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Le repubbliche giacobine in Italia (Scheda 1)

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Percorso 5/<strong>Scheda</strong> 1.<br />

Campagna napoleonica <strong>in</strong><br />

<strong>Italia</strong> (1796-1799)<br />

1796: Quale dei governi liberi<br />

meglio convenga alla felicità<br />

d’<strong>Italia</strong><br />

Repubblica cispadana<br />

(Emilia)<br />

Repubblica<br />

cisalp<strong>in</strong>a<br />

Repubblica transpadana<br />

(Lombardia)<br />

Repubblica ligure<br />

Trattato di Campoformio (1797)<br />

Annessioni di Piemonte e Toscana<br />

Repubblica romana (1798-99)<br />

Repubblica partenopea (1799)<br />

A Reggio sventola il primo<br />

tricolore verde, bianco e rosso<br />

Il sacrificio della patria nostra è<br />

consumato: tutto è perduto; e la vita,<br />

seppure ne verrà concessa, non ci<br />

resterà che per piangere le nostre<br />

sciagure, e la nostra <strong>in</strong>famia. (Foscolo)<br />

Abbattuta da <strong>in</strong>sorgenti<br />

e sanfedisti<br />

I disord<strong>in</strong>i delle <strong>repubbliche</strong> <strong>in</strong>dipendenti, la lentezza e la gelosia delle <strong>repubbliche</strong> confederate <strong>in</strong>vitano l’<strong>Italia</strong> ad unirsi <strong>in</strong> una<br />

sola repubblica <strong>in</strong>divisibile. Difatti la natura del territorio italiano, le cui parti avvic<strong>in</strong>ate tra di loro non sono separate da alcun<br />

ostacolo naturale […] l’impotenza di ciascuna città a resistere sola alla forza, all’avvedutezza, all’ambizione degli <strong>in</strong>vasori, l’unione<br />

che può dare allo masse italiane quella solidità onde renderle lo scoglio eterno de’ conquistatori, l’esperienza del passato che<br />

ricorda all’<strong>Italia</strong> che divisa fu conquistata e tiranneggiata dalle estere nazioni[…]; il commercio che è arrestato dappertutto da<br />

mille ostacoli sollevati dalla gelosia di piccoli Stati <strong>in</strong>dipendenti e rivali […];la grandezza degli oggetti politici che, togliendo di<br />

mezzo le piccole passioni, tiene gli uom<strong>in</strong>i <strong>in</strong> una distanza che annienta gl’<strong>in</strong>teressi, e le particolari gelosie madri di discordie e di<br />

sedizioni; la religione che unisce tutta l’<strong>Italia</strong> sotto d’uno stendardo comune; gli stessi comuni che danno alla pubblica op<strong>in</strong>ione la<br />

direzione stessa e ne costituiscon la forza; la stessa l<strong>in</strong>gua che facilita la comunicazione de’ sentimenti e ci ricorda la stessa orig<strong>in</strong>e;<br />

lo stesso gusto per le arti, per le manifatture, per le scienze; gli stessi mali, le stesse speranze, gli stessi timori, <strong>in</strong> una parola il<br />

1<br />

fisico, il morale, il politico, tutto c’<strong>in</strong>vita ad unirci colla massima possibile strettezza nel seno d’una sola repubblica <strong>in</strong>divisibile.<br />

Mechiorre Gioia, per il concorso bandito dall’Amm<strong>in</strong>istrazione generale della Lombardia il 27 settembre 1796


1. <strong>Le</strong> ragioni del fallimento della Repubblica napoletana<br />

<strong>Le</strong> idee della rivoluzione di Napoli avrebbero potuto essere popolari ove si avesse voluto trarle dal fondo<br />

stesso della nazione. Tolte da una Costituzione straniera, erano lontanissime dalla nostra; fondate sopra idee<br />

astratte erano lontanissime da' sensi, e quel ch'è più si aggiungevano ad esse come leggi tutti gli usi, tutt'i<br />

capricci e talora tutt'i difetti di un altro popolo, lontanissimi dai nostri difetti, da' nostri capricci, dagli usi nostri.<br />

