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F. Saccomanni - Italy-Japan Business Group

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ITALY-JAPAN BUSINESS GROUP<br />

L’Italia e l’euro: anno zero<br />

Intervento di Fabrizio <strong>Saccomanni</strong><br />

Direttore Centrale per le Attività Estere della Banca d’Italia<br />

Bergamo, 9 ottobre 2002


Indice<br />

1. INTRODUZIONE ................................................................................................................................. 3<br />

2. L’EURO E LA STABILITÀ MONETARIA........................................................................................ 4<br />

3. L’EURO E L’INTEGRAZIONE FINANZIARIA EUROPEA ............................................................ 7<br />

4. CONCLUSIONI ...................................................................................................................................11


1. Introduzione<br />

Le banconote e le monete in euro sono state introdotte da poco meno di un<br />

anno, ma già dal gennaio 1999 undici paesi (un dodicesimo si è aggiunto due anni<br />

dopo) hanno una moneta unica e un’unica politica monetaria, di cui è responsabile<br />

l’Eurosistema, l’organismo sovranazionale costituito dalla Banca centrale europea<br />

(BCE) e dalle banche centrali nazionali di questi paesi. Ancor prima, era stata<br />

raggiunta nei paesi membri la convergenza dei fondamentali macroeconomici richiesta<br />

dal Trattato di Maastricht ed erano stati messi a punto nuovi strumenti e procedure per<br />

l’attuazione della politica monetaria, indispensabili per il passaggio all’euro.<br />

L’adozione della moneta unica costituisce un momento fondamentale nel<br />

processo di completamento del Mercato unico. La sostituzione delle monete nazionali<br />

con l’euro ha consentito di eliminare l’incertezza dovuta alle oscillazioni dei tassi di<br />

cambio e di rimuovere così l’ultimo ostacolo alla piena libertà di scambio. Il<br />

mantenimento della stabilità dei prezzi, obiettivo primario dell’Eurosistema, costituisce<br />

il prerequisito per uno sviluppo sostenibile del reddito; è principalmente garantendo<br />

questa condizione che la politica monetaria può contribuire al perseguimento<br />

dell’obiettivo più generale dell’Unione europea di promuovere il progresso economico<br />

e sociale e un elevato livello di occupazione.<br />

Un bilancio sugli effetti dell’adozione della moneta unica, pertanto, non può<br />

limitarsi all’analisi della congiuntura più recente, ma deve al contrario porsi in una<br />

duplice prospettiva, da una parte rivolta al percorso che ha reso possibile questo<br />

radicale cambiamento di regime, dall’altra proiettata sugli sviluppi futuri, non<br />

necessariamente immediati. Alcuni importanti effetti dell’introduzione della nuova<br />

moneta, infatti, si sono osservati già prima del gennaio 1999, altri si sono manifestati<br />

negli anni successivi, altri ancora si dispiegheranno pienamente soltanto nel più lungo<br />

periodo.<br />

È un bilancio che vorrei sviluppare su due principali linee di riflessione. La<br />

3


prima riguarda la politica monetaria dell’Eurosistema, i suoi obiettivi, le difficoltà<br />

affrontate in questi anni, i risultati conseguiti in termini di stabilità monetaria. La<br />

seconda concerne gli effetti dell’introduzione dell’euro sul grado di integrazione e di<br />

sviluppo dei mercati monetari e finanziari europei.<br />

2. L’euro e la stabilità monetaria<br />

La politica monetaria dell’Eurosistema ha per obiettivo primario la stabilità<br />

dei prezzi, definita come un aumento medio annuo dell’indice armonizzato dei prezzi<br />

al consumo inferiore al 2 per cento, da conseguire nel medio termine. Da questa<br />

definizione di stabilità deriva che sia l’inflazione sia la deflazione sono patologie da<br />

contrastare.<br />

Per conseguire la stabilità dei prezzi, l’Eurosistema si avvale di una<br />

strategia che, tenendo conto della complessità dei fattori che influenzano l’inflazione,<br />

incorpora più schemi teorici e modelli econometrici di riferimento. Essa si basa<br />

sull’analisi dell’andamento della moneta (in particolare dell’ampio aggregato<br />

monetario di riferimento M3) e di un ricco insieme di altri indicatori, reali e finanziari,<br />

sull’andamento recente e prospettico dell’economia. Questa analisi comporta<br />

necessariamente un elemento di giudizio; spetta quindi al Consiglio direttivo della<br />

