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La scienza tra responsabilita e delirio di onnipotenza

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LA SCIENZA TRA RESPONSABILITÀ E DELIRIO DI ONNIPOTENZA<br />

Bertold Brecht I doveri dello scienziato verso la società. Con l'opera tea<strong>tra</strong>le intitolata Vita <strong>di</strong> Galileo, la cui<br />

redazione definitiva risale al 1956, il drammaturgo tedesco Bertolt Brecht (1898-1956) non intende ricostruire<br />

puntualmente la figura <strong>di</strong> Galileo, ma focalizzare i doveri che lo scienziato ha nei confronti della società. <strong>La</strong> scelta <strong>di</strong><br />

abiurare appare agli occhi <strong>di</strong> Brecht come un crimine nei confronti della società, perché ha arrestato il<br />

processo <strong>di</strong> affrancamento della <strong>scienza</strong> dal potere costituito. Una dolorosa autocritica. Nella scena finale<br />

dell'opera, da cui è <strong>tra</strong>tto il brano che viene <strong>di</strong> seguito proposto, Galileo compie una dolorosa autocritica<br />

osservando che, proprio nel momento in cui la <strong>scienza</strong> era uscita dal ristretto gruppo dei dotti per<br />

appassionare l'intera società, lui ha <strong>di</strong>sertato, in quanto ha scelto <strong>di</strong> proseguire i propri stu<strong>di</strong> e <strong>di</strong> restare<br />

aggrappato alle sue como<strong>di</strong>tà invece <strong>di</strong> porsi come capofila <strong>di</strong> un movimento <strong>di</strong> emancipazione. Al suo<br />

<strong>di</strong>scepolo Andrea Sarti, al quale affida la sua ultima opera, i Discorsi, affinché possa essere <strong>di</strong>ffusa, Galileo<br />

confida il senso della sua sconfitta, che consiste nel non aver operato in concreto per il bene del genere<br />

umano - «io credo che la <strong>scienza</strong> abbia come unico scopo quello <strong>di</strong> alleviare la fatica dell'esistenza umana» -,<br />

<strong>tra</strong>scurando le responsabilità che ogni scienziato ha nei confronti del proprio sapere. Gli effetti delle scoperte<br />

scientifiche. Composto in un momento storico nel quale, dopo l'impiego bellico delle scoperte atomiche, si<br />

levavano angosciose domande <strong>tra</strong> gli stessi uomini <strong>di</strong> <strong>scienza</strong> su quali fossero il loro ruolo e la loro<br />

responsabilità, l'opera propone una prospettiva suggestiva, che impegna gli scienziati non solo<br />

nell'as<strong>tra</strong>ttezza dei propri stu<strong>di</strong>, ma nel vivo del più infuocato <strong>di</strong>battito sociale, in modo da evitare che a ogni<br />

loro esultante annuncio <strong>di</strong> una nuova scoperta risponda «un grido <strong>di</strong> dolore universale»<br />

PRATICA SCIENTIFICA E CORAGGIO<br />

Andrea: I Discorsi [Sfoglia il manoscritto][…].<br />

Andrea: Saranno i fondamenti <strong>di</strong> una nuova fisica!<br />

Galileo: Nascon<strong>di</strong>lo sotto il mantello.<br />

Andrea: E noi pensavamo che aveste <strong>di</strong>sertato! Io sono stato, <strong>di</strong> tutti, quello che più vi ha dato addosso.<br />

Galileo: Non mi pare ci sia nulla da ri<strong>di</strong>re. Io ti ho insegnato la <strong>scienza</strong> e poi ho rinnegato la verità.<br />

Andrea: Ma questo cambia tutto! Tutto!<br />

Galileo: Davvero?<br />

Andrea: Avete nascosto la verità! Contro il nemico. Anche sul terreno dell'etica ci precedevate <strong>di</strong> secoli.<br />

Galileo: Spiegati, Andrea.<br />

Andrea: Insieme all'uomo della s<strong>tra</strong>da ripetevamo: «Morirà ma non abiurerà mai». - Voi siete tornato <strong>di</strong>cendoci:<br />

«Ho abiurato, ma vivrò». - Noi allora: «Vi siete sporcate le mani». - E voi: «Meglio sporche che vuote».<br />

