Consulta o scarica il volume - Provincia di Lecco

Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale: l'Europa investe nelle zone rurali
PSR 2007-2013 Direzione Generale Agricoltura
http://ec.europa.eu/agricolture/rurdev/index.it.htm

Valorizzazione risorse agricole
12
Le risorse forestali
della provincia di Lecco
Aspetti gestionali ed ecologici
a cura di Francesco Mazzeo
.
Progetto d’Integrazione e Modernizzazione dell’Agricoltura
per la Valorizzazione Equilibrata delle Risorse Agroambientali

Presidente
Virginio Brivio
Assessore Attività Produttive
Italo Bruseghini
Dirigente Settore Attività Economiche
Giuseppe Scaccabarozzi
Autori:
Massimo Merati
Direttore del Consorzio Forestale Lecchese
Francesco Radrizzani
Funzionario del Servizio Agricoltura e Foreste della Provincia di Lecco
Ha collaborato:
Francesco Mazzeo
Funzionario del Servizio Agricoltura e Foreste della Provincia di Lecco
Fotografie:
Archivio Provincia di Lecco - Massimo Merati - Giulio Zanetti

Sommario
Presentazione ........................................................ Pag. 5
1. I boschi della provincia di Lecco ..................................... Pag. 8
Le regioni forestali .................................................. Pag. 10
Le tipologie forestali lecchesi ......................................... Pag. 11
2. Le funzioni del bosco ............................................... Pag. 1
2.1 La funzione economica ......................................... Pag. 16
2.2 La funzione ecologica – ambientale. .............................. Pag. 19
2.2.1 La protezione delle risorse idriche .......................... Pag. 21
2.2.2 La tutela della biodiversità. ................................ Pag. 22
2.2.3 La fissazione dei gas serra ................................. Pag. 23
2.3 La funzione sociale ............................................ Pag. 24
3. I primi attori della filiera bosco-legno-energia
e i prodotti forestali dei boschi lecchesi ............................... Pag. 26
3.1 I consorzi forestali .............................................. Pag. 26
3.2 Le ditte boschive ............................................... Pag. 28
3.3 Le aziende agricole ............................................. Pag. 28
3.4 I prodotti forestali .............................................. Pag. 29
3.4.1 Legna da ardere .......................................... Pag. 30
3.4.2 Paleria di castagno ....................................... Pag. 30
3.4.3 Legname da opera ........................................ Pag. 31
3.4.4 Cippato di legno ......................................... Pag. 31
4. Gli enti forestali e le funzioni conferite ............................... Pag. 33
4.1 Le competenza degli enti forestali ................................. Pag. 33
4.1.1 Le attività selvicolturali ................................... Pag. 38
4.1.2 La lotta agli incendi boschivi .............................. Pag. 34
4.1.3 La trasformazione del bosco ............................... Pag. 34
4.1.4 La pianificazione forestale ................................. Pag. 35
5. La pianificazione forestale .......................................... Pag. 36
5.1 Il Piano di indirizzo forestale .................................... Pag. 36
5.2 Il Ppiano di assestamento forestale ............................... Pag. 37
6. Gli aspetti selvicolturali ed infrastrutturali ............................ Pag. 38
6.1 I sistemi selvicolturali ........................................... Pag. 38
6.1.1 Cedui ................................................... Pag. 38
6.1.2 Fustaie ................................................. Pag. 39
6.1.3 Le conversioni all’alto fusto ............................... Pag. 40
6.2 Le utilizzazioni boschive ........................................ Pag. 41
6.2.1 Trattamento ............................................. Pag. 41
6.2.2 Tagli di maturità ......................................... Pag. 41
6.2.3 Tagli intercalari .......................................... Pag. 42
3

Le risorse forestali della Provincia di Lecco
Aspetti gestionali ed ecologici
6.3 L’esbosco .............................................. Pag. 42
6.4 La viabilità forestale .................................... Pag. 43
7. Le norme forestali regionali ................................. Pag. 46
7.1 Cosa fare prima di tagliare un bosco ...................... Pag. 46
7.2 Procedure successive alla presentazione ....................... Pag. 48
della denuncia di inizio attività
7.3 Taglio piante sradicate o morte in bosco. .................. Pag. 49
7.4 Quando è possibile il taglio .............................. Pag. 49
7.5 Taglio di fustaia ........................................ Pag. 49
7.6 Taglio di cedui ......................................... Pag. 50
7.7 Interventi su selve castanili .............................. Pag. 51
7.8 Come si esbosca ........................................ Pag. 52
7.9 Fili a sbalzo ........................................... Pag. 53
7.10 Come si trattano i residui di lavorazione .................. Pag. 54
7.11 Viabilità agro-silvo-pastorale ............................ Pag. 54
8. Il lavoro nei boschi ......................................... Pag. 56
8.1 Le utilizzazioni forestali ................................. Pag. 56
8.2 L’abbattimento ......................................... Pag. 57
8.3 La sramatura .......................................... Pag. 58
8.4 La depezzatura ......................................... Pag. 58
8.5 La scortecciatura ....................................... Pag. 58
8.6 Il concentramento ...................................... Pag. 59
8.7 L’esbosco .............................................. Pag. 59
8.7.1 L’esbosco per via aerea ............................ Pag. 60
9. Le linee innovative nelle utilizzazioni forestali ................ Pag. 62
9.1 Macchinari specializzati di ultima generazione ............. Pag. 62
9.2 Sviluppo dei sistemi di lavoro ............................ Pag. 63
9.2.1 Gru a cavo e processor ............................ Pag. 63
9.2.2 Harvester e forwarder ............................. Pag. 64
9.2.3 Esbosco di piante intere o depezzate ................ Pag. 65
9.3 La gestione degli scarti di produzione ..................... Pag. 67
9.4 Gli aggiornamenti sulla meccanizzazione forestale ......... Pag. 67
10. Itinerari forestali ........................................... Pag. 68
10.1 La faggeta del Parco Valentino. .......................... Pag. 68
10.2 I lariceti dei Roccoli Lorla ............................... Pag. 71
10.3 I boschi termofili del Monte Barro. ....................... Pag. 74
10.4 I boschi della Valle del Curone ........................... Pag. 77
10.5 I castagneti di Nesolio .................................. Pag. 81
Bibliografia ................................................ Pag. 84
Volumi della Collana Pr.I.M.A.V.E.R.A. ........................... Pag. 85
4

Presentazione
I quarantamila ettari di boschi rappresentano il paradigma delle risorse “invisibili”
presenti sul territorio, sui quali da tempo ha puntato la propria attenzione
la Provincia di Lecco, ritenendo che essi costituiscano una straordinaria opportunità
di sviluppo economico e di governo reale del territorio. Nel secolo scorso
i boschi hanno fornito energia alle famiglie e alle industrie lecchesi, contribuendo
alla ricchezza del territorio e della popolazione; poi hanno subito un progressivo
processo di abbandono e nei loro confronti è prevalso un sostanziale atteggiamento
di indifferenza.
Tuttavia, ancora oggi essi rappresentano una preziosa risorsa di cui dispone il
nostro territorio, dai quali è possibile trarre non solo energia rinnovabile, ma
anche importati servizi a beneficio della collettività, quali la difesa dai dissesti
idrogeologici, il miglioramento della qualità dell’ambiente, il mantenimento del
paesaggio, la possibilità di svolgere attività legate al turismo e al tempo libero.
Per questi motivi la valorizzazione delle risorse forestali costituisce un obiettivo
strategico della Provincia di Lecco, che punta al rilancio dell’attività selvicolturale
e dell’economia agro-forestale.
Dopo un lungo lavoro di costruzione di relazioni fra 19 Enti, la Provincia nel
2006 ha costituito con le Comunità Montane prima e i Comuni poi, il Consorzio
Forestale Lecchese, al quale sono stati conferiti per la gestione 2.500 ettari di
boschi di proprietà pubblica. Più recentemente la Provincia ha predisposto il
proprio Piano di indirizzo forestale, per dare a questo comparto nuovo impulso,
e ha promosso presso i comuni un’azione di stimolo per l’utilizzazione di risorse
energetiche locali, rendendo disponibili risorse finanziarie per la costruzione di
impianti di riscaldamento a biomassa legnosa.
L’attività finora svolta ha puntato a dare visibilità al comparto forestale e a richiamare
l’attenzione, soprattutto dei proprietari pubblici e privati dei boschi,
sulla necessità di valorizzare le risorse forestali.
La debolezza in cui si trova questo comparto, in conseguenza del disinteresse di
cui è stato oggetto soprattutto nella componente privata, richiede uno sforzo
straordinario da parte di tutti. Con questa pubblicazione, che si aggiunge a
quella che abbiamo realizzato nel 2006 più specifica sugli aspetti energetici, ci
proponiamo di dare un ulteriore stimolo soprattutto agli operatori del bosco,
5

Le risorse forestali della provincia di Lecco
Aspetti gestionali ed ecologici
affinchè inizino o proseguano con maggiore impegno nella direzione di
utilizzare i boschi, per valorizzare con tecnica e razionalità le loro risorse.
Il volume, nello stile che caratterizza la collana editoriale del Servizio
Agricoltura e Foreste della Provincia di Lecco, intende divulgare in modo
semplice ed accessibile la conoscenza dei boschi del nostro territorio,
ponendo l’attenzione sui numerosi aspetti dell’attività selvicolturale.
Sono richiamati, infatti, aspetti tecnici, normativi e amministrativi e
sono segnalati alcuni luoghi del nostro territorio boscato, esemplificativi
della ricchezza della varietà forestale presente, che invito a visitare.
Questo lavoro è il risultato della stretta collaborazione con il Consorzio
forestale lecchese, riconosciuto dalla Regione Lombardia e divenuto
ormai operativo con la programmazione di interventi selvicolturali nei
boschi conferiti.
Auspico, quindi, che negli imprenditori agricoli e forestali, negli Amministratori
pubblici e nei proprietari dei boschi, gli strumenti operativi
predisposti e anche questo lavoro possano suscitare interesse e possano
indurre tutti ad adoperarsi per lo sviluppo di una moderna e utile economia
forestale anche nel nostro territorio.
Gennaio 2009
Italo Bruseghini
Vice Presidente e Assessore alle Attività Produttive
della Provincia di Lecco
6

Le risorse forestali
della provincia di Lecco
Aspetti gestionali ed ecologici

Le risorse forestali della provincia di Lecco
Aspetti gestionali ed ecologici
1. I boschi della Provincia di Lecco
Il territorio della Provincia di Lecco è caratterizzato da elementi geomorfologici
e litologici molto variabili. Sono presenti, infatti, aree di
pianura, di collina e di montagna; suoli e rocce di origine carbonatica
(gruppo delle Grigne, Resegone, Zuccone Campelli, etc.) o silicatica (alta
Valsassina) e suoli su depositi fluvioglaciali e morenici (Brianza). L’eterogeneità
di substrati e di condizioni geomorfologiche ha influenzato lo
sviluppo dei boschi favorendo la variabilità ecologica. Nel territorio è
infatti possibile trovare tutte le principali tipologie forestali regionali, ad
eccezione delle formazioni tipiche delle zone di alta montagna e di quelle
fluviali di bassa pianura.
I boschi coprono un’importante porzione del territorio non urbanizzato,
con circa 39.000 ettari di foreste vere e proprie, ai quali si sommano circa
6.000 ettari di aree coperte da vegetazione arbustiva, con una superficie
totale prossima a metà della superficie provinciale.
Le aree forestali sono localizzate prevalentemente in montagna, dove il
bosco ha subito una minore riduzione rispetto a quanto non si sia verificato
nelle zone collinari e di pianura, interessate in passato da disboscamenti
per ottenere aree da coltivare e da urbanizzare.
Dal punto vista forestale è possibile una suddivisione dei boschi lecchesi
secondo la seguente schematizzazione:
1. boschi dell’alta pianura: si trovano fino a quote di 600-700 m slm e
sono principalmente formati da robinia, con presenza di farnia, carpino
bianco, ciliegio, olmo e castagno;
2. boschi collinari: vegetano fino a quote di 800-1.000 m slm e sono
caratterizzati dalla predominanza del castagno, la cui presenza è
stata storicamente fortemente favorita dell’attività dell’uomo, sia per
la produzione di castagne, sia per la legna da paleria. Nei terreni più
freschi e profondi lo strato arboreo si arricchisce di ciliegio selvatico,
carpino, acero di monte, frassino e agrifoglio;
3. boschi di montagna: a quote superiori si trova una consistente presenza
di faggio che, insieme alla betulla, all’acero di monte e ai sorbi,
crea boschi di rara bellezza e fruibilità turistica. Nelle zone più elevate
e di cresta si trovano l’abete rosso e il larice.
8

Figura 1: distribuzione dei boschi in provincia di Lecco
9

Le risorse forestali della provincia di Lecco
Aspetti gestionali ed ecologici
Tabella 1: tipologie forestali dei boschi lecchesi
Tipologie forestali
10
Ha
massa
(mc/ha) *
massa totale
(mc) *
Boschi di acero e frassino 1.481,3 90 133.321
Boschi ad ontano 1.133,6 60 68.017
Boschi di betulla 1.540,5 65 100.131
Boschi di Castagno 7.486,6 100 748.655
Boschi di nocciolo 43,6 - -
Boschi di faggio 11.738,3 130 1.525.976
Pioppeti 6,8 120 811
Boschi a mugo 144,3 - -
Boschi a carpino nero 6.167,7 75 462.581
Querceti 2.230,5 85 189.593
Rimboschimenti di conifere 81,1 70 5.676
Rimboschimenti di latifoglie 1,4 100 139
Boschi di robinia 2.474,1 135 334.001
Altre formazioni 1.119,5 60 67.167
Pinete 205,0 95 19.475
Boschi di abete bianco 790,0 210 165.900
Boschi di abete rosso 810,0 170 137.700
Boschi di larice 850,0 160 136.000
Totale 38.304 // 4.095.143
*stima biomassa legnosa presente nel bosco
1.1 Le regioni forestali
Le porzioni di territorio omogenee per caratteristiche bioclimatiche sono
definite “regioni forestali” e facilitano la comprensione degli aspetti ecologici
del territorio boscato provinciale. Il territorio lecchese è suddiviso
sostanzialmente in due regioni forestali differenti: la regione avanalpica
e la regione esalpica
La regione avanalpica è costituita dalle prime colline che si incontrano
abbandonando la pianura ed è caratterizzata da formazioni molto frammentate,
spesso sostituite dalle colture agrarie o da fasce forestali isolate.

In questa zona prevalgono i robinieti e i castagneti, alternati a residuali
formazioni originali di querce e carpini.
La regione esalpica, che si estende sui rilievi prealpini, è suddivisa a sua
volta in due sub regioni, denominate centro-orientale esterna ed occidentale
interna (parte meridionale del Lario).
La subregione esalpica centro-orientale esterna comprende i primi rilievi
prealpini di una certa importanza altitudinale ed è la zona dove prevalgono
i substrati carbonatici (M. Resegone, Grigne, M. Zuccone Campelli).
Nell’orizzonte submontano si incontrano i querceti di roverella e gli
orno-ostrieti. L’orizzonte montano e altimontano è caratterizzato dalle
faggete.
La subregione esalpica occidentale interna è la zona in cui prevalgono
substrati silicatici (alta Valsassina, Pizzo Tre Signori, M. Legnone). Alle
quote minori, ossia nel “piano submontano”, si estendo ampi castagneti
e querceti, che sono sostituiti a quote superiori dalle faggete montane,
mentre verso i fondovalle vi sono forme miste di querce e tigli (Valsassina,
Val Varrone). A quote più elevate il larice diventa la specie più
diffusa, formando boschi puri e misti di notevole pregio paesaggistico.
Una piccola porzione nella parte meridionale della provincia si colloca
nella regione forestale dell’alta pianura. I boschi, costituiti principalmente
da robinia, sono relegati sulle scarpate morfologiche. Lembi di
querceti e querco-carpineti si ritrovano come testimonianza residuale
soprattutto all’interno delle aree protette.
1.2 Le tipologie forestali lecchesi
La tipologia forestale è un sistema di classificazione delle aree forestali
e permette di catalogare i vari boschi. La peculiarità delle tipologie forestali
consiste nella scomposizione del complesso sistema delle foreste in
parti sufficientemente omogenee da potere essere comprese, ma non
tanto piccole da non consentire una visione d’insieme. Le tipologie forestali
assumono, quindi, un ruolo fondamentale, poiché facilitano la trasmissione
delle informazioni ed il confronto delle esperienze diverse,
favoriscono l’individuazione di linee di politica forestale e di singole
prescrizioni selvicolturali.
Il bosco viene classificato partendo da una serie d’informazioni che riguardano:
la composizione specifica, il tipo di substrato, l’orizzonte altitudinale,
le caratteristiche dei suoli, le condizioni di temperatura e la
disponibilità di acqua, la vegetazione erbacea ed arbustiva presente e la
dinamica evolutiva in atto.
11

Le risorse forestali della provincia di Lecco
Aspetti gestionali ed ecologici
Data la varietà di condizioni stazionali, nel territorio lecchese è possibile
riscontrare una notevole ricchezza di tipi forestali, dei quali si evidenziano
i principali.
1.2.1 Querco-carpineto
Formazione forestale caratterizzata dalla
presenza di carpino bianco e quercia. In
provincia di Lecco questo tipo forestale si
trova nelle aree dell’alta pianura e della
zona collinare, spesso disturbato dalla
presenza di specie invasive come la robinia.
1.2.2 Orno-ostrieto
Questa tipologia forestale comprende le
formazioni in cui prevale il carpino o
dove è presente accompagnato per lo più
dall’orniello. Dal punto di vista ecologico si tratta di formazioni tipiche
dei medio - bassi versanti, a quote variabili dai 300 ai 1.000 m s.l.m., o
di ambienti impervi di forra, rupe o falda detritica.
1.2.3 Querceto termofilo
Si tratta di formazioni boschive miste di roverella, carpino nero, orniello
e poche altre specie, localizzate soprattutto in stazioni con esposizioni
calde e tendenzialmente aride, o comunque caratterizzate da limitata
disponibilità idrica al suolo (suoli xerici). I suoli dei querceti sono maggiormente
evoluti rispetto a quelli degli orno-ostrieti. Si tratta di una
tipologia non molto diffusa in quanto la roverella tende a partecipare
con più facilità alla categoria degli orno-ostrieti.
1.2.4 Castagneto
Comprende formazioni pure di
castagno o quelle in cui questa
specie è nettamente dominante;
è possibile la presenza di acero
montano, frassino maggiore o
alternativamente di carpino
nero e orniello in formazioni
particolari. I castagneti si collocano
soprattutto lungo i ver-
12

santi a quote variabili fra 300 e 800 m s.l.m., su suoli freschi ed aridi.
Sono formazioni che si adattano a differenti situazioni territoriali e la
loro diffusione dipende dall’uomo. I castagneti sono prevalentemente
governati a ceduo semplice o matricinato.
Molto frequente è il ceduo di castagno
invecchiato, che presenta polloni di
età superiore al turno consuetudinario e
che costituisce formazioni strutturalmente
più vicine alla fustaia di polloni
che al ceduo.
Discorso a parte meritano le selve castanili,
cioè boschi costituiti solo da castagno,
allevato esclusivamente per produrre
castagne e quindi attentamente coltivati.
La selva castanile ben mantenuta ha
perso gran parte della fisionomia del
bosco, assumendo l’aspetto di un prato
con pochi esemplari di castagno spesso monumentali. L’interruzione
della coltivazione della selva permette il veloce ingresso di altre specie
arboree a ricostituire l’originario bosco.
1.2.5 Faggeta
Formazione che si colloca soprattutto lungo i versanti, in
particolare nella fascia mediana, ad altitudini variabili fra i
600 ed i 1.500 m s.l.m., anche se non mancano digressioni
a quote inferiori e superiori. Il faggio è capace di adattarsi
ad ambienti molto diversi fra loro, anche se la sua diffusione
è comunque legata alla presenza di ambienti livellati
con inverno freddo, primavera piovosa, nebbiosa e senza
gelate, e suolo con ottime caratteristiche fisiche. Possibile
la presenza di carpino nero, orniello, frassino, betulla e
acero.
1.2.6 Alneta
Nelle alnete rientrano le formazioni in cui prevale nettamente
una o più specie del genere Alnus (ontano).
Si tratta di formazioni spesso pure e di limitata superficie.
L’alneta di ontano nero è tipica di suoli ricchi in acqua e
può essere localizzata sia in pianura, dove la falda freatica
13

