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LA TRAGEDIA GRECA: EDUCAZIONE DI UN POPOLO - Alexis Carrel

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<strong>LA</strong> <strong>TRAGE<strong>DI</strong>A</strong> <strong>GRECA</strong>: <strong>EDUCAZIONE</strong> <strong>DI</strong> <strong>UN</strong> <strong>POPOLO</strong><br />

La tragedia di Atene del V sec. a.C. è un genere molto diverso rispetto a quello che ci<br />

aspetteremmo: non sempre ha un finale “tragico“. Somiglia piuttosto ad un musical,<br />

poiché vi sono parti recitate, cantate e danzate.<br />

La tragedia si sviluppa ad Atene durante il quinto secolo a.C., periodo di massimo<br />

splendore e potenza della città.<br />

Gli spettacoli teatrali si svolgevano una volta l’anno durante le feste religiose delle<br />

“Grandi dionisie” dedicate a Dioniso, dio protettore del teatro.<br />

Veniva istituita una gara a cui partecipavano tre autori, ciascuno presentando una<br />

tetralogia composta da tre tragedie ed un dramma satiresco; a queste rappresentazioni<br />

partecipava tutta la città, che offriva addirittura un’indennità monetaria ai più poveri per<br />

permettere loro di assistere, tanta era considerata l’importanza dell’evento per tutto il<br />

corpo civico.<br />

Una commissione di cittadini estratti a sorte decretava il vincitore.<br />

La tragedia è di estrema importanza per la città: è un momento politico, sociale, artistico e religioso. Ma la sua funzione<br />

più importante è quella di educare tutta la comunità della polis; come infatti ci testimonia il poeta comico ateniese del V<br />

secolo Aristofane (Le rane):<br />

Occorre che il poeta veli il male e non lo porti in scena e lo insegni. Ai bambini infatti è il maestro<br />

che parla, agli adulti invece sono i poeti.<br />

Il poeta tragico dunque, nella concezione dei suoi contemporanei, è un maestro capace di dare buoni consigli alla città.<br />

La struttura della tragedia è fissa; l’argomento è quasi sempre il mito perché attraverso le vicende di personaggi<br />

leggendari, eroi e dei è più facile creare un modello universale in cui chiunque possa immedesimarsi, da cui tutti, uomini e<br />

donne, giovani e vecchi, possano trarre valori sempre validi, insegnamenti per la propria vita, buoni consigli per la polis.<br />

Il prologo è il momento in cui il pubblico viene informato sugli antefatti. Il coro, personaggio collettivo e non estraneo alla<br />

vicenda, non è ancora presente sulla scena (a meno che non sia lui, eccezionalmente a recitarlo). È l’unico momento in cui<br />

si possono confidare segreti o progettare piani.<br />

La parodo è l’ingresso del coro nello spazio teatrale, in cui i coreuti danzano e cantano.<br />

Si susseguono episodi, in cui gli attori recitano sulla scena, e stasimi, durante i quali il coro canta e danza.<br />

L’esodo è la conclusione del dramma, alla fine del quale attori e coro escono dal teatro.<br />

