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Cantarena - Altervista

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3 Mario Fancello Perbenismo<br />

4 Mario Fancello Note informative: Giuliano Mesa<br />

6 ------------ -------------- Profilo biografico di Giuliano Mesa<br />

7 Giuliano Mesa Trascrizione dell’intervento (a c. di M. Fancello)<br />

22 Mario Fancello Sottolineature<br />

23 Mario Fancello Note informative: Emilia Marasco & Franca Zarcone<br />

32 ------------ -------------- Profilo biografico di Emilia Marasco<br />

33 ------------ -------------- Profilo biografico di Franca Zarcone<br />

2<br />

SOMMARIO<br />

35 Emilia Marasco Trascrizione dell’intervento (a c. di M. Fancello). Il testo comprende anche<br />

54 Mario Fancello Sottolineature<br />

uno scritto di Franca Zarcone.<br />

55 Gianni Milano Se fossi una rondine<br />

59 Massimo Sannelli Aux enfants, con un’epigrafe e una glossa<br />

61 ------------ -------------- Puntaspilli (a c. di M. Fancello)<br />

64 ------------ -------------- Farfalle metropolitane (a c. di M. Fancello)<br />

66 ------------ -------------- Scheletri nell’armadio: Luca Ferrieri (a c. di M. Fancello)<br />

<strong>Cantarena</strong><br />

Anno VI – Numero 22<br />

Giugno 2003<br />

Periodicità trimestrale<br />

Direzione e redazione<br />

Mario Fancello<br />

Silvana Masnata<br />

Rosangela Piccardo<br />

Mirella Tornatore<br />

Realizzazione grafica<br />

Mario Canepa<br />

Mauro Grasso<br />

Rosangela Piccardo<br />

Produzione e distribuzione in proprio<br />

Per contatti ed informazioni<br />

Scuola Media Statale V. Centurione<br />

Salita inferiore Cataldi, 5<br />

16154 Genova<br />

Fax 010 / 6011225<br />

Posta elettronica<br />

vcenturione@tin.it<br />

In copertina:<br />

GIOVANNI MORBIN, Non sto più nella pelle, maggio 2002<br />

carta da macelleria, 50 x 74 cm<br />

Courtesy Leonardi V-Idea, Genova<br />

In quarta di copertina:<br />

FRANCA ZARCONE, Sedimentazione mnemonica, 1998,<br />

Collezione privata.<br />

Le fotografie raffiguranti gli incontri<br />

alla S.M.S. Centurione sono di M. Fancello.<br />

COMUNICATO:<br />

Ringraziamo per la collaborazione<br />

l’A.R.C.I. di Genova.


3<br />

PERBENISMO<br />

Accade a volte – o spesso – di sentire gli altri (mai noi stessi), di fronte a fatti incresciosi o<br />

drammatici che coinvolgono una o più persone, sbottare in frasi del tipo: .<br />

È un principio di economia interiore che permette di sottrarre ossigeno al funzionamento della<br />

coscienza. Da più parti si è ritenuto, e si sostiene anche adesso, che uno specifico ceto sociale si sia<br />

messo più in vista d’altri nella ricerca della pura sopravvivenza e nel tacito – o spavaldo – assenso<br />

al sopruso.<br />

Fa, in realtà, parte del nostro linguaggio e della nostra forma mentis distinguere e separare l’etica<br />

dalla pratica. Una cosa sono i principi teorici universali (che conducono all’utopia e all’integralismo<br />

insofferente) e un conto è la flessibilità del fare concreto e realista (sintomo d’intelligenza e di<br />

capacità d’adattamento). Se i tempi non sono maturi (ma quando mai lo sono stati?) che senso ha<br />

tramutarsi in velleitari Don Chisciotte?<br />

È salutare dunque contemplarsi accoccolati in siffatta saggezza lasciando che il rigore morale<br />

d’ognuno passi dalla fase del sonno profondo a quella del coma irreversibile.


Con il contributo della<br />

Provincia di Genova<br />

4<br />

NOTE INFORMATIVE<br />

G I U L I A N O M E S A<br />

Nell’auditorium della S. M.S. Centurione di Salita Inferiore Cataldi, sabato 1 giugno 2002, Giuliano<br />

Giuliano Mesa ripreso mentre porge ai ragazzi alcuni strumenti essenziali per avvicinarsi alla poesia. Di fianco a lui<br />

sono chiaramente riconoscibili gli allievi di III B. Bacheche e trofei affissi al muro testimoniano la partecipazione, nelle<br />

passate stagioni, di alcune classi del corso A a concorsi musicali d’importanza nazionale.


Mesa ha avviato, quasi per mano, gli studenti della I A e parte degli allievi di III B,<br />

all’apprezzamento interiore della poesia contemporanea inserendo nello sviluppo storico-letterario<br />

esempi di sue composizioni ed esercizi propedeutici adatti alla tipologia di pubblico presente<br />

nell’aula.<br />

Abbiamo fatto in modo che la nostra interpretazione del colloquio fosse revisionata dall’Autore per<br />

ridurre al minimo lacune, equivoci e distorsioni.<br />

La videoregistrazione, effettuata da alcuni allievi di III B (tra cui Giulio Palazzolo) ed<br />

inequivocabilmente asserita dalla foto di pagina 14, risulta tuttora dispersa.<br />

L’intervento di Giuliano Mesa fa parte del progetto Interazioni, totalmente finanziato dalla<br />

Provincia di Genova.<br />

5<br />

Giuliano Mesa e Massimo Sannelli in un momento di relax.


6<br />

PROFILO BIOGRAFICO<br />

G I U L I A N O M E S A 1<br />

Giuliano Mesa (Salvaterra, Reggio Emilia 1957) di poesia ha pubblicato:<br />

Schedario (poesie 1973-1977), Geiger, Torino, 1978;<br />

I loro scritti. Poesie 1985-1991, Quasar, Roma, 1992;<br />

Improvviso e dopo. Poesie 1992-1995, Anterem, Verona, 1997;<br />

Quattro quaderni. Improvvisi 1995-98, Zona, Lavagna, 2000.<br />

È tra i redattori del volume Àkusma. Forme della poesia contemporanea, Metauro, Fossombrone,<br />

2000.<br />

Nel 2001 ha realizzato, con il compositore Agostino Di Scipio, l’opera per poesia e musica<br />

elettronica Tiresia (prima esecuzione 12 dicembre 2001, L’Aquila, Festival Corpi del suono).<br />

Recentemente ha pubblicato per le Edizioni d’if (Napoli 2002), nella collana i miosotis, chissà.<br />

Poesie 1999-2000.<br />

Nella collana gli armadilli blu delle Edizioni d’if (Napoli 2003) è stato poi pubblicato Nuvola Neve.<br />

nove nuvole in forma di versi, corredato con disegni a china dello stesso Giuliano Mesa.<br />

1 Le informazioni sulla vita di Giuliano Mesa sono state ricavate dalla pubblicazione succitata Nuvola Neve.


Con il contributo della<br />

Provincia di Genova<br />

Legenda<br />

- GM - Giuliano Mesa<br />

- RR - Alunni di I A e di una parte di III B<br />

- MF - Mario Fancello<br />

TRASCRIZIONE DELL’INTERVENTO<br />

G I U L I A N O M E S A<br />

[…].<br />

- GM – Stavo dicendo e chiedendo: Qual è la prima differenza che vi viene in mente tra un<br />

testo in prosa, di narrativa, e la poesia?<br />

- RR – La poesia è in versi.<br />

- GM – È in versi. Perché è in versi?<br />

- RR – [Silenzio].<br />

- MF – Prova – se posso permettermi –<br />

- GM – Sì.<br />

- MF – prova a cambiare (dicendo la stessa cosa) le parole, perché forse sono quelle a<br />

metterli in difficoltà.<br />

- GM – Va bene. Allora se io leggo una … Questa è la mia nota biografica: Giuliano Mesa,<br />

nato nel 1957 a Reggio Emilia, nel 1957, si è trasferito a Roma nel 1982 ecc. Questo è un<br />

testo di prosa, che è una prosa narrativa; per definirla dico narrativa perché narra, anche se<br />

in modo particolare, dei fatti, racconta degli eventi, racconta quando è nata una persona,<br />

dove ha vissuto, che cosa ha fatto durante la sua vita. Che cosa succede quando queste<br />

parole – o parole simili – vengono distribuite in un modo diverso? La domanda poi è molto<br />

semplice. Non voglio insistere su questa cosa. In breve: la prima cosa che vi viene in mente,<br />

la prima differenza che ci colpisce fra una pagina di prosa e una poesia.<br />

- RR – [Un ragazzo dice qualcosa].<br />

- GM – La prima risposta che vi viene in mente qual è?<br />

- RR – [Emerge una risposta].<br />

- GM – Sì, perché ci sono dei ritmi – dei suoni – che hanno bisogno di essere rappresentati.<br />

(Se uso delle parole che non capite, ditemelo). Non che sia indispensabile; ci sono stati dei<br />

7


momenti anche nella storia (ancora ci sono dei casi) in cui il ritmo non è rappresentato per<br />

niente, però diciamo che in generale nella poesia si va a capo. Il fatto che si vada a capo<br />

significa, nel modo più semplice, che nella poesia (a differenza di quello che succede nella<br />

prosa e soprattutto nella prosa giornalistica o informativa, che ha come scopo quello di dare<br />

delle informazioni, delle nozioni, come i vostri libri di testo) è importante il ritmo ed è<br />

importante il suono. Mmh? Allora cerchiamo di fare subito qualche esempio concreto. Io<br />

adesso vi distribuisco … Uno per uno. In questi fogli ci sono due poesie che ho scritto io.<br />

Quella stampata più in grande fa parte di un’opera per poesia e musica elettronica, che poi<br />

vi farò sentire in parte, dove il rapporto tra le parole e i suoni ha un valore particolare che<br />

poi viene anche sottolineato – direi – da suoni propriamente musicali, di musica elettronica.<br />

Dall’altra parte [del foglio], ci sono dei ritmi e dei suoni più tradizionali. Allora, adesso io<br />

vi leggo la poesia scritta in corsivo; vi prego di tenerla sott’occhio, la leggo come se<br />

leggessi il giornale- [Legge]:<br />

questa sorda sirena,<br />

e finalmente il suono della fine<br />

(è già finita,<br />

non resta che finire)<br />

questa sera serena,<br />

che mente fino all’ultimo sospiro<br />

(è già spirata,<br />

basta respirarla)<br />

[questa selva silente,<br />

che finalmente è solo una maceria<br />

(che non riguarda,<br />

se non si guarda più)]<br />

Se voi sentite qualcuno che legge così, a parte magari la stranezza del testo, pensereste di<br />

aver ascoltato una poesia o qualcos’altro?<br />

- RR – [Diversi alunni rispondono all’unisono] Qualcos’altro.<br />

- GM – E questo da che cosa dipende?<br />

- RR – [Alcuni ragazzi rispondono].<br />

- GM – Dal tono della voce, mmh, e poi?<br />

- RR – [Silenzio].<br />

- GM – Da un’altra cosa; mmh?<br />

- RR – [Uno dice qualcosa].<br />

- GM – Sì, anche, ma leggendo non sono andato a capo.<br />

- RR – [Il ragazzo di prima completa quello che aveva detto].<br />

- GM – Sì, L’ho letta così: questa sorda sirena, e finalmente il suono della fine (è già<br />

finita, non resta che finire). Non sono andato a capo e il fatto che sia scritta così, che ci<br />

siano questi pezzettini che occupano una parte minima della pagina, io nella lettura non<br />

l’ho preso in considerazione; quindi non ho fatto una lettura che rispetta il suono e il<br />

ritmo della poesia. Adesso cercherò di leggervela in modo tale che il suono e il ritmo<br />

siano più facili da ascoltare. [Legge]. È un modo possibile. Così vi sembra una poesia?<br />

- RR – [Silenzio].<br />

8


Massimo Sannelli distribuisce le fotocopie su cui sono riportati i testi delle prime due poesie lette da<br />

Giuliano Mesa.<br />

- GM – O vi sembra ancora una prosa?<br />

- RR – [Silenzio].<br />

- GM – Ma ditelo sinceramente; magari l’ho letta male.<br />

- RR – [Rispondono].<br />

- GM – Allora questo già mi fa piacere, però … Ci sono vari modi di leggere le poesie; ci<br />

sono attori specializzati nella lettura di poesia che tendono a dare molto peso<br />

all’espressività (diciamo così), quindi potrebbero leggere ad esempio: [rilegge in altro<br />

modo] questa sorda [pausa] sirena, [pausa] e finalmente... Cosa succede? Basta questo<br />

primo verso: questa sorda [pausa] sirena. Che cosa ho fatto? Ho fatto una pausa lunga<br />

tra due parole che non hanno una pausa segnata sul testo, quindi ho dato molta<br />

espressività ad un aggettivo: sorda, però non ho dato espressività al ritmo. I poeti, in<br />

generale (voi ne avete già ascoltato qualcuno, tra i quali Massimo) 1<br />

, tendono invece,<br />

quando leggono, a dare molta importanza al ritmo. Perché? Se un poeta ha deciso di<br />

scrivere battendo certi accenti anziché altri c’è un motivo, che è legato anche al<br />

significato delle parole; se cambiano questi accenti cambia anche il significato (e poi su<br />

questo vorrei farvi scrivere qualcosa). Però adesso facciamo qualche altro esempio e<br />

vorrei che lo facesse uno di voi. La poesia che c’è nell’altra facciata del foglio è una<br />

poesia decisamente più difficile – per voi – di quella che vi ho appena letto. Ci sono<br />

anche delle cose che vi possono sorprendere; ad esempio non ci sono le maiuscole, però<br />

c’è una punteggiatura e c’è una punteggiatura che non è normale. La prima parola è<br />

fumo e poi c’è un punto. Il punto si mette alla fine di una frase di senso compiuto, non<br />

dopo una parola sola. Ci sono altri punti fermi, ci sono le virgole e però non vengono<br />

usate […]<br />

1 Sannelli. È presente nel n° 21 di <strong>Cantarena</strong> il resoconto di uno dei suoi interventi.<br />

9


- RR – [Un ragazzo chiede spiegazioni relative al titolo della poesia] […] II . piromanzia.<br />

le bambole di Bangkok.<br />

- GM – Sì, due, va be’, perché è il secondo oracolo di questa serie che si chiama Tiresia<br />

[…] sarebbe un modo per divinare – diciamo predire – il futuro attraverso il fuoco; e poi<br />

c’è il titolo specifico; questa piromanzia – questa predizione – riguarda le bambole di<br />

Bangkok, una vicenda vera, accaduta, della quale poi vi dirò, vi racconterò. Però adesso<br />

rimaniamo ai suoni, al ritmo e – in questo caso – alla punteggiatura usata in modo non<br />

tradizionale. Allora, se c’è una parola, una, e poi c’è un punto, quel punto in questo caso<br />

non ha solo un significato espressivo (uso questo termine espressivo perché vedo che<br />

passa […]), significa che lì c’è una sorta di pausa, e poi ci sono altre parole che<br />

rimangono nella stessa linea ma che sono scandite attraverso le pause più brevi. - In<br />

musica cosa state facendo? Cosa avete fatto?<br />

- RR – [Un ragazzo risponde].<br />

Giuliano in un suo atteggiamento tipico.<br />

- GM – Allora, in molta poesia contemporanea la punteggiatura ha una funzione che è<br />

simile a quella delle pause in musica. Facciamo un esempio: il punto fermo, qui, è come<br />

se fosse – diciamo – una pausa di ¼ – eh? – e la virgola è come se fosse una pausa di<br />

- RR – 1/8.<br />

- GM – No, 1/8 è troppo, diciamo 1/16, se no diventa …; però qualcuno potrebbe chiedere<br />

– giustamente –: se quelle pause sono indicate dalla punteggiatura (ci sono anche poesie<br />

che non hanno punteggiatura), allora quando il verso finisce e si va a capo quella non è<br />

una pausa? Come dobbiamo interpretarla? E questo è ancora un problema serio. Magari<br />

cerchiamo di capirlo insieme, di capirlo – anche questo – scrivendo, perché è il modo<br />

migliore. Vorrei chiedere a qualcuno di voi di provare a legger, prima che li legga io,<br />

prima di farveli ascoltare con la musica, alcuni versi di questa poesia, così,<br />

improvvisando. Chi lo vuole fare?<br />

- MF – Coraggio, ragazzi.<br />

10


- RR – [Un ragazzo accetta l’invito e legge la poesia riportata qui sotto]:<br />

II. piromanzia. le bambole di Bangkok<br />

fumo. nugoli, sciami di guscî neri.<br />

bruciano le mandorle degli occhi, le falene,<br />

le dita piccole e incallite, le mani stanche, stanche.<br />

bruciano, scarnite, a levigare guance,<br />

i guscî gonfi delle palpebre<br />

che si richiuderanno.<br />

fumo portato via, che trascolora,<br />

che porta via le guance, paffute, delle bambole,<br />

le anche dondolanti, a fare il movimento di ripetere,<br />

in altalena, in bilico di piede, che lenisce,<br />

gioco che non finisce, mai,<br />

che non arriva, mai,<br />

tempo di ricordare, dopo,<br />

di ritornare dove si era stati.<br />

a fare il gioco del silenzio,<br />

nel preparare doni, meraviglie, a milioni,<br />

passate per le mani una ad un a,<br />

per farli scintillare, gli occhi stanchi,<br />

tenerli aperti, sempre,<br />

e quando arriva il fuoco, che sfavilla,<br />

ecco, giocare a correr via,<br />

gridando, ad occhi chiusi.<br />

tu, se sai dire, dillo, dillo a qualcuno.<br />

- GM – È stata una buona lettura. Adesso chiedo agli<br />

altri: ascoltando e seguendo sul foglio questa poesia,<br />

che cosa vi è sembrato di capire? Che cosa avete<br />

capito? Non avete capito nulla?<br />

- RR – [Uno risponde].<br />

- GM – Qualche cosa.<br />

- RR – [Diversi alunni comunicano le loro<br />

-<br />

interpretazioni].<br />

GM – Adesso vi racconto la vicenda. Questa poesia<br />

io l’ho scritta (non ricordo dove l’ho scritta)<br />

pensando ad un fatto realmente accaduto. Nel foglio<br />

appeso nell’atrio 2<br />

11<br />

c’è scritto che io dovevo anche<br />

parlare del mio modo di vedere la realtà; allora, il<br />

Il tazebao menzionato<br />

mio modo di vedere la realtà è un modo che forse<br />

nella nota 2.<br />

potrà sembrarvi un po’ troppo pessimista; non lo è.<br />

Cerca di essere un modo di vedere la realtà senza<br />

fingere che sia più bella di quello che è, ma proprio per salvare quello che di bello e di<br />

2<br />

Si riferisce ad un “tazebao” affisso in Sala docenti per informare alunni, genitori e insegnanti del giorno e dell’ora in<br />

cui avrebbe avuto luogo l’incontro con Mesa.


uono può ancora esserci; allora insieme al musicista Agostino Di Scipio, circa due anni<br />

fa, abbiamo deciso di comporre insieme un’opera per poesia e musica (lui la musica, io il<br />

testo) partendo da una figura mitologica della mitologia greca: Tiresia. Qualcuno di voi<br />

ne ha mai sentito parlare?<br />

- RR – [Silenzio].<br />

- GM – È una figura molto complessa<br />

perché ha una storia lunga; è una delle<br />

figure della mitologia più antiche.<br />

Comunque, se non lo avete già fatto, lo<br />

Giuliano in un momento del dialogo<br />

con gli allievi in auditorium .<br />

12<br />

farete; troverete questa figura di indovino<br />

cieco nell’Odissea. Tiresia è quella figura<br />

con la quale Ulisse ha una conversazione<br />

nell’al di là e che predice a Ulisse alcune<br />

cose che gli accadranno. Però questa<br />

figura dell’indovino cieco è già presente<br />

in racconti molto più antichi; ancora<br />

prima che gli antichi Greci cominciassero<br />

a rappresentare la loro visione del mondo<br />

e dell’al di là c’era una mitologia, che<br />

non comprendeva questi testi, ed era<br />

quella della Madre Terra, Gea. Geografia<br />

deriva da Gea. E la figura di Tiresia ha<br />

una storia ancora più antica e riguarda il<br />

rapporto tra i generi maschile e femminile che sono all’origine della vita. Ci sono due<br />

generi che, con l’unione, consentono a questa vita di riprodursi. Poi queste figure sono<br />

presenti in tutte le storie legate a quello che è detto il ciclo di Tebe. Su queste vicende<br />

poi sono state scritte tante cose, le più note sono le tragedie di Sofocle, di Euripide e di<br />