Galileo: Meglio sporche che vuote. Ha un suono <strong>di</strong> qualcosa <strong>di</strong> reale. Un suono che mi somiglia. Nuova <strong>scienza</strong>,<br />

nuova etica.<br />

Andrea: Fra tutti, io avrei dovuto saperlo! Avevo un<strong>di</strong>ci anni, quando vendeste al Senato veneziano il telescopio<br />

che un altro aveva scoperto. E io vi<strong>di</strong> come usaste questo strumento per uno scopo immortale. Quando vi<br />

prosternaste al mocciosetto fiorentino, i vostri amici scossero il capo: ma la <strong>scienza</strong> conquistò un più largo u<strong>di</strong>torio.<br />

Certo, vi siete sempre beffato degli eroi. «<strong>La</strong> gente che soffre mi annoia, - solevate <strong>di</strong>re; - la sfortuna generalmente è<br />

dovuta a un errore <strong>di</strong> calcolo»; e «quando ci si trova davanti un ostacolo, la linea più breve <strong>tra</strong> due punti può essere<br />

una linea curva».<br />

Galileo: Mi rammento.<br />

Andrea: Poi, nel '33, quando credeste bene <strong>di</strong> ri<strong>tra</strong>ttare un punto delle vostre dottrine che era <strong>di</strong>ventato<br />

popolare, avrei dovuto capire che avevate semplicemente deciso <strong>di</strong> ritirarvi da una rissa politica ormai senza speranza,<br />

per continuare a de<strong>di</strong>carvi al vero lavoro dello scienziato. […]<br />

Volevate avere tempo a <strong>di</strong>sposizione per scrivere l'opera scientifica che solo voi potevate scrivere. Se foste salito<br />

al rogo, se foste morto in un'aureola <strong>di</strong> fuoco, avrebbero vinto gli altri.<br />

Galileo: Hanno vinto gli altri. E un'opera scientifica che possa essere scritta da un uomo solo, non<br />

esiste.<br />

Andrea: Ma allora, perché avete abiurato?<br />

Galileo: Ho abiurato perché il dolore fisico mi faceva paura.<br />

Andrea: No!<br />

Galileo: Mi hanno mos<strong>tra</strong>to gli strumenti.<br />

Andrea: Dunque non l'avete me<strong>di</strong>tato?<br />

Galileo: Niente affatto.<br />

Pausa.<br />

Andrea: (forte) <strong>La</strong> <strong>scienza</strong> non ha che un imperativo: contribuire alla <strong>scienza</strong>.<br />

Galileo: E questo, l'ho assolto. Benvenuto allora nella mia sentina, caro fratello <strong>di</strong> <strong>scienza</strong> e cugino <strong>di</strong> <strong>tra</strong><strong>di</strong>mento!<br />

Mangi pesce anche tu? Io ho pesce! E non è il mio pesce che puzza, sono io. Io svendo, e tu acquisti. O irresistibile<br />

potere <strong>di</strong> questa merce consacrata, il libro! Gli basta guardarlo perché gli venga l'acquolina in bocca, tanto che gli<br />

improperi ci annegano dentro. [...]<br />

1


Santificata sia la nos<strong>tra</strong> congrega <strong>di</strong> <strong>tra</strong>fficanti, <strong>di</strong> riverginatori e <strong>di</strong> tremebon<strong>di</strong> davanti alla morte !<br />

Andrea: <strong>La</strong> paura della morte è umana! E le debolezze umane non interessano la <strong>scienza</strong>.<br />

Galileo: No?! - Caro Sarti, anche nella mia attuale con<strong>di</strong>zione mi sento ancora in grado <strong>di</strong> orientarti un poco su<br />

tutto ciò che riguarda la <strong>scienza</strong>, alla quale ti sei legato per l'esistenza.<br />

Breve pausa.<br />

Galileo (con le mani professoralmente congiunte sul ventre) Nel tempo che ho libero - e ne ho, <strong>di</strong> tempo libero -<br />

mi è avvenuto <strong>di</strong> rime<strong>di</strong>tare il mio caso e <strong>di</strong> domandarmi come sarà giu<strong>di</strong>cato da quel mondo della <strong>scienza</strong> al quale<br />

non credo più <strong>di</strong> appartenere. [...] mi pare che la pratica della <strong>scienza</strong> richieda particolare coraggio. Essa <strong>tra</strong>tta il<br />

sapere, che è un prodotto del dubbio; e col procacciare sapere a tutti su ogni cosa, tende a destare il dubbio in tutti.<br />

