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3 Mario Fancello Come?<br />

4 Mario Fancello Note informative: Claudio Lugo<br />

6 ------------ -------------- Profilo biografico di Claudio Lugo<br />

7 Claudio Lugo Trascrizione dell’intervento (a c. di M. Fancello)<br />

14 Mario Fancello Sottolineature<br />

15 Claudio Lugo “Poesie d’acqua (e d’aria): letture al saxofono” (1996)<br />

26 Mario Fancello Note informative: Carlo Infante<br />

28 ------------ -------------- Profilo biografico di Carlo Infante<br />

30 Carlo Infante Performing media<br />

34 Ombretta Zallio Teatro e nuovi media<br />

38 Gianni Milano Aprite le finestre: É primavera!<br />

42 Massimo Sannelli Il nuovo<br />

47 ------------ -------------- Puntaspilli (a c. di M. Fancello)<br />

50 ------------ -------------- Democrazia (a c. di M. Fancello)<br />

51 ------------ -------------- Farfalle metropolitane (a c. di M. Fancello)<br />

53 Sanja Ivekovic Nazifa (Casa delle donne 1998-2004)<br />

54 ------------ -------------- Scheletri nell’armadio: Erich Fromm (a c. di M. Fancello)<br />

Cantarena<br />

Anno VII – Numero 26<br />

Giugno 2004<br />

Periodicità trimestrale<br />

Direzione e redazione<br />

Mario Fancello<br />

Silvana Masnata<br />

Rosangela Piccardo<br />

Mirella Tornatore<br />

Realizzazione grafica<br />

Mario Canepa<br />

Mauro Grasso<br />

Rosangela Piccardo<br />

Produzione e distribuzione in proprio<br />

Per contatti ed informazioni<br />

Scuola Media Statale V. Centurione<br />

Salita inferiore Cataldi, 5<br />

16154 Genova<br />

Fax 010 / 6011225<br />

Posta elettronica<br />

vcenturione@tin.it<br />

2<br />

SOMMARIO<br />

In copertina:<br />

SANJA IVEKOVIC, Casa delle donne 1998-2004,<br />

Museo d’Arte Contemporanea di Zagabria –<br />

Rebecca Container Gallery – Pinksummer,<br />

Genova, 17 giugno – 25 luglio 2004<br />

In quarta di copertina:<br />

CLAUDIO LUGO, Campo de gran maduro,<br />

[Schema d’esecuzione]<br />

Le fotografie raffiguranti gli incontri<br />

alla S.M.S. Centurione sono di M. Fancello.<br />

COMUNICATO:<br />

Ringraziamo per la collaborazione<br />

l’A.R.C.I. di Genova.


3<br />

COME?<br />

Più e più volte mi è capitato d’assistere, nella vita delle classi, allo spiacevole fenomeno del capro<br />

espiatorio. Non sarebbe di per sé un fatto molto preoccupante se non nascondesse nel suo seno<br />

radici profonde.<br />

Ho un ricordo ben vivo di “confessioni” private d’allievi che, dopo essere stati da me ripresi con<br />

amarezza per non aver sfruttato nello studio le loro ottime capacità intellettive, mi svelavano di non<br />

volersi porre in cattiva luce dinanzi ai loro compagni e perciò, adeguandosi alla mediocrità<br />

imperante, si rivestivano della pelle d’asino e ragliavano a più non posso dentro il branco.<br />

Arcinoto l’iperpotere ipnotico dell’appartenenza, scandalosa l’opportunistica cecità delle agenzie<br />

educative.<br />

La scuola non è in grado d’intervenire perché si è da tempo autoinvalidata e risulta agli occhi dei<br />

giovani come un re Mida che trasforma in spazzatura tutto ciò che tocca.<br />

Il comportamento appena descritto è però una pallidissima fotocopia del tipo di relazioni che<br />

intercorrono tra gli adulti. Gli spiriti liberi sono costantemente costretti a sottostare a censure e a<br />

bizze imposte dal dominio dell’inettitudine.<br />

È un imperativo etico disattivare, almeno nel mondo scolastico, il circolo vizioso delle illiberalità.<br />

Ma come riuscirci?


Con il contributo della<br />

Provincia di Genova<br />

4<br />

NOTE INFORMATIVE<br />

C L A U D I O L U G O<br />

Sabato 8 marzo 2003, presso l’auditorium della Centurione, il musicista-performer Claudio Lugo ha<br />

offerto agli allievi di III B, III D e III L un breve saggio del suo lavoro d’artista.<br />

Claudio Lugo alla Centurione.


Una delle più coinvolgenti azioni in programma non è stata rappresentata per ragioni “tecniche”.<br />

Essa richiedeva che il sassofono venisse suonato dentro un catino emisferico di diametro ben<br />

preciso, di vetro trasparente e colmo d’acqua. Purtroppo il recipiente, deposto temporaneamente dal<br />

musicista nell’abitacolo della sua automobile, aveva seguito la sorte del veicolo sottratto di nascosto<br />

e in via definitiva al proprietario da alcuni malviventi. Le caratteristiche dell’infelice suppellettile,<br />

tali da non renderla reperibile nei normali empori commerciali, ne hanno impedito una sostituzione<br />

immediata. Ma, anche se mutilo, lo spettacolo ha fornito sicura testimonianza delle intense capacità<br />

comunicative del nostro musicista, tanto che gli alunni presenti lo hanno applaudito a lungo con<br />

ferma convinzione.<br />

Esistono della performance un’audioregistrazione e una ripresa video, effettuata da Gianfranco<br />

Pangrazio. 1<br />

L’evento è parte del progetto didattico Interazioni 2, finanziato quasi totalmente dalla Provincia di<br />

Genova.<br />

Da p. 14 a p. 24 è riportato un documento di Claudio Lugo speditoci per posta elettronica attorno<br />

alla data dell’incontro. La trascrizione delle poesie rispetta l’ordine in cui sono state interpretate,<br />

non quello della corrispondenza telematica. Abbiamo infatti radunato nelle ultime facciate (da p. 20<br />

a p. 24) i componimenti poetici non messi in scena durante l’appuntamento scolastico.<br />

Gianfranco Pangrazio riprende la performance di Claudio Lugo.<br />

1 A Gianfranco Pangrazio devo il suggerimento d’invitare Claudio Lugo alla Centurione.<br />

5


6<br />

PROFILO BIOGRAFICO<br />

C L A U D I O L U G O<br />

Claudio Lugo, compositore, saxofonista, performer, direttore d’ensemble cameristici e di orchestre<br />

di jazz è attivo da venticinque anni nei generi musicali legati alla sperimentazione e alla ricerca.<br />

Ha creato opere strumentali, per il teatro musicale da camera e per la danza.<br />

Diplomatosi in Conservatorio, dal 1980 al 1987 ha studiato composizione con Sylvano Bussotti<br />

presso i corsi della Scuola di Musica di Fiesole.<br />

Insegna saxofono presso il Conservatorio di Alessandria ove dirige l’Orchestra Laboratorio<br />

impegnata nello studio delle partiture atipiche delle avanguardie del secondo dopoguerra (vedi sito<br />

http://www.conservatoriovivaldi.it/orchestralab/h.htm).<br />

E’ stato direttore dell’Orchestra Nazionale di Jazz dell’AMJ dal 1999 al 2001.<br />

Insegna tecniche di improvvisazione per i corsi di musicoterapia dell’APIM.<br />

Tiene un corso di “Teoria e tecnica dell’improvvisazione musicale” presso il DAMS di Imperia<br />

(Università di Genova).<br />

E’ direttore artistico dell’Associazione Dissonanzen di Napoli e direttore musicale dell’Ensemble<br />

Dissonanzen.<br />

E’ fondatore di Impressive Ensemble per il quale ha creato, assieme al fotografo e artista visuale<br />

Roberto Masotti, “Leyendo Jodo” (leggendo Jodorowsky), concerto multimediale basato sui testi<br />

poetici, e sui tarocchi, del “poeta panico”.


Con il contributo della<br />

Provincia di Genova<br />

Legenda<br />

- CL - Caudio Lugo<br />

- RR - Alunni di III B, III D, III L e del videolaboratorio<br />

- GP - Gianfranco Pangrazio<br />

- RP - Rosangela Piccardo<br />

- MF - Mario Fancello<br />

TRASCRIZIONE DELL’INTERVENTO<br />

C L A U D I O L U G O<br />

- CL – Mi hanno invitato per realizzare di fronte a voi quella che si chiama una performance;<br />

non è proprio un concerto, non è proprio un’azione teatrale, è qualcosa che sta a metà ed è<br />

sostanzialmente una lettura di testi poetici di vari autori (che poi vi dirò man mano) che sono<br />

in lingua italiana e anche dialettale, quei dialetti che probabilmente conoscerete, ma<br />

sicuramente non bene, perché sono il milanese e il veneto, e poi un testo in tedesco che<br />

chiaramente cercherò di tradurvi per farvelo capire meglio. Allora, la cosa è particolare; voi<br />

sapete la poesia è sempre stata cantata, detta in vari modi e molto spesso anche<br />

accompagnata da strumenti, da strumenti che poi erano cetre; i cantori declamavano e<br />

cantavano frammenti poetici accompagnandosi con strumenti. Generalmente questi<br />

strumenti erano strumenti che consentivano ovviamente alla bocca di essere libera di<br />

parlare. In questo caso è un pochino più difficile l’esercizio perché io tenterò di leggere<br />

suonando il sassofono. Molti mi hanno chiesto perché lo faccio, perché faccio una cosa così<br />

strana come cercare di dire delle cose con la voce mentre sto suonando uno strumento che<br />

impegna la cavità orale, la bocca, per il fatto che la lingua le labbra sono impegnate e soffio<br />

mentre suono nel sassofono come tutti gli strumenti a fiato. L’unica risposta che ho è che da<br />

ragazzino, quando avevo più o meno la vostra età, prendevo un sacco di scappellotti da mia<br />

madre perché mi diceva: non si parla con la bocca piena. Allora io volevo dimostrare a mia<br />

madre che invece era possibile parlare con la bocca piena. Il primo pezzo che faccio è una<br />

poesia di Aldo Palazzeschi. Forse qualcuno di voi lo ha incontrato nei vostri studi scolastici.<br />

7


È un poeta del Novecento, italiano, e questa poesia particolare, tutte queste poesie hanno<br />

una forte relazione con l’acqua, con il mondo dell’acqua e con il mondo dell’aria. Perché?<br />

Perché lo strumentista che suona lo strumento a fiato usa chiaramente il soffio, che è<br />

qualcosa che ci riguarda per respirare, quindi per vivere e che ci richiama l’aria. Però è<br />

anche vero che ha bisogno dell’umidità. Vedete questo piccolo pezzo di legno, che poi è una<br />

canna particolare si chiama ància, forse lo sapete, e questa può vibrare soltanto se umida,<br />

perché quando è secca suona male; quindi è l’umidità che sta all’interno delle nostre cavità<br />

orali e l’aria che consentono allo strumento di emettere il suono che conosciamo. Questa<br />

prima poesia parte dal mare, s’intitola Mar Grigio. Mar Grigio: Aldo Palazzeschi lo<br />

identifica come un mare che abbiamo dentro di noi. Potrebbe essere – per esempio – il mare<br />

del liquido amniotico, quando siamo nella pancia della mamma siamo in un universo che è<br />

acqueo. O forse è il mare arcaico dal quale usciamo come specie per approdare alla terra. È<br />

comunque un mare che ognuno di noi sente dentro molto profondamente e quindi in qualche<br />

modo rappresenta anche la nostra psiche. È interessante perché alla fine c’è come una specie<br />

di urlo da parte del poeta che dichiara: solo io posso vedere questo mare interno e esprimerlo<br />

attraverso la creatività; quindi c’è anche proprio il manifesto da parte dell’artista che ha una<br />

visione che gli altri non hanno per il proprio spazio interiore e che lo promuove<br />

comunicandolo all’esterno, però lui è stato il primo ad esplorarla e a tentare di conoscerla.<br />

Ci sono un po’ di operazioni tecniche, tecnologiche<br />

- GP – Vi passeremo davanti con la telecamera ogni tanto dove state voi.<br />

Gianfranco Pangrazio videoregistra l’intervento di Claudio Lugo. A sinistra, sul “tavolino”sono visibili alcuni<br />

degli strumenti utilizzati da Claudio per ottenere i suoi caratteristici effetti sonori.<br />

- CL – [Suona e recita]. 1<br />

- RR – [Battono le mani].<br />

- CL – Mar Grigio, Mar Grigio, Mar Grigio. Abbiamo detto: Palazzeschi guarda dentro di sé<br />

e un po’ anche nel nostro immaginario, nel nostro immaginario che si sviluppa come un<br />

1 V. testo poesia a p. 16<br />

8


mare da esplorare e quindi è tutta una poesia rivolta verso l’interno. C’è anche un altro<br />

modo di vivere il mare: questo è un saluto poetico di Biagio Marìn. Biagio Marìn era un<br />

poeta gradese. Grado è in Veneto ed è uno di quei posti del Veneto dove il mare all’interno<br />

poi venendo a contatto con la terra si trasforma in grandi spazi di laguna; quindi non si<br />

capisce dove finisce il delta di un fiume e le campagne e dove inizia il mare. E allora c’è<br />

questo rapporto col mare un po’ particolare. Biagio Marìn fa un’operazione completamente<br />

differente, vorrei dire opposta, quasi perché – è come dire – scioglie completamente la<br />

propria personalità negli elementi naturali che gli stanno intorno e quindi si perde, si perde<br />

completamente nella natura al punto di identificarsi con il mare, con le onde, con il volo<br />

degli uccelli, con i venti che lo circondano. In particolare in questa poesia è rilevato il fatto<br />

che, nel momento che si chiama della controra (cioè quando il sole è allo zenit e in cielo fa<br />

molto caldo, particolarmente negli spazi all’interno della campagna), ci possono essere dei<br />

momenti – come si dice in gergo – di sballo e questo lo sapevano gli antichi; per esempio<br />

per gli antichi il momento in cui era più forte il rapporto con gli eventi magici (per noi è la<br />

mezzanotte, le streghe arrivano a mezzanotte, ma questo è successo nel Medioevo cristiano)<br />

era proprio il mezzogiorno; quando il sole era sopra le nostre teste, l’ombra spariva; l’ombra<br />

è l’anima, è la rappresentazione dell’anima, quindi si perdeva il rapporto con se stessi e con<br />

l’anima e potevano accadere le cose più strane, per esempio di diventare degli uccelli o delle<br />

onde marine. [Suona e interpreta vocalmente la poesia]. 2<br />

- RR – [Applaudono].<br />

- CL – Grazie. E vediamo subito un altro pezzo di Biagio Marin, un’altra poesia, Campo di<br />

grano maturo, che invece ci parla del tema dell’aria e ci parla proprio di quella magia che<br />

l’immersione nella natura [...] ci può addirittura ubriacare. C’è un bellissimo verso che dice:<br />

è una dolcezza molto breve questa di certi momenti che possiamo vivere come un antico<br />

filtro di una maga che disfa la nostra mente, che la sfa; non c’è più la nostra mente che vola<br />

via, vola via insieme al vento. Alla fine di questo pezzo viene richiamato di nuovo il mare<br />

col canto delle sirene e quindi ci sarà un momento – diciamo – più musicale, che in qualche<br />

modo dovrebbe essere la rappresentazione del canto delle sirene. [Suonando recita]. 3<br />

- RR [Applaudono].<br />

- CL – E passiamo al milanese, al milanese Delio Tessa. Il centro storico in questi ultimi anni<br />

ha vissuto questa esperienza di grandi ristrutturazioni che improvvisamente ... La caserma<br />

dei pompieri che stava sul fronte del porto che è stata abbattuta ha liberato lo spazio di<br />

visuale delle case che stavano dietro, ora noi possiamo vedere tutte le case che danno –<br />

diciamo – sul lungoporto, ma in quelle case lì una volta non si vedeva assolutamente il mare<br />

né nulla, si vedevano le mura di questo enorme edificio. Allora, nella ristrutturazione della<br />