Momento artistico. La tragedia unisce<br />

poesia, musica e danza: è una vera e propria<br />

forma di arte.<br />

Momento politico. Nelle tragedie vengono<br />

presentate tematiche riguardanti la natura e<br />

la politica della polis, come l'opposizione<br />

democrazia-impero (i Persiani di Eschilo) o il<br />

problema delle leggi (Antigone di Sofocle).<br />

Momento sociale. Vengono trattate le<br />

dinamiche dei rapporti umani, come quella<br />

dell’educazione nel Filottete di Sofocle, e i<br />

cambiamenti della società, come il ruolo<br />

dell’assemblea dei cittadini e della difesa dei<br />

più deboli nelle Supplici di Eschilo.<br />

Momento religioso. Il poeta tragico si<br />

interroga sul rapporto uomo-dio, come<br />

Eschilo nell’Orestea, oppure Euripide in<br />

Ippolito e nelle Baccanti.<br />

Cave<br />

a<br />

Parodos<br />

Orchestr<br />

a<br />

Sce<br />

na


ὒβρις<br />

L. Fontana, Performance (anni ‘50)<br />

ESCHILO<br />

I PERSIANI<br />

I Persiani sono l’unica tragedia a noi pervenuta<br />

che tratta di un fatto storico e non mitico, cioè la<br />

battaglia navale di Salamina, combattuta nel 480<br />

a.C., dove anche Eschilo combatté e suo fratello<br />

morì. La vicenda è narrata dal punto di vista dei<br />

nemici, con una coraggiosa partecipazione da<br />

parte dei vincitori, i Greci, al dolore dei vinti, i<br />

Persiani; quale grandezza d’animo in Eschilo, non<br />

comune a quei tempi, soprattutto dopo soli dieci<br />

anni dalla guerra.<br />

La tragedia ruota attorno all’interrogativo dei<br />

Persiani che si domandano il perché della loro<br />

sconfitta in battaglia nonostante la schiacciante<br />

superiorità numerica e di disciplina. Il motivo<br />

della vittoria dei Greci è in primo luogo il fatto<br />

che essi hanno combattuto per se stessi, per i<br />

cari, per la patria, in difesa dei loro ideali, mentre<br />

i Persiani seguivano soltanto i comandi di un re<br />

sconosciuto:<br />

Non infatti come in fuga cantavano allora i<br />

Greci un solenne peana, ma slanciandosi in<br />

battaglia con intrepido coraggio […] e<br />

insieme si poteva udire un forte grido: “O<br />

figli dei Greci, andate, liberate la patria,<br />

liberate i figli, le spose, e le sedi degli dei<br />

patrii, e i sepolcri degli antenati: su tutto<br />

oggi si combatte”<br />

I Persiani non hanno raggiunto la vittoria anche per una colpa contro gli dei, commessa dal loro signore Serse, rivelata dallo<br />

spettro di Dario. Questa è hybris (in greco ὒβρις), il peccato di tracotanza, che provoca quell’accecamento della ragione che<br />

impedisce all'uomo di riconoscere i propri limiti e di commisurare le proprie forze: chi ha ambizioni troppo elevate e osa<br />

oltrepassare il confine posto dagli dei pecca di hybris. Serse, re e comandante dei Persiani ha peccato di hybris e gli dei l’hanno<br />

punito portandolo insieme al suo popolo alla rovina.<br />

Lui [Serse],che pensò di trattenere con legami lo scorrere del sacro Ellesponto, la divina corrente del Bosforo, quasi<br />

fosse uno schiavo, e tentò di trasformare lo stretto, e chiudendolo in ceppi forgiati col martello creò un’ampia strada<br />

per un ampio esercito. Pur essendo mortale, gli dei tutti […] credette di dominare, con mente non retta.<br />

La conseguenza di questo peccato è Ate, la pazzia che<br />

acceca l’uomo e che gli impedisce di accorgersi dell’errore<br />

commesso e a causa della quale l’uomo perde la capacità di<br />

giudicare. Questa colpa di essersi posti contro gli dei<br />

(hybris) e questo stato di non saper discernere il bene dal<br />

male devono essere puniti da colui che garantisce la<br />

stabilità della giustizia e l’ordine dell’universo, ovvero dal re<br />

degli dei Zeus .<br />

La colpa infatti fiorendo dà come frutto la spiga di<br />

Ate, donde miete una messe tutta di lacrime. Al<br />

vedere tali compensi di queste colpe ricordatevi di<br />

Atene e della Grecia, e nessuno inorgoglitosi della<br />

sorte che possiede dissipi una grande felicità<br />

infatuandosi di altri beni: Zeus sovrasta come vindice<br />

dei pensieri troppo superbi, giudice severo. Perciò a<br />

lui, che ha bisogno di prendere coscienza di sé, ispirate<br />

saggezza con ragionevoli consigli, perché cessi di<br />

lasciarsi accecare dagli dei per la sua presuntuosa<br />

baldanza.<br />

C.D. Friederich, Mare di ghiaccio (1824)