Eschilo. La caratteristica di questo Tiresia era che a volte le sue predizioni – i suoi<br />

vaticini – non riguardavano tanto il futuro quanto il passato. Riguardavano degli enigmi<br />

e permettevano a certe persone, come per esempio Edipo, di capire che cosa gli era<br />

successo prima e di conseguenza capire che cosa gli stava succedendo in quel momento.<br />

Però quest’opera di cui vi sto parlando non è una modernizzazione di una cosa antica; io<br />

ho pensato a questa figura pensando a un problema di oggi, e il problema di oggi è di<br />

riuscire a vedere, a guardare con attenzione, fermando lo sguardo, non per un minuto ma<br />

per un’ora, per un giorno intero, su tanti fatti che accadono, dei quali veniamo informati<br />

attraverso la televisione, la radio, i giornali, in modo anche un po’ martellante, eccessivo,<br />

e che però poi passano, vengono subito dimenticati, vengono subito accompagnati – fatti<br />

seguire – da cose leggere, divertenti, che servono a distrarre, non a riflettere su una cosa<br />

accaduta anche se molto importante. Allora questo Tiresia che ho immaginato è uno che<br />

cerca non di predire il futuro ma il passato, per fare in modo che chi lo ascolta, ma lui<br />

per primo, possa davvero capire che cosa è successo, e nel capire che cosa è successo<br />

eventualmente trovare anche il modo per evitare che succeda ancora. Allora che cosa è<br />

successo vicino a Bangkok? Sapete che cos’è Bangkok?<br />

- RR – [Rispondono]. […] in Asia.<br />

- GM – È in Asia. Allora, nel 1995, vicino a Bangkok è successa una cosa che allora mi<br />

colpì molto, mi colpì il fatto e mi colpì altrettanto che non se ne sia parlato: è stato subito<br />

dimenticato… Un po’ mi dispiace parlare di questi argomenti perché voi siete ancora<br />

molto giovani, però questo è il mondo in cui vi trovate a vivere, quindi certe cose – se<br />

non le sapete già – le saprete, non potrete [non saperle] o comunque la televisione ve le<br />

[…] consentire di approfondire […] probabilmente saprete che tanti vostri coetanei nel<br />

mondo sono costretti a vivere come schiavi, sono sfruttati, sono vittime di violenze che


non esistevano fino a vent’anni fa. I bambini sono le vittime principali, anche<br />

numericamente, per le trasformazioni che il mondo ha subito e sta subendo negli ultimi<br />

anni. Allora che cosa è successo? Succede che molte delle cose che noi compriamo qua<br />

vengono fabbricate in paesi poveri e le persone che lavorano per fabbricare questi<br />

oggetti (che per noi sono superflui, potremmo anche farne a meno, sono un gioco, sono<br />

un passatempo) sono spesso bambini e bambine che lavorano in condizioni orribili, sono<br />

praticamente schiavi, sono costretti a lavorare sedici ore al giorno in luoghi bui senza<br />

nessun tipo di sicurezza, senza nessun tipo di sostegno anche solo alimentare, non<br />

mangiano nemmeno abbastanza per fare quello che fanno, che sono costretti a fare. Nel<br />

1995, vicino a Bangkok, una fabbrica di bambole andò a fuoco; queste bambole<br />

venivano costruite per essere distribuite qui da noi. A costruire queste bambole in<br />

condizioni – ripeto – orribili erano bambine, bambine che erano costrette a passare le<br />

loro giornate non a giocare con le bambole ma a lavorare sedici ore al giorno per<br />

costruirle affinché fossero poi vendute alle bambine ricche. Questa fabbrica,<br />

assolutamente priva di protezioni, di sistemi antincendio, di tutte le cose che dovrebbero<br />

esserci, va a fuoco; va a fuoco e molte di queste bambine muoiono nel rogo, non<br />

riescono a scappare in tempo, altre rimangono […], comunque non c’è nessun tipo di<br />

risarcimento, l’unica cosa che viene detta dai dirigenti della fabbrica in quel momento è<br />

rivolta agli azionisti. Sapete chi sono gli azionisti?<br />

- RR – Sì, quelli con le azioni.<br />

- GM – Quelli che hanno – sì – delle azioni in imprese per guadagnare dei soldi. L’unica<br />

cosa che è stata detta dai dirigenti era rivolta agli azionisti; di non preoccuparsi perché i<br />

loro soldi erano garantiti, avrebbero continuato a guadagnare su questo loro<br />

investimento. Allora io – Tiresia – ho pensato d’immaginare che cosa succedeva nella<br />

mente di questa bambina costretta a lavorare per costruire bambole, desiderando magari<br />

di giocare con le bambole, e trovarsi d’improvviso dentro questo rogo e … per me non è<br />

stato facile cercare di…<br />

- RR – [Uno interviene commentando].<br />

- GM – Sì, sarebbe stato facile descrivere il fatto così come lo avevano raccontato, molto<br />

più difficile cercare di immedesimarsi in una persona concreta e immaginare di essere<br />

una bambina come te, essere lì, costretta a fare quella vita; all’improvviso la tua vita<br />

viene davvero bruciata a tutti gli effetti; già lo era, perché non era una vita piacevole –<br />

sicuramente – per di più viene sacrificata in questo modo soltanto per i profitti di alcuni.<br />

Allora, che cosa cerca di fare la poesia in questi casi? Cerca, attraverso i suoi strumenti,<br />

che sono il suono e il ritmo, che sono le caratteristiche che la rendono diversa dalla<br />

prosa, ma anche attraverso un certo modo di mettere insieme le parole, diverso da quello<br />

normale, attraverso delle costruzioni sintattiche (la sintassi – sapete? – riguarda il modo<br />

in cui le parole vengono collegate tra loro; la sintassi che usiamo parlando, scrivendo, è<br />

una sintassi che ha una sua logica. La sintassi che si usa e si può usare nella poesia e<br />

soprattutto nella poesia contemporanea è diversa, perché spesso è un’altra logica in un<br />

certo senso, cerca di seguire un pensiero che è più legato – se volete – all’emotività o a<br />

un modo di capire le cose che non passa più solo attraverso la logica ma anche attraverso<br />

la sensibilità, tutta la parte della nostra mente, del nostro corpo anche, che capisce le<br />

cose non attraverso – ripeto – la logica, ma attraverso qualcos’altro. Se voi ascoltate un<br />

brano musicale e vi commuovete, magari vi vengono anche i brividi a volte, sentite una<br />

particolare emozione, state comprendendo qualcosa che sentite profondamente ma che<br />

non riuscite a chiamare […] attraverso una frase logica dal punto di vista sintattico e la<br />

cosa può essere detta solo in quel modo, con quei suoni) … Nella poesia c’è questo<br />

aspetto. Cercare di dire delle cose che si possono dire soltanto così perché c’è il suono,<br />

c’è il ritmo, c’è questa sintassi. Allora adesso questo stesso oracolo lo leggerò io e poi ve<br />

lo farò sentire insieme alla musica. Adesso cercherò di fare una lettura di questo testo<br />

13


solo ritmica, cercherò di mettere in risalto soprattutto il ritmo e i rapporti tra i suoni, non<br />

una lettura espressiva, non tanto. Cercate di seguire e di vedere dove faccio delle pause,<br />

dove metto degli accenti oppure no. Ascoltate, e poi lo riascolterete. Comunque le cose<br />

che avete detto prima, facendo i commenti, molte erano vicine se non proprio<br />

perfettamente adeguate a quello che ho cercato di dirvi stamattina. Questo per me è una<br />

soddisfazione perché anche una poesia che voi considerate difficile poi forse tanto<br />

difficile non è se c’è la volontà, come in questo caso, l’attenzione, per capirla. [Legge.<br />

Giunto all’ultimo verso – “tu, se sai dire, dillo, dillo a qualcuno” – si ode il cigolio<br />

della porta dell’auditorium, aperta da alcuni allievi di un’altra classe entrati per<br />

prendere i loro strumenti musicali]. Il finale è stato un po’ rovinato da … [Si crea una<br />

pausa per consentire ai ragazzi dell’altra classe di rifornirsi del materiale a loro<br />

occorrente]. Allora, attraverso la mia lettura, questa poesia vi è sembrata più chiara, più<br />

bella, più …?<br />

- RR – [Silenzio].<br />

- MF – È una domanda, rispondete.<br />

- RR – [Rispondono alla domanda di Giuliano].<br />

- GM – Allora, questo è importante per il ritmo ma anche per la comprensione. Queste<br />

poesie, questo oracolo, come gli altri (sono cinque in tutto in quest’opera), sono poesie<br />

anche didattiche. Che significa didattiche? Che vogliono insegnare qualcosa. Ma non<br />

insegnare perché io sappia delle cose più di voi ma perché io per primo, attraverso questa<br />

figura di Tiresia, ho cercato di capire delle cose e, nel capirle, di raccontarle ad altri. Mi<br />

devo fermare?<br />

Massimo Sannelli esemplifica al pianoforte e Giuliano Mesa, in piedi, parla di poesia e musica.<br />

- MF – Come preferisci. Li facciamo riposare un attimo?<br />

- GM – [Fa una pausa]. Allora queste poesie hanno anche questo desiderio di insegnare<br />

qualcosa, di riuscire a far vedere dei fatti, già accaduti, in modo diverso, di ricordarli. E<br />

quindi è importante sapere il riferimento, la storia, quella che vi ho raccontato prima.<br />

14


Infatti nel testo c’è una nota che racconta questo avvenimento. Però la speranza è che<br />

certe cose possano essere capite anche se non si conoscono. E quindi adesso vi leggerò<br />

un altro oracolo e l’argomento …, niente, e non vi do nemmeno il testo, vediamo se<br />

qualcosa arriva ugualmente. Potete scegliere tra quattro possibilità. Sono cinque in tutto,<br />

Una la conoscete già. Sono una Ornitomanzia (quindi una divinazione attraverso<br />

l’osservazione degli uccelli), una Iatromanzia (che è una divinazione attraverso la<br />

malattia e la sua cura), una Oniromanzia (quindi una divinazione attraverso il sogno;<br />

onirico è un aggettivo che noi usiamo riferendoci ai sogni; sono tutte parole che hanno<br />

un’origine greca) e infine una Necromanzia (quindi una divinazione attraverso i morti).<br />

- RR – [Chiedono qualcosa].<br />

- GM – È quello che fa Ulisse quando va nell’Ade, la necromanzia. La Maga Circe gli<br />

spiega come deve fare a entrare in contatto con l’al di là. Quale preferite?<br />

- RR – [Avanzano varie proposte, ognuno fa la sua. Uno dice:Votiamo. Però<br />

predominano le richieste per l’Oniromanzia].<br />

- GM – Avete scelto bene. Quello dei sogni è più adatto per un motivo che spero capirete.<br />

Io leggo senza spiegare assolutamente nulla. Poi eventualmente, anzi sicuramente,<br />

commentandolo insieme vi dirò alcune cose.<br />

[Termina il lato A del nastro magnetico].<br />

- RR – [C’è un intervento di un allievo].<br />

- GM – Quindi diciamo che, per come ha spiegato lui, la musica elettronica è la musica<br />

che usa, per fare sentire i suoni, per amplificarli, anziché l’acustica, quindi diciamo la<br />

cassa della chitarra, l’elettronica … […] questa non è la definizione […]. Nella musica<br />

degli ultimi cinquant’anni in particolare c’è stata una rivoluzione. Una delle rivoluzioni<br />

che però riguarda di più la musica leggera, è questa che diceva lui; a un certo punto si<br />

sono inventati tutti gli strumenti, mi ricordo del Moog, era un sintetizzatore, una tastiera<br />

con la quale si formavano dei suoni strani, sintetizzati prima attraverso i primi strumenti<br />

informatici e poi l’organo Hammond. Non so se lo avete mai sentito, è stato il primo<br />

organo elettrico, poi diventato elettronico. Attraverso un certo tipo di strumenti tecnici<br />

che cosa è stato possibile fare a partire da una cinquantina d’anni fa? È stato possibile far<br />

sentire – e in un certo senso inventare – dei suoni che con gli strumenti tradizionali non<br />

potremmo mai ascoltare. Questa è una piccola cosa che vi voglio dire a scopo didattico<br />

anche se non riguarda la poesia, riguarda la musica, ma – come dicevo prima – poesia e<br />

musica sono molto legate tra loro. Allora tutti conoscete un po’ la musica. Facciamo la<br />

chiave di sol, supponiamo: questo è un do, viene chiamato do centrale [Massimo<br />

Sannelli esegue al piano le note indicate da Mesa] e arriviamo fino a quest’altro do<br />

[esegue], due ottave sopra passando da questo [esemplifica al piano] intermezzo; tra<br />

questo do e quest’altro do quanti suoni ho a disposizione su una tastiera?<br />

- RR – Cinque.<br />

- GM – Suoni ho detto, non note. Non è la stessa cosa. Le note sono sette e i suoni sono di<br />

più. I suoni sono dodici tra un do e un altro do [Massimo illustra al pianoforte le<br />

indicazioni di Mesa] perché c’è il do diesis, prima del re: do, do diesis, re, re diesis, mi,<br />

fa, fa diesis, sol, sol diesis, … [Sannelli prosegue nell’esplicazione pratica], dopodiché<br />

si sente un suono che è sempre uguale a questo ma più acuto e lo stesso accade salendo<br />

di un’altra ottava. Però tra questo do e questo do i suoni possibili non sono solo dodici,<br />

sono molti di più, perché ogni volta che uno di noi cantando stona sta facendo un suono<br />

che non è compreso tra questi, magari sbaglia di poco. Si chiamano quarti di tono o sesti<br />

di tono; il nostro orecchio può arrivare a sentire – se è molto allenato – fino al nono tono;<br />

però ci sono tanti suoni intermedi, tantissimi. Allora […] con certi strumenti si riesce a<br />

sentire una specie di fascia [Giuliano traccia alla lavagna lo schema grafico], sempre tra<br />

15


questo do e questo, e qua tutti i suoni intermedi possibili, che sono migliaia; questo è<br />

stato chiamato “suono bianco”: una grande fascia che comprende tutti i suoni […].<br />

Attraverso lo sviluppo, poi, degli strumenti è stato possibile ai compositori scrivere<br />

musica non usando il pentagramma ma usando un altro tipo di segni grafici o non<br />

usandoli affatto, partendo da suoni che non sono compresi tra quelli che avete studiato e<br />

che sono rappresentati sul pentagramma ma che però esistono, esistono già in natura –<br />

diciamo – ma potenzialmente. Se voi pensate ai suoni, ai rumori del vento, del mare,<br />

tutto questo fa parte di una […] però sono suoni che l’uomo non è mai riuscito a imitare,<br />

a produrre. Ci si è avvicinati a questa possibilità del suono come materia proprio grazie<br />

allo sviluppo elettronico, quindi – se volete – è una cosa che può sembrare strana, che si<br />

arrivi a qualcosa di molto fisico, quasi biologico, che pulsa come materia, attraverso la<br />

scienza, però è così. Allora […] cercate di pensare proprio ad una condizione originaria<br />

anche, ai suoni legati alle pietre. Adesso io vi farò sentire l’inizio di questo Tiresia fino<br />

al primo oracolo, quello che avete già ascoltato, letto da me, solo per farvi un’idea di<br />

cosa può accadere in questi anni nella poesia, nella musica e alla poesia e alla musica<br />

quando si incontrano. Questo non è solo un CD, è anche un’opera, nel senso che insieme<br />

a questo musicista la facciamo anche in pubblico. [Audizione del CD]. Allora, questo era<br />

il primo. Mi interessava farvi sentire questo tipo di suono.<br />

[Devono essere prese decisioni di ordine burocratico e si crea perciò una pausa lunghissima che<br />

viene poi abbinata ad un intervallo].<br />

Istantanea: Giuliano Mesa.<br />

- GM – Non dovete spiegare la teoria, dite piuttosto che cosa avete percepito, che cosa<br />

avete capito, l’argomento.<br />

- RR – [Uno risponde].<br />

- GM – Va bene, è un risultato ottimo. Doveva piacervi. Anche perché l’argomento è<br />

angosciante, preferisco non dirvelo. Allora prendiamo lo spunto per fare questa breve<br />

[…] sempre se siete d’accordo; un quarto d’ora, non di più, che dovremmo avere a<br />

16


disposizione. In questo Oracolo, come negli altri che vi ho letto, c’è un tema che non vi<br />

dico adesso – è meglio – e c’è una forma. La forma di questo Oracolo è uguale a quella<br />

dei due che avete già ascoltato, cioè i versi hanno lo stesso tipo di ordine, ogni verso ha<br />

lo stesso numero di accenti rispetto all’Oracolo precedente, eccetera. Allora – come<br />

saprete – la poesia in origine, nella nostra cultura, era espressamente legata alla musica.<br />

La lirica veniva chiamata così perché erano versi accompagnati con la lira, uno<br />

strumento a corde. La distinzione, la differenza tra poesia e musica è una cosa che è<br />

avvenuta molto tardi nel tempo. Allora, i ritmi fondamentali della poesia e i ritmi<br />

fondamentali della musica sono gli stessi in origine e sono ritmi che noi descriviamo,<br />

definiamo, usando delle parole greche. Allora, io vi proporrei di scrivere un verso o due<br />

partendo da uno dei ritmi fondamentali – che adesso vi dirò – e da un tema, cioè da una<br />

parola chiave attorno alla quale costruire questi versi che sceglieremo insieme. Quando<br />

voi pensate al ritmo, qual è la prima cosa che vi viene in mente per farlo sentire? Per dire<br />

a una tua amica […] una canzone che ha un ritmo che ti è piaciuto molto, come glielo fai<br />

…?<br />

- RR – [Rispondono].<br />

- GM – Diciamo che hai usato più la melodia; solo il ritmo, il battito. Come fai? [Per<br />

esemplificare dei ritmi cadenza il battito delle mani] Fai o così, o così, ed esegui questi<br />

movimenti coi piedi. Cosa si fa? Si battono degli accenti. Qualsiasi ritmo è basato<br />

sull’esistenza di due elementi; non c’è ritmo se non ci sono almeno due cose che<br />

vengono chiamate battere e levare. Però anche dentro un solo battito ci sono almeno due<br />

cose: il momento in cui quel suono, quel colpo, comincia e il momento in cui finisce;<br />

però questa è una cosa un po’ più complicata. Comunque, i ritmi fondamentali sono i<br />

ritmi di due colpi, due battiti, e quelli di tre. (Non trovo più il gesso.) [Scrive alla<br />

lavagna]. Tra i ritmi di due, se noi abbiamo due elementi, uno e due, e dobbiamo mettere<br />

un accento su uno di questi due elementi, avremo solo due possibili combinazioni, se li<br />

vogliamo rendere diversi uno dall’altro, uno con l’accento e l’altro senza; o mettiamo<br />

l’accento sul primo … lo mettiamo con una croce, questo lo mettiamo sul secondo. Se<br />

mettiamo l’accento sul primo avremo tà-ta, come ritmo tà-ta, tà-ta; se lo mettiamo sul<br />

secondo il contrario. Il contrario si chiama giambo, nella ritmica; il primo trocheo, che<br />

ricorda la parola che si riferisce anche al ritmo che fanno i cavalli correndo. Allora io vi<br />

proporrei di lavorare su questo ritmo, tàta, trocheo, con l’accento sulla prima,<br />

combinandolo con il ritmo di tre che vi corrisponde. I ritmi di tre sono [scrive alla<br />

lavagna]… c’è un ritmo di tre che ha l’accento sul primo battito. Qualcuno prova?<br />

- RR – [Provano].<br />

- GM – Tàtata, tàtata. Si chiama dattilo. Un “dito”, fatto di tre elementi, di tre falangi, per<br />

quello si chiama così. E questo si chiama anapesto, metto l’accento sul terzo. Per<br />

semplificare: noi dovremo usare soltanto … [scrive alla lavagna] il trocheo e il dattilo,<br />

prevalentemente, non che tutte le parole debbano essere così; però se io decido, anche se<br />

è sempre una decisione che uno prende prima – eh – quando scrive, il ritmo si impone da<br />

solo a volte; però se decido che debba prevalere questo ritmo dovrò scegliere delle<br />

parole adatte. Allora, qualcuno mi dica una parola che corrisponda a questo ritmo.<br />

Intanto deve essere una parola di quante sillabe?<br />

- RR – Due.<br />

- GM – Due e non una parola tronca, ché se ha due sillabe ci sono due possibilità: o è<br />

piana o è tronca, e non può essere tronca; non può essere tronca perché altrimenti<br />

sarebbe un giambo e quindi per forza di cose è una parola piana. Fùmo, qua c’è<br />

l’accento, sillaba tonica. Una parola che corrisponda a un dattilo? Quindi tre sillabe?<br />

- RR – [Propongono vari vocaboli tra cui: dattilo].<br />

- GM – Nùgoli. Sono contento perché avete capito che negli Oracoli – come vi ho detto<br />

prima – ci sono molte parole che corrispondono a questo ritmo; ce ne sono altrettante<br />