Milano degli anni Trenta, che subì un processo di ristrutturazione urbanistica simile un po’<br />

alla Genova di questi ultimi anni, per guadagnare spazio e costruire cose nuove vennero<br />

abbattute delle case e improvvisamente il poeta Delio Tessa si ritrova in una casa al secondo<br />

piano che vedeva soltanto i muri delle finestre di fronte che improvvisamente vede spazi<br />

aperti, improvvisamente luce, improvvisamente aria e quindi canta – diciamo così se<br />

vogliamo – questa gioia improvvisamente ritrovata attraverso questa poesia che si intitola<br />

Finester, Finestre. [Suona e recita contemporaneamente]. 4<br />

- RR – [Applausi e strepiti d’approvazione] Bravooo!<br />

- CL – [...] devo spiegarlo perché adesso non serve più, ma c’erano dei carrettini che<br />

portavano in giro dei pezzi di torba per il riscaldamento – no? – per le stufe a carbone, che<br />

passavano tra le case e annunciavano appunto che erano arrivati. Allora l’ultimo pezzo è<br />

scritto in tedesco ed è di un poeta ecologista che si è occupato assai di problemi legati alla<br />

natura, al rapporto difficile tra la civiltà moderna e la natura, che si chiama Hans Magnus<br />

2 V. testo poesia a p. 17<br />

3 V. testo poesia a p. 18<br />

4 V. testo poesia a p. 19<br />

9


Enzensberger, è ancora vivente e ha scritto un libro, un poema, un poemetto, che si intitola<br />

Capire il Titanic. Ora voi conoscete benissimo la storia anche perché avrete visto il film e<br />

quindi è inutile che ve la racconti. Questo enorme transatlantico, che era proprio il massimo<br />

possibile per quanto riguarda la [...] tecnologica dell’epoca, subì questo incidente<br />

drammatico, si scontrò con un iceberg in una posizione nella quale non doveva esserci e<br />

affondò, affondò con tutto il suo contenuto; il contenuto era tutto ciò che l’uomo fino a quel<br />

momento aveva prodotto, per cui c’erano per esempio dei musicisti che suonavano la musica<br />

– si sa: la musica classica – quando stava affondando, quindi poi anche gli strumenti di<br />

questi musicisti furono trovati. Tutta la tecnologia dell’epoca era presente in questo<br />

transatlantico, ma anche l’arte, parecchi quadri, salotti, arredi meravigliosi, gioielli eccetera<br />

eccetera. Tutto questo per decenni venne poi ritrovato al largo, sui fondali, lasciato appunto<br />

andare da questo enorme involucro che si era spaccato. E allora Enzensberger pensa che<br />

questo simbolicamente è un po’ un segno di allarme da parte del nostro rapporto con la<br />

natura e che tutto questo ciarpame, tutti questi oggetti, rappresentavano quello che noi<br />

stiamo lasciando proprio nelle spiagge; alla fine della stagione estiva si ritrova di tutto e<br />

stiamo lasciando in giro i segni del nostro passaggio che è un passaggio traumatico per<br />

l’ambiente naturale. Allora questo poemetto viene realizzato in varie forme, per esempio c’è<br />

un canto molto interessante che è fatto utilizzando le frasi dei pezzi di musica leggera pop<br />

tedesca degli anni Sessanta, noi li conosciamo, però – per esempio – è stato tradotto<br />

utilizzando dei frammenti tipo Azzurro, (il pomeriggio è tanto azzurro ... ) insomma delle<br />

nostre canzoni degli anni Sessanta famose. In questo caso questo è il momento in cui<br />

affonda, è appena affondato, il transatlantico e lui lo realizza usando (e questo può<br />

interessare i vostri amici che stanno studiando costruzione di video) 5 perché lo realizza<br />

utilizzando un linguaggio che potrebbe essere – lo conferma Gianfranco 6<br />

– quello tecnico di<br />

una sorta di storyboard per fare un documentario sull’affondamento di una nave, tant’è vero<br />

che ci sono proprio delle frasi chiave, dei movimenti macchina, che è descritta per esempio<br />

questa enorme superficie come un modellino, c’è questa nave che viene rappresentata come<br />

se fosse un modellino e poi dice: ci sono tantissimi iceberg di tutti i colori possibili e<br />

musica, perché nei documentari e nei film, quando il regista vuole che entri una colonna<br />

sonora, scrive musica genericamente. C’è il totale, il totale è un termine tecnico per<br />

l’ampliamento del campo della macchina e poi sovrimpressione; sovrimpressione di che<br />

cosa? Di questi battelli di salvataggio (che stanno arrivando da lontano perché in ritardo,<br />

sappiamo che non ce l’hanno fatta a salvare la nave) con questa grande distesa. Poi c’è una<br />

voce fuori campo che dice: il 15 aprile del 1912 era un bellissimo giorno di primavera; per<br />

contrasto, perché era un bellissimo giorno di primavera, però l’alba vide una distesa appunto<br />

di rottami e il disastro avvenuto durante la notte e poi appunto si sente il suono di quelli che<br />

si avvicinano, di questi battelli di salvataggio. La camera – dice – è al livello del pelo<br />

dell’acqua, drammaticamente si vedono appunto le prue di questi battelli che avanzano e poi<br />

una voce fuori campo, quella di uno speaker (quando in un documentario sentiamo una voce<br />

che parla) che dice: sono i primi gabbiani, i primi gabbiani di primavera che vengono dalla<br />

Terra del Fuoco, dalla Terra del fuoco, che sono messaggeri di pace, messaggeri di libertà;<br />

la musica sale e dissolvenza, e alla fine viene letto sul telone (cioè quello della proiezione<br />

cinematografica) che pian piano si oscura sull’immagine – diciamo – che va in dissolvenza<br />

verso il nero, compare una parola: Fine, e questa fine chiaramente è anche la fine del<br />

transatlantico. È interessante perché la presenza umana non esiste in questo momento se non<br />

nei battelli eccetera; gli unici esseri viventi che compaiono in un punto molto particolare di<br />

questo pezzo sono i gabbiani, perché? Perché Enzensberger pensava che noi siamo nella<br />

fine del mondo, cioè stiamo provocando la fine del mondo giorno dopo giorno e che una<br />

volta che abbiamo esaurito di distruggere completamente, di demolire, questo mondo con la<br />

5<br />

Fa riferimento al videolaboratorio. V. N° 23 (settembre ’03) di Cantarena, pp. 29-30.<br />

6<br />

Gianfranco Pangrazio, curatore del videolaboratorio.<br />

10


nostra azione qualche altra specie prenderà il nostro posto e una delle speci che sono votate<br />

a essere [...] ci sono i delfini, ci sono i topi. A Genova naturalmente possiamo conoscere i<br />

topi da vicino, sappiamo che razza forte [essa sia, una razza] che può ambientarsi anche<br />

nelle condizioni peggiori, ma gli ecologisti pensano che anche i gabbiani hanno una chance<br />

per diventare una specie che governerà in qualche modo questo pianeta forse meglio di noi e<br />

quindi con questo pezzo vi saluto. [Suona e recita]. 7<br />

Claudio nell’auditorium della S.M.S. Centurione recita poesie mentre suona il sassofono.<br />

- RR – [Applaudono perché credono che abbia terminato il pezzo].<br />

- CL – [Prosegue nella performance senza interrompersi e facendo finta di nulla].<br />

- RR – [Al termine effettivo tornano a battere le mani].<br />

- CL – Grazie.<br />

- RR – [Chiacchierano].<br />

- RP – É faticoso fare questo tipo di performance?<br />

- CL – E sì, perché – diciamo – all’impegno che c’è normalmente a suonare lo strumento a<br />

fiato si somma l’impegno che può avere un attore, qualcuno che usa anche la voce, quindi<br />

bisogna studiare bene i ritmi dei respiri e l’uso del respiro che tra l’altro è una cosa che – voi<br />

come sapete – è molto difficile che la impariamo a usare perché la scuola non ce la insegna,<br />

però imparare a respirare bene anche per parlare meglio è una cosa che dovremmo fare tutti.<br />

In questo caso è assolutamente necessario.<br />

- RR [Applaudono].<br />

- MF – Nell’ambito delle classificazioni tu sei presentato sempre come musicista, a me<br />

piacerebbe presentarti in altro modo. Non lo so, performer ti andrebbe bene?<br />

- CL – Io l’ho detto.<br />

- MF – Oppure poeta?<br />

7 V. testo poesia a p. 20.<br />

11


- CL – No, assolutamente<br />

no. Sono un musicista nel<br />

senso che poi sono un<br />

insegnante, insegno<br />

sassofono in<br />

Conservatorio. Non è che<br />

ai miei allievi insegni a<br />

fare così, eh. Insegno a<br />

suonare il sassofono in<br />

modo tradizionale, poi fa<br />

come vuole, a trovare delle<br />

modalità ad emettere suoni<br />

completamente differenti<br />

lo può fare. Io nasco come<br />

musicista, proprio – no? –<br />

come musicista. Io leggo<br />

molto più volentieri – è<br />

strano ma è così – fin da<br />

ragazzino la poesia di<br />

quanto per esempio non i<br />

romanzi. Mi piace<br />

moltissimo la poesia<br />

moderna e quindi sono un<br />

appassionato soprattutto di<br />

poesia italiana del<br />

Novecento e questa è stata<br />

l’occasione di unire due<br />

sfere di interesse che<br />

potevano essere anche<br />

Claudio mentre suona un altro suo strumento<br />

molto lontane, quella di<br />

suonare il sassofono e<br />

-<br />

leggere poesia. Ho un po’ forzato a unire le due cose; è chiaro che l’intersecazione del suono<br />

della voce a quello dello strumento produce degli effetti, produce dei suoni che non avrei<br />

mai provato se non avessi mai utilizzato questi testi, un po’ perché l’immaginazione è<br />

partita, cioè nel senso in cui leggevo queste poesie immaginavo dei suoni,<br />

RP – Ah, ecco, sì.<br />

- CL – tant’è vero che [mostra agli allievi una sua trascrizione musicale] (potete vederlo<br />

questo, tra l’altro lo lascio in dono alla scuola) tutto questo lavoro non è scritto su un<br />

pentagramma in modo tradizionale ma è la fotocopia della pagina del libro sul quale ho<br />

trovato le pagine, e il testo stampato è circondato da segni, come una nugola di segni che ho<br />

scritto, molti dei quali comprensibili solo da me – devo dire – e però questo significa proprio<br />

che il suono dello strumento è come un’emanazione, è come una risonanza del momento in<br />

cui leggo la poesia non dicendola con la voce ma la leggo col pensiero; nel momento in cui<br />

noi leggiamo poesia facciamo un’operazione molto particolare perché leggiamo qualche<br />

cosa che è fortemente legata alla musica, al livello del suono, però la leggiamo senza suono,<br />

allora si sprigiona tutta una nugola di suoni immaginari che io ho scritto e che cerco di<br />

riprodurre tutte le volte che lo faccio. Direi che performer in questo caso va bene perché è<br />

un microspettacolo che unisce il suono alla parola.<br />

[Concludiamo la trascrizione a pochi centimetri dall’esaurimento del nastro. Nella pagina<br />

successiva si trovano le richieste riguardanti la predisposizione dell’auditorium].<br />

12


Esigenze tecniche:<br />

Claudio Lugo<br />

“Poesie d’acqua (e d’aria): letture al saxofono”<br />

Sax, voce, live electronics: Claudio Lugo<br />

Il performer utilizza le seguenti apparecchiature personali:<br />

- mixer “Soundcraft Folio”, entrate a jack – non bilanciate<br />

- processori di suono ed effetti, con pedaliere per il controllo in tempo reale<br />

- microfoni e sistema di cuffie<br />

Si richiede all’organizzazione:<br />

- luci (4 spot o sagomatori) per il performer (postazione fissa).<br />

- n° 4 sistemi di speakers con piantane (o sospesi) di ottima qualità audio e di potenza adeguata alle<br />

dimensioni dell’ambiente<br />

- cablaggio che consenta la disposizione delle casse attorno all’uditorio con stereofonia incrociata e<br />

mixer sistemato sul palco di fianco al performer<br />

- ciabatta di corrente sul palco con n° 8 entrate<br />

- n° 2 aste microfoniche a giraffa<br />

- n°2 tavolini per appoggio apparecchiature con tovaglie nere di scena, h. 70/75 cm.<br />

- uno sgabello regolabile tipo batteria o tastiere<br />

- una insalatiera tonda di vetro (o plastica) bianca trasparente min. cm.40 di diametro / 25 cm<br />

altezza<br />

- un leggio con luce<br />

E’ inoltre necessario distribuire al pubblico copia dei testi (con traduzione per le poesie in dialetto e<br />

in lingua straniera).<br />

La matrice per le fotocopie verrà fornita dall’artista.<br />

L’illuminazione della sala dovrà, per chi lo desiderasse, consentire la lettura durante la performance<br />

(1/2 luci).<br />

Si richiede la disponibilità dello spazio, con la fonica montata, e cablata, per 2 ore di prove<br />

acustiche.<br />

La performance ha la durata di 50’ circa<br />

Per dettagli contattare: Claudio Lugo, tel/fax 010 2469892 - e-mail astenor@iol.it<br />

13


14<br />

SOTTOLINEATURE<br />

CLAUDIO L U G O<br />

1. Le poesie scelte per la performance parlano d’aria e d’acqua perché il sassofono è uno<br />

strumento a fiato.<br />

2. L’immaginario è come un mare da esplorare.<br />

3. L’immersione nella natura può ubriacare.<br />

4. A mezzogiorno l’ombra sparisce e con essa si dilegua la rappresentazione dell’anima.<br />

5. “Nasco come musicista e sono appassionato di poesia italiana del Novecento”.<br />

6. L’abbinamento di suono e recitazione comporta un saldo controllo del ritmo di respirazione.<br />

7. Il suono dello strumento traduce la risonanza nata durante la lettura della poesia.<br />

Gli allievi di III B, III D E III L assistono alla performance di Claudio Lugo.


“Poesie d’acqua (e d’aria): letture al saxofono” (1996)<br />

(Intavolature per saxofono contralto e suoni orali dell’esecutore)<br />

Testi di Aldo Palazzeschi, Biagio Marin, Delio Tessa, Hans Magnus Enzensberger, Sandro Penna<br />

15<br />

Saxofono, voce, live electronics: Claudio Lugo<br />

Il saxofono è strumento endoscopico.<br />

Unico ad essere così decisamente invasivo del cavo orale dello strumentista (meno il clarinetto,<br />

marginalmente le ance doppie, del tutto esteriori gli ottoni), esplora le risonanze di tutte le cavità<br />

interne, amplificandole in virtù delle sue forme megafoniche.<br />

Il tubo di ottone è in realtà solo la parte visibile dello strumento completo, che si realizza<br />

pienamente nell'innesto fusionale tra organico e inorganico.<br />

Per questo è così mutevole nel timbro (pur essendo perentoriamente riconoscibile), per ciò cambia<br />

sensibilmente carattere da saxofonista a saxofonista, ed è frequentemente paragonato alla voce<br />

umana.<br />

Da anni vado esplorando questa relazione fonica esterno/interno, aiutato dalla<br />

microfonia/microscopia che consente di amplificare e rendere udibili tutti i più minuscoli eventi<br />

sonori che si producono sul limite che separa/unisce il corpo dallo strumento, il suono organico da<br />

quello inorganico, l'umidità acquea dall'aria del fiato vitale.


