Introduzione al canto "La quiete dopo la tempesta". - Biagio Carrubba
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niente in confronto <strong>al</strong> dolore che domina nel<strong>la</strong> natura. E <strong>al</strong>lora il rapporto si inverte:<br />
ciò che più preme <strong>al</strong> Leopardi non è il poco piacere che segue <strong>la</strong> tempesta ma il<br />
dolore che domina e sconvolge gli uomini.<br />
Nel<strong>la</strong> poesia, il Leopardi sviluppa questa similitudine: come <strong>dopo</strong> <strong>la</strong> tempesta segue il<br />
sereno, così <strong>dopo</strong> il dolore segue il piacere, ma quel piacere è così breve che si riduce<br />
a niente. Questa accentuazione del pericolo del<strong>la</strong> tempesta è evidenziata da questi<br />
versi: "onde si scosse/ e paventò <strong>la</strong> morte/ chi <strong>la</strong> vita abborria;/ onde in lungo<br />
tormento/ fredde, tacite, smorte,/ sudar le genti e p<strong>al</strong>pitar, vedendo mossi <strong>al</strong>le nostre<br />
offese folgori, nembi e vento/" (versi 34 –36).<br />
Questa descrizione ha lo scopo di aumentare, di molto, il dolore che <strong>la</strong> natura arreca<br />
negli uomini e ciò spiega <strong>la</strong> svolta del<strong>la</strong> seconda e terza strofa, nelle qu<strong>al</strong>i si dà<br />
maggiore ris<strong>al</strong>to <strong>al</strong> dolore e agli affanni che <strong>la</strong> natura procura agli uomini, rispetto<br />
<strong>al</strong><strong>la</strong> prima strofa ricca di <strong>quiete</strong>. Il "brusco passaggio di tono", come dice Fernando<br />
Bandini (Canti; Edizione Garzanti pagina 215), è dovuto, per l'appunto, a questo<br />
insistere che il Leopardi fa più sul<strong>la</strong> tempesta che sul<strong>la</strong> <strong>quiete</strong>. Per fortuna nel<strong>la</strong> vita<br />
di tutti i giorni il rapporto norm<strong>al</strong>e è diverso: dura di più il sereno che <strong>la</strong> tempesta,<br />
dura di più <strong>la</strong> s<strong>al</strong>ute che <strong>la</strong> m<strong>al</strong>attia, ad eccezione dei casi gravi e disgraziati che<br />
possono portare anche <strong>al</strong><strong>la</strong> morte improvvisa e violenta. Invece, il Leopardi, accentua<br />
maggiormente i casi sfortunati e ingigantisce le intemperie del clima diminuendo il<br />
piacere che, per fortuna, c'è tra gli uomini, magari discontinuo, ma in misura<br />
maggiore di quello stimato d<strong>al</strong> poeta. In effetti il Leopardi, proprio in quegli anni,<br />
aveva cambiato <strong>la</strong> sua idea sul "concetto di piacere" e sull’idea di Natura che aveva<br />
avuto prima. Il Leopardi aveva già sviluppato molti anni prima <strong>la</strong> sua teoria del<br />
piacere che era molto diversa da quel<strong>la</strong> maturata nel<strong>la</strong> costrizione di stare a Recanati.<br />
Il Leopardi aveva scritto: (citazione tratta da Leopardi – Zib<strong>al</strong>done – I Mammut – Newton editore –<br />
Pag. 69 (pagina origin<strong>al</strong>e dello Zib<strong>al</strong>done 165)). (E questa, secondo me, è <strong>la</strong> l'idea<br />
giusta che ogni uomo ha del piacere).<br />
Ora invece il Leopardi, imprigionato a Recanati, e <strong>dopo</strong> tutte le disillusioni che aveva<br />
provato negli anni, cambia parere ed accentua gli aspetti distruttivi e mortiferi del<strong>la</strong><br />
natura; il poeta stava quindi cambiando il suo giudizio sul<strong>la</strong> natura, che da madre<br />
benigna, e "pietoso no, ma spettatrice <strong>al</strong>meno", diventa "rea di ogni cosa". Questa<br />
trasformazione è confermata d<strong>al</strong>lo Zib<strong>al</strong>done: