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Ovidio

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Estratto distribuito da Biblet<br />

• L’epos delle forme nelle Metamorfosi<br />

2. Il genere letterario di appartenenza: l’epos delle forme nelle Metamorfosi<br />

L’epica è uno dei più importanti generi poetici del mondo classico. Il termine deriva da epos che<br />

significa parola, perché in origine era poesia recitata, cantata, il cui scopo era quello di celebrare<br />

azioni eroiche e leggendarie. Aristotele la paragona alla tragedia, in quanto esalta i gesti nobili dei<br />

personaggi, ma ne sottolinea la diversità, perché l’epica a differenza della tragedia, era caratterizzata<br />

da un unico metro, l’esametro, il verso eroico tipico del genere e perché non esistevano limiti<br />

temporali nella narrazione.<br />

I modelli archetipici di epica, quelli a cui tutti gli autori successivi si rifaranno per adeguarvisi o per<br />

rovesciarli, sono, come è noto, i poemi omerici, l’Iliade e l’Odissea, composti tra il IX e il VII secolo<br />

a.C. attribuiti alla figura leggendaria di Omero il poeta cieco, ma composti forse da aedi ionici per<br />

la recitazione e la trasmissione orale.<br />

Non è un caso che la letteratura latina inizi appunto con la famosa traduzione dell’Odissea<br />

compiuta da Livio Andronico, ora andata perduta, ma studiata nelle scuole romane fino all’età<br />

augustea, secondo la testimonianza di Orazio. Livio Andronico usò come verso il saturnio, allo stesso<br />

modo di Nevio nel primo poema epico latino il Bellum Poenicum. Sarà Ennio, con l’introduzione<br />

dell’esametro nel suo poema degli Annales, a far conoscere il modello omerico agli scrittori romani.<br />

Lucrezio e Virgilio, coll’epos della Natura il primo e con l’epos di Roma il secondo, daranno un<br />

carattere nuovo all’epica, fino ad <strong>Ovidio</strong> delle Metamorfosi e Lucano del Bellum civile o Pharsalia,<br />

che muteranno in modo significativo il genere, l’epos delle forme l’uno, l’epos dell’eroe sconfitto,<br />

nella decadenza di Roma, senza dei e senza gloria, l’altro.<br />

La poesia epica tradizionale si presenta come un lungo racconto di gesta in cui il protagonista,<br />

attraverso le avventure e i rischi affrontati, perviene alla consacrazione del suo ruolo “eroico”.<br />

Perché allora definire epos delle forme il poema delle Metamorfosi di <strong>Ovidio</strong>? Anche qui ci sono<br />

lunghe narrazioni di avventure e di mitiche imprese, ma protagonisti non ne sono tanto le innumerevoli<br />

figure che le compiono, bensì è la natura ambigua e sfaccettata nella quale esse vengono<br />

tramutate a dominare su tutte le vicende. È la “metamorfosi” da uomo a pianta, da uomo ad<br />

animale, da uomo ad elemento naturale, acqua, roccia, a costituire il filo unificante delle storie.<br />

Sono le “forme” mutate da quelle umane a quelle naturali, le infinite immagini nelle quali si<br />

stempera la tragedia dei protagonisti o si risolve il dramma del singolo, a costituire il tessuto epico.<br />

Epico, perciò, è il trionfo della natura sulle povere vicende dell’umanità, epica è la memoria eterna<br />

che resta della creatura, quando si tramuta e perde se stessa, per diventare parte di un universo nel<br />

quale ogni aspetto, dal più umile al più solenne, dal ragno alle stelle, dall’upupa all’alloro, dal fiore<br />

del narciso alla rupe si fa “segno”. C’è qualcosa di eroico e di drammatico al tempo stesso,<br />

nonostante la levità elegante della narrazione, in questo incalzante mutamento degli esseri umani,<br />

per i quali il morire è solo un cambiamento di “forma”. Rinunciando alla propria condizione di essere<br />

pensante per perdersi nella forma acquisita attraverso la metamorfosi, l’uomo risolve il proprio<br />

dramma di vita, la propria pena esistenziale, espia anche le proprie colpe, ma perde per sempre quel<br />

connotato grande e nobile che è soffrire e gioire, cadere e rialzarsi, lottare ed essere sconfitto, con<br />

le sue sole forze e la sua volontà. Fissato per sempre nell’immobilità della forma acquisita, egli sa<br />

di diventare eterno, ma di non essere più uomo. Allora il lungo poema che nasce con intento<br />

eziologico (spiegare l’origine degli aspetti naturali) rivela una matrice più profonda: è il rifiuto di<br />

credere che la morte estingua in polvere la creatura vivente e ne cancelli per sempre il segno. In<br />

ogni aspetto della natura, invece, noi possiamo percepire qualcosa di umano e calarci in esso,<br />

accettando con malinconica serenità che le “forme” vinceranno sull’uomo e sul tempo.<br />

Estratto della pubblicazione<br />

<strong>Ovidio</strong>: Metamorfosi e trattatistica amorosa<br />

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