17


che corrispondono ai ritmi opposti, però il prevalere di un ritmo o dell’altro cambia<br />

molto nella scansione. Allora io vorrei che provaste a scrivere due versi (uno mi sembra<br />

troppo poco) di una lunghezza che dobbiamo stabilire insieme. Quanto li facciamo<br />

lunghi i versi? Perché nella poesia contemporanea un verso può anche essere soltanto di<br />

due sillabe, oppure di tre. Dobbiamo decidere una misura insieme. Il verso italiano<br />

tradizionale, diciamo il più conosciuto, il più usato fino a non molti anni fa, ma tutt’ora<br />

comunque, è l’endecasillabo, che ha quante sillabe?<br />

- RR – [Silenzio].<br />

- GM – Avete mai sentito parlare di endecasillabi, dodecasillabi, ottonari, settenari?<br />

Decidiamo il numero di sillabe. Può anche essere diverso, il primo verso con sette e il<br />

secondo con nove. Cinque? Ho sentito un cinque. Dieci, otto.<br />

- RR – Il primo di dieci e il secondo di otto.<br />

Giuliano (di spalle) parla di poesia agli allievi di 1 a A.<br />

- GM – Può essere.<br />

- RR – Sillabe vero?<br />

- GM – Però vi dico un’altra cosa. Il numero delle sillabe nella poesia non è che si conta<br />

come si conta quando fate la divisione sillabica nell’analisi grammaticale. Ci sono dei<br />

suoni che si legano fra di loro, altri che, se uno fa la divisione sillabica, sono due ma<br />

diventano uno. Io vorrei che scriveste questi due versi (di dieci e di otto) pensando più al<br />

ritmo che non al numero di sillabe. Allora, se noi vogliamo scrivere un verso di dieci<br />

elementi basandoci sul ritmo del trocheo potremmo usare cinque parole che<br />

corrispondono al trocheo oppure due trochei e due dattili, oppure tre dattili e una parola<br />

che ha una sillaba in più. In un verso di otto sillabe avremo, potremo combinare, due<br />

dattili (tre e tre sei) più un trocheo. Pensate più a questo, al fatto di sentire che la parola<br />

ha quel ritmo, le sillabe le contiamo dopo.<br />

- RR – [Uno studente domanda qualcosa].<br />

18


- GM – Bisogna provare, perché quando unisci le parole, per esempio se ci sono delle<br />

vocali alla fine e all’inizio della parola, quelle due vocali, quella dell’inizio e quella della<br />

fine (o meglio quella della fine e quella dell’inizio) tendono a diventare una sola sillaba.<br />

Ecco, scegliamo una parola chiave: il tema. Quale? Scegliamone due per semplificare il<br />

lavoro. Una che corrisponde a un trocheo e un’altra che corrisponde a un dattilo e può<br />

essere la parola d’inizio e la parola finale o comunque una parola che sta nel primo verso<br />

e una che sta nel secondo. E’ come una guida, anche, all’immaginazione… come<br />

possiamo associare altre parole a queste due? Una proposta, qualcuno deve proporre due<br />

parole.<br />

- RR – [Uno dice] Mani.<br />

- GM – Mani? La parola chiave che corrisponde al trocheo è mani e diciamo che deve<br />

stare nel primo verso. Nel primo verso ci deve stare questa parola, anche al singolare.<br />

Adesso una parola di tre sillabe che corrisponda a un dattilo.<br />

- RR – [Indica una parola].<br />

- GM – Come? Facile? Non ho capito.<br />

- RR – [Un altro interviene] Ha detto aquila.<br />

- GM – Forse è meglio una parola meno …, non un nome proprio, dai.<br />

- RR – [Un altro suggerisce] Battito.<br />

- GM – Battito? Battito. Mani: più associabile di questo? Mani e battito. Vi va bene?<br />

Allora cercate di scrivere due versi dove nel primo verso ci sia la parola mani, nel<br />

secondo la parola battito. Il primo verso dovrebbe essere all’incirca di dieci sillabe e il<br />

secondo di otto. Scrivete quello che vi viene in mente a partire da questi stimoli – mh? –<br />

senza preoccuparvi del risultato. Dieci minuti, non di più perché già è tardi.<br />

[Il rumore di sottofondo è quello tipico di chi sta lavorando in gruppo senza fare chiasso].<br />

- GM – Quello di otto è facile, pensate anche alla musica che forse ascoltate più spesso<br />

oppure al rap… tàta tàta tàta tàta: quello è un ottonario di trochei.<br />

[Prosegue il lavoro. Poi pian piano ogni gruppo che ha terminato la composizione consegna il<br />

foglio].<br />

- GM – Io le leggo, non so se riuscirò a leggerle tutte. [Legge e commenta i vari versi].<br />

- RR – [Al termine battono le mani].<br />

[La registrazione si conclude qui. Dai foglietti consegnati a Giuliano ricopiamo le poesie dei<br />

ragazzi ].<br />

LE MANI TOCCANO I TAVOLI<br />

LANCIANO UN BATTITO ACCESO<br />

Autori: (?)<br />

Le mani<br />

si mossero da sole,<br />

non potevo<br />

che batterle<br />

Autori: (?)<br />

19


Guarda la mano come lavora<br />

e senti il battito che suona<br />

Autori: Porcile – Pesce – Guiducci<br />

Le mani toccano il profondo,<br />

il loro battito siamo noi.<br />

Autori: (?)<br />

MANI SPORCHE LÀVATI SUBITO<br />

BATTITO ASCOLTA A GENOVA<br />

Autori: (?)<br />

BATTITO RIBELLE ASCOLTALE<br />

MANI BELLE<br />

Autori: (?)<br />

QUESTE SONO LE MIE MANI NUDE<br />

GUARDALE FANNO BATTITI<br />

Autori: (?)<br />

Le mie mani toccano il mio cuore<br />

Amore è cuore<br />

Autori: (?)<br />

MA MANI CHE RUMOREGGIANO PIANO<br />

BATTITO DEL CADERE PER TERRA<br />

Autore: SIRI ENRICO<br />

Senti questa mano calda<br />

Senti il battito<br />

Trovalo domani<br />

Autori: Giuseppe – Simone – Claudio<br />

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Le scarne, bianche, stanche mani<br />

esse fanno un battito<br />

un battito di aiuto che anche noi dobbiamo<br />

aiutare battendo le nostre mani.<br />

Autrice: Capponi<br />

Candide vesti lavorate da mani di bimbe<br />

battiti di lancette che segnano la vita<br />

Autrice: Voiello<br />

Delle mani affiorano nel buio e nella tenebrezza.<br />

Un battito, la salvezza.<br />

Autori: (?)<br />

Giuliano Mesa e Massimo Sannelli nell’atrio esterno della Centurione.<br />

21


22<br />

SOTTOLINEATURE<br />

1. Nella poesia sono importanti il ritmo, il suono e la costruzione sintattica.<br />

2. Fra le altre letture possibili c’è soprattutto quella che rispetta le caratteristiche ritmiche e<br />

sonore della composizione poetica.<br />

3. Se un poeta ha deciso di scrivere battendo un certo numero d’accenti anziché altri, c’è un<br />

motivo che è legato al significato delle parole; se cambiano questi accenti, cambia anche il<br />

significato.<br />

4. La punteggiatura non in linea con le regole della grammatica persegue risultati musicali<br />

altri. Il punto fermo può equivalere ad una pausa di ¼ e la virgola ad una di 1/16.<br />

5. La musica elettronica è riuscita ad elaborare il suono come materia.<br />

6. La poesia in origine era legata alla musica. La distinzione tra poesia e musica è avvenuta<br />

molto tardi nel tempo.<br />

7. È spiacevole parlare ai ragazzi d’argomenti tragici, però il mondo in cui viviamo li costringe<br />

a prenderne coscienza.<br />

8. Oggi dobbiamo più che mai fermare l’attenzione sui fatti di cronaca. Occorre capire cosa sta<br />

succedendo di negativo per evitare che gli errori e le colpe si ripetano.


Con il contributo della<br />

Provincia di Genova<br />

N O T E I N F O R M A T I V E<br />

EMILIA MARASCO & FRANCA ZARCONE<br />

Con il contributo economico della Provincia di Genova e la collaborazione sia dell’Accademia Ligustica di<br />

Belle Arti sia della Galleria Leonardi V-Idea, due classi della Media Centurione (III B e III C) hanno<br />

Da sinistra a destra: Nicla Bozzano, Chiara Cimenti, Emilia Marasco, Franca Zarcone.<br />

23


esplorato alcune dimensioni della poesia non lineare e certi aspetti del libro d’artista.<br />

La seconda sezione del laboratorio, concepita e diretta da Emilia Marasco e progettata e coordinata da<br />

Franca Zarcone, si è mossa dall’analisi del tema della guerra, vista nelle sue angoscianti implicazioni, e si è<br />

appellata alla più che mai indispensabile urgenza di sublimare l’istinto d’aggressività – individuale e<br />

collettiva – attraverso gli apparati di simulazione, di cui il gioco degli scacchi è un esempio universalmente<br />

diffuso.<br />

Il calendario dei lavori è stato impostato in modo da prevedere una presentazione introduttiva (tenuta poi,<br />

nell’Aula Proiezioni, giovedì 21 marzo 2002), quattro giornate operative – di attività manuale – (impiegate<br />

nello spazio della biblioteca scolastica sabato 23 marzo, giovedì 4 aprile, lunedì 15 aprile, lunedì 13<br />

maggio), un incontro teorico-pratico (sabato 18 maggio in sala video) ed infine, ad opera di alcuni ragazzi,<br />

la trascrizione delle frasi prescelte.<br />

Gli allievi di III B e III C (cinquanta complessivamente) sono stati suddivisi in sei gruppi: quattro di otto e<br />

due di nove membri. I criteri distributivi hanno fatto in modo che ogni sottoinsieme fosse omogeneo<br />

all’esterno ed eterogeneo all’interno e comprendesse (equamente mescolati fra loro) studenti dei due<br />

differenti corsi.<br />

Al termine del laboratorio è stata allestita una spartana esposizione dei lavori nell’aula della biblioteca<br />

scolastica (mercoledì 26 giugno 2002) ed una mostra, presso la Galleria Leonardi V-Idea 1<br />

, intitolata La vita<br />

in gioco (4-10 novembre ‘02).<br />

All’interno del programma, qui sommariamente riassunto, sono state innestate varie altre iniziative volte<br />

alla sensibilizzazione dei giovani nei confronti della pace; tra queste molto coinvolgenti e importanti gli<br />

incontri d’Emergency con i visitatori della galleria (Leonardi, venerdì 8 novembre) e con diverse classi della<br />

Centurione (sede S.M.S. Centurione, mercoledì 12 marzo: III D e III E; giovedì 20 marzo: II A e III A;<br />

martedì 25 marzo: I D e I E).<br />

1 In questa sede venivano presentati anche dei dipinti di alcuni studenti dell’Accademia.<br />

24


INTERAZIONI<br />

Laboratorio di poesia: parte seconda<br />

(Classi III B e III C della Centurione).<br />

Ideazione e direzione: Emilia Marasco (docente di Storia dell’arte all’Accademia Ligustica di Belle Arti)<br />

Progetto e coordinamento: Franca Zarcone (artista visiva)<br />

Assistenza:Nicla Bozzano (studentessa del Corso di Decorazione dell’Accademia Ligustica di BB AA)<br />

Chiara Cimenti (studentessa del Corso di Decorazione dell’Accademia Ligustica di BB AA)<br />

Stefania Dalla Noce (studentessa del Corso di Decorazione dell’Accademia Ligustica di BB AA)<br />

Elenco illustrativo delle scacchiere e composizione dei gruppi di lavoro.<br />

1. A SPORTELLI, DUE COLORI.<br />

A ciascuno dei otto sportelli, che si apriranno con un meccanismo scorrevole, sarà attaccata un lunga striscia di<br />

carta, ripiegata su se stessa, sulla quale gli studenti potranno trasferire i loro pensieri.<br />

2. A CUBI, DUE COLORI.<br />

25<br />

Federica Bonelli<br />

Andrea Durando<br />

Chiara Fasce<br />

Giada Merlo<br />

Elisa Ottonelli<br />

Fabio Paparella<br />

Ileana Ricci<br />

Claudio Urru<br />

64 cubi saranno contenuti in una scatola appositamente costruita, alcuni di essi si potranno aprire e leggere come<br />

le pagina di un libro.<br />

Francesca Avian<br />

Chiara Bozzo<br />

Andrea Guiducci<br />

Milena Marino<br />

Nicolaci Antonino<br />

Clara Raschellà<br />

Stefano Scotto<br />

Camilla Strano


3. MONOCROMA A CASELLE.<br />

Le 64 caselle accoglieranno riflessioni sulla guerra; il pubblico interagirerà completando la scacchiera.<br />

4. A CASSETTI ALTERNATI.<br />

5.<br />

26<br />

Julio Cesar Aldas Villareal<br />

Carlo Ardillo<br />

Giuseppe Ciurleo<br />

Francesca Morelli<br />

Lara Mossa<br />

Denise Multari<br />

Giulio Palazzolo<br />

Andrea Putignano<br />

La superficie si presenterà come una normale scacchiera a due colori, quattro cassetti – alternati lungo i lati –<br />

conterranno immagini, scritti raccolti e pensieri sulla guerra.<br />

MONOCROMA A CASELLE.<br />

Shari Caviglia<br />

Nicola Galotto<br />

Stefano Mafrica<br />

Elisa Pesce<br />

Denise Policrisi<br />

Michela Porcile<br />

Simone Pulice<br />

Davide Schettino<br />

Micol Spadaro<br />

64 caselle scavate suddivise tra due avversari.<br />

60 delle 64 caselle saranno numerate e conterranno pensieri e consigli (anche sottilmente ironici) su come evitare<br />

ostacoli, pericoli o danni provocati dalla guerra. Le restanti 4 caselle – situate agli angoli – rappresenteranno le<br />

zone neutre, mentre la parte centrale conterrà un foglio arrotolato e due dadi.<br />

Valentina Dessì<br />

Daniele Fioretti<br />

Alessandro Ghigliotti<br />

Silvia Levo<br />

Andrea Malacarne<br />

Lorenzo Motta<br />

Mirko Parisi<br />

Elisa Pesenti<br />

Paolo Vignali


6.<br />

BICROMA A CARTELLE.<br />

Doppio coperchio a cerniera con l’apertura verso i due avversari.<br />

In ognuna delle 32 cartelle, al posto delle caselle, ci saranno due frasi: una rivolta all’attacco, l’altra al<br />

contrattacco o ai danni subiti dalla guerra. Sul fondo del contenitore saranno raccolti tutti i 64 scritti, alternati e<br />

rivolti – come i precedenti – verso gli avversari.<br />

°°° °°°<br />

27<br />

Andrea Bozzano<br />

Luca Casanova<br />

Matteo Consigliere<br />

Veronica Galleano<br />

Silvia La Placa<br />

Ludmila Lambertini<br />

Martina Saccone<br />

Lorenzo Silvestri<br />

“Quando l’Occidente ricevette dall’Islam il gioco degli scacchi, all’indomani dell’Anno Mille, sulla<br />

scacchiera si affrontavano pezzi rossi e pezzi neri.<br />

Quell’opposizione di rosso e nero non aveva alcun significato per la mentalità occidentale e i pezzi neri<br />

furono rapidamente sostituiti da pezzi bianchi.<br />

E fino al XVI secolo, sono numerose nelle immagini le scene che contrappongono un campo bianco e un<br />

campo rosso. A partire dal XIII secolo, i pezzi rossi cominciarono a essere sostituiti da quelli neri”.<br />

Michel Pasterau,L’Uomo e il colore.<br />

Nel corso dei secoli la scacchiera ha subito molte modificazioni e per un certo periodo è stata anche<br />

monocroma, per lo più bianca con linee scavate (per separare le sessantaquattro caselle) e dipinte di rosso.<br />

La trasformazione in scacchiera (due colori alternati), è probabilmente legata alle regole del gioco, per<br />

visualizzare meglio le partite.


28<br />

Man Ray


29<br />

Man Ray


30<br />

Jacques Carelman<br />

“La scacchiera simboleggia il terreno su cui si svolge la battaglia della vita, i suoi conflitti fondamentali:<br />

ragione e ordine contro istinto e caso. Le sessantaquattro caselle della scacchiera (sessantaquattro è un<br />

numero che esprime l’unità cosmica), in cui il nero (notte) e bianco (giorno) si alternano regolarmente,<br />

rievocando la sequenza temporale della vita umana e, al tempo stesso, le forze conflittuali che la<br />

governano”.<br />

ARTURO SCHWARZ<br />

Per Duchamp questa insolubile situazione è divenuta la metafora della sua stessa relazione con la vita. (..).<br />

ARTURO SCHWARZ


31<br />

Marcel Duchamp (Fotografia di Arturo Schwarz)


32<br />

PROFILO BIOGRAFICO<br />

EMILIA M A R A S C O<br />

Emilia Marasco, nata a Genova nel 1959, si laurea in Lettere moderne con una tesi in Storia<br />

dell’Arte contemporanea nel 1983, consegue l’abilitazione all’insegnamento della Storia dell’Arte,<br />

insegna al liceo Byron per cinque anni, dal 1987 al 1990 fonda e dirige la rivista EXARTE, dal<br />

1990 insegna Stile, Storia dell’Arte e del Costume all’Accademia ligustica di Belle Arti, dove da un<br />

anno dirige i corsi legalmente riconosciuti. Ha scritto testi in cataloghi di mostre su Nicolò<br />

Barabino, Graham Sutherland, i murales, i Wurmkoss, oltre che per molti artisti.<br />

Ha curato, insieme a Brunetto De Battè, un laboratorio sui non luoghi e gli spazi dismessi, ha tenuto<br />

lezioni nel master di Scenografia e allestimento presso la Facoltà di Architettura e ha coordinato il<br />

Master di Progettazione dell’abito e del costume per lo spettacolo presso l’Accademia ligustica di<br />

Belle Arti. Iscritta all’ordine dei giornalisti dal 1978, ha svolto attività di critico d’arte e attualmente<br />

è direttore responsabile delle riviste Laboratori dell’immagine e I Quaderni del Museo<br />

dell’Accademia.