BCE esercitare la discrezionalità nella valutazione dell’adeguatezza della politica<br />

monetaria. Non vi sono meccanismi automatici di aggiustamento in relazione agli<br />

andamenti dei prezzi e degli aggregati monetari.<br />

Dall’inizio dell’unione monetaria l’inflazione dell’area dell’euro è stata<br />

pari, in media, al 2,1 per cento e si è collocata al di sopra del 2 per cento in circa la<br />

metà dei mesi compresi in questo periodo (con un massimo del 3,4 per cento nel<br />

maggio dello scorso anno). Questi dati potrebbero a prima vista indurre a ritenere che<br />

l’obiettivo primario dell’Eurosistema non sia stato conseguito. Un esame più attento<br />

4


dell’andamento delle principali variabili economiche negli ultimi anni, tuttavia,<br />

smentisce questa impressione.<br />

L’economia dell’area è stata esposta a una serie di shock con un forte<br />

potenziale inflazionistico. Tra il gennaio 1999 e il novembre del 2000 il tasso di<br />

cambio dell’euro ha subito un marcato deprezzamento nei confronti del dollaro. Nello<br />

stesso periodo si è registrato un brusco e continuo aumento del prezzo del petrolio.<br />

Come risultato della combinazione dei due fenomeni, le quotazioni petrolifere espresse<br />

in euro sono quasi quadruplicate, passando (in base alle medie mensili) da poco meno<br />

di 10 euro a 38 euro per barile.<br />

Tali andamenti si sono riflessi sui prezzi al consumo dell’area sia in<br />

maniera immediata, attraverso il rincaro dei prodotti energetici, sia indirettamente,<br />

mano a mano che gli effetti di quegli aumenti si trasmettevano alle varie fasi della<br />

catena produttiva. Nel frattempo, durante il 2001, l’economia dell’area veniva colpita<br />

da un ulteriore shock ai prezzi dei beni alimentari, determinato dalle emergenze<br />

sanitarie che hanno interessato gli allevamenti di bestiame in diversi paesi dell’area<br />

(l’epidemia della “mucca pazza”).<br />

Al fine di evitare che gli shock appena descritti avessero un effetto durevole<br />

sulle aspettative inflazionistiche degli agenti economici, il Consiglio direttivo della<br />

BCE ha aumentato a più riprese i tassi ufficiali: tra il novembre 1999 e l’ottobre del<br />

2000 il tasso di rifinanziamento è stato innalzato di 2,25 punti percentuali, al 4,75 per<br />

cento. L’azione della politica monetaria ha consentito di salvaguardare la moderazione<br />

salariale e di mantenere su livelli contenuti l’inflazione al netto delle componenti più<br />

variabili (alimentari freschi e beni energetici), che tra il gennaio 1999 e l’agosto del<br />

2002 si è collocata in media all’1,7 per cento.<br />

L’andamento delle aspettative sull’inflazione a lungo termine conferma che<br />

la credibilità della politica monetaria non è mai stata messa in dubbio. Indicazioni su<br />