Le risorse forestali della provincia di Lecco
Aspetti gestionali ed ecologici
è affiorante, sia lungo i versanti, dove si presenta in piccoli boschi negli
impluvi.
Le alnete di ontano verde sono tipiche dell’alta montagna, dove vanno
a invadere i pascoli e le radure non più pascolate.
1.2.7 Abieteto
E’ una formazione in cui vi è una buona partecipazione di abete bianco,
a cui si affiancano l’abete rosso o il faggio. Si trova negli ambienti più
freschi e umidi della media e alta montagna, spesso in concomitanza di
altre formazioni, quali ad esempio le peccete o le faggete, in quanto
l’abete bianco raramente forma boschi puri. Pur non avendo particolari
esigenze di substrato, l’abete bianco si incontra con maggior frequenza
su suoli di origine silicatica, data la generale maggiore disponibilità
idrica.
1.2.8 Pecceta
Si tratta di una formazione arborea naturale o quasi, caratterizzata dalla
dominanza di abete rosso.
Poco diffusa in provincia di Lecco, si rileva a quote comprese tra 1.000-
1.200 e 1.800-2.000 m s.l.m. Nella fascia montana questa formazione è
presente solo nei settori interni, a clima subcontinentale. Le peccete di
maggior pregio naturalistico sono quelle in cui l’abete rosso è disposto
in modo irregolare e in fustaia disetanea.
1.2.9 Lariceto
Il tipo forestale del lariceto comprende le formazioni a dominanza di
larice, tipiche delle regioni alpine più interne. Sono presenti anche nel
territorio della provincia di Lecco, dove
costituiscono la vegetazione forestale altitudinalmente
terminale. Il lariceto è una
formazione piuttosto rada, in quanto la
specie è molto esigente in fatto di luce e
non forma mai boschi molto densi. L’importanza
del lariceto risiede nella sua polifunzionalità.
La funzione preminente,
soprattutto allo stato attuale, è quella
protettiva, che il larice è in grado di esplicare
grazie al profondo apparato radicale
che conferisce stabilità al terreno.
14

2. Le funzioni del bosco
La selvicoltura è l’insieme delle conoscenze del bosco (inteso nella sua
complessiva espressione ecologica), volte a trarre norme razionali per
ricavarvi prodotti e finalità utili all’uomo, senza comprometterne la conservazione
e l’equilibrio biologico (Susmel,1986).
Per una corretta gestione forestale la selvicoltura è affiancata da altre
discipline, quali:
• l’ecologia forestale, che studia le relazioni tra gli organismi e l’ambiente;
• l’economia forestale, che definisce i vantaggi di interesse generale o
particolare offerti dal bosco e ne stabilisce la maniera di realizzarli nei
modi più convenienti e duraturi;
• la tecnologia forestale, che si occupa delle utilizzazioni e della trasformazione
del legno.
Sin dall’antichità sono state riconosciute alla foresta utilità di diversa
natura, riconducibili essenzialmente a tre funzioni principali:
• la funzione economica, attraverso la capacità di produrre legno (legname
da opera, da industria, legna da ardere e da carbone) e beni
non legnosi (resine, frutti, funghi, foglie, ecc.);
• la funzione ambientale, che si può ulteriormente suddividere con
riferimento alla tutela del territorio e delle risorse idriche, alla tutela
della qualità dell’aria, alla tutela della biodiversità della fauna e della
flora, alla stabilità dei versanti e alla prevenzione del rischio idrogeologico
(prevenzione frane, erosioni ecc.);
• la funzione sociale, che racchiude tutti i servizi che il bosco svolge a
favore della qualità della vita delle popolazioni (paesaggio, tempo
libero, ecc).
È compito proprio della selvicoltura trarre dal bosco, nella massima
misura possibile, questi servigi di diversa natura, il cui rendimento è
sempre legato al grado di efficienza del popolamento. Condizione imprescindibile
per il successo di questa attività è perciò la conservazione
dell’equilibrio tra il bosco e l’ambiente ecologico che lo ospita.
La Fig. 2 riporta un’ipotesi di schematizzazione delle funzioni del bosco
dal quale è possibile evidenziare le diversi componenti legate alle funzioni
produttive e non produttive.
15

Le risorse forestali della provincia di Lecco
Aspetti gestionali ed ecologici
FUNZIONI DEL BOSCO: ipotesi di schematizzazione
AMBIENTALE
SUOLO
(antierosione)
ACQUA
(regimante sul ciclo dell’acqua)
ARIA
(sostanze gassose e polveri)
NATURA
(biodiversità, flora,fauna)
CLIMA
(variazione parametri climatici)
SOCIALE
TURISTICO
RICREATIVA
PAESAGGIO
CULTURALE
ECONOMICA
PRODUTTIVA
PRIMARIA
(legno)
PRODUTTIVA SECONDARIA
(sottobosco, attività venatoria,
zootecnica ed apicoltura)
2.1 La funzione economica
Nei secoli passati la funzione produttiva è stata la principale, se non
l’unica, attribuita ai boschi. Essa è legata alla capacità di produrre legna
con costi di taglio ed esbosco inferiori al valore economico degli assortimenti
(tronchi di varia dimensione e qualità tecnologica) ricavabili
dagli alberi abbattuti.
Sul bilancio economico influiscono molteplici aspetti, fra cui la qualità
ed il valore del legno delle specie arboree presenti, la fertilità del suolo e
i criteri di coltivazione del bosco. Un ruolo decisivo, inoltre, spetta alla
facilità di esbosco ed alla viabilità forestale, cioè alla rete di strade e
piste, interne ed esterne al bosco, lungo le quali il legname si muove per
raggiungere i piazzali dove viene misurato, venduto e caricato sui veicoli
che lo porteranno alle destinazioni finali: segherie, falegnamerie, industrie
del legno. La viabilità forestale, inoltre, consente l’accesso in bosco
agli uomini addetti ai lavori in foresta con le attrezzature necessarie.
La funzione produttiva ha mantenuto più o meno intatta la propria importanza
lungo i secoli, grazie alla duttilità d’uso del legno, mutato più
volte attraverso il tempo.
La produzione di legna è di particolare importanza per l’Italia, essendo il
nostro Paese uno tra i maggiori importatori dall’estero di legname e di
pasta di cellulosa, destinati sia al consumo interno, sia alla produzione
di prodotti lavorati (mobili, carta) da esportazione.
16

Nelle utilizzazioni boschive è importante valorizzare al meglio
il legname, individuando la più conveniente destinazione
del prodotto. La valorizzazione del prodotto è basata
sulla capacità del selvicoltore di formare assortimenti legnosi
idonei al mercato e alla richiesta locale, destinando
alle segherie il legno di maggior valore e alla produzione di
legna da ardere le pezzature non commerciali.
A seconda dell’impiego, il legno può essere classificato
come combustibile, prodotto da opera oppure da industria.
Combustibile
Comprende la legna da ardere vera e propria allestita in
tondelli, squarti, ciocchi e fascine, ed il carbone vegetale
ottenuto per la trasformazione del legno nelle comuni carbonaie,
nei forni fissi e mobili, in fosse, ecc. Può essere
impiegato per riscaldamento, per produzione di energia in
genere ed anche per scopi industriali. L’impiego dei combustibili
vegetali per riscaldamento è quello di più larga applicazione. Notevole
diffusione ha anche l’uso della legna e del carbone come carburanti
solidi nei gassogeni (dispositivi in grado di produrre gas da una materia
solida), in sostituzione della benzina e della nafta. Nei paesi in via di
sviluppo ancora oggi la siderurgia e la metallurgia fanno largo uso di
carbone vegetale.
Legname da opera
Il legname di maggior valore è destinato alla produzione di mobili, semi
lavorati, infissi ecc. Si distingue in legname da costruzione, legname da
lavoro e legname per usi industriali. Può essere allestito come “tondo”
con o senza corteccia, squadrato con l’ascia a spigolo vivo o smussato e
segato.
A seconda dell’utilizzo del prodotto, il legname da opera viene classificato
in:
1. legname da costruzione, che comprende tutti gli assortimenti messi in
opera allo stato tondo, quadrato e segato, nelle costruzioni edilizie,
stradali, ferroviarie, idrauliche, navali, minerarie, in agricoltura;
2. legname da lavoro, chiamato generalmente “da opera”, è costituito da
assortimenti grezzi o semilavorati che, anziché essere posti in opera
nello stato in cui sono allestiti, vengono sottoposti ad ulteriori lavo-
17

Le risorse forestali della provincia di Lecco
Aspetti gestionali ed ecologici
razioni secondarie (mobili, materiale tornito
o intagliato, botti, cesti e prodotti di
artigianato in genere). Per corrispondere
alle necessità dell’impiego, il legname
viene sottoposto a segagione per ricavarne
tavole, assi, listelli, scandole. Per la
preparazione di un determinato prodotto
finito si richiede l’impiego di idonei assortimenti
e di legname di specie appropriate,
adeguatamente stagionati. Alcuni
legnami, come ad esempio quello di faggio,
possono essere messi in opera dopo
aver subito un trattamento termico, denominato
“processo di vaporizzazione”, finalizzato a migliorarne le
caratteristiche fisico-meccaniche, l’aspetto e la durata. A differenza di
quanto avviene per il legname da costruzione, quello da lavoro viene
tratto non soltanto dal fusto ed eventualmente dai grossi rami (traverse
ferroviarie), ma anche dai polloni, dal ceppo e dalle radici. È
noto, infatti, che molte specie (noce, acero, ecc.) forniscono legname
di ceppaia assai ricercato dai mobilieri per le marezzature di cui è
dotato.
3. legname da industria, che comprende tutti i legnami che nel processo
applicativo cedono alcune delle sostanze in essi contenute, oppure
subiscono una trasformazione fisico-chimica più o meno profonda
come quelli impiegati dalle industrie concianti, tintorie, medicinali,
della pasta meccanica, della cellulosa, della saccarificazione, della
distillazione, della potassa, ecc.
I boschi, oltre alla produzione di legna,
forniscono anche prodotti non legnosi.
La raccolta di piccoli frutti, di castagne,
di funghi e tartufi, costituisce ancora
oggi un importante aspetto della produzione
forestale locale. La raccolta di funghi
e tartufi e la vendita dei permessi ad
essa collegata, in particolare, costituiscono
infatti una non trascurabile fonte
di introiti di alcune realtà montane, dove
la particolare qualità di funghi o di tar-
18

tufi ha caratterizzato l’economia locale anche dal punto di vista turistico.
La fioritura delle diverse specie forestali condiziona, caratterizza e assicura
anche la produzione di svariati tipi di miele, diventando un elemento
fondamentale nella moderna apicoltura, sia stanziale sia nomade.
Non si può infine dimenticare che i boschi sono l’habitat ottimale di
diverse specie cacciabili, diventando per questo un elemento fondamentale
nelle riserve di caccia.
2.2 La funzione ecologica - ambientale
I boschi esplicano anche una funzione protettiva del suolo e delle infrastrutture
urbane, favorendo l’azione di regimazione delle acque, la difesa
dall’erosione, dalle frane, dalle valanghe, dal vento, ecc.
Gli alberi sono in realtà una parte, per quanto essenziale, di un sistema
unitario integrato formato inscindibilmente da suolo e vegetazione, alla cui
costruzione partecipano anche numerosi organismi animali e vegetali.
La funzione protettiva che il bosco svolge nell’arco di tutto l’anno diventa
indispensabile in occasione di eventi idrometeorici di particolare
rilevanza. Con piogge di media intensità l’intercettazione fogliare
dell’acqua meteorica è molto elevata, mentre in caso di precipitazioni di
particolare intensità (oltre 30 mm di pioggia/ora) questa capacità diminuisce
e gli apparati fogliari non trattengono più del 5 – 15% dell’acqua
caduta, a seconda della densità e della stratificazione del bosco. Quando
le piogge si prolungano, le chiome raggiungono la saturazione e lasciano
passare quasi tutta l’acqua intercettata.
Gli apparati fogliari, tuttavia, acquistano grande importanza nella riduzione
della forza viva delle gocce di pioggia, eccezionalmente elevata
durante eventi intensi. A contenere questa energia, con gli alberi concorrono
il sottobosco e la copertura morta.
La vegetazione, attraverso l’intercettazione, l’evaporazione, la traspirazione
e l’assorbimento radicale, contribuisce a ridurre il contenuto di
acqua del versante, che è un fattore d’innesco di potenziali frane, perché
aumenta le forze di taglio e diminuisce quelle di resistenza. Le radici,
inoltre, andando in profondità, aiutano a creare fessurazioni e crepacciature,
aumentando la permeabilità e determinando un rapido allontanamento
dell’acqua dalla superficie. Questo contribuisce alla formazione
di un deflusso sottosuperficiale che raggiunge la rete idrica in modo più
lento rispetto al deflusso superficiale.
19

Le risorse forestali della provincia di Lecco
Aspetti gestionali ed ecologici
Schema degli effetti del bosco per la difesa dall’erosione
idrometeorica
Oltre alla funzione idrologica
la vegetazione svolge un importante
ruolo meccanico, incrementando
la resistenza al
taglio di un terreno, indotta
dalla presenza delle radici, che
legano saldamente la pianta al
substrato con effetto di rinforzo
e trattenuta del terreno.
Svolge un ruolo importante
anche il tipo di suolo e la sua
profondità, in quanto la posizione
del substrato roccioso
rispetto alla superficie influenza
la penetrazione delle
radici alle maggiori profondità.
La capacità di un bosco di disperdere l’umidità nel breve periodo è limitata,
mentre in periodi più lunghi, ad esempio una stagione o un anno,
la dispersione di umidità nell’atmosfera è elevata, limitando le oscillazioni
stagionali legate alla temperatura atmosferica. E’ infatti noto che
nei periodi caldi la vicinanza di un bosco determina temperature più miti
e una maggiore umidità ambientale, con sicuro vantaggio sulla qualità
della vita delle popolazioni locali.
IL BOSCO E LA PROTEZIONE DALL’EROSIONE
Lungo le pendici ben rivestite di bosco, gli ostacoli frapposti dalla
vegetazione abbassano la velocità del deflusso superficiale a un
quarto di quella che si avrebbe sullo stesso pendio denudato. Poiché
l’erosione varia con il quadrato della velocità del deflusso, in un
buon popolamento forestale stratificato l’energia erosiva scende teoricamente
ad un sedicesimo di quella che, a parità di pioggia, può
svilupparsi nei terreni nudi.
Queste considerazioni possono in parte spiegare perché nei boschi
efficienti l’erosione superficiale sia scarsa o nulla, mentre raggiunge
valori elevati nei terreni agrari mal sistemati o lasciati incustoditi,
ma anche nei boschi eccessivamente diradati.
Benché l’azione idrologica epigea (chioma e fusti) del bosco sia per
più aspetti di indubbio rilievo, nel caso di piogge torrenziali gli effetti
20

che il sistema forestale svolge nella sfera ipogea (radici), dove sono
preminenti le proprietà e la profondità del suolo, appaiono, su un
piano diverso, di portata forse superiore.
Per i boschi dei nostri climi in discrete condizioni si può ritenere a
titolo indicativo:
• che la velocità d’infiltrazione dell’acqua sia di norma elevata o
elevatissima, d’un ordine di grandezza, a deflusso costante, non
inferiore a 3-5 mm/min, tale da impedire lo scorrimento superficiale
anche con piogge di oltre 100 mm/h;
• che la capacità di ritenzione idrica (mesopori) equivalga ad un’altezza
di 60-80 mm di pioggia;
• che il potere di detenzione idrica (macropori) corrisponda ad
un’altezza di 200-400 mm di pioggia.
Sommando l’acqua intercettata dagli apparati fogliari con quella di
ritenzione, un bosco provvisto di caratteri appena discreti appare
quindi verosimilmente capace di sottrarre al deflusso un’altezza d’acqua
pari a circa 70 mm e di trattenerne temporaneamente nei macropori
una quantità da 4 a 5 volte maggiore. L’acqua contenuta nei
macropori si muove all’interno del suolo con velocità rallentata e ciò
porta ad una decapitazione delle punte da piena distribuendo questa
in tempi che, riferiti all’inizio delle piogge, risultano da 2 a 7 volte
maggiori. Se le piogge sono prolungate e pur con modeste intensità
raggiungono una notevole altezza, il sistema soprassuolo-suolo,
esaurita la propria capacità dispersiva, lascia defluire, moderandone
sempre la velocità, ogni ulteriore quantità di acqua. Invece, con
piogge di breve durata e di forte intensità, ma di non grande altezza,
i boschi efficienti possono essere in grado di catturare tutta l’acqua
caduta, a meno di rare eccezioni che dovrebbero comunque avere
brevissima durata.
2.2.1 La protezione delle risorse idriche
I boschi svolgono un ruolo attivo nella salvaguardia e preservazione
delle risorse idriche del territorio: migliorano la qualità delle acque superficiali
e sotterranee e con l’evapotraspirazione favoriscono il “ciclo
dell’acqua”, contribuendo al mantenimento di questa risorsa fondamentale.
Questa funzione è tanto più efficace quanto più il sistema forestale
si trova in equilibrio.
21

Le risorse forestali della provincia di Lecco
Aspetti gestionali ed ecologici
Ciclo schematico dell'acqua
2.2.2 La tutela della biodiversità
Le formazioni forestali sono fondamentali per la conservazione
della biodiversità. La gestione forestale attiva assicura
la conservazione di condizioni ecologiche che
difficilmente potrebbero crearsi autonomamente.
Tali condizioni, infatti, sono il risultato del dinamismo e
della diversità delle formazioni boschive e del paesaggio,
che permettono il mantenimento di popolazioni animali e
vegetali che altrimenti si troverebbero svantaggiate in condizioni
di ridotta varietà ambientale.
Negli ultimi decenni, purtroppo, il venir meno di interventi
di gestione forestale ha comportato un impoverimento ecologico
generale del territorio boscato, nel quale si sono evolute
formazioni forestali meno varie o deperienti e con
scarso valore di biodiversità.
22

2.2.3 La fissazione dei gas serra
Le foreste hanno un ruolo fondamentale nel ciclo del carbonio, scambiando
grandi quantità di CO 2
con l’atmosfera e svolgendo un’azione di
riequilibrio nel bilancio globale delle emissioni di tale gas. Gli alberi e
gli altri vegetali assorbono CO 2
dall’atmosfera e attraverso il processo di
fotosintesi elaborano il carbonio in zuccheri e altri composti necessari
per la crescita e il metabolismo, utilizzando l’energia solare.
Il carbonio assorbito dagli alberi viene immagazzinato nei tessuti del
legno, oppure viene incorporato nel suolo sotto forma di sostanza organica,
dove può permanere per periodi più o meno lunghi prima di essere
rilasciato. Con la decomposizione biologica dei tessuti vegetali o della
sua combustione del legno il carbonio viene nuovamente emesso nell’atmosfera
sotto forma di CO 2
e di altri gas.
La funzione fissativa del legno si prolunga inoltre nel tempo se il materiale
grezzo viene trasformato in oggetti, quali attrezzi e mobili, o impiegato
per la costruzione di edifici.
Questa capacità di fissare il carbonio ha acquistato negli ultimi anni
anche un potenziale valore di mercato, grazie al Protocollo di Kyoto e ai
certificati verdi.
Schema del ciclo del carbonio
23