EUMENI<strong>DI</strong><br />

Il tema della giustizia viene ripreso da Eschilo nelle Eumenidi, la<br />

storia della ricerca di una giustizia unica e oggettiva per gli uomini,<br />

raggiungibile solo, secondo la grande scoperta di Eschilo, se gli dei<br />

sono in pace tra di loro. Infatti solo la concordia è segno di<br />

un’inequivocabile posizione davanti a tutte le cose, un unico<br />

giudizio a cui gli uomini aspirano ma che non riescono a<br />

raggiungere proprio perché neanche gli stessi dei l’hanno<br />

presente. Non ci può essere vera distinzione tra il bene e il male se<br />

non esiste amore tra gli dei, e finché essi saranno in conflitto tra di<br />

loro l’uomo resterà per sempre nell’incertezza.<br />

Nelle Eumenidi vi è uno scontro avvincente tra due giustizie<br />

diverse: da una parte la vendetta personale come giusta<br />

riparazione a un torto subito, posizione sostenuta dal dio Apollo;<br />

dall’altra invece il peccato di omicidio di un parente, punito dalle<br />

tremende Erinni.<br />

In mezzo a queste due giustizie vi è Oreste, figlio di Agamennone,<br />

che deve decidere quale seguire, poiché incalzato da una parte<br />

dall’ordine di Apollo di uccidere sua madre per punirla di aver<br />

assassinato suo padre, dall’altra dall’ira delle Erinni che lo<br />

perseguiterebbero per questo atto, pur essendo di totale<br />

obbedienza ad un dio.<br />

Dopo aver deciso di eseguire l’ordine di Apollo, il ragazzo viene<br />

processato prima da un tribunale di uomini, che si ritrovano però<br />

incapaci di giudizio, poiché combattuti nel decidere tra due<br />

giustizie diverse, poi da uno divino, che si conclude grazie<br />

all’intervento di Atena. Lei sola riesce a ristabilire la pace tra gli<br />

dei, ed aiuta, colma le carenze del giudizio umano; le Erinni<br />

diventano così benevole e accettano la pace trasformandosi in<br />

Eumenidi.<br />

Dike VS Dike<br />

F.Melotti, Scultura n.15 (1966)<br />

K..S. Malevic, Rettangolo nero, triangolo blu<br />

(1913)<br />

ATENA È mio il compito di giudicare<br />

per ultima la causa; e aggiungerò il mio<br />

voto in favore di Oreste: […] non farò<br />

prevalere la morte di una donna che ha<br />

ucciso il marito, signore della casa. Vince<br />

Oreste, anche se giudicato a parità di<br />

voti. […] (Alle Erinni) Non siete state<br />

vinte, ché la sentenza è risultata secondo<br />

giustizia. Non infuriatevi: io infatti vi<br />

prometto, secondo piena giustizia, che<br />

avrete sedi e penetrali in una terra piena<br />

di giustizia, onorate da questi<br />

concittadini<br />

ERINNI Sembra che tu stia per<br />

affascinarmi ed io sto rinunciando al<br />

rancore. […] Accetterò di abitare insieme<br />

con Pallade e non recherò disonore alla<br />

città di Atene, splendida difesa degli<br />

altari delle divinità greche. Una sola<br />

anima: questo è tra i mortali rimedio per<br />

molti fatti.<br />

ATENA Questo io benevolmente<br />

opero ai miei concittadini: qui pongo ad<br />

abitare grandi e implacabili divinità. […]<br />

Io gioisco che esse benevolmente portino<br />

a termine buoni auguri per la mia terra.<br />

Zeus ha trionfato, e in tutto vince la<br />

nostra contesa in nome del bene.<br />

ERINNI Io prego che in questa città<br />

mai rintroni contesa insaziabile di mali.