5


tali aspettative possono essere ricavate sia indirettamente dalle variabili finanziarie (in<br />

particolare dalla differenza tra i rendimenti nominali e quelli indicizzati su alcune<br />

tipologie di titolo di Stato), sia direttamente dai sondaggi di opinione presso gli<br />

operatori economici. Entrambe le fonti indicano che dall’inizio del 1999 a oggi le<br />

attese sull’inflazione di lungo periodo nell’area dell’euro sono state, in media, inferiori<br />

al 2 per cento. La più recente indagine disponibile, quella di Euro Zone Barometer<br />

dello scorso settembre, indica un’aspettativa di inflazione per il 2006 pari all’1,8 per<br />

cento.<br />

È infine necessario riportare su un piano di chiarezza e di rigore il recente<br />

dibattito sugli effetti del passaggio all’euro. I forti rincari osservati nei primi mesi<br />

dell’anno in alcuni comparti del settore dei servizi (ad esempio quello della<br />

ristorazione), nel nostro e in altri paesi dell’area, sono probabilmente da mettere in<br />

relazione con la sostituzione del contante. A livello aggregato, tuttavia, l’evidenza<br />

disponibile indica che l’impatto è stato molto modesto: secondo stime dell’Eurostat<br />

esso avrebbe contribuito per meno di 0,2 punti percentuali all’aumento registrato<br />

dall’indice armonizzato dei prezzi al consumo dell’area nel primo semestre del 2002<br />

(1,4 per cento rispetto al semestre precedente); sulla base dei dati aggregati finora<br />

disponibili, in Italia l’impatto sarebbe stato lievemente superiore. In quasi tutti i paesi<br />

dell’area la percezione da parte dei consumatori è stata di un’inflazione molto<br />

maggiore di quella misurata dalle statistiche ufficiali. Ciò ha riflesso verosimilmente la<br />

difficoltà di valutare correttamente l’aumento medio dei prezzi a fronte di forti rincari<br />

di specifici beni e servizi, alcuni dei quali (alimentari, giornali, servizi dei pubblici<br />

esercizi) acquistati molto frequentemente. Va notato, al riguardo, che alcuni di questi<br />

rincari sono in gran parte indipendenti dal passaggio all’euro, come nel caso dei beni<br />

alimentari freschi, i cui prezzi hanno risentito di fattori meteorologici sfavorevoli.<br />

Le prospettive a breve termine confermano il graduale riassorbimento delle<br />

tensioni sui prezzi manifestatesi nei primi mesi dell’anno. Si prevede che l’inflazione<br />

dell’area (pari al 2,1 per cento in agosto) continui a oscillare intorno al 2 per cento nei<br />

prossimi mesi e che torni stabilmente al di sotto di questa soglia nel corso del prossimo<br />

6


anno.<br />

3. L’euro e l’integrazione finanziaria europea<br />

L’introduzione dell’euro ha dato un forte impulso al processo di<br />

integrazione monetaria e finanziaria europea.<br />

Il complesso degli strumenti e delle procedure per l’attuazione della politica<br />

monetaria si è fondato sull’accentramento nel Consiglio direttivo della BCE delle<br />

funzioni politico-strategiche e sul decentramento alle banche centrali nazionali delle<br />

funzioni esecutive. Questa struttura ha operato efficacemente anche grazie al sostegno<br />

di nuovi sistemi informatici. Essa ha consentito di fornire al mercato segnali chiari<br />

sulla stance corrente della politica monetaria. Essa ha consentito soprattutto di<br />

governare, attraverso il mercato, le condizioni monetarie in un’area molto vasta e<br />

caratterizzata da difformità nei fattori di creazione e di assorbimento di liquidità,<br />

dovute ad esempio alle operazioni effettuate dai Tesori nazionali. Si è assicurata la<br />

convergenza dei rendimenti a breve, e quindi la sostanziale unicità delle condizioni<br />

monetarie in tutta l’area dell’euro, da Lisbona ad Atene, da Helsinki a Roma.<br />

Ciò è stato realizzato grazie al buon funzionamento del sistema di<br />

regolamento lordo in tempo reale TARGET, attraverso cui transitano larga parte dei<br />

flussi volti a colmare eccessi e carenze di fondi nei sistemi bancari nazionali. Per avere<br />

un’idea della dimensione dei flussi intermediati e della numerosità delle transazioni<br />

sottostanti basterà citare gli ultimi dati disponibili: nel secondo trimestre di quest’anno,<br />

si è registrata su TARGET una media giornaliera di oltre 54.000 pagamenti<br />

transfrontalieri (cross border), corrispondenti a un valore di 489 miliardi di euro. La<br />

quota dei pagamenti interbancari sul totale dei pagamenti transfrontalieri è stata pari al<br />

