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FONOLOGIA SINCRONICA - Lettere e Filosofia

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1<br />

Istituzioni di Linguistica 2010-11<br />

Paola Benincà.<br />

. <strong>FONOLOGIA</strong> <strong>SINCRONICA</strong><br />

1. Strutturalismo e Grammatica Storica<br />

Le caratteristiche della teoria generativa della fonologia possono essere meglio messe in luce confrontando<br />

questa teoria con lo strutturalismo. Questo vale anche per la sintassi, ma la fonologia che va messa inoltre a<br />

confronto con la teoria storico-comparativa del mutamento fonologico. La teoria storico-comparativa ha<br />

preceduto lo strutturalismo, ed è stata la prima teoria empirica sul linguaggio (vedi “Fonologia diacronica”).<br />

Anzi, lo stesso strutturalismo si configura con maggiore chiarezza se lo si considera nel campo della<br />

fonologia, la componente del linguaggio che ha trattato con maggior estensione, e se viene messo a<br />

confronto con la grammatica storico-comparativa.<br />

Hermann Paul, uno dei teorici del metodo storico-comparativo, nel 1888 affermava che “l’unica<br />

spiegazione scientifica possibile nello studio del linguaggio è la spiegazione storica”. Oggi, questa<br />

affermazione risulta senz'altro sorprendente, ma allora era motivata dal fatto che la fonologia storica era<br />

l'unico modello formale di analisi del linguaggio, che era in grado di arrivare a conclusioni empiricamente<br />

controllabili.<br />

La riflessione linguistica attuale è prevalentemente una riflessione sincronica, in cui si dà per scontato che<br />

le ipotesi si sviluppino e si controllino all'interno di un sistema grammaticale, e ci si propone di raggiungere<br />

della spiegazioni non solo storiche, ma anche sincroniche. Questo punto di vista è diventato esplicito in<br />

linguistica agli inizi del '900, in seguito alla lezione di Ferdinand de Saussure (Ginevra, 1857-1913); dal suo<br />

contributo teorico partì quella fase del pensiero linguistico che è etichettata come strutturalismo, da cui si<br />

sviluppa la linguistica moderna.<br />

Lo Strutturalismo ha portato le scienze umane a superare l'impostazione storicistica e a valutare i<br />

fenomeni delle diverse discipline come parti di 'sistemi'; questa impostazione ha avuto un influsso profondo<br />

su altre discipline umane, come l'etnologia, l'antropologia, la sociologia, la critica letteraria. Tutte queste<br />

discipline hanno preso dallo Strutturalismo concetti, prospettive e terminologie, adattandoli ai rispettivi<br />

campi di ricerca; per questo, la corrente strutturalista è importante non solo nella storia della linguistica ma<br />

anche come fase della storia della cultura in generale.<br />

Il fatto che lo Strutturalismo abbia avuto applicazione anche in altri ambiti culturali ha fatto sì che si<br />

diffondessero termini linguistici specialistici come struttura e sistema, che sono stati usati - talvolta<br />

forzando il loro significato tecnico - come metafore di un nuovo modo di vedere i prodotti dell'attività<br />

umana: non più solo nel loro sviluppo storico, prospettiva che aveva dominato l'Ottocento, ma innanzitutto<br />

ciascuno innanzitutto in sé e per sé, come una struttura sincronica.<br />

Il risultato fondamentale, su cui ancora si basa la linguistica moderna, è l'aver diretto la ricerca verso<br />

l'individuazione delle unità di rappresentazione del linguaggio, sia in fonologia che in morfologia e in<br />

sintassi. La linguistica precedente (compresa la grammatica descrittiva tradizionale) aveva operato come se<br />

le unità di rappresentazione (i suoni, le parole, le radici, le desinenze) fossero delle entità evidenti, esistenti<br />

di per sé indipendentemente dalle analisi linguistiche. In un certo senso è vero, cioè abbiamo tutti un'idea più<br />

o meno precisa delle categorie linguistiche: possiamo avere accesso a questi concetti intuitivi<br />

presumibilmente per il fatto che possediamo la rappresentazione mentale di almeno una grammatica<br />

completa di una lingua. Sulla base di categorie individuate sulla base dell’intuizione si può andare piuttosto<br />

avanti nell'osservazione dei fenomeni del linguaggio: ma lo strutturalismo ha stimolato la riflessione esplicita<br />

su questo punto, mostrando che le unità del linguaggio non sono così chiaramente individuabili e che il<br />

lavoro per arrivare a definizioni conclusive è tutt'altro che semplice e banale: in molti casi si vide che era<br />

necessario elaborare ulteriori analisi sistematiche per comprovare una scelta piuttosto che un'altra e superare<br />

aporie definitorie (ancora adesso, con varie teorie formali a disposizione, non esiste un modo di definire<br />

compiutamente la ‘parola’).<br />

Il metodo storico-comparativo, che ricostruiva la diacronia della morfologia e del lessico delle lingue, è<br />

stata per tutto l’Ottocento l’unica teoria formale del linguaggio; intorno al 1900, paradossalmente quando<br />

raggiungeva risultati di grande rilievo coi Neogrammatici e quando il dibattito era vivacissimo, in un<br />

momento quindi di innegabile sviluppo, comincia a essere assediata su piani diversi e da vari punti di vista.


2<br />

Ormai, tutto ciò che questo metodo poteva dire sul linguaggio umano (non sulle singole lingue) era stato<br />

detto e dimostrato: esso aveva cioè dimostrato che la forma fonologica delle lingue umane muta in modo<br />

regolare, cosicché le lingue imparentate possono essere messe in relazione reciproca mediante regole<br />

fonologiche diacroniche. Era necessario affrontare nuovi aspetti, per i quali la teoria storico-comparativa non<br />

era adeguata.<br />

Possiamo indicare almeno alcuni dei fattori che mutarono la posizione della grammatica storicocomparativa:<br />

a) quando entrano fra i temi di ricerca i dati delle lingue vive, vengono alla luce fenomeni, come la<br />

variazione minutissima delle lingue, che sembrano contraddire in modo vistoso la teoria della regolarità del<br />

mutamento: il metodo non ha mezzi teorici all'altezza dei problemi che si presentano;<br />

b) dopo aver dimostrato che il mutamento fonologico è regolare, il problema da affrontare è quello dei<br />

fattori responsabili del mutamento; questa parte era sempre stata lasciata all'intuizione e non viene<br />

esplicitata. All'interno di tale modello non è possibile indicare il motivo per cui le lingue mutano e neppure<br />

quale può essere un mutamento possibile: questo problema può essere affrontato dopo che si sia elaborata<br />

una teoria sincronica del linguaggio, e questo è quanto sosterrà lo strutturalismo, da Saussure in poi;<br />

c) i ricercatori di grammatica storica, con le armi del metodo, trovarono un campo infinito e affascinante<br />

di ricerca nell'etimologia (ossia la ricerca della radice delle parole). Questa area di ricerca è un'applicazione<br />

del metodo storico-comparativo: da esso l'etimologia ricava le solide basi per tracciare la storia di una lingua<br />

e del suo popolo; tuttavia la ricerca devia così l'attenzione da obiettivi più generali, da una parte una miglior<br />

comprensione del fenomeno del mutamento linguistico, dall'altra una analisi del linguaggio umano in sé.<br />

Non va dimenticato però che l'analisi etimologica continua anche oggi ad essere un momento<br />

preliminare indispensabile per la comparazione di forme, anche per la linguistica sincronica: con una teoria<br />

più complessa e definita, le informazioni che provengono dall'etimologia sono di grande importanza e aiuto<br />

nell'analisi. Lo stesso Saussure dice che (1922, I, III, 3, p. 119) “L’opposition entre les deux points de vue -<br />

synchronique et diachronique - est absolue et ne souffre pas de compromis.” (l'opposizione fra i due punti di<br />

vista, sincronico e diacronico è assoluta e non ammette compromessi); ma dice anche che sarà proprio<br />

l'insieme delle acquisizioni storiche sulle lingue che permetterà alla linguistica sincronica di comprendere in<br />

modo più profondo gli 'stati di lingua'. I due metodi devono integrarsi, ma possono farlo solo se vengono<br />

prima chiaramente distinti. Dopo aver sviluppato alcune riflessioni su diverse teorie sincroniche, si possono<br />

prendere in esame alcune classiche regole fonologiche diacroniche usando strumenti più raffinati per la<br />

descrizione e l'interpretazione dei fenomeni fonologici.<br />

Nel metodo storico-comparativo la componente sincronica restava implicita, non era espressa in modo<br />

formale o esplicito. Non a caso il metodo nasce come studio di lingue scritte, anzi spesso morte; le lingue<br />

prese in esame erano già state in qualche modo analizzate, se non altro perché scrivere una lingua<br />

presuppone una sua analisi implicita o inconscia. Notiamo fra parentesi che le scritture ortografiche<br />

tradizionali sono state molto svalutate – in particolare proprio dallo strutturalismo - come modo di<br />

rappresentare una lingua: si sono criticati inoltre i primi glottologi come Bopp e Grimm, che parlavano di<br />

evoluzione di lettere e non di evoluzione di suoni. Come ha notato successivamente il linguista Luis<br />

Hjelmslev, in realtà, non cambiano né le lettere né i suoni: cambiano le rappresentazioni astratte (mentali)<br />

che 'generano' i diversi suoni e vengono rappresentate simbolicamente con determinate lettere dell'alfabeto<br />

nel momento in cui una lingua viene scritta. In realtà, sotto molti punti di vista, la scrittura di una lingua è un<br />

modo ottimale di rappresentare la sua fonologia, la sua morfologia e il suo lessico, anche se appare<br />

incoerente e imprecisa come rappresentazione della sua fonetica. Torneremo su questo più avanti .<br />

Il metodo storico-comparativo in quanto paradigma di ricerca sul linguaggio era concluso sul finire<br />

dell'Ottocento. In quanto studio di ricostruzione storica di una lingua, il metodo storico-comparativo è<br />

considerato in stretta relazione con il Romanticismo ottocentesco, e in un certo senso legato al suo destino.<br />

Questa interpretazione diventa fuorviante, se si vuole svalutare il metodo vedendolo esclusivamente come<br />

frutto di un periodo storico e delle ideologie dominanti. I suoi risultati vanno valutati indipendentemente dal<br />

suo conformarsi agli interessi dell'epoca, ed esso resta tuttora, anche per la linguistica sincronica, uno<br />

strumento importantissimo di analisi preliminare dei fatti linguistici per la comparazione fra lingue e fra stati<br />

storici di una lingua.<br />

1. 1. Saussure fra strutturalismo e grammatica storica.<br />

Saussure è autore di un fondamentale lavoro di grammatica storico-comparativa, la tesi dottorale sul<br />

sistema delle vocali indoeuropee: Mémoire sur le système primitif des voyelles dans les langues indo-


3<br />

européennes (Lipsia 1879). Si tratta di uno studio che contribuì fra l'altro a dimostrare definitivamente che il<br />

sistema vocalico dell'indoeuropeo non è conservato meglio dal sanscrito (che è, anzi, più innovativo in<br />

quest'area) ma da lingue come il latino o il greco. Come fa intuire anche il titolo, pur essendo un lavoro<br />

perfettamente inserito nella metodologia storico comparativa, questo può essere considerato anche il primo<br />

lavoro di fonologia strutturale, per l'importanza centrale che vi hanno i rapporti fra elementi linguistici<br />

all'interno dei singoli sistemi, rispetto ai rapporti fra i singoli elementi isolati nelle diverse lingue considerate.<br />

Gli stessi Neogrammatici, come Osthoff e Brugmann, che avrebbero potuto partecipare all'elaborazione<br />

teorica di questa rivoluzione mantenendola all'interno della comunità scientifica, accolsero con qualche<br />

ostilità e diffidenza le conclusioni di Saussure, contribuendo in modo decisivo alla frattura fra linguistica<br />

diacronica e linguistica sincronica.<br />

Saussure non pubblicò altri lavori di una certa ampiezza oltre a questo Mémoire e alla successiva 'tesi di<br />

dottorato', presentata sempre a Lipsia nel 1880, che trattava un argomento più vicino alla sintassi, il genitivo<br />

assoluto del sanscrito. Due suoi allievi ginevrini - Charles Bally e Albert Sechehaye - pubblicarono postumi,<br />

con il titolo di Cours de linguistique générale (1916), gli appunti dei suoi tre corsi di linguistica, tenuti a<br />

Ginevra ad anni alterni fra il 1906 e il 1911. Si è creato, fra l'altro, un campo di ricerca filologica intorno a<br />

Saussure, prima di tutto per definire quanto sia stato effettivamente detto da Saussure e quanto, invece, derivi<br />

dall'elaborazione degli allievi, anch'essi linguisti di spiccata personalità (a questo scopo sono stati pubblicati<br />

volumi dell'edizione critica degli appunti dei diversi quaderni degli allievi). Più interessante forse la<br />

pubblicazione di lavori incompiuti di Saussure, su svariati argomenti di linguistica generale, di filologia,<br />

grammatica storica, ecc. Prima di tornare a Ginevra alla fine del secolo, Saussure aveva insegnato a Parigi,<br />

dove aveva formato gli studiosi che, come Antoine Meillet, impostarono la ricerca nel campo della<br />

grammatica storico-comparativa in Francia. Anche il pensiero di un linguista comparatista come Meillet, per<br />

esempio, va quindi correttamente inquadrato tenendo conto dei temi di riflessione introdotti da Saussure, e lo<br />

stesso lavoro di ricostruzione indeuropeistica di Saussure può essere meglio compreso come parte dell'innovazione<br />

teorica dello strutturalismo.<br />

1.1.1. Il pensiero di Saussure impone dunque un significativo cambiamento di prospettiva alla teoria<br />

linguistica e segna la conclusione della ricerca del metodo storico-comparativo propriamente detto. Polo<br />

importante di questo nuovo orientamento sarà il Circolo Linguistico di Praga, che si riuniva settimanalmente<br />

e di cui facevano parte, tra gli altri, il francese André Martinet, che influì sulla linguistica<br />

americana con la sua attività nel circolo linguistico di New York, i russi Roman Jakobson (poi vissuto<br />

stabilmente negli Stati Uniti) e il principe Nikolaj Sergejević Trubeckoj, morto a Vienna durante<br />

l'occupazione nazista.<br />

Dei numerosi temi di riflessione del circolo di Praga, quello che maggiormente ci interessa qui, e che ha<br />

avuto sviluppi di particolare rilevanza, fu la fonologia, alla cui elaborazione contribuirono soprattutto<br />

Jakobson e Trubeckoj; all'interno del Circolo vennero elaborate le fondamentali Tesi di Praga, che ponevano<br />

le basi teoriche della fonologia sincronica: furono presentate al I Congresso Internazionale dei Linguisti<br />

tenutosi a L’Aia nel 1928 e pubblicate nel 1929.<br />

Una corrente strutturalista con caratteri originali si è sviluppata poco dopo negli Stati Uniti, in gran parte<br />

indipendentemente dagli sviluppi europei, ad opera di Eduard Sapir, Franz Boas, Leonard Bloomfield.<br />

Questo 'ramo’ dello strutturalismo ha caratteri distinti rispetto a quello europeo, sviluppati a contatto dei<br />

problemi connessi con lo studio di lingue non indeuropee, in particolare amerindiane; ma sembra certo che<br />

sia stato ispirato anch'esso, almeno in parte, dal pensiero di Saussure.<br />

1.2. Le dicotomie saussuriane<br />

Tutte le correnti dello strutturalismo hanno in comune il fatto di aver spostato l'interesse dal mutamento<br />

linguistico e la parentela fra lingue, alla riflessione sul linguaggio come facoltà umana; la riflessione<br />

linguistica deve essere innanzitutto sincronica, deve partire dall'esame di una lingua vista in sé come un<br />

oggetto da spiegare, un sistema di elementi collegati da relazioni. Tale orientamento prende avvio dalla<br />

riflessione di Saussure, che considerava la lingua come un sistema di fatti e fenomeni interrelati: il Cours de<br />

Linguistique générale si concludeva con una frase divenuta famosa (e in fondo, poco importa se sia stata<br />

effettivamente pronunciata da Saussure, o sia stata introdotta dagli allievi, che pensavano di sintetizzare così<br />

il pensiero del Maestro): "la linguistique a pour unique et véritable objet la langue, envisagée en elle-même<br />

et pour elle-même" (la linguistica ha per unico e vero oggetto la lingua - o meglio, la langue - considerata in<br />

se stessa e per se stessa) ossia senza tenere conto della sua evoluzione storica e prescindendo anche dalla<br />

parole, cioè dai fenomeni casuali, isolati che si riscontrano nell'uso effettivo.