Ora, la gran parte della popolazione è tenuta dai suoi sovrani, dai suoi proprietari <strong>di</strong> terra e dai suoi preti, in una<br />

nebbia madreperlacea <strong>di</strong> superstizioni e <strong>di</strong> antiche sentenze, una nebbia che occulta gli intrighi <strong>di</strong> costoro. <strong>La</strong> misera<br />

con<strong>di</strong>zione dei più è antica come le rocce, e dall'alto dei pulpiti e delle cattedre si suole <strong>di</strong>pingerla imperitura proprio<br />

come le rocce. <strong>La</strong> nos<strong>tra</strong> nuova arte del dubbio appassionò il gran pubblico, che corse a s<strong>tra</strong>pparci <strong>di</strong> mano il<br />

telescopio per puntarlo sui suoi aguzzini. Questi uomini egoisti e prepotenti, avi<strong>di</strong> predatori a proprio vantaggio dei<br />

frutti della <strong>scienza</strong>, si avvidero subito che il freddo occhio scientifico si era posato su una miseria millenaria quanto<br />

artificiale, una miseria che chiaramente poteva essere eliminata con l'eliminare loro stessi. Allora sommersero noi<br />

sotto un profluvio <strong>di</strong> minacce e corruzioni, tali da <strong>tra</strong>volgere gli spiriti deboli. Ma possiamo noi ripu<strong>di</strong>are la massa e<br />

conservarci ugualmente uomini <strong>di</strong> <strong>scienza</strong>? I moti dei corpi celesti sono <strong>di</strong>venuti più chiari; ma ai popoli restano pur<br />

sempre imperscrutabili i moti dei potenti. E se la battaglia per la misurabilità dei cicli è stata vinta dal dubbio, la<br />

battaglia della massaia romana per il latte sarà sempre perduta dalla credulità. [...] Che scopo si prefigge il vostro<br />

lavoro? Io credo che la <strong>scienza</strong> abbia come unico scopo quello <strong>di</strong> alleviare la fatica dell'esistenza umana. Se gli uomini<br />

<strong>di</strong> <strong>scienza</strong>, intimi<strong>di</strong>ti dai potenti egoisti, si limitano ad accumulare sapere per sapere, la <strong>scienza</strong> può rimanere fiaccata<br />

per sempre, e le vostre nuove macchine non saranno fonte che <strong>di</strong> nuovi triboli per l'uomo. E quando, coll'andar del<br />

tempo, avrete scoperto tutto lo scopribile, il vostro progresso non sarà che un progressivo allontanamento<br />

dall'umanità. Tra voi e l'umanità può scavarsi un abisso così grande, che, un giorno, a ogni vostro eureka rischierebbe<br />

<strong>di</strong> rispondere un grido <strong>di</strong> dolore universale. Nella mia vita <strong>di</strong> scienziato ho avuto un'opportunità senza pari: quella <strong>di</strong><br />

vedere l'astronomia <strong>di</strong>lagare nelle pubbliche piazze. In circostanze così s<strong>tra</strong>or<strong>di</strong>narie, la fermezza <strong>di</strong> un uomo poteva<br />

produrre gran<strong>di</strong> rivolgimenti. Se io avessi resistito, i naturalisti avrebbero potuto sviluppare qualcosa <strong>di</strong> simile a ciò<br />

che per i me<strong>di</strong>ci è il giuramento d'Ippocrate: il voto solenne <strong>di</strong> far uso della <strong>scienza</strong> a esclusivo vantaggio dell'umanità!<br />

Così stando le cose, il massimo in cui si può sperare è una progenie <strong>di</strong> gnomi inventivi, pronti a farsi assoldare per<br />

qualsiasi scopo. Mi sono anche convinto, Sarti, <strong>di</strong> non aver mai corso dei rischi gravi. Per alcuni anni ebbi la forza <strong>di</strong><br />

una pubblica autorità. Ma ho messo la mia sapienza a <strong>di</strong>sposizione dei potenti perché la usassero, o non la usassero, o<br />

ne abusassero, a seconda dei loro fini. (Virginia è en<strong>tra</strong>ta con un vassoio e resta immobile ad ascoltare). Ho <strong>tra</strong><strong>di</strong>to la<br />

mia professione. Quando un uomo ha fatto ciò che ho fatto io, la sua presenza non può essere tollerata nei ranghi<br />

della <strong>scienza</strong>.<br />

(B. Brecht, Vita <strong>di</strong> Galileo, <strong>tra</strong>d. it. <strong>di</strong> E. Castellani, Einau<strong>di</strong>, Torino 1994, pp. 233-241)<br />