96 per cento in valore e al 54 per cento in volume.<br />

Il processo di standardizzazione e integrazione del mercato monetario<br />

7


dell’area si è già compiuto pienamente in alcuni segmenti del mercato, come quello dei<br />

prestiti non garantiti e degli swap; ha invece fatto progressi minori in altri comparti,<br />

come quello dei pronti contro termine e dei titoli a breve termine (buoni del Tesoro,<br />

carta commerciale e certificati di deposito) nei quali le transazioni sono state sinora<br />

orientate essenzialmente al versante domestico. Ciò può essere messo in relazione con<br />

le differenze nelle prassi di mercato e nel quadro normativo e fiscale.<br />

La politica monetaria unica influisce sulla struttura e sull’ampiezza del<br />

mercato obbligazionario dell’euro. Questo fornisce la materia prima per l’esercizio<br />

della politica monetaria in quanto tutte le operazioni di creazione di liquidità<br />

dell’Eurosistema devono essere assistite da garanzie in titoli. L’Eurosistema ha<br />

individuato un ampio ventaglio di titoli obbligazionari sia pubblici sia privati che<br />

possono essere utilizzati a fini di garanzia e ritiene una priorità essenziale per la<br />

condotta della politica monetaria che vi sia un mercato di titoli denominati in euro<br />

efficiente, spesso e liquido. Questo interesse è condiviso non solo dai governi ma<br />

anche dagli altri emittenti, ossia le banche, gli intermediari finanziari, le imprese, che<br />

possono accedere ai finanziamenti a più lungo termine e a tasso fisso con maggiore<br />

facilità e a condizioni più vantaggiose, ora che il venir meno delle segmentazioni<br />

valutarie ha aperto un mercato di dimensioni potenzialmente comparabili a quello degli<br />

Stati Uniti.<br />

L’effetto dell’introduzione della moneta unica sul mercato dei titoli<br />

obbligazionari denominati in euro è stato notevole: ne ha aumentato il grado di<br />

integrazione, lo spessore e la liquidità. Sulla base di statistiche comparabili per tutti i<br />

paesi dell’area disponibili per il biennio 1999-2000, le consistenze di titoli in euro<br />

emesse da residenti dell’area sono cresciute in media del 7 per cento all’anno.<br />

L’incremento è stato particolarmente elevato (26 per cento annuo, in media) per i titoli<br />

emessi dalle imprese, il cui ricorso a questa forma di finanziamento è stato sospinto<br />

dall’intensa attività di fusione e acquisizione, in particolare nel settore delle<br />

telecomunicazioni.<br />

8


Lo spessore e la liquidità del mercato delle obbligazioni in euro ha attirato<br />

un numero crescente di emittenti esteri: nel secondo trimestre del 2002, la quota delle<br />

obbligazioni in euro sul totale delle obbligazioni internazionali era salita al 39 per<br />

cento, al secondo posto dopo la quota del dollaro (45 per cento) e di gran lunga<br />

superiore a quella dello yen (6 per cento). Sono ora stabilmente presenti sul mercato<br />

obbligazionario in euro emittenti corporate come General Motors, General Electric,<br />

Ford, JPMorgan, Tokyo Electric Power Co., Petronas, British Telecom, oltre ad un<br />

vasto numero di emittenti sovrani dell’Europa orientale e del nord e sud America.<br />

Anche le imprese italiane si sono avvantaggiate delle opportunità offerte dal<br />

mercato obbligazionario internazionale. Tra la fine del 1998 e quella del 2001 la quota<br />

delle obbligazioni internazionali sui collocamenti totali delle imprese non finanziarie<br />

italiane è aumentata dal 37 all’88 per cento; più di due terzi delle 36 imprese che<br />

hanno utilizzato questo mercato lo hanno fatto in questi anni per la prima volta.<br />