Le risorse forestali della provincia di Lecco
Aspetti gestionali ed ecologici
IL PROTOCOLLO DI KYOTO
Il protocollo siglato nel 1997 a Kyoto nell’ambito della Convenzione
Internazionale sui Cambiamenti Climatici prevede che l’Italia, analogamente
agli altri Paesi sottoscrittori, riduca nel periodo 2008- 2012
le proprie emissioni di anidride carbonica dell’8% rispetto al valore
del 1990. Il Protocollo di Kyoto prevede che nel computo della riduzione
delle emissioni si possano considerare gli assorbimenti o le
emissioni determinati dalle variazioni della superficie forestale (conseguenti
ad azioni di afforestazione, riforestazione o deforestazione
(ARD) avvenute dopo il 1990) e gli assorbimenti determinati dalla
crescita delle foreste e indotti dall’ordinaria gestione forestale.
Il protocollo, inoltre, impegna ogni Paese a realizzare l’inventario dei
flussi e degli stock di carbonio accumulati nelle foreste e nelle piantagioni
forestali e ad aggiornarli periodicamente. In attuazione di tali indicazioni
l’Italia ha istituito un proprio Registro Nazionale dei Serbatoi
di Carbonio Agro-Forestali, uno strumento di certificazione delle quantità
di carbonio assorbito dai sistemi agrari e forestali nazionali.
La gestione forestale e in particolare l’aumento della massa e della
superficie forestale può rappresentare un valido strumento per la
compensazione delle maggiori quantità di gas serra emessi in conseguenza
delle attività antropiche.
2.3 La funzione sociale
Negli ultimi decenni è aumentato il valore e l’importanza delle funzioni
che il bosco svolge per la qualità della vita delle popolazioni.
L’attuale civiltà industriale e post-industriale
ha creato nei centri urbani condizioni
di vita per l’uomo sempre meno
“naturali” e ciò valorizza, di conseguenza,
l’importanza dei servigi resi da un ambiente
di tipo naturale come il bosco per
il benessere dell’uomo. Negli ultimi decenni
la funzione turistico–ricreativa ha
assunto un peso crescente nell’utilizzo
dell’“ambiente bosco“ da parte dell’uomo.
Indagini condotte in Italia per valutare
l’entità del fenomeno dell’uso ricreativo
24

del bosco hanno infatti evidenziato che la popolazione
che frequenta i boschi a scopo ricreativo
è in crescita. Il valore dei boschi dal punto di
vista turistico rappresenta una grande risorsa
per le zone di montagna, che proprio grazie al
paesaggio di cui i boschi fanno parte, riescono
a sostenere una parte dell’economia locale.
Una grande risorsa economica “naturale” è
senza dubbio il paesaggio, definito come
“quell’insieme di caratteristiche fisiche, biologiche
ed antropiche che coesistono in una certa
porzione del territorio” (Pedrotti, 1970, citato da Chiusoli 1999; Gianola,
1993). Gli elementi che concorrono alla definizione della percezione
dell’ambiente circostante sono diversi, tra i quali ricordiamo: il profilo
orografico, i colori (intensità e combinazione), l’alternanza delle formazioni
naturali e dei coltivi, la presenza di specchi d’acqua, i filari, le
tracce della presenza dell’uomo (case, coltivazioni, chiese, ponti, resti
archeologici, ecc.), i diversi piani della profondità visiva. Nel paesaggio
agro-forestale il bosco è sicuramente l’elemento principale (funzione
paesaggistica).
Nel concetto di paesaggio vanno considerati anche i rapporti spaziali tra
le diverse componenti. In genere il paesaggio più gradevole per l’osservatore
è formato dall’alternanza di superfici aperte ed aree boscate (alternanza
di forme); al contrario, paesaggi omogenei sono percepiti come
monotoni e suscitano meno emozioni. Allo stesso modo delle forme sono
percepiti i colori; per questo motivo sono importanti le variazioni cromatiche,
come ad esempio le diverse tonalità del verde delle foglie, la presenza
di macchie di colori vivaci e diversi (fioriture primaverili e livree
autunnali). In questo senso assume rilevanza il
mantenimento dei boschi misti e la presenza di
alcune specie dotate di pregio cromatico. Tutelare
il paesaggio significa anche tentare di conservare
il valore culturale dei luoghi; in questo
contesto il bosco diventa l’elemento del paesaggio
inteso come oggetto della ricerca storica,
in quanto possiede i segni dell’attività
economica, della tecnica, della vita sociale e del
lavoro dell’uomo di epoche passate.
25

Le risorse forestali della provincia di Lecco
Aspetti gestionali ed ecologici
3. I primi attori della filiera
bosco-legno-energia e i prodotti
forestali dei boschi lecchesi
Il comparto forestale è il primo anello della filiera bosco-legno-energia
in quanto fornisce la materia prima che alimenta gli altri due segmenti:
l’industria del legno e la produzione di energia.
I principali attori di questo comparto sono i consorzi forestali, le imprese
boschive e le aziende agricole.
3.1 I consorzi forestali
Negli ultimi decenni il patrimonio agro-silvo-pastorale lombardo è andato
sempre più perdendo l’importanza economica che per secoli ha rivestito
per le popolazioni e in taluni casi per la loro sopravvivenza.
L’evoluzione della società avvenuta nel secondo dopoguerra, da contadina
a industriale, ha portato a un graduale abbandono della gestione
dei boschi e dei pascoli. Ciò ha comportato un ridimensionamento della
primaria funzione produttiva ed economica che il bosco ha svolto
nell’arco dei secoli per le popolazioni di montagna.
Per fronteggiare questa situazione e il conseguente abbandono colturale
di ampie porzioni del proprio territorio, la Regione Lombardia ha promosso
la costituzione e l’attivazione dei
consorzi forestali come forma di associazionismo
tra proprietari pubblici e privati
e tra imprese operanti nel settore, per la
gestione diretta del patrimonio agrosilvo-pastorale.
I consorzi forestali hanno
lo scopo di promuovere lo sviluppo
dell’attività agro-silvo-pastorale nell’ambito
dei comprensori direttamente gestiti,
individuando strategie e interventi pianificatori
idonei.
I consorzi sono i gestori diretti del territorio,
ma anche fornitori di una vasta
26

gamma di servizi ambientali, quali ad esempio consulenze tecniche, formazione
di manodopera specializzata, promozione del turismo naturalistico,
attività di educazione ambientale, certificazione dei prodotti, e
molti altri.
A livello giuridico l’idea di una gestione associata dei patrimoni silvopastorali
nasce già nel 1923 con il Regio Decreto n° 3267, che prevedeva
la possibilità di costituire aziende speciali per la gestione dei boschi e dei
pascoli di proprietà dei comuni e di altri enti. La successiva legislazione
del settore forestale ha confermato la necessità di forme associate di
gestione, sostenendo la costituzione dei consorzi forestali.
Nell’attuale concezione lo strumento consortile forestale, pur essendo
stato ideato per comprensori con attività silvo-pastorali già avviate, può
essere utilizzato anche per promuovere il rilancio e la riqualificazione
ambientale di aree non strettamente produttive e perciò maggiormente
idonee all’applicazione di forme di gestione diversificate ed estensive.
I consorzi, dovendosi dotare di personale qualificato e specializzato, permettono
a realtà fragili e marginali di affrontare in modo più funzionale
tutti i processi di valorizzazione ed utilizzazione dei territori boscati e
montani.
Secondo la normativa vigente le condizioni necessarie per il riconoscimento
regionale di un consorzio sono:
• la gestione diretta del patrimonio silvo-pastorale conferito dai soci;
• una superficie silvo-pastorale conferita di almeno 500 ettari se i terreni
sono prevalentemente in pianura e collina, o 1.000 ettari se i
terreni sono prevalentemente in montagna;
• la dimostrazione di una gestione economica sostenibile del consorzio,
tramite il piano triennale dei lavori e il relativo bilancio economico;
• la presenza di almeno un tecnico laureato in materie agro-forestali
con funzioni di direttore.
Dal punto di vista strettamente forestale i consorzi gestiscono direttamente
il bosco, ne pianificano la gestione attraverso la redazione di piani
di assestamento forestale, eseguono la manutenzione e l’ampliamento
della viabilità agro-silvo-pastorale e le operazioni di selvicoltura e utilizzazione
boschiva.
Attualmente sul territorio della provincia di Lecco sono presenti due
consorzi forestali: il Consorzio forestale Lecchese, con sede a Barzio
(LC), e il Consorzio agro-silvo pastorale Valle San Martino, con sede a
Pontida (BG).
27

Le risorse forestali della provincia di Lecco
Aspetti gestionali ed ecologici
3.2 Le ditte boschive
Le ditte boschive sono imprese con competenze
e professionalità specifiche nella
gestione selvicolturale e rappresentano
l’evoluzione professionale moderna di ciò
che in passato erano i tagliaboschi o boscaioli.
Le moderne ditte boschive hanno specifiche
competenze legate non solo al taglio
del bosco e alle operazioni connesse, ma
anche quelle dirette alla realizzazione di
opere di ingegneria naturalistica e alla
manutenzione della viabilità forestale.
Le aziende boschive devono essere iscritte in apposito albo regionale
(L.R. 31/2008, art. 57). L’iscrizione all’albo è possibile per le ditte che
posseggono adeguate capacità tecnico-professionali, una buona organizzazione
del lavoro e non aver ricevuto gravi sanzioni nel settore delle
attività selvicolturali.
Le imprese iscritte all’albo possono ottenere in gestione aree silvo-pastorali
di proprietà pubblica o che sono in possesso di enti pubblici.
Molte imprese boschive della Lombardia sono raggruppate nell’Associazione
Regionale Imprese Boschive della Lombarde (www.aribl.it)
Le imprese boschive lecchesi iscritte all’albo sono 15; l’albo è consultabile
sul sito internet della Direzione Generale Agricoltura della Regione
Lombardia (www.agricoltura.regione.lombardia.it).
3.3 Le aziende agricole
Le aziende agricole da sempre hanno rivestito
un importante ruolo nella gestione
del patrimonio agro-silvo-pastorale, amministrando
i pascoli per il bestiame
d’estate, i prati per il fieno e i boschi per
la produzione di legna.
Negli ultimi anni quest’attività di governo
del territorio è diminuita, vista la generale
contrazione dell’importanza economica
dell’agricoltura per le popolazioni locali,
ma disposizioni normative nazionali e re-
28

gionali promuovono e favoriscono il
coinvolgimento attivo delle imprese agricole
nella manutenzione e sistemazione
del territorio (D. Lgs. 18 maggio 2001, n.
228, artt. 14 e 15). La Regione Lombardia,
per il territorio montano, con D.G.R.
VII/15276 del 28.11.2003 ha emanato
“Disposizioni per il coinvolgimento delle
aziende agricole nella manutenzione del
territorio rurale e montano”, ha istituito
l’Albo delle imprese agricole qualificate
per favorire il coinvolgimento delle imprese
agricole delle zone svantaggiate
nella gestione del patrimonio agro-silvopastorale
(Legge regionale 5 Dicembre 2008, n. 31, Capo IV).
Le opportunità per le imprese agricole sono molteplici e si attuano con
l’affidamento diretto, da parte degli enti pubblici, di lavori forestali nelle
zone montane.
L’impresa è coinvolta in due modi differenti:
• direttamente, presentando domanda di contributo su specifici bandi di
finanziamento, sia come proprietaria dei terreni sui quali intende intervenire,
sia in qualità di concessionaria (a titolo gratuito) di terreni
di proprietà pubblica. L’impresa agricola che vuole ottenere gli aiuti
non deve necessariamente essere proprietaria o affittuaria dei terreni
oggetto di intervento; infatti può eseguire i lavori anche su proprietà
pubbliche, richiedendo all’Ente proprietario dei terreni l’affidamento
temporaneo in concessione, mediante specifica convenzione;
• indirettamente, come affidataria di lavori pubblici per interventi legati
alla manutenzione del bosco, alle opere di sistemazione idraulicoforestali
e alle manutenzioni di strade agro-silvo-pastorali.
Per informazioni sui bandi regionali e le possibilità operative è opportuno
che le imprese agricole contattino le comunità montane.
3.4 I prodotti forestali
Diversi sono i prodotti forestali dei boschi lecchesi. Molto importante è
la produzione di legna “da energia” (legna da ardere, combustibile per le
centrali a biomasse), alla quale segue la produzione di paleria di castagno
e solo in piccola parte la produzione di legname da opera.
29

Le risorse forestali della provincia di Lecco
Aspetti gestionali ed ecologici
3.4.1 Legna da ardere
È la forma tradizionale di utilizzo del
legno per produrre energia. Generalmente
è costituita da legna in pezzi, cioè tronchetti
di 20-40 cm di lunghezza impiegati
per alimentare camini, stufe e caldaie a
carica manuale. E’ il prodotto più remunerativo
per le aziende agricole e boschive,
anche di piccole dimensioni, che
lo producono poiché non comporta grossi
investimenti di tempo e risorse finanziarie
e sul mercato locale la richiesta è sempre
elevata.
Le operazioni di taglio, esbosco e depezzatura
vengono effettuate con l’impiego delle attrezzature normalmente
in dotazione a ciascuna ditta boschiva, come motoseghe, palorci, blonden,
trattore e rimorchio, spaccalegna professionale.
Il materiale, prima dell’utilizzo, deve essere sottoposto ad essiccazione
naturale per ridurne il contenuto di umidità, la quale incide notevolmente
sul potere calorifico del legno.
La legna in pezzi in genere raggiunge il grado di essiccazione ottimale
in 8-12 mesi, lasciando circolare l’aria naturalmente all’interno delle
cataste, debitamente protette dalle precipitazioni ed eventualmente sollevate
da terra.
3.4.2 Paleria di castagno
E’ uno dei prodotti principali derivanti
dall’utilizzo delle aree a ceduo di castagno,
che valorizza gli assortimenti con
diametri medio-piccoli, non utilizzabili
come legname da opera.
La paleria di castagno ha la caratteristica
di resistere molto bene alle intemperie grazie
all’elevata concentrazione di tannini
(antibatterici e antifungini naturali). Queste
caratteristiche lo rendono un prodotto
che trova una buona collocazione sul mercato,
con prezzi remunerativi per l’impresa
30

forestale. E’ molto utilizzato anche per le
opere di ingegneria naturalistica.
La paleria di castagno è utilizzata nelle
attività agricole come sostegno, palo da
recinzione o per la costruzione di diversi
manufatti quali pergole o strutture che
devono resistere alle intemperie. La provenienza
locale e la naturalità del prodotto
lo rende il materiale più richiesto
per lavori di particolare pregio (parchi,
aree protette).
3.4.3 Legname da opera
Il legname proveniente dall’utilizzazione
di boschi gestiti ad alto fusto, avente dimensioni
adeguate, opportunamente depezzato in fase di allestimento,
viene trasferito presso le segherie dove è lavorato nei differenti formati
necessari alle industrie del legno, delle costruzioni e per la produzione di
lavorati e semilavorati (segato, tondame, tranciato, sfogliato, lamellare,
mobili).
Data la limitata estensione di boschi idonei alla produzione di legname
da opera e la generale concorrenza con il legname estero, la produzione
lecchese di legno destinato a diventare legname da opera è scarsa.
Gli assortimenti che non possono essere trasformati in legname da opera
o paleria e gli scarti di queste lavorazioni sono utilizzati per la produzione
di energia.
3.4.4 Cippato di legno
Si tratta di scaglie di legno della dimensione
di 2 - 5 cm ottenute dallo sminuzzamento
della legna. La produzione di
cippato è principalmente effettuata partendo
da ramaglie, scarti di potatura e
residui prodotti dalle industrie del legno,
dei quali viene notevolmente incrementato
il valore aggiunto.
Non è consigliabile, invece, destinare a
cippato legname che potrebbe essere venduto
come legna a pezzi, poiché il prezzo
31

Le risorse forestali della provincia di Lecco
Aspetti gestionali ed ecologici
di mercato del cippato è inferiore ed è gravato dai costi di produzione e
dell’ammortamento della cippatrice.
La produzione del cippato può rappresentare una buona integrazione di
reddito per le aziende che lavorano legname di scarsa qualità, che grazie
al processo di sminuzzamento acquista valore commerciale.
Il cippato è un ottimo prodotto per l’alimentazione di caldaie di impianti
di medie-grandi dimensioni a caricamento automatico ed è attualmente
il combustibile utilizzato nella maggior parte degli impianti a biomassa
realizzati in Lombardia.
32

4. Gli Enti Forestali e funzioni conferite
A partire dal 1998 la Regione Lombardia ha conferito la maggior parte
delle funzioni e delle competenze amministrative in materia forestale alle
Comunità Montane e ai Parchi per i rispettivi territori di competenza
amministrativa e alle Province per la
restante parte del territorio provinciale.
L’attuale riferimento normativo
è contenuto nella L.R. 31/2008, art.
34, comma 2 e comma 3.
Rimangono di competenza regionale le
attività di indirizzo, coordinamento,
controllo, programmazione e ricerca in
ambito forestale (art. 33).
4.1 Le competenza degli enti forestali
Le competenze forestali attribuite agli
enti, nell’ambito dei rispettivi territori
di competenza, riguardano gli interventi
in materia di forestazione, silvicoltura
e arboricoltura, compresi
l’assestamento e la pianificazione dei
beni silvo-pastorali, l’organizzazione
delle squadre antincendi boschivi, gli
interventi per la realizzazione, il ripristino
e la manutenzione di infrastrutture
al servizio delle attività
agro-silvo-pastorali, l’attuazione dei
lavori di pronto intervento, i contributi
per l’acquisto di macchine per la
meccanizzazione forestale, i contributi
per l’abbandono produttivo dei
terreni coltivati e gli incentivi per il
rimboschimento, il vincolo idrogeologico.
Parco del Lambro
Comunità montana Valsassina, Valvarrone, Val d'Esino e Riviera
Parco della Grigna Settentrionale
Comunità Montana Lario Orientale
Parco Monte Barro
Ammistrazione Provinciale
Ammistrazione Provinciale
Parco di Montevecchia e Valle del Curone
Comunità Montana Valle San Martino
Parco Adda Nord
33

Le risorse forestali della provincia di Lecco
Aspetti gestionali ed ecologici
4.1.1 Le attività selvicolturali (gestione del bosco)
Sono tutti gli interventi, diversi dalla trasformazione del bosco, relativi
alla gestione forestale come i tagli di utilizzazione, gli sfolli, i diradamenti,
le cure colturali, la difesa fitosanitaria, gli interventi di realizzazione,
manutenzione ordinaria e straordinaria della viabilità
agro-silvo-pastorale vietata al transito ordinario, le opere di sistemazione
idraulico-forestale, nonché i rimboschimenti e gli imboschimenti.
Le funzioni svolte dagli enti sono:
• autorizzare le attività selvicolturali; effettuare controlli sulle attività
selvicolturali autorizzate; svolgere le funzioni di vigilanza e di accertamento
in materia forestale; ordinare e verificare il ripristino dei
luoghi in caso di danni ai boschi; promuovere l’assistenza tecnica
specializzata verso i proprietari di boschi;
• approvare i piani di assestamento forestale;
• provvedere direttamente alla realizzazione degli interventi di manutenzione
e ripristino delle superfici forestali qualora siano in corso
gravi processi di degrado o vi siano motivi di pubblica incolumità.
4.1.2 La lotta agli incendi boschivi
Gli incendi boschivi sono la principale causa di distruzione e depauperamento
dei boschi regionali.
Per limitare il più possibile gli incendi la Regione Lombardia insieme alle
Province, alle Comunità Montane e ai Parchi Regionali ha istituito un
servizio antincendio all’avanguardia a livello nazionale.
Nell’organizzazione dell’attività antincendio boschivo sono di competenza
locale:
• l’attuazione delle iniziative di previsione, prevenzione e lotta attiva
agli incendi boschivi, nonché le attività di formazione e informazione,
avvalendosi anche del supporto del volontariato, specificatamente
organizzato, addestrato ed equipaggiato;
• l’espletamento delle attività necessarie per il rispetto dei divieti e delle
prescrizioni di cui all’articolo 10 della legge 353/2000 (Legge quadro
in materia di incendi boschivi);
• l’espletamento delle attività previste dal piano regionale antincendio
boschivo della Regione Lombardia.
4.1.3 La trasformazione del bosco
Si intende per trasformazione del bosco ogni intervento artificiale che
comporta l’eliminazione della vegetazione esistente e l’asportazione o la
34

modifica del suolo forestale, finalizzato
ad una utilizzazione diversa da quella
forestale. Per esempio, costruire in bosco
è un intervento di trasformazione d’uso,
mentre il taglio colturale del bosco (per
ricavare legname, per pulire il bosco ecc.)
rientra fra le “attività selvicolturali”.
Gli interventi di trasformazione del
bosco sono autorizzabili compatibilmente
con la conservazione della biodiversità,
la stabilità dei terreni, il regime
delle acque, la difesa dalle valanghe e
dalla caduta dei massi, la tutela del paesaggio,
l’azione frangivento e di igiene
ambientale locale.
Il soggetto autorizzato è tenuto ad eseguire interventi compensativi finalizzati
a realizzare:
• attività selvicolturali, in aree con elevato coefficiente di boscosità;
• nuovi imboschimenti, in aree scarsamente dotate di boschi e perciò
classificate con basso coefficiente di boscosità.
Gli interventi di trasformazione del bosco, autorizzati per svolgere le
attività agro-silvo-pastorali e conservare l’ambiente e il paesaggio, sono
esentati dagli obblighi di compensazione, entro i limiti previsti dagli
strumenti di pianificazione forestale.
Gli Enti gestori di Parchi e Riserve Regionali, le Comunità Montane e le
Province, nei territori di rispettiva competenza amministrativa, in caso
di trasformazione d’uso del suolo e del bosco:
• rilasciano le autorizzazioni alla trasformazione del bosco;
• stabiliscono la natura delle misure compensative e la localizzazione
degli interventi;
• effettuano controlli e irrogano, se necessario, le sanzioni.
4.1.4 La pianificazione forestale
Si rimanda al capitolo 5.
35

