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ITALIANO: saggio breve per VENERDI 19/10

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ARGOMENTO: Il tema del disprezzo del mondo nella cultura tardoantica e altomedievale<br />

DOCUMENTI<br />

1. Che tutta la progenie dei mortali sia condannata fin dall’origine 1 ce lo prova questa stessa vita, se vita si deve<br />

chiamare, piena di tanti e così grandi mali. Cos’altro ci dimostra la profonda, orrenda ignoranza, da cui nascono tutti gli<br />

errori che trascinano in un tenebroso abisso tutti i figli di Adamo, e dai quali l’uomo non può liberarsi senza fatica,<br />

dolore e paura? Cosa ci dice lo stesso amore <strong>per</strong> tante cose vane e nocive e, derivate da esso, le pene acerbe, le<br />

preoccupazioni, le tristezze, le paure, le false gioie, le discordie, le liti, le guerre, le insidie, le collere, le inimicizie,<br />

l’inganno, l’adulazione, la frode, il furto, la rapina, la <strong>per</strong>fidia, la su<strong>per</strong>bia, l’ambizione, l’invidia, gli omicidi, i<br />

parricidi 2 , la crudeltà, l’inumanità, la nequizia, la lussuria, la petulanza, l’impudenza, l’impudicizia, le fornicazioni, gli<br />

adulteri, gli incesti e tanti stupri e cose immonde – peccati contro natura di entrambi i sessi – che è vergognoso <strong>per</strong>fino<br />

nominare, i sacrilegi, le eresie, le bestemmie, gli s<strong>per</strong>giuri, l’oppressione degli innocenti, le calunnie, i raggiri, le<br />

prevaricazioni, le false testimonianze, i giudizi ingiusti, le violenze, i latrocini e tutti quei mali simili che non vengono<br />

in mente e tuttavia non mancano mai in codesta vita degli uomini? Certo, queste sono azioni di uomini malvagi, ma<br />

hanno la loro radice nell’errore e nel disordinato amore con cui nasce ogni figlio di Adamo 3 . E chi non sa con quanta<br />

ignoranza della verità, manifesta fin dall’infanzia, con quanta abbondanza di vana cupidigia, che comincia ad apparire<br />

nei fanciulli, l’uomo venga in questa vita? Tant’è vero che, se lo si lasciasse vivere come vuole e se lo si lasciasse fare<br />

tutto ciò che vuole, incorrerebbe in tutti, o in quasi tutti, i delitti e le vergogne che prima ho elencato e in quelli che non<br />

ho potuto elencare. […]<br />

2. Da questa misera vita, che è quasi un inferno, può liberarci solo la grazia di Cristo Salvatore, nostro Dio e Signore<br />

(questo infatti vuol dire lo stesso nome di Gesù, che significa appunto “Salvatore”), soprattutto facendo in modo che,<br />

dopo questa, non cadiamo <strong>per</strong> l’eternità in un’altra e più misera esistenza, che non è vita, ma morte. Per quanti possano<br />

essere, in questa vita, i sollievi che riceviamo <strong>per</strong> intercessione dei santi e <strong>per</strong> mezzo delle cose sante, tuttavia non<br />

sempre chi chiede un beneficio lo riceve. Ciò avviene <strong>per</strong> far sì che non si abbracci la religione in vista di questi<br />

benefici 4 ; essa dev’essere abbracciata piuttosto in vista dell’altra vita, dove non ci sarà alcun male 5 . E la Grazia aiuta le<br />

<strong>per</strong>sone migliori in questo genere di mali 6 affinché li sopportino con cuore più fedele e più forte 7 .<br />

Agostino di Ippona, De civitate Dei, XXII, 22<br />

1. Orsù, omiciattolo, fuggi un po’ le tue occupazioni, allontanati un po’ dai tuoi tumultuosi pensieri 8 . Liberati adesso<br />

dalle tue pesanti preoccupazioni e metti da parte le tue faticose distrazioni 9 . Dedicati un po’ a Dio, e riposa un po’ in lui.<br />