33<br />

PROFILO BIOGRAFICO<br />

FRANCA ZARCONE<br />

Dal 1990 svolge attività artistica a Genova.<br />

Si diploma nel febbraio 2001, presso l’Accademia Ligustica Di Belle arti di Genova, con tesi in Storia<br />

dell’Arte, relatore Prof.ssa Emilia Marasco; votazione 110/110 e lode. L’argomento principale della<br />

tesi consiste nella presentazione in Anteprima Nazionale, a cura del Critico d’arte-giornalista Viana<br />

Conti, del Video-Art Dreaming Guarec, davanti alla straordinaria presenza dei due artisti svizzeri Oscar<br />

e Janine Wiggli. Dreaming Guarec (Sognando Guarec, Collezione Leonardi V–Idea). Autori: Oscar<br />

Wiggli, Franca Zarcone. Testo-Musica: Oscar Wiggli. Camera: Franca Zarcone. Riprese Video-<br />

Fotografia: Stefano Lantieri, Michele Lagomarsino, Franca Zarcone. Eidomatica-Montaggio: Hartmut<br />

Von Tryller, Janine Wiggli, Benno Hofer. Realizzazione: Videostudio Ariac/Switzerland, gennaio<br />

2001. Dal 1996 espone a Genova in collettive presso: Museo dell’Accademia Ligustica di Belle Arti,<br />

Commenda di Pré, Chiostro di Santa Maria di Castello, Museo d’Arte Contemporanea di Villa Croce,<br />

Galleria Multimediale di Palazzo Ducale, Loggia della Mercanzia, Centro Culturale Satura, Centro<br />

Franco Basaglia, Galleria Leonardi V– Idea, Teatro Gustavo Modena, Ospedale di San Martino<br />

(installazione permanente), Teatro della Corte, Sala Mostre della Biblioteca Berio; ed in altre città:<br />

Alessandria/Teatro Comunale, Perugia/Rocca Paolina, Volterra/Teatro Persio Flacco, Torino/Museo<br />

dell’Automobile. Dal 1998 al 2001 partecipa a seminari e laboratori didattici, curati dalla Facoltà di<br />

Architettura, dall’Accademia Ligustica di Belle Arti e dal Centro della Creatività dell’Ufficio Politiche<br />

Giovanili. Negli stessi anni, collabora con l’Actiegroep in: Arti Visive 2–Spazi Marginali e<br />

Allotropi/Non Luoghi. Esplorazioni e Rilievi di Margine–Pépinieres Européennes pour Jeunes artistes.<br />

“100%Cotone”. Dintorni dello Sguardo 2–Una Missione Fotografica sulle Periferie. Progetto Foyer.<br />

Intervento presso il Master in Architettura per lo Spettacolo. Arti Visive 3–l’Occhio in<br />

Ascolto/Progettazione di Allestimento della Mostra nella Sala delle Grida dell’Ex Borsa Valori e nel<br />

Sotto Porticato del Palazzo Ducale di Genova. Progetta e realizza negli Spazi Espositivi dell’Ex Borsa


Valori la “Camera” per l’opera dell’artista svizzero invitato, Oscar Wiggli. Nel 1998 è selezionata (dal<br />

Collegio dei docenti dell’Accademia Ligustica di Belle Arti) con altri due studenti, per partecipare con<br />

un’installazione a tema, al progetto Scena InPossibile a cura di Bruno Corà, Direttore Artistico del<br />

Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato; nell’ambito del Festival Volterrateatro.<br />

Coordina con la collaborazione del musicattore Luigi Maio, un gruppo di studenti dell’Accademia<br />

Ligustica, per la realizzazione delle scene e dei costumi, progettati, per l’Opera da…Due soldi<br />

(Riduzione a cura del Conservatorio N. Paganini/Teatro Carlo Felice, 14 giugno 1999). Negli ultimi<br />

anni, parallelamente agli studi di formazione accademica si è impegnata, autonomamente,<br />

nell’approfondimento e rielaborazione della tecnica di fotoincisione d’arte (heliogravure), che insegna<br />

in un apposito modulo, presso l’Accademia Ligustica, agli studenti iscritti al secondo anno del Corso<br />

Complementare di Fotografia (docente, Prof. Frederick Clarke). Nell’aprile 2002, collabora nel<br />

laboratorio didattico, curato da Emilia Marasco, sull’opera dell’artista Enzo Carioti; nell’ambito della<br />

Mostra Antologica “Il Settimo Senso”, presso l’antico Castello sul mare di Rapallo. Dal 2001 progetta<br />

e conduce laboratori espressivi su temi eterogenei…<br />

34<br />

Studio: Via San Luca 11/2 – 16124 Genova<br />

Tel.: 340 3387035 – e-mail ozap5@yahoo.it


Con il contributo della<br />

Provincia di Genova<br />

T R A S C R I Z IO N E D E LL ’I N T E R V E N T O<br />

EMILIA MARASCO & FRANCA ZARCONE<br />

I – Conferenza d’apertura del laboratorio di poesia.<br />

Legenda<br />

- EM - Emilia Marasco, docente dell’Accademia<br />

- FZ - Franca Zarcone, artista<br />

- RP - Rosangela Piccardo, professoressa della Centurione<br />

- RR - Alunni di III B e III C<br />

- EM – […] la guerra è intesa non nel senso così specifico,<br />

questa guerra 1<br />

ci tocca un po’ più da vicino o una guerra<br />

in particolare, ma la guerra come contrasto, quindi come<br />

necessità – urgenza – di risolvere un contrasto. È chiaro<br />

che da questo punto di vista noi non facciamo una<br />

valutazione sulla guerra, una valutazione di ordine<br />

morale, perché penso che siamo tutti d’accordo<br />

sull’opporci a questo metodo, ma entreremo in questo<br />

tema attraverso una particolare forma di contrasto, una<br />

particolare forma quindi di confronto, che è quella del<br />

gioco degli scacchi; la scacchiera è uno spazio, la<br />

scacchiera è un campo di battaglia, la scacchiera è un<br />

Marcel Duchamp<br />

tavolo da gioco; è chiaro che può essere molte cose.<br />

(Fotografia di Arturo Schwarz)<br />

Allora (in questa possibilità di guardare a un oggetto<br />

dandogli un significato diverso da quello che è la sua normale funzione, da quello che è il<br />

suo significato solito, da quello a cui siamo abituati a pensare) bisogna davvero entrare nella<br />

1 Quella dell’Afghanistan.<br />

35


logica dell’arte contemporanea; da un certo momento in poi (in particolare da un movimento<br />

che forse conoscerete che si chiama Dadaismo, che è un movimento che è nato nel primo<br />

decennio del Novecento, alla fine del primo decennio del Novecento, è un movimento che<br />

ha rivoluzionato completamente il modo di guardare agli oggetti, il modo di guardare alle<br />

cose quotidiane perché ha rivoluzionato quindi il concetto di arte) l’arte non è precisamente<br />

l’arte dei musei, non è più la necessità di fare un bell’oggetto partendo da dei materiali e<br />

realizzando qualcosa che corrisponde ad un canone preciso, quindi deve somigliare per<br />

grado di perfezione o per caratteristiche a qualcosa che esiste già, quindi ad un modello e<br />

sulla base di questi modelli possiamo dire: sì o sulla base di determinati parametri di<br />

giudizio possiamo dire sì questo è un oggetto artistico lo mettiamo in un museo. I dadaisti<br />

sconvolgono questa logica, allora la creatività è un patrimonio di tutti, in misura diversa;<br />

però un patrimonio di tutti può anche essere sviluppato, non è necessariamente qualche cosa<br />

che se non si ha sufficientemente sviluppato rimane a quello stato e, se la creatività è<br />

direttamente connessa alla possibilità di fare arte, a tutti è data questa possibilità,<br />

ovviamente sempre con risultati e con gradi differenti, però è il percorso che conta, è il<br />

viaggio che conta non la meta, non necessariamente il risultato è quello che si sta facendo, la<br />

realtà che si crea è quella che conta, quello che vivrà, l’esperienza che vivrà. Allora i<br />

dadaisti partendo da questo punto di vista cominciano a osservare gli oggetti della vita<br />

quotidiana come potenziali oggetti artistici, come potenziali elementi di un oggetto artistico<br />

e cominciano a fare quello che sembra un gioco e che è inizialmente un gioco perché la<br />

componente del gioco è una componente essenziale della creatività, una componente<br />

essenziale dell’arte e da questo punto di vista questa è proprio la scoperta dell’arte<br />

contemporanea poi molto valorizzata e sulla quale si è molto riflettuto, scritto e discusso,<br />

allora come un gioco quasi di associazione di idee, come un gioco che tende a sviluppare la<br />

capacità di osservazione; si comincia a guardare gli oggetti e osservare la forma di questo<br />

oggetto oppure anche un elemento di un oggetto che ci sollecita particolarmente e vedere<br />

come messo in un’altra posizione, in un altro luogo o messo su un piedistallo o rovesciato<br />

questo oggetto assume un altro aspetto, ci dà un’impressione diversa, somiglia a un’altra<br />

cosa, come guardare e a un certo punto credere di vedere un drago in una nuvola, un gioco<br />

che si è fatto sempre, che si fa sempre da bambini e anche da adulti forse e quindi la<br />

possibilità di vedere un oggetto trasformato e quindi, nel momento in cui vedi un’altra cosa<br />

in quell’oggetto, hai attuato questa trasformazione. Il gioco poi può andare avanti nel senso<br />

che gli oggetti possono essere combinati fra di loro, possono essere combinati fra di loro e<br />

dare origine a un oggetto nuovo, a un oggetto improbabile, a un oggetto che non esisteva<br />

prima, che esiste adesso, in quel momento e che non necessariamente deve avere una<br />

funzione perché ha già la funzione di affascinarci, ha già la funzione di scatenare la nostra<br />

fantasia quindi ha una funzione rispetto a una realtà che sta dentro di noi; quindi questi<br />

oggetti nuovi si possono chiamare oggetti surreali e allora qui si entra nello sviluppo di<br />

quello che è l’esperienza dei dadaisti che confluisce in un altro movimento che si chiama<br />

Surrealismo e che è un movimento più complesso e che dura anche più a lungo, che investe,<br />

più del Dadaismo, maggiormente anche altre discipline (la letteratura, il teatro), che<br />

costruisce un metodo. I dadaisti giocavano in qualche modo, i surrealisti decidono di<br />

costruire le regole di questo gioco, quindi questo è il modo in cui si è sviluppata questa<br />

situazione, però – dicevo – guardare agli oggetti dandogli un’altra funzione. Per esempio i<br />

surrealisti guardano proprio al concetto di spazio in una maniera diversa, quindi esiste lo<br />

spazio reale (lo spazio di questa stanza noi lo percepiamo anche qui ciascuno di noi in<br />

maniera diversa secondo la propria collocazione, il proprio modo di guardare, il proprio<br />

modo di pensare, però comunque possiamo essere tutti d’accordo su alcuni criteri), il modo<br />

di guardare lo spazio – dicevo – è diverso perché esiste uno spazio esterno esiste uno spazio<br />

interno a noi, quindi esiste uno spazio interno, quello sì che è uno spazio differente,<br />

veramente molto differente ciascuno dall’altro ed è uno spazio come può essere lo spazio<br />

36


della nostra immaginazione, lo spazio del sogno, popolato quindi davvero di oggetti e<br />

soggetti, personaggi che sono improbabili, che nella realtà non esistono, che non<br />

necessariamente esistono nella realtà, quindi c’è questa scoperta di un mondo<br />

dell’immaginazione, di un mondo interiore, di un mondo estremamente affascinante che<br />

davvero esce fuori dalla nostra conoscenza soprattutto con il sogno. Allora è chiaro che<br />

questa situazione nuova si nutre anche di ricerche, di ricerche appunto sul sogno, ricerche<br />

sulla psicanalisi, quindi tutte queste discipline, però in questo momento a noi non<br />

interessano, è solo un’informazione che è necessario avere. Dicevo: guardare uno spazio in<br />

un modo diverso; allora lo spazio di un tavolo, come questa cattedra, come questo tavolo,<br />

può essere simbolico – diciamo così – della realtà; possiamo decidere di collocare degli<br />

oggetti sopra questo tavolo facendo finta che questo tavolo sia la sola nostra possibilità di<br />

dare dei confini a uno spazio esterno, che invece non riusciamo in qualche modo a<br />

delimitare, e allora noi possiamo simulare una realtà, quella che noi scegliamo, quella a cui<br />

vogliamo fare riferimento, sopra questo tavolo, che diventa quindi un tavolo di simulazione,<br />

solo un gioco, che diventa un tavolo da gioco. I tavoli da gioco per i dadaisti e per i<br />

surrealisti sono estremamente importanti. Tutti gli spazi che consentono una delimitazione e<br />

consentono di giocare con gli oggetti, creando degli spostamenti, creando dei movimenti,<br />

sono estremamente importanti. I primi artisti partono molto con il caso, cercando di vedere<br />

che cosa succede, mettere degli oggetti su un tavolo, mettere degli oggetti in un cassetto. Per<br />

esempio, il cassetto è qualcosa di molto affascinante perché ha anche delle pareti, quindi se<br />

voi tirate fuori un cassetto dalla sua normale collocazione e ve lo mettete davanti avete in<br />

fondo uno spazio che ha delle pareti, che ha dei confini; lì dentro potete creare quello che<br />

volete, potete creare la situazione che volete simulare, la situazione che volete, potete anche<br />

mettere degli oggetti in un cassetto come si fa di solito, però metterli a ragion veduta, quindi<br />

scegliere degli oggetti e disporre questi oggetti; potete disporre questi oggetti secondo un<br />

ordine dato oppure casualmente e anche lì vedere che cosa succede, potete anche disegnare<br />

quello che è successo poi, quindi mantenere la memoria di questa cosa oppure potete dare<br />

una durata a questo oggetto che avete creato e incollare gli oggetti nel cassetto. Quindi i<br />

dadaisti facevano questo lavoro, tutta una serie di queste operazioni e – in questa logica – il<br />

caso era un elemento che li affascinava moltissimo. Io trovo un oggetto per caso, lo tengo, lo<br />

conservo e lo utilizzo più tardi insieme ad altri oggetti. Posso assemblare gli oggetti. È un<br />

procedimento che è stato lasciato in eredità per esempio poi agli artisti degli anni Sessanta,<br />

agli artisti della Pop art anche, o agli artisti di Fluxus, quindi a tanti altri movimenti che<br />

sono venuti dopo il Dadaismo. Questo elemento del caso è un elemento molto affascinante.<br />

C’era per esempio un’artista americana, si chiamava Louise Nevelson, che aveva anche<br />

trovato un sistema per impegnare (lei viveva in un quartiere abbastanza degradato) quindi<br />

per impegnare i ragazzini del suo quartiere (che altrimenti perdevano il tempo tutto il giorno<br />

o si infilavano in qualche pasticcio) e quindi li incaricava per pochi spiccioli, li incaricava di<br />

andare nelle discariche a prendere degli oggetti che fossero ancora abbastanza in buone<br />

condizioni, a volte dava delle indicazioni sulle dimensioni di questi oggetti e loro portavano<br />

questi oggetti; lei li accumulava nel suo studio, li ripuliva e poi costruiva delle bacheche<br />

(sapete le bacheche da collezione, quelle bacheche che si appendono), costruiva delle<br />

bacheche che potevano essere piccole con scomparti di varie dimensioni come quelle che si<br />

vendono per le collezioni e poi si è allargata; queste bacheche sono diventate delle pareti,<br />

degli armadi, delle cose gigantesche e inseriva a caso, apparentemente a caso, ma per<br />

un’associazione di idee che era automatica, inconscia. Io prendo un oggetto e poi (tra i tanti<br />

che ho selezionato automaticamente) un altro oggetto e lo scelgo e lo metto vicino a quello;<br />

a volte li dipingeva tutti di un unico colore in modo da dare una parentela a questi oggetti,<br />

quindi erano tutti diversi, provenienti da ambiti diversi, da quotidianità diverse: un pezzo di<br />

un vecchio strumento musicale, un piccolo oggetto da cucina, un qualunque oggetto della<br />

quotidianità; li dipingeva tutti di bianco, o di rosso, o di nero, o di oro, cioè erano solo questi<br />

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i colori che prediligeva usare e dava quindi questa unificazione, li collocava nelle bacheche,<br />

li incollava a volte, la stessa bacheca era dipinta di questo colore; quindi creava così uno<br />

spazio, uno spazio che nasceva dalla sua libera associazione di idee nell’utilizzare gli oggetti<br />

e che non essendo nota (perché l’associazione di idee è un fatto automatico poi io non te la<br />

posso spiegare e se te la spiego ti racconto sempre meno di quello che effettivamente è)<br />

allora cosa succede? Cosa succede di fronte a queste opere? Che si crea una catena infinita<br />

di associazioni di idee, perché chi guarda crea una sua storia, chi guarda fa delle sue ipotesi,<br />

chi guarda ha altre associazioni di idee, quindi questo è un generatore continuo di creatività.<br />

Allora uno degli oggetti più interessanti che ci sono nell’ambito di questi movimenti a<br />

partire dal Dadaismo ad andare avanti fino ai movimenti degli anni Sessanta, uno degli<br />

oggetti che in assoluto affascina di più gli artisti è il libro. Allora il libro è un oggetto molto<br />

particolare perché comunque ciascuno di noi (si può anche fare questa prova, potete anche<br />

farla), quando si dice libro si pensa (tutti pensiamo) a qualcosa; pensiamo all’oggetto,<br />

pensiamo a un libro che abbiamo letto, pensiamo a un libro a cui siamo affezionati.<br />

Comunque abbiamo immediatamente la possibilità di collocare questa parola nella nostra<br />

testa e immediatamente di associare questa parola a delle immagini e poi ciascuno di noi dei<br />

libri pensa qualcosa; anche chi non legge non ha quasi mai la spudoratezza di pensare che i<br />

libri non servano a nulla; c’è un po’ di rispetto per i libri; la nostra cultura (la cultura<br />

occidentale) l’ha creato. Comunque abbiamo difficoltà a buttare via i libri, cerchiamo di<br />

venderli, di regalarli, di farne qualcosa, se no li teniamo. Il libro quindi cos’è? È una specie<br />

di tabù. Noi non ci sentiamo di offendere troppo questo concetto del libro e quindi vuol dire<br />

che il libro è simbolico di qualcosa di molto importante nella nostra civiltà, che è la cultura,<br />

quindi di qualcosa che è molto antico, quindi il libro porta con sé la possibilità della cultura.<br />

Ora noi sappiamo che, venendo a contatto con altre culture, studiando altre culture,<br />

sappiamo che questa cosa non è così vera, che la cultura si trasmette in molti altri modi e<br />

che non è soltanto il libro che ci consente di trasmetterla; però il libro mantiene questa sua<br />

sacralità, perché anche dove la cultura si trasmette oralmente o la cultura si trasmette con<br />

altre forme (artistiche anche) che vengono acquisite e immagazzinate dalle persone, quindi<br />

trasmesse di persona in persona, comunicate, però è vero che – per esempio – le leggi, le<br />

regole religiose, insomma in qualche forma, il libro, si conservano quindi in qualche forma<br />

scritta, si conservano e sono molto venerate, custodite, quindi considerate. Allora dicevo il<br />

libro ha questo fascino, questo fascino per tutti o perché depositario della cultura in maniera<br />

molto profonda, molto antica e molto allargata come per noi o perché depositario delle leggi,<br />

delle regole, della religione, quindi ha un valore molto importante. Gli artisti cosa sono<br />

riusciti a fare? Sono riusciti a manipolare anche il libro. Questo non significa che hanno in<br />

qualche modo trasgredito, mancato di rispetto al libro o guardandolo come oggetto,<br />

utilizzandolo, manipolandolo, scompaginandolo, creando libri da oggetti diversi (come poi<br />

lei [Franca Zarcone] vi dirà) quindi sperimentando infinite possibilità di scomporre e<br />

comporre questo oggetto libro. Questo cosa significa? Scomporre, ricomporre, utilizzare<br />

materiali diversi per arrivare a quella cosa o dare significati nuovi a un oggetto, a una parola,<br />

a un’immagine (e in questo caso il libro) in realtà significa impadronirsene davvero, entrare<br />

in profondità in una cosa, perché noi soltanto, quando effettivamente tocchiamo qualcosa, ne<br />

capiamo la forma attraverso tutti i nostri sensi, sperimentiamo, abbiamo la possibilità di<br />

agire dentro qualcosa, in quel caso lì ci impadroniamo veramente di una realtà, e quindi<br />

questa presa di possesso di tutti i possibili significati dell’idea di libro ha dato origine ai libri<br />

d’artista, che non sono libri illustrati (quelli sono libri artistici; i libri illustrati con belle<br />

illustrazioni o nelle edizioni rare eccetera possono essere libri artistici), i libri d’artista sono<br />

un’altra cosa, sono un intervento di un artista sull’idea – sul concetto – di libro. Allora<br />

abbiamo toccato alcuni punti che vi sintetizzo e poi do la parola a Franca. Io direi che i<br />

concetti da ricordare sono questi, che lavoriamo in senso molto ampio sul tema della guerra,<br />

quindi gli argomenti che entreranno nel corso del lavoro possono essere sviluppati<br />

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nell’ambito di questo tema, il tema della guerra. Un altro concetto importante allora è il<br />

concetto di libertà; libertà di associazione di idee, libertà di manipolazione, libertà di<br />

movimento, ed è interessante che questo concetto di libertà si associ a questo tema che noi<br />

trattiamo. Noi trattiamo il tema della guerra cercando di sviluppare la nostra libertà di<br />

pensiero attraverso una operazione artistica. Quindi questo è quello che faremo<br />

sostanzialmente, quindi nel momento in cui parliamo di questo tema cerchiamo di<br />

sviluppare al massimo la possibilità di libertà che abbiamo, che è soprattutto dentro di noi,<br />

nella nostra testa. Poi ci sono alcuni elementi che sono il libro, il libro d’artista, il tavolo da<br />

gioco, il gioco, il gioco che può nascere come qualcosa di molto libero e poi può assumere<br />

delle regole; anche questo è un altro concetto, questo concetto delle regole, del confronto<br />

che si attua attraverso delle regole è di nuovo un argomento che si può sposare benissimo<br />

con gli altri, con quello della guerra e quello della libertà. Allora lascio la parola a lei che vi<br />

parla dei libri d’artista, delle scacchiere, perché poi vi racconta che cosa faremo.<br />

Lettura dei testi relativi alla tipologia delle scacchiere.<br />

- FZ – Allora il libro d’artista può essere realizzato con qualsiasi materiale<br />

[In seguito alla cattiva acustica della registrazione abbiamo chiesto a Franca di ricostruire<br />

succintamente la traccia del suo intervento].<br />

………………………………………………Allora, il libro d'artista può essere realizzato<br />

con qualsiasi materiale, dimensione e forma. Per la sua realizzazione si deve tenere conto di<br />

due elementi fondamentali: la coerenza con il tema (nel nostro caso la guerra) e la<br />

conservazione di almeno un dato, che lo possa far classificare come "libro"; per esempio la<br />

scrittura, la forma, o la sfogliabilità. Esistono libri cuciti, fotocopiati, in copia unica,<br />

stampati, assemblati e i libri oggetto.<br />

Scriveva Marinetti a proposito del libro (Parole in libertà/maggio 1913):...Il libro deve<br />

essere l'espressione futurista del nostro pensiero futurista. Non solo. La mia rivoluzione è<br />

