Nicolò Franco e il plagio del Tempio d'amore - Italianistica e ...
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ALESSANDRO CAPATA<br />
<strong>Nicolò</strong> <strong>Franco</strong> e <strong>il</strong> <strong>plagio</strong> <strong>del</strong> <strong>Tempio</strong> d’amore<br />
Il caso <strong>del</strong> <strong>Tempio</strong> d’Amore di <strong>Nicolò</strong> <strong>Franco</strong> costituisce uno dei plagi più<br />
evidenti e sfrontati che mai siano stati compiuti nella nostra storia letteraria.<br />
L’annuncio <strong>del</strong>lo smascheramento viene dato da Carlo Simiani nel 1900 con un<br />
articolo pubblicato sulla «Rassegna critica <strong>del</strong>la letteratura italiana», nel quale<br />
lo studioso certifica in modo inequivocab<strong>il</strong>e la pressoché totale dipendenza <strong>del</strong><br />
<strong>Tempio</strong> d’Amore di <strong>Nicolò</strong> <strong>Franco</strong> dal poemetto di Jacopo Campan<strong>il</strong>e intitolato<br />
Opera nuova nomata vero tempio de Amore. 1 L’esistenza di quest’ultima opera<br />
era stata annunciata da Benedetto Croce sei anni prima, nel 1894. 2 A distanza di<br />
quasi cento anni possiamo riaccostarci a questo testo, per la verità assai trascurato,<br />
con <strong>il</strong> supporto di avanzati studi storico-biografici su <strong>Franco</strong> e in genere<br />
sull’ambiente letterario-editoriale veneziano. 3 Il caso è <strong>il</strong> seguente: negli anni<br />
1 L’articolo di SIMIANI (Un <strong>plagio</strong> di <strong>Nicolò</strong> <strong>Franco</strong> in «Rassegna critica <strong>del</strong>la letteratura<br />
italiana», V, 1900, pp. 19-26) offre una descrizione comparata dei testi di Campan<strong>il</strong>e e di<br />
<strong>Franco</strong> che evidenzia in modo indubitab<strong>il</strong>e l’appropriazione plagiaria di quest’ultimo nei confronti<br />
di Campan<strong>il</strong>e. A parte alcuni dati storico-biografici e f<strong>il</strong>ologici largamente superati,<br />
colpisce la preoccupazione “morale” di Simiani nel denunciare questo caso di <strong>plagio</strong>, considerato<br />
un errore “comprensib<strong>il</strong>e”, e quindi perdonab<strong>il</strong>e, <strong>del</strong> giovane poeta in cerca di successo.<br />
2 Si veda l’introduzione all’opuscolo Lodi poetiche di dame napoletane <strong>del</strong> secolo decimosesto<br />
dall’“Amor prigioniero” di Mario di Leo, a cura di Benedetto Croce e Giuseppe Ceci,<br />
Napoli, s. e., 1894, pp. XXV-XXIX poi confluita (con <strong>il</strong> recepimento <strong>del</strong>la scoperta plagiaria<br />
di Simiani ed ulteriori modifiche) in B. CROCE, Aneddoti di varia letteratura, I, Bari,<br />
Laterza, 1942, pp. 257-265. Croce parla <strong>del</strong>l’esistenza <strong>del</strong> poemetto di Campan<strong>il</strong>e in forma<br />
manoscritta.<br />
3 Segnaliamo in particolare i libri di PAUL F. GRENDLER, Critics of the italian world<br />
(1530-1560), Anton Francesco Doni, <strong>Nicolò</strong> <strong>Franco</strong> & Ortensio Lando, Madison, M<strong>il</strong>waukee<br />
and London, The University of Wisconsin Press, 1969 e di CLAUDIA DI FILIPPO BAREGGI, Il<br />
mestiere di scrivere. Lavoro intellettuale e mercato libraio a Venezia nel Cinquecento, Roma,<br />
Bulzoni, 1988.<br />
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Alessandro Capata<br />
napoletani di noviziato letterario, tra <strong>il</strong> 1531 e <strong>il</strong> 1536, <strong>il</strong> giovanissimo <strong>Nicolò</strong> 4<br />
risulta introdotto dal fratello Vincenzo, latinista e suo precettore, nell’ambiente<br />
letterario aragonese nel periodo <strong>del</strong>la cosiddetta “seconda scuola” pontaniana<br />
guidata da Scipione Capece. 5 <strong>Nicolò</strong> conosce Luigi Tans<strong>il</strong>lo 6 e comincia a coltivare<br />
amicizie importanti, ass<strong>il</strong>lato dal problema di procurarsi una onorevole collocazione.<br />
Prende avvio in questi anni una specie di “ansia da sistemazione” che<br />
non abbandonerà più <strong>Nicolò</strong>, se non durante la breve, ancorché fondamentale,<br />
convivenza con l’Aretino. Su consiglio di Benedetto Agnello, nob<strong>il</strong>e mantovano<br />
ambasciatore a Venezia, cerca di trovare fortuna migliore a Roma, dove si reca<br />
per breve tempo nell’autunno <strong>del</strong> ’31, ricavandone solo <strong>del</strong>usione. 7 Anche l’idea<br />
di trasferirsi ad Urbino, per la quale si era pure adoperato, viene presto accantonata.<br />
8 Dà alle stampe nel ’35 la sua prima opera, la Hisabella, 9 raccolta di cento<br />
epigrammi latini che dedica ad Isabella di Capua, moglie di Ferrante Gonzaga.<br />
Non ottiene <strong>il</strong> successo sperato. È in questo quadro biografico, tra desiderio di<br />
imporsi e continue frustrazioni, che <strong>Nicolò</strong> <strong>Franco</strong> entra in contatto con <strong>il</strong> poemetto<br />
laudativo in ottava rima di Jacopo Campan<strong>il</strong>e scritto in onore <strong>del</strong>le dame<br />
napoletane. Di questo poeta napoletano, detto <strong>il</strong> Capanio, vissuto nel XVI secolo,<br />
non possediamo quasi nessuna notizia; 10 siamo certi <strong>del</strong>la paternità <strong>del</strong>l’O-<br />
4 <strong>Franco</strong> era nato a Benevento <strong>il</strong> 13 settembre 1515. Cfr. GRENDLER, op. cit., p. 38. La<br />
data di nascita di <strong>Nicolò</strong> <strong>Franco</strong> è stata oggetto di numerose dispute: vedi CARLO SIMIANI,<br />
<strong>Nicolò</strong> <strong>Franco</strong>. La vita e le opere, Torino-Roma, L.Roux e C., 1894; ENRICO SICARDI, L’anno<br />
di nascita di <strong>Nicolò</strong> <strong>Franco</strong>, in «Giornale storico <strong>del</strong>la letteratura italiana», 24, 1894, pp. 399-<br />
404; ID., Ancora <strong>del</strong>l’anno di nascita di <strong>Nicolò</strong> <strong>Franco</strong>, ivi, 25, 1895, pp. 170-172; GIUSEPPE<br />
DI MICHELE, <strong>Nicolò</strong> <strong>Franco</strong>. Biografia con documenti inediti, in «Studi di letteratura italiana»,<br />
XI, 1915, pp. 61-154.<br />
5 Sull’esordio napoletano di <strong>Franco</strong> cfr. DI FILIPPO BAREGGI, cit., p. 15.<br />
6 Cfr. GRENDLER, cit., pp. 38-39.<br />
7 Cfr. DI FILIPPO BAREGGI, cit., pp. 15-16.<br />
8 Dei tentativi di trasferirsi ad Urbino, alla ricerca di una “sistemazione”, sono testimonianza<br />
tra l’altro la lunga lettera inviata dal <strong>Franco</strong> al Duca d’Urbino, scritta da Roma <strong>il</strong> 10<br />
novembre 1531, e le ben sei missive destinate alla Duchessa d’Urbino, tutte inviate da Roma<br />
nell’ottobre <strong>del</strong> ’31. (N. FRANCO, Le pistole vulgari, Venezia, Gardane, 1542; cfr. la ristampa<br />
anastatica di questa edizione, a cura di Francesca Romana De Angelis, Bologna, Forni, 1986).<br />
9 NICOLÒ FRANCO, Hisabella, Neapoli, typis Johannis Sussebachi, Germani et Matthaei<br />
Cansii brixiani, 1535.<br />
10 Cfr. la voce a lui dedicata da GIOVANNI PARENTI nel Dizionario biografico degli italiani,<br />
XVII, Roma, Istituto <strong>del</strong>l’Enciclopedia Italiana, 1974, pp. 411-412. Di un verseggiatore di<br />
nome Capanio Francesco Torraca pubblicò alcuni madrigali (in F. TORRACA, Discussioni e ricerche<br />
letterarie, Livorno, F. Vigo, 1881, pp. 122, 177) trascritti da un codice <strong>del</strong>la biblioteca<br />