Le risorse forestali della provincia di Lecco
Aspetti gestionali ed ecologici
5. La pianificazione forestale
La pianificazione forestale è finalizzata alla programmazione razionale
degli interventi selvicolturali e di taglio dei boschi, allo scopo di migliorarne
le caratteristiche ecologiche e produttive e ricavarne, nel contempo,
beni e servizi.
In ambito regionale gli strumenti di pianificazione forestale previsti sono
due: il Piano di Indirizzo Forestale (PIF) e il Piano di Assestamento Forestale
(PAF).
5.1 Il Piano di indirizzo forestale
Il piano di indirizzo forestale (P.I.F.) è lo strumento utilizzato dall’Ente
Forestale per pianificare e delineare gli obiettivi e le linee di gestione di
un intero ambito territoriale, comprendente tutte le proprietà forestali,
con particolare riguardo alla salvaguardia, alla difesa idrogeologica e
alla regolamentazione della trasformazione del bosco.
Province, Comunità Montane e Parchi Regionali sono tenuti a redigere
il piano di indirizzo forestale per il territorio di rispettiva competenza.
La norma regionale assegna al piano di indirizzo forestale le seguenti
finalità: analisi e pianificazione del territorio boscato e pastorale, definizione
delle linee di indirizzo per la gestione dei popolamenti forestali,
ipotesi di intervento con quantificazione delle risorse necessarie e delle
possibili fonti finanziarie, raccordo e coordinamento tra la pianificazione
forestale e la pianificazione territoriale.
I piani di indirizzo forestale hanno un ruolo fondamentale per le procedure
di autorizzazione alla trasformazione del bosco, delimitando le aree
dove la trasformazione può essere autorizzata, definendo le modalità e i
limiti per le autorizzazioni alla trasformazione del bosco e, infine, stabilendo
tipologie, caratteristiche qualitative e quantitative e localizzazione
dei relativi interventi di natura compensativa.
All’interno del piano sono definite le strategie e le proposte di intervento
per lo sviluppo del settore silvo-pastorale, nonché le proposte di
priorità di intervento nella concessione di contributi pubblici.
Ulteriori obiettivi specifici del piano di indirizzo forestale sono:
• la valorizzazione funzionale e multifunzionale dei soprassuoli boscati
e dei popolamenti arborei in genere;
36

• la proposta di scenari di sviluppo compatibili con il miglioramento
della qualità ambientale, mediante l’individuazione di progetti strategici
per il territorio di riferimento del piano;
• la conservazione del mosaico ambientale e del paesaggio rurale, tutelando
o promuovendo le forme tradizionali di gestione del territorio
anche come forma di preservazione del patrimonio culturale locale;
• la conservazione, la tutela e il ripristino degli ecosistemi naturali
rari;
• la tutela idrogeologica del suolo;
• il censimento, la classificazione ed il miglioramento della viabilità
silvo-pastorale;
• il rilancio fruitivo del territorio boscato e non, attraverso l’istituzione,
l’ampliamento e il rafforzamento di una rete di boschi ricreativi, di
aree di sosta, di ambiti di valorizzazione delle emergenze naturali e
culturali presenti.
5.2 Il Piano di assestamento forestale
Una possibile definizione di assestamento forestale è ”pianificazione nel
tempo e nello spazio delle attività selvicolturali, affinché il bosco possa
continuare ad erogare i suoi benefici e servizi, nel modo più utile e perpetuamente”
(Hellrigl B., 1996).
Ad oggi gran parte dei boschi pubblici presenti sul territorio regionale e
parte di boschi di proprietà privata sono gestiti secondo le previsioni di
un piano di assestamento dei beni silvo-pastorali.
La redazione di un piano di assestamento forestale prevede diverse fasi:
• l’analisi e la descrizione del territorio (complesso assestamentale),
nonché dell’ambiente socio economico e bio-fisico cui appartiene il
territorio stesso;
• la suddivisione dell’area in ambiti funzionali omogenei (comprese),
attribuendo a ciascuno di essi un obiettivo da perseguire, e in unità
gestionali (particelle assestamentali) caratterizzate da una “funzione
prevalente”;
• gli interventi necessari per raggiungere gli obiettivi di gestione prescelti;
• i lavori di miglioramento o ampliamento delle infrastrutture presenti,
in modo da rendere possibili i diversi interventi previsti e permettere
la gestione del territorio;
• la definizione degli orientamenti tecnici, economici ed organizzativi
che permettano una gestione aziendale più razionale ed economica.
37

Le risorse forestali della provincia di Lecco
Aspetti gestionali ed ecologici
6. Gli aspetti selviculturali
ed infrastrutturali
6.1 I sistemi selvicolturali
Il ”sistema selvicolturale” indica l’insieme delle operazioni attuate per la
coltivazione, l’utilizzazione e la rinnovazione del bosco (Piussi, 1994).
Esso rappresenta, quindi, le forme di governo e di trattamento applicate
ad un bosco.
Il sistema di rinnovazione del bosco individua il governo, del quale
vengono riconosciute due fondamentali forme:
a) ceduo: soprassuolo in cui la maggior parte dei soggetti è di origine
agamica (nati da ceppaia) e l’età media dei polloni, ovvero il numero
di anni intercorsi dall’ultima utilizzazione ordinaria, non supera i
quarant’anni;
b) fustaia: soprassuolo in cui oltre l’ottanta per cento della copertura è
costituita da soggetti nati da seme.
Una forma di governo intermedia è il ceduo composto, dove sullo stesso
soprassuolo coesistono piante nate da seme e piante di origine agamica
(ceduo sotto fustaia).
6.1.1 Cedui
Nei boschi cedui la pratica anticamente più utilizzata è il taglio raso,
ossia il taglio di tutti gli alberi presenti su una determinata superficie con
un unico intervento. In questo caso la ricrescita
del bosco è garantita dalla capacità
pollonifera delle piante (ovvero il
ricaccio di nuovi getti dalle ceppaie tagliate)
che permette la riproduzione agamica
(non sessuale) del bosco. Questo
tipo di ceduo, oggi assai raro, è adottato
in presenza di specie con elevata facoltà
pollonifera (ad esempio la robinia) e dove
non vi siano altri scopi per il rilascio di
matricine, quali ad esempio la conservazione
delle specie meno frequenti, condi-
38

zioni per favorire la presenza di
determinate specie animali, ecc. Il turno
in questo tipo di ceduo è solitamente
piuttosto breve (10-15 anni).
Altra pratica utilizzata nei boschi con governo
a ceduo è la matricinatura, ossia la
salvaguardia, nelle fasi di taglio, di alcune
piante di specie pregiate nate da
seme, denominate matricine. Questa pratica
assicura una migliore copertura del
suolo e la produzione di semi al fine di
favorire la diffusione delle specie pregiate
e la riproduzione sessuale o gamica del
bosco. Le matricine, o allievi, vengono
scelte fra i migliori soggetti presenti al momento del taglio del ceduo
(polloni sviluppati, ben conformati ed affrancati, piante nate da seme in
buone condizioni vegetative e di portamento); le matricine sono tagliate
solitamente in corrispondenza del successivo taglio del ceduo.
Un ceduo matricinato potrà essere gestito successivamente come ceduo
composto, procedendo al taglio della componente a ceduo ed alla salvaguardia
attiva della componente ad alto fusto, tramite tagli saltuari.
Il ceduo composto è una forma di governo che prevede la coesistenza,
sulla medesima superficie, del ceduo e di una fustaia, costituita da matricine
di diverse età, multiple del turno del ceduo, ed in numero decrescente
con l’età stessa. La struttura del popolamento è in genere tipicamente biplana,
con un piano dominante dato dalle matricine di età più elevata ed
un piano dominato dato dai polloni del ceduo e dagli allievi.
Altra pratica è il ceduo a sterzo ossia un sistema che prevede una struttura
con polloni avvicendati sulla medesima ceppaia in tre classi di età. Con il
taglio a sterzo si eliminano tutti i polloni di età più vecchia e si diradano
quelli della classe intermedia, lasciando così quelli di età più giovane che
garantiscono una buona protezione del suolo. Questa tipologia di taglio
ben si adatta a quelle specie che tollerano l'ombra, quali il faggio.
6.1.2 Fustaie
La forma di gestione più diffusa è il taglio saltuario, un trattamento che
solitamente si applica nelle fustaie multiplane ed ha lo scopo di raccogliere
il prodotto finale, facilitare l’insediamento di nuova rinnovazione,
effettuare interventi colturali e conservare la struttura multiplana. In
39

Le risorse forestali della provincia di Lecco
Aspetti gestionali ed ecologici
genere si tagliano le piante mature di
grosso diametro, soprattutto in presenza
di rinnovazione già affermata, e si opera
una selezione a livello dei diametri medi
ed inferiori, cercando di conferire al
bosco una situazione equilibrata in termini
di composizione specifica e di ripartizione
dei diametri. L’obiettivo finale è
conciliare le esigenze produttive con un
minimo impatto sull’ambiente. Questa
forma di trattamento è il principio su cui
si basa la selvicoltura naturalistica.
Per favorire la rinnovazione naturale del
soprassuolo è importante eseguire i tagli
successivi, una sequenza di tagli ripetuti a breve intervallo di tempo (10-
20 anni). Il primo taglio è denominato taglio di sementazione e mira a
produrre condizioni favorevoli per l’insediamento del novellame; seguono
poi tagli secondari che servono ad allargare la copertura prodotta
dalle chiome e, infine, il taglio di sgombro, che lascia un giovane novelleto
coetaneo. Questa tipologia di taglio viene solitamente effettuata nei
boschi disetanei, ossia costituiti da piante di diversa età.
Un’altra forma di gestione delle fustaie coetanee è il taglio a raso, che
consiste nel taglio di tutti gli alberi presenti su una determinata superficie
con un unico intervento. Le norme forestali della Lombardia vietano
questa pratica selvicolturale. Per limitare l’impatto sul paesaggio e
sull’ambiente delle attività selvicolturali
e favorire la rinnovazione naturale del
popolamento, le fustaie coetanee sono
normalmente gestite tramite tagli a buche
o a strisce, ossia intereventi di taglio integrale
su una superficie ridotta, in genere
di forma circolare o quadrata, di
ampiezza variabile a seconda dell’altezza
degli alberi presenti.
6.1.3 Le conversioni all’alto fusto
È possibile cambiare la forma di governo
di un bosco, ossia il modo di tagliare e
curare il bosco, attraverso mirati inter-
40

venti selvicolturali detti di “conversione”. Questi interventi, attuati prevalentemente
nelle aree protette e su soprassuoli di proprietà pubblica,
sono finalizzati ad ottenere dei soprassuoli con migliore azione regimante
nei confronti delle acque meteoriche, con un elevato valore naturalistico,
una maggiore fruibilità turistica e una minore suscettibilità agli
incendi boschivi. A seconda delle condizioni colturali del bosco e degli
obiettivi prefissati le conversioni all’alto fusto possono essere realizzate
anche per via naturale. L’invecchiamento del bosco ceduo, senza interventi
di taglio, avvia naturalmente il popolamento verso l’alto fusto,
attraverso una fase di transizione in cui il popolamento originato da
polloni invecchiati assume la fisionomia di una fustaia (fustaia agamica).
L’attività selvicolturale può accelerare la conversione naturale del bosco
ceduo verso l’alto fusto.
6.2 Le utilizzazioni boschive
Il taglio di un bosco rappresenta il momento della raccolta della legna.
La qualità e la quantità del prodotto ottenuto varia sia in base alla composizione
del popolamento forestale, sia in base alla capacità del selvicolture.
Nei boschi il prodotto necessita di periodi molto lunghi per
giungere alla maturità ed eventuali errori nell’impostazione delle attività
selvicolturali emergono a distanza di decine di anni.
Il periodo che intercorre tra due tagli prende il nome di turno e dura in
genere dai venti ai quarant’anni nei cedui, mentre è prossimo al secolo
nelle fustaie.
Le diverse operazioni svolte nel corso di un taglio boschivo sono regolate
dalle “Norme Forestali Regionali” (Regolamento Regionale n. 5 del 2007)
e dai contenuti dei piani d’indirizzo forestale e dei piani di assestamento.
6.2.1 Trattamento
Nell’ambito delle diverse forme di governo, la coltivazione del bosco si
attua secondo diverse modalità di intervento, note con il termine di
“trattamenti”. Il trattamento dei boschi prevede due tipi principali di
modalità di taglio delle piante: i tagli di maturità o principali, ossia gli
interventi finalizzati alla raccolta della legna, e i tagli intercalari, cioè
interventi preparatori intermedi tra due tagli principali.
6.2.2 Tagli di maturità
Sono gli interventi di taglio eseguiti alla fine del ciclo economico di un
bosco, con lo scopo non solo di raccogliere il prodotto legnoso maturo,
41

Le risorse forestali della provincia di Lecco
Aspetti gestionali ed ecologici
ma anche di avviare un successivo ciclo produttivo, favorendo
il processo di rinnovazione naturale.
6.2.3 Tagli intercalari
Sono gli interventi eseguiti prima della scadenza prevista
per i tagli di utilizzazione o di rinnovazione, ovvero prima
del turno (t). I tagli intercalari, spesso definiti anche con i
termini di “cure o miglioramenti colturali”, hanno lo scopo
di creare le condizioni idonee per il miglioramento della
produzione legnosa, per favorire la stabilità fisica e biologica
del soprassuolo e per modificare nel senso voluto le
condizioni ambientali o estetiche del bosco.
In termini colturali i tagli intercalari vengono distinti in
sfolli, generalmente eseguiti in popolamenti molto giovani
quali novelleti e spessine, e diradamenti, realizzati in formazioni
più evolute quali ad esempio perticaie e giovani
fustaie. I diradamenti si distinguono in: di tipo basso, ossia
che coinvolgono le piante più basse dette dominate o sottoposte,
di tipo alto, se interessano anche le piante dominanti,
quelle cioè più sviluppate ed alte.
Un ulteriore criterio di distinzione è rappresentato dal grado o intensità
del diradamento, che può essere debole, moderato o forte, secondo il
numero crescente di piante tagliate.
6.3 L’esbosco
L’operazione di esbosco consiste nella movimentazione di fusti, rami e
legna dal punto di taglio fino alle aree
“d’imposta”, ossia superfici libere adatte
al deposito temporaneo del legname.
Il concentramento e l’esbosco si possono
attuare:
1. per via terrestre: con mezzi meccanici
gommati o cingolati (trattori con verricello),
mediante strascico dei tronchi a
terra o con teste rialzate, oppure per avvallamento
dei tronchi lungo pendici e canaloni
esistenti ovvero in condotte attrezzate
(canalette o risine, utilizzate per tronchi di
dimensioni non elevate e per la legna da
42

ardere). Un tempo venivano spesso impiegati anche gli animali da soma,
come i muli (per la legna da ardere) ed i cavalli da tiro (per i tronchi);
2. per via aerea: con gru a cavo tradizionali (argani su slitta) o mobili
(argani con torretta); i tronchi si muovono sospesi con le teste rialzate.
Per la legna da ardere sono ancora usate anche le teleferiche
monofuni (chiamate anche palorci o fili a sbalzo);
3. linee di avvallamento per gravità, che permettono di movimentare il
legname sfruttando la pendenza naturale dei terreni. Possono essere
di tipo naturale (canali, avvallamenti, impluvi) o artificiale (risine,
canali in pvc);
4. sistemi combinati: le fasi del concentramento e esbosco del legname,
ed a volte anche quelle precedenti dell’abbattimento ed allestimento
della pianta, possono essere effettuate con moderni sistemi di
utilizzazione a meccanizzazione
avanzata, già in uso in molti Paesi
europei ed extra-europei anche in
ambienti montani, che permettono di
effettuare più operazioni con un unico
macchinario.
Le vie d’esbosco, a differenza della viabilità
agro-silvopastorale, non sono oggetto
di pianificazione, ma per la loro utilizzazione
è fondamentale conoscere la tecniche
corrette in relazione a pendenza del
terreno, assortimenti forestali e livello di
meccanizzazione, al fine di poter scegliere
la modalità di esbosco più idonea.
6.4 La viabilità forestale
La rete di percorsi (strade o piste) utilizzate in ambiente extraurbano per
la gestione dei beni agricoli e forestali è denominata “viabilità agrosilvo-pastorale”.
La proprietà di queste strade può essere privata o pubblica e l’accesso è
regolamentato da norme comunali e regionali con lo scopo di limitarne
l’utilizzo e la percorrenza.
La viabilità agro-silvo-pastorale è completata dalle “piste temporanee
d’esbosco”, che permettono di servire i boschi durante le operazioni di
taglio. Le piste temporanee hanno normalmente dimensioni ridotte e
vengono ripristinate al termine dei lavori. Gli interventi per la viabilità
43

Le risorse forestali della provincia di Lecco
Aspetti gestionali ed ecologici
forestale sono classificati come miglioramenti fondiari, in quanto facilitano
permanentemente l’accessibilità alle proprietà.
La pista collega il bosco alle aree d’imposto, zone di deposito adiacenti
ad una strada percorribile dagli automezzi di trasporto, che trasferiranno
il materiale alle ditte di utilizzazione (segherie, imprese di taglio).
La presenza di piste è di fondamentale importanza per l’attuazione di
interventi selvicolturali, che risulterebbero irrealizzabili o economicamente
non vantaggiosi in caso di carenza viabilistica; sono utili, inoltre,
per la fruizione del bosco ai fini turistico-ricreativi.
Un’adeguata rete di viabilità agro-silvo-pastorale permette le seguenti
pratiche:
• accesso al bosco da parte delle maestranze;
• esbosco e trasporto del legname;
• accesso per la prevenzione ed estinzione di incendi;
• miglioramento gestionale del bosco;
• fruizione del bosco a fini turistico-ricreativi.
La possibilità di realizzare una rete viabilistica forestale, adeguatamente
sviluppata, dipende dalle caratteristiche del territorio e dei boschi
stessi.
Nei territori con un’elevata fertilità, con presenza di fustaie giovani (perticaie
e spessine) e cedui vigorosi, gli interventi di taglio sono frequenti
44

(turno di 10-15 anni) e pertanto è necessaria una buona accessibilità per
eseguire gli interventi forestali.
L’accessibilità dei boschi, oltre che in funzione del turno forestale, varia
in funzione del grado di meccanizzazione che si utilizza per l’esbosco.
Nell’arco degli anni le tecniche di lavoro e le tecnologie utilizzate si sono
evolute. Fino agli anni sessanta la viabilità agro-silvopastorale era principalmente
progettata e realizzata per permettere il passaggio di muli o
cavalli utilizzati nei boschi. Successivamente, con l’avvento dei primi
trattori, questi tracciati sono risultati inadeguati e si è reso necessario
eseguire interventi di ampliamento e più in generale di completamento
della rete viaria.
45