Barry Commoner Un pioniere degli stu<strong>di</strong> ambientali. Già negli anni Sessanta del secolo scorso <strong>di</strong>verse voci si<br />

sono levate a mettere in guar<strong>di</strong>a sui rischi connessi a uno sfruttamento tecnologico delle risorse del pianeta,<br />

funzionale a un ristretto gruppo <strong>di</strong> uomini intenti alla massimizzazione dei profitti e <strong>di</strong>mentichi delle conseguenze<br />

complessive del loro operare. Un risalto particolare ha avuto, in questo ambito, la riflessione del biologo Barry<br />

Commoner (nato nel 1917), che è stato uno dei pionieri degli stu<strong>di</strong> ambientali negli Stati Uniti e che ha istruito un<br />

processo non tanto alla tecnologia in se stessa o all'industria in quanto tale, ma a un modello <strong>di</strong> sviluppo che non tiene<br />

conto della necessità <strong>di</strong> un equilibrio <strong>tra</strong> quanto viene preso dalla natura e quanto occorre restituire ad essa.<br />

I principi <strong>di</strong> un'azione ecologista Nel libro II cerchio da chiudere, scritto nel 1971, da cui è <strong>tra</strong>tto il brano che<br />

segue, egli propone alcuni principi che devono guidare un'azione ecologista, il primo dei quali è che «ogni cosa è<br />

connessa con qualsiasi al<strong>tra</strong>» (p. 29), ossia ogni azione che provoca un'alterazione in un settore specifico<br />

dell'ecosistema si <strong>di</strong>ffonde rapidamente a tutto quanto il sistema.<br />

<strong>La</strong> posizione <strong>di</strong> Commoner prevede uno stretto legame <strong>tra</strong> <strong>scienza</strong> ed ecologia, in quanto «nel mondo delle<br />

bombe nucleari, dello smog e delle acque inquinate, per comprendere l'ambiente occorre l'aiuto dello scienziato» (p.<br />

42), ed è ispirata dalla convinzione della necessità <strong>di</strong> un impegno pubblico complessivo che renda possibile godere i<br />

frutti della <strong>scienza</strong> senza <strong>di</strong>struggere le potenzialità del nostro pianeta, finito e limitato. L'allarmata analisi <strong>di</strong><br />

Commoner non è priva <strong>di</strong> note <strong>di</strong> speranza ed è intesa come una chiamata collettiva a una riforma del sistema, per<br />

evitare <strong>di</strong> oltrepassare il punto <strong>di</strong> non ritorno.<br />

L'era dell’“antropocene" Circa quarant'anni dopo due importanti chimici, stu<strong>di</strong>osi dei problemi dell'atmosfera,<br />

Paul Crutzen e Eugene Stoemer, osservando come le attività umane degli ultimi duecento anni abbiano mo<strong>di</strong>ficato in<br />

modo decisivo le con<strong>di</strong>zioni del mondo naturale, hanno proposto <strong>di</strong> chiamare la nos<strong>tra</strong> era geologica con il termine<br />

"antropocene" ossia "la recente epoca dell'uomo". Poiché tale epoca è caratterizzata dalla capacità dell'agire umano<br />

<strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficare un sempre più ampio spettro <strong>di</strong> sistemi biofisici, è necessario, a loro avviso, un impegno urgente per<br />

evitare la <strong>di</strong>struzione del pianeta e ridurre la vulnerabilità del nostro mondo.<br />

2


LA RICCHEZZA DELLA NATURA È SOLO UN PRESTITO<br />

Dal pessimismo alla speranza. Fra le scelte limitate che sono possibili in un mondo messo alle strette dalla crisi<br />

ambientale, non esiste evidente alternativa <strong>tra</strong> barbarie e accettazione delle conseguenze economiche dell'imperativo<br />

ecologico: la natura sociale e globale dell'ecosfera deve cioè determinare una corrispondente organizzazione delle<br />

imprese produttive. Una delle reazioni più frequenti all'esposizione dei mali ambientali del mondo è un profondo pessimismo,<br />

probabilmente la conseguenza naturale della scioccante presa <strong>di</strong> co<strong>scienza</strong> che il tanto vantato "progresso"<br />