Rispetto alle imprese presenti sull’euromercato prima del 1999, le imprese nuove<br />

entrate hanno in media un fatturato minore ed effettuano collocamenti di ammontare<br />

inferiore; tra di esse è minore l’incidenza delle imprese quotate in borsa, dotate di<br />

rating da parte di un’agenzia indipendente e appartenenti ai settori tradizionali. Il loro<br />

ingresso è stato favorito dalla presenza di banche italiane nei sindacati di<br />

collocamento.<br />

Le emissioni nette di obbligazioni a medio e a lungo termine effettuate da<br />

banche e imprese italiane hanno continuato a crescere a un ritmo molto elevato anche<br />

nel 2001 (79,5 per cento rispetto all’anno precedente), a fronte di una flessione del 3,4<br />

per cento nel complesso dell’area. Gran parte delle emissioni effettuate da imprese non<br />

finanziarie è riconducibile a operazioni di elevato importo unitario di aziende del<br />

settore delle telecomunicazioni, per allungare la durata media del debito. È quasi<br />

triplicato il valore delle emissioni lorde di titoli obbligazionari effettuate da società<br />

italiane a fronte di operazioni di cartolarizzazione dei crediti. La quota italiana nel<br />

9


mercato di questo tipo di titoli – che negli anni recenti ha registrato uno sviluppo<br />

considerevole anche negli altri paesi europei – ha raggiunto il 22,2 per cento, inferiore<br />

solo a quella del mercato britannico.<br />

Le autorità monetarie e finanziarie europee sono state tuttavia ben<br />

consapevoli che l’introduzione dell’euro, pur dando un forte impulso all’integrazione<br />

finanziaria, non sarebbe stata di per sé sufficiente a creare un mercato unico dei servizi<br />

finanziari. Già nel 1999 venne elaborato un Piano d’azione per i servizi finanziari che<br />

individuava un complesso di 42 direttive da introdurre per realizzare un mercato<br />

finanziario pienamente integrato nella dimensione all’ingrosso (wholesale) e altamente<br />

concorrenziale, efficiente e sicuro nelle sue articolazioni al dettaglio (retail). Il<br />

Consiglio Europeo di Lisbona del 2000 ha approvato al massimo livello politico il<br />

Piano d’azione, fissando al 2005 la data per la realizzazione dei suoi obiettivi.<br />

Nonostante la realizzazione di più della metà delle misure previste dal Piano<br />

d’azione il risultato di un mercato finanziario pienamente integrato è ancora lontano<br />

dall’essere realizzato. Permangono barriere legali e regolamentari che impediscono di<br />

fornire in maniera efficiente servizi finanziari in più paesi dell’Unione; il mercato al<br />

dettaglio è ancora caratterizzato da una segmentazione nazionale e da costi dei<br />

pagamenti transfrontalieri molto più elevati di quelli dei corrispondenti pagamenti<br />

domestici; nel mercato all’ingrosso, dove è stato raggiunto un livello notevole di<br />

integrazione, gli operatori superano gli ostacoli rimanenti sopportando costi elevati,<br />

che vengono trasferiti su consumatori e imprese.<br />

Il Consiglio europeo di Barcellona del marzo 2002 ha confermato<br />

l’obiettivo della realizzazione di un mercato unico dei servizi finanziari per il 2005,<br />

fissando al 2003 la data per la piena integrazione dei mercati dei titoli e del capitale di<br />

rischio. In quella sede si è ancora una volta sottolineato come l’integrazione del<br />

mercato finanziario sia un fattore cruciale nel processo di realizzazione di<br />

un’economia europea più dinamica, caratterizzata da crescita e occupazione elevate.<br />

Grazie alla concorrenza derivante da una maggiore integrazione, i consumatori<br />

10


eneficerebbero di prezzi inferiori e prodotti di qualità superiore, gli investitori di<br />

rendimenti più elevati, le imprese, in particolare quelle di piccole e medie dimensioni,<br />

di maggiori opportunità di accesso al credito e di costi del finanziamento più contenuti.<br />