Agamennone, Inno a Zeus<br />

In ogni caso gli dei, Zeus in particolare, sono garanti della giustizia, anche quando essa non sembra chiara e<br />

univoca, una giustizia che implica la punizione dolorosa della colpa dell’uomo, ma anche il riconoscimento finale,<br />

da parte sua, del proprio errore e peccato. Gli dei fanno in modo, quindi, che l’uomo maturi attraverso questo<br />

percorso di conoscenza per mezzo della sofferenza, che inevitabilmente un uomo è destinato a patire: i Greci<br />

chiamavano tale processo di apprendimento doloroso pàhtei máthos.<br />

La grandezza dell’uomo greco sta proprio nella visione di questo dolore come una positiva possibilità di crescita<br />

e infine di salvezza, perché esso non è la distruzione, ma un dono che gli dei fanno all’uomo per permettergli di<br />

capire più a fondo se stesso e quello che vive. È ciò che Eschilo canta e insegna al suo pubblico in uno dei cori più<br />

belli delle sue tragedie, il primo dell’Agamennone:<br />

A. Burri, Rosso plastica (1964)<br />

“Zeus, chiunque mai sia, se con questo nome è a lui caro essere invocato, con questo lo invoco. Non ho nulla<br />

da paragonargli, pur ponderando ogni cosa, al di fuori di Zeus, se veramente il vano peso dell’angoscia<br />

voglio gettare. Neppure chi prima era stato grande, traboccante di ardire gagliardo, neppure si darà che è<br />

esistito; e chi venne poi, se ne va dopo essersi imbattuto in uno più forte di lui.<br />

Ma chi veramente intona epinici a Zeus<br />

otterrà l’interezza del senno, lui che ha<br />

condotto l’uomo ad essere saggio,<br />

stabilendo che avesse valore<br />

l’apprendere attraverso la sofferenza.<br />

Stilla nel sonno dinnanzi al cuore<br />

l’angoscia memore del suo male: e anche<br />

presso quelli che non vogliono giunge il<br />

momento di capire: dono violento degli<br />

dei che seggono sul trono maestoso.”<br />

A. Burri, Catrame (1950)


ANTIGONE<br />

L’esistere del mondo è uno stupore,<br />

infinito, ma nulla è più dell’uomo<br />

stupendo. Anche di là dal grigio mare,<br />

tra i venti tempestosi, quando si apre<br />

a lui sul capo l’onda alta di strepiti,<br />

l’uomo passa; e la Terra, santa madre,<br />

con l’aratro affatica d’anno in anno<br />

e con la stirpe equina la rovescia. […]<br />

E doma scaltro i liberi animali.<br />

SOFOCLE<br />

Il tema principale di Antigone è il rapporto tra le leggi umane e quelle divine. Il primo canto corale è un inno all’uomo: il<br />

coro elogia l’ingegno umano e la sua capacità di sottomettere tutte le altre creature e perfino le forze della natura:<br />

Ma al tempo stesso Sofocle ricorda che l’uomo può volgersi<br />

non solo al bene, bensì anche al male e lo invita a stare al<br />

suo posto e a rispettare gli dei.<br />

Fornito oltre misura di sapere,<br />

di ingegno e d’arte, ora si volge al male,<br />

ora al bene; e se accorda la giustizia<br />

divina con le leggi della terra,<br />

farà grande la patria. Ma se il male<br />

abita in lui superbo, senza patria<br />

e misero vivrà.<br />

W. G. Congdon, Bombay<br />

20<br />

Antigone, in seguito alla morte dei due fratelli, decide di rendere gli onori funebri anche a quello che aveva attaccato<br />

la patria, Tebe, infrangendo così l’ordine dettato dallo zio Creonte di lasciare il corpo dell’empio invasore in pasto ai<br />

cani.<br />

Antigone non nasconde ciò che ha fatto, poiché sostiene che la sepoltura sia un diritto di ogni persona,<br />

indipendentemente da ciò che abbia fatto in vita e che il divieto di un uomo non può prevalere sulle leggi volute<br />

