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Esclusione, diversità ed estraneità nella concezione della vita di ...

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ARGOMENTO: <strong>Esclusione</strong>, <strong><strong>di</strong>versità</strong> <strong>ed</strong> <strong>estraneità</strong> <strong>nella</strong> <strong>concezione</strong> <strong>della</strong> <strong>vita</strong> <strong>di</strong> Pirandello<br />

DOCUMENTI<br />

Il fischio <strong>di</strong> quel treno gli aveva squarciato e portato via d’un tratto la miseria <strong>di</strong> tutte quelle sue orribili<br />

angustie, e quasi da un sepolcro scoperchiato s’era ritrovato a spaziare anelante nel vuoto arioso del mondo<br />

che gli si spalancava enorme tutt’intorno. S’era tenuto istintivamente alle coperte che ogni sera si buttava<br />

addosso, <strong>ed</strong> era corso col pensiero <strong>di</strong>etro a quel treno che s’allontanava <strong>nella</strong> notte. C’era, ah! c’era, fuori <strong>di</strong><br />

quella casa orrenda, fuori <strong>di</strong> tutti i suoi tormenti, c’era il mondo, tanto, tanto mondo lontano, a cui quel treno<br />

s’avviava... Firenze, Bologna, Torino, Venezia... tante città, in cui egli da giovine era stato e che ancora,<br />

certo, in quella notte sfavillavano <strong>di</strong> luci sulla terra. Sì, sapeva la <strong>vita</strong> che vi si viveva! La <strong>vita</strong> che un tempo<br />

vi aveva vissuto anche lui!. E seguitava, quella <strong>vita</strong>; aveva sempre seguitato, mentr’egli qua, come una bestia<br />

bendata, girava la stanga del molino. Non ci aveva pensato più! Il mondo s’era chiuso per lui, nel tormento<br />

<strong>della</strong> sua casa, nell’arida, ispida angustia <strong>della</strong> sua computisteria... Ma ora, ecco, gli rientrava, come per<br />

travaso violento, nello spirito. L’attimo, che scoccava per lui, qua, in questa sua prigione, scorreva come un<br />

brivido elettrico per tutto il mondo, e lui con l’immaginazione d’improvviso risvegliata poteva, ecco, poteva<br />

seguirlo per città note e ignote, lande, montagne, foreste, mari... Questo stesso brivido, questo stesso palpito<br />

del tempo. C’erano, mentr’egli qua viveva questa <strong>vita</strong> “impossibile”, tanti e tanti milioni d’uomini sparsi su<br />

tutta la terra, che vivevano <strong>di</strong>versamente.<br />

L. Pirandello, Il treno ha fischiato, in Novelle per un anno<br />

Non mi sono piú guardato in uno specchio, e non mi passa neppure per ll capo <strong>di</strong> voler sapere che cosa sia<br />

avvenuto <strong>della</strong> mia faccia e <strong>di</strong> tutto il mio aspetto. Quello che avevo per gli altri dovette apparir molto<br />

mutato e in un modo assai buffo, a giu<strong>di</strong>care dalla maraviglia e dalle risate con cui fui accolto. Eppure mi<br />

vollero tutti chiamare ancora Moscarda, benché il <strong>di</strong>re Moscarda avesse ormai certo per ciascuno un<br />

significato cosí <strong>di</strong>verso da quello <strong>di</strong> prima, che avrebbero potuto risparmiare a quel povero svanito là,<br />

barbuto e sorridente, con gli zoccoli e il camiciotto turchino, la pena d’obbligarlo a voltarsi ancora a quel<br />

nome, come se realmente gli appartenesse. Nessun nome. Nessun ricordo oggi del nome <strong>di</strong> jeri; del nome<br />

d’oggi, domani. Se il nome è la cosa; se un nome è in noi il concetto d’ogni cosa posta fuori <strong>di</strong> noi; e senza<br />