Ne deriverebbero più investimenti, più progresso tecnico, una più elevata produttività.<br />

Secondo un recente studio la maggiore integrazione potrebbe tradursi in un incremento<br />

del tasso di crescita annuo del PIL nell’ordine di 0,5 punti percentuali.<br />

4. Conclusioni<br />

economica recente.<br />

Vorrei svolgere, prima di concludere, alcune considerazioni sull’evoluzione<br />

Il Prodotto interno lordo (PIL) dell’area dell’euro, dopo essere cresciuto del<br />

2,8 per cento nel 1999 e del 3,5 nel 2000, ha rallentato bruscamente lo scorso anno,<br />

quando è cresciuto soltanto dell’1,5 per cento. La decelerazione si è accentuata nel<br />

2002: per il complesso dell’anno, secondo le recenti previsioni del Fondo monetario<br />

internazionale, la crescita sarà pari allo 0,9 per cento. Anche in Italia l’attività ha<br />

rallentato bruscamente nel 2001 (quando la crescita è scesa all’1,8 per cento, dal 2,9<br />

dell’anno precedente). La decelerazione si è accentuata quest’anno: secondo le<br />

previsioni del governo, nel 2002 l’incremento del PIL nel nostro paese sarà soltanto<br />

dello 0,6 per cento.<br />

L’indebolimento delle condizioni economiche nell’area e in Italia ha in<br />

larga parte riflesso l’indebolimento della congiuntura internazionale. Il rincaro del<br />

petrolio nel 2000, l’arresto della lunga espansione negli Stati Uniti, il deterioramento<br />

economico del Giappone hanno frenato il commercio mondiale, riflettendosi sulle<br />

esportazioni dell’area e indirettamente sulla domanda interna. Ai segnali di una<br />

possibile ripresa emersi nel corso dell’estate del 2001 ha fatto seguito, dopo gli<br />

attacchi terroristici dell’11 settembre, un nuovo peggioramento del quadro<br />

11


congiunturale e un acuirsi dell’incertezza, anche in relazione agli andamenti negativi<br />

delle maggiori borse azionarie. La crescita, sia nell’area che in Italia, è stata negativa<br />

nel quarto trimestre del 2001 ed è tornata a crescere a ritmi positivi ma molto modesti<br />

nei primi due trimestri di quest’anno.<br />

Nel corso del 2002 il tasso di cambio dell’euro ha registrato un significativo<br />

apprezzamento nei confronti del dollaro, recuperando in parte le forti perdite subite nei<br />

primi due anni dell’Unione monetaria. Anche in questa fase il tasso di cambio tra le<br />

due monete ha risentito delle valutazioni degli operatori sulla solidità relativa delle due<br />

aree economiche; mentre negli anni precedenti aveva prevalso la convinzione che<br />

l’economia statunitense godesse, al di là del temporaneo rallentamento congiunturale,<br />

di condizioni strutturali molto più favorevoli, gli sviluppi del periodo recente ne hanno<br />

evidenziato importanti elementi di squilibrio e di fragilità finanziaria, inducendo a una<br />

maggiore prudenza nella valutazione delle sue potenzialità di espansione.<br />

Nel corso del 2001, in un contesto caratterizzato da rischi di inflazione<br />

decrescenti, il Consiglio direttivo della BCE ha deciso di ridurre i tassi di riferimento<br />

in quattro occasioni, per complessivi 1,5 punti percentuali. Dopo l’ultima variazione,<br />

dell’8 novembre 2001, il tasso minimo di offerta applicato alle operazioni di<br />

rifinanziamento, è stato mantenuto invariato al 3,25 per cento.<br />

Per il 2003, secondo le previsioni del Fondo monetario internazionale<br />

(coincidenti per il nostro paese con quelle del governo), il tasso di crescita del PIL si<br />

riporterebbe al 2,3 per cento sia nell’area dell’euro che in Italia. Nel più lungo periodo,<br />

il potenziale di crescita dipenderà da una serie di fattori, in primo luogo dall’attuazione<br />

di riforme miranti a migliorare il funzionamento dei mercati.<br />

* * *<br />

Vorrei ora concludere, tirando le fila del ragionamento fin qui svolto. Con<br />

la moneta unica l’Unione Europea ha già colto importanti risultati, realizzando gli<br />