4<br />

Già in questi primi cenni sono state introdotte alcune delle dicotomie individuate e definite da Saussure<br />

riguardo allo studio del linguaggio. Questo modo di procedere rivela l'obiettivo principale della riflessione<br />

saussuriana, che era quello di definire esplicitamente i concetti e gli oggetti di studio della disciplina,<br />

distinguendo e separando quello che nella ricerca precedente restava implicito o era ancora informe e<br />

confuso. Il procedimento si basa sul contrasto, considerato necessario per definire le unità.<br />

1.2.1. Diacronia e sincronia. In contrapposizione ai neogrammatici, che vedevano nella dimensione<br />

diacronica l'unico modo di studiare scientificamente il linguaggio, Saussure indica come preminente la<br />

dimensione sincronica della linguistica: si deve capire il funzionamento di una lingua indipendentemente<br />

dalla conoscenza di come essa era in un momento storicamente precedente; infatti, chi usa una lingua non ha<br />

normalmente nessuna idea di come essa era nel passato. D’altra parte, un linguista che analizza fenomeni<br />

diacronici deve utilizzare nozioni, anche intuitive, delle unità di rappresentazione, come “fono (o fonema, o<br />

suono linguistico), parola, desinenza, frase”. In questo senso lo studio sincronico è preminente rispetto a<br />

quello diacronico. Le spiegazioni dei fenomeni linguistici si devono trovare nel meccanismo di una lingua<br />

senza ricorrere alla sua storia, mentre lo studio dell’evoluzione di una lingua presuppone una nozione teorica<br />

complessiva della lingua stessa e delle sue componenti.<br />

1.2.2. Langue e Parole. Una seconda dicotomia operata da Saussure è quella tra langue (sistema astratto<br />

di riferimento) e parole (la lingua come viene effettivamente usata). "Lo studio del linguaggio comporta<br />

dunque due parti: l'una, essenziale, ha per oggetto la langue Quando affrontiamo l'analisi di una lingua dobbiamo<br />

partire dal presupposto che essa è un sistema, una struttura che nella sua essenza è sociale e<br />

indipendente dall'individuo; questo studio è unicamente psichico; l'altra, secondaria, ha per oggetto la parte<br />

individuale del linguaggio, vale a dire la parole, ivi compresa la fonazione; essa è psicofisica" (p. 37). " La<br />

lingua esiste nella collettività sotto forma d'una somma di impronte depositate in ciascun cervello, a un di<br />

presso come un dizionario del quale tutti gli esemplari, identici, siano ripartiti tra gli individui" (p.38). "In<br />

che maniera è presente la parole nella collettività Essa è la somma di ciò che la gente dice..." (p.39). Nello<br />

studio del linguaggio come sistema, dobbiamo partire necessariamente considerando elementi concretamente<br />

realizzati, elementi della parole, ma anche intuizioni e giudizi su elementi nuovi.. Gli elementi osservabili<br />

tratti dalla parole vanno ricondotti alle loro relazioni con tutti gli altri elementi, ricostruendo la langue, il<br />

sistema a cui appartengono e che spiega il loro funzionamento. (Si noti che, come fa intuire l'esempio del<br />

vocabolario, il concetto di lingua o langue è ancora in Saussure un insieme di parole, con la loro morfologia<br />

e fonologia: la sintassi è considerata esplicitamente parte della stilistica e della variazione individuale).<br />

1.2.3. Significante e Significato. Il concetto saussuriano forse più ricco di sviluppi - anche metaforici, in<br />

discipline diverse dalla linguistica - è quello di segno: una lingua è un sistema di segni. Il segno linguistico<br />

mette in relazione un'immagine acustica, il significante, con un concetto, il significato (la parte concettuale).<br />

Le due ‘facce’ del segno – il significante e il significato – sono inscindibili (come due facce di un foglio di<br />

carta) e collegate da una connessione arbitraria, anche se convenzionale, cioè accettata da una comunità<br />

linguistica: su questa relazione l'individuo in quanto tale non ha nessun potere, normalmente, per<br />

modificarla, a meno che non riesca ad influire sulla comunità. Non c'è alcuna ragione indipendente per cui la<br />

sequenza /b//u//e/ (il significante) sia associata al concetto "bue" (il significato); in altre lingue infatti<br />

sequenze diverse (ox, boef, bò, ecc.) sono associate a questo stesso concetto "bue". La cosa sembra ovvia e<br />

semplice, ma è stata discussa in ogni sua piega dopo Saussure, anche con l'obiettivo di "stabilire che cosa<br />

abbia veramente detto Saussure": l'arbitrarietà va vista solo, come fa Saussure, fra significante e significato,<br />

o anche fra segno e referente (cioè, fra elemento linguistico e 'oggetto' reale corrispondente) Inoltre, si è<br />

osservato, cambiando lingua non cambia solo il significante, ma anche il significato: le lingue non sono<br />

soltanto un insieme di significanti diversi attaccati allo stesso elenco di concetti, ma organizzano in modo<br />

diverso la rappresentazione cognitiva della realtà (“la lingua non è una nomenclatura”, aveva sostenuto<br />

Saussure stesso).<br />

Sviluppi autonomi della questione del segno si ebbero da parte del linguista danese Luis Hjelmslev che<br />

elaborò una teoria molto astratta, le cui possibilità empiriche non sono state esplorate, la glossematica; da qui<br />

hanno origine nuove riflessioni filosofiche nell’ambito della semiologia (la “scienza dei segni”); antecedenti<br />

importanti sono identificabili, ad esempio, in Platone, che nel Cratilo discuteva argomenti connessi col<br />

significato linguistico, o nei filosofi francesi del '700- 800, che pure trattarono la relazione fra segno e<br />

significato. Posizioni molto fini e vicine a queste saussuriane sono espresse in un saggio incompiuto di<br />

Alessandro Manzoni, Della lingua italiana, pubblicato postumo da Poma e Stella (Mondadori, 1974)).


5<br />

Il rapporto arbitrario fra significante e significato è inoltre il presupposto indispensabile della grammatica<br />

storica nel modello storico comparativo: la giustificazione per cercare e ipotizzare leggi di mutamento<br />

fonologico regolare deriva dal fatto che non c’è altra ragione per cui un dato significato sia accoppiato a un<br />

dato suono (o ‘significante’). L’unica ragione è il fatto che in un momento storicamente antecedente il<br />

significato era accoppiato a un altro significante, che è in realtà lo stesso con diverse regole fonologiche. Se<br />

il rapporto non fosse arbitrario, potrebbero esserci motivi diversi dalla trasmissione fedele alle generazioni<br />

successive di un materiale a cui si applicano delle regolari trasformazioni fonologiche.<br />

Un'area di riflessione connessa all'arbitrarietà del segno, in un certo senso una sua radicalizzazione, è quella nota<br />

come 'relativismo linguistico’ (o 'ipotesi di Sapir-Whorf'): le diverse culture non solo usano denominare diversamente i<br />

concetti, ma segmentano diversamente la realtà. Diverse culture differiscono in modo a volte appariscente, ad esempio,<br />

riguardo ai colori concettualmente rilevanti: alcuni popoli hanno solo due o tre termini per i colori, e ciascun termine<br />

copre un'area dello spettro dei colori più ampia di quella di termini usati in culture che hanno un repertorio di termini<br />

più ricco. Si cita spesso anche il caso degli eschimesi che hanno una grande ricchezza di termini specifici per indicare<br />

diverse situazioni fisiche della neve, mentre popolazioni dell'India, ad esempio, hanno un unico termine che viene usato<br />

sia per la nostra neve che per il nostro ghiaccio. Osservazioni come queste hanno portato a teorizzare una stretta<br />

interdipendenza tra linguaggio e concezione del mondo, fino a supporre una influenza del linguaggio sulla mente e sul<br />

suo modo di procedere nelle attività fondamentali del pensiero. Questa teoria porterebbe a concludere che è possibile<br />

che culture diverse siano reciprocamente incomprensibili, anche per aspetti basilari del linguaggio. Le conoscenze della<br />

psicologia della percezione e della cognizione, da una parte, e della linguistica dall'altra consentono di superare questo<br />

tipo di problemi alla luce del fatto che le possibili variazioni nella strutturazione della realtà, come nelle possibilità delle<br />

grammatiche e dell'organizzazione del lessico delle lingue, non sono variazioni casuali ma sempre all'interno di un<br />

numero molto limitato di possibilità: il limite è costituito da una dotazione innata di facoltà psicologiche e di schemi<br />

interpretativi che predeterminano, sia pure solo in parte, sia la percezione del mondo che la forma particolare delle<br />

lingue. Un libro recente discute in modo chiaro e attraente questi ‘falsi problemi’ che sono stati posti alle teorie<br />

universalistiche del linguaggio: Steven Pinker, The Language Instinct, (trad. ital. purtroppo non accurata, L’istinto del<br />

linguaggio, Mondadori, Milano). Si può vedere anche un interessante articolo di Massimo Piattelli Palmarini in Le<br />

lingue del mondo, “Quaderni di ‘Le Scienze’, a cura di Giuseppe Longobardi, giugno 1999, dove si portano le prove<br />

sperimentali del fatto che anche la variazione del lessico è ristretta all’interno di un ambito molto limitato di oscillazioni<br />

possibili, è condizionata cioè da principi innati e universali del nostro sistema cognitivo. Per quanto riguarda le<br />

variazioni nei termini riferiti ai colori nelle lingue del mondo, è molto interessante la ricerca di Kay & Berlin, Basic<br />