Entra nella camera della tua mente, lascia fuori ogni cosa tranne Dio e ciò che ti serve <strong>per</strong> cercarlo e, chiusa la porta <strong>10</strong> ,<br />

cercalo. Dì ora, o mio cuore tutto intero, dì ora a Dio: Cerco il tuo volto; il tuo volto, Signore, io ricerco 11 .<br />

2. Orsù dunque, tu, Signore mio Dio, insegna al mio cuore dove e in che modo possa cercarti, dove e in che modo possa<br />

trovarti. Signore, se tu non sei qui, dove cercherò te, assente? E se sei in ogni luogo, <strong>per</strong>ché non ti vedo presente 12 ? Ma<br />

certo tu abiti una “luce inaccessibile”. E dov’è la luce inaccessibile? E come posso arrivare alla luce inaccessibile? E chi<br />

mi condurrà e introdurrà in essa, in modo che io possa vederti in essa? E poi, in base a quali tracce, a quale aspetto ti<br />

cercherò? Non ti ho mai veduto, Signore Dio mio, non conosco il tuo aspetto. Che farà, Signore altissimo, che farà<br />

quest’esule tuo lontano 13 ? Che farà il tuo servo travagliato dall’amore <strong>per</strong> te e gettato lontano dal tuo volto? Anela a<br />

vederti, e troppo gli manca il tuo aspetto. Desidera accedere e te, e la tua casa gli è inaccessibile. Desidera trovarti, e<br />

non sa dove sei. Cerca di raggiungerti e non conosce il tuo volto. Signore, sei il mio Dio, e sei il mio Signore, e mai io ti<br />

vidi. Tu mi creasti e ricreasti, mi desti ogni mio bene, e io non ancora ti conosco. In fondo io sono stato creato <strong>per</strong><br />

vederti, e non ho ancora fatto ciò <strong>per</strong> cui sono stato creato.<br />

3. O misera sorte dell’uomo, che ha <strong>per</strong>duto ciò <strong>per</strong> cui era stato creato 14 ! O duro e crudele il suo destino! Ahimé,<br />

cos’ha <strong>per</strong>duto e cosa ha trovato 15 , cosa ha lasciato e cosa gli è rimasto! Ha <strong>per</strong>duto la beatitudine <strong>per</strong> la quale è stato<br />

1 la predisposizione al male della natura umana deriva dal peccato originale<br />

2 il termine indica, in senso proprio, l’uccisione del padre o, più genericamente, l’uccisione di un proprio familiare<br />

3 i peccati prima enumerati sono commessi da uomini malvagi, ma derivano tutti dalla naturale predisposizione al male comune a tutti gli uomini, che si manifesta nella<br />

loro ignoranza (errore) e nella tendenza a rivolgere il proprio amore verso falsi oggetti, anziché verso Dio (disordinato amore). L’ “amore” è “disordinato” <strong>per</strong>ché dopo il<br />

peccato originale non è più orientato verso il Creatore, ma verso le creature<br />

4 il fatto che le preghiere non vengano sempre esaudite si spiega con la volontà della Provvidenza, che non vuole che la fede sia abbracciata con<br />

finalità utilitaristiche<br />

5 la vita eterna del Paradiso<br />

6 nei mali di cui si soffre nella vita<br />

7 i mali della vita terrena devono essere sopportati in vista della vita eterna<br />

8 i pensieri agitati di chi è occupato nelle cose mondane<br />

9 tutte le quotidiane, faticose attività che distraggono dalla contemplazione di Dio<br />

<strong>10</strong> Mt VI, 6<br />

11<br />

Salmo 27, 8<br />

12<br />

Dio è presente nel creato, ma si nasconde in esso; è impossibile scorgerlo se non si mostra a noi<br />