Le risorse forestali della provincia di Lecco
Aspetti gestionali ed ecologici
7. Le Norme Forestali Regionali
7.1 Cosa fare prima di tagliare un bosco (art. 50 L.R. 31/2008 e
art. 9 R. R. 5/2007)
È obbligatorio presentare la denuncia di inizio attività per il taglio del
bosco, che deve essere compilata presso uno sportello abilitato dalla
Regione Lombardia tramite procedura informatizzata.
Gli sportelli abilitati alla compilazione informatizzata della denuncia di
inizio attività di taglio sono:
• tutte le Province,
• tutte le Comunità Montane,
• tutti gli enti gestori di Parchi e Riserve Regionali,
• le sedi territoriali regionali (STER) e le sedi ERSAF,
• i Comuni e i Consorzi Forestali che abbiano richiesto alla Regione
l’abilitazione,
• i Centri di assistenza agricola che si sono volontariamente abilitati,
• i tecnici (Dottori Forestali e Dottori Agronomi), che si sono volontariamente
abilitati,
• le imprese boschive che si sono volontariamente abilitate.
Le denunce di inizio attività presentate sono immediatamente visualizzate
dalla Regione e dagli Enti territorialmente competenti per gli atti di
competenza e per le attività di controllo. Copia cartacea della denuncia
deve essere inviata, entro 10 giorni dalla data di compilazione, all’Ente
forestale competente per territorio:
• Parchi e Riserve regionali, per i boschi compresi in queste aree protette;
• Comunità Montane, per i boschi di montagna fuori dalle aree protette;
• Province, per i boschi di collina e pianura fuori dalle aree protette.
Per compilare la denuncia è necessario presentarsi presso le strutture
accreditate con:
• documento di riconoscimento;
• codice fiscale;
• dati catastali (n° di foglio e mappale) del bosco da tagliare;
• superficie del bosco da tagliare;
46

• massa legnosa (in metri cubi) da tagliare per i boschi d’alto fusto e, se
disponibile, massa legnosa (in quintali) da tagliare per i boschi
cedui;
• specie prevalenti che formano il bosco da tagliare;
• nominativo ed indirizzo del proprietario del bosco e dell’esecutore del
taglio.
La denuncia di inizio attività forestale deve essere accompagnata dai
seguenti allegati tecnici:
• per tagli superiori ai 2 ettari dovrà essere redatto apposito progetto di
taglio a firma di un dottore agronomo o forestale. La superficie è
elevata a 6 ettari nel caso l’esecutore delle attività selvicolturali sia
un’impresa boschiva iscritta all’albo (si veda cap. 3.2);
• “dichiarazione di conformità tecnica” per tagli da realizzare su superfici
che siano contemporaneamente di almeno 2000 mq di superficie,
all’interno di boschi in comuni di pianura o collina o in aree in cui
l’ente forestale competente sia la Provincia; la dichiarazione di conformità
tecnica, compilata sempre tramite procedura informatizzata,
richiede i seguenti dati:
- tipo forestale, età media del bosco, sistema selvicolturale utilizzato,
provvigione e ripresa stimata, modalità tecniche per ottenere la
rinnovazione;
- metodo di esbosco;
- per le fustaie: piedilista di contrassegnatura o martellata;
• “relazione di taglio” per boschi compresi in piano di assestamento
forestale (PAF).
47

Le risorse forestali della provincia di Lecco
Aspetti gestionali ed ecologici
7.2 Procedure successive alla presentazione della denuncia di inizio
attività (art. 50 L.R. 31/2008 e artt. 6, 7, 8 e 9 R.R. 5/2007)
PROCEDURE
IL PIF è
approvato?
NO
Procedure per attività selvicolturali in deroga alle NFR
Aree protette:
parchi naturali,
riserve regionali
(con o senza
siti natura 2000)
Autorizzazione
Altre zone
comprese
nei parchi
regionali
Siti natura 2000
esterni ad
aree protette
Restante
territorio
regionale
SI
Autorizzazione
acquisibile
consilenzio
assenso"
dopo 60 giorni
DIAF
ALLEGATI TECNICI
Esiste
un PAF
vigente?
NO
SI
Allegati tecnici per attività selvicolturali conformi
alle NFR e alla pianificazione forestale
Aree protette:
parchi naturali,
riserve regionali
(con o senza
siti natura 2000)
Altre zone
comprese
nei parchi
regionali
Siti natura 2000
esterni
ad aree protette
Restante
territorio
regionale
progetto di taglio per utilizzazioni su superfici pari o superiori
a 2 ettari * °
relazione di taglio per diradamenti o utilizzazioni di qualsiasi
superficie
* qualora l’esecutore della attività selvicolturali sia un’impresa boschiva iscritta all’albo di cui
all’art. 57 della l.r. 31/2008, la superficie boscata oltre la quale è necessario il progetto di taglio
è elevata a sei ettari.
° inoltre è necessaria la dichiarazione di conformità tecnica per tagli o altre attività selvicolturali
da realizzare su superfici che siano contemporaneamente:
a) di almeno 2.000 mq di superficie;
b) all’interno di boschi in comuni di pianura o collina (classificazione ISTAT)
c) in aree in cui l’ente forestale competente è una provincia.
Il PIF può rendere non necessaria la presentazione della dichiarazione di conformità tecnica,
oppure prevederla anche per parchi o comunità montane, oppure modificare la soglia di intervento
oltre la quale vale l’obbligo di presentazione.
Schema tratto da: http://www.agricoltura.regione.lombardia.it
48

7.3 Taglio piante sradicate o morte in bosco (art 16 R.R. 5/2007)
È necessario presentare la denuncia di inizio attività taglio bosco, ma
non è richiesta la presenza di allegati tecnici, qualunque sia il quantitativo
del legname da ritrarre. Nella denuncia si dovrà specificare lo stato
fitosanitario delle piante nel campo “note” della domanda di taglio.
7.4 Quando è possibile il taglio (art 21 R.R. 5/2007)
Nel ceduo e nel ceduo sotto fustaia le operazioni di taglio o di utilizzazione
del bosco sono permesse:
• dal 15 ottobre al 31 marzo alle quote inferiori a 600 m slm;
• dal 1 ottobre al 15 aprile alle quote comprese tra 600 e 1.000 m slm;
• dal 15 settembre al 15 maggio oltre 1.000 m slm.
Nel caso di andamenti stagionali particolarmente anomali, gli enti forestali
possono anticipare o posticipare le predette date fino ad un massimo
di quindici giorni.
Sono invece permessi tutto l’anno:
• i tagli di utilizzazione delle fustaie;
• i diradamenti e gli sfolli di tutti i boschi;
• i tagli di conversione dei cedui;
• i tagli di piante morte, sradicate o spezzate, quelli di pronto intervento,
fitosanitari o per la tutela della pubblica incolumità. Sono
considerati di pronto intervento i lavori necessari a fronteggiare situazioni
di pericolo causate da eventi calamitosi eccezionali.
Le operazioni di allestimento ed esbosco del materiale legnoso devono
concludersi entro 30 giorni dal termine del taglio.
Gli enti forestali, attraverso la pianificazione forestale, possono ridurre
la durata della stagione silvana per motivate esigenze legate alla tutela
della fauna selvatica o della flora o per altre necessità.
Le attività selvicolturali legate al pronto intervento o alla difesa fitosanitaria
non possono subire ulteriori limitazioni. Le aree in cui la stagione
silvana è ridotta devono essere identificabili anche attraverso la procedura
informatizzata.
7.5 Taglio di fustaia (art 21, 28, 39 e 41 R. R. 5/2007)
Le fustaie possono essere utilizzate mediante tagli successivi oppure mediante
taglio saltuario o, nei casi permessi, mediante taglio a raso a
strisce. Le modalità di taglio sono determinate in funzione della struttura
del bosco.
49

Le risorse forestali della provincia di Lecco
Aspetti gestionali ed ecologici
Le fustaie multiplane, cioè quelle nelle quali le chiome degli alberi si
distribuiscono in più piani ad altezze diverse, possono essere utilizzate
mediante taglio saltuario oppure tagli successivi. In caso di pronto intervento
e di lotta fitosanitaria è ammesso il taglio a raso a strisce. Nel
taglio saltuario la massa legnosa asportata ad ogni utilizzazione non può
superare il venti per cento di quella presente in bosco.
Le fustaie monoplane o biplane possono essere utilizzate mediante tagli
successivi e, limitatamente ai casi permessi, mediante taglio a raso a
strisce. In caso di tagli successivi il taglio di sementazione non può
asportare più del 30% della massa legnosa presente in bosco; il taglio di
sgombero deve essere effettuato entro 15 anni dal taglio di sementazione
e deve essere seguito da rinnovazione artificiale qualora quella naturale
fosse insufficiente.
Il taglio a raso delle fustaie è vietato laddove le tecniche selvicolturali
non siano finalizzate alla rinnovazione naturale, salvo i casi diversi previsti
dai piani di indirizzo forestale e dai piani di assestamento, redatti
secondo i criteri della gestione forestale sostenibile.
Il taglio a raso delle fustaie può essere realizzato solo a strisce, per interventi
la cui istanza è accompagnata dal progetto di taglio, o dalla relazione
di taglio.
Diradamenti e sfolli sono permessi fino allo stadio di perticaia; ad ogni
taglio è possibile asportare fino al 50% delle piante e al 30% della massa
legnosa presenti prima dell’intervento.
Nelle fustaie trattate a taglio saltuario il periodo di curazione, ossia il
periodo fra due utilizzazioni, è fissato in almeno 10 anni.
Il taglio di piante nate da seme in tutti i boschi deve avvenire ad una
distanza non superiore a 10 cm dal colletto.
7.6 Taglio di cedui (art 21, 28, 40, 41 e 42 - R.R. 5/2007)
I cedui invecchiati, ossia quelli con età superiore a 40 anni, sono assimilati
alle fustaie, mentre i castagneti sono considerati cedui fino a 80 anni.
Il taglio del ceduo con rilascio di matricine o riserve è permesso su una
superficie massima di 30 ha, non contigua, distante almeno 200 m da
altre già utilizzate nei tre anni precedenti e di superficie superiore a dieci
ettari.
È obbligatorio il rilascio di tutte le riserve di specie autoctone eventualmente
presenti nei robinieti, nelle formazioni di ciliegio tardivo e di altre
esotiche infestanti e, nei limiti previsti per le matricine, nei castagneti e
50

nelle faggete. Le riserve in faggete e castagneti possono essere tagliate,
in occasione di una ceduazione, ad un’età pari al doppio del turno minimo.
Le riserve nei robinieti, nelle formazioni di ciliegio tardivo e di
altre esotiche infestanti possono essere tagliate solo in caso di deperimento
o morte.
È obbligatorio rilasciare almeno cinquanta matricine ad ettaro scelte tra
piante d’alto fusto o polloni ben conformati o portanti cancri ipovirulenti
nei seguenti tipi o categorie forestali:
• castagneti;
• robinieti misti;
• alneti di ontano bianco o nero;
• orno-ostrieti e carpineti;
• saliceti e formazioni di pioppi.
È obbligatorio rilasciare almeno novanta matricine ad ettaro scelte fra
piante d’alto fusto o polloni ben conformati nei seguenti tipi o categorie
forestali:
• querceti, querco-carpineti;
• faggete;
• altre formazioni di latifoglie autoctone.
Le matricine possono essere distribuite sull’intera superficie della tagliata,
oppure rilasciate a gruppi di massimo dieci individui. I gruppi
sono distribuiti sull’intera superficie della tagliata.
Il turno minimo previsto nei cedui è di:
• 3 anni nelle formazioni di ciliegio tardivo e di altre esotiche infestanti;
• 6 anni nei corileti e nei saliceti;
• 10 anni nei robinieti puri e nelle formazioni di pioppo;
• 15 anni nei castagneti, nei querceti di roverella e di cerro e negli
orno-ostrieti;
• 20 anni nei robinieti misti, nei querco-carpineti e carpineti, nei querceti
di rovere e farnia, negli alneti, nelle faggete e in altre formazioni
a ceduo. Il taglio dei polloni sulle ceppaie deve essere effettuato in
modo netto, inclinato verso la parte esterna della ceppaia e a non più
di 10 cm di altezza dal punto di inserzione del pollone.
7.7 Interventi su selve castanili (art 28, 29 e 31 R.R. 5/2007)
Nei castagneti da frutto in attività è possibile effettuare:
• la potatura ordinaria, quella di ringiovanimento per rinvigorirne la
chioma e di preparazione all’innesto;
51

Le risorse forestali della provincia di Lecco
Aspetti gestionali ed ecologici
• la formazione di ripiani sostenuti da muri a secco e da
ciglioni inerbiti al piede delle piante;
• la lavorazione dei ripiani allo scopo di interrare foglie ed
altre materie fertilizzanti;
• l’estirpazione delle piante infestanti e la ripulitura della
superficie allo scopo di facilitare la raccolta delle castagne.
Nei castagneti da frutto abbandonati e in quelli nei quali si
sia già insediata ed affermata la colonizzazione di vegetazione
arborea o arbustiva, i lavori sopra descritti devono
essere autorizzati dall’Ente forestale.
L’ente forestale può autorizzare la conversione di boschi in
castagneti da frutto.
7.8 Come si esbosca (art 34, 72, 73 e 76 R.R. 5/2007 )
L’esbosco è effettuato, di norma, per via aerea con gru a
cavo o fili a sbalzo (si veda cap. 8), oppure utilizzando la
viabilità agro-silvo-pastorale.
L’installazione di gru a cavo e fili a sbalzo per l’esbosco di
tronchi ed altri assortimenti legnosi è soggetta ad autorizzazione
dei comuni interessati; copia dell’autorizzazione deve essere inviata
da parte del Comune all’ente forestale competente per territorio, al coordinamento
regionale del Corpo Forestale dello Stato, al centro operativo antincendio
boschivo e alle competenti autorità aeronautiche per la sicurezza
dei voli.
Qualora le linee superino l’altezza di 20 metri dal limite del terreno libero
o l’altezza delle chiome degli alberi, è obbligatoria la segnalazione con
cavo di guardia munito di palloni o bandiere colorate, o con segnali
luminosi secondo quanto prescritto dai vigenti regolamenti dell’aeronautica
per la sicurezza dei voli.
I soggetti autorizzati all’installazione di gru a cavo e fili a sbalzo sono
tenuti a stipulare un’assicurazione per la responsabilità civile valida per
il periodo di esercizio dell’impianto.
Le gru a cavo e i fili a sbalzo non autorizzati o abbandonati, pericolosi
per la navigazione dei mezzi aerei antincendio, devono essere messi in
sicurezza e rimossi. Qualora il proprietario non risulti rintracciabile o il
trasgressore non ottemperi, vi possono provvedere gli enti forestali competenti
per territorio.
L’esbosco va eseguito ove possibile per via aerea, per mulattiere, sentieri,
viabilità agro-silvo-pastorale, condotte, canali di avvallamento già esi-
52

stenti (si veda cap.8 ), evitando comunque qualsiasi percorso nelle parti
di bosco già in rinnovazione.
Il concentramento per strascico è consentito solamente dal letto di caduta
alla più vicina via di esbosco, fatta salva la necessità di individuare
percorsi più lunghi al fine di tutelare la flora o la fauna selvatica.
Durante le operazioni di concentramento ed esbosco, il transito dei trattori
gommati e dei trattori forestali in bosco è ammesso e deve avvenire
ove possibile lungo tracciati o varchi naturali. L’ente forestale può imporre
divieti o limitazioni al transito per particolari situazioni.
L’avvallamento di materiale legnoso lungo versanti, canaloni e torrenti
in cui siano state eseguite opere di sistemazione idraulico forestali è
vietato, così come il trasporto a strascico lungo la viabilità ordinaria e
agro-silvo-pastorale.
7.9 Fili a sbalzo (art 74 R.R. 5/2007)
L’installazione di linee monofuni a gravità, detti palorci o fili a sbalzo,
per l’esbosco di prodotti forestali è soggetta ad autorizzazione del sindaco
dei comuni interessati, ai sensi dell’articolo 59, della l.r. 31/2008.
La richiesta di autorizzazione deve contenere il nome del richiedente, la
località di partenza e di arrivo della fune e la durata dell’impianto.
Il richiedente deve stipulare, in caso di autorizzazione, un’assicurazione
per la responsabilità civile valida per tutto il periodo di esercizio dell’impianto.
Se le linee superano l’altezza di 20 m dal limite del terreno libero o superano
l’altezza delle chiome degli alberi, è obbligatorio indicare nella
richiesta di autorizzazione il tracciato su carta catastale o carta tecnica
regionale e successivamente segnalare le linee con cavo di guardia munito
di palloni o bandiere colorate o con segnali luminosi, secondo
quanto prescritto dai vigenti regolamenti dell’aeronautica per la sicurezza
dei voli.
Resta a carico del richiedente l’autorizzazione ogni responsabilità diretta
o indiretta, nei confronti di persone, animali e cose, riguardante l’impianto
e l’esercizio del filo a sbalzo.
L’autorizzazione può essere concessa per massimo 12 mesi, rinnovabili
più volte per ulteriori 12 mesi.
Copia dell’autorizzazione, corredata di localizzazione dell’impianto su
carta tecnica regionale 1:10.000 o di maggior dettaglio, deve essere inviata
a cura del comune all’ente forestale, al coordinamento regionale
del CFS e al centro operativo antincendio boschivo, nonché alle competenti
autorità aeronautiche per la sicurezza dei voli.
53

Le risorse forestali della provincia di Lecco
Aspetti gestionali ed ecologici
È vietato l’attraversamento di strade a transito ordinario. All’incrocio
con viabilità agro-silvo-pastorale o piste di servizio, nonché di sentieri
e mulattiere, devono essere apposti in luogo ben visibile cartelli monitori
posti almeno 50 m prima dell’incrocio.
Il progetto di taglio deve indicare il tracciato del filo a sbalzo, nonché le
piante da abbattere per l’apertura dei varchi di passaggio.
7.10 Come si trattano i residui di lavorazione (art 22 e 54 R.R. 5/2007)
Il materiale vegetale non asportato dal bosco, a seguito di tagli o altre
attività selvicolturali, quali ramaglia e cimali, deve essere raccolto in
bosco in andane o cataste, oppure sminuzzato e distribuito sull’area interessata
al taglio, oppure bruciato secondo i limiti e le modalità di seguito
indicate.
Qualora il materiale venga raccolto in andane, nel caso dei cedui e dei
cedui sotto fustaia, l’area occupata dalle stesse non può ricoprire le ceppaie
presenti in bosco e nuclei significativi di rinnovazione.
È vietato:
• localizzare le andane o le cataste in prossimità di corsi e specchi d’acqua,
viabilità agro-silvo-pastorale, sentieri, linee elettriche e telefoniche;
• realizzare andane di dimensioni superiori a 15 m di lunghezza e 5 m
di larghezza e disporle sui versanti lungo le linee di massima pendenza,
nonché realizzare cataste di dimensioni superiori a 5 m steri.
È vietato accendere fuochi all’aperto nei boschi o a distanza da questi
inferiore a 100 metri. Nei periodi stabiliti dalla Regione in cui non vige
lo stato di rischio incendio (si veda www.incendiboschivi.regione.lombardia.it)
è permessa l’accensione di fuochi per la distruzione delle masse
vegetali residue di attività selvicolturali, purché il fuoco venga sempre e
costantemente custodito e non venga acceso in giornate ventose.
7.11 Viabilità agro-silvo-pastorale (art 71 e 72 R. R. 5/2007)
Le strade agro-silvo-pastorali sono infrastrutture finalizzate ad un utilizzo
prevalente di tipo agricolo e forestale, non adibite al pubblico transito.
Il transito è disciplinato da un regolamento comunale. Sulle strade
agro-silvo-pastorali, sulle mulattiere e sui sentieri è vietato il transito dei
mezzi motorizzati, ad eccezione di quelli di servizio e di quelli autorizzati
in base al regolamento comunale. Sui terreni appartenenti al patrimonio
forestale della Regione è vietato il transito dei mezzi motorizzati, ad
eccezione di quelli autorizzati dalla Regione stessa. E’ altresì vietato il
transito dei mezzi motorizzati in tutti i boschi e nei pascoli, ad eccezione
dei mezzi di servizio.
54