nome non si ha il concetto, e la cosa resta in noi come cieca, non <strong>di</strong>stinta e non definita; ebbene, questo che<br />

portai tra gli uomini ciascuno lo incida, epigrafe funeraria, sulla fronte <strong>di</strong> quella immagine con cui gli<br />

apparvi, e la lasci in pace non ne parli piú. Non è altro che questo, epigrafe funeraria, un nome. Conviene ai<br />

morti. A chi ha concluso. Io sono vivo e non concludo. La <strong>vita</strong> non conclude. E non sa <strong>di</strong> nomi, la <strong>vita</strong>.<br />

Quest’albero, respiro trèmulo <strong>di</strong> foglie nuove. Sono quest’albero. Albero, nuvola; domani libro o vento: il<br />

libro che leggo, il vento che bevo. Tutto fuori, vagabondo. L’ospizio sorge in campagna, in un luogo<br />

amenissimo. Io esco ogni mattina, all’alba, perché ora voglio serbare lo spirito cosí, fresco d’alba, con tutte<br />

le cose come appena si scoprono che sanno ancora del crudo <strong>della</strong> notte, prima che il sole ne secchi il respiro<br />

umido e le abbagli. Quelle nubi d’acqua là pese plumbee ammassate sui monti livi<strong>di</strong>, che fanno parere piú<br />

larga e chiara <strong>nella</strong> grana d’ombra ancora notturna, quella verde piaga <strong>di</strong> cielo. E qua questi fili d’erba, teneri<br />

d’acqua anch’essi, freschezza viva delle prode. E quell’asinello rimasto al sereno tutta la notte, che ora<br />

guarda con occhi appannati e sbruffa in questo silenzio che gli è tanto vicino e a mano a mano pare gli<br />

s’allontani cominciando, ma senza stupore a schiarirglisi attorno, con la luce che <strong>di</strong>laga appena sulle<br />

campagne deserte e attonite. E queste carraie qua, tra siepi nere e muricce screpolate, che su lo strazio dei<br />

loro solchi ancora stanno e non vanno. E l’aria è nuova. E tutto, attimo per attimo, è com’è, che savviva per<br />

apparire. Volto subito gli occhi per non v<strong>ed</strong>ere piú nulla fermarsi <strong>nella</strong> sua apparenza e morire. Cosí soltanto<br />

io posso vivere, ormai. Rinascere attimo per attimo. Imp<strong>ed</strong>ire che il pensiero sí metta in me <strong>di</strong> nuovo a<br />

lavorare, e dentro mi rifaccia il vuoto delle vane costruzioni. La città è lontana. Me ne giunge, a volte, <strong>nella</strong><br />

calma del vespro, il suono delle campane. Ma ora quelle campane le odo non piú dentro <strong>di</strong> me, ma fuori, per<br />

sé sonare, che forse ne fremono <strong>di</strong> gioja <strong>nella</strong> loro cavità ronzante, in un bel cielo azzurro pieno <strong>di</strong> sole caldo<br />

tra lo stridío delle ron<strong>di</strong>ni o nel vento nuvoloso, pesanti e cosí alte sui campanili aerei. Pensa alla morte, a<br />

pregare. C’è pure chi ha ancora questo bisogno, e se ne fanno voce le campane. Io non l’ho piú questo<br />

bisogno, perché muoio ogni attimo, io, e rinasco nuovo e senza ricor<strong>di</strong>: vivo e intero, non piú in me, ma in<br />

ogni cosa fuori.<br />

L. Pirandello, Uno, nessuno e centomila


Marta Ajala avrebbe occupato il posto <strong>di</strong> maestra supplente nelle prime classi preparatorie del Collegio, solo<br />

perché "protetta" del deputato Alvignani.<br />

E vi fu, nei primi giorni, una processione <strong>di</strong> padri <strong>di</strong> famiglia al Collegio: volevano parlare col Direttore. Ah,<br />

era uno scandalo! Le loro ragazze si sarebbero rifiutate d’andare a scuola. E nessun padre, in coscienza,<br />

avrebbe saputo costringerle. Bisognava trovare, a ogni costo e subito, un rim<strong>ed</strong>io.<br />