[...] Io forse non fo che pascermi di dolci illusioni. Ma se mai la Repubblica si fosse fondata da noi medesimi; se<br />

la Costituzione diretta dalle idee eterne della giustizia si fosse fondata sui bisogni e sugli usi del popolo; se<br />

un'autorità che il popolo credeva legittima e nazionale, <strong>in</strong>vece di parlargli un astruso l<strong>in</strong>guaggio che esso non<br />

<strong>in</strong>tendeva, gli avesse procurato de' beni reali e liberato lo avesse da quei mali che soffriva: forse allora il popolo<br />

non allarmato all'aspetto di novità contro delle quali aveva <strong>in</strong>teso dir tanto male; forse vedendo difese le sue<br />

idee ed i suoi costumi, senza soffrire il disagio della guerra e delle dilapidazioni che seco porta la guerra; forse ...<br />

chi sa? ... noi non piangeremmo ora sui miseri avanzi di una patria desolata e degna di una sorte migliore. [...]<br />

La nostra rivoluzione era una rivoluzione passiva, nella quale l'unico mezzo di riuscire era quello di<br />

guadagnare l'op<strong>in</strong>ione del popolo. Ma le vedute de' patrioti e quelle del popolo non erano le stesse: essi<br />

avevano diverse idee, diversi costumi e f<strong>in</strong>anche due l<strong>in</strong>gue diverse. [...] La nazione napoletana si poteva<br />

considerare come divisa <strong>in</strong> due nazioni diverse per due secoli di tempo e per due gradi di clima. Siccome la parte<br />

colta si era formata sopra modelli stranieri, così la sua coltura era diversa da quella di cui abbisognava la nostra<br />

nazione e che sola poteva sperarsi dallo sviluppo delle nostre facoltà: pochi erano divenuti francesi ed <strong>in</strong>glesi, e<br />

coloro che erano rimasti napoletani erano ancora selvaggi. Così la cultura di pochi non aveva giovato alla<br />

nazione, e cosi il resto della nazione quasi disprezzava una cultura che non l'era utile e che non <strong>in</strong>tendeva.<br />

[...] Ecco tutto il segreto delle rivoluzioni: conoscere ciò che tutto il popolo vuole e farlo; egli allora vi<br />

seguirà: dist<strong>in</strong>guere ciò che vuole il popolo da ciò che vorreste voi ed arrestarvi subito che il popolo più non<br />

vuole; egli allora vi abbandonerebbe. [...] La mania di voler tutto riformare porta seco la controrivoluzione.<br />

Il male delle idee troppo astratte di libertà è quello di toglierla mentre la vogliono stabilire. La libertà è<br />

un bene perché produce molti altri beni, come la sicurezza, l'agiata sussistenza, [...] l'esenzione dei tributi e tanti<br />

altri beni sensibili, i quali perché il popolo ama vien poi ad amare la libertà. [...] La nazione napoletana voleva<br />

esser sgravata da' tributi, voleva esser liberata dal giogo de' baroni, voleva la divisione di quelle immense terre<br />

accumulate nelle mani de' baroni, degli ecclesiastici, del fisco. Questo era il voto di tutti e quest'uso fecero della<br />

loro libertà quelle popolazioni che da per loro stesse si democratizzarono, e dove non pervennero, sol<br />

pervennero tardi, gli agenti del governo, e de' francesi. Campagna, Controne, Albanella, Altavilla si divisero i<br />

terreni, che prima appartenevano alla caccia di Persano. [...] In Picerno appena il popolo <strong>in</strong>tese l'arrivo de'<br />

francesi corse seguendo il suo parroco alla chiesa a render grazie al «Dio d'Israele che aveva visitato e redento il<br />

suo popolo». Dalla chiesa passò ad unirsi <strong>in</strong> parlamento, ed il primo uso che fece della sua libertà fu quello di<br />

chieder conto dell'uso che per sei anni si era fatto del pubblico danaro. Non tumulti, non massacri, non violenze<br />

accompagnarono la rivendicazione dei suoi diritti. [...] Il secondo uso della libertà fu di rivendicare le usurpazioni<br />

del feudatario. E quale fu il terzo? quello di far prodigi per la libertà; quello di battersi f<strong>in</strong>o a che ebbero<br />

munizioni, e quando non ebbero più munizioni per aver del piombo risolvettero <strong>in</strong> parlamento di fondersi tutti<br />

gli organi delle chiese ... «I nostri santi, si disse, non ne hanno bisogno».<br />