La manutenzione ordinaria della viabilità agro-silvo-pastorale non è
soggetta alle autorizzazione paesaggistica e di trasformazione d’uso del
suolo, ma è subordinata a preventiva comunicazione all’ente forestale.
Per manutenzione ordinaria si intende: il livellamento del piano viario o
del piazzale; il ricarico con inerti; la risagomatura delle fossette laterali;
il ripristino delle opere trasversali di regimazione delle acque e la sostituzione
di canalette trasversali o laterali esistenti; il ripristino di tombini
e attraversamenti esistenti; la rimozione di materiale franato dalle scarpate
e la loro risagomatura localizzata; il rinsaldamento delle scarpate
con graticciate o viminate; la realizzazione di canalette trasversali e laterali
e le opere trasversali di regimazione delle acque; la risagomatura
andante delle scarpate per la rimozione del materiale franato, purché sia
garantita la stabilità ed il consolidamento delle stesse. Gli interventi di
movimento terra non devono superare 100 metri cubi per chilometro di
tracciato.
Gli interventi di realizzazione e di manutenzione straordinaria della viabilità
agro-silvo-pastorale e le opere di sistemazione idraulico forestale
sono soggetti alle autorizzazioni per la trasformazione del bosco.
Per manutenzione straordinaria si intende: gli allargamenti fino al massimo
del 50%, le modifiche del tracciato fino al massimo del 10% e della
pendenza della sede stradale fino al massimo del 5%; la realizzazione di
tombini e attraversamenti; la realizzazione di fossette laterali alla sede
stradale; la realizzazione di brevi tratti di muretti a secco di sostegno di
altezza non superiore a un metro comportanti limitati scavi manuali; gli
scavi di dimensioni non superiori a un metro di larghezza e un metro e
mezzo di profondità, realizzati nella sede stradale per la posa di tubazioni.
Sono realizzabili senza la preventiva comunicazione gli interventi di
manutenzione ordinaria: pulizia di canalette e opere trasversali di regimazione
delle acque; pulizia delle fossette laterali, dei tombini e degli
attraversamenti.
Nell’esecuzione delle attività selvicolturali e nel transito si devono evitare
danni alla viabilità agro-silvo-pastorale permanente, sia al fondo
stradale che alle opere accessorie di sostegno o di regimazione delle
acque, nonché danni agli impianti della segnaletica escursionistica.
Nel caso venga utilizzata viabilità pubblica o ad uso pubblico a fondo
naturale, durante i lavori di esbosco devono essere effettuati i lavori di
manutenzione necessari a evitare danni alla sede stradale e, al termine
dei lavori, gli interventi di ripristino necessari a mantenere le preesistenti
condizioni di percorribilità e la corretta regimazione delle acque.
55

Le risorse forestali della provincia di Lecco
Aspetti gestionali ed ecologici
8. Il lavoro nei boschi
I lavori in bosco sono finalizzati principalmente alla coltivazione del
bosco stesso, affinché assolva nel migliore dei modi possibili le funzioni
che gli vengono attribuite.
La selvicoltura si basa in concreto su due operazioni principali: la messa
a dimora e il taglio degli alberi; queste attività sono articolate in lavori
di rimboschimento e successive cure colturali e lavori di utilizzazione di
legna e legname. Vi sono poi una serie di lavori connessi con la gestione
del bosco e tradizionalmente affidati alle maestranze forestali: costruzione
e manutenzione delle strade agro-silvo-pastorali, sistemazioni
idraulico-forestali in bacini montani, lavori per la fruizione sociale del
bosco (realizzazione aree attrezzate, manutenzione sentieri, ecc.).
I lavori di rimboschimento negli ultimi anni hanno interessato quasi
esclusivamente le aree agricole di pianura, con finalità naturalistiche,
oppure per interventi di arboricoltura da legno di pregio (abbastanza rari
in provincia di Lecco). In collina e soprattutto in montagna il rimboschimento
artificiale non è più attuato da alcuni decenni, salvo come opera
complementare alle sistemazioni di frane o dissesti in generale.
Più importante e capillarmente diffuse sono le utilizzazioni boschive,
intendendo con questo termine tutte le operazioni che hanno l’obiettivo
di abbattere le piante per ricavarne legname commerciale, per diradamento
di popolamenti troppo fitti o per tagli di piante malate (tagli fitosanitari).
8.1 Le utilizzazioni forestali
Le fasi classiche di un’utilizzazione boschiva sono:
• abbattimento degli alberi;
• sramatura;
• scortecciatura;
• depezzatura;
• concentramento;
• esbosco.
Per abbattimento si intende il taglio degli alberi alla base, detto comunemente
“piede”, e il loro atterramento.
La sramatura consiste nel taglio dei rami e del cimale, tutto materiale di
scarso pregio commerciale che occorre eliminare dal tronco e in qualche
modo gestire (accatastamento in bosco, bruciamento, cippatura, ecc.).
56

Per scortecciatura si intende la rimozione parziale o totale della corteccia.
La depezzatura consiste nel taglio del fusto in assortimenti commerciali
standard in base alle destinazione finali (segheria, cartiera, legna da ardere,
ecc.).
Il concentramento consiste nel raggruppamento dei singoli pezzi, dal letto
di caduta alla via di esbosco più vicina. Normalmente in questa fase il
legname viene movimentato liberamente in bosco.
L’esbosco è il trasporto del legname, su tracciati predefiniti o linee aeree
denominati “vie di esbosco”, al punto più vicino per essere caricato su
autocarri. L’esbosco si considera concluso quando il legname è accatastato
ai limiti del bosco, su una strada camionabile.
Nelle utilizzazioni meno estese, effettuate da aziende agricole e forestali
a carattere familiare, la fase di esbosco è semplificata al massimo: dal
letto di caduta il tronco viene caricato direttamente sul carro forestale
trainato da trattore e portato direttamente in cascina per l’utilizzo.
8.2 L’abbattimento
Nell’abbattimento si procede al taglio del fusto alla base.
Si tratta di un’operazione estremamente delicata e pericolosa, che deve
essere eseguita da personale esperto e addestrato, per garantire la massima
resa economica del taglio e per minimizzare i rischi, sia verso gli
altri sia verso l’operatore stesso.
Prima di procedere all’abbattimento si sceglie la direzione di caduta della
pianta, in base alle caratteristiche dell’albero, del terreno, della vegetazione
circostante e alle successive esigenze di concentramento e di esbosco.
Una volta scelta la direzione di caduta
viene fatta la “tacca di direzione”; questa
è fatta da due tagli, uno orizzontale e
l’altro inclinato di circa 45° sul primo. La
tacca deve penetrare per circa 1/4 - 1/3
del diametro del fusto. Il fondo della
tacca di direzione deve essere esattamente
perpendicolare alla direzione di
caduta voluta, perché in fase di caduta
l’albero ruota intorno alla cerniera delimitata
dalla tacca di direzione e dal taglio
di abbattimento.
57

Le risorse forestali della provincia di Lecco
Aspetti gestionali ed ecologici
Il taglio di abbattimento viene fatto dalla parte opposta della tacca di
direzione, leggermente più in alto (2-8 cm).
8.3 La sramatura
Nella fase di sramatura si procede al taglio
dei rami per rendere più facile movimentare
il legname. Una corretta sramatura
prevede il taglio dei rami a raso del fusto,
per evitare il rilascio di monconi sporgenti
che renderebbero difficile manipolare il
tronco in bosco e in segheria.
La sramatura normalmente viene fatta in
bosco sul letto di caduta, impiegando
una motosega leggera oppure un’ascia
per i rami più piccoli.
8.4 La depezzatura
La depezzatura consiste nella riduzione del fusto in pezzi o toppi, di lunghezza
adeguata alle esigenze del commercio e dei successivi impieghi.
La depezzatura può avvenire sul letto di caduta, facilitando in tal caso
l’esbosco per la minor dimensione e ingombro dei tronchi, oppure direttamente
sul piazzale d’imposta prima del trasporto con autocarri. In
questo caso si dovrà esboscare un tronco intero, più pesante ed ingombrante,
ma di maggiore resa.
La scelta viene fatta caso per caso sulla base delle situazioni contingenti.
Quando si depezza in bosco i toppi di legno devono essere tagliati con
delle “sopra misure” di legno, che servono a compensare i danni che il
toppo subisce nella fase di esbosco. Normalmente si tengono “sopra
misure” di 5-10 cm per lato, che possono salire a 20 cm se l’esbosco è
particolarmente lungo e tortuoso.
Se l’esbosco avviene per strascico o per rotolamento occorre preparare i
toppi di legno smussando e sagomando le estremità (corone) per facilitare
il superamento di piccoli ostacoli e ridurre il rischio di scheggiatura
del legno.
8.5 La scortecciatura
Con questa operazione, onerosa soprattutto per le specie a corteccia
spessa, si rimuove la corteccia dal fusto. Normalmente la scortecciatura
viene eseguita in segheria impiegando macchinari ad elevata resa.
58

Questa operazione viene effettuata in bosco solamente se il legname deve
rimanere all’imposto per lungo tempo, per evitare eventuali infestazioni
di patogeni che prolificano sotto la corteccia.
8.6 Il concentramento
L’operazione consiste nell’ammasso della legna o del legname da opera
in un primo temporaneo deposito, per essere poi esboscato lungo una via
attrezzata (strada, teleferica, ecc). Il pezzo di legno viene movimentato
secondo le linee di massima pendenza, scivolando per gravità o tirato
a strascico. Queste operazioni comportano una serie di danni per il
bosco, sia alle piante rilasciate, sia al suolo; è importante perciò che la
movimentazione non sia superiore ai 30 – 40 metri.
Il più diffuso sistema di concentramento è l’avvallamento a gravità, che
consiste nel far scivolare il legname sul terreno sfruttando appunto la
forza di gravità. Questo sistema è molto utilizzato in montagna su pendenze
comprese fra il 60% e il 80%. Pendenze inferiori rendono impossibile
il rotolamento del tronco, se non con suolo bagnato o gelato o con
fusti scortecciati e sramati. Al contrario, operare su pendenze troppo elevate
rende il rotolamento molto veloce, con gravi rischi per gli operatori
e per il legname, che può danneggiarsi e perdere valore economico.
L’utilizzo di animali per il concentramento a strascico, spesso abbinato
con l’esbosco, era una pratica ampiamente diffusa in passato, soprattutto
in discesa su pendenze non eccessive, ma oggi è pressoché abbandonata.
Più diffuso, soprattutto laddove la rete viaria di servizio è di buon livello,
è lo strascico con verricelli. Occorre la disponibilità di un trattore forestale
dotato di verricello: il trattore resta fermo stabilmente ancorato al
terreno o alle piante, e trascina il legname mediante una fune d’acciaio
collegata ad un verricello. Il metodo è impiegabile lungo la linea di massima
pendenza, su distanze fino a 100 m in salita, 50 m in piano e 30 m
in leggera discesa.
Spesso questo metodo si abbina con l’esbosco a strascico, rendendo l’intero
ciclo lavorativo conveniente in termini economici e di tempo.
8.7 L’esbosco
Un metodo in passato molto usato per esboscare il legname impiegava
linee di avvallamento obbligato, sfruttando linee naturali oppure artificiali.
59

Le risorse forestali della provincia di Lecco
Aspetti gestionali ed ecologici
L’evoluzione moderna di questa tecnica, anche se poco diffusa nelle nostre
zone, sono le risine in lamiera oppure in polietilene, spezzoni a
forma di mezzo tubo con diametro 30-40-50 cm, lunghi 2-3 metri collegati
in sequenza. Il metodo permette un’efficace operazione di esbosco
per legna da ardere e assortimenti di piccole dimensioni.
Il fattore limitante l’impiego di questa tecnica è la pendenza della linea,
che deve oscillare fra il 20% e il 35%, con pendenza ottimale attorno al
30%. Pendenze minori rendono difficile lo scivolamento del legname,
mentre pendenze maggiori conferiscono al materiale velocità elevata e
quindi pericolosa.
Di gran lunga più diffuso nel lecchese è l’esbosco a strascico con trattori;
in questo modo si ha un collegamento diretto con le fasi di concentramento
ed esbosco: il concentramento viene effettuato con il verricello e
l’esbosco viene effettuato trascinando il legname agganciato alla fune
del verricello bloccato.
I tronchi per essere di lunghezza commerciale (4 m) necessitano di una
rete stradale di servizio adeguata che consenta l’accesso di autocarri di
idonea portata. L’esbosco deve avvenire su strade o su piste opportunamente
realizzate e non liberamente in bosco, per limitare i danni alla
vegetazione.
Per legna da ardere o assortimenti di piccole dimensioni è prassi comune
unire le fasi di esbosco e trasporto caricando direttamente il materiale su
carri trainati da trattrici agrarie, con le quali si provvede al trasporto direttamente
al centro aziendale, anche su distanze di alcuni chilometri.
8.7.1 L’esbosco per via aerea
Il trasporto aereo del legname al di fuori del bosco è un sistema largamente
diffuso nel settore forestale. I tronchi e i rami da esboscare sono
fissati, tramite una slitta mobile, ad una fune che li trasporta sospesi
all’area di deposito e carico.
Le teleferiche forestali possono impiegare una o più funi per il trasporto.
Gli impianti monofune a gravità, ossia senza utilizzo di alcun motore,
denominati comunemente palorci, sono formati da una sola fune in acciaio
lunga fino a 500-600 m, con pendenza compresa fra il 25% e oltre
il 70%, a cui vengono appesi con ganci di ferro o carrucole fasci di legna
da ardere di 20-25 kg. Questi fasci scendono per gravità e vengono arrestati
a valle da un ammortizzatore formato solitamente da uno o più
pneumatici.
60

La teleferica bifune, tipo gru a cavo, è formata da una fune portante fissa,
generalmente assicurata a pochi metri da terra su piante di idonea dimensione,
su cui scorre un carrello tirato o frenato da una fune traente
che si avvolge su un argano.
Il legname viene fissato a un carrello dotato di gancio che si muove sulla
fune portante grazie all’argano dotato di motore a scoppio.
L’evoluzione di questa tecnica si ha nelle cosiddette “stazioni motrici
mobili”, cioè argani montati su trattori, dotati oltre che del tamburo per
la traente anche di un tamburo per la portante mosso a motore, con la
quale la portante può essere tesa rapidamente, e di un ritto di estremità
alto 5-10 m sul quale vengono rinviate le funi. Il vantaggio di questi
impianti è la riduzione dei tempi di montaggio delle linee, che passano
da tradizionali 1-2 giorni a poche ore nei casi più semplici.
Le teleferiche trifuni sono al giorno d’oggi poco utilizzate, a causa delle
difficoltà e dei tempi necessari per la messa in opera. Sono principalmente
di due tipi: con due funi portanti e una traente denominata “tipo
Valtellina”, largamente utilizzata in passato nei territori montani grazie
alla capacità di trasportare il legname anche oltre ostacoli naturali quali
dossi, coste rocciose; oppure impianti molto sofisticati, con una fune
portante e due traenti, ed alta capacità di trasporto e talvolta con la
possibilità di caricare e scaricare automaticamente la merce. In quest’ultimo
caso si parla di blonden.
61

Le risorse forestali della provincia di Lecco
Aspetti gestionali ed ecologici
9. Linee innovative
nelle utilizzazioni forestali
Nel settore forestale l’innovazione consiste nella realizzazione di nuovi
macchinari e nell’introduzione di nuovi sistemi di lavoro che permettono
di ottenere maggiore produttività, aumento della sicurezza degli operatori
e riduzione dell’impatto sull’ambiente.
Negli ultimi decenni, sia per colpa di una certa refrattarietà verso le
novità, sia per una scarsa informazione e formazione delle maestranze,
il settore forestale non è stato interessato da innovazioni di rilievo. L’intero
comparto ha bisogno di essere informato e formato sia sui nuovi
macchinari oggi disponibili sul mercato sia, soprattutto, su nuovi sistemi
di lavoro.
9.1 Macchinari specializzati di ultima generazione
Nella fase di esbosco e di trasporto su terra una forte evoluzione la
stanno registrando i rimorchi forestali, da semplici carrelli al trattore si
stanno evolvendo verso macchine operatici autonome denominati forwarder.
In pratica si tratta dell’accoppiamento di un trattore con un carro
forestale munito di pinza idraulica. E’ un mezzo di notevole mobilità, in
grado di operare in sicurezza in condizioni stazionali proibitive. Il forwarder
è generalmente munito di una cabina di guida reversibile: in un
senso si entra e ci si muove nel bosco, nell’altro si opera con la pinza
idraulica per la raccolta e la movimentazione del legname.
La notevole mobilità del forwarder lo rende un mezzo utile non solo per
il concentramento e la movimentazione del materiale dal bosco alla
strada forestale, ma anche per il trasportarlo su distanze maggiori, fino
all’imposto su strade camionabili. In questo modo si evita l’ingresso di
autocarri sulla viabilità forestale, con minori rischi per gli automezzi e
minori danni alla strada.
Un limite rilevante del forwarder è l’elevato costo, che ne giustifica l’acquisto
solo da parte di ditte di una certa dimensione.
Un altro mezzo a carattere innovativo è l’”harvester”, una macchina
specialistica gommata, utilizzata esclusivamente per impieghi forestali.
Questa macchina è dotata di un braccio idraulico alla cui sommità è
62

montata una speciale testa “abbatti–allestitrice”. L’harvester taglia ed atterra
l’albero intero, la stessa testata lo srama e lo depezza. La possibilità
di impiego è limitata alle aree a pendenza bassa e media e con scarsa
accidentalità. Sono macchine di grandi dimensioni, che hanno dei costi
significativi sia di acquisto, sia per gli spostamenti stradali (mezzi speciali,
scorta).
Un altro mezzo che riesce ad abbattere ed allestire il legname in bosco è
il processor: Si tratta generalmente di un escavatore cingolato o gommato
per movimenti terra adattato ad un utilizzo forestale e dotato di
testata allestitrice e sezionatrice.
9.2 Sviluppo dei sistemi di lavoro
L’organizzazione del lavoro deve adeguarsi alle novità nel campo della
meccanizzazione, al fine di ottimizzare i costi dei macchinari e della
manodopera e massimizzare la produttività del lavoro. Per questo sono
stati sviluppati negli ultimi anni macchinari innovativi per l’esbosco. Di
seguito si descrivono sinteticamente alcuni moderni schemi di lavoro
per il settore forestale.
9.2.1 Gru a cavo e processor
L’utilizzazione avviene secondo il seguente schema: abbattimento delle
piante con motosega, parziale depezzatura in bosco, eventuale taglio dei
rami più grossi e in alcuni casi del cimale, esbosco della pianta intera
con gru a cavo fino all’imposto, dove il processor effettua la sramatura,
la depezzatura e l’accatastamento dei tronchi. All’imposto si forma
quindi una catasta di tronchi che viene periodicamente sgomberata e un
cumulo di biomassa forestale costituito da rami, cimali e pezzi di tronco
danneggiati, non adatti alla produzione di assortimenti commerciali.
Questo schema di lavoro viene applicato generalmente in condizioni di
elevata pendenza ed accidentalità (terreno da gru a cavo). Rispetto al
cantiere tradizionale viene esboscata la pianta intera o parzialmente allestita
e la lavorazione viene completata all’imposto dal processor. A
livello del suolo l’impatto delle macchine è nullo in quanto il processor
è stazionato allo scarico della teleferica (piazzale o strada forestale).
L’esbosco della pianta con i rami in genere non provoca danni maggiori
rispetto all’esbosco dei tronchi: la maggior lunghezza della pianta è compensata
dalla presenza dei rami, che hanno un impatto minore sul terreno
e sui tronchi delle piante rilasciate. Gli operatori forestali vengono
svincolati dalla sramatura e dalla depezzatura sul letto di caduta, che
63

Le risorse forestali della provincia di Lecco
Aspetti gestionali ed ecologici
sono le operazioni più onerose e pericolose
dell’utilizzazione, specie in terreno
ripido.
Effetti negativi nel caso del sistema gru a
cavo-processor:
– linee di esbosco più larghe rispetto al
sistema di esbosco dei tronchi;
– sottrazione della sostanza organica
contenuta nei rami e nelle foglie (oltre a
quella della corteccia e del legno);
– necessità di gestire la massa dei residui
all’imposto, dove vengono fatte sramatura
e depezzatura delle piante. Questo
può rappresentare un’opportunità, con la
realizzazione di un prodotto addizionale (cippato), che può dare un ulteriore
limitato introito, mentre in carenza di spazio può costituire un
problema.
9.2.2 Harvester e forwarder
L’harvester, a differenza del processor, normalmente lavora in bosco e
non all’imposto. La macchina è dotata di una testata in grado di afferrare
l’albero, abbatterlo, sramarlo e depezzarlo. Rami e cimali possono restare
in bosco. Lo schema di lavoro prevede che le macchine percorrano il
bosco seguendo delle piste precedentemente individuate, normalmente
parallele e disposte sulla massima pendenza se in terreni di pendenza
medio - elevata. La spaziatura fra le piste è compresa fra i 20 – 30 m se
si intende percorrere l’intera superficie. Le piste devono avere una larghezza
di circa 4,5 m. L’harvester è generalmente abbinato ad un forwarder
che raccoglie il materiale precedentemente allestito ed accatastato
lungo le piste di esbosco. Il limite di pendenza per queste macchine è
circa il 40%; l’accidentalità del terreno costituisce un forte limite all’impiego.
I fattori negativi connessi con l’uso di queste macchine nelle varie circostanze
possono essere, nel caso dello schema harvester-forwarder:
– compattamento del terreno e danni agli apparati radicali e ai tronchi
delle piante che restano, nel caso di macchine che percorrono il terreno
forestale (piste);
– perdite occasionali di olio in caso di rotture;
64