Aldo Palazzeschi<br />

“Mar Grigio”<br />

Io guardo estasiato tal mare:<br />

immobile mare uguale.<br />

Non onda,<br />

non soffio che l’acqua ne increspi,<br />

non aura vi spira.<br />

Di sopra lo copre un ciel grigio<br />

bassissimo, intenso, perenne.<br />

Io guardo estasiato tal mare.<br />

Non nave, non vela, non ala,<br />

soltanto egli sembra<br />

un’immensa lamiera d’argento brunastro.<br />

Su desso<br />

velato si mostra ogni astro.<br />

Il sole si mette una benda di lutto,<br />

la luna un vel grigio,<br />

le innumeri stelle lo guardano<br />

tenendo un pochino socchiuso<br />

il lor occhio vivace.<br />

Io guardo estasiato tal mare.<br />

Ma quale fu l’acqua ed empirlo?<br />

Dai monti ruinò?<br />

Sgorgò dalla terra?<br />

Dal cielo vi cadde?<br />

O cadde piuttosto dagli occhi del mondo?<br />

Mar grigio,<br />

siccome una lastra d’argento brunastro,<br />

immobile e solo,<br />

uguale,<br />

ti guardo estasiato.<br />

- Ma c’è questo mare? Ma c’è?<br />

- Sicuro che c’è!<br />

Io solo lo vedo,<br />

io solo mi posso indugiare a guardarlo,<br />

tessuta ho la vela io stesso:<br />

la prima a solcarlo.<br />

16


Biagio Marin<br />

“L’ora granda”<br />

Xe ferme l’acque che le par speciera:<br />

drento le ha ‘l siel co’ garghe nuvoleta:<br />

là sui árzini alti fa l’erbeta<br />

che ‘l silensio valisa a so maniera.<br />

Lontan, de là de le marine e i dossi,<br />

un respirâ del mar solene e largo;<br />

un svolo a l’orizonte, a mar, de ciossi<br />

e più lontan un bastimento cargo.<br />

El sol va in alto: l’aqua xe un brilante<br />

co’ foghi virdi e sangue de rubini,<br />

e svola in sielo l’ordola a scalini<br />

per di ‘l so ben al dolse amor distante.<br />

‘Desso ‘l silenzio drento l’aria trema<br />

e la zoghia fa môve i fili d’erba:<br />

adesso la mantina xe superba<br />

de la luse che duta la diadema.<br />

E me son l’acqua che fa specio terso<br />

e l’ordola che canta ‘l sovo ben,<br />

e me son l’aria e son el canto perso<br />

17<br />

che fa tremâ fin l’erba sul teren.<br />

“L’ora grande”<br />

Le acque sono ferme che sembrano una<br />

specchiera: dentro hanno il cielo<br />

con qualche nuvoletta:<br />

là sugli argini alti cresce l’erbetta<br />

che il silenzio accarezza alla sua maniera.<br />

Lontano, di là delle marine e dai banchi di<br />

sabbia,<br />

un respirare del mare solenne e largo;<br />

un volo all’orizzonte, sul mare, di chiozzi<br />

e più lontano un bastimento carico.<br />

Il sole va in alto: l’acqua è un brillante<br />

coi fuochi verdi e sangue di rubini,<br />

e vola in cielo l’allodola a balzi<br />

per dire il suo bene al dolce amore distante.<br />

Adesso il silenzio dentro l’aria trema<br />

e la gioia fa muovere i fili d’erba:<br />

adesso la mattina è superba<br />

della luce che tutta la diadema.<br />

E io sono l’acqua che fa specchio terso<br />

e l’allodola che canta il suo bene,<br />

e io sono l’aria e sono il canto perso<br />

che fa tremare persino l’erba sul terreno.


Biagio Marin<br />

“Canpo de gran maduro”<br />

Canpo de gran maduro, rosso rame,<br />

che piega soto l’ maëstral su l’ora<br />

del coldo e de la luse duta in fiame,<br />

quando la tera adora;<br />

favo de miel che cola<br />

una dolsessa breve che ’nbriaga,<br />

comò l’antico filtro d’una maga<br />

che disfa la to mente che la svola;<br />

cussí gera l’istàe ne le gno vene,<br />

soto d’un siel biavo alto alto<br />

e le montagne in giro in gran risalto<br />

e in mar el canto fermo de sirene.<br />

18<br />

“Campo di grano maturo”<br />

Campo di grano maturo, rosso rame,<br />

che si piega sotto il maestrale sull’ora<br />

della calura e della luce tutta fiamme,<br />

quando la terra adora;<br />

favo di miele che cola<br />

una dolcezza breve che ubriaca,<br />

come l’antico filtro di una maga<br />

che sfa la tua mente che vola;<br />

così era l’estate nelle mie vene,<br />

sotto un cielo azzurro alto alto<br />

e le montagne in giro in gran risalto<br />

e in mare il canto fermo di sirene


Delio Tessa<br />

“Finester”<br />

…dalla sferla<br />

de duu mur che se derva<br />

giò fina al marciapè,<br />

al de là de quell spiazz<br />

voeuj… gh’è<br />

di piantann… di sganzerla<br />

de cà!<br />

…finester di Trii Albergh!<br />

De dopo ch’àn traa giò<br />

El vinticinq(u), el quatter,<br />

el ses, el vintitrii…<br />

…guarden in Carl Albert…<br />

…Finester… com’hin?<br />

…mah! …per ari… su! …<br />

Saraa dent da tant ann<br />

In sti vij, a dò spann,<br />

semper lì… qui grondànn…<br />

…qui poggioeu<br />

della mura de faccia;<br />

fra qui dò feradinn…<br />

…i pattej di fioeu…<br />

…el fregon della polver…<br />

sotta a sti gerosij,<br />

per sti vij dent e foeura<br />

(te regordet l’inverna?…)<br />

Passava…<br />

(te regordet?) “…a ruut<br />

e ruut…” …l’omm di robioeul!<br />

Ooh! Come el cantava<br />

negher! “…a ruut… e ruut…<br />

bej robioeul!…”<br />

I finester adess<br />

fiaden!<br />

Al sô<br />

…Avert<br />

fan ona roba sola<br />

i finester coi nivol,<br />

coll’aria<br />

libera…<br />

…ciel…<br />

…ciel… per la prima volta!!<br />

19<br />

“Finestre”<br />

...dallo spacco<br />

tra due muri che si apre<br />

fin giù al marciapiede,<br />

al di là di quello spazio<br />

vuoto... ci sono<br />

delle case che salgono come antenne<br />

... delle case trampoliere!<br />

...finestre di via Tre Alberghi!<br />

Da poi che hanno abbattuto<br />

il 25, il 4,<br />

il 6, il 23...<br />

...guardano in via Carlo Alberto...<br />

...Finestre...come sono?<br />

...mah!...su... in aria!...<br />

Chiuse da tanti anni<br />

dentro queste vie, a due spanne,<br />

sempre lì... quelle grondaie...<br />

quei poggioli<br />

del muro di fronte;<br />

fra quelle due ringhierine...<br />

... i pannolini dei piccoli...<br />

... lo straccio della polvere...<br />

sotto a queste persiane,<br />

per queste vie a zig-zag<br />

(ti ricordi l’inverno?...)<br />

Passava...<br />

(ti ricordi?) “...a ruut<br />

e ruut...”...l’uomo dei pannelli di torba!<br />

Ooh! Come gridava,<br />

nero! “...a ruut... e ruut...<br />

bej robioeul!...”<br />

Le finestre adesso<br />

fiatano!<br />

Al sole<br />

...Aperte<br />

fanno una cosa sola<br />

le finestre con le nuvole,<br />

con l’aria<br />

libera...<br />

...cielo...<br />

...cielo... per la prima volta!!


Hans Magnus Enzensberger<br />

(da “La fine del Titanic”)<br />

178. Aussen. Offenes Meer.<br />

Szenische Nachbildung des berühmten<br />

Gemäldes<br />

von Scott, aus der Londoner Akademie<br />

(Modell). Weite, blaue Wasserfläche.<br />

Super-Totale.<br />

Ein halbkreis von Eisbergen<br />

in allen möglichen Farben,<br />

dahinter strahlender Sonnenaufgang.<br />

Musik.<br />

Totale.<br />

Das Meer, von einem Eisberg aus.<br />

Rückprojektion.<br />

In der Entfernung wird eine kleine Flotte<br />

von Rettungsbooten sichtbar (Modelle).<br />

Langsame Zufahrt.<br />

Sprecher (off):<br />

Der fünfzehnte April 1912<br />

war ein herrlicher Frühlingstag.<br />

Schnitt. Halbtotale.<br />

Ein Rettungsboot.<br />

Kamera in Wasserhöhe.<br />

Schwenk nach oben.<br />

Sprecher (off):<br />

Die ersten Möwen<br />

von den Neufundlandbänken!<br />

Boten der Rettung,<br />

des Lebens!<br />

Musik schwillt an (Geigen).<br />

Abblende.<br />

Auf der dunkler werdenden Leinwand<br />

erscheint das Wort<br />

ENDE.<br />

20<br />

178. Esterno. Mare aperto.<br />

Ricostruzione scenica del famoso quadro<br />

di Scott esposto alla Royal Academy<br />

(modellino). Ampia, azzurra distesa d’acqua.<br />

Panoramica.<br />

Un semicerchio di iceberg<br />

d’ogni possibile colore,<br />

sullo sfondo un’aurora luminosa.<br />

Musica.<br />

Campo lunghissimo.<br />

Il mare, visto da un iceberg.<br />

Sovrimpressione.<br />

In lontananza appare una piccola flotta<br />

di battelli di salvataggio (modellini).<br />

Carrellata lenta.<br />

Voce (fuori campo):<br />

Il quindici aprile 1912<br />

era uno splendido giorno di primavera.<br />

Campo medio.<br />

Un battello di salvataggio.<br />

Cinepresa a livello dell’acqua.<br />

Panoramica verticale.<br />

Voce (fuori campo):<br />

I primi gabbiani<br />

dai banchi di Terranova!<br />

Messaggeri di salvezza,<br />

di vita!<br />

La musica aumenta (violini).<br />

Dissolvenza.<br />

Sul telone che pian piano s’oscura<br />

appare la parola<br />

FINE.


Delio Tessa<br />

“Navili”<br />

NAVILI<br />

Essus quella trombetta! Nanca pu<br />

sul fa della mattina pos dormì,<br />

d’ora in ora l’è chi come ona sveja…<br />

me sera giust carpiaa, voltava via<br />

pena, pena on’ideja<br />

e… tracch… quella trombetta besiosa!<br />

Tucc rìven chì… la tosa<br />

che se galena… el pàder che se spara…<br />

ah, caro ti… el tombon… viva el tombon<br />

de San March… viva i temp d’Ara-Bell’Ara!<br />

…Te dormet eh … te dormet… inpastada<br />

de sogn te see… de quand t’hoo cognossuda,<br />

semper insormetida te se stada...<br />

…anca a vess dessedada,<br />

anca a avella veduda<br />

la vita come mi… ha quel fas stringa<br />

della ghirba a tirà<br />

sira!… pàrlomen minga!<br />

ACQUA<br />

In sto mond birba, pien de travaij,<br />

l’unech remedi l’è de dormì<br />

NAVILI<br />

Dai brugher de Tesin dove se cobbiom acqua<br />

e navili num<br />

là sui nassi, me moeuvi;<br />

e da Turbigh a Boffalora poeu<br />

fina al bass de Pavia… acqua… acqua<br />

in èmaos te troeuvi,<br />

in èmaos te lassi… acqua… acqua…<br />

da Biergrass a Gaggian<br />

da Corsech a Ronchett… pàssom, se dobbiom<br />

a sarà dent el noster Milanin vecc in d’on<br />

anellin d’acqua… di lavander vedom in su la<br />

riva i preij…<br />

scóltom i ciàccol,<br />

e da Turbigo a Boffalora poi<br />

21<br />

“Naviglio”<br />

NAVIGLIO<br />

Gesù quella trombetta! Neanche sul<br />

farsi del mattino non posso più dormire;<br />

ogni ora rieccola, come una sveglia…<br />

mi ero giusto assopito, mi stavo appena<br />

appena<br />

appisolando, un’ombra,<br />

e… tracch… quella trombetta bisbetica!<br />

Arrivano tutti qui… la ragazza<br />

che si avvelena… il padre che si spara…<br />

ah, caro mio… il tombone… viva il tombone<br />

di San Marco… viva i tempi di Berta Filava<br />

…Tu dormi eh… tu dormi… sei impastata<br />

di sonno… da quando ti ho<br />

conosciuta,<br />

sempre intorpidita sei stata…<br />

…fossi anche sveglia,<br />

avessi anche veduto<br />

la vita come l’ho vista io… ah quel far<br />

stringhe della propria pelle per tirare<br />

a sera! …non parliamone!<br />

ACQUA<br />

In questo mondo furfante, pieno di affanni,<br />

l’unico rimedio è dormire<br />

NAVIGLIO<br />

Dalle brughiere del Ticino dove noi ci<br />

congiungiamo, acqua e naviglio, lassù nasco e<br />

mi avvio;<br />

sino alla bassa di Pavia...acqua...acqua... ti<br />

trovo trasognata...<br />

ti lascio trasognata... acqua... acqua...<br />

da Abbiategrasso a Gaggiano<br />

da Corsico a Ronchetto... passiamo, se<br />

dobbiamo chiudere la nostra vecchia Milano<br />

in un anellino d’acqua... vediamo le pietre<br />

delle lavandaie sulle ripe...<br />

ascoltiamo le loro chiacchiere,


sciòster e balaùster mirom, spèggiom In<br />

frescura e in ombria<br />

al pont de Sirenett<br />

qui do piantonn antich che te se spànden<br />

frondos desoravia<br />

e finalment semm chì con tutt a torna<br />

croser e padiglion a la Cà-Granda<br />

denanz a qui duu oeucc<br />

ross dell’accettazion!...<br />

...Zittaa che dorma<br />

…da San Barnaba quist<br />

i ziffolit hin fors<br />

della notturna… on pass<br />

che fila… sol… zittaa<br />

che dorma fonda…<br />

“…Bionda<br />

o bella bionda…”<br />

…vuna<br />

(ciocch che canta a la luna…)<br />

…dò, tre… la mezza…<br />

“Bionda...<br />

bella bionda”<br />

…la mezza<br />

a San Nazar… semm vecc,<br />

semm vecc, o bella bionda, e in st’ann<br />

che chi me sgnàchen sottaterra, vemm in<br />

tomba!<br />

Dopo tant che n’emm vist<br />

e de cas e de gent cossa t’en par<br />

a ti? No me despias<br />

asquasi de finilla<br />

inscì… on bel condutt<br />

de ciment, on voltin e quest l’è tutt.<br />

ACQUA ACQUA<br />

In sto mond birba, pien de travaij<br />

l’unech remedi l’è de dormì!<br />

NAVILI<br />

Poss nanca! …tre trombett<br />

In tre or… tre lettigh! On cioccaton,<br />

on matt e on assassini…<br />

not bianca!… Luij… zittaa<br />

che buij… dopo ch’el sô<br />

l’è andaa giò… per i straa<br />

oh che caldana ier,<br />

oh che sira barocca!<br />

Ingrugnada… patocca…<br />

22<br />

guardiamo sciostre e balaustre,<br />

specchiamo in frescura e ombra<br />

al ponte delle Sirenette,<br />

quelle due grandi piante antiche che ti si<br />

espandono sopra frondose<br />

e finalmente eccoci qui, con tutt’attorno<br />

crociere e padiglioni, alla Cà-Granda,<br />

dinanzi a quei due occhi<br />

rossi dell’accettazione!…<br />

…Città che dorme<br />

...da San Barnaba questi,<br />

forse, sono i fischietti<br />

della guardia notturna… un passo<br />

che fugge… solo… città<br />

che dorme fondo…<br />

“…Bionda<br />

o bella bionda…”<br />

…L’una<br />

(ubriaco che canta alla luna…)<br />

…le due, le tre… la mezza…<br />

“Bionda...<br />

bella bionda”<br />

…la mezza<br />

a San Nazaro… siamo vecchi,<br />

siamo vecchi, o bella bionda, e quest’anno ci<br />

schiaffano sotto terra,<br />

andiamo in tomba!<br />

Dopo tante che ne abbiamo viste,<br />

e casi e gente, cosa te ne pare,<br />

a te? Quasi non mi dispiace<br />

di finirla così…<br />

un bel condotto<br />

di cemento, un voltino ed è tutto.<br />

In questo mondo furfante, pieno di affanni<br />

l’unico rimedio è dormire!<br />

NAVIGLIO<br />

Non ci riesco! …tre trombette<br />

In tre ore… tre lettighe! Un ubriacone,<br />

un matto e un assassino…<br />

notte in bianco! …Luglio… città<br />

che bolle… dopo che il sole<br />

è sceso… per le strade,<br />

oh che calura ieri,<br />

oh che sera pesante!<br />

Immusonita, sfibrata,<br />

moiscia… gent che ranca! molliccia… gente che arranca!