[V. Cuoco, Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli]<br />

2. L’esperienza rivoluzionaria <strong>in</strong> <strong>Italia</strong>, nel triennio 1796-99<br />

Riallacciandosi ( e <strong>in</strong> buona parte travisando) a quanto scritto dal Cuoco, e da alcuni altri contemporanei<br />

e protagonisti di quegli avvenimenti, [...] si è sostenuto che tutta l'esperienza rivoluzionaria del triennio sarebbe<br />

stata completamente negativa, non solo e non tanto perché effimera, ma perché ad essa erano mancate<br />

completamente -s<strong>in</strong> le premesse più elementari. <strong>Le</strong> aspirazioni dei rivoluzionari, dei patrioti, dei «giacob<strong>in</strong>i» non<br />

avrebbero <strong>in</strong>fatti avuto nulla <strong>in</strong> comune con quelle del popolo e, anzi, avrebbero contrastato totalmente con<br />

esse. Il popolo avrebbe così passivamente subito una rivoluzione che non capiva e che contrastava con i suoi<br />

sentimenti ed <strong>in</strong>teressi e sarebbe, di fronte agli eccessi dei rivoluzionari, <strong>in</strong>sorto subito contro di essa. In realtà,<br />

2


come vanno dimostrando gli studi più recenti, questa <strong>in</strong>terpretazione appare oggi sempre meno sostenibile, sia<br />

che si approfondisca il vero atteggiamento delle masse popolari nel '96-'99, sia che si approfondisca la realtà del<br />

«giacob<strong>in</strong>ismo» e la si studi non più sulla base di schemi artificiosamente costruiti, ma per quella che essa fu<br />

veramente.<br />

Ad un esame spregiudicato appare così subito chiara la <strong>in</strong>sostenibilità della tesi della rivoluzione passiva<br />

così come teorizzata dagli epigoni del Cuoco. Parlare di rivoluzione passiva per il '96- '99 è <strong>in</strong>fatti storicamente<br />

giusto, a condizione però che non si prenda tale def<strong>in</strong>izione come punto di partenza bensì come punto di arrivo;<br />

a condizione cioè di rendersi concretamente conto di come sia stato possibile giungere ad essa, delle cause che<br />

determ<strong>in</strong>arono la «passività» delle masse popolari verso la rivoluzione e, addirittura, la loro rivolta contro di<br />

essa.<br />

Alla vigilia dell'<strong>in</strong>vasione francese il disagio e il malcontento erano diffusissimi tra le masse popolari,<br />

specie tra quelle contad<strong>in</strong>e, di tutta la penisola. Pur rimanendo assolutamente estranee ad ogni ideologia<br />

rivoluzionaria, queste masse sentivano profondamente un'esigenza eversiva nei confronti dell'assetto sociale<br />

esistente. […]<br />

L'avanzata dei Francesi non pose certo f<strong>in</strong>e né a quel disagio e malcontento, né a questa esigenza<br />

eversiva. Essi <strong>in</strong>fatti furono, seppur confusamente e <strong>in</strong> modo contraddittorio, sempre vivi e presenti anche<br />

laddove la paura dei Francesi provocò movimenti popolari che si potrebbero def<strong>in</strong>ire già di tipo sanfedistico,<br />

prendendo corpo <strong>in</strong> manifestazioni rivoluzionarie elementari proprio <strong>in</strong> occasione di quei movimenti. [...]<br />

Salvo rari casi dovuti a circostanze locali e alle mene del clero reazionario, l'arrivo dei francesi non<br />

<strong>in</strong>contrò l'ostilità aperta delle masse popolari. Queste, <strong>in</strong> genere, si mantennero calme e non mancarono<br />

addirittura casi <strong>in</strong> cui dimostrarono il loro giubilo, tanto da destare la meraviglia degli stessi Francesi. V<strong>in</strong>cenzo<br />