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diretta contro la così detta armonia tipografica della pagina, che è contraria al flusso e<br />

riflusso, ai sobbalzi e agli scoppi dello stile che scorre nella pagina stessa. Noi useremo<br />

perciò nella medesima pagina, tre o quattro colori diversi di inchiostro, e anche 20 caratteri<br />

tipografici diversi, se occorra...! Con questa rivoluzione tipografica e quella varietà<br />

multicolore di caratteri io mi propongo di raddoppiare la forza espressiva delle parole...".<br />

E' chiaro che le intenzioni di Marinetti erano di rafforzare le parole, attraverso l'uso non<br />

convenzionale della pagina e dei caratteri tipografici. A Genova, tra gli artisti contemporanei<br />

che si esprimono attraverso la poesia visiva (usando appunto, in modo non convenzionale<br />

pagine, caratteri ed immagini) ricordiamo: Anna e Martino Oberto, Ugo Carrega, Corrado<br />

D'ottavi, Rodolfo Vitone, Vincenzo Accame...<br />

La Poesia Visiva ed il Libro d'artista, si può affermare che discendono direttamente dal<br />

Futurismo.<br />

Qualche mese fa, mi è stato chiesto di progettare un laboratorio per gli alunni di questa<br />

scuola, sul tema della guerra, attraverso la costruzione del libro d'artista. Dopo una breve<br />

ricerca, sui giochi da tavolo più conosciuti (perché volevo usare le regole del gioco per<br />

realizzare i nostri libri) ho pensato che la scacchiera sarebbe stata la più adatta per<br />

rappresentare il tema; perché come vi ha già anticipato la Prof.ssa Emilia Marasco, la<br />

scacchiera è un campo di battaglia.<br />

Ci sono stati nella Storia della Comunicazione numerosi riferimenti al gioco degli scacchi,<br />

per esempio, per restare sull’argomento della guerra, nel film “Il dottor Stranamore” di<br />

Stanley Kubrick, gli indicatori luminosi, posti sui pannelli della stanza delle guerre; sono<br />

usati come le pedine di una grande scacchiera, per decidere il destino dell’umanità.<br />

Per il nostro laboratorio ho progettato sei scacchiere, diverse tra loro per dimensioni e colori.<br />

Noi stravolgeremo la struttura di questi tavoli da gioco, per creare un'insolita varietà di<br />

cassetti, sportelli, e particolari meccanismi di apertura.<br />

Le scacchiere saranno i contenitori delle vostre riflessioni sulla guerra.<br />

La scacchiera ha origini molto antiche, pare che sia arrivata in Occidente intorno all'Anno<br />

Mille. In origine sulla scacchiera si affrontavano pezzi rossi e pezzi neri, in seguito i neri<br />

furono sostituiti dai bianchi e fino al XVI secolo, in molte immagini, si riproducono<br />

scacchiere bianche e rosse. Dal XIII secolo, i pezzi rossi cominciarono ad essere sostituiti da<br />

quelli neri. Per un certo periodo è stata anche monocroma con linee scavate (per separare le<br />

64 caselle) e dipinte di rosso.<br />

Per realizzare le nostre scacchiere, useremo materiali poveri e comuni come il cartone, i<br />

cartoncini colorati, la colla, i chiodini ed alcuni listelli di legno per costruire i telai.<br />

- EM – Le riflessioni che farete sulla guerra e sulla libertà e sulle regole, perché la guerra e<br />

la libertà sono comunque concetti che portano con sé un’altra problematica che è quella<br />

delle regole, delle regole che possono essere fondamento del vivere civile quindi capite in<br />

questo gioco – in questo lavoro – quante cose possiamo inserire, possiamo mettere dentro.<br />

Nell’arte contemporanea c’è un gruppo di artisti, ci sono degli artisti che si chiamano artisti<br />

della poesia visiva, che sono artisti che hanno lavorato sulle parole allo stesso modo<br />

dell’artista che lavora sul libro, modificando – manipolando – il libro, guardandolo come<br />

oggetto, come contenitore, trasformandolo; allo stesso modo degli artisti che lavorano sugli<br />

oggetti liberamente associandoli allora anche gli artisti, che hanno scelto di usare le parole,<br />

hanno guardato alle parole per la loro forma, per il loro andamento, per la loro collocazione<br />

in uno spazio (anche la pagina è uno spazio – no? Anche la pagina è un contenitore) e hanno<br />

utilizzato le parole anche in libera associazione; puoi anche fare parole tridimensionali – no?<br />

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– e anche trasformare le parole in oggetti; puoi associare le parole diversamente. Duchamp<br />

crea una poesia mettendo l’alfabeto dentro un cappello e tirando fuori a caso, questo è un<br />

altro gioco; sembra un giochino, però c’è sempre questa idea del caso, molto interessante<br />

perché in fondo il caso, anche se noi cerchiamo di non pensarci, regola la nostra vita. Noi<br />

teniamo tutto sotto controllo, abbiamo una vita molto organizzata, tutto molto ben sistemato,<br />

imbachecato, collocato; quindi si va a scuola, si va a casa, ci sono altre cose, “un altro anno<br />

farò così …”, “le vacanze le farò là …”: ogni momento della nostra vita è come quella<br />

famosa bacheca della Nevelson [provengono dalle finestre rumori di clacson suonati a mo’<br />

d’emergenza] collocata in varie caselle; ciascuno di noi se vuole può fare un progetto per i<br />

prossimi due anni, cinque anni, dieci anni; non tiene conto, lo sappiamo tutti, facciamo finta<br />

di non tenerne conto che esiste il caso, e il caso può sconvolgere completamente questa<br />

nostra programmazione, questa nostra collocazione, non lo chiamiamo quasi mai, lo<br />

chiamiamo destino; se succede qualche cosa che sconvolge la nostra programmazione o le<br />

nostre convinzioni o quello che avevamo progettato, favorevolmente o sfavorevolmente, che<br />

crea un diversivo nella nostra vita, più facilmente nella nostra cultura si dice: “è il destino”,<br />

“è successo così perché si vede che era destino”, però – comunque – questo è il caso. Allora<br />

giocare con il caso è divertente, è interessante, è affascinante, ci dà – come dire? – la<br />

possibilità di pensarci, quindi di impadronircene un po’, di impadronirci o quantomeno di<br />

abituarci a questa idea del […] e allora si possono fare molti giochi nell’ambito anche di<br />

un’operazione artistica su questa idea del caso: associare parole, creare parole insieme,<br />

associare oggetti, tutto questo un po’ appunto pescandoli, sorteggiando; quindi sorteggiamo.<br />

- FZ – Sì. Bisogna dirgli, siccome<br />

- EM – Lei ha messo in un contenitore, questo è un contenitore [mostra un oggetto che non<br />

rammento cosa fosse] – giusto? – allora questo è un contenitore, è una scatola, potrebbe<br />

essere un libro? Sì, può essere un libro, io posso tirare fuori le parole; posso mettere tanti<br />

foglietti, tirarli fuori a caso, posso scrivere il racconto che amo di più suddiviso in frasi o<br />

con le frasi più interessanti e cacciarle tutte dentro ad un contenitore, posso fare questa cosa.<br />

Pensate che una volta (faccio ancora questa parentesi), una volta (l’Accademia è una<br />

Università, voi sapete che alla fine di una facoltà universitaria si fa una tesi, per concludere<br />

il lavoro di tanti anni si fa una tesi, questa tesi è una ricerca un pochino più estesa rispetto a<br />

quella che fate voi, una ricerca che magari comporta anche un anno o due di lavoro, è una<br />

ricerca scritta) un anno uno studente ha fatto una tesi un po’ dadaista o quasi di poesia visiva<br />

– potremmo dire – perché ha fatto una tesi sulla vita di un artista contemporaneo e allora che<br />

cosa ha fatto? È andato in una fabbrica di contenitori di latta e ha comprato, nuova quindi,<br />

una di quelle latte da tre chili, da cinque chili, non lo so, quelle enormi che ci sono nelle<br />

cose all’ingrosso, che contengono i pelati o la marmellata, era alta così. L’ha comprata<br />

nuova, ha costruito lui l’etichetta con scritto il titolo della tesi, i suoi nome e cognome,<br />

Accademia di Belle Arti, l’anno, eccetera: quello che si scrive di solito nella prima pagina<br />

della tesi, di questo ne ha fatto l’etichetta; poi ha preso tutti i fogli della tesi suddivisi in<br />

capitoli e in successione avevano un numero di pagina, però non li ha legati insieme, li ha<br />

presi così, li ha infilati dentro questa latta, se l’è fatta sigillare e ha consegnato la sua tesi<br />

con un apriscatole. Quindi, quando ha discusso la tesi, noi professori abbiamo aperto con<br />

l’apriscatole questa tesi, abbiamo tirato fuori questi fogli che – ovviamente – tirandoli fuori,<br />

siccome non erano legati tutti assieme, e non si potevano più tenere bene insieme, quindi<br />

abbiamo dovuto cercare i numeri …; è stato un gioco e ci siamo divertiti, però lui con questo<br />

gioco lui voleva dire tutte quelle cose che vi ho detto io stamattina. Allora lascio …<br />

- FZ –Ah, bisognava dire qualcosa su<br />

- EM – Su?<br />

- FZ – Sui contenitori, va be’, sui contenuti attraverso le parole. Va be’, magari glielo faccio<br />

scrivere dopo.<br />

- EM – Sì.<br />

41


Le studentesse dell’Accademia durante un momento del laboratorio.<br />

- FZ – Sei.<br />

- RP – Sei gruppi.<br />

- EM – Sorteggiamo, no, adesso ..,i gruppi poi li potete …<br />

- FZ – Allora, sei persone per ogni gruppo,<br />

- RR – [I ragazzi fanno molto chiasso].<br />

- EM – Voi potete scegliere sei persone.<br />

- RR – [Il rumore prodotto dagli allievi sovrasta le parole della Docente e dell’Artista].<br />

- RP – Non ho capito.<br />

- EM – [Ripete ma non è udibile in registrazione].<br />

- RP – Allora io devo scegliere tre persone […].<br />

- FZ – Poi i gruppi li costituite voi.<br />

- RP – Allora, M * vieni ad estrarre, cioè tre di questa classe devono estrarre l’argomento, che<br />

non è proprio l’argomento<br />

- FZ – Il tipo di scacchiera.<br />

[Ci si organizza. Vengono estratti i foglietti e poi letto a voce alta il contenuto di ognuno d’essi].<br />

- EM – Ma voi sapete giocare a scacchi?<br />

- RR – Nooo.<br />

- EM – Nessuno?<br />

- RR – [Uno dice] Io sì.<br />

- EM – Chi è che sa giocare a scacchi? Ditelo un po’.<br />

- RR – [Schiamazzano abbondantemente.].<br />

- EM – Vi insegniamo anche a giocare a scacchi. Chiamo qualcuno.<br />

- RR – [Riprendono a chiacchierare].<br />

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- EM – Dicevo che possiamo fare un incontro supplementare (vedo se porto qualcuno, ora mi<br />

organizzo) e insegniamo a giocare a scacchi, dopo tutto questo lavoro, eh.<br />

[Sovrastate dalla voce dei ragazzi s’intuiscono considerazioni da parte dei docenti sull’utilità<br />

dell’apprendimento delle regole del gioco a scacchi, che sono di ordine matematico].<br />

Panoramica su alcuni gruppi di ragazzi impegnati nella seconda sezione del laboratorio di poesia.<br />

- RP – C’è ancora un gruppo.<br />

- RR – [Vengono lette le indicazioni relative all’ultima scacchiera. Applausi<br />

d’incoraggiamento da parte dei compagni].<br />

- EM – Allora, adesso vi passiamo le fotocopie che vi scambiate, fate un po’ girare, intanto vi<br />

distraete un po’ e sono vari esempi di scrittura utilizzati nella poesia visiva, quindi diversi<br />

modi di sfruttare la grafica, diversi modi di sfruttare la grafia, quindi la scrittura a mano, la<br />

scrittura al computer, la scrittura a macchina, la stampa. È chiaro – come dicevo prima – le<br />

parole possono essere oggetti e comunque hanno una forma.<br />

- RR – [I ragazzi si scambiano il materiale dato in visione e chiacchierano copiosamente].<br />

[Interrotta la registrazione e poi ripresa].<br />

- EM – Duchamp e Cage decisero di fare uno spettacolo insieme in un teatro (e quindi con<br />

inviti per questo spettacolo, con tutta la promozione legata allo spettacolo, gli annunci sul<br />

giornale, eccetera, i biglietti) e il teatro ovviamente pieno (erano nel pieno della loro fama e<br />

della loro attività), quindi si trattava di uno dei maggiori artisti contemporanei insieme a uno<br />

dei maggiori musicisti, che aveva tra l’altro creato un’importante rivoluzione nell’ambito<br />

artistico e quindi c’era una grande attesa, il teatro pieno, sul palcoscenico Duchamp, John<br />

Cage, un tavolino e una scacchiera (avevano entrambi la passione degli scacchi) e<br />

cominciarono una partita a scacchi. Voi sapete che una partita a scacchi fra giocatori bravi è<br />

una partita che dura a lungo, perché appunto – come si diceva prima – è la simulazione di<br />

43


una guerra, quindi ci sono delle regole, c’è una strategia, c’è anche una capacità di stancare<br />

l’avversario, d’irritare l’avversario; quindi ci sono anche stili diversi di giocare a scacchi,<br />

comunque ci vuole anche una certa concentrazione; quindi Duchamp e John Cage iniziarono<br />

la loro partita scambiandosi delle battute che erano legate al gioco ma erano anche in realtà<br />

di altre cose come se non fossero stati in un teatro. La gente non sapeva cosa fare; anche<br />

questa è stata una rivoluzione, una trasgressione, un non spettacolo e a poco a poco<br />

cominciarono ad uscire, ad andarsene, perché ovviamente non riuscivano a capire, non li<br />

vedevano, [non potevano essere a conoscenza di] quel che succedeva, non potevano seguire<br />

la partita, e quando il teatro fu vuoto John Cage e Duchamp se ne andarono e finirono la<br />

partita in albergo.<br />

- RR – [Battono le mani].<br />

[Finisce qui la registrazione].<br />

Un’allieva si appresta a leggere le informazioni scritte sul foglietto.<br />

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II – Conferenza conclusiva del laboratorio di poesia.<br />

Legenda<br />

- EM - Emilia Marasco, docente dell’Accademia<br />

- FZ - Franca Zarcone, artista<br />

- RP - Rosangela Piccardo, professoressa della Centurione<br />

- MF - Mario Fancello, prof. della Centurione<br />

- RR - Alunni di III B e III C<br />

- EM – […] senza un criterio, ma dobbiamo rispettare alcune regole che ci consentano di<br />

ricondurre noi stessi e di consentire a chi guarda questa scacchiera di ricondurre tutto<br />

all’idea del libro, quindi di capire che questo è una specie di particolarissimo libro. Allora le<br />

regole da rispettare sono appunto l’uso della scrittura e la sfogliabilità. Mi ricordo di averlo<br />

detto nella prima volta, però lo dico perché allora i tempi erano anche prematuri: una delle<br />

caratteristiche del libro è quella di presentarci un racconto secondo una successione di<br />

concetti, una successione di eventi, comunque con un andamento che da A va verso B e<br />

questo andamento è scandito dalla sfogliabilità del libro, noi giriamo le pagine. Nel librooggetto,<br />

quindi in queste scacchiere, noi non possiamo girare le pagine, però possiamo<br />

stabilire una successione – no? – quindi possiamo stabilire una sequenza, possiamo dare un<br />

ordine ai concetti che sulla guerra voi vorrete immettere in queste scacchiere in modo da<br />

consentire a chi leggerà di leggere secondo una regola, secondo un ordine, quindi di capire<br />

qual è la vostra proposta di ragionamento; perciò poi, sulla base delle cose che ci diremo<br />

stamattina, anche Franca vi guiderà in questa possibilità d’inserimento. Ora ovviamente io vi<br />

faccio solo alcune proposte, nel senso che vi propongo alcuni concetti che io ho selezionato<br />

da delle letture che ho scelto, che mi sembrano i concetti sui quali lavorare, però siete voi<br />

che stamattina stessa dovete elaborare (in maniera abbastanza concisa, però efficace) dovete<br />

elaborare tutte le considerazioni su questi temi che volete mettere sulle vostre scacchiere,<br />

quindi diciamo che il lavoro si divide stamattina in due parti – no? –, in questa prima parte<br />

parlerò io e poi avete magari un po’ di tempo per mettere insieme delle cose che poi<br />

perfezionerete però anche perché noi si possa capire come inserirle nelle scacchiere. Poi<br />

però ancora una volta faremo questo famoso gioco degli scacchi, vedremo chi sa giocare,<br />

insomma faremo qualche cosa sugli scacchi in particolare.<br />

- RP – In Villa Rossi c’è sempre una scacchiera grossa per giocare.<br />

- EM – Qua c’è qualcuno che sa giocare a scacchi? Beh, sì, forse sanno giocare. Noi abbiamo<br />

pensato adesso, con il professor Fancello pensavamo che, siccome il pavimento del vostro<br />

ingresso è una scacchiera,<br />

- RP – Anche l’aula professori.<br />

- EM – (anche l’aula professori, forse. Ci avete mai fatto caso? Sì?) possiamo delimitare il<br />

numero di caselle e fare una serie di scacchiere qui, portare solo i pezzi e quindi fare con chi<br />

deve imparare e invece delle partitelle con chi sa già giocare; possiamo fare una mattinata<br />

così; poi la organizziamo. Comunque anche l’origine e il significato del gioco degli scacchi<br />

si lega moltissimo a questo tema della guerra perché è un confronto, è un gioco di confronto,<br />

è un gioco che simula un conflitto che ha per obiettivo l’annientamento dell’avversario e lo<br />

sbaragliamento dell’avversario, quindi è una guerra. Vi ricordate che la prima volta ho detto:<br />

“C’è un movimento artistico che è il Surrealismo che dà molta importanza al gioco – no? – e<br />

dà molta importanza al gioco per quell’elemento di libertà che c’è nel gioco e per quello<br />

spostamento che succede in tutti i giochi, uno spostamento in una realtà che non è quella<br />

45


vera, ma in una realtà nella quale attraverso delle regole si possano simulare delle attività<br />

umane che invece ci sono normalmente nella realtà vera, quindi questa è la simulazione<br />

dell’attività della guerra. Il gioco degli scacchi nasce (sembra che nasca) in Cina, o –<br />

perlomeno – nell’antica Cina c’era un gioco che si chiamava il gioco dell’elefante e nel libro<br />

della saggezza cinese c’è questo concetto che può essere anche uno dei temi sui quali<br />

riflettere: essere re, ministro o gentiluomo è il sogno di una notte, un regno di mille anni è<br />

una partita a scacchi, quindi questo è già uno dei concetti sui quali vi invito a riflettere,<br />

l’altro è proprio nell’origine invece più conosciuta del gioco degli scacchi, nel V sec. a C, in<br />

India, quando va al trono un giovane sovrano (ora ve la racconto molto sinteticamente<br />

questa leggenda), va al trono un giovane sovrano che rapidamente comincia ad assumere le<br />

caratteristiche del tiranno e allora ovviamente tutti i saggi e i sacerdoti che abitavano intorno<br />

alla corte si pongono il problema di come insegnare a questo giovane che è in un altro modo<br />

che si governa; allora, a un certo momento, un sacerdote bramino inventa un gioco che è il<br />

gioco degli scacchi, è un gioco nel quale il re deve la sua incolumità, la sua salvezza, e poi<br />

in qualche modo organizzare il proprio regno (un regno di mille anni è una partita a scacchi<br />

– no? – dicevano i cinesi) soltanto col contributo di tutti i sudditi e quindi insegna il gioco<br />

degli scacchi a questo sovrano che capisce benissimo qual è il messaggio che attraverso il<br />

gioco gli viene proposto e quindi tra l’altro scommettono (come dire il bramino si fa<br />

promettere un’immensa ricchezza. Quindi il bramino diventa ricco e il sovrano diventa un<br />

buon sovrano attraverso questo gioco. Il gioco poi passa in Persia, in Grecia, in Medio<br />

Oriente, anzi a noi lo portano gli arabi; quindi noi conosciamo gli scacchi grazie agli arabi.<br />

- RP – Anche gli scacchi quindi sono stati portati dagli arabi; più di quanto non si pensi.<br />

