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Interpretazioni della Rivoluzione americana_a (scheda 2) - efemeridi.it

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PERCORSO 3 /SCHEDA 2<br />

1. Una rivoluzione senza ideologia<br />

La storiografia ha sempre indicato uno stretto rapporto tra la rivoluzione <strong>americana</strong> e le rivoluzioni europee del<br />

Sette e dell’Ottocento, facendone risalire le motivazioni alle idee pol<strong>it</strong>iche e sociali dell’Illuminismo. Recenti studiosi<br />

statun<strong>it</strong>ensi hanno tuttavia sottoposto a revisione tutta la questione giungendo alla conclusione che la rivoluzione dei coloni<br />

inglesi d’America ha una propria original<strong>it</strong>à che la distingue dalle rivoluzioni europee. A loro giudizio c’è una profonda<br />

differenza tra la rivoluzione <strong>americana</strong> e quella francese dell"89. La prima è, a loro dire, una rivoluzione di tipo legalistico,<br />

che muove dai principi stessi del cost<strong>it</strong>uzionalismo inglese, dai dir<strong>it</strong>ti e dai privilegi consacrati sulle Carte inglesi («niente<br />

tassazione senza rappresentanza»). Una rivoluzione «conservatrice», dunque, come l'ha defin<strong>it</strong>a un altro recente studioso, il<br />

Brown («Questa lotta, per conservare e non per distruggere, ha fatto <strong>della</strong> nostra rivoluzione qualcosa di unico nella<br />

storia»), laddove quella francese, che si rispecchia nella formula «libertà, uguaglianza, fratellanza», stabilisce non già quali<br />

debbano essere i dir<strong>it</strong>ti e i doveri del c<strong>it</strong>tadino francese, ma quali i dir<strong>it</strong>ti e i doveri dell'uman<strong>it</strong>à in generale; e perciò tende<br />

piuttosto all'umana rigenerazione che a riformare la Francia. Di fatto, come rileva Boorstin, la rivoluzione <strong>americana</strong> non<br />

produsse un solo trattato importante di teoria pol<strong>it</strong>ica e lo stesso Jefferson, che pure è considerato il filosofo che ha guidato<br />

la rivoluzione, non nutrì un grande interesse per la speculazione pol<strong>it</strong>ico-sociale.<br />

Il giudizio di Boorstin ha pesato fortemente sulla storiografia <strong>americana</strong>, anche se altri storici non meno autorevoli<br />

si discostano dalla sua interpretazione, rivendicando l'influsso determinante del pensiero illuministico e reinserendo con ciò<br />

la rivoluzione <strong>americana</strong> nel circolo v<strong>it</strong>ale <strong>della</strong> storia europea. «Gli Americani», scrive Bailyn, «erano profondamente<br />

consapevoli di essere degli innovatori, di portare avanti l'uman<strong>it</strong>à. Essi erano convinti di avere avuto successo nel loro sforzo<br />

di modificare la s<strong>it</strong>uazione, per farla corrispondere agli ideali illuministici, mediante i quali essi avevano iniziato una nuova<br />

era <strong>della</strong> storia umana. Ed erano confortati in questo dall'opinione di aggiornati pensatori d’Europa».<br />

Noi Americani siamo ab<strong>it</strong>uati a pensare alla <strong>Rivoluzione</strong> come al periodo aureo del pensiero pol<strong>it</strong>ico americano.<br />

Può quindi essere uno choc accorgersi che in questo periodo non si produsse in America un solo trattato importante di<br />

teoria pol<strong>it</strong>ica. Uomini come Franklin e Jefferson dagli interessi universali, attivi e straordinariamente felici nelle loro<br />

realizzazioni pol<strong>it</strong>iche, non produssero molto come teorici. [...]<br />

Abbiamo tardato molto, prima di vedere alcune delle più evidenti e importanti caratteristiche <strong>della</strong> nostra<br />

<strong>Rivoluzione</strong>, perché autorevoli studiosi dell'argomento hanno costru<strong>it</strong>o la loro storia secondo i moduli <strong>della</strong> <strong>Rivoluzione</strong><br />

francese del 1789. Alcuni dei nostri migliori storici hanno cercato di togliere alla nostra <strong>Rivoluzione</strong> il suo colore locale,<br />

esasperando ciò che aveva in comune con quel fenomeno tipicamente europeo [...]<br />