13<br />

l’uomo è esule, è lontano da Dio a cui appartiene, <strong>per</strong>ché è stato cacciato dall’Eden dopo il peccato originale<br />

14<br />

la felicità dell’Eden<br />

15<br />

quanto è grande ciò che ha <strong>per</strong>duto e quant’è piccolo ciò che ha trovato


creato, e ha trovato la miseria <strong>per</strong> la quale non è stato creato. Ha lasciato ciò senza cui non può mai esser felice 16 , e gli è<br />

rimasto ciò che in sé è soltanto misero. Allora 17 l’uomo mangiava il pane degli angeli, di cui ora ha fame; mangia ora il<br />

pane del dolore, che allora non conosceva. O lutto di tutti gli uomini, o pianto universale dei figli di Adamo! Quello 18<br />

ruttava <strong>per</strong> la sazietà, noi sospiriamo <strong>per</strong> la fame. Egli viveva nell’abbondanza, noi mendichiamo. Egli possedeva<br />

felicemente e miseramente abbandonò, noi infelicemente viviamo nel bisogno e miseramente desideriamo. E, ahimè,<br />

restiamo a mani vuote. Perché non seppe <strong>19</strong> custodire <strong>per</strong> noi, potendolo fare con facilità, ciò di cui abbiamo tanto<br />

bisogno? Perché ci tolse la luce e ci immerse nelle tenebre? Perché ci tolse la vita e inflisse la morte? Noi, pieni di<br />

affanni, da dove siamo stati cacciati, dove siamo stati mandati! Da che altezza siamo precipitati, quanto in basso siamo<br />

rovinati! Dalla patria all’esilio, dalla visione di Dio alla nostra cecità. Dalla gioia dell’immortalità all’amarezza e<br />

all’orrore della morte. Misero mutamento! Da quanto bene a quanto male! Grave danno, grave dolore, grave è tutto.<br />