reale di Monaco di Baviera. Già Croce aveva tuttavia evidenziato l’impossib<strong>il</strong>ità di conc<strong>il</strong>iare<br />
i due Capanio in un unico personaggio, viste le irriducib<strong>il</strong>i distanze cronologiche tra <strong>il</strong> poeta<br />
prefigurato dal Torraca (quattrocentesco) e l’autore plagiato da <strong>Franco</strong>, sicuramente vivo<br />
intorno al 1520 (cfr. CROCE, Aneddoti di varia letteratura, I, cit., p. 262).<br />
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<strong>Nicolò</strong> <strong>Franco</strong> e <strong>il</strong> <strong>plagio</strong> <strong>del</strong> <strong>Tempio</strong> d’amore<br />
pera nuova nomata vero tempio de Amore perché l’edizione pubblicata in Alife<br />
l’11 giugno 1536, presso la stamperia domestica <strong>del</strong> reverendo Aloisio Ac<strong>il</strong>io, è<br />
preceduta da lettere dedicatorie firmate. 11 Nel 1980 Antonio Altamura ha provveduto<br />
a pubblicare <strong>il</strong> testo alifano senza, però, validi controlli. 12 Del poemetto<br />
in stato di abbozzo conosciamo <strong>il</strong> manoscritto XIII G 42 <strong>del</strong>la Biblioteca Nazionale<br />
di Napoli, cartaceo dei secoli XV-XVI, di mm. 230x173, di carte 292, mi-<br />
11 Il primo a parlare <strong>del</strong>l’esistenza di questo libro a stampa fu SALVATORE BONGI (in<br />
«Archivio storico italiano», s.V, XV, 1895, pp. 83-85), secondo <strong>il</strong> quale l’unico esemplare<br />
esistente in Italia sarebbe quello conservato nella Biblioteca Statale di Lucca. Il volumetto<br />
risulta effettivamente presente solo a Lucca (cfr. Le edizioni italiane <strong>del</strong> XVI secolo.<br />
Censimento nazionale, III, Roma, Istituto centrale per <strong>il</strong> catalogo unico <strong>del</strong>le biblioteche italiane<br />
e per le informazioni bibliografiche, 1993, p. 62, num. 788) e alla British Library di<br />
Londra (cfr. The British Library. General catalogue of printed books to 1975, n. 53, Clive<br />
Bingley London, K. G. Saur London-Munchen-New York-Paris, 1980, p. 154). Ho constatato,<br />
osservando l’esemplare di Lucca, che esso è costituito da venti carte non numerate, con la<br />
segnatura dei duerni A-E, in ottavo piccolo, caratteri corsivi, di dimensioni 14 x 9. Nel frontespizio,<br />
sotto <strong>il</strong> titolo a caratteri maiuscoli OPERA NUOVA NOMATA VE- RO TEMPIO<br />
DE AMORE, compare una figura che ritrae un tempio circolare circondato da vegetazione,<br />
ripreso dal retro, occupante la metà destra <strong>del</strong>l’immagine; sullo sfondo campeggiano case<br />
sparse e collinette. Seguono tre epistole senza data: una <strong>del</strong>l’editore Ac<strong>il</strong>io alla contessa di<br />
Alife Cornelia Piccolomini, una <strong>del</strong> Capanio ad Altobello d’Ischia, e un’altra, sempre <strong>del</strong><br />
Capanio, alla duchessa di Francav<strong>il</strong>la. Il colophon recita: Impressa in la città de Allife per <strong>il</strong><br />
Reveren- / do don Aloisio ac<strong>il</strong>io Primicerio de ditta / Città <strong>il</strong> dì 11. di Iunio nel anno de la /<br />
Incarnatione <strong>del</strong> Salvatore / MDXXXVI. Devo segnalare, inoltre, la presenza di una nota a<br />
penna, firmata dal bibliotecario lucchese Boselli, situata al termine <strong>del</strong>la lettera di Aloisio<br />
Ac<strong>il</strong>io (c. 1v ) nella quale si legge: È questo <strong>il</strong> I libro stampato in Allife. La nota risalirebbe ai<br />
primissimi <strong>del</strong> Novecento, al periodo cioè in cui era in servizio <strong>il</strong> Boselli presso l’allora<br />
Biblioteca Governativa di Lucca. Non abbiamo tuttavia notizia di opere pubblicate in Alife<br />
successivamente al poemetto <strong>del</strong> Capanio. Cfr. Lexicon Typographicum Italiae. Dictionnaire<br />
géographique d’Italie pour servir à l’histoire de l’impremerie dans ce pays, par GIUSEPPE<br />
FUMAGALLI, Firenze, Olschki, 1905, p. 7. Per quanto riguarda l’esistenza in vita <strong>del</strong> Capanio<br />
al momento <strong>del</strong>la pubblicazione alifana, non siamo in grado di pronunciarci. Segnaliamo tuttavia<br />
l’ipotesi avanzata da RINALDO RINALDI (in Storia <strong>del</strong>la civ<strong>il</strong>tà letteraria italiana, II, 2,<br />
Torino, UTET, 1993, p. 1427) secondo la quale l’Opera nuova nomata vero tempio de Amore<br />
sarebbe stata pubblicata postuma.<br />
12 Il testo <strong>del</strong> Capanio (ANTONIO ALTAMURA, Il “<strong>Tempio</strong> d’Amore”: storia di un <strong>plagio</strong>,<br />
Napoli, Società editrice napoletana, 1980) è preceduto da una breve premessa ed è accompagnato<br />
da due ordini di note che segnalano <strong>il</strong> primo le varianti <strong>del</strong>l’abbozzo manoscritto e <strong>il</strong><br />
secondo le varianti <strong>del</strong> <strong>Tempio</strong> d’Amore di <strong>Nicolò</strong> <strong>Franco</strong>, edizione Marcolini. Altamura non<br />
ci dice con precisione da quale esemplare ha scelto <strong>il</strong> testo <strong>del</strong> Capanio, che è pubblicato tra<br />
l’altro in modo non propriamente corretto (vi abbondano refusi ed errori di stampa). Anche la<br />
piccola parte introduttiva non è <strong>del</strong> tutto affidab<strong>il</strong>e: ad esempio, nel comparare i testi <strong>del</strong><br />
Capanio e <strong>del</strong> <strong>Franco</strong>, Altamura sostiene la completa identità <strong>del</strong>le stanze I-XIII <strong>del</strong>le due<br />
operette (p. 8), ignorando l’eliminazione <strong>del</strong>l’ottava VII <strong>del</strong> Capanio da parte <strong>del</strong> plagiario.<br />
221
Alessandro Capata<br />
scellaneo, r<strong>il</strong>egato in pergamena e intitolato: Raccolta / di / Poesie diverse. 13<br />
Risulta ormai accertato che <strong>il</strong> manoscritto precede di almeno quindici anni l’edizione<br />
alifana <strong>del</strong> 1536: lo dimostrano chiaramente alcuni nomi di dame celebrate<br />
nell’abbozzo manoscritto, sostituiti successivamente nella stampa da nomi di<br />
donne ancora in vita o divenute famose negli anni seguenti. Campan<strong>il</strong>e inizia a<br />
lavorare al poemetto intorno agli anni ’20-’21: la prima dama celebrata è infatti<br />
Isabella de Requesens, moglie <strong>del</strong> viceré di Napoli Raimondo di Cardona,<br />
morto <strong>il</strong> 10 marzo 1522. 14<br />
Quindi: <strong>il</strong> testo di Campan<strong>il</strong>e circolava manoscritto durante l’intero periodo di<br />
permanenza napoletana di <strong>Nicolò</strong> <strong>Franco</strong> e, coincidenza particolare, veniva pubblicato<br />
nel giugno <strong>del</strong> ’36 ad Alife, nello stesso mese in cui <strong>Nicolò</strong> lasciava Napoli<br />
alla volta di Venezia, dove avrebbe pubblicato, dopo sette-otto settimane, <strong>il</strong> <strong>plagio</strong><br />
<strong>del</strong> <strong>Tempio</strong> d’Amore presso l’editore Marcolini. 15 Fece in tempo <strong>il</strong> <strong>Franco</strong> a vedere<br />
la stampa <strong>del</strong> poemetto <strong>del</strong> Capanio o, come sembra più probab<strong>il</strong>e, si procurò uno<br />
dei manoscritti in circolazione, magari <strong>il</strong> più recente, e se lo portò dietro a<br />