dagli dei; comincia così un animato discorso tra il re e la nipote:<br />

Creonte Dimmi: eri al corrente del divieto?<br />

Antigone Certo, e come ignorarlo se era pubblico?<br />

Creonte E allora come osasti violare quelle leggi?<br />

Antigone Osai perché non fu Zeus a proclamarle, né gli<br />

altri dei: […] non da adesso, né da ieri, le leggi degli dèi<br />

vivono e nessuno sa quando apparvero alla luce.<br />

Questa decisione porta Antigone alla morte, ma nella<br />

piena consapevolezza di aver rispettato le leggi che gli<br />

dei hanno stabilito e che hanno valore per sempre.<br />

Antigone So bene, che credi, morirò anche senza che me<br />

lo dica tu coi tuoi proclami. E anche se dovrò morire<br />

anzitempo, lo ritengo un guadagno. […] Perciò di questa<br />

fine che mi spetta quasi nullo è il dolore. Questo sì<br />

sarebbe stato uno strazio indicibile: se avessi sopportato<br />

che restasse insepolto e oltraggiato mio fratello.<br />

J. Mirò, Blue III (1961)<br />

Creonte Fra i Tebani sei la sola a pensarla così.<br />

Antigone Anche gli altri, ma tacciono per farti piacere.<br />

Creonte E non provi vergogna a contrapporti agli altri?<br />

Antigone Vergogna a onorare chi è nato dallo stesso grembo?<br />

Creonte E il suo rivale non aveva lo stesso sangue?<br />

Antigone Stesso sangue, di padre e di madre.<br />

Creonte E perché gli rendi onore, nonostante fu empio per l’altro? Giusto e malvagio non saranno mai alla pari.<br />

Antigone Chissà se questa legge non sia laggiù sacrosanta. Io non sono nata per unirmi a chi odia, ma a chi ama.<br />

Creonte E allora unisciti laggiù con i morti se ti preme l’amore per tuo fratello. Quanto a me, non sarà certo<br />

una donna a darmi gli ordini.


Un altro tema caro a Sofocle e molto vivo nell’Atene del V sec. a.C. (si pensi per esempio a Socrate) è quello dell’educazione dei giovani.<br />

La tragedia Filottete narra del giovane Neottolemo, figlio di Achille, che viene mandato da Odisseo a prendere con l’inganno le armi di<br />

Eracle in possesso dell’eroe Filottete, che i Greci hanno abbandonato su un’isola desolata perché ferito: senza tali armi infatti la città di<br />

Troia non potrà essere espugnata:<br />

A. Rodin, Il pensatore (1880-1904)<br />

O<strong>DI</strong>SSEO Devi raggirare la mente di Filottete parlando con accorti<br />

discorsi. So bene che per natura non sei incline all’inganno, ma<br />

devi farlo per un fine più grande […] Giusti ci riveleremo in un’altra<br />

occasione. Ora per il breve spazio di un giorno scorda il pudore e fa<br />

ciò che ti ho detto, e poi, per il resto della vita, potrai farti<br />

chiamare il più onesto fra tutti gli uomini”.<br />

NEOTTOLEMO Odisseo, quei discorsi che mi è penoso sentire , a<br />

maggior ragione mi ripugna metterli in atto: non sono nato per<br />

imprese che richiedano perfidia. Sono però pronto a portare via<br />

quest’uomo con la forza, e non con l’inganno. Preferisco fallire<br />

agendo rettamente che vincere in modo disonesto ”<br />

Ma Ulisse lo convince…<br />

NE Ma che profitto ne traggo io se costui viene a Troia?<br />

OD Questo suo arco è l’unico che possa espugnare la città. E tu<br />

avrai fama di uomo saggio e valoroso insieme.<br />

NE E sia, lo farò, liberandomi da ogni ritegno.<br />

Neottolemo si fa amico di Filottete, ottiene il suo l’arco, ma subito cade in una profonda diatriba su cosa sia realmente giusto; dopo una<br />

lunga riflessione, decide di seguire il suo cuore, che è puro, e rivela a Filottete l’inganno:<br />

NEOTT Una grande compassione mi ha preso, non ora, ma ormai da tempo […] Non ti terrò nascosto nulla: tu devi salpare alla<br />

volta di Troia per raggiungere gli Achei e l’esercito degli Atridi.<br />

Così Neottolemo decide di rendere le armi rubate e discute con Odisseo che, da<br />

vero consigliere fraudolento dantesco, voleva impedirglielo:<br />

OD Per gli dei, cosa intendi fare? Non penserai di ridargli l’arco?<br />

NE Si, dal momento che gliel’ho sottratto con l’inganno.<br />

OD Tutto l’esercito acheo te lo impedirà.<br />

NE Tu, pur essendo saggio per natura, non parli affatto da persona<br />

saggia!<br />

OD E tu né parli né agisci da persona saggia.<br />

NE Ma se queste mie azioni sono giuste, valgono più di quelle sagge.<br />

Tenterò di riscattare la colpa indegna che ho commesso. E con la giustizia<br />

dalla mia parte non temo il tuo esercito”.<br />

In questo ultimo dialogo emerge la questione della giustizia; il protagonista deve<br />