Color Terms (1969) che ha mostrato che la variazione non è casuale; tutte le lingue condividono uno schema di base di<br />

colori fondamentali a cui attribuiscono un nome specifico; alcune lingue hanno un vocabolario più ricco, che espande<br />

secondo una scala di implicazioni molto chiara, lo schema fondamentale. Le differenze nella ricchezza dei termini sono<br />

da collegare a differenze culturali, non genetiche.<br />

1.2.4. Rapporti sintagmatici e paradigmatici. Infine, vediamo un’ultima dicotomia individuata da Saussure, che<br />

ha importanti riflessi metodologici tuttora validi: questa contrappone i rapporti associativi (detti poi paradigmatici o in<br />

absentia) ai rapporti sintagmatici (o in presentia).<br />

In sintesi, i rapporti sintagmatici riguardano gli elementi linguistici in quanto ‘appaiono insieme’ in una<br />

data sequenza; i rapporti paradigmatici o associativi riguardano gli elementi che possono ‘stare al posto di’<br />

altri elementi in un dato punto della sequenza.<br />

In un enunciato, cioè, si possono osservare i rapporti fra elementi compresenti nell'enunciato, come<br />

fonemi o parole che compaiono in uno stesso enunciato (r. sintagmatici); oppure si può riflettere sulle<br />

possibili sostituzioni con elementi non presenti nell'enunciato, ma che fanno parte del sistema e potrebbero<br />

essere sostituiti a quelli presenti, nella stessa sede (r. paradigmatici). Saussure esemplifica soprattutto con<br />

casi di morfologia derivazionale:<br />

la parola défaire si può analizzare come un composto dé+faire: questo si stabilisce istituendo rapporti<br />

paradigmatici fra défaire e parole come dé-coller, dé-placer, ecc., individuando così il prefisso dé-; e con<br />

parole che contengono faire, come lo stesso faire, e re-faire, contre-faire, ecc., e individuando faire come<br />

secondo membro del composto. "Soltanto nella misura in cui le altre parole fluttuano intorno alla parola<br />

défaire, questa può venire decomposta e apparire come un sintagma. Se le altre parole sparissero dalla<br />

lingua, défaire sarebbe inanalizzaible; non sarebbe più che un'unità semplice e le sue parti non sarebbero<br />

opponibili l'una all'altra.<br />

Per fare un esempio fonologico, prendiamo la parola /’skjεna/ (schiena): abbiamo una serie di fonemi<br />

(suoni sistematici) che hanno tra loro rapporti sintagmatici. Se consideriamo i fonemi /n/, /a/, vediamo che<br />

/n/ ha un'articolazione dentale, perché in italiano /n/ con articolazione posteriore (velare) (˜) non può trovarsi<br />

davanti ad una vocale (alcuni dialetti piemontesi e liguri, ad es., invece non hanno questa restrizione). Così<br />

l'articolazione di /k/ davanti a /j/ è considerevolmente più avanzata che l’articolazione dello stesso fonema


6<br />

/k/ davanti ad /a/, /u/; in una trascrizione stretta dovremmo scrivere schiena /'scjεna/, casa /'kaza/, cupo<br />

/'kupo/. Invece, analizzando la stessa parola dal punto di vista dei rapporti paradigmatici, diciamo che il<br />

secondo fonema di /skjEna/ potrebbe essere sostituito da alcune consonanti (non, per esempio, da /z/ o /∫/, o<br />

/ζ/), e da qualsiasi vocale: possiamo dire questo, naturalmente, se non teniamo conto del significato: la parola<br />

risultante da questa sostituzione avrà normalmente un significato diverso, o addirittura - ma questo è<br />

accettato solo da alcuni strutturalisti - non avrà un significato nella lingua, ma sarà solo una diversa parola<br />

possibile.<br />

Come si mostra in Sintassi, la stessa operazione si può fare con i sintagmi veri e propri (i costituenti<br />

sintattici). Per esempio, nella frase Il cane mangia una bistecca, possiamo osservare i rapporti sintagmatici<br />

fra le "parole", o meglio, come vedremo subito, fra gli elementi della prima articolazione: il si accorda con<br />

cane; mangia si accorda in persona con il cane; non posso cambiare l'ordine fra il e cane, fra una e bistecca,<br />

ecc., ma posso cambiare l’ordine dei costituenti maggiori (La bistecca, il cane mangia!). Se considero i<br />

rapporti paradigmatici degli stessi elementi, osservo che a il cane posso sostituire Giorgio, Il gatto, L'orso,<br />

ecc., mentre se sostituisco Il tavolo, ottengo una frase dove sono violati alcuni principi semantici legati al<br />

verbo: in questo caso, abbiamo il verbo mangiare, che richiede un 'soggetto animato’, un requisito che non è<br />

normalmente soddisfatto con un nome come tavolo. A il posso sostituire un, con un significato pragmatico<br />

diverso: non mi riferisco più a un cane ben preciso, oppure alla classe universale dei 'cani in quanto tali', ma<br />

a un cane indeterminato; così posso sostituire la a una, con cambiamenti di significato pragmatico analoghi e<br />

simmetrici. Se a cane sostituisco invece gatta, scatta un requisito morfologico che impone di accordare<br />

l'articolo al femminile, e così via. Al posto di cane non posso sostituire un verbo flesso, per esempio correrà,<br />

ecc.<br />

I rapporti paradigmatici individuano dunque le scelte possibili in un dato punto, e le conseguenze<br />

pragmatiche, semantiche, morfologiche e sintattiche che derivano dalle diverse scelte. In particolare,<br />

permettono di classificare insieme elementi che possono essere sostituiti nella stessa posizione, portando ad<br />

individuare delle ‘categorie’ di elementi linguistici. Utilizzeremo questo procedimento soprattutto in sintassi.<br />

1.3. La doppia articolazione del linguaggio.<br />

Sulla metodologia dei rapporti paradigmatici André Martinet (citato sopra) ha sviluppato una<br />

riflessione molto importante, che si è orientata a individuare i diversi livelli di articolazione del linguaggio,<br />

l’individuazione delle unità ‘modulari’ ai diversi livelli di rappresentazione (articulus “membretto,<br />

modulo”). Una lingua umana si materializza sotto forma di un flusso sonoro continuo, che sia all'analisi del<br />

linguista che alla riflessione dell'utente della lingua si rivela come articolato, formato da una successione di<br />

unità di due livelli: questo lo caratterizza e lo distingue da qualsiasi altro sistema di segni o di linguaggio. Si<br />

noti che questa ‘articolazione’ non è in alcun modo rilevabile in maniera obiettiva, anche con sofisticati<br />

strumenti, ma solo in maniera indiretta, partendo dall’intuizione introspettiva.<br />

La teoria dello studioso francese è stata esposta nella rivista Travaux du Cercle Linguistique de Prague,<br />

nel 1949. I due livelli di articolazione del linguaggio cui si riferisce Martinet sono:<br />

1. i monemi, unità della prima articolazione, gli elementi minimi dotati di significato.<br />

Sono costituiti dalle basi lessicali e dagli elementi morfologici. Per esempio, nella frase: il bambino aveva<br />

mal di testa la parola bambino è composta da due monemi: l'elemento lessicale (bambin-) e l'elemento<br />

morfologico (-o); così per il verbo aveva: av- costituisce la base lessicale, -eva l’elemento morfologico.<br />

Quindi il monema è la minima unità del linguaggio dotata di significato; in questo modo, le radici<br />

lessicali e gli elementi morfologici appartengono allo stesso livello (secondo Martinet e gran parte dei<br />

linguisti strutturalisti); il tipo di significato di cui sono dotati sembra tuttavia di tipo diverso, per cui si è<br />

preferito in seguito distinguere i monemi lessicali, o lessemi, dai monemi funzionali, o morfemi.<br />

2. fonemi, unità della seconda articolazione, sono le minime unità distintive della catena fonica; esse non<br />

hanno significato di per se stesse, ma se vengono sostituite da un'altra unità, cambiano la forma del monema,<br />

cioè producono un cambiamento di significato. Il fonema strutturalista è quindi la minima unità di<br />

rappresentazione, distintiva di significato e oppositiva: sostituita in una data sede, cambia il significato,<br />

dando luogo a coppie minime.<br />

Il fonema si individua appunto mediante la sostituzione e la individuazione di coppie minime, di nuovo<br />

sfruttando il concetto di rapporto paradigmatico fra le unità del sistema. Per esempio, nella parola testa i<br />

fonemi sono in relazione paradigmatica con altri fonemi, indicati qui sotto in colonna:


7<br />

t e s t a t e s t a t e s t a t e s t a (plur. –e)<br />

f o n o (pl. –i)<br />

l a e (plur. –i)<br />

m<br />

d<br />

r<br />

c<br />

Se sostituiamo l'elemento t con un altro (f, l, m, d, ecc.) otteniamo ogni volta una parola con diverso<br />

significante e diverso significato, e l'operazione si può ripetere con altri elementi della catena, ogni volta<br />

ottenendo una coppia minima, due parole che differiscono per un unico segmento. Non è possibile ottenere<br />

sempre una nuova parola: per individuare tutti i fonemi di una lingua è necessario ripetere l'operazione con<br />

vari elementi del lessico. Ciascuno degli elementi sostituiti è quindi un fonema in quella lingua, una unità del<br />

livello di seconda articolazione. Questa operazione è più significativa, come vedremo subito, quando le unità<br />

differiscono minimalmente, come in testa - desta, dove /t/ ~ /d/ differiscono solo per la sonorità, e sono due<br />

fonemi, in quanto distinguono parole di diversa forma e diverso significato.<br />

