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Interpretazioni della Rivoluzione americana_a (scheda 2) - efemeridi.it

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2. La rivoluzione atlantica<br />

A giudizio di Godechot (La Grande Nazione, 1956) la <strong>Rivoluzione</strong> francese non è un fatto isolato, come lo videro gli storici<br />

dell'Ottocento, ma l'aspetto saliente di una più vasta rivoluzione, che investì i paesi dell’area europeo-<strong>americana</strong> o, come<br />

suol dirsi, atlantica, tra la fine del secolo XVIII e l’inizio del XIX. «Non già una serie di rivoluzioni isolate e scarsamente<br />

collegate tra loro, ma una grande rivoluzione occidentale o atlantica nella quale si possono distinguere una "fase<br />

<strong>americana</strong>" e una "fase francese"». «Non si può non restar colp<strong>it</strong>i», osserva Godechot, «dalla successione rapida delle<br />

rivoluzioni tra il 1763 e il 1848». Quali furono le ragioni che determinarono queste rivoluzioni pol<strong>it</strong>iche «a catena», destinate<br />

a provocare «una profonda rivoluzione economica, industriale, agricola, sociale»? Lo storico indica varie componenti: le<br />

nuove idee band<strong>it</strong>e dagli illuministi, lo squilibrio delle strutture sociali, la congiuntura economica (rialzo dei prezzi,<br />

diminuzione del potere di acquisto per l'operaio, l'artigiano e il lavoratore agricolo a giornata, crisi degli<br />

approvvigionamenti in conseguenza di cattivi raccolti), la continua cresc<strong>it</strong>a <strong>della</strong> popolazione (rivoluzione demografica). Nei<br />

paesi ad est dell’Elba (Russia, Prussia), ma anche in Austria e in Spagna, i sovrani illuminati, sostenuti da quella parte<br />

dell'aristocrazia che ha letto i «philosophes», si sforzarono di risolvere i problemi posti dalla rivoluzione demografica e dalla<br />

congiuntura economica procedendo sulla via delle riforme; ma ciò non si verificò nell’Europa occidentale e in America, ove le<br />

classi aristocratiche e quelle borghesi erano ormai orientate verso il liberalismo pol<strong>it</strong>ico, cioè intendevano avere parte nel<br />

governo dei rispettivi paesi. Su questa via, ossia quella <strong>della</strong> <strong>Rivoluzione</strong>, la borghesia trovò alleate le classi popolari, che<br />

fornirono «la massa d 'urto che le era indispensabile per condurre a buon fine la <strong>Rivoluzione</strong> stessa» .<br />

La tesi <strong>della</strong> «rivoluzione dell'Occidente» o <strong>della</strong> «rivoluzione atlantica», per usare l'espressione dello storico americano R<br />

Palmer, ha sollevato obbiezioni e riserve. Soprattutto C. Lefebvre e, dopo di lui, A. Soboul hanno posto in evidenza il pericolo<br />

di «stemperare» in un contesto rivoluzionario di così ampia portata le caratteristiche peculiari <strong>della</strong> <strong>Rivoluzione</strong> francese, di<br />

allinearla ad altri moti che conservano caratteri regionali e si muovono in un amb<strong>it</strong>o pol<strong>it</strong>ico diverso, sostanzialmente<br />

moderato.<br />

Soltanto per una cattiva ab<strong>it</strong>udine si è comunemente parlato sempre di una «<strong>Rivoluzione</strong> francese». Questa<br />

espressione fa credere che alla fine del secolo XVIII si sia sviluppata in Francia una rivoluzione assolutamente isolata e senza<br />

alcun rapporto con gli avvenimenti che si produssero nel resto del mondo nella medesima epoca. Tale era la visione <strong>della</strong><br />

maggior parte degli storici <strong>della</strong> <strong>Rivoluzione</strong> francese sino a poco tempo fa; tutt'al più, essi concedevano una certa influenza<br />

sulla <strong>Rivoluzione</strong> francese alla rivoluzione <strong>americana</strong>, anch’essa concep<strong>it</strong>a come un fenomeno isolato: a questa maniera di<br />

vedere si conformarono tutti gli storici del XIX secolo e specialmente i più celebri tra loro fra cui Thiers, Mignet, Michelet,<br />