della moderna civiltà è solo una sottile copertura della catastrofe globale. Io sono invece convinto che, una volta<br />

superata la pura consapevolezza del <strong>di</strong>sastro imminente e realizzato il perché siamo arrivati alla situazione attuale, e<br />

quali s<strong>tra</strong>de alternative possano portarcene fuori, c'è motivo <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare nello stesso abisso della crisi ambientale<br />

una fonte <strong>di</strong> ottimismo. Le benefiche ripercussioni della riforma ecologica. C'è, ad esempio, ragione <strong>di</strong> ottimismo<br />

nella complessità stessa dei problemi generati dalla crisi; una volta afferrati i legami esistenti fra le <strong>di</strong>verse parti del<br />

problema, <strong>di</strong>venta possibile scorgere nuovi mezzi per risolvere il tutto. Viste separatamente, l'esigenza delle nazioni in<br />

via <strong>di</strong> sviluppo <strong>di</strong> creare nuove imprese produttive, e la necessità dei paesi industrializzati <strong>di</strong> riorganizzare le loro<br />

secondo sani principi ecologici, sembrerebbero irrime<strong>di</strong>abilmente inconciliabili. Ma quando si in<strong>di</strong>viduano legami<br />

esistenti <strong>tra</strong> le due esigenze - il significato ecologico dell'introduzione <strong>di</strong> sostituti sintetici ai prodotti naturali - si può<br />

trovare il modo <strong>di</strong> risolverle en<strong>tra</strong>mbe. E così, possiamo <strong>di</strong>sperare che gli Stati Uniti allentino la stretta su gran parte<br />

delle risorse mon<strong>di</strong>ali finché non sarà chiaro quanta <strong>di</strong> questa "affluenza" imponga uno stress all'ambiente invece <strong>di</strong><br />

contribuire al benessere dell'umanità. Allora l'entità stessa dell'attuale quota <strong>di</strong> risorse mon<strong>di</strong>ali accaparrate dagli<br />

Stati Uniti <strong>di</strong>venterà motivo <strong>di</strong> speranza, poiché la sua riduzione, imposta dalla riforma ecologica, potrà avere<br />

un'ampia e favorevole ripercussione sui bisogni, oggi <strong>di</strong>sperati, dei paesi in via <strong>di</strong> sviluppo. Un’organizzazione<br />

sociale in armonia con la ecosfera. Un altro motivo <strong>di</strong> ottimismo lo vedo nella natura stessa della crisi dell'ambiente.<br />

<strong>La</strong> quale non è il prodotto delle capacità biologiche dell'uomo, che non potrebbe mo<strong>di</strong>ficarsi in tempo per darci la<br />

salvezza, ma delle sue azioni sociali soggette a un cambiamento molto più rapido. Dal momento che la crisi ambientale<br />

è il risultato <strong>di</strong> una cattiva pianificazione e conduzione sociale delle risorse mon<strong>di</strong>ali, il problema può essere risolto e<br />

l'uomo può sopravvivere in una con<strong>di</strong>zione umana se la sua organizzazione sociale viene portata in armonia con<br />

l'ecosfera. Il cerchio della vita. Possiamo qui ricavare una lezione fondamentale dalla natura: niente può sopravvivere<br />

sul pianeta se non <strong>di</strong>venta parte cooperativa <strong>di</strong> un tutto più vasto e globale. <strong>La</strong> vita stessa ha imparato questa lezione<br />

alle origini della terra. Non <strong>di</strong>mentichiamo infatti che i primi esseri viventi, come l'uomo moderno, consumavano la<br />

loro base nutritiva man mano che crescevano, <strong>tra</strong>sformando la riserva geochimica <strong>di</strong> materia organica in rifiuti che<br />

non potevano più servire ai loro bisogni. <strong>La</strong> vita, così come apparve per la prima volta sulla terra, si era avviata per un<br />

cammino lineare auto<strong>di</strong>struttivo. <strong>La</strong> salvò dall'estinzione l'invenzione, nell'arco evolutivo, <strong>di</strong> una nuova forma <strong>di</strong> vita<br />

che riconvertiva i rifiuti degli organismi primitivi in materia organica fresca. I primi organismi fotosintetici<br />

