca. Giovanni Della Casa
Della Casa, Rime, LIV, O sonno Foscolo, A Zacinto
O Sonno, o de la questa, umida, ombrosa Né più mai toccherò le sacre sponde
Notte placido figlio; o de’ mortali ove il mio corpo fanciulletto giacque,
egri conforto, oblio dolce de’ mali Zacinto mia, che te specchi nell'onde
sì gravi, ond’è la vita aspra e noiosa; del greco mar da cui vergine nacque
5 soccorri al core omai che langue e posa Venere, e fea quelle isole feconde
non have;e queste membra stanche e frali col suo primo sorriso, onde non tacque
solleva: a me ten vola o Sonno, e l’ali le tue limpide nubi e le tue fronde
tue brune sovra me distendi e posa. l'inclito verso di colui che l'acque
Ov’è ’l silenzio che ’l dì fugge e ’l lume? cantò fatali, ed il diverso esiglio
10 e i lievi Ssogni, che con non secure per cui bello di fama e di sventura
vestigia di seguirti han per costume? baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.
Lasso! che ’nvan te chiamo, e queste oscure Tu non altro che il canto avrai del figlio,
e gelide ombre invan lusingo. O piume o materna mia terra; a noi prescrisse
d’asprezza colme! O notti acerbe e dure! il fato illacrimata sepoltura.
Il ritorno del sonetto shakespeariano
Montale, La bufera, Gli orecchini
Non serba ombra di voli nerofUMo
della spera. (E del tuo non è più traccia).
È passata la spugna che i barlUMi
indifesi dal cerchio d’oro scacccia.
Le tue pietre, i coralli, il forte imperio
che ti rapisce vi cercavo; fUGGO
l’iddìa che non s’incarna, i desiderî
porto fin che al tuo lampo non si strUGGOno.
Ronzano elitre fuori, ronza il folle
mortorio e sa che due vite non cONTAno.
2

Nella cornice tornano le molli
meduse della sera. La tua imprONTA
verrà di giù: dove ai tuoi lobi squallide
mani, travolte, fermano i coralli.
Sonetto reinterzato
Guittone d’Arezzo, O benigna, o dolce, o prezïosa
O benigna, o dolce, o prezïosa,
o del tutt’amorosa
madre del mio signore e donna mia,
ove fugge, o’ chiama, o’ sperar osa
5 l’alma mia bisognosa,
se tu, mia miglior madre, haila ’n obbria?
Chi, se non tu, misericordiosa,
chi saggia u poderosa,
u degna ’n farmi amore u cortesia?
10 Mercé, donque: non più mercé nascosa,
né paia ’n parva cosa,
ché grave ’n abondanza è carestia.
Né sanaria la mia gran piaga fera
medicina leggera.
15 Ma, si tutta sì fera e brutta pare,
sdegneraila sanare?
Chi gran mastro, che non gran piaga chera?
Se non miseria fusse, ove mostrare
se porea, né laudare
20 la pietà tua tanta e sì vera?
Conven dunque misera,
a te, Madonna, miserando orrare.
Sonetto caudato
Sermini VII, [R19]
Deh, non mi dir che Lauretta errasse
né Giovan Bello, anco fêr molto bene!
Se ’l simplice Papino fe’ quel che fene,
a ·llui si debba imputar che fallasse.
5 Chi quel sarebbe che si temperasse?
Ciaschedun ponga sé dinanzi a sene
et pensi quel che pensar si conviene
quando in tal forma lui si ritrovasse.
Et considera ben la gioventudine
10 e se tal mescolanza è läudevole,
dando l’agio nel letto et solitudine.
Volendo pur del suo esser piacevole,
nissun ne debba aver amaritudine,
ma lodilo per cortese et amorevole.
15 Chi vol esser agievole
come Papino, trovarà assai gente
che ’l terran per amico et per parente!
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Sonetto retrogrado
Antonio da Tempo, Molti coltivan persona possente
Molti coltivan persona possente;
donando acquista l’uomo sempre amici.
Gradando spesso si trovan felici;
tolti e sgradati cadono perdente.
5 Involti son d’amici ricca gente;
calando vanno amor povri mendici.
Irando fansi piusor inimici;
volti concordi fanno amor lucente.
Natura di vertute si presenta;
10 censo rifiuta zascun virtuoso;
figura nuda virtute contenta.
Compenso buon è voler amoroso;
secura cantate Dio talenta;
a censo divin nato è ’l caritoso.
Zanzotto, Sonetto II (Sonetto degli inetrminabili lavori dentarii)
In debil morso ahimé denti perdenti,
lungo iniqua sottil falcidia espunti
o a colpi a strappi, e in falso poi congiunti,
masticazioni, bulimie dolenti,
5 come infiniti addendi trovo denti
di giorni e di anni in ebbre ire consunti:
impronte e ponti, tagli incastri punti,
del trauma orale essenza ed accidenti.
Ahi che testa non fui, non bocca o zanna
10 di fera o serpe, ma incerta collana
di segni-morsi da pròtesi inferti:
odio chi in pasto reo si affanna e scanna,
ma più chi indura a cincischiar la vana
sorte battendo i denti in gesso inserti.
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