Il vecchio Direttore rimandava i padri <strong>di</strong> famiglia all’Ispettore scolastico, dopo aver <strong>di</strong>feso la futura<br />

supplente con la prova degli ottimi esami. Se qualche altra avesse fatto meglio, sarebbe stata presa a supplire<br />

in quella classe aggiunta. Nessuna ingiustizia, nessuna particolarità...<br />

- Ma sì!<br />

Il cavalier Clau<strong>di</strong>o Torchiara, ispettore scolastico, era del paese e amico intimo <strong>di</strong> Gregorio Alvignani. A lui<br />

i reclami si ritorcevano sotto altra forma e sotto altro aspetto. Voleva l’Alvignani rendersi impopolare con<br />

quella protezione scandalosa?<br />

E invano il Torchiara s’affannava a protestare che l’Alvignani non c’entrava né punto né poco, che quella<br />

<strong>della</strong> maestra Ajala non era nomina governativa. Eh via, adesso! Che sostenesse ciò il Direttore del Collegio,<br />

TRANSEAT!, ma lui, il Torchiara, ch’era del paese; eh via! Bisognava aver perduto la memoria degli<br />

scandali più recenti...<br />

Era venuta dunque così dall’aria quella nomina dell’Ajala? E in coscienza se il Torchiara avesse avuto una<br />

figliuola, sarebbe stato contento <strong>di</strong> mandarla a scuola da una donna che aveva fatto parlare così male <strong>di</strong> sé?<br />

Che fior <strong>di</strong> maestra per le ragazze!<br />

Se a Marta, ogni dì più oppressa dalla crescente miseria, mentre furtivamente, non compresa dai suoi, chiusa<br />

<strong>nella</strong> sua cameretta, si preparava a quegli esami, si fosse per un momentino affacciato il pensiero che avrebbe<br />

incontrato, sott’altro aspetto, quasi la stessa vigliacca e oltraggiosa rivolta popolare; forse le sarebbe a un<br />

tratto caduto l’animo. Ma spronavano allora la sua baldanza giovanile da un canto troppa ansia <strong>di</strong> risorgere,<br />

dall’altro la miseria in cui senza riparo ella e la sua famiglia precipitavano e la coscienza del proprio valore e<br />

la santità del suo sacrifizio per la madre e la sorella. Pensava allora soltanto a vincere la prova; sarebbe poi<br />

riuscita nel suo intento, avvalendosi <strong>della</strong> prova superata.<br />

Ora, ora intendeva lo stupore doloroso <strong>della</strong> madre e <strong>della</strong> sorella all’annunzio <strong>della</strong> sua animosa<br />

determinazione. E ancora non le era arrivata agli orecchi la calunnia <strong>di</strong> cui la gente onesta si armava per<br />

osteggiarla, per ricacciarla bene addentro nel fango da cui smaniava d’uscire!<br />

L. Pirandello, L’esclusa<br />

Per<strong>di</strong>o, l’impudenza <strong>di</strong> presentarsi qua, a me, ora col suo ganzo accanto... - E avevano l’aria <strong>di</strong> prestarsi per<br />

compassione, per non fare infuriare un poverino già fuori del mondo, fuori del tempo, fuori <strong>della</strong> <strong>vita</strong>! - Eh,<br />

altrimenti quello là, ma figuratevi se l’avrebbe subita una simile sopraffazione! - Loro sì, tutti i giorni, ogni<br />

momento, pretendono che gli altri siano come li vogliono loro; ma non è mica una sopraffazione, questa! -<br />