Venezia? 16 Non possiamo stab<strong>il</strong>ire esattamente da quale testo sia partito <strong>Nicolò</strong><br />
<strong>Franco</strong> anche se, da un’analisi comparata tra <strong>il</strong> manoscritto e la stampa, c’è una<br />
evidente vicinanza <strong>del</strong> <strong>Franco</strong> all’edizione alifana piuttosto che al manoscritto di<br />
Napoli, soprattutto a livello strutturale. In ogni caso <strong>il</strong> <strong>plagio</strong> <strong>del</strong> <strong>Franco</strong> è talmente<br />
esteso e sconcertante rispetto all’edizione di Alife che appare innegab<strong>il</strong>e <strong>il</strong><br />
pieno “controllo” di <strong>Nicolò</strong> sul testo definitivo o quasi definitivo <strong>del</strong> Campan<strong>il</strong>e.<br />
L’Opera nuova nomata vero tempio de Amore è in 61 ottave, preceduta da tre<br />
lettere: una <strong>del</strong>l’editore Ac<strong>il</strong>io alla contessa di Alife, Cornelia Piccolomini, e due<br />
<strong>del</strong> Capanio rispettivamente a Messer Altobello d’Ischia e alla Duchessa di<br />
Francav<strong>il</strong>la. Il <strong>Tempio</strong> d’Amore <strong>del</strong> <strong>Franco</strong> si articola, invece, in 66 ottave ed è<br />
13 Le stanze <strong>del</strong> Capanio vanno da c. 231 r a c. 241 v.<br />
14 Cfr. BENEDETTO CROCE, Aneddoti di varia letteratura, I, cit., p. 263.<br />
15 Il poemetto dal titolo TEMPIO D’AMORE / DI M. NICOLO’ FRANCO risulta stampato<br />
In Vinegia per Francesco Marcolini da Forlì, Nel / MDXXXVI. <strong>del</strong> mese di Agosto; si<br />
compone di 19 carte non numerate, in duerni A-Eij, in quarto, carattere corsivo, di dimensioni<br />
19x13. Nell’esemplare <strong>del</strong>la Biblioteca Nazionale di Roma <strong>il</strong> poemetto è seguito da: Canzon<br />
di M. Quinto / Gherardo.; Canzon di M. Nicolo / <strong>Franco</strong>, a M. Quinto / Gherardo.; Canzon di<br />
M. Nicolo / <strong>Franco</strong>, in lode et / gloria <strong>del</strong> glorioso / spettacolo di bel- / lezza, Madonna /<br />
Giulia Rizzo.; Di M. Nicolo <strong>Franco</strong>, / alla detta madonna / Giulia Rizzo. Sappiamo <strong>del</strong>l’esistenza<br />
di un’altra edizione <strong>del</strong> <strong>Tempio</strong> d’Amore, priva di indicazioni tipografiche, quasi certamente<br />
copia clandestina <strong>del</strong>l’edizione marcoliniana, posseduta dalla Biblioteca Marciana di<br />
Venezia. Cfr. Biblia. Biblioteca <strong>del</strong> libro italiano antico, diretta da Amedeo Quondam, La<br />
Biblioteca volgare, I, Libri di poesia, a cura di ITALO PANTANI, M<strong>il</strong>ano, Editrice Bibliografica,<br />
1996, p. 130, num. 2068.<br />
16 L’idea che <strong>il</strong> <strong>Franco</strong> abbia effettuato <strong>il</strong> <strong>plagio</strong> partendo da un manoscritto <strong>del</strong> Capanio<br />
è la più accreditata e verosim<strong>il</strong>e. Solo BENEDETTO CROCE (in Aneddoti di varia letteratura, I,<br />
cit., p. 263) ipotizza un prelievo plagiario direttamente dalla stampa alifana.<br />
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<strong>Nicolò</strong> <strong>Franco</strong> e <strong>il</strong> <strong>plagio</strong> <strong>del</strong> <strong>Tempio</strong> d’amore<br />
preceduto da una sola, breve, dedica all’«eccellente signora» Argentina Rangone.<br />
17 L’operazione <strong>del</strong> <strong>Franco</strong> consiste nel riconvertire le dediche alle dame<br />
napoletane <strong>del</strong> Capanio in omaggi galanti e cortigiani alle nob<strong>il</strong>donne veneziane.<br />
L’amore descritto nelle due operette è di tipo platonico e cortese, orientato verso<br />
“finzioni allegoriche”. La struttura praticamente identica dei due poemetti prevede<br />
una prima parte in cui Cupido supplica Giove di ottenere un tempio dedicato<br />
a sé, in modo da dare conforto agli innamorati (le «anime afflitte»), quindi presenta<br />
<strong>il</strong> ritratto <strong>del</strong>le trenta colonne che sorreggono <strong>il</strong> tempio, rappresentate da<br />
altrettante nob<strong>il</strong>donne (napoletane nel caso <strong>del</strong> Capanio e veneziane nel caso <strong>del</strong><br />
<strong>Franco</strong>) e infine offre la descrizione <strong>del</strong>le mura, <strong>del</strong> tetto, degli altari, <strong>del</strong>le porte,<br />
<strong>del</strong>la sacrestia, <strong>del</strong>l’organo e di tutti gli altri oggetti presenti nel tempio.<br />
Il Capanio dedica 13 ottave alla supplica di Cupido, 30+1 alle lodi <strong>del</strong>le<br />
dame napoletane e 17 alle parti <strong>del</strong> tempio; <strong>Nicolò</strong> <strong>Franco</strong> 12 ottave alla supplica<br />
di Cupido, 30+1 alle lodi veneziane e 23 alle parti <strong>del</strong> tempio. La simmetria<br />
strutturale è quasi totale. Il leggero squ<strong>il</strong>ibrio nella zona finale <strong>del</strong> <strong>Tempio</strong> <strong>del</strong><br />
<strong>Franco</strong> è dovuto all’innesto originale di sei ottave nella descrizione <strong>del</strong>l’edificio,<br />
rispettivamente dedicate una alle Finestre, una alla Lampa, una alle Sepolture e<br />
tre ai Miracoli. La contrazione di un’ottava nella prima parte deriva dalla rinuncia<br />
<strong>del</strong> <strong>Franco</strong> ad inserire una stanza <strong>del</strong> Capanio (la VII), forse ritenuta superflua.<br />
Non si può tuttavia escludere che <strong>il</strong> testo a disposizione <strong>del</strong> <strong>Franco</strong> fosse<br />
privo di questa ottava. Il corpo centrale <strong>del</strong> poemetto <strong>del</strong> <strong>Franco</strong> prevede lo stesso<br />
numero di ottave rispetto a quelle <strong>del</strong> Capanio e registriamo una totale o<br />
quasi totale identità qualitativa in 26 <strong>del</strong>le 31 stanze. In cinque casi <strong>Franco</strong> ha,<br />
infatti, inserito ottave originali (sono le numero XX, XXII, XXIII, XXVIII,<br />
XLI). Inoltre: mentre le dodici ottave iniziali sono riprodotte dal <strong>Franco</strong> nello<br />
stesso ordine di quelle <strong>del</strong> poemetto <strong>del</strong> Capanio, al centro <strong>del</strong>l’opera ravvisiamo<br />
continue inversioni nell’ordine che danno luogo a vere e proprie acrobazie<br />
combinatorie: quasi nessuna <strong>del</strong>le 30 ottave laudative <strong>del</strong> <strong>Franco</strong> presenta lo<br />
stesso numero d’ordine seguito dal Capanio.<br />
Le cifre <strong>del</strong> macroscopico <strong>plagio</strong> sono infine così riassumib<strong>il</strong>i: <strong>del</strong>le 66 ottave<br />
<strong>del</strong> <strong>Tempio</strong> d’Amore 11 risultano originali (almeno rispetto al Capanio, ma<br />
non si escludono contaminazioni da altri autori come Vittoria Colonna) 18 e ben<br />
55 appaiono frutto di <strong>plagio</strong>. All’interno di queste 55 ottave, 28 risultano totalmente<br />
uguali, 23 presentano piccole correzioni o adattamenti di rima dovuti al<br />
cambio <strong>del</strong>le nob<strong>il</strong>donne lodate, e solo 4 appaiono frutto di contaminazioni<br />
17 Moglie <strong>del</strong> conte Guido Rangone, amico o conoscente <strong>del</strong> <strong>Franco</strong>.<br />
18 Cfr. SALVATORE BONGI in Annali di Gabriel Giolito de’ Ferrari, I, Roma, Presso i principali<br />