<strong>tra</strong>sformarono l'avido evolversi lineare della vita nel primo, grande ciclo ecologico terrestre. Chiudendo il cerchio essi<br />

ottennero quello che nessun organismo vivente, da solo, può realizzare: la sopravvivenza. Gli esseri umani hanno<br />

spezzato il cerchio della vita, spinti [...] da un'organizzazione sociale che hanno progettato per "conquistare" la natura:<br />

strumento per acquisire ricchezze governato da esigenze in conflitto con quelle che regolano la natura. Il risultato<br />

ultimo è la crisi ambientale, una crisi <strong>di</strong> sopravvivenza. Una volta ancora, per sopravvivere, dobbiamo chiudere il<br />

cerchio. Dobbiamo imparare a restituire alla natura la ricchezza che le chie<strong>di</strong>amo in prestito. L’in<strong>di</strong>viduazione delle<br />

s<strong>tra</strong>tegie per salvare il pianeta. Nella nos<strong>tra</strong> società orientata verso il progresso, ci si aspetta sempre che la proposta<br />

<strong>di</strong> soluzione venga da chi pretende <strong>di</strong> analizzare un grave problema. Ma nessuno <strong>di</strong> noi, in<strong>di</strong>vidualmente o riunito in<br />

gruppo, è in grado <strong>di</strong> elaborare un "piano" specifico che risolva la crisi ambientale. Credere altrimenti è non voler<br />

vedere il vero significato della crisi ambientale: il mondo, cioè, sta per essere portato sull'orlo del <strong>di</strong>sastro ecologico<br />

non da un errore singolo, rime<strong>di</strong>abile con un bel piano, ma dalla falange delle potenti forze economiche, politiche e<br />

sociali che fanno marciare la storia. Chi propone una cura per la crisi ambientale si mette per ciò stesso a mo<strong>di</strong>ficare il<br />

corso della storia. Questo è però il compito che spetta alla storia stessa, poiché un cambiamento sociale rivoluzionario<br />

può essere forgiato soltanto nell'officina dell'azione sociale collettiva, razionale, informata. Che si debba agire è ora<br />

chiaro: "come", è il problema da risolvere. (B. Commoner, II cerchio da chiudere, Bompiani, Milano 1972, pp. 263-265)<br />

Gli appren<strong>di</strong>sti stregoni Da parte americana, la necessità <strong>di</strong> ricorrere alla bomba atomica era stata in origine<br />

provocata dal timore che i Tedeschi riuscissero a costruirla per primi. Era stato questo timore a spingere A. Einstein a<br />

sollecitare il presidente Roosevelt, già nel 1939, perché ne organizzasse lo stu<strong>di</strong>o. Questo timore in seguito si mostrò<br />

infondato, come si mostrò non necessario l'impiego della bomba per le sorti della guerra. Ma l’or<strong>di</strong>gno fu lanciato, e gli<br />

scienziati <strong>di</strong> tutte le nazionalità, da Oppenheimer a Fermi, a Brode, riuniti a Los Alamos, si trovarono <strong>di</strong>visi - come viene<br />

sottolineato in questa pagina - <strong>tra</strong> l'entusiasmo per la riuscita del lungo lavoro e l'angoscia per la loro responsabilità<br />

nella creazione <strong>di</strong> quello spaventoso strumento <strong>di</strong> morte. [Jungk, Gli appren<strong>di</strong>sti stregoni, Einau<strong>di</strong>, Torino 1958]<br />

Negli animi degli scienziati atomici <strong>di</strong> Los Alamos, la bomba sganciata su Hiroshima aveva destato entusiasmo e<br />

smarrimento. Un fisico ricorda che improvvisamente sentì nel corridoio <strong>di</strong>nanzi al suo stu<strong>di</strong>o alte grida <strong>di</strong> gioia.<br />

Quando aprì la porta, vide alcuni giovani colleghi passare <strong>di</strong> corsa al grido degli In<strong>di</strong>ani «Uhoppee!». Avevano appena<br />

allora sentito alla ra<strong>di</strong>o il comunicato letto dal presidente Truman sul buon esito dell'impiego della prima bomba<br />

3


atomica. «Quelle grida <strong>di</strong> entusiasmo non mi sembravano davvero al loro posto», osserva seccamente l'uomo che nel<br />