12


obiettivi che si era data e ponendo le basi che potranno consentire altri importanti<br />

progressi negli anni a venire. È stata garantita, con una politica monetaria attenta, la<br />

stabilità dei prezzi: a fronte di spinte sui prezzi intense, persistenti e fortemente<br />

concentrate nel tempo, si è riusciti a evitare che si producessero spirali inflazionistiche.<br />

L’introduzione della moneta unica ha rafforzato il Mercato unico, rimuovendo<br />

l’ostacolo fondamentale alla piena libertà di scambio rappresentata dalla presenza di<br />

oscillazioni tra i tassi di cambio.<br />

La piena realizzazione dell’Unione monetaria pone tuttavia nuove sfide. Per<br />

ampliare il potenziale di crescita dell’attività è indispensabile procedere sulla strada<br />

delle riforme strutturali, favorendo la crescita della competitività nei mercati dei beni e<br />

dei servizi. In alcuni paesi, tra cui il nostro, deve essere completato il risanamento<br />

delle finanze pubbliche, ponendo rimedio per tempo agli squilibri derivanti dagli<br />

andamenti demografici. È necessario che l’integrazione del mercato finanziario, già<br />

pienamente compiuta in alcuni settori, progredisca anche nei segmenti per i quali si è<br />

sinora realizzata in misura inferiore.<br />

L’Unione europea ha avviato politiche finalizzate a fronteggiare queste<br />

sfide. Il Consiglio europeo di Lisbona del marzo 2000 ha sottolineato il ruolo che le<br />

riforme strutturali possono avere nel favorire la crescita e l’occupazione. Negli anni<br />

recenti è diminuita la percentuale di direttive relative al mercato interno non ancora<br />

adottate dagli Stati membri; è stato adottato lo Statuto della società europea, che<br />

consente alle imprese di costituire società operanti in tutta l’Unione ai sensi di una<br />

normativa comunitaria applicabile direttamente in tutti gli Stati membri; si sono<br />

registrati progressi nel campo delle riforme dei mercati, in particolare con le modifiche<br />

della regolamentazione in taluni settori dei servizi a rete e con le riforme dei mercati<br />

del lavoro attuate da alcuni paesi dell’area. Questi progressi, tuttavia, rimangono<br />

parziali e disomogenei tra paesi.<br />

Come ho ricordato, l’integrazione dei mercati finanziari ha fatto notevoli<br />

13


progressi negli anni recenti; i segmenti del mercato monetario essenziali per la<br />

conduzione della politica monetaria e la redistribuzione della liquidità nell’area<br />

dell’euro sono già pienamente integrati; grazie allo sviluppo del mercato<br />

obbligazionario europeo si sono accresciute le opportunità di investimento e di<br />

finanziamento. Rimangono tuttavia ostacoli alla piena integrazione del mercato<br />

finanziario che ne riducono l’efficienza, restringono la gamma dei servizi, ne<br />

aumentano i costi.<br />

L’impegno per la realizzazione di questi obiettivi si avvale di un forte<br />

sostegno politico da parte delle autorità monetarie dei paesi dell’Unione Europea e<br />

della Commissione Europea. Importanti progressi sono stati già realizzati per<br />

razionalizzare e semplificare le procedure di regolamentazione e di supervisione dei<br />

mercati finanziari europei al fine di accrescerne l’efficienza e garantirne la stabilità.<br />

Molto lavoro resta da fare, ma molto è stato fatto. E se il 2002 è stato l’anno<br />

zero per le nuove banconote in euro, esso è stato anche un anno che ha visto progredire<br />

con decisione il processo già ben avviato di integrazione monetaria e finanziaria in<br />

Europa.<br />

14

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