Se la sostituzione non cambia il valore del monema o della parola, significa che le due unità foniche non<br />

sono fonemi ma varianti. Se sostituiamo ad esempio /t/ iniziale con /t h /, con una occlusiva sorda aspirata,<br />

ottengo in italiano una pronuncia particolare (che può essere ad esempio regionale calabrese) ma non ottengo<br />

una parola diversa: /t/ e /t h / non sono due fonemi in italiano, non distinguono parole. In inglese /t/ e /t h /, come<br />

pure /p/ e /p h /, /k/ e /k h / sono in distribuzione complementare: le occlusive aspirate /t h / /p h / e /k h / si trovano<br />

solo in posizione iniziale di sillaba accentata (/'t h ajm/ time /'t h ajp/ type /In-'t h ajr/ entire, /'p h ajp/ pipe, /be'k h çz/<br />

because, ecc.) Ma ci sono lingue in cui i due foni /t/ e /t h / sono due fonemi, quindi distinguono parole (il thai,<br />

lingua della Thailandia, per esempio, è una lingua di questo tipo).<br />

Le diverse realizzazioni di /t, p, k/ dell’inglese sono detti allofoni. Si dice allòfono una diversa<br />

realizzazione del fonema che non produce opposizione. Un allòfono può essere una variante combinatoria<br />

quando la sua differenziazione dipende dal contesto, come nei casi appena visti, oppure per la nasale davanti<br />

a consonante in italiano, che può essere /n, m,N/ (cioè, dentale, labiale, velare) a seconda se è seguita<br />

rispettivamente da consonante dentale, labiale, velare (per es. /dente, gamba, fuNgo). Come vedremo /n/ e<br />

/N/ sono considerati fonemi in senso strutturalista per l’inglese, una interpretazione che è stata fortemente<br />

discussa dai fonologi generativisti. L’allòfono può essere anche una variante facoltativa nel caso di<br />

pronunce personali o stilistiche, o regionali, ecc., come in italiano /p ~ p h /, /r ~ R/ (r francese o tedesca).<br />

L’allofonia può essere vista in una prospettiva diversa, vedendo la realizzazione condizionata dal contesto<br />

come annullamento dell’opposizione di fonemi: ad es., in posizione finale di parola si annulla l’opposizione<br />

sorda sonora per le consonanti ostruenti del tedesco, cioè, ad es., la scelta fra /t, d/ si riduce solo a /t/ in<br />

posizione finale; in questi casi si dice che si ha un arcifonema, indicato con la lettera maiuscola<br />

corrispondente, risultato di neutralizzazione dell’opposizione in una determinata sede.<br />

1.4. La scomposizione del fonema in tratti<br />

Lo studio di monemi e fonemi è stato quello che ha dato i risultati più interessanti nello strutturalismo<br />

ponendo le basi dell’individuazione formalmente esplicita delle unità del linguaggio. Per studiosi come<br />

Martinet, il fonema non era ulteriormente divisibile, mentre, sempre all'interno della teoria strutturalista,<br />

Roman Jakobson ha intuito la possibilità di scomporre il fonema in elementi più piccoli e basici, i tratti, che<br />

discuteremo subito. I tratti sono quindi ad un terzo livello di articolazione, e la loro composizione produce il<br />

fonema. In questo caso abbiamo una occorrenza simultanea di elementi, a differenza che con gli altri due<br />

livelli, in cui - con i monemi e i fonemi - restavamo sempre in un piano di successione lineare.<br />

L'intuizione che il fonema è il risultato della combinazione di elementi più piccoli deriva da un enorme<br />

lavoro descrittivo condotto da Trubeckoj sui sistemi fonologici delle lingue del mondo e sulle loro<br />

caratteristiche generali, unito a una riflessione molto spinta riguardo ai tipi possibili di opposizioni<br />

fonologiche: quando due fonemi si distinguono per una sola caratteristica, per esempio la sonorità<br />

nell'opposizione di /t/ ~ /d/, o l'arrotondamento delle labbra come in /i/ ~ /y/, si può arrivare a concepire<br />

queste caratteristiche, o tratti, come gli elementi costitutivi del fonema: il passo successivo compiuto da<br />

Jakobson fu quello di supporre che esista una lista chiusa universale di tratti fonologici, piuttosto piccola, e


8<br />

che la loro combinazione possa produrre tutti i possibili fonemi di tutte le lingue del mondo. Questa sarebbe<br />

la comune base della fonologia delle lingue umane. L'idea è stata elaborata successivamente con alcuni<br />

cambiamenti dalla fonologia generativa, ma la sua base resta tuttora valida.<br />

Per quanto riguarda il primo livello, quello dei monemi, esso sarà molto sviluppato dallo strutturalismo<br />

americano (si veda per un esempio, in Benincà-Longobardi la lettura Morfologia di Leonard Bloomfield, un<br />

capitolo del suo bellissimo manuale Language). Successivamente a Martinet, si sono adottate terminologie<br />

alternative; noi distingueremo i monemi che si riferiscono al lessico dotato di significato vero e proprio<br />

chiamandoli lessemi, dai monemi che, più che di un significato, sono dotati di un valore funzionale,<br />

esprimono relazioni morfologiche (accordo, tempo, casi, preposizioni ecc.): li chiamiamo morfemi.<br />

Quest'area di ricerca porterà all'elaborazione della teoria sintattica e morfologica generativa.<br />

Un’introduzione alla linguistica strutturale molto ben fatta è Giulio C. Lepschy, La linguistica strutturale,<br />

Einaudi.<br />

1.4.1. Strutturalismo e funzionalismo. Il fatto di considerare la lingua come un sistema di segni con<br />

funzione di comunicazione ha portato lo Strutturalismo verso il Funzionalismo, sviluppatosi in Francia ad<br />

opera di André Martinet..<br />

Martinet ha approfondito l'aspetto della lingua come sistema di comunicazione ed ha cercato di trovare<br />

nella funzione della comunicazione la ragione dei fenomeni del linguaggio. Questa teoria sul piano empirico<br />

si rivela poco interessante, in quanto non è in grado di affrontare la spiegazione di fenomeni precisi e<br />

dettagliati. Il funzionalismo si concentra su un aspetto del linguaggio che è evidentemente importante, la funzione<br />

comunicativa, ma che, contrariamente a quanto potrebbe sembrare, non è affatto centrale per render<br />

conto della forma specifica delle diverse lingue. Se riflettiamo sul fatto che tutte le lingue umane hanno questa<br />

funzione, e tuttavia sono diversissime, non può essere lì la ragione della forma precisa che hanno le<br />

lingue, mentre è proprio questo ciò di cui si occupa la linguistica.<br />

A proposito del funzionalismo- come pure dell'idea che la funzione comunicativa sia primaria nel<br />

linguaggio - può essere interessante citare un passaggio del Cours di Saussure quando, commentando i<br />

diversi stadi della metafonesi germanica, dice "Contrariamente all'idea falsa che noi volentieri ce ne<br />

facciamo, la lingua non è un meccanismo creato e ordinato in vista dei concetti che deve esprimere" (p. 122).<br />

2. Strutturalismo e fonologia generativa<br />

Alcune difficoltà concettuali dello strutturalismo e alcuni problemi descrittivi che questo modello<br />

incontra vengono meglio in luce se confrontati con uno sviluppo successivo di questa teoria del linguaggio,<br />

la grammatica generativa, che imposta un quadro di assunzioni più nettamente empiriche concernenti<br />

l'oggetto della linguistica.<br />

Dello strutturalismo restano alcune idee fondamentali: ci proponiamo di studiare la lingua, ovvero la<br />

langue, il sistema astratto di riferimento di una comunità linguistica, sia "in se stessa e per se stessa", sia in<br />

quanto realizzazione della facoltà del linguaggio propria degli esseri umani.<br />

Più precisamente, ci proponiamo, come gli strutturalisti, di individuare in una data lingua quali sono gli<br />

elementi della prima e della seconda articolazione (rispettivamente, i lessemi- morfemi e i fonemi) e di<br />

scoprire le regole secondo le quali questi elementi si combinano e interagiscono per formare le parole, le<br />

frasi, gli enunciati, ecc. Utilizzeremo le relazioni paradigmatiche e sintagmatiche fra elementi fonologici e<br />

morfologici per stabilire le loro proprietà; utilizzeremo l’analisi in tratti delle unità di seconda articolazione,<br />

proposte da Roman Jakobson; vedremo le ragioni che portano ad adottare la rielaborazione dell'inventario<br />

dei tratti proposta da Noam Chomsky & Morris Halle in The Sound Pattern of English (1968). Vedremo i<br />

vantaggi di concepire la lista dei tratti (la matrice) come una struttura articolata e gerarchica, secondo la