librai, 1890, p. 21, ripreso da SEBASTIANO MARTELLI, <strong>Nicolò</strong> <strong>Franco</strong>: intellettuali, letteratura<br />
e società, in Interrogativi <strong>del</strong>l’umanesimo, II, a cura di Giovannangela Tarugi, Firenze,<br />
Olschki, 1976, p. 169.<br />
223
Alessandro Capata<br />
miste o parziali. L’84% <strong>del</strong>le ottave <strong>del</strong> <strong>Franco</strong> deriva direttamente da Jacopo<br />
Campan<strong>il</strong>e. L’autore beneventano, che compie <strong>il</strong> misfatto a 21 anni, si mostra<br />
sollecito, tuttavia, nel correggere i dialettismi <strong>del</strong> Capanio, che pure è autore<br />
attento alla lezione <strong>del</strong> Sannazaro e ormai estraneo al polimorfismo <strong>del</strong>la lingua<br />
poetica napoletana <strong>del</strong> Quattrocento. 19 <strong>Franco</strong> elimina soprattutto i casi di metafonesi<br />
(da «miraculi» a «miracoli», da «tituli» a «titoli») e gli usi di jod iniziale<br />
(da «Iunone» a «Giunone»).<br />
Riportiamo di seguito alcuni raffronti esemplificativi tra l’Opera nuova nomata<br />
vero tempio de Amore e <strong>il</strong> <strong>Tempio</strong> d’Amore, in base alle tre tipologie di<br />
<strong>plagio</strong> riscontrate:<br />
A) Plagio totale: 20<br />
CAMPANILE<br />
Stanza IV<br />
Te in Creta, Apollo in Delo, e Bacco in Tebbe,<br />
Iunone in Samo, ognun in qualche parte<br />
frequent’ al tempio suo l’ornata plebbe;<br />
m<strong>il</strong>l’altar ha Nettunno e m<strong>il</strong>le Marte,<br />
onde ormai giust’ e gran ragion sarebbe<br />
donarmi un loco ove l’insegne sparte<br />
recoglier possa e por tante mie palme,<br />
corpi, cori, intelletti, spirti ed alme. 21<br />
Stanza V<br />
Queste smarrite van per l’universo,<br />
e quante per no’ aver tempio né loco<br />
vittime e sacrifici al mondo ho perso?<br />
E quante volte è quasi spent’ <strong>il</strong> foco<br />
che per andar cossì diviso e sperso<br />
ho visto venir manco appoco appoco,<br />
e quanti, non sapendo ov’io me sia,<br />
tornati a dietro son da meza via? 23<br />
224<br />
FRANCO<br />
Stanza IV<br />
Te in Creta, Apollo in Delo et Bacco in Tebe,<br />
Giunone in Samo, ogniuno in qualche parte<br />
frequenta al tempio suo l’ornata plebe,<br />
m<strong>il</strong>l’altari ha Nettuno, e m<strong>il</strong>le Marte<br />
onde ormai giusto e gran ragion sarebbe<br />
donarmi un loco, ove l’insegne sparte<br />
raccoglier possa, e por tante mie palme,<br />
corpi, cori, intelletti, spirti e alme. 22<br />
Stanza V<br />
Queste smarrite van per l’universo,<br />
et quanti per non aver tempio né loco<br />
vittime e sacrificii al Mondo ho perso?<br />
Et quante volte è quasi spento <strong>il</strong> foco<br />
che per andar così diviso e sperso<br />
l’ho visto venir manco a poco a poco<br />
Et quanti, non sapendo ove io mi sia<br />
tornati a dietro son da mezza via? 24<br />
19 Per i caratteri <strong>del</strong> petrarchismo napoletano cfr. ELISABETTA SOLETTI, Dal Petrarca al<br />
Seicento, in Storia <strong>del</strong>la lingua italiana, I, I luoghi <strong>del</strong>la codificazione, Torino, Einaudi, 1993,<br />
pp. 634-636 (par. 2.3).<br />
20 Riproduciamo, per questa e per le tipologie successive, i testi <strong>del</strong> Capanio e <strong>del</strong> <strong>Franco</strong><br />
con minimi ed opportuni ammodernamenti grafici. La numerazione <strong>del</strong>le stanze è assente<br />
nelle cinquecentine ed è da noi introdotta per praticità. Si prendono in considerazione per <strong>il</strong><br />
Capanio l’esemplare lucchese e per <strong>il</strong> <strong>Franco</strong> l’esemplare <strong>del</strong>la Nazionale di Roma.<br />
21 op. cit., c. 5 v.<br />
22 op. cit., c. 2 v.<br />
23 op. cit., c. 6 r.<br />
24 op. cit., c. 2 v.
In questi casi la sovrapposizione è totale, lessicale e sintattica, eccezion fatta<br />
per le correzioni <strong>del</strong> <strong>Franco</strong> ai dialettismi <strong>del</strong> Capanio e l’introduzione <strong>del</strong> pronome<br />
lo al v.6 <strong>del</strong>la stanza V da parte <strong>del</strong> plagiario.<br />
B) Plagio quasi totale con adattamenti:<br />
CAMPANILE<br />
Stanza XXXII<br />
La S.Contessa de Terranova<br />
Lucrezia Carrafa, alma pudica,<br />
ritoglie Amor e tiensi eccelso e grande,<br />
parendo ben locata ogni fatica<br />
per le bellezze sue nove e mirande,<br />
tanto che tra se stesso ei par che dica<br />
quanta dolcezza <strong>il</strong> suo bel viso spande.<br />
or chi potrà aguagliarse al mio lavoro,<br />
avendo al regno mio sì bel tesoro? 25<br />
Stanza XXXVII<br />
La S. Cornelia Marramalda<br />
Cornelia Marramalda, <strong>il</strong> cui bel lume<br />
coninunse Amor quando lei prender volse,<br />
ond’ei tornando al suo antico costume<br />
la benda ai soi begli occhi alquanto involse.<br />
Cossì soffrendo <strong>il</strong> chiar splendor e ’l lume<br />
per soa ferma colonna al fin ritolse<br />
e disse tra se stesso: ormai me lice<br />
dir ch’ho nel tempio mio l’alma fenice. 27<br />
FRANCO<br />
Stanza XIX<br />
La Ma. Marietta Marcello<br />
Marietta Marcello, alma pudica,<br />
ritoglie amore, e tiensi eccelso e grande<br />
parendo ben locata ogni fatica<br />
per le bellezze sue nove e mirande,<br />
tanto che fra se stesso ei par che dica:<br />
per la dolcezza ch’<strong>il</strong> bel viso spande,<br />
or chi potrà agguagliarsi al mio lavoro<br />
avendo al regno mio sì bel tesoro? 26<br />
Stanza XXXVIII<br />
La Mag. Marietta Priuli<br />
Marietta Priuli, <strong>il</strong> cui bel lume,<br />
abbarbagliava Amor, quando a se volse,<br />
ond’ei tornando al suo antiquo costume<br />
la benda agli occhi per alquanto involse,<br />
così soffrendo <strong>il</strong> chiar splendor e ’l nume,<br />
per sua ferma colonna al fin ritolse,<br />
et disse fra se stesso: ora mi lice<br />
dir ch’ho nel <strong>Tempio</strong> mio l’alma fenice. 28<br />
In queste ottave la somiglianza è quasi totale. Notiamo la sostituzione <strong>del</strong>le<br />
dame dedicatarie: da Lucrezia Carrafa a Marietta Marcello per le stanze XXXII<br />
(Capanio) – XIX (<strong>Franco</strong>), e da Cornelia Marramalda a Marietta Priuli per le stanze<br />
XXXVII (Capanio) – XXXVIII (<strong>Franco</strong>). Inoltre, per quanto riguarda la prima coppia<br />
di stanze, segnaliamo <strong>il</strong> passaggio <strong>del</strong> verso 6 dalla forma «quanta dolcezza <strong>il</strong><br />
suo bel viso spande» a «per la dolcezza ch’ <strong>il</strong> bel viso spande» e la trasformazione<br />
<strong>del</strong> verso 2 <strong>del</strong>la stanza XXXVII <strong>del</strong> Capanio, «coniunse Amor quando lei prender<br />
volse», nel verso franchiano (stanza XXXVIII) «abbarbagliava Amor, quando a se<br />
volse». Ancora in relazione a queste due stanze osserviamo al verso 4 la trasforma-<br />
25 op. cit., c.12 v.<br />
26 op. cit., c.5 r.<br />
27 op. cit., c.14 r.<br />
28 op. cit., c.8 r.<br />
<strong>Nicolò</strong> <strong>Franco</strong> e <strong>il</strong> <strong>plagio</strong> <strong>del</strong> <strong>Tempio</strong> d’amore<br />
225
Alessandro Capata<br />
zione <strong>del</strong>la forma «la benda ai soi begli occhi alquanto involse» in «la benda agli<br />
occhi per alquanto involse». Sempre nella stessa coppia di stanze vediamo al verso<br />