Tocqueville; né diversamente si può dire per quelli che tra gli storici sono assai spesso classificati come «scientifici» e che<br />

furono i nostri maestri: Aulard e Mathiez. «La <strong>Rivoluzione</strong> francese - scrive quest'ultimo - sorprese per la sua irresistibile<br />

sub<strong>it</strong>ane<strong>it</strong>à... Scoppiò dal divorzio sempre più profondo di giorno in giorno tra la realtà e le leggi, tra le ist<strong>it</strong>uzioni e i<br />

costumi, tra la lettera e lo spir<strong>it</strong>o...». Ma Albert Mathiez non si domanda se questo divorzio fosse particolare alla Francia o<br />

se lo si r<strong>it</strong>rova all’origine delle altre rivoluzioni che si moltiplicano alla fine del secolo XVIII e all'inizio del XIX. In ver<strong>it</strong>à fu<br />

fuori <strong>della</strong> Francia che gli storici, indagando la propria storia nazionale, riconobbero alle rivoluzioni dei loro paesi delle<br />

cause, alcune particolari ed altre analoghe a quelle <strong>della</strong> <strong>Rivoluzione</strong> francese. I primi a sviluppare queste idee sembra siano<br />

stati gli storici <strong>it</strong>aliani. Nel secolo scorso ed agli inizi del secolo presente, la maggior parte degli storici del Risorgimento<br />

ricollegavano le origini di questo moto nazionale alla <strong>Rivoluzione</strong> francese, o almeno alla relativa unificazione dell'Italia<br />

sotto lo scettro di Napoleone. [...]<br />

Gli storici americani, analizzando le cause <strong>della</strong> rivoluzione degli Stati Un<strong>it</strong>i e paragonandole alle cause <strong>della</strong><br />

<strong>Rivoluzione</strong> francese, hanno anch’essi concluso che alla fine del secolo XVIII e all'inizio del secolo XIX vi fu non già una serie<br />

di rivoluzioni isolate e scarsamente collegate tra loro, ma una grande rivoluzione occidentale o atlantica nella quale si<br />

possono distinguere una «fase <strong>americana</strong>» e una «fase francese». [...]<br />

In Francia questo modo d'intendere la <strong>Rivoluzione</strong> si è fatto strada solo in questi ultimi anni con la nuova edizione<br />

<strong>della</strong> Révolution française di Georges Lefebvre, pubblicata nel 1951, nella quale l'autore consacra un importante cap<strong>it</strong>olo<br />

alla s<strong>it</strong>uazione del mondo verso la fine del secolo XVIII e mostra come, almeno nell'emisfero occidentale, esistesse una<br />

s<strong>it</strong>uazione o un «clima» rivoluzionario. Del resto non si può non restar colp<strong>it</strong>i dalla successione rapida delle rivoluzioni tra<br />

il 1763 e il 1848. [...]<br />

Queste rivoluzioni pol<strong>it</strong>iche provocarono una profonda rivoluzione economica, industriale, agricola, sociale. A<br />

parte il caso assolutamente particolare <strong>della</strong> Polonia, si può constatare che queste rivoluzioni si produssero in America e in<br />

Europa occidentale, cioè nei paesi rivieraschi dell’Atlantico. Quale meraviglia, se si considera che alla fine del secolo XVIII il<br />

mare era molto più «permeabile» <strong>della</strong> terra, che mercanzie ed idee vi camminavano più rapidamente? L' oro o il grano<br />

varcavano più rapidamente l'oceano che non i continenti e creavano da una parte e dall'altra dell'Atlantico condizioni economiche<br />

assai simili; le lettere e le stampe passavano cosi molto rapidamente da un continente all'altro: la Dichiarazione<br />

d'indipendenza degli Stati Un<strong>it</strong>i fu conosciuta a Parigi prima che in Georgia. Vi fu dunque una grande rivoluzione atlantica<br />

composta di parecchie rivoluzioni «a catena».<br />

[Godechot, La grande nazione.]<br />

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