Che! Che! - E’ il loro modo <strong>di</strong> pensare, il loro modo <strong>di</strong> v<strong>ed</strong>ere, <strong>di</strong> sentire: ciascuno ha il suo! Avete anche voi<br />

il vostro, eh? Certo! Ma che può essere il vostro? Quello <strong>della</strong> mandra! Misero, labile, incerto...E quelli ne<br />

approfittano, vi fanno subire e accettare il loro, per modo che voi sentiate e v<strong>ed</strong>iate come loro! O almeno, si<br />

illudono! Perché poi, che riescono a imporre? Parole! parole che ciascuno intende e ripete a suo modo. Eh,<br />

ma si formano pure così le così dette opinioni correnti! E guai a chi un bel giorno si trovi bollato da una <strong>di</strong><br />

queste parole che tutti ripetono! Per esempio: “pazzo!” - Per esempio, che so? - “imbecille” - Ma <strong>di</strong>te un po’,<br />

si può star quieti a pensare che c’è uno che si affanna a persuadere agli altri che voi siete come vi v<strong>ed</strong>e lui, a<br />

fissarvi <strong>nella</strong> stima degli altri secondo il giu<strong>di</strong>zio che ha fatto <strong>di</strong> voi? - “Pazzo” “pazzo”! - Non <strong>di</strong>co ora che<br />

lo faccio per ischerzo! Prima, prima che battessi la testa cadendo da cavallo...<br />

L. Pirandello, Enrico IV, atto II<br />

Ahimè, che io, condannato ine<strong>vita</strong>bilmente a mentire dalla mia con<strong>di</strong>zione, non avrei potuto avere mai più un<br />

amico, un vero amico. E dunque, né casa, né amici... Amicizia vuol <strong>di</strong>re confidenza; e come avrei potuto io<br />

confidare a qualcuno il segreto <strong>di</strong> quella mia <strong>vita</strong> senza nome e senza passato, sorta come un fungo dal<br />

suici<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Mattia Pascal? Io potevo aver solamente relazioni superficiali, permettermi solo co’ miei simili un<br />

breve scambio <strong>di</strong> parole aliene.<br />

Ebbene, erano gl’inconvenienti <strong>della</strong> mia fortuna. Pazienza! Mi sarei scoraggiato per questo?<br />

“Vivrò con me e <strong>di</strong> me, come ho vissuto finora!”<br />

Sì; ma ecco: per <strong>di</strong>r la verità, temevo che <strong>della</strong> mia compagnia non mi sarei tenuto né contento né pago. E<br />

poi, toccandomi la faccia e scoprendomela sbarbata, passandomi una mano su quei capelli lunghi o


assettandomi gli occhiali sul naso, provavo una strana impressione: mi pareva quasi <strong>di</strong> non esser più io, <strong>di</strong><br />

non toccare me stesso.<br />

L. Pirandello, Il fu Mattia Pascal<br />

Una volta tanto l’uomo sano, grosso — granitico, <strong>di</strong>rebbe Flaubert — vuol porsi <strong>nella</strong> con<strong>di</strong>zione del<br />

tribolato. Una finzione, un istrionesco gioco <strong>di</strong> contrari. Prende una sorta <strong>di</strong> vaccinazione, si immunizza una<br />

febbre leggera transitoria piacevole. E la sod<strong>di</strong>sfazione <strong>di</strong> aver pensato. Il popolo non conosce poeti, ma<br />

filosofi. Della poesia, anche <strong>di</strong> quella che egli stesso è capace <strong>di</strong> esprimere, non ha nozione nè rispetto. Così,<br />

basta una formula come “essere è apparire” o “conflitto tra la Vita e la Forma” a fare la popolarità <strong>di</strong> un<br />

autore. Per gente più raffinata basta un solo “ismo”. Gli “ismi” hanno tanto intorbidato le acque, alimentato<br />