scegliere se agire in modo giusto o se optare per la vittoria e la gloria, portando a<br />

forza Filottete a Troia.<br />

Mosso da compassione, Neottolemo rinuncia alla gloria di conquistare Troia e<br />

decide di riaccompagnare Filottete in patria, come egli sognava da dieci anni, non<br />

macchiandosi così di perfidia. Ma la sua lealtà viene premiata attraverso un<br />

annuncio di Eracle che appare nella scena finale:<br />

Il fine non giustifica i mezzi<br />

Ivan Roussey, Gitter full (1992)<br />

ERACLE Aspetta, Filottete. È di Eracle la voce che senti, per te sono venuto qui.[…] Sappi che a te è destinata questa sorte,<br />

di arrivare dopo le tue pene a una vita gloriosa. Ti recherai alla città troiana con Neottolemo. Qui […], ucciderai con il mio<br />

arco Paride […] ed espugnerai la città. Anche a te, Neottolemo, rivolgo questi consigli: come due leoni compagni vegliate<br />

l’uno sull’altro. Ma quando devasterete quella terra, ricordatevi di conservare il rispetto dovuto agli dei. Per Zeus padre, ogni<br />

altra cosa è secondaria a questa. La pietà non scompare con i mortali: sia che essi vivano, sia che muoiano, essa non perisce.<br />

Ecco che così Neottolemo si comporta onestamente e ottiene la collaborazione, seppure indotta da Eracle, di Filottete, per vincere la<br />

guerra. Del resto gli uomini hanno bisogno dell’intervento e dell’aiuto degli dei, che si ottiene onorandoli sempre e rispettandone la legge.


IPPOLITO<br />

Euripide: la ricerca insoddisfatta<br />

Il terzo grande tragediografo ateniese è Euripide. Il tema più ricorrente nelle sue opere è il rapporto tra gli uomini e gli dei. Gli<br />

dei sono dipinti come esseri vendicativi che non nutrono un vero amore per gli uomini, ma spesso giocano con le loro vite.<br />

Il giovane Ippolito, figlio illegittimo dell'eroe Teseo, decide di<br />

dedicare tutto se stesso alla dea Artemide, con la quale è<br />

convinto di avere un rapporto privilegiato.<br />

IPPOLITO Seguitemi, seguitemi, compagni, lodando<br />

Artemide celeste cui siamo cari [...] A me solo tra i<br />

mortali, in verità, è concesso questo privilegio:e con te<br />

vivo insieme e ti ricambio di parole ascoltando la tua<br />

voce, pur se non vedo il tuo volto.<br />

Il ragazzo è convinto di stare a cuore alla dea e di avere, unico<br />

tra i mortali, un rapporto personale e affettuoso con lei. Per<br />

dimostrarle la sua devozione fa voto di castità, offendendo<br />

però la dea dell'amore, Afrodite, che decide di vendicarsi di<br />

lui: la sua vendetta si compie nel far innamorare la moglie di<br />

Teseo, Fedra, di Ippolito.<br />

Come spesso accade nella tragedia, sono i personaggi umili a<br />

elaborare un giudizio veritiero sulla vicenda e a cogliere il<br />

cuore dei problemi: così in Ippolito sono la vecchia nutrice di<br />

Fedra e il coro svelare il vero dramma:<br />

NUTRICE E siamo presi da amori sbagliati per tutto ciò<br />

che splende sulla terra perché non conosciamo un'altra<br />

vita e non ci è rivelato l'al di là: e i miti ci portano fuori<br />

strada.<br />

M. Pistoletto, Contatto (1962)<br />

CORO Certo, la sollecitudine degli dei, quando venga nel cuore, molto allevia le pene; ma io […] ne sono abbandonato,<br />

se guardo alle sorti e alle azioni degli uomini. Poiché tutte da tutte le parti si alterano e mutevole è la vita per gli uomini,<br />

errante sempre.<br />

I miti sono insufficienti per rispondere alla domanda del cuore dell'uomo, che tuttavia non ha altra possibilità di avvicinarsi alla<br />

risposta se non quella di credere in loro: l’uomo greco infatti non conosce Qualcuno che possa rivelargliela.<br />