1939 aveva per primo valutato la potenza dell'energia che si sarebbe liberata con la fissione del nucleo dell'atomo. Ora<br />

quella potenza aveva <strong>di</strong>strutto decine <strong>di</strong> migliaia <strong>di</strong> vite. Per persone come Einstein che avevano fatto del loro meglio<br />

per impe<strong>di</strong>re l'impiego della bomba, il 6 agosto 1945 fu un giorno <strong>di</strong> lutto. Ma che cosa pensavano gli uomini e le<br />

donne lassù a Los Alamos? In fin dei conti non avevano fatto che lavorare notte e giorno per giungere a questo<br />

risultato. Dovevano ora essere fieri della propria opera, come li autorizzava a essere l'opinione pubblica con le sue<br />

prime grida <strong>di</strong> stupore o dovevano vergognarsi del loro lavoro, pensando alla sciagura che avevano apportato a tanti<br />

esseri in<strong>di</strong>fesi? O magari - singolarissima con<strong>tra</strong>d<strong>di</strong>zione -la stessa persona poteva provare orgoglio e al tempo stesso<br />

vergogna? Il tutto era ancor più sconcertante, se <strong>di</strong> fronte a quell'avvenimento quasi inconcepibile si pensava a quegli<br />

uomini che con la loro intelligenza e volontà lo avevano provocato. Agli occhi del mondo la loro figura acquistò una<br />

<strong>di</strong>mensione che non corrispondeva più con il loro essere reale. Nella mente dei profani <strong>di</strong>vennero figure mitiche,<br />

sovrumane. Furono chiamati «Titani», paragonati a Prometeo, il quale aveva sfidato Zeus che regge le sorti del<br />

mondo; furono chiamati «demoni». Ma a se stessi, essi continuavano ad apparire esseri umani che non si<br />

<strong>di</strong>stinguevano né per speciali virtù né per speciale malvagità, esseri pieni <strong>di</strong> con<strong>tra</strong>d<strong>di</strong>zioni, che nei giorni <strong>di</strong> lavoro<br />

calcolavano senza «lasciarsi <strong>di</strong>s<strong>tra</strong>rre» il probabile raggio <strong>di</strong> <strong>di</strong>struzione della loro bomba, e che nei pomeriggi <strong>di</strong> festa<br />

potevano essere i giar<strong>di</strong>nieri più amorevoli, che si levavano l'acqua dalla bocca per salvare una pianta minacciata dalla<br />

siccità. Robert Brode, un fisico americano che venti anni prima aveva stu<strong>di</strong>ato a Gottinga, cercò <strong>di</strong> descrivere i propri<br />

sentimenti e quelli dei suoi colleghi <strong>di</strong> Los Alamos nel modo seguente: «Certo, eravamo spaventati dall'effetto della<br />

nos<strong>tra</strong> arma. Soprattutto perché non era stata rivolta, come pensavamo, contro gli impianti militari <strong>di</strong> Hiroshima, ma<br />

proprio contro il centro della città. Ma, se devo <strong>di</strong>re tutta la verità, il nostro sollievo era ancora più grande. Finalmente<br />

le nostre famiglie e i nostri amici nelle altre città e nazioni sapevano perché eravamo scomparsi da anni. Ora era chiaro<br />

a tutti che anche noi avevamo fatto il nostro dovere. E noi stessi sapevamo infine che il nostro lavoro non era stato<br />

inutile. lo personalmente non provai nessun senso <strong>di</strong> colpa».<br />

Willie Higinbotham, un trentaquattrenne esperto <strong>di</strong> elettroni, figlio <strong>di</strong> un pastore protestante, destinato a<br />

<strong>di</strong>venire <strong>di</strong> li a poco uno degli esponenti degli scienziati atomici che si sentivano responsabili moralmente del proprio<br />

lavoro, scrisse da Los Alamos a sua madre: «Io non sono per niente fiero del "compito" che abbiamo assolto [...] Può<br />

darsi che questo or<strong>di</strong>gno sia cosi <strong>di</strong>struttivo che l'uomo sia costretto a starsene pacifico [...] Ma ora comprendo cosa si<br />

intende per sentimenti con<strong>tra</strong>stanti». Alcuni degli scienziati che lavoravano a Los Alamos sapevano che vi si trovava<br />

ancora, pronta per l'uso, l'ultima delle tre bombe atomiche che erano state costruite [...]. Secondo tutte le previsioni,<br />

avrebbe avuto effetti ancor più spaventosi. Uno dei costruttori <strong>di</strong> questa bomba (che per ovvie ragioni non desidera<br />

esser nominato) confessa: «Temevo che quest'al<strong>tra</strong> bomba venisse impiegata. Speravo che non la si sarebbe<br />

adoperata e tremavo al pensiero <strong>di</strong> quello che avrebbe potuto provocare. E tuttavia, se devo essere proprio sincero,<br />

smaniavo <strong>di</strong> sapere se questa bomba avrebbe giustificato le aspettative in essa riposte, insomma se avrebbe<br />