Andaven alla Birra<br />

Italia… se fognaven<br />

a badalucch in tramm<br />

e col cinqu e col trii<br />

e col dodes… andaven<br />

al Luna Park… al Lago Park… al Mira<br />

Lago… ma di me part<br />

strad voeuij… preioni… asfalt<br />

che butta cald… sit mort<br />

portinar in manega<br />

de camisa sui port…<br />

semm a moeuij… sem a moeuij<br />

che l’estaa...<br />

ACQUA<br />

ACQUA<br />

…l’è rivaa.<br />

…è arrivata.<br />

23<br />

Andavano alla “Birra<br />

Italia” …si stipavano<br />

a mucchi nei tram,<br />

e col 5 e col 3<br />

e col 12… andavano<br />

al Luna Park… al Lago Park… al Mira<br />

Lago… ma dalle mie parti<br />

strade vuote… pietroni… asfalto<br />

che manda calore… luoghi morti…<br />

portinai in maniche<br />

di camicia sugli usci …<br />

siamo a bagno… siamo a bagno,<br />

l’estate...


Sandro Penna<br />

Io vivere vorrei addormentato<br />

entro il dolce rumore della vita<br />

24


(Invenzion de Tango)<br />

Biagio Marin<br />

“Te vogio ben…” “Ti voglio bene...”<br />

Te vogio ben comó la vela al vento<br />

che trema de passier cô la va a riva,<br />

e cô i la mola zo, la fa un lamento<br />

che la par viva.<br />

Te vogio ben comó la colma al lìo<br />

che tanti basi ‘i dà, là su la spiasa;<br />

che note e dì, de dopo che xe Dio,<br />

sempre i se basa.<br />

Te vogio ben, comó la luna e ’l sol<br />

al golfo nostro, imenso, cussì fondo;<br />

te vogio ‘l ben, che ‘l Padre eterno ‘l vol<br />

a duto ‘l mondo.<br />

25<br />

Ti voglio bene come la vela al vento<br />

che trema di piacere quando va a riva<br />

e quando la mollano giù, fa un lamento<br />

che par viva.<br />

Ti voglio bene come l’alta marea al lido<br />

che tanti baci gli dà, là sulla spiaggia,<br />

che notte e giorno, da dopo che esiste Dio,<br />

sempre si baciano.<br />

Ti voglio bene, come la luna e il sole<br />

al golfo nostro, immenso, così fondo;<br />

ti voglio il bene che il Padre eterno vuole<br />

a tutto il mondo.


26<br />

NOTE INFORMATIVE:<br />

CA R L O I N F A N T E<br />

Mercoledì 26 marzo 2003 Carlo Infante, durante una seduta d’aggiornamento predisposta dalla<br />

Media Centurione e intitolata Dal punto di vista al punto di vita, ha trattato dell’uso delle nuove<br />

tecnologie all’interno di un’attività didattica tesa a restituire all’istruzione la gioia di vivere.<br />

Da sinistra: la Preside G. Coriolano (in piedi), la “vice-vice” M. Tornatore (seduta), la “vice” S. Masnata (in piedi),<br />

l’esperto informatico Simone Galliano.


Il seminario, suddiviso in più tappe, ha contemplato<br />

- un’introduzione teorica tenuta da Carlo Infante relativamente ai significati e ai valori d’uso<br />

del linguaggio informatico;<br />

- diverse esemplificazioni pratiche 1<br />

prodotte da Ombretta Zallio del Teatro del Rimbalzo,<br />

nelle quali la relatrice mostrava agli astanti com’era possibile coniugare fra loro punti di<br />

vista opposti (la tradizione dei cantastorie e la tecnologia, l’immagine virtuale e la fisicità<br />

dell’attore, il monologo dell’io narrante e l’interazione col pubblico, ecc.);<br />

- svariati momenti dialogici ed operativi.<br />

L’incontro, durato complessivamente quattro ore e mezzo, si è svolto dapprima in aula video e poi<br />

nel laboratorio d’informatica. Ad esso ha partecipato anche qualche docente di altra scuola.<br />

1 Un cappello Borsalino, M. Zurbriggen, ecc.<br />

27<br />

Simone Galliano e Claudio Infante.


28<br />

PROFILO BIOGRAFICO<br />

C A R L O I N F A N T E<br />

Carlo Infante, nato a Roma, vive a Torino e opera fondamentalmente come free lance sia come<br />

giornalista sia come esperto di nuovi media e consulente culturale. Come giornalista collabora e ha<br />

collaborato con diverse testate (Lotta Continua, Il Manifesto, Reporter, L’Unità, La Repubblica,<br />

Letture, Rai Educational – Mediamente, Radiorai, Rainews24, etc); come esperto di nuovi media<br />

progetta e cura Seminari Universitari (Scienze della Comunicazione – Università di Siena,<br />

Sociologia della Comunicazione e dello Spettacolo – Università di Urbino, DAMS – Università di<br />

Bologna), come autore e conduttore televisivo ha curato, per la RAI, il ciclo”Mediamente.scuola” e<br />

per il Futurshow 1999 le trasmissioni satellitari “Futur Channel” su Strema; come consulente<br />

culturale collabora con il Sistema Bibliotecario Romano per il progetto “Edutainment” e con TIN-<br />

Telecom, in quanto membro del Comitato Scientifico di webscuola/tin.it, il portale dell’educazione<br />

on line.<br />

Con il Gruppo Entasis ha curato, già dal 1994, i primi progetti sul Multimedia Educativo al Salone<br />

del Libro di Torino; progetti come “Net @ Work” e “Ipercantiere” (per la Biennale Giovani Artisti<br />

dell’Europa e del Mediterraneo, Torino 1997); convegni e laboratori in diversi altri contesti (Narni,<br />

Napoli, Roma, Torino, Cesena, etc).<br />

Con Cyberia-Scenari dell’Immateriale dà continuità – nella progettazione di eventi, archivi (come<br />

quello di AGAPOW su www.teatron.org/agapow), web e cd-rom come “Percorsi Cifrati” sul teatro<br />

di Solari-Vanzi per la Regione Lazio – al progetto di un Festival che già nei primi anni Ottanta a<br />

Narni sperimentava le relazioni tra performance ed elettronica e che l’ha visto, oltre che direttore<br />

artistico, produzione di videocreazione indipendente e audioart (in collaborazione con RadioRAI-<br />

Audiobox).<br />

Recentemente ha curato, in collaborazione con il Programma di Sviluppo Tecnologie Didattiche del<br />

Ministero Pubblica Istruzione, diverse manifestazioni (a Cagliari, Genova e Torino) per i Netd@ys<br />

98, la prima settimana europea dell’Educazione on line; ha partecipato come relatore a una


molteplicità di convegni, tra cui quelli di “Edunet” allo Smau di Milano (1998 e 1999), quelli<br />

promossi da Irrsae Umbria a Perugia, Irrsae Molise a Campobasso e a Bolzano per la<br />

Sovrintendenza Scolastica Italiana su temi che fanno perno all’uso ludico-educativo dei nuovi<br />

media interattivi.<br />

Ha curato e condotto i seminari AIB (Associazione Italiana Biblioteche) sul rapporto lettura e nuovi<br />

media all’interno della Fiera del Libro per Ragazzi di Bologna nel 1998 e nel 1999 e, in<br />

collaborazione con la SIAE, all’interno della Fiera del Libro di Torino 1999, l’incontro dal titolo<br />

“Due o tre cose che so di LEI (Letteratura Elettronica Istantanea). Per la Biennale Teatro di Venezia<br />

1999 ha curato “Teatron, Il diario di bordo on line” elaborato con i ragazzi delle scuole veneziane.<br />

Ha recentemente pubblicato “Educare on line” e, per Bollati Boringhieri, “Imparare giocando.<br />

L’interattività tra teatro e ipermedia” in cui si analizzano le nuove forme di creatività multimediale<br />

in ambiente educativo.<br />

29<br />

Carlo Infante e Simone Galliano in aula computer.


30<br />

PERFORMING MEDIA<br />

Sono diversi gli aspetti da rilevare sulla scia d’interventi della creatività digitale in ambito<br />

educativo, come quello svolto presso la Scuola Media “Centurione” di Genova.<br />

Uno di questi è quello che definisco il “Digital story-telling, narrare in ambiente digitale” che<br />

comporta un’indicazione su come si possa reinventare un modo di fare lezione usando lo schermo<br />

multimediale in videoproiezione.<br />

Proprio come ha dimostrato Ombretta Zaglio del Teatro del Rimbalzo (www.teatrodelrimbalzo.it)<br />

nella sua dimostrazione-spettacolo.<br />

Un altro si riferisce ad un modulo d’intervento che è stato<br />

sperimentato nell’ambito del convegno “il teatro incontra<br />

il museo” svolto sempre a Genova.<br />

Quest’ultimo viene definito “Occhio di Link” e comporta<br />

una sottile e ludica interazione tra le immagini della Storia<br />

dell’Arte, la multimedialità interattiva e l’azione del corpo<br />

del performer (dell’insegnante, dello studente...).<br />

Su queste esperienze è centrato un libro che sarà nelle<br />

librerie da fine maggio 2004 (ma che è disponibile per la<br />

vendita on line su www.novecentolibri.it) di cui sono<br />

autore: “Performing Media. La nuova spettacolarità della<br />

comunicazione interattiva e mobile.”, edito da<br />

Novecentolibri.<br />

Ombretta Zallio di spalle ripresa nel laboratorio<br />

d’informatica della Centurione.<br />

Digital story-telling, narrare in ambiente digitale<br />

Nella ricerca delle nuove forme di comunicazione in<br />

grado di sedurre (dal latino “seducere”: condurre a sé)<br />

l’aspetto narrativo è fondamentale, perché è il modo più<br />

collaudato per coniugare informazioni ed emozioni. Dopo


i tanti modi già sperimentati che riguardano la composizione multimediale di racconti all’interno<br />

dello schermo digitale e che arrivano alle forme più avanzate di fiction interattiva di alcuni<br />

videogame d’autore si delineano soluzioni per narrare nell’interazione con lo schermo.<br />

Attraverso la videoproiezione si può creare un ambiente in cui un performer - un attore, un<br />

narratore, ma anche un formatore o un insegnante impegnato in una lezione - può attivare un<br />

percorso cognitivo dinamico, sollecitato dai link ipertestuali e da animazioni grafiche e video.<br />

È lo schermo, da vedere come il tabellone di un cantastorie, a rivelarsi come un passaggio<br />

elettronico e dinamico dei segni e delle informazioni.<br />

Cinzia Di Pietro nell’aula computer della Centurione.<br />

Il tabellone interattivo aiuta e sollecita l’esposizione, o ancora meglio, la narrazione, la sostiene<br />

perché amplifica il senso delle parole, contribuendo all’organizzazione associativa delle idee di chi<br />

ascolta, stimolando le sinapsi, aprendo finestre esplicative, sottolineando i concetti chiave.<br />

Amplificando le idee e le soluzioni combinatorie delle stesse, facilitando il narratore (o il docente)<br />

nell’esercizio di un’oralità da svolgere senza straordinarie peripezie retoriche.<br />

È una procedura di comunicazione che rivela la sinergia tra l’interaction e l’info design e che<br />

affonda le radici nella tradizione del cantastorie rendendo ancora più seducente la parola che<br />

interagisce con le immagini secondo i principi della sinestesia, l’integrazione dei diversi piani<br />

percettivi.<br />

Il digital story-telling usa lo stesso termine di un fenomeno che fa riferimento ad alcune esperienze<br />

di narrazione terapeutica, basata sui repertori fotografici della propria autobiografia. Si sperimenta<br />

come sia possibile intraprendere un percorso interattivo nel ricordo della propria micro-storia,<br />

cliccando su immagini che rivelano e incentivano il racconto di sé. Un fenomeno che ha riscosso<br />

molto interesse nell’ambito psicanalitico statunitense.<br />

L’aspetto che m’interessa però evidenziare in questo contesto è quello che concerne la potenzialità<br />

comunicativa del multimedia da parte di un insegnante o un formatore durante una lezione frontale.<br />

È lo schermo su cui videoproiettare le sequenze di un ipermedia, l’aspetto principale su cui porre<br />

attenzione nel trattare una possibile lezione interattiva. Uno schermo da vedere come il tabellone<br />

di un cantastorie, come un paesaggio elettronico e dinamico dei segni e delle informazioni.<br />

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È un ragionamento, questo, che vuole evidenziare le peculiarità teatrali, orali ed emozionali, del<br />

rapporto tra performer (insegnante o formatore che sia) e schermo.<br />

Alle spalle di quest’analisi c’è, in particolare, la considerazione di un lavoro che va anche oltre<br />

l’ambito comunicazionale per muoversi in campo teatrale..<br />

Dalla tradizione del cantastorie (si pensi solo all’uso del tabellone nel “cunto” siciliano) alla<br />

sperimentazione dei “teleracconti” (dove si narra con l’utilizzo di una telecamera che ingrandisce<br />

gli oggetti protagonisti di una sorta di teatro di figura elettronico), ci sono esperienze dove la parola<br />

s’innerva con le immagini in una combinazione sinestesica che delinea un’espansione delle<br />

possibilità di azione immaginaria della narrazione.<br />

Va sottolineato qui il valore della sinestesia, proprietà teatrale per eccellenza grazie alla<br />

compresenza di più linguaggi e più percezioni simultaneamente, e ancor di più il fatto che<br />

l’ipermedia di per sé esprime sinestesia a propria volta.<br />

In questo senso l’integrazione tra la pratica teatrale della narrazione orale e quella multimediale<br />

basata sulla proiezione su un grande schermo può tracciare una pista d’interessanti sviluppi culturali<br />

e, dato emblematico, esperienze attuabili anche da un docente senza dover esprimere una<br />

competenza artistica.<br />

Occhio di link<br />

Si tratta di un format di animazione teatrale con i nuovi media su percezione visiva, azione scenica<br />

e navigazione interattiva realizzato da Giallo Mare Minimal Teatro www.giallomare.it che da anni<br />

opera come una delle realtà più significative del teatro-ragazzi, con una peculiarità: la sottile<br />

interazione tra parola, gesto e immagini multimediali.<br />

È una ricerca che porta avanti, da molto tempo prima dell’avvento delle tecnologie digitali,<br />

utilizzando diapositive, lavagne luminose e video, cogliendo lo spirito essenziale del gioco tra corpo<br />

e proiezioni visive. In questo senso l’azione scenica nell’ambito multimediale si basa su una<br />

consapevolezza piena, assolutamente ludica, arrivando a contemplare una “drammaturgia<br />

dell’interattività” che risiede, ancor più che nell’automatismo del cliccare su pulsanti, sulla capacità<br />

di contemplare lo sguardo dello spettatore e le sue reazioni.<br />

Questo format laboratoriale, performativo e multimediale, ideato e condotto da Renzo Boldrini, è<br />

centrato sull’idea di “azione/navigazione interattiva” intesa come esplorazione teatrale di una<br />

percezione visiva dell’opera d’arte proiettata da computer.<br />

Un’operazione che si basa su una semplicità, l’invenzione teatrale dell’azione nel raggio della<br />

videoproiezione, e su una necessità, la creazione di opportunità che dimostrino che la<br />

multimedialità non si gioca solo all’interno dello schermo di un computer, dove è facile perdere il<br />

senso del rapporto tra reale e virtuale.<br />

Il format si articola su tre livelli:<br />

1. una superficie – lo schermo su cui proiettare e verso cui si concentra la visione.<br />

2. Un medium, l’attore-performer che esplora la visione, per trasformarla in oggetto di<br />

narrazione.<br />

3. Gli spettatori, la loro percezione condivisa e tradotta in un gioco d’interazione con la<br />

narrazione e la visione proiettata.<br />

Lo schermo, bianco, come una mappa senza coordinate, dal momento della videoproiezione viene<br />

popolato dalle visioni, spesso selezionate dal grande thesaurus della Storia dell’Arte. Le immagini<br />

entrano in scena. Lo scherma diventa il luogo virtuale (“ciò che è possibile”) dell’azione scenica.<br />

Le immagini proiettate vengono agite: il quadro si “anima” usando elementari funzioni di<br />

elaborazione grafica, di navigazione, ingrandimento, colorazione, decolorazione dei segni pittorici.<br />

Si parte dai segni dei quadri originari per un viaggio narrativo fra il didattico e l’onirico, animato<br />

dal medium-attore.<br />

Un viaggio strutturato, usando idealmente una “tela sterminata” dove “linkando” un segno o un<br />

colore si passa da un’opera ad un’altra, da Escher a Fontana, da Leonardo da Vinci a Isgrò.<br />