Lo studioso, che avvicina per la prima volta la letteratura sulla nostra <strong>Rivoluzione</strong>, può essere probabilmente<br />

deluso dal tono grigio e legalistico di ciò che deve leggere. Anche se la <strong>Rivoluzione</strong> <strong>americana</strong> si verificò in un momento in<br />

cui in tutta l'Europa non mancavano la speculazione filosofica e importanti trattati, essa non fu né particolarmente ricca né<br />

particolarmente originale nel suo apparato intellettuale. [...]<br />

I due primi paragrafi <strong>della</strong> Dichiarazione d'Indipendenza si sono ormai logorati, ma pochi si curano di leggere i<br />

restanti trenta. La gente ha affermato sub<strong>it</strong>o «la v<strong>it</strong>a, la libertà e la ricerca <strong>della</strong> felic<strong>it</strong>à», dimenticando che era per due<br />

terzi un prest<strong>it</strong>o e solo una parte del preambolo. Noi abbiamo ripetuto che «tutti gli uomini sono stati creati uguali», senza<br />

curarci di analizzarne il significato e senza renderci conto che, probabilmente, per nessuno degli uomini che l'affermavano<br />

significava ciò che a noi piacerebbe. [...]<br />

Il tipico slogan <strong>della</strong> <strong>Rivoluzione</strong> - se davvero fu uno slogan - era: «niente tassazione senza rappresentanza».<br />

Queste parole sono […] un po' troppo legalistiche per infiammare il cuore del popolo. Ma se le confrontiamo con il<br />

principio «libertà, uguaglianza, fratellanza» <strong>della</strong> <strong>Rivoluzione</strong> francese e con quello «pace, pane e terra» <strong>della</strong> <strong>Rivoluzione</strong><br />

russa, possiamo avere una chiave, per interpretare lo spir<strong>it</strong>o <strong>della</strong> <strong>Rivoluzione</strong> <strong>americana</strong>. Io sono convinto che il principale<br />

oggetto in contestazione nella <strong>Rivoluzione</strong> <strong>americana</strong> fosse la natura <strong>della</strong> cost<strong>it</strong>uzione dell'Impero inglese, cioè qualcosa<br />

di squis<strong>it</strong>amente giuridico. [...]<br />

La nostra Dichiarazione d’indipendenza è essenzialmente un elenco di specifiche pretese storiche. Essa non è<br />

diretta alla rigenerazione, ma solo alle «opinioni» dell'uman<strong>it</strong>à. E strettamente legata al tempo e al luogo; lo speciale<br />

attaccamento ai «fratelli inglesi» è apertamente ammesso; essa si occupa dei doveri di un determinato re e di alcuni dei<br />

suoi sudd<strong>it</strong>i.<br />

Anche se prendessimo soltanto i due primi paragrafi o preambolo, che cost<strong>it</strong>uiscono la parte più generale del<br />

documento, e li considerassimo separatamente, ci accorgeremmo facilmente che suonano come una riedizione ridotta<br />

<strong>della</strong> teoria whig <strong>della</strong> <strong>Rivoluzione</strong> inglese del 1688. […] Alcuni storici, infatti (Guizot, per esempio), arrivarono a dire che la<br />

<strong>Rivoluzione</strong> inglese trionfò due volte, una volta in Inghilterra, una volta in America.<br />

I rimanenti tre quarti - i tre quarti ignorati - del documento sono tecnici e legalistici. Questo, naturalmente, è il<br />

principale motivo per cui non si leggono. Perché si tratta di un atto di accusa contro il Re, redatto nelle forme del<br />

cost<strong>it</strong>uzionalismo inglese. «La paziente sopportazione di queste Colonie» è il punto di partenza. Esso tratta di dir<strong>it</strong>ti e di<br />

privilegi consacrati dalle Carte inglesi. Riferisce accuratamente che le forme tradizionali e consuetudinarie di protesta,<br />

come le «re<strong>it</strong>erate petizioni», erano già state tentate.<br />

Più si rilegge la Dichiarazione nel contesto, più essa si rivela un documento di relazioni giuridiche con l'Impero<br />

piuttosto che un esempio di elevata filosofia pol<strong>it</strong>ica. […]. La maggior parte del documento è una enumerazione degli errori,<br />

degli eccessi, dei reati di Giorgio III in violazione <strong>della</strong> Cost<strong>it</strong>uzione e delle leggi <strong>della</strong> Gran Bretagna. Tutte queste accuse<br />

hanno senso soltanto se si presuppone la struttura del cost<strong>it</strong>uzionalismo inglese. [...] [Boorstin, The genius of American]<br />