5 <strong>il</strong> passaggio dall’espressione «lume» alla forma «nume» e, al verso 7, la leggera<br />
modificazione <strong>del</strong>l’avverbio «ormai» adoperato dal Capanio nella forma «ora».<br />
C) Plagio “attenuato”, contaminazione, citazione:<br />
CAMPANILE<br />
Stanza XXVII<br />
La S.Contessa de Palena<br />
L’altra Isabella, onor <strong>del</strong> secol nostro,<br />
Pignatella gent<strong>il</strong> nova Euridice,<br />
ch’oro, gemme, rubini,perle ed ostro<br />
son tutti al volto suo chiaro e felice.<br />
Scelse l’Amor nel suo beato chiostro<br />
come cosa ch ’l cor gli pre<strong>del</strong>ice.<br />
Qui sol se specchia, qui se terga e mira,<br />
e per dolcezza piange, arde e suspira. 29<br />
Stanza XXXIX<br />
La S. Violante de Sanguine<br />
Rose, gigli, ligustri, erbe e viole<br />
con un fiorito e d<strong>il</strong>ettoso apr<strong>il</strong>e<br />
ritrova Amor ne le bellezze sole<br />
<strong>il</strong> Sanguine Violante alma e gent<strong>il</strong>e;<br />
ond’ei medesmo non sa quel che vuole,<br />
tanto ha varie bellezze in vario st<strong>il</strong>e;<br />
cossì or si fonda in questa ed or in quella,<br />
né scerner sa qual sia più vaga e bella. 31<br />
Stanza XII<br />
Ivi a le falde d<strong>il</strong>ettose e chiare<br />
de Paus<strong>il</strong>ipo, ameno e lieto colle,<br />
da quella parte ove tranqu<strong>il</strong>lo <strong>il</strong> mare<br />
tiene <strong>il</strong> bel monte e le pendice molle<br />
elesse <strong>il</strong> luoco ove potess’alzare<br />
<strong>il</strong> tempio che famoso al ciel se estolle,<br />
acciò tra l’aria, <strong>il</strong> mar, la terra e <strong>il</strong> cielo<br />
oprasse <strong>il</strong> stral, la face, l’arco e ’l telo. 32<br />
226<br />
29 op. cit., c.11 v.<br />
30 op. cit., c.4 r.<br />
31 op. cit., c.14 v.<br />
32 op. cit., c.7 v.<br />
33 op. cit., c. 3 v.<br />
FRANCO<br />
Stanza XIV<br />
La Magnifica Marina Mosto<br />
Rose, gigli, ligustr, erbe, viole,<br />
oro, gemme, rubini, perle et ostro,<br />
ciel, paradiso, stelle, luna e sole,<br />
vedendo nell’onor <strong>del</strong> secol nostro<br />
Marina Mosto, Amor, la elegge e vole<br />
che sia colonna al suo beato chiostro,<br />
ove cotanto ognior si specchia e mira<br />
che per dolcezza piange, arde e sospira. 30<br />
Stanza XI<br />
Volgendo poi pian pian la vista stanca<br />
verso Adria, ove <strong>il</strong> superbo e fier leone<br />
con la guancia potente, <strong>il</strong> regno abbranca,<br />
e al mar in mezzo al mar, le leggi pone,<br />
come nel <strong>Tempio</strong> su stanza più franca<br />
tutto lieto e gioioso ivi dispone<br />
acciò tra l’aria, <strong>il</strong> mar, la terra, e <strong>il</strong> cielo<br />
oprasse <strong>il</strong> stral, la face, l’arco e ’l telo. 33
<strong>Nicolò</strong> <strong>Franco</strong> e <strong>il</strong> <strong>plagio</strong> <strong>del</strong> <strong>Tempio</strong> d’amore<br />
Il caso <strong>del</strong>la stanza XIV <strong>del</strong> <strong>Franco</strong> rappresenta un esempio di <strong>plagio</strong> non<br />
completamente passivo, ma frutto di contaminazione e, quindi, di rielaborazione.<br />
Il primo verso <strong>del</strong>la stanza XIV è preso dalla stanza XXXIX <strong>del</strong> Capanio<br />
(verso 1): «Rose, gigli, ligustri, erbe e viole»; <strong>il</strong> verso 2 <strong>del</strong>la stanza <strong>del</strong> <strong>Franco</strong><br />
riprende invece la sequenza <strong>del</strong> verso 3 <strong>del</strong>la stanza XXVII <strong>del</strong> Capanio: «oro,<br />
gemme, rubini, perle ed ostro». Il verso 8 <strong>del</strong> <strong>Franco</strong> è preso quasi totalmente<br />
dal verso 8 <strong>del</strong>la stanza XXVII <strong>del</strong> Capanio: «e per dolcezza piange, arde e<br />
suspira» appena modificato dal <strong>Franco</strong> in «che per dolcezza piange, arde e<br />
sospira». Notiamo inoltre alcuni calchi plagiari: al verso 7 <strong>del</strong>la stanza <strong>del</strong><br />
<strong>Franco</strong> la ripresa dei verbi «specchia» e «mira», tolti dal verso 7 <strong>del</strong>la stanza<br />
XXVII <strong>del</strong> Capanio; <strong>il</strong> riferimento al «beato chiostro», al verso 6 <strong>del</strong>la stanza<br />
franchiana, ripreso dal verso 5 <strong>del</strong>la stanza XXVII <strong>del</strong> Capanio.<br />
Per quanto riguarda le stanze XII (Capanio)-XI (<strong>Franco</strong>) assistiamo da parte<br />
<strong>del</strong> plagiario alla sostituzione <strong>del</strong> “luogo” dove sorge <strong>il</strong> <strong>Tempio</strong>: da Napoli a<br />
Venezia. I primi 6 versi <strong>del</strong>la stanza <strong>del</strong> <strong>Franco</strong> sono una creazione originale,<br />
mentre gli ultimi due sono tolti di peso dalla stanza XII <strong>del</strong> Capanio: «acciò tra<br />
l’aria, <strong>il</strong> mar, la terra e <strong>il</strong> cielo / oprasse <strong>il</strong> stral, la face, l’arco e ’l telo» (versi 6-8).<br />
Raccolti i dati analitici è opportuno ora soffermarsi sul senso <strong>del</strong>l’operazione<br />
<strong>Tempio</strong> d’Amore. Il furto <strong>del</strong> poemetto <strong>del</strong> Campan<strong>il</strong>e va inserito nella cornice<br />
storico-biografica che abbiamo in precedenza descritto: <strong>Nicolò</strong>, dopo gli anni<br />
napoletani <strong>del</strong>la frustrazione e <strong>del</strong>la invana ricerca <strong>del</strong> successo, abbandona la<br />
città partenopea per Venezia, dove viene accolto grazie all’amicizia <strong>del</strong> già citato<br />
Benedetto Agnello 34 , e dove ha modo di stringere immediatamente legami sia col<br />
circolo Badoer 35 che con quello <strong>del</strong>l’Aretino. Con l’aiuto di quest’ultimo entra in<br />
contatto con l’editore Francesco Marcolini, presso <strong>il</strong> quale pubblica <strong>il</strong> <strong>Tempio</strong><br />
d’Amore nel giro di alcune settimane, nell’agosto di quello stesso ’36. <strong>Nicolò</strong> ha<br />
fretta, vuole farsi conoscere, a Venezia deve sfondare; Marcolini ha iniziato da<br />
appena due anni a pubblicare, è un editore in ascesa con un progetto di tipo m<strong>il</strong>itante,<br />
attento ai contemporanei. 36 Il <strong>Tempio</strong> d’Amore si rivela tuttavia un insuccesso.<br />
37 L’esordio veneziano <strong>del</strong> <strong>Franco</strong> è in salita. Il <strong>plagio</strong> macroscopico non<br />
ha prodotto gli effetti desiderati e non perché i lettori abbiano smascherato la<br />
34 Cfr. GRENDLER, op. cit., p. 39.<br />
35 Cfr. DI FILIPPO BAREGGI, op. cit., p. 167. Su Federico Badoer si veda LINA BOLZONI, La<br />
stanza <strong>del</strong>la memoria. Mo<strong>del</strong>li letterari e iconografici nell’età <strong>del</strong>la stampa, Torino, Einaudi,<br />
1995, pp. 3-6.<br />
36 Si veda AMEDEO QUONDAM, Nel giardino di Marcolini. Un editore veneziano tra Aretino<br />
e Doni, in «Giornale storico <strong>del</strong>la letteratura italiana», CLVII, 1980, pp. 75-116.<br />
37 Cfr. GRENDLER, op. cit., p. 39 : «The book did not achieve much successo» e GIOVANNI<br />
AQUILECCHIA parla chiaramente di «mancato successo» (cfr. Pietro Aretino e altri poligrafi a<br />
227
Alessandro Capata<br />