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Una potenzialità è quella di coinvolgere gli spettatori non solo come performer dell’azione nella<br />

visione ma anche nella selezione delle immagini con cui giocare, creando un gioco combinatorio di<br />

azioni, immagini e narrazioni da alimentare attraverso la ricerca on line di repertori da utilizzare.<br />

Associare all’attività di animazione teatrale e di manipolazione delle immagini videoproiettate<br />

anche l’uso ludico dei motori di ricerca secondo il principio delle combinazioni immaginarie,<br />

cercando le immagini che scaturiscono dall’attività narrativa improvvisata con gli spettatori.<br />

Carlo Infante e Simone Galliano.<br />

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Carlo Infante<br />

per@carloinfante.info


In queste pagine inseriamo il testo di posta elettronica inviatoci da Ombretta Zallio, datato 26<br />

luglio 2003.<br />

TEATRO E NUOVI MEDIA - oltre il teatro di narrazione: DIGITAL STORY TELLING<br />

(2002-2005)<br />

Per adulti e giovani a partire dagli 11 anni.<br />

Produzioni:<br />

1. Un cappello Borsalino (2002) –<br />

Storia della fabbrica che ha prodotto un cappello che si diffuse in tutto il mondo.<br />

(CD PROMO)<br />

2. M.Zurbriggen – ritratto di una guida alpina – in 2 versioni:<br />

• Per il web (CD PROMO)<br />

• Per teatro (disponibilie nel 2004)<br />

3. Laboratorio su M. Zurbriggen visto dai ragazzi utilizzando i materiali del web<br />

4. Dal cantastorie al digital story telling<br />

conferenza – spettacolo<br />

5. Work shop - Narrare ed Insegnare in ambiente Digitale per ragazzi e/o insegnanti o per tutti<br />

coloro che sono interessati al narrare e al comunicare.<br />

La precedente ricerca su narrazione e cantastorie (con tabellone) con cui sono stati prodotti gli<br />

ultimi spettacoli della compagnia (90-2000) si sta sviluppando attraverso l’ utilizzo delle nuove<br />

tecnologie e i nuovi linguaggi al computer (digital story telling, web experience) per una<br />

“necessità’” e una “riflessione” sul pubblico dell’oggi e sul teatro di narrazione.<br />

Le conferme di critica e soprattutto di pubblico che ora è possibile trovare in rete sul forum di<br />

teatron.org http://www.teatron.org/forum/viewthread.php?tid=90 ci stimolano in questa<br />

direzione e abbiamo la certezza di offrirvi un prodotto che oltre a presentare aspetti innovativi, è<br />

stato verificato con un pubblico adulto e giovane nel corso di questi 2 anni.<br />

Confidiamo nella vostra curiosità e siamo certi, che vorrete percorrere con noi questa stimolante<br />

“via”; vi invitiamo a prendere visione delle nostre ultime produzioni e ad ospitarle in rassegne e<br />

incontri .<br />

Sul Digital story telling: ….la narrazione veicola ricerca storica e biografica, fatti realmente<br />

accaduti, interagendo con l’immagine al computer, lo schermo per la video proiezione sostituisce<br />

il tabellone del cantastorie, la parola combinata alle immagini ne amplifica il senso, , il narratore<br />

entra nel programma computerizzato attraverso l’arte del racconto, , nello spazio vuoto si muove<br />

sui diversi piani con la disinvoltura del gioco dei bambini , semplicità , leggerezza, circuitazione<br />

di stimoli, garantiscono lo scambio vitale con il pubblico…(note dell’autrice)<br />

SPETTACOLI<br />

1.UN CAPPELLO BORSALINO – scheda breve -<br />

Storia della fabbrica che ha prodotto un cappello che ha segnato un’epoca dove si<br />

coniuga memoria storica e immagini al computer. Segnalato dall’IRRE Piemonte e<br />

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dalla critica per la "fantasiosa leggerezza..per l’aggraziata ed efficace<br />

recitazione..per l’intelligenza nell’utilizzo dello strumento multimediale".<br />

Lo spettacolo si pone in un’ottica nuova: da una parte la narrazione come arte del<br />

racconto e traduzione di dati documentari (ricerca storica, interviste, web,biografie)<br />

e dall’altra l’immagine al computer e l’elaborazione in flash per veicolare una<br />

memoria che sia anche visiva.(digital story telling). Uno spettacolo adatto ad un<br />

pubblico adulto e giovane (a partire dagli 11 anni). Particolarmente interessante per<br />

la didattica della storia<br />

E per l’utilizzo delle immagini<br />

Una ricerca durata 2 anni (2000-2002) tra documenti, interviste, web, studi teatrali,<br />

conferenze spettacolo, per produrre uno spettacolo di 50 minuti.<br />

Esigenze tecniche: largezza m.4-5 profondità m.6/8<br />

attacco corrente:presa da 32 a. trifase 3 p +n+t<br />

Carico luci: 10- 15 KW<br />

– graticcia quadratura nera – staffe laterali (segnalare la mancanza)<br />

2. M. ZURBRIGGEN - guida alpina<br />

per il teatro – spettacolo disponibile nel 2004<br />

La prossima produzione teatrale su questa grande guida alpina prevista per l'autunno,<br />

è cominciata sul web : animazioni flash, suggestioni, informazioni, accessibile a<br />

chiunque sul nostro sito www.teatrodelrimbalzo.it.<br />

Presentata al Festival di Polverigi 2002 Inteatro — sezione A.D.E<br />

per il web – performance teatrale<br />

Epopea in flash di Mattia Zurbriggen, guida alpina [1856-1917].<br />

Un esempio di utilizzo del computer e del web per raccontare la storia di un<br />

uomo e del suo tempo.<br />

Nella storia animata il visitatore è guidato da uno gnomo (l'abitatore fantastico<br />

della montagna) che svolge il ruolo di io-narrante attraverso le scene. La storia<br />

raccontata sul web viene utilizzata o per dimostrazioni di lavoro o per avviare un<br />

laboratorio con la scuola utilizzando l’immaginario giovanile o come<br />

performance per spazi non teatrali (gallerie, internet cafè)<br />

durata: da 20 a 40 minuti<br />

Esigenze tecniche: spazio scenico 2 x 3 , con muro o telo bianco<br />

LABORATORI PER SCUOLE E UNIVERSITA’<br />

4. Mattia Zurbriggen visto dai ragazzi<br />

utilizzando i materiali presenti sul web www.teatrodelrimbalzo.it/zurb<br />

è possibile riscrivere la storia e utilizzare nuove immagini per raccontare.<br />

durata: da 1 a 5 incontri max 20 partecipanti<br />

5. .DAL CANTASTORIE AL DIGITAL STORY TELLING – conferenza-spettacolo<br />

La dimostrazione, anch'essa comunicata utilizzando il PC, abbraccia un percorso di<br />

lavoro che dagli spettacoli di cantastorie con tabellone, arriva alla web experience,<br />

illustrando linguaggi e contenuti degli spettacoli, in modo da offrire un altro punto<br />

di vista sul _narrare" che contempla un utilizzo comunicativo e creativo del<br />

computer e una metodologia che traduce ricerca storica e/o biografica in un racconto<br />

con immagini.<br />

Può essere collegata al work-shop per ragazzi e insegnanti.<br />

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Durata: dai 40 minuti a 2 ore .<br />

Esigenze tecniche: spazio scenico 2 x 3 , con muro o telo bianco, oscurabile – si<br />

consiglia l’utilizzo di aule multimediali con connessione internet.<br />

6. NARRARE ED INSEGNARE IN AMBIENTE DIGITALE – work shop<br />

della durata di 8 ore, per approfondire i temi della conferenza-spettacolo.<br />

Il digital story-telling, , ovvero il narrare in ambiente multimediale, è una pratica<br />

che estende le funzioni dell’oralità performativa e che tende ad individuare delle<br />

nuove forme di lezione frontale interattiva grazie al supporto di uno schermo che<br />

espande visivamente le parole enunciate.<br />

Tale linguaggio, può essere utilizzato da insegnanti , studenti per insegnare e/o<br />

narrare, attivando un percorso espositivo dinamico sollecitato da link ipertestuali e<br />

da animazioni grafiche e video.<br />

Documentazione : CD con produzioni Borsalino e Zurbriggen<br />

Estratto rassegna stampa<br />

WORK SHOP E CONFERENZE SPETTACOLO, DOVE SONO STATE<br />

REALIZZATE:<br />

Bolzano, Scuola Europea: 19-20 novembre 2002<br />

Firenze, Istituto d’arte: 6 dicembre 2002<br />

Bologna, Dams: 13 dicembre 2002<br />

Alessandria, Scuole medie superiori ed inferiori:16 dicembre 2002, 7 gennaio 2003<br />

Genova Scuola media “Centurione”26 marzo 2003<br />

Milano, Politecnico 14 e 15 aprile 2003<br />

Roma – luglio<br />

Un Cappello Borsalino nel 2002-2003 è stato ospite nelle rassegne:<br />

FESTIVAL STORIA 2002 : http://www.casa-matta.it/festivalstoria2002/ Correggio – pubblico<br />

adulti<br />

ideazione e realizzazione Piergiorgio Paterlini e marco sotgiu per casamatta – Maratona del teatro<br />

di Narrazione con L.Curino, L.Giagnoni, G. Tesauri, B.Rosso, A. Celestini I. Fusetti<br />

,F.Paravidino, O. Zaglio<br />

RASSEGNA DI TEATRO PER LE NUOVE GENERAZIONI - TEATRO ARALDO – Torino e<br />

altre località del Piemonte<br />

NIPOTI DI AMLETO – Provincia di Alessandria – pubblico ragazzi<br />

Rassegna AMAT MARCHE – Montappone – pubblico adulti<br />

LO SPETTACOLO DELLA MONTAGNA – Val di Susa- pubblico adulti<br />

FESTIVAL AUSTRALIANO - del Teatro della Tosse – Genova - pubblico adulti<br />

Il PAESE DEI NARRATORI – del Teatro Città Murata – Mariano Comense - pubblico adulti<br />

TEATRO IN VILLA – Erbusco - Brescia - pubblico adulti<br />

RASSEGNA NUOVE GENERAZIONI – Campobasso e Larino<br />

Cordiali saluti.<br />

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Ombretta Zaglio<br />

Per altri spettacoli e laboratori di narrazione e cantastorie per adulti e ragazzi a partire dai 3 anni<br />

richiedere schede o consultare il sito.<br />

--------------------------------------<br />

Web: http://www.teatrodelrimbalzo.it -<br />

Schede e foto per curriculum: http://www.teatrodelrimbalzo.it/attiv04.html<br />

http://www.teatrodelrimbalzo.it/attiv05.html<br />

Borsalino http://www.teatrodelrimbalzo.it/narr03.html<br />

Per recensioni http://www.teatrodelrimbalzo.it/attiv01.html<br />

Workshop: http://www.emscuola.org/ems4/dst/index.htm<br />

Web experience M. Zurbriggen: http://www.teatrodelrimbalzo.it/zurb/<br />

forum spettatori:http://www.teatron.org/forum/viewthread.php?tid=90<br />

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APRITE LE FINESTRE: È PRIMAVERA !<br />

Un ghigno silenzioso ed avvolgente isolava la casa di Tonino.<br />

Il vasetto, sul davanzale della finestra, offriva ammosciati fac-simili di fiori. Come un’edera<br />

maligna, i grandi fantasmi stazionavano, gravi e grevi, sul tetto e attorno ai muri dell’abitazione.<br />

Due cuori e una capanna! Già…! All’interno, lieve e indiscreto, il nostro sguardo penetra,<br />

svicolando tra pentole, pentolini e strumenti di cucina, fin nella camera da letto di Tonino e Rosella.<br />

Lo specchio dell’armadio riflette il letto, che, comprato a rate, ha visto grandi amori. Ora tutto s’è<br />

come congelato: gli amori, le speranze… ed anche il sonno, che, non più Morfeo, diventa tempo di<br />

tribolazioni. Tonino si rigira tra le lenzuola e, ogni volta, scopre un pochino di più Rosella.<br />

Impressione o realtà? Pare, a noi, che lo specchio, oltre il letto, rifletta qualcosa d’altro: un piccolo,<br />

afono, maligno ghigno.<br />

Eh già! Ora i fantasmi stanno anche in casa! Eppoi, perché ghignanti?<br />

“Cos’hai Toni?”<br />

“mal di pancia…”<br />

£L’ulcera?”<br />

“Forse…”<br />

“Dormi Toni che domani ci tocca lavorare…”<br />

“Ci provo, ci provo…Che domenica del cavolo…!”<br />

Il nostro sguardo, come un periscopio o un mobile braccio di polipo, mette a fuoco altri frammenti<br />

del piccolo, noioso, dramma notturno.<br />

La tuta, sulla spalliera della seggiola, una Sacra Famiglia sorridente (beata lei!) e anche…<br />

Un perfido fantasma, ogni volta che il Tonino si lamenta per il dolore, pare emettere un dentino<br />

assatanato, pare premere il bottone della sofferenza.<br />

Ma le ore, anche se lunghe, eterne non sono. Viene il mattino: la sveglia suona. La luce dell’alba<br />

dovrebbe fugare le ombre, le allucinazioni. Tonino butta fuori, con una certa ritrosìa, le gambe dal<br />

letto. Similmente Rosella.<br />

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Nel soggiorno, stronfiando, Alberto, figlio quindicenne, si appresta a consumare stancamente i<br />

rituali del levarsi. Intanto far la coda per lavarsi i denti e la faccia, poi riunirsi in cucina per far fuori<br />

la colazione, con di fronte i genitori dal volto aggrottato e le rughe che paiono volersi suicidare,<br />

precipitando sulle labbra.<br />

“Già!”, pensa Tonino, “devo anche andare a parlare con la profia di italiano che ha scritto la nota<br />

sul diario…!”.<br />

“ ‘Sto figlio mi sta crescendo dotto gli occhi e niente gli va più bene. Ora vuole le braghe come<br />

quelle dei suoi amici e minimo minimo sono cinquantamila lire…”, pensa, movendo le labbra, ma<br />

senza emettere suono, la Rosella.<br />

“Chissà poi perché vado a scuola se poi tanto non c’è lavoro!”, pensa l’Alberto, mentre osserva gli<br />

sguardi bassi dei suoi genitori.<br />

E questi pensieri sembrano condensarsi, farsi grumo, soffice quasi, sedile ottimo per un altro<br />

fantasmino, quello che dà il cambio al fantasma notturno dell’ulcera, quello che produce il materiale<br />

per l’ulcera.<br />

Ora l’Alberto ha terminato e si defila con un rapido saluto.<br />

Andrà a scuola? Andrà a spasso? Chi lo sa. Comunque… per quel che conta!<br />

“Non volevo discuterne davanti al ragazzo”, fa Tonino, “ma mi hanno parlato in fabbrica di cassa<br />

integrazione… Niente ferie quest’anno!”.<br />

“Andremo ai giardinetti, a mangiar l’anguria!”, brontola la Rosella, mentre, con la biro, sta<br />

preparando la lista della spesa. Che certo a Porta Palazzo costa meno ma tra tram, tempo che perdi e<br />

poi… meno sì ma sempre caro… e cosa ha detto il Toni sulla cassa integrazione?<br />

“Faccio il secondo turno, oggi, così posso andare a scuola a parlare con quella d’italiano”, smozzica<br />

il Tonino mentre s’infila sulla tuta una giacca.<br />

“Se mi dice che è una schiappa, che rispondo? Che gli facciamo ripetere l’anno e non se ne parla<br />

più, oppure…?”.<br />

Ed anche lui se ne esce. Appollaiato sulla spalla qualcosa come nebbia. Un altro fantasmino? Pare.<br />

Ma diverso dai precedenti. Questo è il fantasma dei fastidi scolastici.<br />

La Rosella rimane sola in casa. Sola! Si fa per dire. Intanto c’è tutto da mettere in ordine. Poi ci<br />

sono le domande alle quali bisogna dare una risposta e lei al Toni non ne ha mica parlato ma con i<br />

soldi che ci sono in casa, anche se pare l’inflazione cali, sempre meno roba si acquista al mercato.<br />

Meno fatica a portare la borsa, sempre più a dieta. Come faranno i pensionati! Si dice bene: sola!<br />

