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Il Rinascimento (testi di approfondimento/Scheda 2)

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PERCORSO 2. IL RINASCIMENTO/ SCHEDA 2<br />

Testo 1. Coluccio Salutati. La via della perfezione è nella vita attiva.<br />

Non credere, o Pellegrino, che fuggire la folla, evitare la vista delle cose belle, chiudersi in un<br />

chiostro o segregarsi in un eremo, sia la via della perfezione. Ciò che dà alla tua opera il nome della<br />

perfezione è in te; è in te la facoltà <strong>di</strong> accogliere quelle cose esterne che non ti toccano né ti possono<br />

toccare, se solo la tua mente e l’animo tuo se ne staranno raccolti e non andranno a cercarsi nelle cose<br />

esterne. Se l’animo tuo non li ammetterà dentro <strong>di</strong> sé, la piazza, il foro, la curia, i luoghi più popoìosi della<br />

città, saranno come un eremo, come una solitu<strong>di</strong>ne lontanissima e perfetta. Se invece nel ricordo delle cose<br />

lontane o negli allettamenti <strong>di</strong> quelle presenti la mente nostra si volgerà all’esterno, a che può giovare la<br />

vita solitaria?[...]<br />

… Poiché è chiaro che tu, fuggendo dal mondo, puoi cadere dal cielo in terra, mentre io, rimanendo<br />

tra le cose terrene potrò alzare il mio cuore al cielo. E tu stesso, provvedendo, servendo, preoccupandoti<br />

della famiglia e dei figli tuoi, dei parenti e degli amici, della patria tua che tutti li abbraccia, non puoi non<br />

elevare il tuo cuore al cielo e non piacere a Dio. E, forse, occupato in questo gli piaceresti anche <strong>di</strong> più,<br />

poiché non ti chiuderesti esclusivamente nella contemplazione <strong>di</strong> quella prima causa, ma ti congiungeresti<br />

con essa, che ha cura <strong>di</strong> tutto, per le necessità familiari, per il piacere degli amici, per la prosperità della<br />

patria, e opereresti secondo il tuo potere.<br />

Ancorché azione e contemplazione si <strong>di</strong>stinguano nel <strong>di</strong>scorso, sono tuttavia mescolate, né può, chi<br />

è legato alle cose del mondo eppur faccia tutto per Dio, essere privo completamente <strong>di</strong> contemplazione; né<br />

il contemplativo, se vive tuttavia da uomo, può trascurare del tutto le cose del mondo. L’uno, infatti,<br />

avendo come fine <strong>di</strong> tutte le sue azioni Dio, come può non contemplarlo continuamente <strong>di</strong> atto in atto?<br />

E il contemplativo sarà a tal punto tutto perduto in Dio da non commuoversi sulla sventura del<br />

prossimo, da non dolersi per la morte dei congiunti, da non fremere per la rovina della patria ? Chi fosse<br />

così e così si mostrasse nei rapporti umani, non dovremmo stimarlo un uomo; ma un tronco, un inutile<br />

pezzo <strong>di</strong> legno, una roccia pietrosa, un durissimo sasso, e non sarebbe imitatore <strong>di</strong> quella pienezza <strong>di</strong><br />

perfezione che è che è il Me<strong>di</strong>atore <strong>di</strong> Dio e degli uomini.<br />

(Epist., trad. GARIN, in Filosofi italiani del Quattrocento, Firenze, Le Monnier).<br />

Testo 2. Elogio della follia<br />

Anzitutto si ammette comunemente che tutte le passioni appartengono al dominio della pazzia,<br />

visto che la caratteristica per cui si <strong>di</strong>stingue un insensato da un saggio consiste proprio in questo, che il<br />

primo si lascia governare dalle passioni, il secondo dalla ragione, e perciò gli Stoici allontanano dal saggio<br />

tutte le commozioni, come malattie bell'e buone. Ma le passioni non solo la fanno da pedagoghi per coloro<br />

che s'affrettano verso il porto della saggezza, ma anche non si trovano mai assenti, come sproni o pungoli,<br />

in ogni funzione della virtù, ed esortano a ben agire.<br />

A questo punto Seneca, stoico sino alla midolla delle ossa, alza la voce per negare assolutamente al<br />

filosofo ogni passione. Ma l'uomo ch'egli lascia, dopo questa operazione, non è neppur uomo, ma piuttosto<br />

un <strong>di</strong>o mai visto, che si forma lui, che non è mai esistito in nessun luogo e non esisterà mai. O piuttosto, per<br />