“strana genesi” <strong>del</strong> poemetto. <strong>Franco</strong> ha cercato di trapiantare a Venezia un testo<br />
concepito per la realtà aragonese, rubato effettivamente ad un autore napoletano.<br />
L’ambiente cortigiano protagonista <strong>del</strong>le 61 ottave <strong>del</strong> Capanio non trova uditori<br />
a Venezia e d’altro canto pesano le ingenuità di <strong>Nicolò</strong>, che non ha operato un<br />
vero riadattamento <strong>del</strong> testo procuratosi, ignorando i fruitori veneziani e limitandosi<br />
ad un meccanico cambiamento di nomi e di luoghi.<br />
Non crediamo sia <strong>del</strong> tutto condivisib<strong>il</strong>e <strong>il</strong> forte legame di contiguità istituito<br />
da Claudia Di F<strong>il</strong>ippo Bareggi 38 tra <strong>il</strong> <strong>Tempio</strong> d’Amore e i testi veneziani di<br />
Girolamo Ruscelli (Le immagini <strong>del</strong> tempio alla divina Giovanna d’Aragona,<br />
Venezia, Pietrasanta,1555) e di Giuseppe Betussi (<strong>Tempio</strong> alla divina s. Giovanna<br />
d’Aragona, Firenze, Torrentino, 1556 ma subito anche Venezia, Giovanni de’<br />
Rossi, 1557) sia per la distanza ventennale che separa <strong>il</strong> testo <strong>del</strong> <strong>Franco</strong> dagli<br />
altri due, effettivamente imparentati, sia per la struttura di raccolta che caratterizza<br />
le opere <strong>del</strong> Ruscelli e <strong>del</strong> Betussi e non quella <strong>del</strong> <strong>Franco</strong>. Una vicinanza<br />
“debole”, quindi, che non autorizza ipotesi di geminazione rapida e diretta <strong>del</strong><br />
poemetto franchiano. Certamente non possiamo non constatare <strong>il</strong> valore “archetipico”<br />
che assume <strong>il</strong> <strong>Tempio</strong> d’Amore nella “moda” poetica, che si diffonde a<br />
partire dalla fine degli anni ’40, ispirata al mo<strong>del</strong>lo architettonico <strong>del</strong> tempio 39 ,<br />
tenendo ben presente tuttavia che <strong>il</strong> successo maggiore <strong>del</strong>la forma-<strong>Tempio</strong><br />
nella letteratura italiana <strong>del</strong> secondo Cinquecento si deve piuttosto al mo<strong>del</strong>lo<br />
<strong>del</strong> Ruscelli che non all’esperimento giovan<strong>il</strong>e <strong>del</strong> <strong>Franco</strong>. 40<br />
Venezia, in Storia <strong>del</strong>la cultura veneta, II, 2, Vicenza, Neri Pozza, 1980, p. 92). Il <strong>Tempio</strong> non<br />
ebbe nessuna riedizione (fatta salva la copia clandestina di cui parliamo alla nota 15) e fu<br />
seguìto da tre anni di completo s<strong>il</strong>enzio, interrotto nel 1539 dalla triplice uscita <strong>del</strong>le Pistole<br />
vulgari, <strong>del</strong> Petrarchista e dei Dialoghi piacevoli.<br />
38 Cfr. op. cit., p. 188, nota 158 che rinvia alle pp. 175-176 dove si legge: «E in un’epoca<br />
nella quale <strong>il</strong> confine incerto tra opera originale, centone e <strong>plagio</strong> rendeva frequente l’appropriazione<br />
di parole e anche di pensieri altrui, ci furono momenti di tensione non lieve fra i<br />
nostri collaboratori editoriali. Sovente si limitarono a rincorrere gli stessi argomenti, evidentemente<br />
molto graditi al loro pubblico: così si spiega <strong>il</strong> fatto di trovare spesso gli stessi autori<br />
e finanche gli stessi titoli a pochissimi anni di distanza».<br />
39 Si veda LINA BOLZONI, op. cit., pp. 198-203; in particolare alla p. 202: «Si riuniscono<br />
versi e poesie nei luoghi <strong>del</strong> libro come se si costruisse un tempio ornato di statue, di pitture, di<br />
immagini esemplari e memorab<strong>il</strong>i; <strong>il</strong> mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong> tempio, poi, osc<strong>il</strong>la tra quello <strong>del</strong>la chiesa e<br />
quello <strong>del</strong> tempio pagano, <strong>del</strong>la struttura che celebra <strong>il</strong> trionfo, <strong>del</strong> trofeo dove si appendono le<br />
spoglie e si sciolgono i voti». Cfr. inoltre ROSANNA PETTINELLI ALHAIQUE, Un tempio/una città:<br />
Venezia in un poema cavalleresco alla metà <strong>del</strong> Cinquecento, in «La rassegna <strong>del</strong>la letteratura<br />
italiana», XCV, 1991, 1-2, pp. 60-78, dove la studiosa ricostruisce gli antecedenti <strong>del</strong>la forma-<br />
<strong>Tempio</strong>, introdotta da Vincenzo Brusantino nel contesto cavalleresco (attraverso l’Angelica<br />
innamorata, Venezia, Marcolini, 1550), risalendo anche al <strong>Tempio</strong> d’Amore di <strong>Nicolò</strong> <strong>Franco</strong>.<br />
40 Cfr. RINALDO RINALDI, op. cit., II, 2, pp. 1833-1834 : «Il mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong> <strong>Tempio</strong> ruscelliano<br />
agisce comunque in modi vistosi e continuati lungo <strong>il</strong> Cinquecento, indipendentemente<br />
dalla tradizionale antologia funebre; ispirando numerose raccolte in onore di personaggi fem-<br />
228
<strong>Nicolò</strong> <strong>Franco</strong> e <strong>il</strong> <strong>plagio</strong> <strong>del</strong> <strong>Tempio</strong> d’amore<br />
Gli studiosi sono sempre stati molto duri nel giudicare <strong>il</strong> <strong>plagio</strong> <strong>del</strong> <strong>Tempio</strong><br />
d’Amore 41 , riducendo tutto al fac<strong>il</strong>e desiderio di gloria di un personaggio perlomeno<br />
bizzarro, alla ricerca di scorciatoie furbesche, che ha finito i suoi giorni<br />
appeso alle forche di Ponte Sant’Angelo. 42 Ma questa interpretazione non può<br />
soddisfarci. Il tentativo <strong>del</strong> giovane <strong>Nicolò</strong> è stato certamente maldestro e privo<br />
<strong>del</strong>la necessaria sprezzatura ma <strong>il</strong> <strong>Franco</strong> era persona ben addestrata, sapeva di<br />
latino 43 e la scommessa sul poemetto <strong>del</strong> Capanio come opera di “sfondamento”<br />
era tutt’altro che casuale o furfantesca. Sbagliata fu senz’altro l’idea editoriale<br />
di proporre un testo <strong>del</strong> genere a Venezia, complici la fretta e l’ansia di <strong>Nicolò</strong><br />
di pubblicare — subito — un’opera nella nuova città dove era appena approdato;<br />
buona fu al contrario l’intuizione, scaturita in ambiente umanistico-aragonese,<br />
di puntare su questo testo <strong>del</strong> Capanio, come testo degno di essere plagiato e<br />
depredato. L’Opera nuova nomata vero tempio de Amore è infatti un testo che<br />
inaugura un genere di successo nella letteratura napoletana <strong>del</strong> Cinquecento:<br />
tutte le composizioni “in lode” <strong>del</strong>le gent<strong>il</strong>donne partenopee derivano infatti dal<br />
mo<strong>del</strong>lo fondativo <strong>del</strong> Capanio. 44 Ricordiamo, tra gli altri, i testi di Giacomo<br />
Beldando, Lo specchio <strong>del</strong>le bellissime donne napoletane (Napoli 1536), di Mario<br />
Di Leo, L’Amor prigioniero, (Napoli 1538), di Luigi Tans<strong>il</strong>lo, Clorida (Napoli<br />
1547), di Ludovico Paterno, Palagio d’amore, in Le nuove fiamme (Venezia<br />
1561), di Ferrante Carafa, Stanze (Venezia 1563).<br />
Tornando a <strong>Nicolò</strong> <strong>Franco</strong>: abbiamo cercato di andare oltre l’abusata interpretazione<br />
<strong>del</strong> <strong>plagio</strong> <strong>del</strong> <strong>Tempio</strong> d’Amore come tentativo spudorato da parte<br />