F. Bacon, Ritratto n.3 (1973)<br />

Ippolito respinge l’amore di Fedra e la donna si suicida, lasciando al marito una<br />

lettera in cui accusa Ippolito come responsabile della propria morte. Teseo<br />

maledice il figlio, che viene ferito gravemente da un mostro. Solo a questo<br />

punto Artemide interviene, ma non per salvare colui che le aveva dedicato<br />

tutta la sua vita, bensì per chiedergli di perdonare il padre che solo per volere<br />

degli dei ha commesso il delitto. Euripide ci consegna così l’unico esempio di<br />

perdono in tutta la cultura pagana.<br />

ARTEMIDE (a Teseo): E tu, figlio del vecchio Egeo, prendi fra le braccia<br />

tuo figlio e stringilo a te. Lo uccidesti senza volere: gli uomini è naturale<br />

che errino, se gli dei lo danno. (A Ippolito) A te poi chiedo di non odiare<br />

tuo padre.<br />

Artemide non rimane vicino a Ippolito, neanche nel momento della sua morte.<br />

Davanti al disegno di un dio gli uomini non hanno altra libertà che accettare,<br />

solo cercando di comprendere: e così fa Ippolito, che fino all'ultimo rimane<br />

fedele ad Artemide nonostante la dea non si sia mostrata affatto toccata dalla<br />

devozione del suo consacrato.<br />

ARTEMIDE Addio! A me non è lecito contaminare la mia vista con<br />

aneliti di moribondi. E vedo che tu, ormai, sei vicino a questo male.<br />

IPPOLITO Poiché tu lo desideri, io depongo la contesa con mio padre:<br />

anche prima infatti obbedivo alle tue parole.


BACCANTI<br />

“Le cose che ci aspettiamo non si compiono,<br />

ma il dio trova una strada per l’inatteso”<br />

Le Baccanti sono l’ultima tragedia completa scritta da Euripide e a noi pervenuta.<br />

Dioniso giunge a Tebe con il suo seguito di sacerdotesse, le Baccanti, ma qui viene imprigionato da Penteo, re della città, poiché<br />

questi lo ritiene un ciarlatano, non credendo che sia realmente un dio. Il culto di Bacco infatti è gioioso, ben diverso da quelli<br />

degli dei tradizionali a cui Penteo è ostinatamente ed esclusivamente attaccato.<br />

CORO <strong>DI</strong> BACCANTI Bacco, figlio di Zeus, si rallegra con lieti banchetti ed ama la pace che dispensa il bene agli<br />

uomini e li allieta di figli. Egli ugualmente al povero e al ricco dà del vino l’oblio che fa scordare le pene; ma<br />

condanna chi spregia il lieto vivere del giorno luminoso, dell’amabile notte.<br />

I due vecchi amici Tiresia (il celebre indovino del mito) e Cadmo (nonno di Penteo), entrambi molto devoti agli dei, capiscono<br />

l’importanza anche del nuovo e strano culto, e al contrario del resto della città, si dicono disposti a venerare Bacco, anche se i<br />

suoi riti sembrano insensati e incomprensibili a loro che non sono iniziati ai misteri:<br />

CADMO Di tutta Tebe, per il nostro dio, noi soli, dunque, danzeremo in onore di Bacco?<br />

TIRESIA Noi siamo saggi, gli altri non lo sono.<br />

CADMO Non indugiamo più; dammi la mano.<br />

TIRESIA Ecco, congiungi con la mia la tua.<br />

CADMO Non disprezzo gli dei: nacqui mortale.<br />

TIRESIA Noi non razionalizziamo intorno agli dei. Nessun sofisticato ragionamento distruggerà le patrie<br />

tradizioni che possediamo, antiche come il tempo, neppure se attraverso acuti ingegni si è scoperto qualcosa di<br />

ingegnoso.<br />

U. Boccioni, La risata (1911)<br />

Euripide dunque, attraverso le parole di Tiresia, invita il suo pubblico a non ragionare sugli dei, bensì ad adorarli.<br />