– realizzazione delle piste di accesso
(tagli delle piante, rimozione di eventuali
massi che impediscono la percorrenza),
senza movimenti terra;
– possibile danneggiamento della viabilità
forestale primaria e secondaria.
9.2.3 Esbosco di piante intere
o depezzate
Nell’allestimento della pianta sul letto di
caduta tutti i residui di lavorazione, ad
eccezione della corteccia rimangono in
bosco, mentre nell’esbosco della pianta
intera (o parzialmente allestita) rimangono
in bosco la ceppaia, una parte dei
rami e delle foglie e il legno privo di valore
commerciale. Questi si decompongono
naturalmente e rimangono così nel
ciclo degli elementi nutritivi. Nell’utilizzazione
tradizionale la raccolta dei residui
di utilizzazione per soddisfare il
diritto di uso civico, laddove presente e
ancora impiegato, viene effettuata solo
nei terreni facilmente accessibili dai censiti
mentre restano escluse le aree accidentate
e distanti dalla viabilità forestale,
ovvero i tipici casi in cui si utilizzano le
gru a cavo per l’esbosco.
In generale gli argomenti a favore
dell’esbosco della pianta intera sono:
• sicurezza sul lavoro e miglioramento delle condizioni di lavoro degli
operatori durante l’allestimento e le fasi di raccolta del legname;
• percorribilità dell’area di taglio per altri usi del bosco (aree ricreative,
raccolta funghi, vicinanza centri abitati);
• alta produttività del lavoro, importante quando vi è la necessità di
allestimento ed esbosco rapido del materiale (attacco fitosanitario o
schianti);
• contenimento dei costi di utilizzazione rispetto all’allestimento tradizionale
e, quindi, maggior valore di macchiatico delle piante;
65

Le risorse forestali della provincia di Lecco
Aspetti gestionali ed ecologici
• produzione di cippato come fonte energetica rinnovabile impiegando
i residui di utilizzazione.
Gli argomenti a sfavore dell’esbosco della pianta intera sono:
• asporto di biomassa utile al ciclo degli elementi nutritivi;
• aiuto all’insediamento della rinnovazione e protezione del terreno
dall’erosione, in terreni molto pendenti, ad opera della ramaglia sul
letto di caduta;
• costruzione di luoghi di rifugio per insetti, uccelli, micromammiferi,
rettili, ad opera dei cumuli di ramaglia in bosco;
• accumulo di biomassa con elevato carico d’incendio che in alcuni
ambienti e stagioni può essere pericoloso.
Come spesso capita, nel settore forestale non esiste una regola universale,
ma occorre valutare caso per caso le situazioni e optare di conseguenza
per la soluzione adatta al lavoro in corso e al bosco interessato
dal taglio.
9.3 La gestione degli scarti di produzione
L’impiego di macchine specializzate per la sramatura e la depezzatura
all’imposto ha come conseguenza il concentramento della ramaglia e
degli scarti di lavorazione. Il loro smaltimento diviene pertanto un problema,
anche in considerazione dei limitati spazi di deposito tipici dei
cantieri forestali.
Il ricorso alla cippatura del materiale non è una novità assoluta, ma
oggi diviene un fattore organizzativo del cantiere di grande importanza.
Il ricorso alla cippatura in contemporanea con l’esbosco, infatti, rende
problematici i rapporti di produttività fra le macchine che esboscano e
la cippatrice e impone un attento coordinamento del traffico veicolare
dovuto ai mezzi che trasportano il legname e i mezzi che allontanano il
cippato.
Un processo innovativo e poco diffuso nella gestione della ramaglia
all’imposto è la densificazione. Il processo è realizzato mediante macchine
densificatrici, in grado di comprimere le ramaglie e di formare
cilindri di 0,7 m di diametro e 3,2 m di lunghezza. Questo “toppo” di
materiale compresso ha un volume medio di 1,3 mc e una densità apparente
di 415 kg/mc.
L’impiego di questo materiale agevolerebbe sia le operazioni in cantiere,
che potrebbero essere gestiti con gli ordinari macchinari forestali (pinza
forestale, rimorchio forestale), sia il trasporto fino al piazzale della cal-
66

daia, dove verrebbe eseguita la cippatura,
cioè nel luogo di impiego del
combustile legnoso.
9.4 Gli aggiornamenti sulla meccanizzazione
forestale
Il settore della meccanizzazione forestale
è in continua evoluzione e richiede un
costante aggiornamento. Molto utile per
acquisire informazioni è internet, del
quale si forniscono alcuni importanti riferimenti
Attività di ricerca
Istituto Sperimentale per la Meccanizzazione
Agraria (ISMA): www.ingegneriaagraria.it
Istituto per la Ricerca sul Legno (IRL): www.irl.fi.cnr.it
Fiere forestali
Le fiere sono un’ottima occasione per vedere dal vivo le ultime novità
del settore. Di seguito si segnalano le principali, sia in Italia che
all’estero.
Italia
DIMAF: www.dimaf.it
Forestry (in contemporanea con Flormart): www.flormart.it
Forlener (Foresta legno energia): www.forlener.it
Bosco e Territorio: www.boscoterritorio.it
Europa
Svezia: www.elmia.se/wood
Finlandia: www.metko.it
Germania: www.interforst.de
Austria: www.austroforma.at
Francia: www.forexpo.fr
67

Le risorse forestali della provincia di Lecco
Aspetti gestionali ed ecologici
10. Itinerari forestali
Itinerario Forestale N. 1
LA FAGGETA DEL PARCO VALENTINO
Punto di partenza: Pian dei Resinelli, vicino al grattacielo (1.280 m slm)
Punto di arrivo: Belvedere (1.400 m slm)
Differenza di quota: 120 m
Tempo di percorrenza: 1 ora
Difficoltà: facile
Itinerario
Dal parcheggio antistante il grattacielo si giunge lungo una strada sterrata,
in parte lastricata, al Parco Valentino. All’ingresso del Parco vale la
pena osservare la profonda valle nella quale il bosco è relegato nella
parte bassa e solo dove la minore asprezza dei versanti ne permette lo
sviluppo. La vegetazione è costituita da orno-ostrieti di rupe, formazioni
a dominanza di ornello (Fraxinus ornus) e carpino nero (Ostrya
carpinifolia). Localmente compare del faggio (Fagus sylvatica), ma con
forma molto contorta, dando luogo alla faggeta primitiva. Questi boschi
non hanno mai avuto una vera e propria gestione forestale, per l’inaccessibilità
dei luoghi, la pericolosità del lavoro, la difficoltà dell’esbosco
e la scarsa produzione.
Completamente diversa è la situazione dove la pendenza più uniforme
e dolce ha permesso nel tempo lo sviluppo di una fustaia di faggio con
sporadica presenza di abete rosso (Abies picea), frutto di un’attenta gestione
forestale da parte della proprietà (prima il Touring Club Italiano
e oggi la Comunità Montana Lario Orientale). La tipologia forestale del
bosco è riconducibile, quindi, alla faggeta montana dei substrati carbonatici.
Dal punto di vista selvicolturale le faggete si prestano bene ad essere
governate sia a ceduo che a fustaia. Nei cedui, ordinariamente matricinati,
vanno rilasciate per legge almeno 90 matricine all’ettaro, scelte fra piante
d’alto fusto o polloni ben conformati. Il turno (periodo fra un taglio di
ceduazione e il successivo) non può essere inferiore a 20 anni. Nelle fustaie,
governate con tagli successivi, il periodo minimo fra il taglio di
sementazione e il successivo non può essere inferiore a 90 anni.
68

Osservando i boschi rileviamo facilmente gli effetti degli interventi di
“conversione all’alto fusto” effettuati nel corso degli ultimi anni, ossia
l’insieme delle operazioni selvicolturali che modificano la forma di
governo del bosco, da ceduo a fustaia. Il periodo di tempo necessario
affinché la nuova forma di governo risulti presente su tutta la superficie
si dice periodo di conversione.
L’avviamento ad alto fusto è una pratica selvicolturale consigliabile
soltanto nelle situazioni migliori e generalmente per invecchiamento del
popolamento a ceduo. La conversione attiva è praticabile soltanto nelle
zone a maggior fertilità, o con maggior disponibilità idrica (variante dei
suoli mesici) e buone condizioni di viabilità. In particolare, le faggete
montane sono state ordinariamente governate a ceduo matricinato,
ma spesso l’abbandono colturale ha portato all’invecchiamento dei
soprassuoli in evoluzione verso una fustaia transitoria. Altrove le
utilizzazioni hanno interessato soltanto lo strato ceduo, trascurando il
taglio delle matricine, che si sono sviluppate notevolmente.
La conversione attiva alla fustaia su substrato carbonatico va valutata
con attenzione, non tanto per la sua fattibilità tecnica, quanto perché nel
lungo periodo è possibile che la futura fustaia denunci qualche difficoltà
di rinnovazione, date le caratteristiche stazionali, creando problemi in
boschi che colonizzano pendici spesso molto acclivi, con una produzione
di legna limitata e di scarso valore. La scelta a favore della conversione
attiva alla fustaia dovrà, in questo caso, essere ben valutata e riservata
alle aree con le migliori caratteristiche del suolo, ricorrendo ove possibile
alla conversione naturale per invecchiamento.
Su substrati silicatici, invece, si potrà procedere alla conversione attiva
con più tranquillità.
Per visitare queste faggete possiamo utilizzare il sentiero che passa dal
Museo della Grigna e dal Centro Visite, per proseguire sempre in leggera
salita all’interno del bosco di faggi, qui molto omogeneo com’è tipico
delle faggete, fino ad avvicinarsi al “Belvedere”. Interessante soffermarsi
ad osservare il repentino cambio di vegetazione fra l’ampio versante
esposto a nord, occupato dalla faggeta, e il ripidissimo versante esposto
a ovest e sud-ovest, a precipizio sul lago e sulla città di Lecco. Qui la
vegetazione cambia totalmente; il faggio, quando presente, è più simile
ad un arbusto contorto, senza la tipica vegetazione forestale, sostituita
da vegetazione arbustiva ed erbacea.
E’ consigliabile proseguire lungo il sentiero, che dopo una breve ripida
69

Le risorse forestali della provincia di Lecco
Aspetti gestionali ed ecologici
salita, porta ai ruderi del Roccolo di Coltignone, tralasciano le indicazioni
per la vetta del Monte Coltignone. Il sentiero che rientra attraversa
una faggeta ancora gestita a ceduo invecchiato, dove possiamo rilevare
le differenze con i boschi già utilizzati.
Come raggiungere il percorso forestale
Dalla rotonda prossima alla galleria di Ballabio, sulla SS 36 DIR, seguire
le indicazioni per “Resinelli”. Giunti sul posto, dopo circa 15 km, recarsi
al parcheggio del “grattacielo”.
Periodo consigliato per la visita
Tutto l’anno; la stagione migliore per i colori del bosco è l’autunno. In
inverno la quota e la presenza di neve a terra rendono il percorso più
difficile e da affrontare con le dovute attenzioni.
Ulteriori informazioni
L’area del Parco Valentino è un Parco Locale di Interesse Sovracomunale
gestito dalla Comunità Montana Lario Orientale
Via Vasena n. 4 - Loc. Sala al Barro - 23856 Galbiate
Tel. 0341/240724 - fax 0341/240734
email: larioest@tin.it - Sito: www.cmlarioorientale.it
70

Itinerario Forestale N. 2
I LARICETI DEI ROCCOLI LORLA
Punto di partenza: Parcheggio Roccoli di Lorla (1.468 m slm)
Punto di arrivo: vetta del Legnoncino (1.714 m slm)
Differenza di quota: 246 m
Tempo di percorrenza: 1,5 ore
Difficoltà: facile
Itinerario
Il percorso si svolge quasi interamente all’interno di un bosco di larici
(Larix decidua) e inizia dall’ultimo tornate, lungo una strada sterrata. Il
bosco di larice che si può osservare appartiene alla tipologia del lariceto
tipico. Il larice, come tutte le conifere, può essere governato solo a fustaia.
Il larice ama la luce e i boschi che esso forma si presentano aperti, molto
omogenei, pressoché puri, con esemplari anche di grosse dimensioni. La
proprietà di queste ampie superfici è comunale ed è gestita da un Piano
di Assestamento, cioè uno strumento di pianificazione forestale il cui
scopo è di assicurare al bosco le corrette cure, garantendone il mantenimento
nel tempo e ricavando legname per fini commerciali. Prestando
attenzione, lungo il tracciato si possono vedere quadrati azzurri con
numeri o linee nere prodotti con vernice sui tronchi o sui sassi affioranti,
che segnalano il confine delle particelle assestamentali, cioè le aree
in cui viene frazionato il bosco per permetterne la gestione.
Per visitare i boschi di larice si può seguire la vecchia strada militare,
oggi trasformata in un comodo sentiero, che si presenta con pendenza
dolce e regolare, un tempo necessaria per facilitare il trasporto dei pesanti
cannoni e del vettovagliamento delle truppe durante la prima
guerra mondiale.
Questi boschi sono stati utilizzati mediante tagli su piccole aree, prevedendo
il prelievo di interi collettivi e permettendo, quindi, il mantenimento
della struttura per gruppi. Ove possibile gli interventi sono stati
effettuati nel rispetto della distribuzione del novellame già presente,
realizzando buche o fessure di dimensione variabile, in ogni caso compresa
tra 0,2 e 0,4 ettari, orientate in modo di fare giungere una buona
quantità di luce al suolo, tuttavia senza eccessi.
Nelle utilizzazioni del lariceto le tagliate, di norma, hanno una distanza
tra loro superiore alla larghezza media delle buche, al fine di non alterare
71

Le risorse forestali della provincia di Lecco
Aspetti gestionali ed ecologici
le caratteristiche pedo-climatiche. Al margine delle buche si trovano
larici con chioma ben conformata su almeno due terzi dell’altezza della
pianta, in modo da mantenere la stabilità del popolamento. Salendo alle
quote più elevate, per favorire la permanenza del larice il taglio ha aperto
le aree più esposte ed i piccoli dossi, mentre alle quote minori è stato
eseguito un prelievo nelle aree meno esposte e in quelle con maggiore
profondità del suolo, per favorire l’ingresso delle altre specie.
Per avere maggiori garanzie nel successo della rinnovazione del larice,
le buche o le fessure che vengono aperte devono essere esposte alla luce
del pomeriggio, con forma irregolare, orientate con l’ausilio della bussola
solare. Nei casi in cui sia completamente assente la rinnovazione, anche
a causa della presenza di una spessa cotica erbosa, una lavorazione superficiale
del terreno o una rottura del cotico (anche da parte del bestiame
che pascola) può assicurarne una buona riuscita.
Il lariceto in provincia di Lecco è abbastanza raro; esso si ritrova solo
nell’alta Valvarrone e in alcune piccole aree in Valsassina (Alpe di Paglio
e Pian delle Betulle; attorno al rifugio Bogani in Grigna e poco altro),
perché il larice è specie pioniera di alta quota, tipica della fascia subalpina
dove spesso costituisce il limite superiore della vegetazione arborea.
Anche sul Legnoncino il larice si dirada fino a scomparire con l’approssimarsi
alla vetta, lasciando il posto ad alberi sempre più contorti e ad
arbusti. Volgendo lo sguardo verso le pendici del Legnone si può notare,
su scala più ampia, lo stesso fenomeno di diradamento del lariceto, che
verso la sommità lascia il posto alla prateria di alta quota, dove le condizioni
estreme (bassa temperatura, ventosità, innevamento, sottigliezza
del suolo, ecc) non permettono lo sviluppo degli alberi. In natura il passaggio
da una condizione (es. bosco) ad un’altra (es. prateria) non avviene
in modo brusco e deciso, ma attraverso la progressiva perdita di
una caratteristica e la progressiva comparsa di un’altra, con la definizione
di una “fascia di transizione”. Il fenomeno è osservabile in forme
più marcate in autunno, quando il colore giallo intenso del larice demarca
in maniera ben evidente il limite del bosco.
Come raggiungere il percorso forestale
Dalla SS 36 si esce allo svincolo per Dervio e si risale la Valvarrone,
seguendo fino al bivio per i Roccoli di Lorla e poi fino al parcheggio,
dove termina la strada.
72

Periodo consigliato per la visita
Con la strada aperta tutto l’anno, la stagione migliore per i colori del
bosco è l’autunno. In inverno la quota e la presenza di neve a terra rendono
il percorso più difficile e da affrontare con le dovute attenzioni.
Ulteriori informazioni
Per tutte le informazioni:
Comunità Montana Valsassina Valvarrone Val d’Esino e Riviera
Loc. Fornace Merlo n. 1
23816 Barzio (LC)
Tel. 0341/910144 - fax 0341/910154
email: info@valsassina.it - Sito: www.valsassina.it
73

Le risorse forestali della provincia di Lecco
Aspetti gestionali ed ecologici
Itinerario Forestale N. 3
I BOSCHI TERMOFILI DEL MONTE BARRO
Punto di partenza: Galbiate (370 m)
Punto di arrivo: Baita Pian Sciresa (435 m)
Differenza di quota: 65 m
Tempo di percorrenza: 1 ora
Difficoltà: facile
Itinerario
L’itinerario proposto utilizza il sentiero n.301 denominato “sentiero di
mezzo” sulla carta dei sentieri del Parco. Si parte da Galbiate seguendo
via S. Alessandro e poi in ripida salita Via dell’Oliva fino ad incontrare
una sbarra che limita il transito. Si attraversa un’area caratterizzata
dall’alternanza di aree coltivate e terrazzate con piccoli lembi di bosco,
avendo davanti a sé il panorama della valle dell’Adda con il Resegone e
la Valle San Martino sullo sfondo. Si alternano querceti di roverella e
orno-ostrieti tipici, solo in minima parte alterati dalla presenza della
robinia.
Gli orno-ostrieti devono il loro nome dall’unione dei nomi delle due
specie più rappresentative: l’orniello (Fraxinus ornus) e il carpino nero
(Ostrya carpinifolia). L’orno-ostrieto è una tipologia forestale tipica
dei suoli calcarei, aridi, con esposizione soleggiata. Sono formazioni
nettamente dominate dal carpino nero con la partecipazione di roverella
e parzialmente orniello e con ridotta presenza di specie di ambiente
mesofilo. L’orno-ostrieto si sviluppa prevalentemente su suoli poco
profondi e poco evoluti, prediligendo le esposizioni meridionali;
altitudinalmente si pone a quote inferiori rispetto alla faggeta ma in
ambienti con valli strette e chiuse, in cui si realizzano fenomeni di
inversione termica, sovrasta tutte le latifoglie mesofile essendo più
concorrenziale dove il versante è più soleggiato ed eventualmente anche
maggiormente pendente.
Il ridotto sviluppo del soprassuolo pone gli orno-ostrieti fra le formazioni
regionali a più basso valore di fertilità relativa: la produzione di legna
è influenzata dalle caratteristiche del suolo ma anche dalla reiterata
ceduazione condotta in passato. Normalmente quasi tutti i soggetti
risultano d’origine agamica, anche se nelle neoformazioni non mancano
gli elementi nati da seme, che spesso però si presentano policormici e
a portamento cespuglioso. Gli orno-ostrieti entrano spesso in contatto
74

con altre formazioni creando boschi di transizione non sempre di facile
inquadramento, ma evidenziabili come diverse varianti. Tutti gli ornoostrieti
hanno grosse limitazioni stazionali che ne rendono difficoltosa
l’utilizzazione, peraltro poco redditizia, considerata la bassa provvigione
che li caratterizza. La funzione protettiva è prevalente rispetto alle altre
funzioni del bosco e pertanto l’evoluzione naturale è l’opzione che, in
senso generale, dovrebbe essere scelta poiché porta a potenziare anche le
funzioni naturalistiche e faunistiche. E’ una formazione che resiste bene
agli incendi, soprattutto nei fenomeni incendiari ‘di chioma’, riuscendo
a vegetare con vigore al termine dell’evento.
Dove le condizioni stazionali migliorano, si rinviene anche la roverella
(Quercus pubescens), che può dare luogo a querceti veri e propri.
Queste formazioni si alternano per lunga parte del sentiero, intervallati
da tratti più aperti, dove la vegetazione arborea si riduce e predominano
arbusti e vegetazione erbacea. Sono consorzi misti di roverella, orniello e
carpino nero che trovano gli ambienti più favorevoli lungo i medio versanti,
ma anche in quelli terrazzati o nei bassi versanti, dove le condizioni di
disponibilità idrica al suolo risultano più favorevoli (anche rispetto a
quelle proprie delle stazioni in cui sono presenti gli orno-ostrieti).
La ceduazione, nelle tipologie a roverella, può favorire l’espandersi del
carpino nero. La dinamica evolutiva naturale tenderebbe a favorire la
roverella sul lungo periodo. Per i querceti a predominanza di rovere è
valido, a maggior ragione, lo stesso discorso: la ceduazione favorirebbe
le specie accessorie e per questo è sempre indicato procedere con interventi
colturali mirati.
Storicamente le pendici del Monte Barro sono state utilizzate per pascolo
e prato, quindi la vegetazione forestale è subentrata in tempi recenti ed
è relativamente giovane. Il naturale processo di colonizzazione è rallentato
solo dal passaggio degli incendi, vera piaga per questo tipo di boschi.
Queste formazioni si prestano ad essere governate solo a ceduo, tuttavia,
la difficoltà di accesso all’area, le pendenze elevate e le produzioni quantitativamente
limitate, di fatto hanno reso questi boschi pressoché abbandonati.
In alcuni punti si ha l’ingresso di castagno, in pessime
condizioni fitosanitarie, soprattutto a causa della non ottimale posizione
in cui prova a vegetare.
Avvicinandosi verso Pian Sciresa l’esposizione e la pendenza cominciano
a cambiare e con esse la vegetazione. Gli ex pascoli e prati sono invasi
75