1


2. La rivoluzione atlantica<br />

A giudizio di Godechot (La Grande Nazione, 1956) la <strong>Rivoluzione</strong> francese non è un fatto isolato, come lo videro gli storici<br />

dell'Ottocento, ma l'aspetto saliente di una più vasta rivoluzione, che investì i paesi dell’area europeo-<strong>americana</strong> o, come<br />

suol dirsi, atlantica, tra la fine del secolo XVIII e l’inizio del XIX. «Non già una serie di rivoluzioni isolate e scarsamente<br />

collegate tra loro, ma una grande rivoluzione occidentale o atlantica nella quale si possono distinguere una "fase<br />

<strong>americana</strong>" e una "fase francese"». «Non si può non restar colp<strong>it</strong>i», osserva Godechot, «dalla successione rapida delle<br />

rivoluzioni tra il 1763 e il 1848». Quali furono le ragioni che determinarono queste rivoluzioni pol<strong>it</strong>iche «a catena», destinate<br />

a provocare «una profonda rivoluzione economica, industriale, agricola, sociale»? Lo storico indica varie componenti: le<br />

nuove idee band<strong>it</strong>e dagli illuministi, lo squilibrio delle strutture sociali, la congiuntura economica (rialzo dei prezzi,<br />

diminuzione del potere di acquisto per l'operaio, l'artigiano e il lavoratore agricolo a giornata, crisi degli<br />

approvvigionamenti in conseguenza di cattivi raccolti), la continua cresc<strong>it</strong>a <strong>della</strong> popolazione (rivoluzione demografica). Nei<br />

paesi ad est dell’Elba (Russia, Prussia), ma anche in Austria e in Spagna, i sovrani illuminati, sostenuti da quella parte<br />

dell'aristocrazia che ha letto i «philosophes», si sforzarono di risolvere i problemi posti dalla rivoluzione demografica e dalla<br />

congiuntura economica procedendo sulla via delle riforme; ma ciò non si verificò nell’Europa occidentale e in America, ove le<br />

classi aristocratiche e quelle borghesi erano ormai orientate verso il liberalismo pol<strong>it</strong>ico, cioè intendevano avere parte nel<br />

governo dei rispettivi paesi. Su questa via, ossia quella <strong>della</strong> <strong>Rivoluzione</strong>, la borghesia trovò alleate le classi popolari, che<br />

fornirono «la massa d 'urto che le era indispensabile per condurre a buon fine la <strong>Rivoluzione</strong> stessa» .<br />

La tesi <strong>della</strong> «rivoluzione dell'Occidente» o <strong>della</strong> «rivoluzione atlantica», per usare l'espressione dello storico americano R<br />

Palmer, ha sollevato obbiezioni e riserve. Soprattutto C. Lefebvre e, dopo di lui, A. Soboul hanno posto in evidenza il pericolo<br />

di «stemperare» in un contesto rivoluzionario di così ampia portata le caratteristiche peculiari <strong>della</strong> <strong>Rivoluzione</strong> francese, di<br />

allinearla ad altri moti che conservano caratteri regionali e si muovono in un amb<strong>it</strong>o pol<strong>it</strong>ico diverso, sostanzialmente<br />

moderato.<br />

Soltanto per una cattiva ab<strong>it</strong>udine si è comunemente parlato sempre di una «<strong>Rivoluzione</strong> francese». Questa<br />

espressione fa credere che alla fine del secolo XVIII si sia sviluppata in Francia una rivoluzione assolutamente isolata e senza<br />

alcun rapporto con gli avvenimenti che si produssero nel resto del mondo nella medesima epoca. Tale era la visione <strong>della</strong><br />

maggior parte degli storici <strong>della</strong> <strong>Rivoluzione</strong> francese sino a poco tempo fa; tutt'al più, essi concedevano una certa influenza<br />

sulla <strong>Rivoluzione</strong> francese alla rivoluzione <strong>americana</strong>, anch’essa concep<strong>it</strong>a come un fenomeno isolato: a questa maniera di<br />

vedere si conformarono tutti gli storici del XIX secolo e specialmente i più celebri tra loro fra cui Thiers, Mignet, Michelet,<br />