Ma dove, ma quando…È un nugolo di fantasmini, appollaiati sul lampadario, quello che le hanno<br />

regalato diciotto anni fa quando si è sposata, sulla cornice del quadro con la stampa, sulla pianta<br />

grassa che non fiorisce mai, pesino sulla caffettiera a far dispetti, che quando versi il caffè sempre<br />

sporchi la tovaglia, un nugolo di fantasmini a far da coro ai lamenti di Rosella.<br />

La 126 di Tonino pure lei borbotta, ma va. Ad un certo punto tossisce, strattona e poi si arresta.<br />

“Porca miseria, cosa avrà mai? Le candele sono pulite, il carburatore pure…Fatta rivedere quindici<br />

giorni fa…Ne ha sempre una! Ma forse…E già! Non c’è più benzina. Porca porca miseria! Ne ho<br />

messo ventimila solo tre giorni fa. Ventimila sono ventimila!”.<br />

E qui, come nella réclame del dentifricio, a ghigno spalancato, ecco un altro fantasmino che se la<br />

gode sul cruscotto. Non eravamo rimasti d’accordo che Tonino era partito con sulla spalla il<br />

fantasma dei fastidi scolastici? Sì. Ma questo è quello della benzina che sempre aumenta, che tu<br />

spendi la stessa cifra ma te ne danno sempre meno… È un fantasma che abita sul cruscotto della<br />

126 di Tonino.<br />

Le destinazioni di Rosella e Tonino divergono. Il primo, dopo essersi fatto un chilometro a piedi per<br />

ricuperare qualche litro di benzina, ora è davanti alla professoressa d’italiano del figlio.<br />

“Per questa scuola, se lo lasci dire, Alberto è disadattato. Un po’ non ha voglia di studiare, un po’<br />

non vi vede uno scopo… Eppoi lei lo sa che ora il mondo del lavoro richiede sempre più gente<br />

scelta ed allora occorre selezionare…”, sta spiegando la professoressa a Tonino, che, imbarazzato,<br />

sa già dove si andrà a finire: gli bocceranno il figlio e la Rosella si arrabbierà e la sua ulcera lo farà<br />

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igirare nel letto e… Tonino esce dalla scuola sempre più confuso e con la gola secca. Meno male<br />

che c’è un ‘toretto’ lì vicino! Ed anche le siringhe, schifo d’una miseria!, anche le siringhe!<br />

Rosella zoppica. Sul tram le hanno pestato un piede. Che baraonda a Porta Palazzo! Il biglietto con<br />

l’elenco della spesa è lungo. Gira, rigira, tra i banchi del mercato. E alla fine si accorge che soldi<br />

non ne ha più ma la lista non si è esaurita. Pazienza! Però che barba aver sempre pazienza! E questo<br />

peso, quasi una sensazione, non un peso pesante ma comunque…lì, sulla spalla…<br />

“Buongiorno signora, anche lei al mercato, neh?”. È la vicina, più giovane, senza figli, casalinga<br />

non per vocazione ma per mancanza di lavoro. Insieme iniziano la calza delle lamentazioni. E tra<br />

una parola e l’altra, Rosella s’accorge che anche la sua vicina è piegata più da una parte, come se<br />

pure lei avesse un peso, che so, un qualche cosa sulla spalla…Rosella non s’azzarda a parlarne ma<br />

la curiosità… Allora infila nel discorso lo spiffero, d’aria, si capisce, che fa venire i reumi, un po’ di<br />

artrite, ma alla sua età, diomio!, non è possibile. Ed allora che cos’è che piega le due donne da una<br />

parte? È da un po’ che entrambe se ne sono accorte. Meno pesa la borsa della spesa e più si sentono<br />

tirare da quella parte.<br />

“Vero, neh?”. “Strano, però. Sempre meno si compera…”.<br />

Il fantasmino della lira, pesante, si sente in pericolo. Se queste discutono tra di loro e magari si<br />

accorgono che più la lira perde di valore più il fantasma ghigna…<br />

“Stanotte ho dormito male, sa! Mio marito soffre di ulcera e si lamenta, di notte…”, fa la Rosella,<br />

che è entrata in confidenza con la vicina.<br />

“Il mio, invece, parla nel sonno. Ha paura delle guerre stellari, non capisce perché non si mettono<br />

d’accordo…”, replica la vicina.<br />

“Allora anche lei non riesce a dormire! Ma non si potrebbe fare qualcosa? Toni, mio marito, ha<br />

l’ulcera, dice il medico, perché si preoccupa troppo, ma ha ragione di preoccuparsi…”. Già. Una<br />

parola tira l’altra e i problemi saltano fuori. Se le grane ci sono, mica è colpa dei fantasmi, no? Ci<br />

sarà qualcuno che è responsabile. Intanto, magari, potrebbero trovarsi stasera dopo cena e parlarne,<br />

presenti anche i mariti, ma Tonino questa sera no, perché ci ha i turni ma…<br />

“Mio marito ha notato”, fa la vicina ”che da un po’ di tempo sembra sempre che voglia piovere su<br />

casa nostra. Ci sono dei nuvoloni neri…”.<br />

“Anch’io l’ho notato sul nostro stabile, ma pensavo fosse un caso isolato”.<br />

“Mi dà una sensazione di morte! Come il fungo atomico, ha presente?”.<br />

E intanto prendono il tram insieme e la vicina ne approfitta per comunicare che è incinta e la<br />

Rosella a scuotere la testa perché se le cose continuano così che futuro c’è per i nostri figli? Ma<br />

mica si può stare sempre tappati in casa col terrore che qualcosa ci succeda! Qualcosa! Che non si<br />

sa che cos’è e quando arriva e perché.<br />

“Mica tanto vero”, fa la Rosella. Bisogna informarsi, parlarne, vedere perché. Vedere perché ci<br />

sono quelli che si fanno i soldi e noi… Mio suocero ha la minima…<br />

“Sa cosa mi ricordo? Mia mamma, a questa stagione, mi cantava sempre una canzone, sa, io sono<br />

toscana, mi cantava ‘aprite le finestre, è primavera’…Bisognerebbe aprire le finestre, fare entrare<br />

aria, diomio non inquinata no, aria pulita che faccia venir voglia di vivere, non quella nebbiosa,<br />

scura, che sa di mafia, che sa di terrore atomico, missili, siringhe…”, si sfoga la Rosella. Perché poi,<br />

alla vicina, tra un po’ di mesi nascerà un pupo e cosa gli vuoi preparare? Un mondo pieno di paura?<br />

Aprire le fine finestre e spazzare le ragnatele, quelle fuori e quelle dentro. Fare un ripulisti<br />

primaverile, tutti insieme.<br />

Queste idee si rinforzano nella testa delle due donne, che ne parleranno ai loro mariti, ai vicini, ai<br />

compagni di lavoro che già lo sanno che un dito solo serve per ficcarselo nel naso, non per cambiare<br />

le cose, ma tutte le dita insieme, vedrai bene che cosa riesco a fare! E quando, il giorno dopo,<br />

l’Alberto filato a scuola, dove, già si sa, lo bocceranno, ma, anche lì, non è obbligatorio e bisognerà<br />

pensarci, la Rosella e il Tonino sono soli in casa, ci provano ad aprire le finestre, che è un po’ come<br />

fare all’amore le prime volte, da una vita lo si fa ma è sempre una novità, e la luce entra in primo<br />

piano e scaccia le ombre vicine, le annienta, poi sempre più in grande quantità mentre è un fuggi<br />

fuggi generale, di pulviscolo diresti ma, in verità, di fantasmi d’ogni tipo e carattere, e poi senti uno<br />

40


strappa, come di una tela che s’apre e le nuvole di sopra spariscono, non del tutto, ma un poco sì. E<br />

al Tonino, quasi per miracolo, le rughe non cascano più giù. Si sente più forte, gli torna la voglia di<br />

guardare sua moglie non come quella che gli chiede che cos’ha di notte ma come una donna e,<br />

anche se è sempre tardi, non è mica detto che uno a quarant’anni è già in pensione tra i reduci…<br />

Eppoi ci sono gli amici e domenica prossima si faranno aiutare dall’Alberto e sposteranno l’armadio<br />

in camera da letto che sempre gli pareva, a tutti e due, di vederci dentro un ghigno, un qualche<br />

cosa… Sarà telepatia? Il Tonino sta varcando il cancello della fabbrica e sta pensando che è ora di<br />

vederci chiaro, di non rassegnarsi. È ora di capire che cosa c’è di vero oppure no. È ora, di nuovo,<br />

di sentire il calore della solidarietà, del fare le cose insieme, che ti dà tepore, come questo raggio di<br />

sole in primavera, che riesce ad oltrepassare il cancello senza mostrare il tesserino…<br />

E sospira il Tonino. Gli sembra d’essere più leggero.<br />

In fondo, ci si poteva pensare anche prima!<br />

Avevo una canzone, nascosta nel cassetto –<br />

sapeva d’erbe amare, di rose e di mughetto.<br />

Si sciolse in primavera, col volo d’un moscone –<br />

di polvere d’argento m’avvolse in un alone.<br />

La morbida canzone, che mi seduce il cuore…<br />

Gianni Milano<br />

Postscriptum:<br />

Il testo fu scritto durante gli anni ottanta del secolo appena trascorso. C’era ancora la lira, scarsa;<br />

c’era l’inflazione; c’era la separazione di classe, il bisogno, la malinconia, la solitudine. C’erano<br />

anche le elezioni. Non mi pare che molto sia mutato. Meditiamo gente, meditiamo!<br />

41<br />

Gianni Milano


Il nuovo fu, e fu escluso sùbito dal lavoro: era ostentato, quindi parziale.<br />

42<br />

IL NUOVO *<br />

La larva, il muto (e il sordo), il prodigo sono gradi imitabili, uno per uno, che si leggono già nati,<br />

nei libri.<br />

Se l’ansia – che non ci appartiene, ma è il chiodo fisso, l’altro nome della delicatezza – e sorella<br />

Morte – l’altro nome del sonno, come il naufragio – attirano il bambino, che scriverà, è per il bello<br />

che ci trova, forte. Non si spiega bene. Ora basta dire che questi stati e questi atti, e i loro attori, non<br />

appartengono alla vita della norma; non generano biologicamente (la persona casta non avrà figli<br />

naturali; chi muore, se ha generato, non genererà più). Chi non offre, offrirà. Questi dolori hanno<br />

attirato non in quanto diversità (non con la sapienza barbara di chi diceva: Io sono diversa, come<br />

diceva Io sono bianca e nera: io non sono come voi) ma in quanto sacrificio o sacramento. Non ha<br />

mai detto la prima cosa: Sono, Voglio essere, buona.<br />

Ai bambini, a cui insegniamo, non si vuole ancora imporre una poesia di musica sola, ma ancora<br />

qualche ombra della mimesis: che credano alla realtà integra e malleabile, ancora un istante. Più<br />

oltre, no. Il resto parla (è) male, non per ignoranza: semplicemente non può dire. Non è né integro<br />

né malleabile: se dicesse tutto, qualcuno non reggerebbe. Tu certamente non sei come noi, perché<br />

non lavori, e così hai confermato chi eri (chi sei). La forma dell’iperbato, anche, come forma del<br />

sogno, è stata confermata: l’ordine rifatto, dunque, e rinato; e l’ordine invertire, come nel sogno la<br />

femmina è maschio e il maschio è la femmina. Nel sogno corriamo insieme: ed ecco una parvenza<br />

di vittoria. L’ambiguità del detto non ci sfugge, e i suoi doppi sensi. Per ombra di azione non<br />

intellettuale si intende la catena degli atti pubblici, i più vivi e i più ingenui; per l’azione<br />

intellettuale l’esibizione della voce, che esibirà uno scritto; e l’ordine invertire, ancora: lo scritto<br />

esibirà punto per punto una voce, anzi più voci vere, nelle loro semplicità più adorabili («potrei<br />

giudicarti?», «forse ho più coraggio di te: l’ho sempre avuto», «perdonami se a volte ti tratto male:<br />

è solo invidia», e, della madre, «non sei né nero né sporco», né l’uno né l’altro). L’amica,


soprattutto: «Devi difenderti»; l’Accademia potrebbe. Ai bambini non si vuole ancora imporre una<br />

poesia di tutta musica, ma solo qualche ombra scolastica di mimesis: che credano alla realtà, ancora<br />

un istante, come è giusto. La parte non fraterna, non paterna, si comporta come un dispiacere, nella<br />

comunicazione, e anche questo si fonde sùbito nella scrittura continua; amico, io non posso (non so)<br />

amarti di più; amica, io non posso (non so) come amarti meglio. Per l’ombra di azione mentale, ora<br />

vogliamo esaltare la sua virtualità: come posso, la sua invisibilità nel regno delle cose pratiche,<br />

dove il corpo suda. La larva imperfetta, ancora quasi ombra, il muto (e il sordo), il prodigo sono<br />

gradi imitabili, uno per uno. Essi coesistono, in un modo che vanifica la gradualità stessa. Il libro, il<br />

primato, l’assoluzione critica sono gradi meno santi (vedi ora la proiezione dell’ombra sul<br />

pavimento, senza asprezza: il tuo engagement è della stessa natura: incorporeo e scuro; un giro del<br />

sole lo elimina, tra poche ore). Ché non ti appartiene l’impegno, ma l’impostazione di un progetto:<br />

che coincide direttamente con la tua vita; progetto che produce, e ha prodotto, le cose nuove, e<br />

continuamente ne esce, come da una falsità; quello che è fatto è fatto. Il capo che ha una cosa<br />

prodotta è sufficiente ed estraneo alla mia paternità. Così troviamo parole immense. Ciò che è più<br />

appropriato ad un fallimento – ma solo nelle cose pratiche, non nella vita (che produce) – è la<br />

parola, meglio ancora la musica; la lingua che porta un capo già adulto e la sua ragione. Per ombra<br />

di azione reale si intende la catena degli atti pubblici, i più vivi e i più ingenui; per l’azione<br />

intellettuale la sola esibizione della voce; e l’ordine invertire, ancora: prima la voce, poi la bocca;<br />

prima il detto, che cerca di essere compreso. Né la vita dello spirito né il vuoto possono essere<br />

compresi. Non traducibilità: belligerante, perché è non capire; non esserlo. Invece intraducibilità,<br />

forse, ma l’apertura al solo francese (degli emblemi, del marmo, della Francia stessa); non come<br />

traduzione in francese, ma perché il francese è l'ambiente. Se ne parla come con predestinazione, e<br />

con fratellanza. La sessualità, sempre meno esagerata: il rifiuto di «ciò che è dell'uomo», non nel<br />

senso di un passaggio. Le distinzioni sono di senso, per dire: questo non è così (nonostante<br />

l'apparenza); questo non è così, come sembra (nonostante l'apparenza); questo è diverso da come è<br />

(nonostante l'apparenza). Il calore di un terreno ampio, cioè, per ora, la distensione, o l’estensione,<br />

in cui anche questo esercizio può ricadere: è necessario. Così il volgar’eloquio: amalo, come già sai<br />

(sapevi), al di fuori di qualsiasi tentazione a non fare, o non essere. Tu non sei più felice di me. Ah,<br />

ripetuto ah, più forte, come è l’attacco del gemito, poi del piacere: prima visto e preso, e tolto, e<br />

abbandonato del tutto. Non: mio amore. Non: alcuna presenza. Non: rispondere alla provocazione.<br />

Pensa così a un esempio non tolto dalla vita scritta: non può esistere. Indietro non si torna: questa è<br />

Genova, disfatta dai suoi lavori, dove vivi da anni. Il rosario è una ripetizione orale, ad onore di<br />

MARIA. Una goccia d’acqua spezza il digiuno: non berla. Una passione parziale è già qualcosa:<br />

imitala; ti prego; la sintassi sì, il vocabolario anche; imitali. Dietro questi giri – se ne capirà la<br />

struttura, più avanti – sta la piccola rivelazione dell’inizio: il nuovo è già fatto, da tempo, il nuovo<br />

fu.<br />

Chi insulta una madre e la vita di un’altra persona (la sua casa, la sua scrittura) non avrà né<br />

compiacenza né altra attenzione – dopo quella che ha avuto, prima di rivelarsi –, né rispetto né<br />

amore. L’amante di chi insulta ha agito per ingenuità o per eccesso di solitudine; e per bisogno di<br />

affetto (si commuoveva, anni prima, leggendo nella biografia di Campana scritta da Vassalli che «a<br />