<strong>del</strong>l’autore di imporsi sulla scena veneziana rubando le ottave <strong>del</strong> Capanio.<br />
Tuttavia non ci sentiamo di condividere neppure la lettura “giustificazionista”,<br />
ugualmente moralista, che spiega questo <strong>plagio</strong> come esperimento giovan<strong>il</strong>e,<br />
min<strong>il</strong>i, dove è fitta la presenza di donne fra gli autori». Segue un lungo elenco di opere ispirate<br />
al mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong> Ruscelli (concentrate negli anni ’60 e ’70) tra cui compare Il <strong>Tempio</strong> <strong>del</strong>la<br />
divina signora Donna Geronima Colonna d’Aragona di Ottavio Sammarco (Padova, 1568),<br />
calco perfetto <strong>del</strong> titolo ruscelliano.<br />
41 Altamura, ad esempio, commentando <strong>il</strong> caso <strong>del</strong> <strong>Tempio</strong> d’Amore, parla di «carattere<br />
ambiguo e truffaldino <strong>del</strong> <strong>Franco</strong>» (op. cit., p. 9).<br />
42 <strong>Franco</strong> fu giustiziato <strong>il</strong> 10 marzo <strong>del</strong> 1570, dopo essere stato sottoposto a processo<br />
inquisitorio (settembre 1568) a causa <strong>del</strong>l’ennesimo componimento satirico contro la Curia,<br />
e in particolare contro <strong>il</strong> papa Paolo IV. Per tutta la vicenda cfr. ANGELO MERCATI, I constituti<br />
di <strong>Nicolò</strong> <strong>Franco</strong> (1568-1570) dinanzi l’Inquisizione di Roma, esistenti nell’archivio segreto<br />
<strong>del</strong> Vaticano, Città <strong>del</strong> Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1955.<br />
43 Sulla fine <strong>del</strong>la conoscenza <strong>del</strong> latino come elemento discriminante per la distinzione<br />
tra “letterati” e “non letterati” e sulla persistenza in <strong>Franco</strong>, al contrario, di una radicata tradizione<br />
letteraria umanistica legata alla sua provenienza meridionale, si veda EMILIO SPECIALE,<br />
<strong>Nicolò</strong> <strong>Franco</strong>, <strong>il</strong> libraio e la letteratura, in «Schifanoia», X, 1990, pp. 175-187.<br />
44 Cfr. Letteratura italiana. Gli autori. Dizionario bio-bibliografico e Indici, I, A-G,<br />
p. 427, scheda dedicata a Jacopo Campan<strong>il</strong>e curata da MARIA SERENA PERI.<br />
229
Alessandro Capata<br />
tentativo comprensib<strong>il</strong>e, prova inevitab<strong>il</strong>e per chi voglia fare poi <strong>il</strong> grande salto.<br />
Il problema <strong>del</strong> <strong>plagio</strong> in <strong>Nicolò</strong> <strong>Franco</strong> non si esaurisce assolutamente con l’esperienza<br />
marcoliniana <strong>del</strong> <strong>Tempio</strong> d’Amore. Ormai studi consolidati hanno dimostrato<br />
forti influssi ai limiti <strong>del</strong> <strong>plagio</strong> e fenomeni di <strong>plagio</strong> vero e proprio anche<br />
in altre opere. E si tratta <strong>del</strong>le opere più importanti, quelle <strong>del</strong> decollo veneziano:<br />
<strong>il</strong> Petrarchista 45 , le Pistole vulgari 46 , i Dialoghi piacevoli 47 .<br />
Dopo l’anno di sodalizio con l’ Aretino, tra <strong>il</strong> ’37 e <strong>il</strong> ’38, <strong>Nicolò</strong> rompe con <strong>il</strong><br />
maestro e cerca di muoversi autonomamente, dovendo rinunciare anche all’editore<br />
Marcolini, trascinato nel naufragio <strong>del</strong>l’amicizia aretiniana. Nel ’39, un anno<br />
prima <strong>del</strong>l’allontanamento da Venezia per incompatib<strong>il</strong>ità ambientale aggravata<br />
dallo sfregio <strong>del</strong>l’Eusebi 48 , escono questi tre testi “importanti” che gli danno finalmente<br />
successo e prestigio. Ebbene <strong>il</strong> Petrarchista è in larga misura <strong>il</strong> <strong>plagio</strong> <strong>del</strong><br />
dialogo <strong>il</strong> Petrarca di Giovanni Andrea Gesualdo (Venezia, Nicolini da Sabbio,<br />
1533): un <strong>plagio</strong> ritenuto meno plateale e clamoroso <strong>del</strong> <strong>Tempio</strong> d’Amore ma<br />
ugualmente “calcolato” e ben individuab<strong>il</strong>e. 49 Al tempo stesso quello che viene<br />
considerato <strong>il</strong> best-seller di <strong>Nicolò</strong> <strong>Franco</strong>, i Dialoghi piacevoli (che conobbero 10<br />
riedizioni tra <strong>il</strong> ’39 e <strong>il</strong> ’99) 50 , risultano fortemente influenzati dall’Heremita <strong>del</strong><br />
Galateo soprattutto per quanto riguarda richiami di ordine strutturale. 51 Nel caso<br />
<strong>del</strong>le Pistole vulgari, <strong>il</strong> secondo libro di lettere a stampa pubblicato dopo quello<br />
<strong>del</strong>l’Aretino, gli spunti plagiari dal testo aretiniano risultano molteplici e sono<br />
denunciati dallo stesso Pietro a gran voce. 52 Il <strong>Franco</strong>, come è noto, si avvalse <strong>del</strong><br />
lavoro prestato nell’officina <strong>del</strong>l’Aretino per l’allestimento <strong>del</strong> Libro di lettere,<br />
ponendosi così in linea strettamente concorrenziale con l’ex protettore.<br />
Il <strong>plagio</strong> agisce anche in un altro testo, La Ph<strong>il</strong>ena 53 , dove forti sono le inserzioni<br />
tolte di peso dal Libro di natura d’ amore di Mario Equicola. 54<br />
45 Pubblicato a Venezia presso l’editore Giolito nel 1539.<br />
46 Uscite in prima edizione nel 1539 presso Gardane, a Venezia, e in seconda edizione nel<br />
1542 presso lo stesso editore.<br />
47 Pubblicati da Giolito sempre nel ’39 a Venezia.<br />
48 Sul clima di ost<strong>il</strong>ità creatosi a Venezia intorno al <strong>Franco</strong>, cfr. DI FILIPPO BAREGGI, op. cit.,<br />
pp. 168-169. Ambrogio Eusebi, “creato” <strong>del</strong>l’Aretino, colpì con un pugnale <strong>il</strong> volto di <strong>Nicolò</strong>:<br />
dopo questo grave episodio, <strong>il</strong> <strong>Franco</strong> prese atto <strong>del</strong>la necessità di dover abbandonare Venezia.<br />
49 Si veda ROBERTO BRUNI, Parodia e <strong>plagio</strong> nel “Petrarchista” di <strong>Nicolò</strong> <strong>Franco</strong>, in<br />
«Studi e problemi di critica testuale», XX, 1980, pp. 61-68.<br />
50 Nove ristampe veneziane e una lionese. Cfr. DI FILIPPO BAREGGI, op. cit., p. 101.<br />
51 Cfr. NICOLA BADALONI, Natura e società in <strong>Nicolò</strong> <strong>Franco</strong>, in «Società», XVI, 1960, p.<br />
744 e, per una prospettiva più ampia, SEBASTIANO MARTELLI, op. cit., p. 175.<br />
52 Si veda la lettera <strong>del</strong>l’Aretino a Messer Ludovico Dolce <strong>del</strong> 7 ottobre 1539 (PIETRO<br />
ARETINO, Lettere, introduzione, scelta e commento di Paolo Procaccioli, vol. I, M<strong>il</strong>ano,<br />
Rizzoli, 1990, lettera 141, pp. 393-398).<br />
53 Edita a Mantova presso Ruffinelli nel 1547.<br />
54 Cfr. GIUSEPPE DE MICHELE, La “F<strong>il</strong>ena” di <strong>Nicolò</strong> <strong>Franco</strong>, in «Rassegna critica <strong>del</strong>la<br />
letteratura italiana», XXX, 1925, p. 29, poi ripreso da GRENDLER, cit., p. 44.<br />
230
<strong>Nicolò</strong> <strong>Franco</strong> e <strong>il</strong> <strong>plagio</strong> <strong>del</strong> <strong>Tempio</strong> d’amore<br />
A questo punto <strong>il</strong> quadro è completo: la prima opera in volgare a stampa <strong>del</strong><br />