<strong>di</strong>rla più apertamente, è un idolo <strong>di</strong> marmo ch'egli si fabbrica, senza moto, completamente estraneo ad<br />

ogni senso umano. Ci trovan gusto? E se lo godano, questo loro sapiente, se lo tengano caro, senza paure <strong>di</strong><br />

rivali, vadano pure ad abitare secolui nella repubblica <strong>di</strong> Platone, o, se preferiscono, nella regione delle<br />

idee, nei giar<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> Tantalo . E chi non fuggirebbe inorri<strong>di</strong>to <strong>di</strong>nanzi a tale mostro, a tale spettro? Sordo a<br />

tutti i sentimenti <strong>di</strong> natura, non si commuove ad alcun affetto, non ad amore, non a pietà:” Sta più che<br />

dura selce fermo, o sia rupe Marpesia”. Nulla a lui sfugge e nessun errore commette mai; come Linceo, non<br />

c'è cosa ch'egli non scorga e non commisuri sino al millesimo. Quin<strong>di</strong> non c'è cosa che perdoni agli altri,<br />

pago <strong>di</strong> se stesso lui solo, e lui solo ricco, lui solo sano, lui solo re, lui solo libero, in una parola, lui solo


PERCORSO 2. IL RINASCIMENTO/ SCHEDA 2<br />

tutto. Ciò però a parere <strong>di</strong> lui solo, perché non sa cattivarsi un amico, non è amico <strong>di</strong> nessuno; anzi non<br />

esiterebbe a mandare al <strong>di</strong>avolo gli stessi dèi: tutto quello che si fa nella vita è per lui follia, oggetto <strong>di</strong><br />

condanna e <strong>di</strong> scherno. Orbene, un <strong>testi</strong>mone <strong>di</strong> tal fatta è il filosofo arciperfettissimo. Ora, <strong>di</strong>temi in<br />

cortesia, se la quistione dovesse decidersi coi voti, qual esercito lo desidererebbe a comandante supremo?<br />

Anzi qual donna si prenderebbe un marito cosiffatto o lo sopporterebbe, quale ospite un tal convitato, qual<br />

servo un padrone <strong>di</strong> tali costumi? Ognuno preferirebbe un qualsiasi uomo, preso a caso <strong>di</strong> mezzo alla folla<br />

<strong>di</strong> uomini comuni, che non son certo mostri <strong>di</strong> sapienza, il quale, senz'avere un gran cervello in zucca,<br />

sappia comandare o ubbi<strong>di</strong>re a uomini senza cervello e piacere ai suoi simili, anzi al maggior numero<br />

possibile; che si mostri affabile con la moglie, piacente agli amici, commensale garbato, ospite alla mano,<br />

infine nulla <strong>di</strong> umano reputi estraneo a se stesso. (Erasmo da Rotterdam, Elogio della follia)<br />

Testo 3. Elogio della riflessione interiore.<br />

Certo l’uomo <strong>di</strong> senno non ha perduto nulla se ha se stesso […]. Ecco che cosa vuol <strong>di</strong>re scegliere<br />

bene i tesori che possano essere esenti da danno , e nasconderli in luogo dove non vada alcuno e tale che<br />

non possa esser tra<strong>di</strong>to che da noi stessi. Bisogna avere moglie, figli e sostanze, e soprattutto la salute, se si<br />

può; ma non attaccarvisi in maniera che ne <strong>di</strong>penda la nostra felicità. Bisogna riservarsi una retrobottega<br />

tutta nostra, del tutto in<strong>di</strong>pendente, nella quale stabilire la nostra vera libertà […].<br />

Noi abbiamo un'anima capace <strong>di</strong> ripiegarsi in se stessa; essa può farci compagnia; ha i mezzi per<br />

assalire e <strong>di</strong>fendere, per ricevere e per donare; non dobbiamo temere <strong>di</strong> marcire d'ozio noioso in questa<br />

solitu<strong>di</strong>ne. […]<br />

Abbiamo vissuto abbastanza per gli altri, viviamo per noi almeno quest'ultimo resto <strong>di</strong> vita.<br />

Riconduciamo a noi e al nostro piacere i nostri pensieri e le nostre intenzioni. […]<br />