9<br />

teoria autosegmentale. Alla fine, guarderemo alle prime regole fonologiche scoperte dalla linguistica<br />

dell'Ottocento, provando a interpretarle in modo formale con gli strumenti acquisiti.<br />

Consideriamo che fonologia, morfologia, sintassi, siano componenti autonome della grammatica,<br />

ciascuna con propri principi; pensiamo anche che esse si devono integrare, e che, in qualche punto da<br />

precisare in base ai fenomeni linguistici osservati, si "vedono" reciprocamente e interagiscono. Le diverse<br />

componenti devono integrarsi in maniera armoniosa in un unico "oggetto", la grammatica di una lingua, che<br />

deve render conto dei dati di quella lingua e - in prospettiva - essere in armonia con i dati di qualsiasi lingua<br />

umana, inclusi gli stadi evolutivi della stessa lingua.<br />

Come gli strutturalisti, riconosciamo che lo scopo della linguistica è di descrivere le proprietà della<br />

langue, e che l'accesso alla langue è possibile solo a partire dalla parole, i dati concreti. Ma aggiungiamo una<br />

precisazione importantissima per le conseguenze che ne derivano: la langue - come pensava Saussure ma<br />

diversamente da quanto prevede lo strutturalismo classico - è la competenza linguistica del parlante nativo,<br />

concepita come la codificazione della lingua che esiste fisicamente nella mente di un qualsiasi parlante che<br />

parla una data lingua come lingua materna.<br />

Quindi la lingua intesa come sistema, secondo la teoria generativa, è codificata nella mente del parlante<br />

nativo sotto forma di una "grammatica generativa": questo significa che è codificata come un insieme di<br />

rappresentazioni e di regole che, applicate alle rappresentazioni, generano le forme e le frasi della lingua.<br />

Scopo della ricerca sarà allora costruire ipotesi sulla forma precisa della codificazione della fonologia nella<br />

grammatica, cioè la forma delle rappresentazioni e delle regole.<br />

Nel controllo della correttezza della teoria dovremo accuratamente distinguere - come si fa del resto per la<br />

grammatica storica - le forme (e le frasi) che sono sistematiche da quelle che sono improduttive: sappiamo<br />

che molta parte di una qualsiasi lingua è costituita da elementi idiosincratici (o irregolari), che cioè non sono<br />

prodotti da regole generali ma vanno appresi singolarmente; si tratta sia di residui storici appartenenti a stadi<br />

grammaticali diversi, sia di prestiti da altre lingue, sia anche di creazioni isolate fissate accidentalmente:<br />

questi elementi andranno possibilmente individuati e tenuti distinti, in quanto non possono essere spiegati da<br />

regole dello stesso tipo degli elementi sistematici. Metodologicamente, in linguistica come nelle altre<br />

scienze, è importante però che l'interpretazione di un dato come idiosincratico o accidentale si abbia solo<br />

dopo che si sono esplorate le possibilità di spiegarlo in modo sistematico. Considerare un dato come<br />

accidentale è una scelta euristicamente debole, improduttiva, se fatta prima di aver controllato accuratamente<br />

la possibilità più interessante, che cioè esso abbia una motivazione sistematica; è una scelta necessaria e<br />

corretta solo se viene presa quando l'analisi ci porta ad escludere motivatamente altre possibilità.<br />

2.1. Schema concettuale del confronto. Per presentare il modello di fonologia della grammatica<br />

generativa e introdurre il metodo di analisi, prenderemo in considerazione alcuni casi di analisi strutturaliste<br />

classiche mostrando i punti in cui appaiono insoddisfacenti; vedremo di volta in volta una possibile soluzione<br />

dei problemi raggiunta ipotizzando


10<br />

1. un livello di rappresentazione più astratto ma empiricamente preciso, il livello di rappresentazione<br />

mentale;<br />

2. una o più regole fonologiche che danno luogo alla forma reale ovvero superficiale.<br />

In questo modo si vedrà come possono essere messe in relazione forme collegate in una lingua tramite la<br />

morfologia, che cambiano perché la morfologia produce un cambiamento del contesto fonologico (come si è<br />

già visto in fonologia diacronica). I fenomeni considerati appartengono a inglese, francese, tedesco.<br />

Successivamente, vedremo di dimostrare che la rappresentazione astratta usa i tratti fonologici per<br />

rappresentare fonemi e regole: per farlo utilizzeremo un esperimento molto semplice riportato da Morris<br />

Halle.<br />

I tratti sono, come tutta la teoria, sottoposti a controllo empirico. La lista dei tratti di Chomsky e Halle<br />

derivano da quella di Jakobson, con modifiche dipendenti dalla teoria e dai suoi scopi; a sua volta la lista di<br />

Chomsky & Halle è stata successivamente modificata sulla base di fenomeni linguistici di lingue diverse e di<br />

processi linguistici di ogni tipo.<br />

Infine, introdurremo una modifica della teoria generativa classica che rivede la forma della<br />

rappresentazione facendo un’ipotesi più precisa sul rapporto fra segmento superficiale (il fonema, possiamo<br />

dire) e i tratti della sua rappresentazione astratta o profonda (la relativa matrice di tratti).<br />

2.2. La realtà psicologica dei fonemi.<br />

Per fare un esempio intuitivo, vediamo un’analisi presentata da un linguista strutturalista, Edward<br />

Sapir (1884-1939), nord americano nato in Pomerania ma originario della Lituania. Dagli studi originari di<br />

filologia germanica e indoeuropeistica, si era volto alla linguistica sincronica sotto la guida dell’antropologo<br />

e linguista Franz Boas; egli mostra una grande sensibilità per i problemi di linguistica generale e si prendeva<br />

certe libertà rispetto ai limiti che la teoria da lui usata gli imponeva; lui stesso con la sua riflessione ha messo<br />

in evidenza questi limiti, e avremo più volte occasione di citarlo.<br />

Il caso che illustra bene la differenza fra i due approcci è citato nell’articolo “La réalité psychologique<br />

des phonèmes” (apparso nella rivista “Journal de psychologie normale et pathologique”, 30, 1933, e tradotto<br />

in italiano in Benincà e Longobardi Paradigmi Glottologici; il brano è riportato e commentato anche in<br />

Kenstowicz, Phonology in Generative Grammar, p. 3).<br />

Sapir stava studiando la lingua Scarcee, una lingua Atabaska, del Canada, con un informatore molto<br />

bravo, John Whitney; secondo l’informatore, due parole che all’orecchio molto addestrato di Sapir<br />

suonavano esattamente uguali, avevano una piccola differenza; le due parole erano dìní (pronome) “questo”<br />

e dìní (verbo) “risuona”; Sapir fa varie ipotesi (diversa lunghezza della vocale, aspirazione finale in una delle<br />

due parole), ma Whitney non è d’accordo; a un certo punto dice che gli pare che dìní verbo abbia alla fine<br />

una -t; tuttavia, pronunciando varie volte la parola, deve riconoscere che questa -t non c’è, né come suono né<br />

come articolazione neppure incompleta. I due mettono da parte la questione, considerandola una ‘illusione<br />

fonetica’ e proseguono a esaminare altri elementi della lingua; aggiungendo dei suffissi alle due parole in<br />

questione, si accorgono per caso che si comportano diversamente: se si aggiunge il suffisso -i al verbo, la -t


11<br />

emerge, e produce dìnit’ì, mentre se lo si aggiunge al nome, si produce una vocale lunga a; per capire perché<br />

la vocale cambia, si dovrebbe esaminare tutta la lingua; ma il dato importante è che solo nel verbo compare<br />

la famosa -t fantasma, che l’informatore percepiva pur senza sentirla né articolarla. Se alle due parole si<br />

aggiunge il suffisso -la, il pronome dimostrativo diventa dìníla¸ mentre il verbo mostra una l sorda; anche<br />

qui si può vedere l’assordimento come un effetto della t latente, che è una consonante sorda. Sapir conclude<br />

quindi che le due forme superficialmente identiche avevano per il parlante due immagini diverse, benché al<br />

livello dell’osservazione fonetica le due parole non fossero distinguibili.<br />

La fonetica, l’osservazione per quanto accurata e sofisticata del suono linguistico, non ci dà tutta<br />

l’informazione per capire il suo funzionamento. La fonetica è solo il primo passo per capire la fonologia, la<br />

funzione che i suoni hanno nella lingua e nel linguaggio. Dobbiamo ricostruire l’immagine mentale che sta<br />

sotto ai suoni: ricostruiremo così una forma fonologica più astratta di quella direttamente osservabile, e delle<br />

regole che producono come risultato la forma osservabile; nel caso visto, una regola che cancella la -t finale.<br />