- EM – La nostra cultura è comunque intrecciata a quella degli arabi molto di più di quello<br />

che noi vogliamo evidentemente considerando come vanno le cose. Quindi la guerra. Io<br />

forse, se fossi in voi, qualche appunto lo prenderei – eh – perché poi dovete elaborare questi<br />

concetti, quindi …<br />

- RP – Allora, procuratevi il foglio, non è una cosa misteriosa, impossibile da possedere, da<br />

avere; vi procurate una penna e un foglio.<br />

- RR – [Parlottano].<br />

- RP – Non facciamo commenti inutili.<br />

- RR – [Continuano a chiacchierare].<br />

- EM – [Tenta di riprendere la parola].<br />

- RP – Avete capito adesso che dovete tacere? Sì o no?<br />

- RR – Sììì.<br />

- RP – E allora basta.<br />

- EM – Intanto bisognerebbe riuscire a dare una definizione di guerra – no? – una definizione<br />

di guerra.<br />

- RR – [Parlano per conto proprio].<br />

- RP – Ragazzi per favore, eh!<br />

- RR – [Diminuisce il volume delle chiacchiere].<br />

- RP – Ci siamo? Dovete poi lavorare voi, quindi dovete stare zitti se no poi che cosa fate?<br />

Cosa scrivete? Fate solo delle figuracce? Coraggio.<br />

- EM – Allora io provo a darvi alcuni suggerimenti. Allora la guerra – in genere – nella storia<br />

dell’uomo è un conflitto armato fra gruppi. Questo conflitto si verifica in genere<br />

nell’acquisizione di territorio per la difesa di territori, per la supremazia di una classe<br />

politica su un’altra e per la supremazia (questo andando avanti nella storia dell’uomo,<br />

andando avanti nella civiltà) per la supremazia rispetto ai mezzi di produzione; quindi vale a<br />

dire che inizialmente un po’ come gli animali (perché c’è un’analogia tra il comportamento<br />

umano e il comportamento animale in alcuni aspetti, no?) inizialmente, un po’ come gli<br />

animali, gli uomini scatenano le guerre esclusivamente per il possesso e la difesa dei<br />

territori, poi, mano a mano che la società diventa una società più complessa, è chiaro che<br />

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non interessa solo acquisire nuove terre o difenderle, ma – per esempio – interessa andare a<br />

prendersi quei territori dove ci sono delle importanti materie prime o difendere quei territori<br />

una volta che si sono conquistati, interessa soggiogare quei popoli che vivono su territori<br />

dove ci sono importanti materie prime o dove ci sono dei sistemi industriali importanti,<br />

quindi difendere questi sistemi industriali. È chiaro che questo è un concetto che dovrebbe<br />

esservi abbastanza noto perché comunque la nostra società vive di questi meccanismi, no?<br />

Come mai ci sono paesi africani continuamente in guerra e sono poverissimi? Queste guerre<br />

spesso vengono scatenate (si scatenano) dal di fuori – no? – indotte da potenze molto più<br />

importanti, questi popoli vengono armati proprio perché magari in alcuni territori c’è il<br />

petrolio, c’è l’oro; quindi questo è quello che succede. Questo cosa indica? Indica che esiste<br />

nell’uomo, come nell’animale, un istinto aggressivo, quindi una tendenza, un<br />

comportamento aggressivo, però gli studiosi di etologia – no? – gli studiosi del<br />

comportamento animale hanno stabilito che, tranne in alcuni momenti in cui l’uccisione<br />

dell’avversario è necessaria per – come dire? – l’esplicarsi dei meccanismi della catena<br />

alimentare, gli animali (che comunque combattono in gruppi per il territorio o per le<br />

femmine o comunque per alcuni aspetti di supremazia) difficilmente gli animali annientano<br />

l’avversario, quindi ci sono sempre dei meccanismi di controllo all’interno del<br />

comportamento aggressivo degli animali, che non portano mai alla distruzione totale del<br />

branco avversario, perché la distruzione totale del branco avversario significa la distruzione<br />

ambientale; l’animale perciò non supera mai una certa soglia. Nel comportamento umano<br />

l’istinto aggressivo è una cosa che abbiamo dentro di noi, tutti siamo potenzialmente<br />

aggressivi, in misura diversa ma tutti abbiamo questo istinto; rispetto a questo istinto<br />

esercitiamo delle forme di controllo (che sono delle forme altrettanto istintive come quelle<br />

degli animali) per non arrivare a portare il nostro istinto aggressivo al punto di uccidere il<br />

nostro antagonista, ma nello stesso tempo sono delle forme di controllo culturali – no? –<br />

quindi noi non andiamo oltre perché la persona appartiene al nostro stesso gruppo, perché ci<br />

sono dei legami, perché ci sono questi meccanismi che sono un esempio di evoluzione<br />

culturale. Questi meccanismi di controllo istintivo per non distruggere l’avversario vengono<br />

meno totalmente in una situazione di guerra, tant’è vero che lo stato di guerra e lo stato di<br />

pace possono essere definiti giuridicamente, legalmente, politicamente, cioè ci sono mille<br />

definizioni dello stato di guerra e dello stato di pace, però a livello di comportamento la<br />

differenza sta proprio in questo, che nello stato di guerra le forme di controllo e di<br />

autocontrollo che il gruppo esercita per non distruggere totalmente l’altro gruppo vengono<br />

meno, tant’è vero che il vincitore distrugge sempre nella storia le città del nemico. Perché<br />

distrugge la città del nemico? Perché la città è un simbolo molto forte. Allora la città è<br />

qualcosa che nella storia ha sempre generato negli altri popoli (la città del nemico diciamo)<br />

invidia, ammirazione; però l’ammirazione e l’invidia sono spesso strettamente collegate;<br />

quindi le città vengono distrutte – no? – come segno proprio del passaggio,<br />

dell’annientamento, della vittoria, come segno della vittoria, distrutte con le loro opere<br />

d’arte, distrutte con i loro palazzi, con i loro segni di civiltà e puntualmente le città vengono<br />

anche ricostruite in maniera diversa; la città è un simbolo molto forte perché è il simbolo del<br />

sistema, dell’ordinamento, del sistema di regole, del grado di civiltà a cui un gruppo è<br />

arrivato. Quindi, per sintetizzare, i gruppi in guerra in genere cosa si contendono? Si<br />

contendono i beni necessari alla vita, [il pubblico dei ragazzi chiacchiera], questo è un<br />

concetto che io vi dico così un po’ genericamente<br />

- RP – Cosa succede, ragazzi?<br />

47


- RR – [Rispondono].<br />

- RP – C’è una mosca che vola!<br />

Sono talmente mature queste<br />

persone che vola una mosca e<br />

loro cominciano a parlare, …<br />

Non è possibile. È<br />

inconcepibile. È così – guarda –<br />

e stanno peggiorando<br />

gradualmente anziché<br />

-<br />

migliorare, vanno in discesa.<br />

Ma noi vi aspettiamo all’esame<br />

oh oh, eh! E sì, eh, eh eh! È<br />

questa la realtà. Vendetta? Non<br />

è vero, però …<br />

EM – Quindi questa riflessione<br />

sul fatto che la guerra sia un<br />

sistema per contendersi dei<br />

mezzi necessari alla vita,<br />

necessari alla supremazia, alla<br />

sopravvivenza, cosa che li può<br />

far riflettere in maniera anche<br />

autonoma su cos’è che si stanno<br />

contendendo (in questo<br />

Gruppo di allievi al lavoro.<br />

momento, in questa guerra che<br />

c’è) i due blocchi che si<br />

fronteggiano, perché in realtà<br />

non è forse una guerra di<br />

religione solamente come ci<br />

rammentano ogni tanto; quindi<br />

una guerra fra diverse civiltà<br />

non è forse soltanto una guerra<br />

nata da una ritorsione, cioè una<br />

-<br />

guerra che nasce per difendere – no? – quindi si abbattono le torri gemelle, si reagisce per<br />

difendere il proprio territorio e difendere il proprio diritto. Non è forse soltanto questo, è<br />

anche possibile che ci siano anche altri motivi – no? – che ci sia qualcosa di importante che<br />

significa la supremazia sul pianeta, quindi che significa essere la potenza più forte e ci siano<br />

dei mezzi necessari, che uno dei due possiede, necessari a questa supremazia.<br />

RP – E non a caso russi e americani – no? – si stanno alleando; cosa prima impensabile, no?<br />

- EM – Certo.<br />

- RP – anche militarmente.<br />

- EM – Quindi questa è anche una riflessione da fare. Allora noi siamo stati a lungo (noi:<br />

intendo dire l’Europa, i paesi – diciamo – dell’Occidente) in pace, così come gli americani.<br />

Perché a lungo in pace? A lungo in pace perché questa pace che abbiamo vissuto per molti<br />

anni in realtà si chiama la pace del terrore, cioè è una pace che era determinata<br />

fondamentalmente dalla paura della guerra atomica. Allora i paesi, le potenze, avevano –<br />

come dire? – stabilito un patto di pace per non trovarsi nella condizione di usare<br />

reciprocamente gli uni contro gli altri delle armi atomiche che avrebbero portato alla<br />

distruzione di tutti e che avrebbero portato probabilmente ad una guerra senza reali vincitori.<br />

Allora la paura della distruzione atomica ha determinato questa pace detta del terrore, che<br />

però non può durare a lungo, perché la paura non è un’assicurazione per la pace, nel senso<br />

che una pace che si fonda semplicemente sulla paura e non invece su una convinzione, su<br />

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una costruzione, che determini davvero uno stato di pace, non è una pace che possa durare a<br />

lungo e infatti è finita. Le giustificazioni alla guerra sono – badate – nella storia sempre<br />

legate alla difesa del gruppo; cioè il paese che entra in guerra, il gruppo che entra in guerra<br />

dirà sempre che entra in guerra per difendere il gruppo, perché la guerra è in realtà qualcosa<br />

che è estraneo alla cultura dell’uomo, alla cultura morale dell’uomo, per cui non si può fare<br />

una guerra senza giustificarsi e la giustificazione è sempre in questo, nella difesa. Infatti<br />

anche questa guerra è in fondo la giustificazione a questa guerra o la ragione per cui anche<br />

un paese come l’Italia ha deciso che sì, che entrava in guerra, perché in fondo è questo, un<br />

paese che comunque è fondamentalmente contro la guerra – no? – c’è anche nella<br />

Costituzione,<br />

- RP – [Dialoga con Emilia, ma non è possibile trascrivere lo scambio di battute perché non<br />

percepibile].<br />

- EM – Quindi un paese come l’Italia ha deciso di entrare in guerra comunque, dovreste<br />

chiedervi perché. Dovete rispondere. Secondo voi perché anche l’Italia è entrata in guerra?<br />

Perché non c’è stato un solo paese europeo che abbia detto: No, noi in guerra non ci<br />

entriamo?<br />

- RR – [Silenzio].<br />

- RP – Allora? Perché l’Italia ha mandato le sue truppe, le navi, gli aerei? Perché ha aderito<br />

l’Italia? Perché Bin Laden in realtà è cattivo? Sì, è cattivo, ma solo per questo?<br />

- RR – [Si crea un momento di libertà. Parlano a voce moderata. Rispondono con incertezza].<br />

- RP – Parliamo di oggi, la guerra di oggi, una guerra particolare, ma sempre guerra è, no?<br />

Eh!<br />

- RR – [Uno/a cerca di rispondere alla domanda].<br />

- RP – Eh? Non sento. Vuole essere utile. Certamente. Collaborano con i propri mezzi, con i<br />

propri uomini, però perché decide di rendersi utile?<br />

- RR – [C’è chi obietta qualcosa].<br />

- RP – Certo che è utile, come no. Anche se ti dirò: gli americani sono talmente organizzati<br />

militarmente che non hanno bisogno di due tre navi piccoline italiane. Eh? Sìsìsì, però però<br />

…<br />

- EM – Beh, intanto una delle ragioni sta nel patto di alleanza con gli americani, questo patto<br />

di alleanza è comunque sempre legato a questo concetto di difesa, di difesa dei propri<br />

territori, questo gesto così estremo – no? – così simbolico di entrare in una città, entrare in<br />

una città con gli aerei, distruggere e fare tutte quelle vittime – no? – quindi entrare nel cuore<br />

di una città è stato ovviamente un atto così fortemente simbolico, di così grande tragicità,<br />

che ovviamente ha immediatamente innescato il meccanismo della difesa, l’idea che ci<br />

debba essere un diritto alla difesa. Quindi nel nostro tempo bisogna però tenere presente che<br />

la guerra è uno strumento comunque della politica, è un prolungamento della politica con<br />

altri mezzi, quindi, nel momento in cui non si riesce a risolvere un problema esclusivamente<br />

con degli strumenti politici, si ricorre a questo strumento estremo, quindi sono strettamente<br />

collegati; per quello che dicevo: non si può più accettare solo la giustificazione della difesa,<br />

evidentemente ci sono anche degli interessi molto più importanti, molto più forti, no?<br />

Quindi la guerra si relaziona sempre – ovviamente – per contrasto al concetto di pace;<br />

perciò, nel momento in cui definite il concetto di guerra nel vostro libro, dovete in qualche<br />

modo definire il concetto di pace, che non è solo l’assenza di guerra, no? Cioè non è per<br />

negazione che lo si definisce. La pace è qualcosa di molto importante, profondo, che si<br />

costruisce con dei presupposti fondamentali, quindi riflettere sul concetto di guerra e sul<br />

concetto di pace significa individuare tutte queste condizioni: quali sono le condizioni della<br />

guerra e quali sono le condizioni della pace. Ovviamente un altro concetto importante, che è<br />

relazionato a questo, è il concetto di paura. Il concetto di paura che di nuovo, come l’istinto<br />

aggressivo, è un sentimento (quello della paura) che noi abbiamo da subito, da sempre – no?<br />

– quindi che è dentro di noi. È un tema, questo della paura, profondamente legato al nostro<br />

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sistema di vita, al nostro agire quotidiano. Quindi c’è una paura che può essere legata ad una<br />

dimensione molto quotidiana, però è sempre la paura dell’istinto aggressivo altrui. Quindi<br />

c’è la paura del malintenzionato, c’è la paura del delinquente, del criminale; è una paura<br />

sempre che è legata all’istinto aggressivo, è la consapevolezza che gli altri hanno un istinto<br />

aggressivo e che alcuni superano un certo confine con questo istinto aggressivo. La paura<br />

legata al tema della guerra in maniera più estesa va affrontata come un sentimento che<br />

coinvolge tutti i popoli. Allora, dopo (adesso magari ci siamo persino un po’ dimenticati)<br />

ma dopo le torri gemelle, non solo in America ma anche qui, c’era una grande paura. C’era<br />

una grande paura che una cosa di questo genere potesse capitare anche a noi, o comunque è<br />

venuta meno un’idea di una sicurezza, cioè si è capito che quella famosa pace del terrore che<br />

era fondata sulla paura, sul tenere sotto controllo tutto per paura, era finita e che ci lasciava<br />

solo che cosa? La paura. Ci rimaneva questo. Quindi il concetto di paura è un concetto<br />

molto importante, no? Si ha paura in guerra, si ha paura della guerra, si ha paura in pace<br />

perché si ha paura che la pace finisca, no? Questo è un tema con il quale gli uomini si<br />

devono relazionare costantemente. Un’altra domanda<br />

[Sono costretto ad interrompere Emilia Marasco per sapere quali allievi di III B devono uscire<br />

anticipatamente. Stabilito il numero, si provvede a farli uscire dall’aula].<br />

- EM – Allora una domanda che vi faccio, che si sono sempre chiesti tutti i popoli che hanno<br />

aspirato alla pace, perché l’aspirazione alla pace è un’aspirazione costante, è se la pace<br />

mondiale sia un sogno, se sia un’utopia o se invece sia possibile. Questa forse è una<br />

domanda che potete anche … Ovviamente un surrealista potrebbe rispondere che è possibile<br />

solo se, solo se, avviene la ritualizzazione dei conflitti, cioè se i conflitti si trasformano in<br />

qualche cosa d’altro; quindi questo in realtà è una immaginazione; però se il conflitto si<br />

risolve in un gioco, si risolve sul tavolo da gioco, per esempio una partita a scacchi, allora si<br />

consuma un rito in cui c’è un vincitore e un vinto e si stabiliscono delle regole e ci sono<br />

delle conseguenze. Questa ritualizzazione corrisponde al superamento dell’idea di conflitto e<br />

questa è una possibilità ovviamente un po’ – come dire? – immaginifica, no? Un’altra<br />

considerazione che vi passo, molto importante, è questa. Nel 472 a. C., nel teatro di Dioniso<br />

ad Atene, venne rappresentata I Persiani, la tragedia di Eschilo. Gli Ateniesi avevano<br />

appena vinto i Persiani, erano i vincitori sui Persiani e si aspettavano (si aspettavano<br />

guardando quella tragedia, andando a teatro a guardare quella tragedia) di vedere raccontate<br />

le loro sofferenze, la loro fatica per arrivare alla vittoria, i loro lutti, si aspettavano questo, e<br />

invece – a sorpresa – la protagonista, la protagonista della tragedia, era la madre del nemico,<br />

la madre del nemico, e quindi nella tragedia sono rappresentati le fatiche, i lutti, il dolore del<br />

nemico. Erano gli stessi, erano gli stessi, i dolori e i lutti del vinto erano gli stessi del<br />

vincitore. In realtà questo specchiamento gli Ateniesi, questo specchiamento che avviene nel<br />

teatro, perché quando si va a teatro comunque esiste quest’identifi…, come al cinema, esiste<br />

questo specchiamento, quest’identificazione; questo specchiamento avvenne lo stesso<br />

perché comunque il nemico ci assomiglia. Questo è un altro concetto che vi chiedo di<br />

elaborare e che vi presento comunque sempre sotto forma di domanda. Quanto ci assomiglia<br />

il nemico? Quindi questa è un’altra domanda alla quale potete rispondere, cercare di<br />

rispondere, per inserire dei concetti nella vostra scacchiera. Quindi attraverso questa<br />

tragedia dei Persiani, questa tragedia di Eschilo, gli Ateniesi videro l’immagine di sé<br />

nell’immagine dell’altro, quindi nell’immagine del nemico e questo fu un grande<br />

insegnamento. Perciò questo cosa significa? Che interna ai due campi, ai due campi di<br />

battaglia, c’è la stessa lacerazione, no? Quindi che in realtà non … Infatti anche tutta la<br />

letteratura su questo tema documenta – ci dimostra – come per chi ha massacrato è<br />

insopportabile il pensiero, il ricordo, la memoria della vittoria; quindi in realtà non esiste<br />

nessuna vittoria “giusta” – no? – tra virgolette. In uno stato di guerra, in una situazione di<br />

50


guerra c’è anche un mutamento di linguaggio; forse non ci facciamo caso, ma c’è stato<br />

anche adesso, c’è anche in questo periodo, cioè ci sono – come dire? – degli schieramenti<br />

anche di ordine lessicale, per cui si comincia di nuovo in maniera più accentuata a parlare di<br />

noi e gli altri, amico e nemico, civile e barbaro; quindi sono delle coppie di termini che si<br />

usano molto più frequentemente, molto più facilmente, quindi è come se ci fosse uno<br />

schieramento sempre costante anche mentale quando c’è una situazione di guerra. E questo,<br />

di nuovo, può essere interessante perché nel libro d’artista voi potete giocare anche soltanto<br />

su queste coppie di parole per esempio, non necessariamente fare un’elaborazione di<br />

pensierini o scrivere un trattato sulla guerra e poi scomporlo e inserirlo nel libro, potete<br />

anche decidere di giocare su questi schieramenti ripetendoli per esempio, accentuandoli,<br />

dandogli un valore. A quel punto sarà chiaro, evidente, che il vostro libro sarà un libro sugli<br />

schieramenti, sarà un libro sui diversi campi di battaglia, noi/gli altri, gli amici/i nemici, i<br />

barbari/i civili. Quindi questa è un’altra possibilità, potete giocare sulle parole, come si fa<br />

nella poesia visiva. Ovviamente se devo pensare di fare riferimento a un quadro<br />

contemporaneo che rappresenti la guerra, penso a Guernica di Picasso, no? Quindi a<br />

Guernica che fu bombardata dai tedeschi il 26 aprile del ’37. Perché penso a questo quadro?<br />

Perché intanto questo quadro si propone con un taglio particolare. Non so se voi lo<br />

conoscete. Guernica di Picasso.<br />

- MF – Io non ne ho parlato direttamente, però sul libro ce l’hanno di sicuro.<br />