<strong>Franco</strong>, <strong>il</strong> <strong>Tempio</strong> d’Amore, è un <strong>plagio</strong>; l’ultima opera in volgare a stampa, La<br />
Ph<strong>il</strong>ena, è anch’essa in larga parte un <strong>plagio</strong>. A metà strada i testi <strong>del</strong> ’39 formati<br />
da enormi placche plagiarie. Dopo <strong>il</strong> ’47 la produzione di <strong>Nicolò</strong> <strong>Franco</strong>, per<br />
23 anni, fino alla morte, è segnata dall’abbandono <strong>del</strong>la stampa e dal ritorno alla<br />
produzione manoscritta, di cui ci rimangono come più alta testimonianza le<br />
oltre ottocento lettere contenute nel manoscritto Vat. Lat. 5642. 55 Il ritorno al<br />
manoscritto, destinato ad un ristretto numero di fruitori, si configura come <strong>il</strong><br />
segno emblematico di una profonda emarginazione, come sintomo di sradicamento,<br />
di regressione, di crisi irreversib<strong>il</strong>e <strong>del</strong> proprio statuto sociale, acutizzatasi<br />
dopo la partenza da Mantova nel ’47. La storia <strong>del</strong>la produzione a stampa<br />
<strong>del</strong> <strong>Franco</strong> è tutta dominata, quindi, dalla modalità <strong>del</strong> <strong>plagio</strong>. Appare a questo<br />
punto risib<strong>il</strong>e l’accanimento censorio contro <strong>il</strong> <strong>Tempio</strong> d’Amore, inut<strong>il</strong>e e falsa<br />
pietra <strong>del</strong>lo scandalo. Il <strong>plagio</strong> <strong>del</strong> <strong>Tempio</strong> d’Amore ha raccolto giudizi severi e<br />
scandalizzati 56 nel corso di ormai un secolo di studi franchiani, e questo probab<strong>il</strong>mente<br />
perché <strong>il</strong> <strong>Tempio</strong> non è stato un testo di successo ed è rimasto un episodio<br />
abbastanza isolato e concluso in sé, una prova bocciata dal mercato. Quando<br />
<strong>il</strong> <strong>plagio</strong> si accompagna all’integrazione originale <strong>del</strong>l’autore, improvvisamente<br />
lo scandalo si attenua e <strong>il</strong> <strong>plagio</strong> sembra quasi ritrovare cittadinanza all’interno<br />
<strong>del</strong>la grande famiglia <strong>del</strong>l’imitazione classicistica. Vengono in soccorso le categorie<br />
adiutorie: la serialità legata al genere, la febbre <strong>del</strong>la riscrittura dovuta al<br />
mercato <strong>del</strong>la stampa e al suo pubblico, la reinvenzione, la riab<strong>il</strong>itazione, la<br />
riscoperta, <strong>il</strong> rifacimento, la scomposizione. 57 Se <strong>il</strong> <strong>plagio</strong> è effettuato con intelligenza<br />
e produce un’opera più incisiva, più bella, più ut<strong>il</strong>e di quella plagiata, se<br />
cioè <strong>il</strong> <strong>plagio</strong> funge da aemulatio, i meriti <strong>del</strong>l’autore si accrescono e <strong>il</strong> furto<br />
viene percepito come pretesto, come spunto anche macroscopico da cui l’autore<br />
fa partire autonomi pensieri. È innegab<strong>il</strong>e che <strong>il</strong> regime di concorrenza, favorito<br />
dal mercato librario, stimoli dinamiche di velocità e di simultaneità che portano<br />
alla moltiplicazione <strong>del</strong>le aspettative da parte degli autori, che ricorrono con<br />
fac<strong>il</strong>ità alla modalità <strong>del</strong> furto. La vicenda <strong>del</strong> <strong>Franco</strong> e dei cosiddetti poligrafi<br />
veneziani è altamente emblematica in questo senso.<br />
Possiamo avanzare un’ipotesi di conclusione sottolineando come <strong>il</strong> <strong>plagio</strong> di<br />
opere contemporanee nell’età <strong>del</strong>la stampa sia collocato in un’ottica diversa dal<br />
55 Cfr. Letteratura italiana. Gli autori cit., I, p. 828, al termine <strong>del</strong>la voce dedicata a<br />
<strong>Nicolò</strong> <strong>Franco</strong>, curata da PAOLO PROCACCIOLI.<br />
56 Fanno eccezione <strong>il</strong> Grendler e la Di F<strong>il</strong>ippo Bareggi, che descrivono <strong>il</strong> caso <strong>del</strong> <strong>Tempio</strong><br />
d’Amore senza pregiudizi moralistici.<br />
57 Un’indagine sulle dinamiche e le forme <strong>del</strong>la riscrittura nel Cinquecento è fornita dal<br />
libro Scritture di scritture. Testi, generi, mo<strong>del</strong>li nel Rinascimento, a cura di Giancarlo Mazzacurati<br />
e Michel Plaisance, Roma, Bulzoni Editore, 1987.<br />
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Alessandro Capata<br />
tradizionale <strong>plagio</strong> di opere o di repertori classici, ben tollerato dall’ala protettrice<br />
<strong>del</strong>l’imitatio. <strong>Nicolò</strong> <strong>Franco</strong> è contro l’imitazione classicistica: sia nel Petrarchista<br />
che nella Pistola al Petrarca 58 le sue parole di riprovazione contro i<br />
petrarchisti sono assai dure. In quest’ultimo testo <strong>Franco</strong> parla dei petrarchisti<br />
come di coloro che sono costretti a depredare i sonetti e le canzoni <strong>del</strong> grande<br />
trecentesco perché non in grado di «far altra mostra di loro stessi», essendo<br />
«ciechi» e <strong>del</strong> tutto incapaci di procedere senza la «scorta» dei versi petrarcheschi.<br />
L’autore parla inoltre di una specie di corte di «commentatori», «imitatori»<br />
e «rubbatori» che sfrutterebbero a loro vantaggio i versi e la fama <strong>del</strong> Petrarca.<br />
<strong>Franco</strong> considera cosa spregevole l’imitazione plagiaria dei mo<strong>del</strong>li classici<br />
e reputa implicitamente più onorevole <strong>il</strong> furto da un contemporaneo. <strong>Nicolò</strong><br />
rifiuta infatti l’idea parassitaria <strong>del</strong>l’autore che sugge fino alla consunzione <strong>il</strong><br />
solito, pur prestigioso repertorio. Se <strong>Franco</strong> plagia dai contemporanei con questa<br />
fac<strong>il</strong>ità è perché ritiene i contemporanei degni di essere copiati e derubati.<br />
Plagia dai classici chi è <strong>del</strong>l’avviso che “tutto è stato detto” e procede con sprezzatura<br />
a furti e ruminazioni di materiale universalmente ritenuto degno di imitazione<br />
e riconoscib<strong>il</strong>e dal pubblico; <strong>il</strong> <strong>plagio</strong> dei contemporanei è invece diffic<strong>il</strong>mente<br />
riconducib<strong>il</strong>e nell’ottica <strong>del</strong>l’imitazione classicistica: esso si configura<br />
piuttosto come un azzardo, una scommessa che richiede fiuto ed ab<strong>il</strong>ità poiché<br />
contiene in sé la possib<strong>il</strong>ità reale <strong>del</strong>l’insuccesso. C’è senza meno in tutti i plagiari<br />
la componente fraudolenta <strong>del</strong> “furto di idee”, ma siamo ad un’altezza cronologica<br />
in cui non era ancora operativo <strong>il</strong> diritto d’autore 59 , <strong>il</strong> nostro copyright,<br />
e sembra ridicolo e pericoloso applicare criteri rigidamente privatistici a società<br />
storiche basate su un’idea <strong>del</strong>l’espressione artistica e <strong>del</strong>la comunicazione letteraria<br />
assai diversa dalla nostra.<br />
58 Cfr. N. FRANCO, Pistole vulgari, rist. anastatica cit., lett. CCLXIX, pp. 238-241.<br />
59 Cfr. M. C. DOCK, Etudes sur le droit d’auteur, Paris, Librairie Génerale de Droit et<br />
Jurisprudence, 1963.<br />
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