Dino non pareva vero di poter fare l’amore gratis»; chi dall’amore ha avuto tutto non capirà mai la<br />

tristezza di questa frase); e per fraintendimento, anche, della propria solitudine: non voleva capire<br />

che quella solitudine non è né tragica né irrimediabile, ma necessaria; e consolata da un’attività<br />

artistica, finché esisterà. Non solo: quella solitudine è resa visibile (pesante) dai tentativi di rapporto<br />

con chi ha un altro modo di vivere; sono ugualmente giustificabili, ma troppo diversi. Perché canti,<br />

purché canti, Femio è risparmiato da Odisseo. Questa immunità è pericolosa, in due sensi: non<br />

morendo, Femio sarà diverso dai morti; vivendo, potrà vivere per lodare, e ogni lode di Odisseo<br />

significa la maledizione dei Proci. Sarà, più tardi, la condizione reale di Celan, di Levi, di Wiesel: la<br />

parola (la propria stessa vita) come marchio e come accusa lirica. La distanza dalla parte selvaggia<br />

comporterà abiura dalla poesia? Come è in rapporto quello che scrivo ora con il fatto che Celan non<br />

43


vede differenza tra Gedicht e Händedruck? Chi insulta mia madre non avrà niente da me. Chi usa la<br />

dolcezza non come modus vivendi ma come strategia, dopo aver usato la strategia del troppo (troppe<br />

parole, troppa violenza, ecc.) non avrà niente, allo stesso modo. Non reagire è virtù. Reagire con le<br />

mani, che scrivono, non è né virtù né non virtù: è un’azione firmata, è l’opera di un autore.<br />

Immaginerò che il nuovo scritto è una persona nuova, che nasce dalla cenere di un fatto morto. La<br />

parola nuovo si accompagna alla parola altro: non furiosamente, ma come al momento giusto (in<br />

estate; di mattina; nella prima giovinezza, che comincia a capirsi e a desiderare la vecchiaia, per non<br />

apparire).<br />

L’amico e l’amica stanno costruendo, per il loro amico, un passato e una storia. Il loro amico scrive<br />

per il futuro e per onorare il futuro. La mediocrità nasce da una doppia colpa: qualcuno non ha<br />

insegnato fino in fondo, se ha avuto l’onore di insegnare; qualcuno non ha voluto imparare fino in<br />

fondo, se aveva la possibilità di imparare. Si tratta di un pensiero ovvio e naturale: eppure, per noi,<br />

ora è ossessivo. A questo bisogno – che non è bisogno di pane – non si risponde con un altro<br />

bisogno pratico. Chi ora parla di cuore dopo aver esibito la parte selvaggia (la fronte con le corna, la<br />

lingua dura) non può essere creduto: la sua richiesta di affetto non è accompagnata da una richiesta<br />

di equilibrio, o di perdono, reciproco. Non è richiesta di affetto; si tratta di una posizione, ed è<br />

ideologia, con la lingua di Amore. Mescolare la performance e la voglia di invisibilità è solo un<br />

altro paradosso, presto superato, sicuramente superabile. Un’invenzione giocosa sarebbe seguire<br />

fiori e rondini, come si può: diventare, non essere, un’altra persona e la sua solitudine animale o<br />

inconsapevole; e disposta ad uscirne ad un richiamo delicato: il bene del selvatico, il vero bene. Una<br />

via regia a paragone di una vita non grande, solo produttiva di cose; quella via è armonia, ma è<br />

troppo evidente. L’armonia nascosta – con l’occhio abile a trovarla – è più grazia. Un uomo pone<br />

nelle mani di un altro, o un’altra, la frase «non mettermi al centro dell’attenzione»; che significa:<br />

Ho bisogno di te, di te ho bisogno, come se io non fossi. E questo bisogno condividerebbe con<br />

l’altra persona tre cose: una bibita fredda, una cena poverissima, la testa che si appoggia sulla spalla<br />

e sulle ginocchia; solo con luce, fioca, e senza parole.<br />

Chi respira, respira come se la voglia di essere spirito prevalesse su ogni punto: così si gonfia<br />

d’aria, e ne arde tutto. «Vorrei essere vecchio» dice il giovane, quando è più stanco: l’aria gli è<br />

sempre presente. Continuamente, quella comunità dei piani, anche diversi (voci, dialetti, citazioni<br />

precise o implicite): perché ti difenda da altri parlanti e ti rappresenti meglio di una parola isolata.<br />

Continuamente, questo incrocio è senza contaminazione: tutti (tutti) i modi sono praticati,<br />

ugualmente alti: le vostre voci, da cui provengono sono alte, quasi invidiabili. Ognuna è raccolta<br />

fedelmente; nulla è banale («sono fierissima del mio pulcino», «ho paura che tu escluda tutti:<br />

proprio tutti»). Questo incrocio dei nostri, o vostri, piani (dello stile orale) non è senza<br />

commozione. Questa commozione è anche la comunicazione pura: i mugolii e i piccoli suoni che<br />

appartengono alla voce, prima della violenza del senso; la voce è della Donna. Giova pensare a<br />

questa femminilità separata dal concreto: indiata («si sta bene insieme!»), è ancora una<br />

consolazione; ma è una distanza che falsifica tutto, compiutamente e con dolore; no: con armonia,<br />

sùbito dopo, sùbito dopo. Il ritmo esile dimostra a noi la parzialità della ricerca: la sua individualità,<br />

in primo luogo. L’ermafrodito, maschio e femmina, fu creato dagli ascoltatori, che giudicavano:<br />

l’uomo educato non è maschio, l’uomo educato è come una femmina. Un ritmo prolungato si adatta<br />

meglio alla somma delle parlate (operaie, borghesi, della malavita; degli amici e degli adorati, dei<br />

perfetti). E non bisogna temere il «ritmo veloce e saltellante»: secondo Pasolini, umilia l’uomo<br />

dov’è più uomo, nel suo sesso. Quel ritmo simula il suo piacere (veloce e saltellante), dunque può<br />

essere maledetto. Giova ricordare il perfetto amore, che continua in notizie. La parola riguarda<br />

paglia e cibo, che non si vede. Il telefono suona ogni giorno. L’ultima età è lontana, anche se molti<br />

segni la prevedono e l’anticipano nel puer senex. L’ultima età deve ancora venire: quando viene, se<br />

viene, si respira come se la voglia di spirito, gentile, prendesse il sopravvento sopra ogni cosa.<br />

44


Una mattina di quasi malattia, dedicata alla cura di un ambiente giudicato borghese, non è la cura di<br />

sé. Esiste un percorso continuo, quasi rabbioso, verso questa esigenza; e rabbioso all’inizio,<br />

consolato alla fine. Chiamarlo la sublimazione è poco; l’uomo sublima quello che manca a lui;<br />

queste cose sono presenza e luce (la luce di fine giugno, su Salita degli Angeli, a Genova). Abbiamo<br />

visto il dominio del giudizio sull’apparenza, come della morte sulla superficie della vita. Quello che<br />

si temeva è finito poco dopo l’inizio: la ricostruzione dell’equilibrio è il nuovo còmpito. Non<br />

distinguere il bene dal male, apparenza di bene da bene vero è difficile. Qui l’uomo si disorienta:<br />

questo atteggiamento infantile, questa guancia, questo pallore e voce – non sono il bene? No, e<br />

fraintenderlo è una bestemmia: non si attribuirà a Dio ciò che non è Dio, e viceversa.<br />

Si sta costruendo una generazione, che la critica coglie (crea?) come generazione. Forse: siamo un<br />

unico autore, che per assumere tutte le possibilità assume identità diverse: eteronimi di un autore<br />

che è lo spirito del tempo; eteronimi che sono ortonimi (i nostri singoli, e veri, nomi). Questo<br />

spiegherebbe l'incredibile sintonia a distanza tra di noi; ma anche alcune rabbie irrazionali, come di<br />

chi non si riconoscesse guardandosi allo specchio, come di chi si trovasse separato da qualcosa a cui<br />

dovrebbe essere unito (penso all'asprezza di Flavio Santi: i poeti leggono solo poesia e si vede; i<br />

poeti non hanno compreso, o visto, il cambiamento del mondo: le sue tecnologie, i suoi drammi<br />

economici, la sua violenza, ecc.). Non basta scrivere Harley Davidson o Bush per essere realistici.<br />

Non può essere così semplice. Esiste invece una vena petrarchistica perenne (che era la vena<br />

'disimpegnata' dei poetae novi e di Properzio) ed una vena che stigmatizza l'evasività (crede così)<br />

dell'altra. L'irrealtà, vera o presunta, di un tipo di poesia subisce attacchi duri. Non inizia così la<br />

vendita dei pensieri, ma in modi diversi. La violenza critica potrebbe nascondere una parte di non<br />

detto: cioè la pretesa di salvarsi senza opere (dove le opere sono sostituite – sublimate e facilitate –<br />

dall'ideologia delle opere, quindi elenchi di cose e nomi, e il sogno di una politicizzazione che in<br />

realtà vanificherebbe la critica: una poesia contro Bush non farebbe paura a Bush, nemmeno se<br />

fosse sulla bocca di tutti). La poesia di sola poesia è una torre d'avorio solo per chi sa poche cose e<br />

non deve lavorare per vivere: per chi fa fatica, invece – la maggior parte di noi –, questo tipo di<br />

poesia contiene tutto il lavoro di una giornata, tutti i contatti con le donne e gli uomini; o tutta la<br />

solitudine che dobbiamo sopportare ora. Non è un gioco, perché è necessaria quanto l'altra; è lo<br />

sfondo dei fatti veri.<br />

Anche con fantasia è stato promesso un mondo puro e giusto – o nell’anima è stato promesso.<br />

Vedilo morire ora. Vedilo, soprattutto, trasformarsi nel principio della precarietà: non più il<br />

bambino – che non sa se vivrà e come – né l’anziano – che non sa quanto vivrà; ma il giovane.<br />

Cambio argomento. Chi fa parte di quella schiera che crede ad un Pasolini rituale, predestinato (da<br />

se stesso) ad una morte che è la morte di Orfeo – e quindi non si parla di una morte casuale, ma<br />

neanche della morte politica di un nemico della politica italiana – riceve critiche garbate: non fu<br />

così, perché la ricerca del potere personale non si accorda con la volontà di scomparire. PPP può<br />

essersi conservato fino al momento giusto (Orfeo muore straziato dalle Baccanti; ma la sua morte è<br />

una notizia: muore chi faceva muovere le pietre con il canto). Muore – perché si trasforma per<br />

sempre – una visibilità raggiunta. Su questa storia insisto molto, perché vi si gioca una discussione<br />

che non riguarda più né il solo PPP né la criminologia; tantomeno la letteratura come letteratura.<br />

Oggi la mente barcolla, e non per eccesso di ansia o di povertà. La telefonata di stamattina riempie<br />

la vita e nello stesso tempo significa la propria volontà di affetto: è tutto quello che si può avere, è<br />

tutto quello che si è capaci, oggi, di ricevere. E’ moltissimo. Basterebbe uscire di casa, infatti: fuori<br />

il mondo è barbaro e offre amore, come può e sa. La mente oscilla tra stanchezza – che non ha<br />

paragone con il lavoro fatto, moltissimo ma non faticoso per il corpo – e iperattività. Un lampo su<br />

occhi verdi e capelli biondi è stato la prima eccitazione della giornata: anche quel lampo era della<br />

mente; non era né un ricordo né un progetto, ma un’associazione di idee; di questa, come di tutto,<br />

qui si dà testimonianza. È, per ora, l’unica luce, ma è luce.<br />

45


Il nuovo fu presto, perché la preparazione fu lunga. Visto nascere, non era nuovo: era la versione<br />

orale e visibile di un continuum non orale e non visibile, ma ben presente e con forza, a volte.<br />

Febbraio, marzo, aprile, maggio, giugno, luglio dell’anno 2004 conoscono bene questo passaggio, o<br />

questi crolli. Nel telefono «basta colpi», sussurra l’amica; sì, basta colpi, è troppo. Senza una bava<br />

di vento la tenda di seta non si sposta di un millimetro: una fascia viola, sul bianco, la corona. Più<br />

che due modi, sono due mondi o due considerazioni, che vedono la vita in modo opposto. La<br />

conciliazione umanistica non si vede più. Quello che è, stato, quello che è stato, fatto, quello che è<br />

sempre possibile, da fare. Questa invenzione può seguitare a lungo: è la strofa lunga. Il nuovo è<br />

collegato a cose non nuove, ma non nasceva morto. Nasceva già visto, non irraggiungibile in nulla.<br />

Dal nostro orizzonte ora è stata sottratta Firenze, che era cara. La frase non farti più vedere pesa<br />

ancora: da tanta voce fu detta.<br />

Assai visto, ma non abbastanza. Abbastanza per contestare l'isolamento come teoria e dannazione, e<br />

la ricerca di compagnia come fuga dalla solitudine: ne l'uno né l'altro sono operazioni utili, o buone,<br />

o con dolcezza. Non servono a tutti i costi, semplicemente. Mo' sto bbene, dice Accattone, e così<br />

dice bene. Sia maledetto il principio narcisistico del rispecchiamento: l'amore ama tutto, l'amore<br />

ama anche i difetti, o non è amore (sono ancora lontano dall'amore, dato e ricevuto; sono ancora<br />

lontano dal vedermi amato, se l'amore è così ed è questo – tranne mia madre). A questo voglio<br />

arrivare, se potrò essere padre di figli «come virgulti d'ulivo», nati da una «vite feconda». Sia<br />

maledetta la paura del nuovo spirituale, di cui il nuovo materiale è la parodia (vergognosa). Sia<br />

benedetto Chi sa operare mirabilmente. Siano benedetti gli angeli: non i lettori, non le immagini che<br />

consolano un bisogno infantile; ma gli Angeli, uno per uno, che vanno e vengono. Dunque sia<br />

benedetto il Cielo di Dio.<br />

Così radicata nel corpo caldo e così sciolta, si dice l’ANIMA, ha posto radici in altri campi. Così<br />

noi stessi, al suo esempio. Come sono ora, lenti, i passi della donna giovane, che scende la scala<br />

verso il porto; come la sua gonna è lenta, lunga, vista da quindici metri di altezza: dalla torre, che<br />

sta sulla collina, e che è sopra il mare. Un semplice appartamento bianco, rifatto come osservatorio<br />

del mondo e culla. Anche la velocità del fiato diminuisce, tranne l’ansia del risveglio. Per evitare il<br />

secco si dà da bere alle piante; piove prestissimo, dopo. Piace vedere il mondo, da questo luogo: io<br />

non sono vivo, o viva, tu non sei morto, o morta. E l’amico confessa di amare troppo suo figlio:<br />

questo amore non crea la pace in casa: la sua esistenza non è più sufficiente. (Non è il vero amore?<br />

Per un figlio proprio? Ogni possesso è geloso). Così in una fase di grande sonno: queste apparizioni<br />

si ricongiungono in quei passi lenti, nella gonna viola, nel serpente largo della strada dall’alto; che è<br />

in discesa e può sedurre.<br />

46<br />

Massimo Sannelli


47<br />

PUNTASPILLI<br />

1. In un’intervista radiofonica il neuropsichiatra infantile Giovanni Bollea ha espresso diversi<br />

autorevoli pareri sul mondo della scuola. Ritiene che la società non si occupi – con il dovuto<br />

impegno – dell’adolescente. C’è – a suo avviso – troppo iatus tra scuola e società. Scuola,<br />

società e famiglia devono essere un tutt’uno.<br />

GIOVANNI BOLLEA in I luoghi della vita, trasmissione a cura di Roberto Andreotti e Federico De Melis,<br />

Radio3, ore 15.45, 14 marzo 2004.<br />

2. Su Il Secolo XIX Daniele Luttazzi, intervistato dalla giornalista Nuccia Cifarelli, fa il punto<br />

della situazione su vari argomenti. Riportiamo questo brandello:<br />

[...]. In Italia la censura è sempre esistita ma mai esibita in maniera così smaccata come<br />

oggi. Al momento ritengo non servano tanto autori satirici quanto scuole pubbliche efficienti<br />

che insegnino agli studenti a leggere i giornali. Vorrei infatti proporre che chi va a votare<br />

debba possedere almeno un minimo di informazione. Non è possibile che il 40% di individui<br />

che con fatica si istruiscono e cercano di votare con coscienza debbano dipendere dalle<br />

scelte elettorali di quel 60% che, secondo recenti dati, non legge e si lascia persuadere da<br />

slogan e demagogia a buon mercato. [...].<br />

NUCCIA CIFARELLI, Luttazzi e il sesso, in Il Secolo XIX, Genova, martedì 23 marzo 2004, p.14.<br />

3. Il giornalista Federico Grasso, in un resoconto su un ciclo di conferenze tenuto a Genova<br />

presso l’Istituto Scolastico Vittorino da Feltre sul tema relativo alla libertà della scienza e<br />

delle morali religiose, riporta alcune riflessioni; ne proponiamo una.