- EM – Ce l’avete, poi lo andate a vedere.<br />

- MF – Ma lo avrebbero anche già dovuto studiare.<br />

- EM – Questo taglio particolare (che comunque si rifà anche alla sequenza cinematografica)<br />

si rifà comunque ai mezzi di comu…, e anche l’utilizzo del bianco e nero, si rifà comunque<br />

ai mezzi di comunicazione – no? – di massa, non alla storia della pittura. E tutti i personaggi<br />

che ci sono sono dei personaggi simbolici di quello che accade in ogni schieramento, quindi<br />

quello che accade a tutti gli uomini da qualunque parte siano in una situazione di guerra,<br />

cioè quello che accade ai civili, quello che accade alle donne, c’è l’urlo, agli animali. Quindi<br />

questo è anche il punto di vista dal quale guardare la guerra, anche questa ultima; quindi<br />

direi che ci sono molte voci in ambito giornalistico e non solo, anche nell’ambito di chi ha<br />

un preciso impegno, come penso all’associazione Emergency, e ci raccontano cosa accade ai<br />

civili, cosa accade ai civili e cosa è accaduto ai civili a New York e cosa accade ai civili in<br />

Afghanistan e quindi qual è la conseguenza, qual è il carico di dolore che ogni conflitto<br />

porta con sé. Quindi questi sono un po’ i temi sui quali riflettere, no? Quanto al gioco degli<br />

scacchi, se voi poi volete relazionare più strettamente queste tematiche al gioco in sé, il<br />

gioco degli scacchi, ora per chi conosce …, riassumo un po’, per chi conosce le mosse sono<br />

cose note, però per chi non le conosce… Allora, innanzitutto quali sono i personaggi di<br />

questi due schieramenti bianchi e neri? I personaggi di questi due schieramenti sono i pedoni<br />

che occupano la prima fila, la fila davanti ai pezzi più importanti. I pedoni, che sono la<br />

fanteria – diciamo, i pedoni sono gli unici che non possono mai tornare indietro, quindi i<br />

pedoni, poi vedremo successivamente come si muovono, possono muovere di due caselle<br />

solo la prima volta, poi muovono di una e mangiano in obliquo e il pedone però non può<br />

mai tornare indietro, può cercare di vincere, cioè può cercare di raggiungere la postazione<br />

nemica, di andare a dama, cioè di trasformarsi in un altro pezzo che lui voglia, però non può<br />

mai tornare indietro; questo è di nuovo molto metaforico e significativo di quello che è –<br />

diciamo – il grosso dell’esercito, il grosso dell’esercito è mandato allo sbaraglio, il grosso<br />

dell’esercito non si può difendere. Ci sono delle posizioni più importanti all’interno<br />

dell’esercito che invece hanno il diritto anche di tornare indietro e di cercare una posizione<br />

difensiva, però quello è invece la situazione di maggiore rischio. Il re: il re rappresenta il<br />

potere assoluto, quindi il re si muove e deve costantemente essere difeso dagli altri pezzi;<br />

difficile che si muova il re in apertura; il re si mantiene sempre in una posizione difensiva, lo<br />

si muove in casi estremi, lo si muove quando è minacciato, quindi tutti gli altri personaggi<br />

51


concorrono a costruire un sistema difensivo intorno al re. Si può muovere in tutte le<br />

direzioni, avanti e indietro ma di una sola casella; l’unica occasione nella quale il re si<br />

muove di due caselle è l’arrocco, cioè quando si scambia posto con la torre. La regina:<br />

invece la regina si muove come vuole, ha molta più libertà di movimento, è un pezzo molto<br />

forte, molto potente, molto importante, però – certo – non può sostituire il re in nessuna<br />

circostanza; se l’avversario ti uccide la regina il regno continua ad andare avanti, però se<br />

l’avversario minaccia irrimediabilmente il re la partita è persa. Gli alfieri si dividono la<br />

scacchiera a metà, cioè ciascuno difende una metà della scacchiera e si muovono in<br />

diagonale, quindi capite che il loro ruolo è proprio quello di creare una linea importante di<br />

attacco o di difesa nei confronti del re. I cavalli sono i pezzi dal movimento più<br />

imprevedibile perché si muovono a elle esattamente, quindi due caselle più una laterale e<br />

perciò sono quelli che possono irrompere nelle file nemiche, infatti si cerca sempre di tenerli<br />

sotto controllo; cioè la strategia di un giocatore di scacchi deve essere sempre di grande<br />

attenzione nei confronti del movimento del cavallo dell’avversario, perché bisogna cercare<br />

di tenere distante il cavallo dell’avversario, perché il cavallo può irrompere anche nelle<br />

postazioni principali in maniera abbastanza inaspettata e quindi questo è un aspetto molto<br />

importante. Le torri: le torri stabiliscono i confini. Le torri si muovono di quante caselle<br />

vogliono, avanti e indietro ma non in diagonale, e in pratica determinano sempre quelli che<br />

sono i confini in qualche modo, la struttura del campo di battaglia. Quindi è una metafora<br />

molto scoperta, una simulazione proprio di un possibile conflitto fra due schieramenti, anche<br />

di quelli che sono i diversi ruoli, le diverse posizioni, la diversa importanza, il rischio.<br />

Anche la terminologia degli scacchi è una terminologia che si relaziona per esempio a<br />

questa situazione della guerra. Per esempio (vediamo se li ritrovo) [si sente il rumore di chi<br />

sta sfogliando delle pagine] …, intanto ovviamente c’è l’attacco, quindi si [Il nastro, dal<br />

lato A, termina a questo punto].<br />

[…] come appunto a questo tavolo da gioco; noi abbiamo lavorato solo sul tavolo perché in<br />

realtà poi è una cosa in più questa se a voi piace farla di ragionare un po’ sul gioco degli<br />

scacchi e magari di giocare anche la prossima volta. Però in realtà il tavolo, la cosa<br />

importante era il tavolo, perché il tavolo delimita, come dicevano i surrealisti, uno spazio<br />

altro; c’è quindi uno spazio che ha dei suoi confini precisi, ha una sua realtà, ma sul quale<br />

avviene una simulazione, quindi avviene qualcosa di simile alla realtà con delle regole ma<br />

che non è reale, quindi è un’altra realtà, un’altra realtà che può essere assunta anche come<br />

ritualizzazione della guerra, quindi come una sorta di rituale, una sorta di possibilità di<br />

trasformazione del concetto di guerra in uno scontro simulato. Allora io direi che potreste<br />

adesso cominciare, un po’ divisi nei gruppi soliti, magari lei [Franca Zarcone], se vuole<br />

darvi qualche indicazione su come inserire queste cose, potreste fare delle frasi (su questi<br />

concetti che io vi ho dato oggi) non troppo lunghe, oppure giocare su delle parole chiave,<br />

può essere anche questo: individuare (su tutto questo discorso che io vi ho fatto e su quello<br />

che voi pensate rispetto alla tematica della guerra) una serie di parole chiave che possono<br />

essere inserite nella scacchiera; quindi potete decidere che ci sono delle frasi che hanno una<br />

successione e che quindi lavorate su un concetto e la scacchiera deve esprimere questo<br />

concetto, oppure decidere che lavorate su delle parole chiave o decidere per esempio di<br />

sviluppare in maniera più approfondita – non so – questo confronto tra il comportamento<br />

aggressivo degli animali di cui ho parlato all’inizio e il comportamento aggressivo degli<br />

uomini e quindi allontanarvi solo apparentemente dal concetto di guerra o da questa guerra,<br />

ma invece essere più vicini al concetto di aggressività e di paura, oppure giocare sulle<br />

definizioni: allora definiamo la guerra, definiamo lo stato di pace e lo stato di guerra,<br />

cerchiamo di definirlo, definiamo la paura, definiamo lo scontro, il conflitto; quindi si può<br />

lavorare in molti modi, l’importante è che si rispetti una sequenzialità, comunque la<br />

sfogliabilità, comunque devono essere concetti che hanno un legame fra loro, come nel<br />

52


libro, e quindi possono essere seguiti secondo una successione, questo è valido anche per le<br />

parole. Va bene.<br />

- FZ – Penso che dovranno<br />

- EM – [Continuando la frase appena abbozzata da Franca] dividersi in gruppi e lavorare su<br />

questi temi. Allora …<br />

[Si provvede all’organizzazione dei gruppi. La registrazione termina qui].<br />

Un momento di vita di gruppo.<br />

53


54<br />

SOTTOLINEATURE<br />

EMILIA MARASCO<br />

1. Quell’arte che crea oggetti secondo canoni definiti pretende di rivelare cose risapute.<br />

2. Per molti movimenti artistici contemporanei conta, molto più della meta, il percorso creativo<br />

intrapreso.<br />

3. Il gioco è una componente essenziale dell’arte.<br />

4. Il libro simboleggia cose molto importanti per la cultura occidentale ed emana un indubbio<br />

fascino.<br />

5. Il libro d’artista è il campo d’intervento dell’autore sul concetto di libro. I volumi rari e<br />

pregiati, ricchi d’illustrazioni, sono detti libri artistici (non d’artista).<br />

6. Giocare con il caso è affascinante.<br />

7. Le città sono simbolo del sistema di vita d’un popolo. La loro distruzione da parte del<br />

nemico indica la volontà di dominio del vincitore.<br />

8. La pace prodotta dalla paura non è destinata a durare a lungo.<br />

9. Ogni guerra tenta invano di giustificarsi accampando il diritto alla difesa.<br />

10. Lo scontro armato è uno strumento estremo della plitica.<br />

11. Nei Persiani di Eschilo gli Ateniesi, vincitori, si aspettavano di vedere esaltate le loro<br />

sofferenze e invece assistettero alla narrazione dei lutti del nemico.<br />

12. È molto imbarazzante il ricordo di una vittoria ottenuta tramite un massacro.<br />

13. Anche il linguaggio verbale si adegua al clima di guerra. Aumenta la frequenza dei binomi:<br />

noi/gli altri, amici/nemici, civili/barbari, ecc.<br />

14. Un quadro contemporaneo che rappresenti in maniera emblematica la guerra è Guernica di<br />

Picasso.


55<br />

SE FOSSI UNA RONDINE<br />

Di domani così sono costellate le strade degli scolari.<br />

Come i vetri stagionati delle finestre mostrano i neri punti delle cacche di mosche , così butterata è<br />

la carriera dei bambini a scuola.<br />

Domani, che sembra annunciarsi nevoso, Ernesto, di terza, non andrà al doposcuola. E nemmeno<br />

alla refezione andrà.<br />

Il suo maestro del pomeriggio, quello giovane, dall’aria annoiata, l’ha sospeso per un giorno. L’ha<br />

sospeso, cancellato via, per una giornata intera, dalla storia dei suoi compagni, chiudendogli la porta<br />

in faccia, spedendolo in una dimensione di attesa, di inutilità.<br />

Domani, che sembra annunciarsi nevoso, Ernesto, quello con il ciuffo ed il cerotto sulla fronte, non<br />

farà più versacci a tavola, non bucherà le pagine del quaderno cancellando freneticamente, non<br />

scorazzerà per i corridoi come un cucciolo randagio in cerca di amici.<br />

La giustizia scolastica ha allungato la sua manona severa, matriarcale e saggia. Con l’indice ben<br />

teso ha indicato ad Ernesto la porta d’uscita. L’ha sospinto, leggermente infastidita, verso l’esterno,<br />

verso il mondo. Ha ben altre cose da fare, la scuola, che perdere tempo dietro ad Ernesto! Ha da<br />

somministrare se stessa con cautela, dignità e rigore. Così, quasi fosse un errore che si cancella, ha<br />

risposto alla turbolenze del bambino. Senza bisogno di carabinieri, poiché non siamo più ai tempi di<br />

Pinocchio, senza bidelli!<br />

Ernesto è abituato ad essere sospeso. Conosce la lingua. Con lui basta dire “Domani non farti<br />

vedere, capito?” che subito scatta un meccanismo di difesa. “Domani non farti vedere” vuol dire<br />

che non bisogna dir niente a casa, perché sono sberle. Poi vuol dire che si salterà il pasto e<br />

bisognerà evitare di farsi vedere da gente che si conosce, gente che, magari, pensa che si è marinata<br />

la scuola! Problemi di sopravvivenza.<br />

Che cosa c’entrasse il maestro, in fondo, in quella loro discussione, solo il diavolo lo sa! Erano<br />

cavoli loro, storie che hanno radici altrove, nei tempi e nei luoghi in cui non batte il sole della<br />

scuola.<br />

In quell’aula, mescolati tutti, quelli di prima con quelli di seconda e di terza, una ventina, con un<br />

mucchio di compiti diversi da fare, la ‘questione’ scoppiata non era altro che un rametto di


quell’albero nodoso che cerca acqua sotto le case popolari, per le scale puzzolenti, negli angoli dove<br />

si fuma di nascosto. Che cosa c’entrava quel maestro del doposcuola con una discussione che<br />

bisognava concludere per salvare l’onore?<br />

Il maestro del doposcuola non c’entra niente; non c’è mai entrato.<br />

E’ mal pagato, e neanche tutto l’anno, si sente declassato e umiliato a far quel lavoro lì, di ripiego,<br />

“un lavoro delle balle”, come brontola, mentre si scalda le mani alla stufa a kerosene, in libreria.<br />

Il maestro del doposcuola ha problemi suoi, insoddisfazioni, un’anima lunga che porta in giro senza<br />

prospettive, senza volontà: perché mai dovrebbe entrare nelle beghe dei marmocchi? E poi di<br />

qualcuno deve ben essere la colpa se tutto va a schifìo! Sa bene che c’è sempre un responsabile in<br />

alto ma, di questo passo, si arriva al padreterno e non si risolve nulla. Oggi, ieri, le grane, i casini,<br />

mica li procura il padreterno!<br />

Mica è il ministro che litiga e non vuole fare i compiti, le<br />

parole con la ‘c’, la tabellina del 2 ed il riassunto della poesia!<br />

Nemmeno il provveditore od il sindaco sono responsabili della<br />

questione d’onore tra Ernesto e gli amici dei Rossotti,<br />

questione che da tempo bolle in pentola, blll blll blll, come fa,<br />

in segno di spregio, il più piccolo del clan, scotendo<br />

decisamente le labbra con l’indice! Ed allora gli unici<br />

colpevoli punibili, gli unici su cui si può esercitare autorità,<br />

sempre sacrosanta, gli unici che si possono raddrizzare sono<br />

quelli, con i capelli arruffati, che si rotolano per terra,<br />

avvinghiati, salivanti, concentrati nello sforzo della lotta.<br />

La colpa non è sempre di chi si lascia prendere? Il servo che<br />

salvò il padrone, come racconta Brecht, non fu forse<br />

condannato per tentato omicidio? Ed avevano ragione i<br />

giudici: che senso c’è in un servo che salva il padrone? Perché<br />

mai un maestro di doposcuola dovrebbe partecipare alla vita di<br />

queste cimici da bagno penale? Non c’è motivo, infatti. Ed<br />

allora se quelli litigano, stronfiando come mantici, giusto è<br />

riequilibrare la situazione punendo il vincitore.<br />

Ernesto è stato provocato dagli scalzacani dei Rossotti, che ogni tanto , insieme, si squagliano da<br />

scuola. Si è sentito in diritto di lavare l’insulto e così, pugno dopo pugno, calcio dopo calcio, l’altro<br />

s’è trovato con un taglio sulla fronte, una cosa che lui manco la sentiva, ma che sgocciolava e<br />

sporcava le dita e la maglia blu e creava confusione tra i più piccoli, sovreccitati dal sangue e dalla<br />

lotta. Sarebbe tutto finito lì ed Ernesto, per un po’ l’avrebbero lasciato in pace. Ma s’è messo di<br />

mezzo il maestro, che non può tollerare che i marmocchi si rompano la testa senza il suo permesso<br />

proprio nel momento in cui stava cercando delle parole con il suono ‘c’ per i bambini di prima.<br />

“Domani non farti vedere, capito?”.<br />

“Capito, capito…è sempre la solita storia… Perché mai mandano a fare i maestri delle persone che<br />

non capiscono niente?”. Il pensare di Ernesto si cristallizza nelle rughe sulla fronte. China la testa<br />

come un somaro tra le stanghe. O forse perché la testa è pesante, colma di pensieri, ideazioni,<br />

trabocchetti, confusioni, maestri di doposcuola…<br />

Per questo Ernesto, pur avendo evitato la vendetta dei Rossotti, non è riuscito a scansare il digiuno a<br />

pranzo. Vero è che nell’intervallo, questa mattina, clownando un po’, umiliandosi molto, è riuscito<br />

a racimolare piccole porzioni di merende altrui ma, santiddio!, fa freddo, nevica e oggi non<br />

cucinavano i tortelli col sugo?<br />

Salata è la neve, quando si è soli. I fiocchi paiono pugni che cercano di colpirti, e tu li guardi, li<br />

osservi, ti schermi gli occhi con le mani ma loro, mannaggia a loro!, penetrano lo stesso negli occhi,<br />

riempiono il vuoto tra ciglia e ciglia, si sciolgono, colano sulle guance come se una magica sorgente<br />

zampillasse in quel momento dai fastidi del bambino.<br />

56


Domineddio l’aveva detto che sua madre avrebbe dovuto patire tanto, già nel metterlo al mondo, ma<br />

il domineddio sbadato s’è dimenticato di aggiungere che anche essere bambini è doloroso. Essere<br />

Ernesto è faticosamente difficile.<br />

Dove andare?<br />

In quale posto c’è un senso, c’è un riparo? E, come si racconta che l’assassino torni sempre sul<br />

luogo del misfatto, così Ernesto vagola nei dintorni della scuola. La corteggia, non troppo da<br />

lontano. Facendo magari finta di nulla. Avanti e indietro. Tirando palle di neve. Indietro e avanti.<br />

Rimettendo i piedi nelle orme di prima. Fuori dal cancello, già bianco e vecchio per i fiocchi, quasi<br />

un cagnastro randagio che cerchi gli ossi nel pattume. Di questa sua via crucis restano i segni. Neve<br />

sporca e scavata. Capricci formali sul candore uniforme. Rabbie fredde.<br />

“Se io fossi una rondine mica me ne starei qui. Volerei giù, dove fa caldo, dove c’è il mare e la<br />

spiaggia, ma che sia lunga, lunga che non si veda la fine e le conchiglie…”. E la rondine pare uscire<br />

dall’occhio destro, quello che lacrima meno, e diritta involarsi verso il sud per portare il segno del<br />

desiderio infantile, la speranza, che la neve copre ma non uccide. E’ un puntolino nero, la rondine,<br />

nel cotone del cielo. Anche i bimbi del doposcuola sembrano aver notato qualcosa di strano. Eccoli<br />

alla finestra, con i nasi schiacciati contro i vetri, e sembrano maialini. Eccoli i ‘10 palle cento lire’,<br />

attenti, insensibili agli scrolloni del maestro. Guardano Ernesto che passeggia sotto le loro finestre<br />

e, forse, nel contempo, seguono il volo della rondine, dentro a quella massa di nuvole poltigliose. Se<br />

avessero saputo le avrebbero affidato una bandiera da portare con sé stretta nel becco, se avessero<br />

saputo che l’Ernesto era il papà d’una rondine d’inverno… Ma intanto il tempo passa. Il maestro<br />

consulta l’orologio. Fra poco scaricherà la ciurma in palestra, che si sfoghino!<br />

Peccato!<br />

Non possono vedere, tutti, gli innocenti ed i cinici, il ritorno trionfale della rondine. Lentamente,<br />

infatti, come una nave ammiraglia, con la prua del becco che taglia il grigio, eccola che arriva, ma,<br />

attaccata, sorpresa delle sorprese!, porta una lunga spiaggia di sabbia finissima e non inquinata, con<br />

noci di cocco sparse un po’ qua e un po’ là, una lunga spiaggia morbida come il pelo di un<br />

coniglietto, che è tenero e dolce passarci sopra la guancia ed è tenero e dolce correre scalzi su<br />

questa sabbia che non punge, non sospende, non tira pugni di nascosto, non ti fa riassumere “con<br />

parole tue” il “settembre, andiamo! È tempo di migrare”… E pensare che l’hanno sospeso dal<br />

doposcuola l’Ernesto! E gli hanno fatto saltare il pranzo! All’Ernesto, che è così in gamba, che ti<br />

spedisce le rondini a procurare un parco-giochi favoloso, senza l’ombra di monitrici, custodi,<br />

maestre, bagnini, senza l’ombra di mutandoni neri ammucchiati nel capanno sul bordo della<br />

spiaggia…<br />

Questo, però, è un altro ricordo, un altro film.<br />

Sulla spiaggia della rondine di Ernesto, innocente come un disegno di quattro anni, non sta scritto<br />