Anselmo d’Aosta 20 , Proslogion, IX<br />

Tanto sia el fetor fetente,<br />

40 che non sia null’om vivente<br />

che non fugga da me dolente,<br />

posto ’n tanta ipocondria.<br />

En terrebele fossato,<br />

ca Riguerci è nomenato,<br />

45 loco sia abandonato<br />

da onne bona compagnia.<br />

Gelo, granden, tempestate,<br />

fulgur, troni, oscuritate,<br />

e non sia nulla avversitate<br />

50 che me non aia en sua bailia.<br />

La demonia enfernali<br />

sì me sian dati a ministrali,<br />

che m’essercitin li mali<br />

c’aio guadagnati a mia follia.<br />

55 Enfin del mondo a la finita<br />

sì me duri questa vita,<br />

e poi, a la scivirita,<br />

dura morte me se dia.<br />

1 Il giorno dell'ira, quel giorno che<br />

dissolverà il mondo terreno in cenere<br />

come annunciato da Davide e dalla Sibilla.<br />

Quanto terrore verrà<br />

5 quando il giudice giungerà<br />

a giudicare severamente ogni cosa.<br />

La tromba diffondendo un suono stupefacente<br />

tra i sepolcri del mondo<br />

spingerà tutti davanti al trono.<br />

<strong>10</strong> La Morte si stupirà, e la Natura<br />

quando risorgerà ogni creatura<br />

<strong>per</strong> rispondere al giudice.<br />

Sarà prodotto il libro scritto<br />

nel quale è contenuto tutto,<br />

15 dal quale si giudicherà il mondo.<br />

Aleggome en sepoltura<br />

60 un ventre de lupo en voratura,<br />

e l’arliquie en cacatura<br />

en espineta e rogaria.<br />

Li miracul’ po’ la morte:<br />

chi ce viene aia le scorte<br />

65 e le vessazione forte<br />

con terrebel fantasia.<br />

Onn’om che m’ode mentovare<br />

sì se deia stupefare<br />

e co la croce signare,<br />

70 che rio scuntro no i sia en via.<br />

Signor mio, non è vendetta<br />

tutta la pena c’ho ditta:<br />

ché me creasti en tua diletta<br />

e io t’ho morto a villania.<br />

Jacopone da Todi, O Segnor <strong>per</strong> cortesia<br />

E dunque quando il giudice si siederà,<br />

ogni cosa nascosta sarà svelata,<br />

niente rimarrà invendicato.<br />

In quel momento che potrò dire io, misero,<br />

20 chi chiamerò a difendermi,<br />

quando a malapena il giusto potrà dirsi al sicuro?<br />

Re di tremendo potere,<br />

tu che salvi <strong>per</strong> grazia chi è da salvare,<br />

salva me, fonte di pietà.<br />

25 Ricorda, o pio Gesù,<br />

che io sono la causa del tuo viaggio;<br />

non lasciare che quel giorno io sia <strong>per</strong>duto.<br />

Cercandomi ti sedesti stanco,<br />

mi hai redento con il supplizio della Croce:<br />

30 che tanto sforzo non sia vano!<br />

[...]<br />

Tommaso da Celano, Dies Irae<br />

16<br />

Dio<br />

17<br />

prima del peccato originale<br />

18<br />

Adamo<br />

<strong>19</strong><br />

il soggetto è sempre Adamo<br />

20<br />

Sant’Anselmo d'Aosta (Aosta, <strong>10</strong>33/<strong>10</strong>34 – Canterbury, 21 aprile 1<strong>10</strong>9) è stato un teologo medioevale che si è occupato del problema fede-ragione


“Io ho veduto, dice l’Ecclesiaste, che il riso è ingannatore e alla gioia ho detto: <strong>per</strong>ché mi lusinghi invano?” 21 . La<br />

voluttà mentisce; non è un piacere, ma un dolore ed un tormento. La ricchezza mente; non è abbondanza, ma è<br />

privazione delle ricchezze che sono nel cielo. Gli onori mentono; non sono onori, ma oneri e ludibrio del secolo. La<br />

vera felicità consiste nel tenere a vile la felicità del mondo e ricercare con ardore le cose divine, trascurando quelle della<br />

terra. Quelli che piangono <strong>per</strong> vani oggetti, piangono invano, e quelli che ridono delle vanità, ridono del proprio male;<br />

essi sbagliano <strong>per</strong>ché si rallegrano di ciò che dovrebbe rattristarli, ridono quando converrebbe loro piangere; simili ai<br />

bambini che si baloccano e saltellano mentre muoiono i loro genitori. O nulla del mondo! “L’uomo, dice l’Ecclesiaste,<br />

uscì nudo dal seno di sua madre, e nudo vi ritornerà, non portando con sé nulla dei frutti delle sue fatiche. O<br />

inenarrabile miseria! quale venne, tale se ne andrà. E che cosa vale l’essersi tanto affaticato?” 22 . I più floridi regni del<br />

mondo non sono che vento, e vento sono le ricchezze e la gloria loro; essi si assaltano e combattono gli uni contro gli<br />

altri e passano come vento; sono terribili come le tempeste e scompaiono ad un tratto come polvere. Tutti i beni di<br />

questo mondo sono fallaci; hanno apparenza e non realtà; stimolano la fame e la sete e non l’appagano; dànno solletico<br />

agli occhi, ma non cibo all’anima. La ragione è questa, che l’anima è stata creata a immagine di Dio, e <strong>per</strong> ciò capace di<br />

godere di un bene infinito, che è Dio; essa fu fatta <strong>per</strong> Iddio, e quindi non può essere né soddisfatta né tanto meno<br />

riempita da nessun bene finito, ombra e niente come le cose tutte della terra. Infatti, non appena ella gode di un oggetto,<br />

subito ne desidera un altro. L’anima terrestre e carnale somiglia al cane avido il quale, mentre ingoia il boccone che gli<br />