Da circa quarant’anni l’Italia è in regresso: si è creduto di modernizzare il paese senza<br />

puntare sulla ricerca scientifica. Così sono state smantellate l’industria chimica, poi la<br />

farmaceutica, l’informatica: per ultimo è entrato in crisi il settore automobilistico<br />

FEDERICO GRASSO, La scienza e la fede, in Il Secolo XIX, Genova, martedì 6 aprile 2004, p.28.<br />

4. Il giornalista Edwin Rosasco, a colloquio con il regista Georges Lavaudant, fa cenno al<br />

problema del calo delle presenze negli spettacoli musicali in Italia.<br />

Legenda: - R – Rosasco; - L – Lavaudant.<br />

- R – Un problema non solo italiano?<br />

- L – Un calo che si registra ovunque, anche nelle grandi capitali, dove c’è una<br />

sovrabbondanza di offerta, che però viene assorbita con il turismo; una diminuzione<br />

di pubblico che riguarda soprattutto la musica da camera, ma tocca anche la<br />

sinfonica e l’opera.<br />

- R –E in Italia?<br />

- L – In Italia la situazione è aggravata dal “buco nero” di un’educazione musicale che<br />

manca, che crea un’ulteriore differenza con l’estero: qui il concerto di un famoso<br />

quartetto d’archi può anche andare deserto!<br />

W. EDWIN ROSASCO, Agenti musicali dal mondo si danno convegno a Genova, in Il Secolo XIX, Genova,<br />

giovedì 15 aprile 2004, p.16.<br />

5. Lorin Maazel, durante un intervista, non si esime dal dare un rapido giudizio sullo stato di<br />

salute della didattica musicale.<br />

Legenda: - C – Andrea Casazza, giornalista; - M – Lorin Maazel.<br />

- C – Cosa consiglierebbe a un giovane che non ha mai ascoltato “Fidelio” e che verrà<br />

al Carlo Felice?<br />

- M – Il problema è che oggi la musica classica non è insegnata così come dovrebbe e<br />

quello che non si conosce risulta sempre più difficile, antipatico.<br />

ANDREA CASAZZA, Maazel: «Beethoven denuncia tutte le tirannie del mondo», in Il Secolo XIX, Genova,<br />

sabato 17 aprile 2004, p.15.<br />

6. Dalla rubrica del Decimonono relativa alle lettere inviate al quotidiano genovese ne<br />

estraiamo una che parla di scuola:<br />

Luisa Forti<br />

AL LICEO CON TABÙ<br />

Sento da amici, che hanno una figlia in quella scuola, che in un Istituto magistrale di<br />

Genova, ora Liceo pedagogico, la preside ha chiesto ai genitori una autorizzazione scritta o<br />

manleva per far seguire ai propri figli una lezione tenuta da uno psicologo, in orario<br />

scolastico, sul tema “omosessualità”.<br />

Anch’io ho studiato in quella scuola, quando era ancora l’antico Istituto magistrale e ricordo<br />

che la mia ottima insegnante di filosofia e psicologia, quando spiegava Platone, ci spiegava<br />

anche l’omosessualità presso gli antichi greci e, nelle ore di psicologia, parlando di<br />

adolescenza e di sessualità, non aveva difficoltà ad affrontare anche temi scabrosi, mentre il<br />

48


mio bravo professore di lettere, traducendo i poeti d’amore latini, con grande serenità e<br />

senza scandalo rispondeva alle nostre domande in merito.<br />

Tutto questo avveniva tra le mura della scuola senza che ai nostri genitori venisse chiesto di<br />

firmare alcuna autorizzazione!<br />

Cosa succede ora? È paura? La scuola non sa più assumersi la propria responsabilità<br />

educativa? O è soltanto incultura?<br />

Flavia Marchiori Centa<br />

Genova<br />

_______________________<br />

Cara amica, è molto grave che la scuola non sappia più assumersi il diritto-dovere di<br />

spiegare ai giovani tutto quello che va loro spiegato. Al D’Oria, quando ero studentessa sotto<br />

la gestione del “sensibile” Italo Malco, i professori ci raccontavano dell’omosessualità dei<br />

filosofi greci e delle vicende di Lesbia e Catullo. Il tutto, senza alcuna manleva dei genitori<br />

che, anzi, nulla sapevano delle nostre dotte lezioni. La serenità ha sempre accompagnato,<br />

così, i nostri studi. Secondo me, oggi, c’è la paura: che genera incultura.<br />

LUISA FORTI, Al liceo con tabù, in Il Secolo XIX, Genova, lunedì 26 aprile 2004, p.20.<br />

7. In merito al progetto enunciato da Vincenzo Lorenzelli, presidente della Fondazione<br />

Carige, di finanziare la ricerca investendo soprattutto sui giovani, il Decimonono intervista<br />

diversi esponenti del mondo accademico genovese. Riproduciamo un passo di questa<br />

miniserie di interviste.<br />

[...].<br />

L’intervento più coraggioso è di Adriano Giovannelli, preside di Scienze Politiche, che<br />

senza mezzi termini osserva:«Fa bene Lorenzelli a riportare l’attenzione sui giovani<br />

ricercatori, che interessano poco perché non votano: sono in minoranza nei consigli di<br />

facoltà, non partecipano alle scelte del senato accademico. L’Università è diventata<br />

autoreferenziale, con scarsa o nulla capacità di farsi carico di chi sta fuori e deve entrare».<br />

[...].<br />

***, Giovannelli: «Giusto puntare sui giovani», in Il Secolo XIX, Genova, martedì 27 aprile 2004, p.37.<br />

8. In un’intervista pubblicata sul Decimonono, Uto Ughi risponde ad alcune domande postegli<br />

da Edwin Rosasco. Riproduciamo le battute che riguardano le tematiche a noi care.<br />

Legenda: R = Rosasco; U = Uto Ughi.<br />

- R – L’Italia possiede un patrimonio musicale ricco, ma lei denuncia spesso la<br />

situazione tragica della diffusione e dell’educazione musicale.<br />

- U – Bisogna essere costruttivi. Ho parlato con i ministri Urbani e Moratti ed<br />

entrambi mi hanno dimostrato gentilezza e attenzione: ma non bastano le belle<br />

parole. Bisogna far capire ai giovani che esiste un altro tipo di musica e<br />

fargliela conoscere. Poi sceglieranno quella che preferiscono. Ma un cambio<br />

generazionale ci vuole. E la tv ha le sue responsabilità: non si può<br />

programmare un concerto di Abbado alle due del mattino.<br />

- R – Che diffusione musicale suggerisce all’Italia?<br />

- U – Tenere porte aperte ai giovani, già preparati da presentazioni piacevoli, non<br />

noiose. Radio e tv potrebbero fare la loro parte, come le trasmissioni di<br />

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Leonard Bernstein anni fa. Io suonerei gratuitamente dovunque vedessi un<br />

impegno serio.<br />

W. EDWIN ROSASCO, La promessa di Ughi: suonerei anche gratis per far amare la musica, in Il Secolo<br />

XIX, Genova, venerdì 14 maggio 2004, p.15.<br />

50<br />

DEMOCRAZIA<br />

1. Il giornalista Nicola Lopreiato, 47 anni, capo servizio della Gazzetta del Sud di Vibo<br />

Valentia, è stato spintonato e preso a calci da un uomo della scorta del ministro della salute,<br />

Girolamo Sirchia. Il fatto, secondo quanto denunciato dall’interessato, è avvenuto ieri poco<br />

prima che terminasse la visita del ministro al nosocomio vibonese. Accompagnato al pronto<br />

soccorso, il giornalista è stato medicato e dichiarato guaribile in cinque giorni.<br />

«Mi stavo avvicinando al ministro che si trovava nel piazzale dell’ospedale per un’intervista<br />

quando un uomo della scorta mi ha preso dal collo e mi ha spintonato sui cespugli del<br />

marciapiede dell’ospedale dandomi un calcio sulla schiena. La cosa che più mi addolora è<br />

che il ministro di fronte alla scena sia rimasto impassibile».<br />

Giornalista picchiato dalla scorta di Sirchia, in Il Secolo XIX, Genova, venerdì 26 marzo 2004, p. 7.<br />

2. Daniel Oren, intervistato da Edwin Rosasco sull’allestimento della Tosca, pronuncia la<br />

frase che amiamo riportare qui sotto.<br />

[...]. Un altro tema rilevante – e molto attuale – è quello della polizia segreta, del regime<br />

totalitario che, dove c’è, è intriso di corruzione fino ai più alti ranghi. [...].<br />

W. EDWIN ROSASCO, Oren:«Ecco la mia Tosca», in Il Secolo XIX, Genova, giovedì 25 marzo 2004, p. 14.


51<br />

FARFALLE METROPOLITANE<br />

1. In Piazza De Ferrari a Genova, a partire dal mese di febbraio, ho notato un elegante<br />

inserto a fumetto sul manifesto della mostra “L’età di Rubens”. Documento l’arguta burla<br />

(o – se si preferisce – l’anonimo suggerimento) con due fotografie.


2. Genova. Maggio 2004. Sulla facciata dell’Istituto Scolastico Maria Ausiliatrice di Corso<br />

Sardegna 86 ho letto questa frase:<br />

L’AMICIZIA E L’AMORE<br />

X TE SON SOLO PAROLE<br />

52


53<br />

CASA DELLE DONNE 1998-2004<br />

Nazifa<br />

16 anni, rom, sposata<br />

Sono una ragazza Rom di sedici anni, analfabeta e separata da mio marito. Prima<br />

andavo a scuola ma, visto che la nostra casa era lontana dalla scuola, nessuno aveva<br />

tempo di accompagnarmi a scuola almeno durante il primo anno. Dopo, la mia<br />

mamma aveva bisogno del mio aiuto in casa, a causa degli altri bambini. La mia<br />

famiglia non notava la mia esistenza e questo fino al momento in cui sono scappata<br />

di casa e mi sono sposata con la creatura che desideravo di più, mio marito. Allora<br />

sono venuti a cercarmi e con violenza mi hanno portata via dalla casa di mio marito.<br />

Quando siamo arrivati a casa, il mio papà, mia madre e mio fratello mi hanno<br />

picchiata ed avevo lividi per tutto il corpo. Sono scappata di nuovo. Questa volta<br />

hanno reagito più presto, mi hanno presa la stessa notte e dandomi dei calci, mi<br />

hanno trascinata via. Sono riuscita a scappare e sono corsa alla polizia. Adesso sono<br />

nel rifugio, ho paura ma finalmente capisco che ho un’identità e so quello che voglio.<br />

Voglio stare con il mio amato. Con lui sento che finalmente sono importante a<br />

qualcuno.<br />

[Segue traduzione in lingua inglese].<br />

[Si tratta di una delle tante didascalie presenti alla mostra di Sanja Iveković, “Casa delle donne<br />

1998 2004”, nella quale l’Artista espone dei calchi in gesso di volti femminili appartenenti a<br />

persone che hanno ripetutamente subito violenze in ambito familiare. Queste sculture, che<br />

richiamano le maschere mortuarie, sono posate su parallelepipedi ricoperti da specchi che ora<br />

riflettono le sontuose decorazioni parietali ed ora i corpi degli spettatori che si avvicinano alle<br />

opere e agli stati d’animo delle protagoniste creando un assemblage intimo, effimero e inquietante<br />

di corpi – riluttanti – e maschere].


54<br />

SCHELETRI NELL’ARMADIO<br />

E R I C H F R O M M<br />

Guido Ferrari, autore di documentari televisivi di carattere culturale, intervista Erich Fromm. Nel<br />

brano che riportiamo non si parla direttamente di scuola, ma è più che evidente che essa è<br />

chiamata in causa come istituzione sociale.<br />

Legenda: GF = Guido Ferrari; EF = Erich Fromm.<br />

- GF – Professor Fromm, perché l’uomo, come lei ha detto, ha paura della libertà?<br />

- EF – Ho cercato di spiegarlo in un libro, in Escape from Freedom, in italiano Fuga dalla<br />

libertà.<br />

L’uomo crede di volere la libertà. In realtà ne ha una grande paura. Perché? Perché la libertà<br />

lo obbliga a prendere decisioni, e le decisioni comportano rischi. E poi quali sono i criteri su<br />

cui può basare le sue decisioni? L’uomo è abituato che gli si dica cosa deve pensare, anche<br />

se gli si dice che deve essere veramente convinto di ciò che pensa. Ma l’uomo sa che questo<br />

è un trucco, perché ci si aspetta da lui cose ben determinate. Ciò dipende dalla situazione<br />

sociale. Deve cioè pensare ciò che è più utile al funzionamento della società esistente. Non<br />

deve pensare ciò che può essere dannoso o che crea troppe frizioni. Certo deve poter fare un<br />

po’ di critica, affinché non pensi che non abbia critiche da fare, ma ciò deve essere limitato<br />

in modo che non sia sabbia negli ingranaggi.<br />

- GF – Per questo lei sostiene che l’uomo vuole sottomettersi all’autorità …<br />

- EF – Sì, perché ha paura della libertà. Perché deve decidere lui stesso e ciò comporta dei<br />

rischi – può danneggiarsi –, perché deve assumersi tutta la responsabilità. Se invece si<br />

sottomette a un’autorità, allora può sperare che l’autorità gli dica quello che è giusto fare, e<br />

ciò vale tanto più se c’è un’unica autorità – come è spesso il caso – che decide per tutta la<br />

società cosa è utile e cosa invece è nocivo.<br />

- GF – Le difficoltà che incontra l’uomo nel realizzarsi dipendono solo da lui o anche dalla<br />

società?


- EF – La società non lo vuole. Scopo della società d’oggi non è di realizzare l’uomo. Scopo<br />

della società è il profitto del capitale investito e, se si vuole aggiungere, anche il<br />

raggiungimento di condizioni più favorevoli all’uomo, o meno sfavorevoli. Ma lo scopo<br />

della società contemporanea non è l’uomo, è invece il profitto, non inteso come avidità, ma<br />

nel senso della massima economicità del sistema. Il profitto non è, come una volta,<br />

soprattutto l’espressione di uomini avidi, cioè di uomini che vogliono guadagnare il più<br />

possibile – ma ve ne sono molti anche oggi –; la cosa più importante è che il profitto<br />

costituisce il metro del comportamento razionale e giusto. Il manager che ha ottenuto un<br />

profitto dimostra con ciò di avere lavorato razionalmente, e tanto più alto è il profitto, tanto<br />

migliore, tanto più giusta, tanto più razionale è stata la sua attività.<br />

- GF – Ciò mi fa pensare anche alla razionalità burocratica, una caratteristica della nostra<br />

organizzazione sociale.<br />

- EF – È uno dei mali più gravi per la vita dell’uomo. Il fenomeno burocratico significa,<br />

infatti, che una classe professionale ben precisa si assume il compito di amministrare e<br />

regolare i pensieri degli altri. Per finire, i burocrati diventano i veri potenti, i dirigenti della<br />

società. Ma cosa li legittima? Quali capacità hanno se non ottusità, se non l’incapacità di<br />

essere vivi, se non la tendenza a incasellare, a voler fare sempre le stesse cose? Hanno<br />

paura del nuovo, del fresco, dell’avventura, di tutto ciò che rende la vita interessante.<br />

ERICH FROMM Il coraggio di essere. Intervista di Guido Ferrari, Bellinzona, Casagrande, 2000, pp.27-30.<br />

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