Bisogna scegliere quei legami così forti e d'ora in poi amare questa e quella cosa, ma sposare solo<br />

se stessi. Vale a <strong>di</strong>re: il rimanente sia nostro, ma non unito e incollato in modo che non lo si possa staccare<br />

senza scorticarci e strappar via insieme con esso qualche pezzo <strong>di</strong> noi. La più grande cosa del mondo è<br />

saper essere per sè.<br />

(Michel de Montaigne, Essais)<br />

Testo 4. Cusano: l'universo infinito, senza centro né circonferenza<br />

<strong>Il</strong> mondo è explicatio <strong>di</strong> Dio e quin<strong>di</strong> non può avere limiti, pur non essendo propriamente infinito. Se non ha<br />

limiti, non ha neppure un centro né una circonferenza: il cosmo aristotelico-tolemaico viene messo in<br />

<strong>di</strong>scussione, anche se con qualche incertezza.<br />

<strong>Il</strong> centro del mondo coincide con la circonferenza. Ma il mondo non ha circonferenza. Se avesse un centro,<br />

il mondo avrebbe anche una circonferenza, e avrebbe in se stesso, al suo interno, l'inizio e la fine, e avrebbe<br />

dei limiti in rapporto a qualcosa d'altro e, al <strong>di</strong> fuori del mondo, vi sarebbe dell'altro evi sarebbero altri<br />

luoghi ancora. Affermazioni tutte senza verità. Essendo impossibile che il mondo si racchiuda fra un centro<br />

corporeo e una circonferenza, il mondo risulta inintelligibile, e Dio stesso ne è centro e circonferenza. E<br />

sebbene il mondo non sia infinito, tuttavia non lo si può concepire nemmeno finito, mancante com'è <strong>di</strong><br />

termini che lo racchiudano.<br />

Perciò quella Terra, che non può essere il centro del mondo, non è del tutto priva <strong>di</strong> moto. È necessario che<br />

essa si muova <strong>di</strong> tal moto che possa <strong>di</strong>venire minore <strong>di</strong> quello che è 1 , all'infinito. Come la Terra non<br />

costituisce il centro del mondo, così nemmeno la sfera delle stelle fisse ne costituisce la circonferenza,<br />

sebbene, paragonando fra loro la Terra e quel cielo, la prima appaia essere più vicina al centro e il secondo<br />

1 La Terra non può essere il centro perché il centro del mondo è Dio, ma è vicina al centro del mondo. Cusano non si è<br />

ancora del tutto liberato dal modello tolemaico, <strong>di</strong> conseguenza la terra deve muoversi in quanto non è centro, ma il<br />

suo movimento deve poter decescere all’infinito, tendendo verso il centro e verso Dio.


PERCORSO 2. IL RINASCIMENTO/ SCHEDA 2<br />

più vicino ad essere la circonferenza.<br />

(La dotta ignoranza, II, XI, par. 156, p. 171)<br />

___________________<br />

Guida all’analisi<br />

Nonostante la modernità della concezione astronomica che sostiene, soprattutto se si considera che scrive<br />

circa un secolo prima rispetto a Copernico, Cusano presenta ancora incertezze nel delineare la nuova<br />

immagine dell'universo. Ad esempio, l'universo è illimitato in quanto explicatio <strong>di</strong> Dio, ma non può essere<br />

infinito altrimenti coinciderebbe completamente con Lui. Queste e altre contrad<strong>di</strong>zioni della cosmologia <strong>di</strong><br />

Cusano si spiegano con il fatto che egli non supera completamente la concezione aristotelico-tolemaica. <strong>Il</strong><br />

suo è piuttosto un universo tolemaico <strong>di</strong>latato all'infinito, che perde perciò un centro immobile e le sfere<br />

chiuse, ma ne conserva i punti <strong>di</strong> riferimento (centro, circonferenza ecc.), seppure sottratti al loro<br />

significato originario.<br />

Una questione aperta.<br />

Testo a. L’esistenzialismo è un umanismo.<br />

L'uomo, secondo la concezione esistenzialistica, non è definibile in quanto all'inizio non è niente.<br />

Sarà solo in seguito, e sarà quale si sarà fatto. [...] L'uomo è soltanto, non solo quale si concepisce, ma<br />

quale si vuole, e precisamente quale si concepisce dopo l'esistenza e quale si vuole dopo questo slancio<br />

verso l'esistere: l'uomo non è altro che ciò che si fa. Questo è il principio primo dell'esistenzialismo. Ed è<br />

anche quello che si chiama la soggettività e che ci vien rimproverata con questo termine. Ma che cosa<br />

vogliamo <strong>di</strong>re noi, con questo, se non che l'uomo ha una <strong>di</strong>gnità più grande che non la pietra o il tavolo?<br />