fu gettato, cerca con l’occhio quello che il padrone può avere tra mano.<br />

Eucherio di Lione 23 , De contemptu mundi, IV<br />

Non c’è nessuno che possa vantare la purezza del suo cuore, poiché tutti pecchiamo in molte cose. [...] Ecco, tra i santi<br />

nessuno è tale da non poter cambiare, i cieli non sono puri al Suo 24 cospetto; <strong>per</strong>fino nei Suoi angeli ha trovato<br />

malvagità. Quanto più abominevole e inutile è l’uomo, che beve l’iniquità come fosse acqua? Non <strong>per</strong> nulla Dio si pentì<br />

di aver creato l’uomo in terra, tanta era la malvagità degli uomini sulla terra, e tutti i pensieri dell’uomo volti in ogni<br />

momento al male: allora, preso da dolore nel profondo del cuore, distrusse l’uomo che aveva creato 25 . Certo, l’iniquità<br />

ha passato il segno, e si è raffreddata la carità di molti. Tutti hanno tralignato, sono diventati inutili, non c’è chi faccia il<br />

bene, non ce n’è nemmeno uno. Quasi tutta la vita dei mortali è piena di peccati mortali, tanto che è difficile trovare uno<br />

che non inclini alla sinistra, che non si converta in vomito, che non imputridisca nello sterco 26 . Preferiscono gloriarsi<br />

delle malefatte ed esultare nelle azioni peggiori, ripieni di ogni iniquità, malizia, fornicazione, avarizia, depravazione,<br />

pieni di invidia, omicidi, contese, inganni, malignità, maldicenti, calunniatori, odiosi a Dio, insolenti, su<strong>per</strong>bi, gonfi,<br />

inventori di nuovi mali, disubbidienti ai genitori, sconsiderati, sfrontati, senza affetti, senza lealtà né misericordia. Di<br />

tali <strong>per</strong>sone e di peggiori è pieno questo mondo [...]. Certo, come si dissolve il fumo si dissolveranno, e come si scioglie<br />

la cera di fronte al fuoco, così i peccatori <strong>per</strong>iranno al cospetto di Dio.<br />

Lotario dei Conti di Segni 27 , De contemptu mundi, sive de miseria conditionis humanae, II<br />

L’uomo nato da donna vive <strong>per</strong> un tempo <strong>breve</strong>, ricolmo di molte miserie. Egli spunta e si consuma come un fiore,<br />

fugge come l’ombra, e non resta mai nel medesimo stato”. Pochi infatti ora giungono a quarant’anni, pochissimi a<br />

sessanta. [...] Se poi qualcuno raggiunge la vecchiaia, subito il suo cuore è abbattuto, il capo è agitato, il respiro langue<br />

e l’alito puzza, il viso si corruga e la statura si curva, gli occhi si oscurano e le giunture vacillano, le narici colano e i<br />

capelli cadono, le mani tremano e i gesti de<strong>per</strong>iscono, i denti marciscono e le orecchie insordiscono. [...] L’uccello<br />

nasce <strong>per</strong> il volo, e l’uomo nasce <strong>per</strong> la fatica. Tutti i suoi giorni sono pieni di fatica e tribolazioni, e neppure di notte la<br />

sua anima trova riposo. [...] Quanta ansietà opprime i mortali, quanti affanni li assalgono, quante preoccupazioni li<br />

molestano, quanti spaventi li terrorizzano, quanto tremore li scuote, quanto orrore li sovrasta, quanto dolore li affligge,<br />

quanta tristezza li turba, quanto turbamento li rattrista! Povero e ricco, servo e padrone, sposato e celibe, buono e<br />

malvagio, tutti sono afflitti dai tormenti terreni, e sono tormentati dalle afflizioni mondane. Credi al maestro che lo ha<br />

provato 28 : “Se sarò empio, guai a me; e se sarò giusto, non potrò levare il capo <strong>per</strong> il peso dell’afflizione e della<br />

miseria.”<br />

Lotario dei Conti di Segni, De contemptu mundi, sive de miseria conditionis humanae, II<br />