Cuoco, nel suo Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799, ebbe a scrivere a proposito dello «stato<br />

della nazione napoletana» al momento dell'occupazione francese che il numero di coloro che «erano decisi per<br />

la rivoluzione, a fronte della massa <strong>in</strong>tera della popolazione, era molto scarso», limitandosi di fatto agli ambienti<br />

borghesi e <strong>in</strong>tellettuali. Nonostante ciò - egli proseguiva- «se lo stato della nostra nazione presentava grandi<br />

ostacoli, offriva, dall'altra parte, grandi risorse per menare avanti la nostra rivoluzione. [...] Si aveva una<br />

popolazione la quale, sebbene non avrebbe mai fatta la rivoluzione da sé, era però docile a riceverla da un'altra<br />

mano». [...]<br />

Ciò che occorreva era pertanto «ritrovare un <strong>in</strong>teresse comune, che chiamare e riunire potesse tutti gli<br />

uom<strong>in</strong>i alla rivoluzione». Questo giudizio del Cuoco (così lontano da ogni idea e teorizzazione della refrattarietà<br />

delle masse popolari alla rivoluzione che i suoi epigoni hanno voluto vederci) può essere esteso senza alcuna<br />

forzatura della realtà storica a tutta la penisola. Ovunque le masse popolari, urbane e contad<strong>in</strong>e, furono <strong>in</strong><br />

genere tutt'altro che aprioristicamente avverse ad una mutazione di regime. Certo esse erano estranee alle<br />

ideologie rivoluzionarie che non capivano e che spesso urtavano (specie nel campo religioso) le loro credenze;<br />

esse però capivano che la rivoluzione poteva f<strong>in</strong>almente realizzare le loro aspirazioni e l'attesero alla prova. «La<br />

gran massa della nazione - ebbe a scrivere ancora il Cuoco - <strong>in</strong>tese tranquillamente la rivoluzione e stette al suo<br />

luogo: le <strong>in</strong>sorgenze non vennero che molto dopo».<br />

L'<strong>in</strong>sorgenza e - là dove non si giunse all'aperta lotta armata - l'orientamento antirepubblicano<br />

sopravvennero solo <strong>in</strong> un secondo tempo (più o meno breve a seconda delle circostanze locali): solo quando le<br />

masse popolari videro che il nuovo regime era per essi peggiore dell'antico; quando videro il loro tenore di vita,<br />

già cosi basso, ancora peggiorare, quando si resero conto che le loro aspirazioni anche più elementari<br />

(soppressione del regime feudale, divisione delle terre feudali, recupero dei beni comunali sottratti loro nei<br />

decenni precedenti, dim<strong>in</strong>uzione del carico fiscale, conseguimento di migliori condizioni di lavoro) non avevano<br />

speranza di realizzarsi e che - al contrario - la rivoluzione significava per loro solo ruberie, requisizioni, carestia,<br />

carovita, disoccupazione, nuove contribuzioni. [...]<br />

[R. De Felice, <strong>Italia</strong> giacob<strong>in</strong>a, 1965]<br />

3


Eleonora de Fonseca Pimental. Nella breve vita della Repubblica la F. si ritagliò uno spazio suo proprio<br />

divenendo con il Monitore napoletano la più celebre "cronista". A Napoli, <strong>in</strong>fatti, come <strong>in</strong> tutti gli altri Stati<br />

italiani liberati dai Francesi subito nacque una nuova stampa politica della quale il Monitore fu l'esemplare più<br />

notevole.<br />

La pubblicazione del giornale venne annunziata con un manifesto di avviso […]: "si è annunziata la<br />

pubblicazione di un Monitore napoletano che darà notizia di tutte le operazioni del governo". Il primo numero<br />

di quattro pag<strong>in</strong>e, più un supplemento, uscì il 2 febbr. 1799, l'ultimo l'8 giugno con periodicità bisettimanale<br />

(martedì e sabato). […]<br />

Del Monitore la F. fu, s<strong>in</strong> dal primo numero, l'unica protagonista e come tale venne menzionata dalla<br />

diaristica napoletana a lei contemporanea. Sembra, non sapendosi di altri collaboratori, che la F. scrivesse da sé<br />

la più parte degli articoli, <strong>in</strong>formazioni, precisazioni che il giornale andava pubblicando e che pure direttamente<br />

raccogliesse le notizie partecipando alle sedute del governo provvisorio e alle manifestazioni e cerimonie della<br />

Repubblica. Dalle colonne del giornale ella si misurò con pressoché tutti i problemi cruciali che si posero <strong>in</strong> quei<br />

pochi mesi affrontandoli con stile semplice ed efficace e con notevole <strong>in</strong>dipendenza di pensiero. I rapporti con la<br />