Dioniso per vendicarsi scaglia una maledizione su tutte le donne di Tebe, portandole alla follia. Agave, figlia di Cadmo e<br />

madre di Penteo, al culmine della sua pazzia, uccide suo figlio, credendolo un leone, e ne fa a pezzi il cadavere, offrendo<br />

l’atto a Dioniso. Quando la maledizione svanisce, Agave si rende conto della sua azione, della punizione subita per il suo<br />

iniziale rifiuto del nuovo dio, ma non comprende il perché della punizione anche per il figlio:<br />

AGAVE Che parte aveva Penteo della mia follia?<br />

CADMO È stato anch’egli come voi, dispregiando il dio […] Se v’è mai qualcuno che disprezzi gli dei, volga lo<br />

sguardo sulla tua morte, Penteo, e creda agli dei.<br />

Così, come prima Tiresia, anche Cadmo ora invita a onorare gli dei. È sempre il poeta che con la sua opera sprona tutta<br />

quanta la città a ragionare sull’importanza e sulle conseguenze delle proprie azioni, ma anche ad accrescere la devozione e<br />

il rispetto dovuti ai Celesti.


Perché la tragedia greca<br />

oggi?<br />

Sebbene sia ormai venuta meno l’idea che lo stato (la polis)<br />

possa insegnare qualcosa di universale e di sempre valido ai<br />

suoi cittadini, la tragedia greca rimane un punto alto nella<br />

ricerca umana, capace di parlare ancora oggi a noi proprio<br />

per il fatto che riguarda l’uomo, le sue domande ultime e i<br />

suoi interrogativi sul divino.<br />

Nonostante Eschilo, Sofocle ed Euripide arrivino a diverse<br />

risposte, tutte esprimono molteplici aspetti della natura<br />

umana, dipingendone un ritratto nella sua complessità.<br />

Quello che infatti ha sempre affascinato spettatori o lettori<br />

di tutti i secoli è proprio la capacita dei tragici di saper<br />

andare a fondo delle questioni che più stanno a cuore<br />

all'uomo e di permettere a ognuno di immedesimarsi nei<br />

protagonisti delle vicende.<br />

L'eroe tragico è uno, ma il suo dolore e la sua gioia sono<br />

quelli di tutta l'umanità, la sua sofferenza e la sua crescita<br />

morale sono quelle che tutti possono sperimentare, il suo<br />

destino e il suo cuore insomma sono quelli di ogni uomo.<br />

Abbiamo detto che attraverso il pathos l’uomo viene educato: le tragedie mettono in scena l'apprendimento per mezzo<br />

del dolore e questa è la dinamica di cui il poeta tragico si serve per educare il popolo della sua città. Sempre infatti nella<br />

tragedia almeno un personaggio si mette in discussione, si problematizza, ricerca le ragioni etiche delle proprie azioni e la<br />

profondità delle proprie colpe: egli diventa così per la collettività raccolta in teatro veicolo di valori, modello da seguire<br />

oppure da biasimare.<br />

Perché la tragedia greca educa un popolo?<br />

Policleto, Doriforo (450-445 a.C.)<br />

È questa la funzione ‘paideutica’, educativa, del teatro antico, una funzione di cui il tragediografo era assolutamente<br />

conscio, fin dal momento in cui sceglie l’episodio mitico da attualizzare nella prospettiva della sua contemporaneità: egli<br />

cerca così di rispondere alle attese del pubblico, ma senza rinunciare alla propria creatività ed inventiva, bensì attraverso<br />

una interpretazione personale del mito messo in scena, strettamente collegata con il momento storico.<br />

Per questo il teatro greco è essenziale alla vita della polis, perché il poeta tragico, rivolgendosi allo spettatore-cittadino,<br />

mostra quali siano gli atteggiamenti che nel presente convengono al benessere della polis e di ogni singolo uomo, e quelli<br />

che invece la danneggiano, lasciando a ciascuno la libertà di giudicare e di agire di conseguenza.

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