"funzionato". Pensieri terribili, lo so bene, eppure non riuscivo a scacciarli». [...] <strong>La</strong> seconda bomba fu sganciata. Con il<br />

lancio della bomba su Nagasaki, lo stato maggiore americano si proponeva soprattutto una cosa: dare all'avversario<br />

l'impressione che gli USA possedessero già un intero arsenale <strong>di</strong> bombe atomiche, per indurlo cosi a gettare<br />

imme<strong>di</strong>atamente le armi. [...]<br />

A molti scienziati atomici interessava la possibilità <strong>di</strong> illuminare gli altri uomini sulla mostruosità della «nuova<br />

arma». Ora leggevano sui giornali che alcuni deputati al Congresso sostenevano che gli Stati Uniti dovevano serbare il<br />

«segreto» della bomba atomica, e avrebbero voluto rispondere che non esistevano «segreti atomici» che qualunque<br />

nazione scientificamente avanzata non avrebbe potuto scoprire da sé entro brevissimo tempo. [...] Soprattutto gli<br />

scienziati <strong>di</strong> Los Alamos erano irritati dal fatto che l'esercito giocava a nascon<strong>di</strong>no col problema della ra<strong>di</strong>oattività. Già<br />

prima che la bomba venisse impiegata, alcuni <strong>di</strong> loro avevano proposto <strong>di</strong> lanciare, assieme alla bomba, volantini che<br />

accennassero al pericolo della ra<strong>di</strong>oattività, un pericolo nuovo, portato da una nuova arma. Le istanze militari avevano<br />

opposto un rifiuto, temendo che simili ammonimenti potessero essere interpretati nel senso che si ammetteva <strong>di</strong><br />

impiegare un 'arma affine ai gas asfissianti.<br />

E ora, ovviamente per le stesse ragioni, si continuava a stendere un velo <strong>di</strong> silenzio sugli effetti della ra<strong>di</strong>oattività<br />

sviluppata dai bombardamenti atomici. Si <strong>di</strong>chiarò che <strong>tra</strong> le macerie <strong>di</strong> Hiroshima non si trovava più una ra<strong>di</strong>oattività<br />

pericolosa, e si tacque il fatto che, nel momento dell'esplosione, un'infinità <strong>di</strong> persone erano state esposte a una dose<br />

<strong>di</strong> ra<strong>di</strong>oattività mortale o tale da provocare malattie incurabili. [ ...] Quando, nell'agosto 1945, un fisico <strong>di</strong> Los Alamos<br />

durante un esperimento fu colpito dalle ra<strong>di</strong>azioni e morì dopo spaventose sofferenze, [...] per la prima volta gli<br />

uomini <strong>di</strong> Los Alamos provarono gli effetti mortali della nuova energia non at<strong>tra</strong>verso una statistica impersonale, ma<br />

at<strong>tra</strong>verso la sofferenza, l'agonia e la fine <strong>di</strong> una persona a loro vicina. <strong>La</strong> <strong>di</strong>sgrazia spronò l'azione, del resto già<br />

iniziata, <strong>di</strong> quegli scienziati atomici che volevano <strong>di</strong>re al mondo tutta la verità sulle nuove armi e scongiurare l'umanità<br />

<strong>di</strong> rinunziare a qualsiasi impiego bellico dell'energia nucleare. Cosi [...] si costituì a Los Alamos la «Lega degli scienziati<br />

atomici», a cui aderirono imme<strong>di</strong>atamente circa cento stu<strong>di</strong>osi. Gruppi analoghi erano già sorti nelle settimane<br />

precedenti a Chicago, Oak Ridge e New York. Questi gruppi si misero in contatto <strong>tra</strong> loro e decisero <strong>di</strong> esercitare,<br />

illuminando il pubblico, una forte pressione sugli uomini <strong>di</strong> Stato del loro paese, anche se una simile apertura nei<br />

confronti dell'opinione pubblica significava una sfida ai regolamenti militari ai quali pur sempre sottostavano. Fu<br />

l'inizio <strong>di</strong> un movimento che in seguito - non senza esagerazione - venne definito la «rivolta degli scienziati atomici».<br />

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