Per i Padri della Chiesa e <strong>per</strong> i grandi asceti del primo millennio, la fuga mundi non era dettata da un disgusto scaturito<br />

da un indomabile odio nei riguardi del mondo sensibile. La sua attuazione era originata da un atto di rinuncia delle gioie<br />

mondane e lanciava l’asceta nella lotta e nell’agone contro le immagini della mente, scaturite dalle passioni carnali<br />

radicate nell’animo umano, fino a quando egli non avesse conquistato la quiete interiore. Il mondo era visto<br />

dall’anacoreta non con odio e con sprezzo, ma con compassione, poiché tutta la natura, avvolta dall’opacità causata<br />

21<br />

Eccle. II, 2<br />

22<br />

Eccle. V, 14<br />

23<br />

Eucherio di Lione (Lione, 380 – Lione, 449 o 450) è stato un vescovo di origine gallica. È venerato come santo dalla Chiesa cattolica, che lo<br />

festeggia il 16 novembre, ed è annoverato tra i Padri della Chiesa occidentale<br />

24<br />

Di Dio<br />

25<br />

Riferimento al Diluvio universale; la citazione è dal passo relativo del libro Genesi<br />

26<br />

tenda a una cattiva strada<br />

27<br />

Diventerà papa assumendo il nome di Innocenzo III (1<strong>19</strong>8-1216)<br />

28<br />

Le citazioni di questo passo sono dal libro di Giobbe, il <strong>per</strong>sonaggio biblico che rappresenta la sofferenza del giusto


dalla colpa originaria, gemeva <strong>per</strong> la sua condizione decaduta. La fuga mundi veniva, <strong>per</strong>ciò, s<strong>per</strong>imentata come un<br />

esilio volontario, come un’es<strong>per</strong>ienza di morte del vissuto che, rompendo ogni legame terreno, <strong>per</strong>metteva al monaco<br />

del deserto di accedere alla preghiera pura e alla contemplazione divina. Nella desolazione dei secoli caratterizzati dalle<br />

invasioni barbariche e durante la lenta ripresa della cultura europea, all’inizio del secondo millennio i termini fuga<br />

mundi e contemptus mundi assumono un identico significato, tendente a esprimere un ben preciso comportamento<br />

interiore nei riguardi del mondo quale luogo del peccato e dell’eterna <strong>per</strong>dizione dell’uomo, prima che questi rotoli<br />

repentinamente negli affollati abissi infernali. Nel corso dell’XI e del XII secolo assistiamo a una vera e propria<br />

naissance, ricca di un variegato immaginario sulla morte, di un genere letterario altamente specializzato nel divulgare il<br />

tema ascetico del disprezzo del mondo, dapprima fra le mura dei monasteri e in seguito predicato fra i laici, soprattutto<br />

in epoca francescana. Questa letteratura nasce e si sviluppa in opposizione al mondo aristocratico e borghese, come<br />

reazione contro una cultura edonistica che sempre più si diffonde in Europa. Alla rivalutazione della vita terrena, alcuni<br />

ambienti monastici oppongono il tema del giudizio universale finale e delle raccapriccianti pene infernali nei loro<br />

aspetti maggiormente spettacolari. Infatti, queste tematiche producono una sorta di potente drammatizzazione<br />

dell’esistenza, divaricata fra il peccato e la pena, la sofferenza e la redenzione, e sono entrambe ovviamente legate al<br />

motivo della morte. [...] La cultura ecclesiastica reagisce insomma al nuovo amore <strong>per</strong> la vita che si va diffondendo in<br />

quest’epoca soprattutto insistendo sul tema della morte, utilizzato da un lato <strong>per</strong> svalutare l’es<strong>per</strong>ienza terrena...<br />

dall’altro <strong>per</strong> indurre alla conversione, al pentimento e al distacco dal mondo.<br />