Perché noi vogliamo <strong>di</strong>re che l'uomo in primo luogo esiste, ossia che egli è in primo luogo ciò che si slancia<br />

verso un avvenire e ciò che ha coscienza <strong>di</strong> progettarsi verso l'avvenire.<br />

L'uomo è ,dapprima, un progetto che vive se stesso soggettivamente, invece <strong>di</strong> essere muschio,<br />

putridume o cavolfiore; niente esiste prima <strong>di</strong> questo progetto; niente esiste nel cielo intelligibile; l'uomo<br />

sarà innanzitutto quello che avrà progettato <strong>di</strong> essere. [...]<br />

Ma, se veramente l'esistenza precede l'essenza, l'uomo è responsabile <strong>di</strong> quello che è. Così il primo<br />

passo dell'esistenzialismo è <strong>di</strong> mettere ogni uomo in possesso <strong>di</strong> quello che egli è e <strong>di</strong> far cadere su <strong>di</strong> lui la<br />

responsabilità totale della sua esistenza. E, quando <strong>di</strong>ciamo che l'uomo è responsabile <strong>di</strong> se stesso, non<br />

inten<strong>di</strong>amo che l'uomo sia responsabile della sua stretta in<strong>di</strong>vidualità, ma che egli è responsabile <strong>di</strong> tutti gli<br />

uomini. La parola "soggettivismo" ha due significati e su questa duplicità giocano i nostri avversari.<br />

Soggettivismo vuol <strong>di</strong>re, da una parte, scelta del soggetto in<strong>di</strong>viduale per se stesso e, dall'altra, impossibilità<br />

per l'uomo <strong>di</strong> oltrepassare la soggettività umana. Questo secondo è il senso profondo dell'esistenzialismo.<br />

Quando <strong>di</strong>ciamo che l'uomo sceglie, inten<strong>di</strong>amo che ciascuno <strong>di</strong> noi si sceglie, ma, con questo, vogliamo<br />

anche <strong>di</strong>re che ciascuno <strong>di</strong> noi, scegliendosi, sceglie per tutti gli uomini. Infatti, non c'è uno solo dei nostri<br />

atti che, creando l'uomo che vogliamo essere, non crei nello stesso tempo una immagine dell'uomo quale<br />

noi giu<strong>di</strong>chiamo debba essere. Scegliere d'essere questo piuttosto che quello è affermare, nello stesso<br />

tempo, il valore della nostra scelta, giacché non possiamo mai scegliere il male; ciò che scegliamo è sempre<br />

il bene e nulla può essere bene per noi senza esserlo per tutti. Se l'esistenza, d'altra parte, precede<br />

l'essenza e noi vogliamo esistere nello stesso tempo in cui formiamo la nostra immagine, questa immagine<br />

è valida per tutti e per tutta intera la nostra epoca. Così la nostra responsabilità è molto più grande <strong>di</strong><br />

quello che potremmo supporre, poiché essa coinvolge l'umanità intera.[...]<br />

L'esistenzialista, invece, <strong>di</strong>ce che il vile si fa vile, che l'eroe si fa eroe; c'è sempre una possibilità per<br />

il vile <strong>di</strong> non essere più vile e per l'eroe <strong>di</strong> cessare d'essere un eroe. Quello che conta è l'impegno totale, e<br />

non solo un caso particolare, un'azione particolare a impegnarvi totalmente.<br />

(da L'esistenzialismo è un umanismo, Mursia, Milano 19717, 34-38, 66-67)


PERCORSO 2. IL RINASCIMENTO/ SCHEDA 2<br />

Testo b. Nuove strade per trasformare il rapporto dell’uomo con l’ambiente<br />

Dunque, professor Latouche, lei sostiene che persino l'idea stessa <strong>di</strong> sviluppo è in crisi.<br />