Ma questo corredo metodologico non era disponibile a un linguista strutturalista, e Sapir lo mette in<br />

evidenza.<br />

La procedura per scoprire la forma più astratta e le regole che vanno applicate ad essa sta proprio,<br />

come istintivamente fa Sapir, nell’analizzare una parola o una radice in diversi contesti, morfologici e<br />

sintattici.<br />

2.2.1. Uno dei punti su cui riflettere, che oppone lo strutturalismo a teorie più astratte (la grammatica<br />

generativa ma anche la linguistica storica classica), sta quindi nella definizione della forma ‘reale’ di una<br />

parola, di un morfema, di un sintagma, e dipende dal significato da attribuire a ‘reale’. Oggettivamente e<br />

direttamente osservabile (strutturalismo), o ipotizzabile sulla base dell’osservazione obiettiva (grammatica<br />

generativa)<br />

Concentrandoci ora sull’aspetto fonologico, quindi su parole e morfemi, teniamo presente il fatto che<br />

le parole non esistono per stare isolate, anche se capita che occorrano in isolamento. Le parole compaiono in<br />

contesti diversi, fra altre parole di varie categorie sintattiche, in inizio o fine di frase, e in varie forme flesse<br />

(più o meno differenziate a seconda della lingua). Per stabilire quindi la forma reale di una parola dovremo<br />

osservare attentamente quello che le succede nei diversi casi e contesti; la forma reale potrà essere anche<br />

astratta, corrispondere a qualcosa che non si osserva mai, una specie di comun denominatore di tutte le forme<br />

osservabili. La forma è reale - benché astratta - se rende conto (con l’applicazione di regole fonologiche da<br />

determinare) di tutte le forme osservabili che la parola assume nei diversi contesti sintattici e morfologici.<br />

Questo punto di vista non è accettato dallo strutturalismo e nemmeno da alcune teorie come la<br />

fonologia naturale: lo strutturalismo si auto-limita a osservare una parola in isolamento, scegliendo una delle<br />

sue occorrenze come forma di base; la Fonologia Naturale (una variante di generativismo) si pone, per<br />

esempio, come limite quello di scegliere come base una forma che sia una delle possibili forme morfologiche<br />

reali della parola.


12<br />

Un altro punto ampio e importante riguarda il trattamento dei dati. Sia in fonologia che nello studio<br />

delle altre componenti del linguaggio, formuliamo un’ipotesi o la controlliamo sulla base di dati della lingua;<br />

dovremo allora accuratamente distinguere le forme (parole, e, per la sintassi, i sintagmi e le frasi) che sono<br />

sistematiche da quelle che sono improduttive: sappiamo che molta parte di una qualsiasi lingua è costituita<br />

da elementi idiosincratici (o irregolari), che cioè non sono prodotti da regole generali ma vanno appresi<br />

singolarmente oppure sono prodotte per caso. Quelle prodotte per caso (interferenze, lapsus, errori) vanno<br />

ovviamente eliminate (e - se si vuole - studiate a parte), ma non è sempre facile, e per certi tipi di linguistica<br />

- la linguistica del corpus - sono un vero problema che non viene adeguatamente tenuto in considerazione.<br />

Per quanto riguarda le forme isolate ma stabili, invece, si tratta sia di residui storici appartenenti a stadi<br />

grammaticali diversi, sia di prestiti da altre lingue, sia anche di creazioni isolate fissate accidentalmente:<br />

questi elementi andranno possibilmente individuati e tenuti distinti, in quanto non possono essere spiegati da<br />

regole dello stesso tipo degli elementi sistematici. Metodologicamente, in linguistica come nelle altre<br />

scienze, è importante però che l'interpretazione di un dato come idiosincratico o accidentale si abbia solo<br />

dopo che si sono esplorate le possibilità di spiegarlo in modo sistematico. Considerare un dato come<br />

accidentale è una scelta euristicamente debole, improduttiva, se fatta prima di aver controllato accuratamente<br />

la possibilità più interessante, che cioè esso abbia una motivazione sistematica; è una scelta necessaria e<br />

corretta solo se viene presa quando l'analisi ci porta ad escludere motivatamente altre possibilità.<br />

Motiveremo con alcuni esempi di analisi la nostra posizione, che può essere sintetizzata così: la forma<br />

reale che ci interessa è quella che ricostruiamo come forma di base codificata nella mente di un parlante della<br />

lingua in questione; sarà corretta se tramite regole verosimili dà come risultato tutte le forme concrete che la<br />

parola assume nei vari contesti di quella lingua.<br />

Per prima cosa, prenderemo in considerazione alcuni casi di analisi strutturaliste classiche mostrando i<br />

punti in cui appaiono insoddisfacenti; vedremo di volta in volta una possibile soluzione dei problemi<br />

raggiunta ipotizzando a) un livello di rappresentazione più astratto ma empiricamente preciso, il livello di<br />

rappresentazione mentale e b) una o più regole fonologiche che danno luogo alla forma reale ovvero<br />

superficiale. In questo modo si vedrà come possono essere messe in relazione forme collegate in una lingua<br />

tramite la morfologia, che cambiano perché la morfologia produce un cambiamento del contesto fonologico.<br />

I fenomeni considerati appartengono a inglese, francese, tedesco.<br />

Successivamente, vedremo di dimostrare che la rappresentazione astratta usa i tratti fonologici per<br />

rappresentare fonemi e regole: per farlo utilizzeremo un esperimento molto semplice riportato da Morris<br />

Halle.<br />

I tratti sono, come tutta la teoria, sottoposti a controllo empirico. La lista dei tratti di Chomsky e Halle<br />

deriva da quella di Jacobson, con modifiche dipendenti dalla teoria e dai suoi scopi; a sua volta la lista di<br />

Chomsky & Halle è stata successivamente modificata per render conto di una serie sempre più ampia di<br />

fenomeni linguistici appartenenti a lingue diverse.<br />

Infine, introdurremo una modifica della teoria generativa classica, detta fonologia autosegmentale, che<br />

rivede la forma della rappresentazione facendo un’ipotesi più precisa sul rapporto fra segmento superficiale


13<br />

(il fonema, possiamo dire) e i tratti della sua rappresentazione astratta o profonda (la relativa matrice di<br />

tratti).<br />

2.2.2. Fonologia e Fonetica<br />

Per introdurre la riflessione metodologica, premettiamo una ricapitolazione della differenza fra fonologia e<br />

fonetica, una distinzione che lo strutturalismo ha portato alla luce e reso esplicita e la grammatica generativa<br />

ha ulteriormente precisato.<br />

In un modo più generale, cioè senza far riferimento a una specifica teoria linguistica, si può dire che la<br />

fonetica si occupa dell'aspetto fisico del suono (quello che può essere esaminato con strumenti, per esempio)<br />

mentre la fonologia si occupa della funzione che i suoni linguistici hanno in una lingua naturale, dei loro<br />

aspetti sistematici. La differenza fra gli scopi della fonetica e della fonologia è stata approfondita in<br />

particolare da Nikolaj Trubeckoj.<br />

Nella grammatica generativa la fonologia si propone di ricostruire la parte della grammatica che<br />

riguarda l'aspetto fonico della lingua: si propone di ricostruire, per una data lingua, quale sia la<br />

rappresentazione mentale (cfr. l’immagine acustica”) dei suoni che formano gli elementi che compongono il<br />

lessico (sia i lessemi che i morfemi) e quali regole agiscano su queste rappresentazioni dando luogo di volta<br />

in volta alle forme superficiali osservate, cioè alla loro realizzazione fonetica.<br />

Gli strutturalisti hanno messo in luce che, dal punto di vista fisico, un qualsiasi enunciato linguistico è un<br />

continuum sonoro, interrotto da pause di vario genere, che però non contiene elementi fisici, concreti,<br />

osservabili, che permettano direttamente di individuare le unità di prima articolazione (parole, morfemilessemi),<br />

e neppure le unità di seconda articolazione (fonemi o foni). Anche lo strumento più sofisticato non<br />

ci permette di vedere segni fra un fono e l'altro, o fra una parola e l'altra. Le pause segmentano<br />

eventualmente l'enunciato in unità più grandi della parola, e non sistematicamente.<br />

Per individuare le unità che compongono il linguaggio è necessaria una riflessione cosciente e un certo<br />

grado di astrazione dalla realtà fisica.<br />

Definiamo il fono come l'unità di seconda articolazione considerata dal punto di vista delle sue proprietà<br />

fisiche (di questo si occupa la fonetica), mentre consideriamo il fonema come l'unità, sempre di seconda<br />

articolazione, ma considerata dal punto di vista della sua funzione nel sistema, o nella grammatica. Un primo<br />

processo di astrazione è già necessario per arrivare alla rappresentazione fonetica della lingua, cioè per<br />

cogliere i foni: noi non pronunciamo una stessa parola sempre allo stesso modo, inoltre persone diverse<br />

pronunciano la stessa parola in modi leggermente diversi, che tuttavia non ci impediscono di riconoscere i<br />

suoni e le parole. Sono differenze di realizzazione fonetica da cui è necessario fare astrazione per arrivare<br />

alla rappresentazione fonetica della lingua. Questo significa costruire un inventario dei suoni che quella<br />

lingua usa nella costruzione delle parole e delle frasi.<br />

Ascoltando sequenze come /'pino/ /'fwçko/ individuiamo le unità utilizzate /p/ /i/ /n/ /o/, /f/ /w/ /ç/ /k/ /o/:<br />

questo è possibile solo se trascuriamo lievi differenze con tutte le altre /p/, /i/, /n/ ecc., che abbiamo ascoltato<br />

nella nostra vita e soprattutto, se ci fidiamo della nostra intuizione che riconosce nella parola /pino/ una