J. Delumeau, Il peccato e la paura. L’idea di colpa in Occidente dal X al XVIII secolo, Bologna <strong>19</strong>87<br />

1 Senno me pare e cortisia 29<br />

empazzir <strong>per</strong> lo bel Messia.<br />

Ello me sa sì gran sa<strong>per</strong>e<br />

a cchi <strong>per</strong> Deo vòle empazzire 30 ,<br />

5 en Parisi non se vide<br />

cusì granne filosafia 31 .<br />

Chi pro Cristo va empazzato 32 ,<br />

pare afflitto et tribulato,<br />

ma el è magistro conventato<br />

<strong>10</strong> en natura e ’n teologia 33 .<br />

Chi pro Cristo ne va 34 pazzo,<br />

a la gente sì par matto 35 ;<br />

chi non à provato el fatto,<br />

par che sia for de la via 36 .<br />

15 Chi vòle entrare en questa scola,<br />

trovarà dottrina nova 37 ;<br />

tal pazzia, chi non la prova,<br />

ià non sa que ben se scia 38 .<br />

29 Ritengo assennato e “cortese” impazzire <strong>per</strong> il bel Messia. L’aggettivo “cortese” allude, come già in O Segnor <strong>per</strong> cortesia, al sistema di valori<br />

dell’“amor cortese” provenzale; vi sono inquadrati amore, virtù, salute fisica, in una cornice di decoro e liberalità. “Senno” (dal francese antico sen,<br />

dal francone sin) vale “ragione”. Le prime attestazioni del termine in Italia risalgono al XIII secolo. L’aggettivo “bel” proietta l’immagine di Cristo in<br />

una dimensione estetico-passionale caratteristica dell’entusiasmo mistico di Jacopone<br />

30 Considero (Ello me sa; “ello” <strong>per</strong> egli, è pleonastico, come in molti testi antichi e fino all’Ottocento) una così grande sapienza quella di chi (a<br />

cchi è una forma risultante dal dativo di possesso latino, come nella forma meridionale “a cchi sei figlio?”) vuole impazzire <strong>per</strong> Dio.<br />

31 che a Parigi non si è mai vista una dottrina filosofica tanto profonda. Il “sì”, così, al v. 3 indica la presenza logica di una consecutiva al v. 5, ma<br />

Jacopone omette la particella correlativa “che” e giustappone <strong>per</strong> paratassi le due affermazioni.<br />

32 Chi diviene pazzo <strong>per</strong> (pro) Cristo, cioè avendo fatto es<strong>per</strong>ienza del suo amore.<br />

33 ma egli è maestro addottorato (magistro conventato) in natura e teologia. I due termini “natura” e “teologia” rimandano in forma polemica alle<br />

discipline fondamentali delle università medievali. Jacopone attacca in particolare la logica scolastica ed evoca come unica forma di sapienza il<br />

mistero della natura umana (“natura”) e divina (“teologia”) di Cristo. L’imitazione di Cristo, nella forma autolesionista e provocatoria<br />

dell’umiliazione ricercata, costituisce teoria e prassi della “pazzia” mistica dell’autore.<br />

34 diviene, come “va” al v. 7.<br />

35 alla gente comune appare così (sì) folle; “matto” si oppone a “pazzo” in quanto designa la follia in senso corrente<br />

36 chi non ha fatto es<strong>per</strong>ienza (provato el fatto) mostra di essere (par che sia) fuori della retta via. L’interpretazione è confortata<br />

da quanto si dice poi ai vv. 17-18: il primo riprende, variandolo, il v. 13, il secondo sviluppa l’affermazione del v. 14. La stessa affermazione compare<br />

in O iubelo del core, vv. 27-28: “Chi non ha costumanza / te reputa ’mpazzito”, ma qui i versi sembrano recu<strong>per</strong>are il testo del Vangelo di Giovanni<br />