"Senza dubbio […] l'avvento della globalizzazione ha mandato in frantumi il quadro statale delle<br />

regolamentazioni, permettendo alle <strong>di</strong>suguaglianze <strong>di</strong> svilupparsi senza limiti e segnando la comparsa del<br />

cosiddetto "trickle down effect", ossia la <strong>di</strong>stribuzione della crescita economica al Nord e delle sue briciole<br />

al Sud. Dal 1950, la ricchezza del pianeta è aumentata sei volte, eppure il red<strong>di</strong>to me<strong>di</strong>o degli abitanti <strong>di</strong><br />

oltre 100 Paesi del mondo è in piena regressione e così la loro speranza <strong>di</strong> vita. Si sono allargati a <strong>di</strong>smisura<br />

gli abissi <strong>di</strong> sperequazione: le tre persone più ricche del mondo possiedono una fortuna superiore alla<br />

somma del prodotto interno lordo dei 48 Paesi più poveri del globo. In simili con<strong>di</strong>zioni, lei comprende che<br />

non è più <strong>di</strong> attualità lo sviluppo, ma solo piccoli aggiustamenti strutturali. Che passano sotto il nome <strong>di</strong><br />

"sostenibilità" e sono invece una spaventosa mistificazione".<br />

Qual è la cura, allora, a suo parere?<br />

"C'è un vecchio proverbio che suona più o meno così: "se hai un martello conficcato in testa, tutti i tuoi<br />

problemi avranno la forma <strong>di</strong> chio<strong>di</strong>". Dobbiamo levarci dalla testa il martello dell'economia, decolonizzare<br />

il nostro immaginario dai miti del progresso, della scienza e della tecnica. Far tramontare l'onnipotenza<br />

dell'"assolutismo razionale" che crede <strong>di</strong> poter assoggettare ogni cosa al suo volere e sostituirlo col<br />

"ragionevole", che si adegua alle mutate con<strong>di</strong>zioni della natura. Questo è il primo sforzo a livello<br />

concettuale. Concretamente, poi, bisogna proseguire nell'opera <strong>di</strong> contrasto della "megamacchina" dello<br />

sviluppo".<br />

E come?<br />

È necessari […] affiancare alla guerra <strong>di</strong> trincea il concetto <strong>di</strong> "nicchia", un luogo cioè dove progettare una<br />

seria alternativa da estendere poi a gran<strong>di</strong> settori della società. Io stu<strong>di</strong>o da anni certe economie cosiddette<br />

"informali", che sono in realtà veri e propri laboratori del dopo-sviluppo".<br />

Si riferisce al tipo <strong>di</strong> società basata sulle relazioni interpersonali descritta nel suo libro L'altra Africa?<br />

"Esattamente. Anche se, <strong>di</strong> fronte alla evidenza dei successi <strong>di</strong> certi "impren<strong>di</strong>tori a pie<strong>di</strong> scalzi", gli<br />

occidentali continuano scioccamente a pensare a quella africana come a un'accozzaglia <strong>di</strong> "straccioni" che<br />

sopravvive in attesa <strong>di</strong> accedere alla terra promessa della modernità, dell'economia ufficiale e del vero<br />

sviluppo. In realtà le migliaia <strong>di</strong> piccole imprese e il colorato insieme <strong>di</strong> mestieri (dalle intrecciatrici <strong>di</strong> strada<br />

ai bana-bana, commercianti ambulanti che vendono alle donne senza frigorifero olio "sfuso" o sacchetti <strong>di</strong><br />

latte in polvere) non possono essere etichettati semplicemente come "naufraghi dello sviluppo". Essi<br />

sopravvivono perché hanno prodotto un tipo <strong>di</strong> società basata non sui rapporti economici ma sul valore<br />

delle relazioni sociali e sulla logica del dono. Inten<strong>di</strong>amoci, parlo <strong>di</strong> una società non assolutamente<br />

affrancata dal mercato ma che, comunque, non obbe<strong>di</strong>sce supinamente alla logica mercantile. In questo<br />

tipo <strong>di</strong> società, che io chiamo vernacolare, ciascuno investe molto nei legami interpersonali, dà in prestito<br />

denaro, beni materiali e perfino tempo o lavoro. Lo fa senza pensare a un tornaconto imme<strong>di</strong>ato, perché<br />

reputa importante crearsi un gran numero <strong>di</strong> "cassetti", per usare un espressione della periferia <strong>di</strong> Dakar,<br />

cioè <strong>di</strong> persone debitrici a cui attingere in caso <strong>di</strong> bisogno. Un po' come le esperienze che noi occidentali<br />

stiamo riscoprendo e che vanno sotto il nome <strong>di</strong> "banca del tempo" o "local exchange trade systems"<br />

(sistemi <strong>di</strong> scambio locale)".<br />

V. Spagnolo, in L’Avvenire, 12 <strong>di</strong>cembre 2000

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