Le risorse forestali della provincia di Lecco
Aspetti gestionali ed ecologici
da nocciolo (Corylus avellana), da pioppo tremulo (Populus tremula) e
da betulla (Betula pendula).
Spostandosi verso un’esposizione nettamente settentrionale il panorama
è dominato dal Monte Coltignone e dal Medale, mentre in basso si
estende la città di Lecco; la vegetazione cambia con un bel nucleo di
fustaia di pino silvestre, di scarso valore produttivo ma di grande valenza
paesaggistica e naturalistica. Poco prima di arrivare a Pian Sciresa la
pendenza ridotta ha permesso lo sviluppo di un suolo più profondo che,
combinandosi con condizioni di minor aridità della stazione, ha permesso
l’ingresso di una fustaia di quercia con esemplari anche di una
certa dimensione.
Come raggiungere il percorso forestale
Da Galbiate seguire le indicazioni per il Parco Monte Barro, parcheggiando
appena possibile. L’itinerario inizia da via S. Alessandro ed è
ottimamente segnalato, oltre che molto frequentato.
Periodo consigliato per la visita
Tutto l’anno, ma le stagioni migliori sono la primavera e l’autunno,
poiché in estate potrebbe essere molto caldo.
Ulteriori informazioni
Parco Regionale Monte Barro
Via Bertarelli n. 11
23851 Galbiate (LC)
Tel. 0341/542266 - fax 0341/240216
email:info@parcobarro.it - Sito: www.parcobarro.lombardia.it
76

Itinerario Forestale N. 4
I BOSCHI DELLA VALLE DEL CURONE
Punto di partenza e di arrivo: Parcheggio Cà Soldato in comune di Rovagnate
(295 m slm)
Differenza di quota: 45 m
Tempo di percorrenza: 1,5 ore
Difficoltà: facile
Itinerario
Dal parcheggio seguire la strada asfaltata che si addentra nella valle;
dopo circa 300 m imboccare la strada campestre che prosegue diritta fra
colture che si alternano a piccole macchie boscate, con vegetazione tipica
di aree umide, classificata come alneta a ontano nero d’impluvio.
Le alnete (Alnus glutinosa) sono formazioni di grande pregio naturalistico,
ma di scarso valore economico. Il legno, infatti, ha scarsa resa
calorica come combustibile, tuttavia ha il vantaggio di crescere velocemente,
di resistere a lungo in acqua per la ricchezza in tannini e di vegetare
in terreni impregnati d’acqua, dove poche altre piante riuscirebbero
a sopravvivere. Tipicamente questi boschi sono governati a ceduo, con
l’obbligo di rilasciare non meno di 50 matricine all’ettaro scelte tra le
piante d’alto fusto o polloni ben conformati. Il turno (periodo fra un
taglio e il successivo) non può essere inferiore a 20 anni. Una caratteristica
del legno di ontano è la tipica colorazione rossastra che assume
subito dopo il taglio.
Lungo le sponde del Torrente Curone, che scorre a poche decine di metri
dalla strada, si susseguono boschi a dominanza di farnia (Quercus robur)
e carpino bianco (Carpinus betulus), parzialmente alterati dalla presenza
della robinia, comunque riconducibili ai querco-carpineti dell’alta pianura.
I querco-carpineti sono una grande categoria di boschi caratteristici
della pianura, ma con tipologie anche di collina, caratterizzati dalla
presenza di carpino bianco e quercia (farnia e più raramente rovere
(Quercus petraea)). Tendenzialmente i pochi lembi di querco-carpineti
rimasti sono governati a fustaia, oppure a ceduo (carpino bianco) sotto
fustaia (quercia). Nei cedui è obbligatorio il rilascio di almeno 90 matricine
per ettaro, con turni di taglio di 20 anni.
Si prosegue per circa 200 m fino ad arrivare ai ruderi della vecchia Cascina
Ospedaletto (il nome ricorda la presenza di un antico lazzaretto),
dove poco prima di giungervi, sulla destra si attraversa un boschetto di
77

Le risorse forestali della provincia di Lecco
Aspetti gestionali ed ecologici
carpino bianco, con piante regolari e abbastanza piccole (trattasi di rimboschimento
di circa 15 anni che maschera il metanodotto che attraversa
tutta la valle).
Dalla Cascina, proseguendo verso Cà Soldato e dopo avere attraversato il
Torrente Curone si entra in un tipico querco-carpineto collinare di rovere
e farnia, governato a fustaia e caratterizzato dalla presenza di farnie di
notevoli dimensioni, alla cui ombra cresce il carpino bianco. Poco sopra,
in condizioni di versante, alla farnia si sostituisce la rovere.
Questi boschi sono gestiti con una tecnica selvicolturale molto attenta,
che prevede tagli selettivi a carico delle specie esotiche eventualmente
presenti e di specie autoctone solo se di disturbo diretto allo sviluppo
degli esemplari portaseme. Si attua una selvicoltura di selezione “per
piede d’albero”, che comporta l’individuazione di esemplari di particolare
pregio destinati alla riproduzione nel lungo periodo, mentre la gestione
delle piante circostanti viene fatta di conseguenza.
Si prosegue sul sentiero segnalato costeggiando un torrentello con le
caratteristiche formazioni di travertino (depositi di carbonato di calcio
favoriti dalla presenza di alcuni muschi; in loco sono presenti cartelli
didattici). Lungo il torrente la vegetazione cambia leggermente, compaiono
il platano (Platanus sspp.) e l’ontano nero (Alnus glutinosa), mentre
sui versanti oltre alla farnia e al carpino bianco compare la robinia (Robinia
pseudacacia), soprattutto dove nel recente passato sono state tagliate
querce e carpini. In questo caso si assiste alla comparsa della
tipologia forestale dei robinieti misti, una delle più diffuse in Lombardia.
Il robinieto è tipicamente governato a ceduo ed è molto apprezzato
per gli elevati accrescimenti, per la capacità di crescere anche in suoli
poveri o degradati e per l’elevato potere calorico del legno prodotto;
inoltre è apprezzato dagli apicoltori. Nei cedui il turno minimo è di 20
anni per i robinieti misti e 10 anni per i robinieti puri, con il rilascio di
non meno di 50 matricine ad ettaro e la salvaguardia delle piante di
specie indigene eventualmente presenti. Con l’abbandono delle attività
di taglio i robinieti stanno velocemente invecchiando, con gravi problemi
di stabilità meccanica delle piante. La robinia ha un legno che
paga la velocità di accrescimento con una scarsa resistenza agli attacchi
parassitari, in quanto piante di 30-40 anni tendono a marcire.
Risalendo la valle e prendendo quota compaiono i primi esemplari di
castagno (Castanea sativa) e proseguendo a mezza costa, su una strada
campestre che attraversa boschi di rovere fortemente alterati per la pre-
78

senza di robinia, si giunge al Centro parco Cà del Soldato, con annesso
museo visitabile la domenica.
Da Cà Soldato si può proseguire in direzione della Cascina Valfredda,
attraversando un castagneto dei substrati carbonatici dei suoli mesici,
cioè un castagneto che vegeta su suoli di origine carbonatica in condizioni
climatiche decisamente umide, senza problemi di aridità. Il castagneto
in queste zone veniva mantenuto a ceduo per ricavarne paleria per
usi agricoli (pali e tronchetti di 10-15, massimo 20 cm di diametro), soprattutto
per i vigneti della collina di Montevecchia. Molto rari sono i
casi di selve castanili coltivate per la produzione di frutti, più tipiche
della montagna.
Se il castagneto viene lasciato invecchiare si passa da cedui con 5-10
polloni per ceppaia a 1-2 fusti per ceppaia e in tal caso il bosco assume
la fisionomia di una fustaia, anche se ha avuto origine da un ceduo.
L’attuale normativa prevede per i cedui un turno minimo di 20 anni e il
rilascio di 50 matricine ad ettaro.
Riprendendo la strada sterrata in discesa in pochi minuti si giunge al
parcheggio.
Il percorso è all’interno del Parco Regionale di Montevecchia e Valle del
Curone e del Sito di Interesse Comunitario della Valle Santa Croce e Valle
del Curone.
Attività complementari
Il Parco Regionale di Montevecchia e Valle del Curone organizza numerose
attività, delle quali si possono avere notizie attraverso il sito internet
o contattando gli uffici.
Dal Centro Parco Cà soldato si dipartono numerosi sentieri segnalati,
alcuni dei quali audioguidati.
Come raggiungere il percorso forestale
Dal semaforo di Merate seguire verso Pagnano. Dopo aver girato prendere
la prima strada a destra, Via Aldo Moro, con l’indicazione Cà Soldato,
per proseguire dritti per 4 km sino al parcheggio.
Con i mezzi pubblici si può arrivare in treno alla stazione di Cernusco
Lombardone-Merate e da qui proseguire a piedi. A parte il primo tratto
del percorso su strade asfaltate e trafficate, dalla località Molinazzo si
entra sulla rete sentieristica del Parco, in un ambiente molto interessante
e rilassante.
Dalla stazione al Centro Parco Cà Soldato prevedere 1 ora di cammino.
79

Le risorse forestali della provincia di Lecco
Aspetti gestionali ed ecologici
Periodo consigliato per la visita
Tutto l’anno, ma le stagioni migliori sono l’autunno e la primavera. In
inverno la mancanza di sole rende il percorso freddo con possibile ghiaccio
a terra. I sentieri sono molto scivolosi in caso di pioggia.
Maggiori informazioni
Parco Regionale Montevecchia e Valle del Curone
Loc. Cascina Butto 1
23874 Montevecchia (L)
Tel. 039/9930384 - fax 039/9930619
email: info@parcocurone.it
Sito: www.parcocurone.it oppure www.gevcurone.it
80

Itinerario Forestale N. 5
I CASTAGNETI DI NESOLIO
Punto di partenza: Abitato di Erve (590 m)
Punto di arrivo: Abitato di Nesolio (690 m)
Differenza di quota: 100 m
Tempo di percorrenza: 1 ora
Difficoltà: elementare
Itinerario
Il percorso inizia dalla sbarra che chiude via Foppe, da dove si diparte
una strada forestale di recente realizzazione che in leggera salita porta
senza problemi di orientamento fino all’abitato di Nesolio. La prima
parte della salita attraversa un ceduo di castagno (Castanea sativa),
mantenuto per la produzione di legna da ardere e paleria. La tipologia di
riferimento è il castagneto meso-xerico dei substrati carbonatici. Proseguendo
si attraversano selve castanili ancora ben tenute, con esemplari
di castagno spesso monumentali, nei quali la Comunità Montana Valle
San Martino ha realizzato importanti interventi di potatura e di recupero,
sia a fini produttivi che paesaggistici.
Le potature hanno interessato gli individui di pregio produttivo e ancora
in condizioni fitosanitarie accettabili, tali da permettere un intervento di
potatura con possibilità di sopravvivenza. Con la potatura viene tolto il
materiale morto presente in chioma, spesso anche branche di grosse dimensioni,
che viene immediatamente allontanato dal castagneto in
quanto vettore di funghi patogeni. Successivamente si procede alla risagomatura
della chioma, per permetterne una veloce ricostruzione alla
ripresa vegetativa.
Le operazioni vengono fatte in treeclimbing, adottando tecniche alpinistiche
per operare in sicurezza sulle piante anche a grande altezza. Questa
è l’unica tecnica adottabile su queste piante monumentali, non
raggiungibili con mezzi meccanici o con piattaforme elevatrici.
Dopo il secondo tornate si incontra una selva castanile ancora ottimamente
conservata, con esemplari maestosi e ben curati (è presente anche
una piccola area attrezzata).
Proseguendo, gli esemplari di castagno si fanno sempre più maestosi e a
ridosso dell’abitato di Nesolio si trovano alcuni fra i castagni più grossi
della provincia di Lecco.
I castagneti sono fra le formazioni forestali più sfruttate dall’uomo nel
corso dei secoli, per le caratteristiche del legname molto resistente e
81

Le risorse forestali della provincia di Lecco
Aspetti gestionali ed ecologici
durevole nel tempo, per gli usi alimentari del frutto e per altri prodotti,
quali il tannino. L’interesse per questa specie ha dato vita, in vaste aree
a maggiore vocazione per la coltivazione del castagno, ad una vera e
propria cultura della castagna, frutto per eccellenza non solo della fascia
prealpina lombarda.
Immagini storiche dell’abitato di Erve mostrano l’organizzazione del territorio
ai fini dell’uso del suolo: a ridosso dell’abitato una fascia coltivata
o a prato, subito dietro un’ampia fascia di selve castanili (alberi di castagno
coltivati appositamente per produrre frutti commestibili, mantenuti
puliti dal sottobosco), ancora più in alto la fascia di territorio boscato e
in quota radi pascoli, fino a ridosso delle balze rocciose. L’organizzazione
del territorio descritta si rinveniva identica in tutte le vallate limitrofe a
quella di Erve,
Oggi in valle questa organizzazione del territorio non è più facilmente
leggibile, poiché molte aree di fondovalle sono state edificate oppure
abbandonate, con conseguente sviluppo del bosco. Le selve castanili
sono state abbandonate e per la presenza di gravi malattie del castagno
si presentano piene di alberi, spesso enormi, ma con ampie porzioni di
chioma morta. I boschi a quote maggiori risentono della mancanza di
tagli a causa dell’abbandono delle attività selvicolturali e i radi pascoli
in quota lentamente vengono invasi da arbusti.
Interessante osservare che la normativa forestale, pur ritenendo le selve
castanili aree boscate a tutti gli effetti di legge, per questi ambienti detta
norme molto specifiche.
Per il percorso di ritorno si segnala la vecchia mulattiera che storicamente
collegava il centro di Erve con la frazione di Nesolio. Il percorso
si snoda in un castagneto governato a ceduo.
Attività complementari
L’“Ecomuseo della Valle San Martino” offre numerose opportunità di
scoperta non solo del patrimonio storico-architettonico, ma anche della
cultura e delle tradizioni rurali locali, fra le quali il castagno ha un ruolo
predominante. Presso la sede della Comunità Montana e visitabile la
mostra permanente.
Come raggiungere il percorso forestale
Da Calolziocorte si seguono le indicazioni per Erve, dove si giunge attraverso
la strada tortuosa e spettacolare che nei pressi della forra del
Torrente Galavesa è scavata nella roccia.
82

Con i mezzi pubblici è possibile arrivare in treno fino a Calolziocorte, da
dove si può proseguire con l’autobus di linea per Erve.
Periodo consigliato per la visita
Tutto l’anno, ma la stagione migliore per i colori del bosco è l’autunno.
In inverno la quota e la presenza di neve a terra rendono il percorso più
difficile e da affrontare con le dovute attenzioni.
Maggiori informazioni
Comunità Montana Valle San Martino
Via Galli n. 48a
23801 Calolziocorte (LC)
Tel. 0341/621011 - fax 0341/621031
email: cmvsm@martinet.lc.it - Sito: www.martinet.lc.it
83

Le risorse forestali della provincia di Lecco
Aspetti gestionali ed ecologici
BIBLIOGRAFIA
“Alberi monumentali in Provincia di Lecco”, collana Pr.I.M.A.V.E.R.A. Provincia
di Lecco, 2005
“Dal bosco: legno, energia, ambiente”, collana Pr.I.M.A.V.E.R.A. Provincia di
Lecco, 2006
“Piano generale d’indirizzo forestale della Provincia di Lecco”, 2008
“Gestione e valorizzazione degli alberi forestali in Provincia di Sondrio”, Comunità
Montana Valtellina di Sondrio, 2004
“La viabilità agro-silvo-pastorale. Elementi di pianificazione e progettazione”
Regione Piemonte – Assessorato Politiche per la Montagna Foreste Beni
Ambientali, 2003
Ceconi C. “La certificazione forestale secondo lo schema PFC: il caso del Consorzio
Forestale della Presolana”, tesi di Laurea, 2004
Gallinaro N. “Boschi di Lombardia un patrimonio da vivere” – Regione Lombardia
– Direzione Generale Agricoltura, 2004
Hippoliti G., 1988 – Precisazioni su alcune caratteristiche di strade e piste forestali.
Monti e Boschi, 6, 40-41.
ISPESL – Istituto superiore per la sicurezza sul lavoro – Profilo di rischio nel
comparto arboricoltura
“Piano d’indirizzo forestale della Comunità Montana del Lario Orientale”,
2008
Tonetti R., “La normativa forestale regionale: competenze e responsabilità degli
enti gestori delle riserve regionali” – presentazione al convegno del
21/10/2008 a Somaglia (LO)
www.agricoltura.regione.lombardia.it
www.norme.lombardia.it
www.provincia.lecco.it
84

Volumi pubblicati nella collana Pr.I.M.V.A.V.E.R.A.
(Progetto d’Integrazione e Modernizzazione dell’Agricoltura
per la Valorizzazione Equilibrata delle Risorse Agroambientali)
GESTIONE INNOVAZIONE E SVILUPPO AGRICOLO
1. Agriturismo in provincia di Lecco – Idee per lo sviluppo e la valorizzazione
2. Sicurezza e salute in agricoltura – Informare, prevenire, proteggere
VALORIZZAZIONE RISORSE AGRICOLE
1. La gestione dei reflui d’allevamento per la valorizzazione delle risorse aziendali
2. Il florovivaismo lecchese – Prodotti e servizi del comparto
6. I funghi in provincia di Lecco – Conoscenza e valorizzazione delle risorse
9. Antiche varietà frutticole lecchesi - Conoscere e valorizzare l’agro-biodiversità
12. I boschi della provincia di Lecco – Aspetti gestionali ed ecologici
AGRICOLTURA, TERRITORIO AMBIENTE
5. I suoli della Brianza lecchese – Caratteri agronomici *
7. Gli alberi monumentali della provincia di Lecco
10. L’Agricoltura, i segni e le forme - Idee per valorizzare il paesaggio agrario
ECONOMIA E POLITICA AGRARIA
8. Multifunzionalità in agricoltura: dai concetti alle opportunità
11. Vendita diretta dei prodotti agricoli. Aspetti amministrativi e igienico-sanitari
* A partire da 5° volume la numerazione della collana prosegue
in ordine progressivo e non per singola sezione.
I volumi sono reperibili su http://www.provincia.lecco.it/Pagine/US22/new_volumi.html
85

Impaginazione e stampa:
Cattaneo Paolo Grafiche srl - Oggiono - Lecco
Officina Grafica di Annone Brianza
Stampato su carta ecologica Chlorine Free