Tocqueville; né diversamente si può dire per quelli che tra gli storici sono assai spesso classificati come «scientifici» e che<br />

furono i nostri maestri: Aulard e Mathiez. «La <strong>Rivoluzione</strong> francese - scrive quest'ultimo - sorprese per la sua irresistibile<br />

sub<strong>it</strong>ane<strong>it</strong>à... Scoppiò dal divorzio sempre più profondo di giorno in giorno tra la realtà e le leggi, tra le ist<strong>it</strong>uzioni e i<br />

costumi, tra la lettera e lo spir<strong>it</strong>o...». Ma Albert Mathiez non si domanda se questo divorzio fosse particolare alla Francia o<br />

se lo si r<strong>it</strong>rova all’origine delle altre rivoluzioni che si moltiplicano alla fine del secolo XVIII e all'inizio del XIX. In ver<strong>it</strong>à fu<br />

fuori <strong>della</strong> Francia che gli storici, indagando la propria storia nazionale, riconobbero alle rivoluzioni dei loro paesi delle<br />

cause, alcune particolari ed altre analoghe a quelle <strong>della</strong> <strong>Rivoluzione</strong> francese. I primi a sviluppare queste idee sembra siano<br />

stati gli storici <strong>it</strong>aliani. Nel secolo scorso ed agli inizi del secolo presente, la maggior parte degli storici del Risorgimento<br />

ricollegavano le origini di questo moto nazionale alla <strong>Rivoluzione</strong> francese, o almeno alla relativa unificazione dell'Italia<br />

sotto lo scettro di Napoleone. [...]<br />

Gli storici americani, analizzando le cause <strong>della</strong> rivoluzione degli Stati Un<strong>it</strong>i e paragonandole alle cause <strong>della</strong><br />

<strong>Rivoluzione</strong> francese, hanno anch’essi concluso che alla fine del secolo XVIII e all'inizio del secolo XIX vi fu non già una serie<br />

di rivoluzioni isolate e scarsamente collegate tra loro, ma una grande rivoluzione occidentale o atlantica nella quale si<br />

possono distinguere una «fase <strong>americana</strong>» e una «fase francese». [...]<br />

In Francia questo modo d'intendere la <strong>Rivoluzione</strong> si è fatto strada solo in questi ultimi anni con la nuova edizione<br />

<strong>della</strong> Révolution française di Georges Lefebvre, pubblicata nel 1951, nella quale l'autore consacra un importante cap<strong>it</strong>olo<br />

alla s<strong>it</strong>uazione del mondo verso la fine del secolo XVIII e mostra come, almeno nell'emisfero occidentale, esistesse una<br />

s<strong>it</strong>uazione o un «clima» rivoluzionario. Del resto non si può non restar colp<strong>it</strong>i dalla successione rapida delle rivoluzioni tra<br />

il 1763 e il 1848. [...]<br />

Queste rivoluzioni pol<strong>it</strong>iche provocarono una profonda rivoluzione economica, industriale, agricola, sociale. A<br />

parte il caso assolutamente particolare <strong>della</strong> Polonia, si può constatare che queste rivoluzioni si produssero in America e in<br />

Europa occidentale, cioè nei paesi rivieraschi dell’Atlantico. Quale meraviglia, se si considera che alla fine del secolo XVIII il<br />

mare era molto più «permeabile» <strong>della</strong> terra, che mercanzie ed idee vi camminavano più rapidamente? L' oro o il grano<br />

varcavano più rapidamente l'oceano che non i continenti e creavano da una parte e dall'altra dell'Atlantico condizioni economiche<br />

assai simili; le lettere e le stampe passavano cosi molto rapidamente da un continente all'altro: la Dichiarazione<br />

d'indipendenza degli Stati Un<strong>it</strong>i fu conosciuta a Parigi prima che in Georgia. Vi fu dunque una grande rivoluzione atlantica<br />

composta di parecchie rivoluzioni «a catena».<br />

[Godechot, La grande nazione.]<br />

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