tanta <strong>di</strong>ffidenza, rovinato tanta brava gente: e oggi, al posto <strong>di</strong> nitide e spaziate costruzioni, abbiamo sotto gli<br />

occhi un paesaggio <strong>di</strong> arren<strong>di</strong> alveari. Il pirandellismo, dunque. Un mondo <strong>di</strong> poesia viene consunto e<br />

calcinato fino al punto da estrarne delle filosofiche ceneri. A queste ceneri il vasto pubblico applaude; e il<br />

critico si volta dall’altra parte. Così incenerito, Pirandello <strong>di</strong>venta “l’uomo del popolo”, come <strong>di</strong>ce Ford; lo<br />

scrittore per un pubblico grosso — e, come Manfr<strong>ed</strong>i, viene a lume spento inumato <strong>di</strong> fuor dal regno <strong>della</strong><br />

critica crociana.<br />

Leonardo Sciascia, Pirandello e il pirandellismo, Palermo, 1953<br />

La storia <strong>di</strong> quest’uomo <strong>di</strong> Pirandello, dai cento nomi, dalle cento facce, dai cento comportamenti spesso<br />

sconcertanti, dai cento tic ma dall’unica pena <strong>di</strong> vivere, è raccontata in duecentocinquanta mo<strong>di</strong>, tutti<br />

riconducibili all’angoscia <strong>di</strong> chi acquista coscienza <strong>di</strong> sé, si v<strong>ed</strong>e doppiato, frastornato, ingannato, solo,<br />

sconfitto, deluso, con il cartellino <strong>di</strong> “ricercato” che la società ha attaccato sotto la sua immagine, e perciò<br />

braccato e messo al muro, mentre gli altri mangiano, bevono, dormono, piangono, ridono, fanno l’amore,<br />

defecano, allevano i figli, lavorano e muoiono, passandogli accanto insensibili e senza v<strong>ed</strong>ere la sua<br />

sofferenza <strong>di</strong> fondo, ciechi e sor<strong>di</strong> alla trag<strong>ed</strong>ia <strong>di</strong> quel personaggio soprafatto dalle incr<strong>ed</strong>ibili ipocrisie e<br />

ingiustizie sociali.<br />

Enzo Lauretta, Luigi Pirandello, storia <strong>di</strong> un personaggio ‘‘fuori <strong>di</strong> chiave’’, Milano, 1980<br />

Certamente i drammi del Pirandello appaiono a volte appesantiti da lunghi e sottili ragionamenti, paradossali<br />

e apparentemente assur<strong>di</strong>, ma <strong>nella</strong> rappresentazione dell’ “incomunicabilità” che affligge l’uomo <strong>ed</strong> è la sua<br />

tragica con<strong>di</strong>zione esistenziale, appare evidente un profondo senso <strong>di</strong> “pietà” verso l’uomo, una pietà che si<br />

fa poesia. Le opere teatrali del Pirandello contengono molte pagine belle <strong>di</strong> sincero sentimento lirico, <strong>di</strong><br />

profonda umanità, <strong>di</strong> accorata tristezza e pietà per il destino e la fragilità dell’uomo; però presentano non<br />

pochi <strong>di</strong>fetti, come l’umorismo spietato e <strong>di</strong>struttore, l’eccessiva impostazione intellettualistica delle vicende,<br />

l’uniformità dei motivi e dei problemi trattati, lo squallore <strong>di</strong> intrecci contorti e stentati, il cerebralismo <strong>di</strong><br />

personaggi che non vivono le loro azioni, ma le analizzano con <strong>di</strong>alettica sottile, quasi sofistica, e tono<br />

pr<strong>ed</strong>icatorio. Tuttavia l’arte pirandelliana, malgrado i limiti, con il suo messaggio umano ha fatto sentire il<br />

suo influsso sui drammaturghi moderni, italiani, europei e americani.<br />

Luigi De Bellis, Storia delle letteratura italiana, Bologna, 1990

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