Francia, che toccavano il delicatissimo punto dell'autonomia e piena sovranità del governo napoletano, furono<br />

trattati con grande cautela; ma il giornale non mancò di segnalare s<strong>in</strong>goli episodi di malcostume d i cui si resero<br />

protagonisti militari francesi […]. Essa credeva, <strong>in</strong> questo ricalcando il grande progetto giacob<strong>in</strong>o dell'educazione<br />

politica del popolo, che uno dei pr<strong>in</strong>cipali compiti della Repubblica fosse l'azione pedagogica rivolta verso la<br />

plebe. "La plebe diffida dei patrioti perché non l'<strong>in</strong>tende" scriveva sul Monitore (n. 3, 21 piovoso [9 febbraio]<br />

mentre <strong>in</strong>vitava "qualche zelante cittad<strong>in</strong>o a pubblicare delle civiche arr<strong>in</strong>ghe nel patrio vernacolo napoletano,<br />

onde così diffondere la civica istruzione <strong>in</strong> quella parte del popolo che altro l<strong>in</strong>guaggio non ha", e tentava una<br />

prima riflessione sui rapporti che la Repubblica doveva <strong>in</strong>trattenere con la plebe: "questa parte del popolo<br />

comprende non solo la numerosa m<strong>in</strong>uta popolazione della città, ma ben anche la più rispettabile delle<br />

campagne; e se sopra di questa parte poggia pur nelle Monarchie la forza dello Stato, vi poggia nella Democrazia<br />

la forza non solo, ma la sua dignità" (ibid.). La propaganda <strong>in</strong> dialetto napoletano, una gazzetta <strong>in</strong> vernacolo che,<br />

a spese del governo, fosse letta nelle piazze e riportasse i più importanti provvedimenti presi dalla Repubblica,<br />

teatri di buratt<strong>in</strong>i e cantastorie che trattassero "soggetti democratici", missioni civiche create sul modello delle<br />

preesistenti missioni religiose e affidate a ecclesiastici che avessero pratica di "persuasiva popolare" sono alcuni<br />

dei rimedi che la F. andò proponendo.<br />

Di fronte alle notizie di stragi e devastazioni che giungevano dalle prov<strong>in</strong>ce si opponeva alla pratica del<br />

terrore messa <strong>in</strong> opera dall'esercito francese contro gli <strong>in</strong>sorti, ricordando il terribile esempio della Vandea e<br />

l'<strong>in</strong>utilità della repressione ord<strong>in</strong>ata da M. Robespierre (ibid., n. 5, 28 piovoso [16febbraio]). Ancora ai primi di<br />

giugno, quando la f<strong>in</strong>e era prossima, protestava contro una legge che, ord<strong>in</strong>ando il sequestro dei beni degli<br />

<strong>in</strong>sorti da dest<strong>in</strong>arsi per metà ai soldati repubblicani, "promuove <strong>in</strong> materia così delicata un giudizio<br />

tumultuario..., quasi una dichiarazione di guerra e condanna anticipata de' privati benestanti cittad<strong>in</strong>i delle<br />

Comuni rivoltose" (ibid., n. 33, 13 pratile [1° giugno]). Dei provvedimenti economico-f<strong>in</strong>anziari presi dal nuovo<br />

governo, la legge di riforma dei banchi elaborata dalla Commissione legislativa le parve totalmente <strong>in</strong>sufficiente<br />

al f<strong>in</strong>e di una politica di risanamento f<strong>in</strong>anziario e al suo posto propose un suo progetto di riforma (ibid., n. 27,<br />

22 fiorile [11 maggio]) che le attirò le critiche del giacob<strong>in</strong>o Giornale estemporaneo (n. 8, 29 fiorile [18 maggio]).<br />

L'altro tema che la F. trattò ampiamente sulle pag<strong>in</strong>e del Monitore fu quello della legge sui feudi. Non vi era<br />

questione, nel Regno, che fosse stata così largamente dibattuta come quella feudale, così che "dopo la disfatta<br />

del trono, ragion volea che seguisse immediatamente nella nostra Repubblica l'abolizione dell'oppressione<br />

feudale" (n. 18, 20 germile [9 aprile]). Al contrario, avvenne che i dissensi furono tali che la legge fu approvata<br />

solo alla f<strong>in</strong>e di aprile, dopo una discussione che durò due mesi e quando ormai la controrivoluzione avanzava.<br />

