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ANNO 13 - NUMERO 41 Primavera 2008 - Okinawa goju-ryu

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Tora Kan Dojo Anno <strong>13</strong>° n. <strong>41</strong><br />

(Continua da pagina 19)<br />

esse, a concludere il manico stesso, compare un mezzo<br />

vajira, l’antichissima arma-scettro che è propria<br />

sia del mondo ario-indiano (come simbolo di Indra, il<br />

dio vedico delle tempeste), sia poi del buddhismo. La<br />

tradizione vuole che essi siano composti di cinque<br />

diversi metalli, probabilmente a simboleggiare i cinque<br />

diversi elementi costitutivi dell’universo. Così<br />

come il vajira vero e proprio, anche il vajira-chiodo<br />

ebbe (ed ha) un’importanza prevalentemente simbolica,<br />

di strumento rituale, allo stesso modo che il vajira<br />

sviluppò alcune tecniche d’uso a percussione e di<br />

chiavi articolari, anche per il vajirakila si studiarono<br />

modalità di utilizzazione pratica, sia in combattimenti<br />

in combattimenti ravvicinati che di lancio. D’altra<br />

parte la sua associazione con il “fulmine” (attributo<br />

appunto del dio ario-indiano Indra, al pari del dio<br />

nordico Thor ) ovvero con qualcosa che per definizione<br />

stessa vola per l’etere, lo lascia supporre. Il<br />

sorgere di quest’arma rituale si colloca nell’estremo<br />

nord dell’India e, secondo alcune ipotesi, la sua particolare<br />

forma deriverebbe da quella che aveva in origine<br />

il palo centrale della tenda delle popolazioni nomadi<br />

stabilitesi in questa regione. Passò poi ai monasteri<br />

tibetani dove assunse il nome di phur-ba.<br />

Per quanto riguarda la tecnica di lancio, il manico,<br />

essendo troppo pesante rispetto alla lama, non dona<br />

un buon bilanciamento all’arma, ed esse dovevano<br />

essere destinate a praticanti di grande perizia ed e-<br />

sperienza (confraternite di guerrieri-iniziati, come in<br />

tutte le culture indoeuropee). Molto di più sappiamo<br />

sui suoi significati simbolici che appaiono molto simili<br />

a quelli che caratterizzano tutte le armi da lancio<br />

di forma allungata: il suo compito specifico era quello<br />

di “inchiodare” a terra i dèmoni, costringendoli a<br />

riconoscere la supremazia della dottrina di chi ne faceva<br />

uso. Esso rappresentava un aspetto della folgore<br />

che risplende improvvisa nelle tenebre, che spezza<br />

l’illusione fenomenica del mondo che ci circonda per<br />

permetterci d’intravvedere la vera essenza delle cose,<br />

per permetterci, insomma, di raggiungere<br />

l’Illuminazione.<br />

Studiando le arti marziali caso per caso si scoprono<br />

innumerevoli altri esempi di derivazione delle stesse<br />

da pratiche indoeuropee, per il tramite la cultura induista<br />

e della sua eresia buddhista che ne veicolarono<br />

la pratica e il significato in tutte le culture estremoorientali.<br />

Ma qual è il significato alto ereditato dalle<br />

arti marziali orientali e veicolatoci fino al giorno<br />

d’oggi nei maestri e nelle scuole che hanno conservato<br />

l’iniziazione e l’illuminazione<br />

L’uomo indoeuropeo, integrato nella Tradizione, apporta<br />

al combattimento un significato trasfigurante<br />

che va oltre ad un mero cozzare di corpi per la vittoria.La<br />

“grande guerra santa” è la lotta dell’uomo contro<br />

i nemici che egli porta in sé. Più esattamente, è la<br />

lotta del principio più alto dell’uomo contro tutto<br />

quello che in lui vi è di soltanto umano, contro la sua<br />

natura inferiore e ciò che è impulso disordinato e attaccamento<br />

materiale. In uno dei più famosi passi<br />

della letteratura vedica (11) abbiamo un concentrato<br />

di etica guerriera indoeuropea. La pietà che trattiene<br />

il guerriero Arjuna dallo scendere in campo contro il<br />

nemico, per il fatto di riconoscere fra di esso anche<br />

suoi congiunti e suoi maestri, nella Bhagavad-gita<br />

viene qualificata “viltà indegna di un uomo ben nato,<br />

ignominiosa, che dal cielo allontana”. “A me dedicando<br />

tutta l’azione – dice il dio Krishna – con la<br />

mente fissa nello stato supremo dell’Io, esente<br />

dall’idea di possesso, libero da febbre nello spirito,<br />

combatti” (12). In termini egualmente chiari si dice<br />

sulla purità di questa azione, che deve essere voluta<br />

in sé stessa: “Mettendo al pari piacere e dolore, profitto<br />

e perdita, vittoria e sconfitta, àrmati per la battaglia:<br />

in tal modo non avrai colpa” (<strong>13</strong>)<br />

cioè: in nulla devierai, compiendo il tuo dharma di<br />

guerriero, dalla direzione sovrannaturale.<br />

Diego Binelli<br />

Note:<br />

(1) Ricordiamo gli studi condotti in ambito tedesco<br />

dall’Ahnenerbe, l’ufficio<br />

delle SS naziste dedicato agli studi ancestrali, che<br />

ebbe grande interesse<br />

nell’Oriente, finanziando diverse spedizioni archeologiche<br />

e antropologiche. Uno<br />

studio dell’Ahnenerbe sul Giappone si trova in Walter<br />

W üst, Indogermanisches<br />

Bekenntnis, 1943.<br />

(2) M. Polia, L’etica del bushido, 1997<br />

(3) V. G. Kiernan, Il duello. Onore e aristocrazia<br />

nella storia europea, 1991<br />

(4) A. De Gobineau, Essai sur l’inégalité des races<br />

humaines, 1853-1855, trad.<br />

italiana Saggio sulla disuguaglianza delle razze umane,<br />

1997.<br />

(5) S. Di Martino, I segreti delle arti marziali, 1997<br />

(6) S. Consolato, Julius Evola e il buddhismo, 1995<br />

(7) S. Di Martino…<br />

(8) ibid.<br />

(9) ibid.<br />

(10) B. Abietti, Shuriken, 1991<br />

(11) Bhagavad-gita , II, 2 segg.<br />

(12) Ibid., III, 30<br />

(<strong>13</strong>) Ibid., III, 38<br />

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