(XIV, 6): “Ego sum via et veritas et vita; nemo venit ad Patrem nisi <strong>per</strong> me” [“Io sono la via, la verità e la vita, Nessuno viene al Padre se non <strong>per</strong><br />

mezzo di me”].<br />

37 Chi vuole entrare in questa scuola (quella appunto della “pazzia”) troverà una nuova dottrina. È detto con irrisione rispetto ai precetti delle scuole<br />

teologiche, controllate dalla gerarchia ecclesiastica. Ma il riferimento alla “dottrina nova” riprende anche un passo del Vangelo di Giovanni (XIII,<br />

34), poco precedente a quello citato sopra: “Mandatum novum do vobis, ut diligatis invicem; sicut dilexi vos, ut et vos diligatis invicem” [“Vi dò un<br />

comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi gli uni gli altri”].


Chi vòle entrare en questa danza 39 ,<br />

20 trova amor d’esmesuranza 40 ;<br />

cento dì de <strong>per</strong>dunanza<br />

a chi li dice vellania 41 .<br />

Chi girrà 42 cercando onore,<br />

no n’è 43 degno del Suo amore,<br />

25 ca 44 Iesù ’nfra dui latruni<br />

en mezzo la croce staìa 45 .<br />

Chi va cercando la vergogna,<br />

bene me par che cetto iogna 46 ;<br />

ià non vada plu 47 a Bologna<br />

30 <strong>per</strong> ’mparare altra mastria 48 .<br />

Jacopone da Todi, Senno me pare e cortisia<br />

38<br />

non sa ancora (ià non, dal latino iam non) quale bene sia.<br />

39<br />

l’equiparazione dell’es<strong>per</strong>ienza mistica della “pazzia” ad una “danza” (contrapposta alla scuola), con tutto ciò che di gioioso e corporale comporta,<br />

è l’invenzione poetica più convincente del testo. Tanto più che il termine riprende letteralmente quello provenzale – dansa – che designa la ballata, e<br />

quindi la lauda, con un effetto di forte suggestione. Proprio attraverso la danza, nel XVI secolo, giungevano all’estasi mistica i dervisci musulmani<br />

(dal turco dervis, dal <strong>per</strong>siano dervis, “mendicante”) di Konja, in Turchia.<br />

40<br />

a dismisura, senza limiti. In O iubelo del core , al v. <strong>19</strong>, “parlanno esmesurato”, che definisce l’esito stilistico dell’ “esmesuranza”.<br />

41<br />

cento giorni d’indulgenza a chi lo insulta. Il paradosso, con un forte scarto rispetto al senso comune, vuole negare insieme la logica laica (“cortese”),<br />

e quella ecclesiastica, seguendo la “dottrina” della “pazzia”: alla dichiarazione d’accoglienza amorosa segue l’istigazione all’umiliazione del nuovo<br />

adepto. Ma la dottrina di Jacopone è <strong>per</strong>fettamente coerente: come sotto si vedrà, all’amore di Cristo, e quindi alla teologia dell’imitazione di Cristo,<br />

corrisponde la ricerca dell’umiliazione, secondo la modalità autolesionistica di cui alla nota 5. La citazione dell’indulgenza può anche avere una<br />

connotazione ironica, considerato che il suo uso temporale fu sempre al centro delle critiche volte alle gerarchie ecclesiastiche dai movimenti<br />

riformatori. “Vellania” si contrappone a “cortisia” della ripresa.<br />

42<br />

andrà<br />

43<br />

non è<br />

44<br />

<strong>per</strong>ché (dal latino quia > qua in latino volgare, I sec. d. C.)<br />

45 stava<br />

46 giunga presto<br />

47 più<br />

48 <strong>per</strong> imparare un’altra dottrina

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