Di quel dibattito la F. diede sul Monitore il resoconto più completo e lucido tra quelli lasciati dai contemporanei<br />

e, tra le due ipotesi che si opposero, quella radicale del Cestari e quella moderata di F.M. Pagano, appoggiò il<br />

progetto di G.L. Albanese che delle prime due costituiva una soluzione di compromesso (Galasso, 1989, pp. 633-<br />

660). Del resto essa sostenne sempre posizioni di grande equilibrio: "la saggia e sventurata Pimentel" dirà di lei<br />

4


V. Cuoco (p. XXXVIII), mentre Croce (1968, p. 52) del Monitore sottol<strong>in</strong>eerà "la calma e l'elevatezza morale".<br />

Quando ormai l'armata francese si apprestava a lasciare Napoli, la F. dapprima non volle credere alle<br />

"voci <strong>in</strong>giuriose" (Monitore, n. 23, 8 fiorile [27 aprile] per poi fare appello al "coraggio" e osservare che "un<br />

popolo non si difende mai bene che da se stesso ... perché la libertà non può amarsi a metà, e non produce i<br />

suoi miracoli che presso popoli tutti affatto liberi" (ibid., n. 28, 25 fiorile [14maggio]). Mentre gli avvenimenti si<br />

succedevano drammatici e rapidissimi sempre più, pubblicò, negli ultimi numeri dei giornale, solo notizie<br />

ufficiali e <strong>in</strong> quello dell'8 giugno, che fu l'ultimo, ancora riportava voci di vittorie repubblicane.<br />

Il 13 di giugno il card<strong>in</strong>ale F. Ruffo entrò nella città e il 19 fu firmata la capitolazione, <strong>in</strong> base alla quale i<br />

patrioti, che vi si erano r<strong>in</strong>chiusi, poterono lasciare i castelli e imbarcarsi sulle navi che dovevano portarli a<br />

Tolone. Ma il 30 giugno il re, rientrato a Napoli, dichiarava nulla la capitolazione e istituiva la Giunta di Stato. Dei<br />

"rei di Stato" furono compilate due liste delle quali una riservata agli ottanta patrioti oggetto della capitolazione<br />

con il Ruffo; per questi non si poteva eseguire la condanna a morte senza l'assenso regio. Non è certo che la F. si<br />

trovasse <strong>in</strong> questa lista; nell'agosto era comunque prigioniera sulle navi all'ancora <strong>in</strong> porto tra coloro che erano<br />

<strong>in</strong> attesa di giudizio. Per molti, la cui responsabilità fu ritenuta più lieve, venne autorizzata la partenza per la<br />

Francia e a tal f<strong>in</strong>e fu fatta loro firmare una "obliganza penes acta" <strong>in</strong> virtù della quale accettavano la condanna<br />

all'esilio r<strong>in</strong>unziando al processo: la F. era tra questi. Mentre le navi si apprestavano a partire la Giunta richiese<br />

lo sbarco di altri dieci patrioti per i quali, si disse, vi era stato un errore. La F. non figurava <strong>in</strong> questo elenco; ma<br />

due giorni dopo giunse la richiesta di far sbarcare anche lei, che venne r<strong>in</strong>chiusa nel carcere della Vicaria.<br />

Il processo fu istruito dal consigliere V. Speciale, il più <strong>in</strong>transigente dei giudici della Giunta, e il 17<br />

agosto fu pronunziata la sentenza di morte per impiccagione. La F. chiese che la condanna fosse eseguita<br />

tramite decapitazione, così come spettava ai nobili del Regno, ma il privilegio le fu rifiutato con il pretesto che il<br />

re aveva riconosciuto ai Fonseca solo la nobiltà portoghese. Il 18 fu trasferita nella cappella del castello del<br />

Carm<strong>in</strong>e e assistita dai padri della Compagnia dei Bianchi della giustizia. Il pomeriggio del 20 ag. 1799 <strong>in</strong>sieme<br />

con altri sette condannati, tra i quali G. Colonna, G. Serra, il vescovo M. Natale, fu condotta sulla piazza del<br />

Mercato dove "vestita di bruno, colla gonna stretta alle gambe" (De Nicola, <strong>in</strong> data 20 agosto), per ultima salì sul<br />

patibolo.<br />

http://www.treccani.it/enciclopedia<br />

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