COLONIE INAM, non è Chiavari, quel posto lì. Quel posto lì è qui, vicino alla scuola, e si culla<br />

dolcemente sulle orme delle scarpe di Ernesto, rimane ancorato alle dita arrossate dal freddo del<br />

bambino. Invia, nella sua infinita magnanimità, un olezzo, un profumo, giù, nella palestra, affinché<br />

lo sentano i forzati della cagnara, lo annusino respingendo il moccio, si sentano pizzicare, in questo<br />

mese di gennaio che non si è ancora superata la collina dell’inverno, che si è ancora nel bagnato,<br />

avvolti in sciarpe, impotenti.<br />

Sulla spiaggia di Ernesto anche i Rossotti potrebbero giocare. Non ci sarebbero problemi di<br />

territorio. Non ci sono cartelli. Non ce ne sono da nessuna parte. Mica è Chiavari qui! Non c’è<br />

bisogno del treno per arrivare alla spiaggia del desiderio. Fu il maestro dal cappello di lana rossa,<br />

quello della bici e del Bakunin, che, bambino, fu obbligato a prendere il treno per la Liguria. E’ lui<br />

che ha incubi di spiagge con mucchi di mutandone nere, senza elastico, che il più forte pigliava la<br />

sua misura e gli altri si arrangiavano, è lui che ricorda giornate trascorse tenendosi su mutande che<br />

inesorabilmente, come la ghigliottina, calavano mostrando natiche magre, bianche, parti dove “non<br />

57


atte mai il sole, neh?”. Ora il maestro ha la sua età, che se ne fa di essere abbronzato? E’ passato il<br />

tempo delle colonie estive, dopo la guerra, la trasferta igienica per riempirti i polmoni di iodio, è<br />

trascorso, trascinato via dall’ultima risacca, il tempo delle mutande a ghigliottina, dei castelli di<br />

sabbia che la furia dei piedi distruggeva, delle cosiddette passeggiate in divisa, con il berrettino<br />

bianco, mentre le maestre si concedevano una sigaretta, un’aranciata da bottigliette panciute.<br />

Ora è il tempo di questi protagonisti qui. E’ il tempo della loro rabbia, dei loro segni di talpa lasciati<br />

nella neve.<br />

Quando il grigio del giorno sta in bilico per cadere sul nero della sera, verso le quattro, arriva,<br />

slittando un poco, lo scuolabus, con i fari accesi che allungano ombre. Dalla scuola svalangano gli<br />

altri. Tutti eguali e diversi. Prima di salire sul pulman lanciano la rituale palla ghiacciata in testa al<br />

più timido che, forse, un giorno o l’altro manderà suo padre a parlare con il maestro e poi anche<br />

Ernesto si confonde con il gruppo. Anche lui, ora, è uno ‘normale’. Anche lui, ora, può mostrarsi a<br />

tutti. Arriverà a casa. Mangerà pane e salame e a cena chiederà doppia razione di pasta e fagioli.<br />

Domani si vedrà!<br />

“Forse sarebbe meglio fare pace con i Rossotti. Facciamo l’alleanza e così siamo più forti…”, pensa<br />

l’Ernesto prima di addormentarsi. Al posto delle classiche pecorelle da contare per prendere sonno<br />

sfilano davanti agli occhi a fessura del bimbo le facce degli altri, di quelli con i quali oggi non ha<br />

condiviso storie, di quelli con i quali domani farà un patto… E l’ultimo, chi è? Troppo buio. Non si<br />

vede bene, non si vede…<br />

Buona notte Ernesto.<br />

58<br />

Gianni Milano<br />

“Punta” in alto


MASSIMO SANNELLI<br />

AUX ENFANTS, CON UN’EPIGRAFE E UNA GLOSSA<br />

cette guerre est infinie dans le nombre<br />

des autres guerres, et tout le monde<br />

la connaît. mais le meilleur pain,<br />

quand on le touche, ces lèvres<br />

conservent la saveur du pain,<br />

le bon du pain restera. aux<br />

enfants: l’armonie vient de la fin<br />

de la défense; deuxièmement<br />

aux enfants: le pain est désiré;<br />

la guerre est voisine; et puis<br />

encore: la guerre, c’est la disparition<br />

de la nourriture. Les hirondelles<br />

innocents continuent dans la valeur<br />

d’être animaux: les enfants n’ont pas<br />

d’ailes.<br />

59<br />

Disciplinare la mimica, esibire – fermo<br />

nella sua morte formale – il marchio<br />

dell’antica soggezione, imitare nello stesso<br />

tempo la violenza e il lamento della violenza<br />

subìta. Questo, credo, ho cercato di fare con i<br />

miei versi e questo ha qualcosa a che fare con<br />

l’ebraismo.<br />

Franco Fortini, I cani del Sinai, Einaudi,<br />

Torino 1979, p. 61.


Questa guerra arriva (è infinita) nel / corpo del numero delle altre / guerre, già provate,<br />

e tutto il / mondo la conosce. ma il pane / saporosissimo, a toccarlo, le vostre / labbra –<br />

se sono sensibili – sentono il meglio / del pane, quindi la ricchezza. ai bambini, /<br />

armonia smettendo di difendere / sé con la superbia; ai bambini ancora: / il pane è<br />

desiderato nell’imminenza / della guerra; e questa cosa non porta / seme, i bambini non<br />

volano via.<br />

Questa poesia è stata scritta il primo giorno della seconda guerra contro l’Irak: prima<br />

come impromptu in francese, poi in due stesure italiane, che più tardi si sono<br />

sovrapposte. La traduzione è una rielaborazione, liberissima, a partire da un pre-testo<br />

che a sua volta aveva insieme libertà (l’istinto di ‘dire’) e necessità (è in francese perché<br />

doveva – e perché? – essere in francese; ed è chiaro che si tratta più di un dialetto o di<br />

un petèl che del francese dei francesi).<br />

La poesia è semplice, soprattutto nella prima mossa. Infatti doveva prendere una<br />

posizione pacifista adatta agli allievi della Scuola Media: senza schieramenti e<br />

aiutandoli a puntare l’attenzione sopra la fame di tutti. In maggio Aux enfants è stato il<br />

testo di un’installazione di Francesca Vitale (Roma, Libreria Odradek), intitolata I fiori<br />

blu, che montava, virate al blu, alcune immagini del Ghetto di Varsavia, applicate su<br />

blocchi di gommapiuma dello stesso colore.<br />

L’installazione era accompagnata da un carteggio a tre (Marco Giovenale, Francesca e<br />

io) e da una tazza con molliche di gommapiuma: la simulazione della saveur du pain. Il<br />

doppio testo ora fa parte di un poemetto (Sua biografia) che è entrato nell’Esperienza<br />

(La Finestra, Trento 2003), come ultima sezione. In questo libro, che si basa sulle voci<br />

(propria e degli altri) e sul rapporto tra fissità e moto (“Proprio dell’uomo è il riposo e lo<br />

slancio” ne è l’incipit, di Alessandra Greco), trova la sua collocazione finale. Al termine<br />

(?) della guerra resta la fame: in questo caso un brutto slancio è seguìto da un brutto<br />

riposo.<br />

*<br />

60


61<br />

PUNTASPILLI<br />

1. L’arcivescovo di Genova, Tarcisio Bertone, intervenendo al salone delle tecnologie<br />

didattiche, ha accennato anche alla scuola.<br />

Parla [Bertone] della difficoltà della scuola chiamata a stare al passo con i tempi: . .<br />

BRUNO VIANI, Bertone:, in Il Secolo XIX, Genova, sabato 1 marzo 2003, p. 25.<br />

2. Pierre Rosenberg, già presidente e direttore del Louvre, oggi Accademico di Francia,<br />

intervistato da Mario Marcenaro, accenna brevemente ad alcune necessità didattiche di cui<br />

la scuola non tiene adeguatamente conto.<br />

(MM = Mario Marcenaro; PR = Pierre Rosenberg).<br />

[…].<br />

- MM – Lo [il Louvre, ossia la visita al museo del Louvre] consiglia a giovani e meno<br />

giovani?<br />

- PR – Certo. Come ho detto, tanti meno giovani vanno in massa a vedere solo i<br />

capolavori. L’attenzione deve essere rivolta ai giovani, alla scuola. Le mostre creano<br />

l’avvenimento, ma è il museo che deve insegnare. A scuola si apprende a leggere, ma<br />

non a vedere. Bisogna insegnare ai ragazzi, bisogna incuriosirli, bisogna abituarli a<br />

vedere, a capire quanto ancora nasconde un oggetto, perché ha meritato di essere esposto<br />

in museo, sia esso un quadro, una scultura, un vetro, un oggetto prezioso.<br />

MARIO MARCENARO, Rubens in una Genova d’avanguardia, in Il Secolo XIX, Genova, mercoledì 12 marzo<br />

2003, p. 11.


3. Liliana Cavani, regista della Jenufa di Janacek, attualmente in cartellone al Teatro<br />

dell’Opera Carlo Felice di Genova, ha, per l’occasione, incontrato il pubblico genovese.<br />

Noi, dell’articolo giornalistico, ricopiamo di sana pianta solo le ultime righe.<br />

[…]. .<br />

RAFFAELLA GRASSI, La pietà di Liliana, in Il Secolo XIX, Genova, martedì 18 marzo 2003, p. 29.<br />

4. Sabino Acquaviva, rispondendo ad un lettore di “Oggi” mette in campo e sott’accusa – alla<br />

fine dell’articolo – anche la scuola; riportiamo la domanda del lettore per intero e solo<br />

l’ultimo passo della risposta. Il grassetto è un nostro arbitrio.<br />

Legenda: L = Lettore (Franco Botteri, Roma); A = Sabino Acquaviva.<br />

- L – A volte resto stupefatto sentendo le confessioni di un’infinità di italiani che<br />

raccontano la loro vita. Mi sembra che una volta la gente fosse più riservata. Certe cose<br />

molto private, che oggi si descrivono in video a milioni di telespettatori, un tempo si<br />

raccontavano, al massimo, a due o tre amici intimi. Perché oggi il mondo è così diverso?<br />

- A – […].<br />

È facile e forse giusto condannare chi si confessa in pubblico. Ma quali problemi<br />

provocati dalla televisione, dalla radio, dalla scuola, dalla pubblicità, dall’indifferenza<br />

degli altri, da un allucinante conformismo, stanno dietro le confessioni di chi<br />

clamorosamente e drammaticamente rifiuta così la propria solitudine? La visione<br />

mediatica del mondo, incartata nell’ideologia pubblicitaria, ci rende drammaticamente<br />

soli e servi di un conformismo dirompente. Forse bisognerebbe aiutare la gente a<br />

riscoprire se stessa e a non avere bisogno di una imbarazzante esposizione del privato<br />

per dialogare con gli altri.<br />

SABINO ACQUAVIVA, Perché tanta gente si confessa in televisione?, in Oggi, Milano, n° 12, 19 marzo 2003, p.<br />

17.<br />

5. Da un dibattito sulla riforma scolastica varata dalla Moratti, organizzato dal Secolo XIX,<br />

traiamo alcune battute che ci paiono significative.<br />

Legenda: Ri = Giornalista intervistatrice Annalisa Rimassa; Ba = Carla Barzaghi,<br />

direttrice didattica; Bo = Pino Boero, preside della facoltà di Scienze della Formazione.<br />

- Ri – […]. Ma alla fine la scuola italiana se la cava sempre, a dispetto di riformatori e<br />

controriformatori.<br />

- Bo – L’arte di arrangiarsi è dote tipicamente italiana. Le nostre scuole elementari e<br />

materne sono sempre state all’avanguardia, hanno funzionato storicamente bene proprio<br />

sul principio dell’arrangiarsi. […].<br />

[…].<br />

- Ba – […]. C’è stato un disinvestimento ventennale sull’edilizia scolastica. […].<br />

ANNALISA RIMASSA, La scuola che verrà, in Il Secolo XIX, Genova, sabato 22 marzo 2003, p. 29.<br />

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6. A tre lettere sull’argomento scuola, inviate da altrettanti lettori al quotidiano La<br />

Repubblica, Corrado Augias risponde in questo modo.<br />

Queste lettere, così diverse nel tono, sono la dimostrazione che una riforma della scuola fatta<br />

ignorando gli insegnanti o avvilendo la scuola pubblica non vale nemmeno la carta sulla<br />

quale è scritta. Solo rimotivando chi sta in cattedra, facendolo sentire partecipe del progetto,<br />

riducendo al minimo (non è facile, lo so) le inevitabili ingiustizie, mettendo la scuola al<br />

centro dell’attenzione e facendo ogni sforzo economico e non, una riforma può sperare di<br />

funzionare. Niente di tutto questo è stato fatto. Anzi s’è fatto piuttosto il contrario.<br />

[…].<br />

CORRADO AUGIAS, Lettere. L’educazione tra passione e rabbia, in La Repubblica, Roma, venerdì 28 marzo<br />

2003, p. 18.<br />

7. La scuola non ha saputo supplire alla mancanza di penetrazione della musica nelle famiglie.<br />

(Salvatore Sciarrino)<br />

RAI3, I luoghi della vita, domenica 6 aprile 2003, ore 14.52.<br />

8. Il presente passo è stato estratto, con parziale perdita di senso, da un articolo apparso sul<br />

settimanale Gente.<br />

[…].<br />

Il giovane studente deve conoscere presto la disciplina teatrale, la presenza, il consiglio<br />

d’impegno e il concetto di trasmettere qualcosa agli altri attraverso il linguaggio e la<br />

gestualità. L’applauso che appaga e il sorriso dei compagni che ti hanno seguito. Una<br />

disciplina altruistica. Sì, qualche tentativo è stato fatto ma sporadico, individuale: e soltanto<br />

qua e là in qualche scuola più moderna e sensibilizzata verso un problema che invece è<br />

vissuto in maniera ingenua ma convinta nella scuola materna. E in qualche scuola<br />

elementare troviamo, a volte, un’educazione teatrale che però scompare quasi<br />

completamente nella scuola media superiore. In questi ultimi anni in certe città si è<br />

rinnovato il Teatro Comunale per raccogliere le attività dei teatri e con esse le varie scuole,<br />

insieme a piccole associazioni culturali del teatro, che hanno saputo creare contatti con le<br />

scuole superiori con ottimi risultati, sotto un duplice aspetto. Un interesse culturale per<br />

qualche forma artistica, sia come apprendimento alla recitazione sia come mezzo per leggere<br />

un testo e sia come un maggior interesse nell’andare a teatro con i genitori o in gruppo.<br />

[…]<br />

GIOVANNI BOLLEA, Il teatro fa bene ai giovani, in Gente, Milano, 24 aprile 2003, n° 17, p. 131.<br />

63


64<br />

FARFALLE METROPOLITANE<br />

1. Piazza Portello. Mercoledì 9 aprile 2003: sui muri esterni dell’edificio che fu sede del<br />

consolato degli Stati Uniti d’America a Genova mi sono imbattuto in simboli inequivocabili<br />

( impronte di mani impresse sulla vernice rossa) che voglio documentare in questa rubrica.


2. Lunedì 14 aprile 2003 scendendo da De Ferrari lungo Salita del Fondaco, alla mia destra,<br />

sulla parete di Palazzo Ducale, ho letto queste parole scritte in nero e a caratteri cubitali.<br />

C O N D A N N A T I A<br />

T R A S F O R M A R E<br />

L A S E N S I B I L I T À I N V I O L E N Z A<br />

65


66<br />

SCHELETRI NELL’ARMADIO<br />

L U C A F E R R I E R I<br />

La società letteraria rivela in questo caso 1<br />

tutta la sua falsa coscienza che la porta da un lato ad<br />

alimentare il tabù del plagio, dall’altro a fondare sull’imitazione di modelli la regola del successo<br />

letterario. L’educazione al plagio è parte predominante della formazione scolastica, delle carriere<br />

accademiche, delle regole “per” pubblicare un libro.<br />

LUCA FERRIERI, Il lettore a(r)mato. Vademecum di autodifesa, Roma, Millelire, Stampa Alternativa, 1993, p. 13.<br />

La medicalizzazione della società ha prodotto il diffondersi di nuove malattie, molte delle quali<br />

iatrogene: gli ospedali sono fabbriche di malati, così come le carceri di delinquenti, le scuole di neoanalfabeti<br />

e l’industria culturale di non-lettori.<br />

Op. cit., p. 19.<br />

Il maggior pericolo del “classico” 2<br />

, specie se è transitato per le patrie istituzioni scolastiche, è<br />

l’incrostazione accademica, la patina depositata dal commento circolare e ripetuto, la<br />

cristallizzazione autoritaria.<br />

Op. cit., p. 36.<br />

A scuola nessun diritto 3<br />

Lettori non si nasce, si diventa. Ma se anche uno nascesse lettore, la società saprebbe convincerlo a<br />

smettere. Viene questo dubbio, scorrendo i dati di “controproduttività” delle istituzioni della lettura.<br />

1<br />

Il testo, da noi amputato, si riferisce al fenomeno dell’ingaggio sistematico, da parte dell’editoria contemporanea, di<br />

scrittori per conto terzi, i cosiddetti “negri”.<br />

2<br />

Allude agli scrittori definiti tali.<br />

3<br />

È il titolo del paragrafo.


La scuola, per esempio: le statistiche di lettura mostrano una curva discendente inversamente<br />

proporzionale all’età e alla scolarizzazione. Il 70% dei ragazzi legge “almeno un libro”<br />

(extrascolastico) all’anno: una percentuale superiore a quella dei giovani che a loro volta leggono<br />

più degli adulti. Naturalmente, tra questi, i lettori sono in maggioranza tra i diplomati e i laureati;<br />

ma è impressionante, per esempio, scoprire che un quarto dei laureati non legge mai un libro.<br />

Il bilancio/lettura della scuola italiana è decisamente in rosso. Ai risultati non entusiasmanti<br />

conseguiti sul terreno funzionale, di alfabetizzazione e comprensione, si aggiungono quelli ancor<br />

più demoralizzanti che riguardano la passione e il piacere della lettura, a tal punto che gli insegnanti<br />

hanno smesso di pensare che la trasmissione di questo piacere sia un compito che li riguarda. La<br />

pratica scolastica di lettura obbligatoria, decontestualizzata, ridotta a strumento di verifica<br />

linguistica, a esercitazione retorica, a campo di saccheggio, praticata in un regime di confusione, di<br />

indifferenza, di omnisostituibilità dei testi, dei lettori, degli ambienti, ecc. ecc., ha portato al<br />

sistematico abbandono della lettura non appena usciti dalle mura scolastiche. Inoltre l’abitudine alla<br />

lettura sotto tutela, indotta dalla scuola, fa sì che i ragazzi crescano nella convinzione di non saper<br />

leggere senza un aiuto esterno. La delega all’insegnante è alle origini di altre successive: al<br />

recensore, al libraio, al bibliotecario, all’anchorman … Occorre rompere il binomio scuola/lettura<br />

per tornare a fare di quest’ultima una scelta libera; occorre creare territori di lettura descolarizzata<br />

all’interno dell’istituzione scolastica. Leggere sotto il banco: ancora una volta la strategia che<br />

unisce la riscossa antiistituzionale al radicamento nell’istituzione, per farne il luogo di pratiche<br />

alternative calate “in situazione” e non ideologicamente e pregiudizialmente “esterne”, si dimostra<br />

quella potenzialmente più fruttuosa.<br />

Nella scuola infatti sono calpestati alcuni elementari diritti del lettore; se ciò può essere (ma non<br />

sempre) reso necessario dal regime di studio, è un colpevole peccato quello di non diffondere la<br />

consapevolezza dei diritti che, in quanto lettori, spettano e spetteranno agli alunni. È un compito di<br />

educazione civica. Se il primo diritto del lettore è quello di leggere, il secondo è quello di non<br />

leggere (Pennac). Solo ridimensionando il dogma della lettura, che è tale soprattutto per i non<br />

lettori, si può riscoprirla. Questo paradosso andrebbe ricordato a tutti gli educatori.<br />

La scuola considera esauriti i suoi compiti in fatto di lettura con l’insegnamento delle tecniche<br />

fondamentali di decifrazione e di comprensione, e infatti non prevede, dopo la fascia dell’obbligo,<br />

un vero e proprio “curricolo” di lettura, quando invece sarebbe più necessario. L’importanza di<br />

creare, accanto ai necessari momenti di lavoro linguistico sul testo, delle zone (ambientali) e dei<br />

momenti (temporali) di lettura libera e autofinalizzata, non si è fatta ancora strada a sufficienza.<br />

Così la scuola lede sistematicamente un altro fondamentale diritto del lettore: quello di starsene in<br />

pace, dopo la lettura di un testo, ad assaporarne in silenzio il retrogusto, la risonanza. Senza dover<br />

esibire in pubblico spiegazioni, interpretazioni. Senza dover rendere conferenze stampa. Le si<br />

richiede dopo un amore, un trauma, un’avventura? E allora perché uno dovrebbe spiattellare di<br />

fronte a venticinque sconosciuti le sue emozioni di lettura? Il “che cosa hai provato” pubblicamente<br />

domandato dopo la più elevata delle letture si merita l’impronunciabile risposta, che è vera anche<br />

quando è falsa: “Non ho provato nulla, prof”.<br />

Op. cit., pp. 40-43.<br />

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