14<br />

sequenza di unità più piccole che possiamo trovare in altre sequenze, sia pure con lievi differenze. La /k/ di<br />

/fwçko/ sarà certamente diversa dalla /k/ di /kaza/ o di /kjama/, tuttavia noi riconosciamo le stesse unità<br />

anche se in contesti diversi sono realizzate in modo lievemente diverso. Arriviamo così all'individuazione dei<br />

foni e ne facciamo una trascrizione fonetica: questa può arrivare a distinguere con segni appropriati anche<br />

lievi sfumature di articolazione contestuale, può indicare per esempio il fatto che /k/ davanti a /j/ è articolata<br />

nella parte anteriore del palato, mentre davanti a /o/ è articolata nella parte posteriore (potremmo quindi<br />

scrivere /cjama/ invece di /kjama/ per render conto del diverso punto di articolazione): in linea di principio<br />

non c'è limite all'accuratezza di una trascrizione fonetica, anche se normalmente la trascrizione fonetica tiene<br />

conto di quelle differenze fra suoni che producono differenze di significato, quindi tiene conto in qualche<br />

modo del sistema di cui trascrive i suoni. In italiano se io pronuncio la /k/ di /kjama/ con l'occlusione nella<br />

parte posteriore del palato (il che è articolatoriamente molto difficile) non produco una parola diversa o<br />

incomprensibile: per questa ragione si trascura di indicare con precisione l'articolazione, si usa cioè<br />

normalmente una trascrizione fonetica larga.<br />

Ma differenze che in una lingua sono solo contestuali, o caratteristiche fonetiche dell'articolazione di un<br />

fono che non producono opposizioni, possono, naturalmente, produrre opposizioni in un'altra lingua: dal<br />

punto di vista fonetico, la /s/ dei veneti (o ancor più degli emiliani) è /∫/, cioè ha una articolazione palatale (la<br />

lingua non occlude sugli alveoli ma verso il palato): questa è l'unica maniera di produrre una /s/ in questi<br />

sistemi, quindi non andrà rappresentata in una trascrizione fonetica ‘larga’, o ‘fonemica’. La stessa<br />

articolazione palatale in un sistema diverso, ad es. nell’italiano, o nel friulano della Carnia, deve essere<br />

indicato in una trascrizione fonetica anche larga, perché in questi sistemi produce un'opposizione: in italiano<br />

abbiamo l’opposizione /'semi/ ~ /'∫emi/, /'es:i/ ~ /'e∫:i/; nel friulano carnico, alcune parole maschili che finiscono<br />

in /s/ dentale formano il plurale palatalizzando la consonante finale: abbiamo quindi /na:s/ 'naso' che fa<br />

il plurale /na:∫/; d’altra parte, parole femminili che finiscono in /∫/ formano il plurale cambiando la<br />

consonante finale in /s/: quindi /kro:∫/ 'croce' plurale /kro:s/.<br />

La trascrizione fonetica, in conclusione, non tiene conto in linea di principio del fonema, non considera<br />

cioè se le unità individuate hanno una funzione nel sistema; tuttavia, nella pratica, una trascrizione fonetica<br />

larga opererà semplificazioni che rispettino le distinzioni fonemiche.<br />

2.2.3. Il concetto di fonema: strutturalismo e revisione generativa<br />

Come si è detto, per lo strutturalismo, il fonema si individua attraverso le prove di sostituzione e l'individuazione<br />

delle opposizioni: esso rappresenta l'unità minima con funzione distintiva.<br />

A livello fonetico possiamo individuare per esempio tre modi di articolare una consonante nasale con<br />

occlusione orale (cioè all'interno della bocca; /m/ è pure una consonante nasale, ma con occlusione labiale):<br />

una nasale dentale /n/, una nasale velare /˜/ e una nasale palatale /¯/. /¯/ e /n/ in italiano sono due fonemi:<br />

distinguono parole in qualsiasi posizione: in posizione iniziale possiamo citare /nçkki/ "nodi nel legname<br />

degli alberi" opposto a /¯çkki/ "tipo di pasta", in posizione interna /so¯¯o/ ~ /sonno/, se consideriamo che


15<br />

/¯/ è sempre lunga nella pronuncia standard dell'italiano (oppure opposto a /sono/ "pres. ind. 3 pl. del verbo<br />

essere", se consideriamo /¯/ breve, come nella pronuncia settentrionale).<br />

Spesso per individuare i fonemi secondo i principi strutturalisti è necessario ricorrere a parole molto<br />

marginali nella lingua, perché devono essere azzerate tutte le altre differenze allo scopo di ottenere una<br />

"coppia minima": /nomi/ ~ /¯çmi/ ad esempio non è utile per individuare l'opposizione /n/ ~ /¯/ perché non è<br />

una coppia minima: oltre alle diverse nasali, la o è chiusa nella prima parola e aperta nella seconda. La<br />

fonologia generativa, avendo scopi diversi, può utilizzare invece coppie di parole in cui la distinzione si<br />

osservi semplicemente nello stesso contesto immediato: posizione dell'accento e relazioni con altri fonemi,<br />

considerati esclusivamente rispetto alla loro appartenenza a classi fonologiche, come consonante, vocale,<br />

sordo, sonoro, anteriore, posteriore, ecc. Quello che interessa in questo caso è se in contesti fonologici<br />

diversi il fono in esame è possibile o subisce delle modificazioni per influsso dei fono circostanti.<br />

Si può proporre quindi un'interpretazione più astratta nell'individuazione delle coppie minime (come fa,<br />

ad es. J. Lyons, nel suo manuale Lezioni di linguistica, Laterza): la funzione oppositiva va allora limitata alla<br />

differenza di forma, indipendentemente dal fatto che a questa "diversa forma" corrisponda un (diverso)<br />

significato; si tratta di osservare se la sostituzione produce una 'parola possibile' nella lingua. Va notato che<br />

in questo modo si ricorre all'intuizione del parlante, un passo che non è compatibile con la teoria<br />

strutturalista. Questa soluzione può essere molto utile in certi casi, in cui una data parola, necessaria per<br />

istituire una coppia minima, può mancare puramente per caso in una lingua, e questo impedirebbe<br />

l'individuazione di un dato fonema. In italiano è molto problematico individuare due parole che si oppongano<br />

isolando i fonemi /i/ e /j/, oppure /u/ e /w/: ingegnosamente, sono state proposte le opposizioni nelle coppie<br />

minime lacuale, /laku'ale/, un aggettivo derivato di lago (una variante, dotta e un po' peregrina, di lacustre),<br />

contro la quale, /la'kwale/, pronome relativo; per l'altra coppia, si è proposto /pi'ano/ (derivato del nome<br />

proprio Pio), contro /'pjano/, il più comune nome o aggettivo. Ma si può osservare che la quale contiene un<br />

confine di morfema; inoltre, come si può dedurre anche dall'indicazione dell'accento nella trascrizione<br />

fonetica data sopra, qualcuno ha osservato che le coppie non sono proprio minime, perché le parole di ogni<br />

coppia hanno struttura diversa: /'pjano/ e /la'kwale/ hanno una sillaba in meno rispettivamente di /pi'ano/ e<br />

/laku'ale/. Il problema è quindi circolare, e sembra in definitiva concettualmente poco interessante: le<br />

proprietà delle semivocali non sembrano essere meglio comprese per il fatto che riusciamo a stabilire se<br />

questi segmenti sono o no dei fonemi in senso strutturalista; è senz'altro più significativo, per esempio, il<br />

fatto che esse sono molto simili alle vocali tranne per il fatto che non sono nucleo della sillaba, ma soltanto<br />

attacco o coda; d'altra parte, esse mostrano anche proprietà analoghe alle consonanti, come si vede nello<br />

sviluppo diacronico (una consonante diventa sonora se si trova fra due vocali, ma non se si trova fra una<br />

vocale e una /j/ o una /w/).<br />

2.3. Esempi di analisi a confronto<br />

**2.3.1. Lo statuto fonemico di /ŋ/ in inglese. La differenza fonetica fra /n/ dentale e /ŋ/ velare o<br />

posteriore non produce in italiano coppie minime: i due foni sono in distribuzione complementare. Si dice


16<br />

allora che non sono due fonemi ma due varianti combinatorie o contestuali di un unico fonema nasale, la cui<br />

realizzazione fonetica è determinata dal contesto: /n/ dentale appare davanti a vocale e davanti a consonante<br />

dentale, /ŋ/ velare si trova esclusivamente davanti a consonante velare, o in fine di parola nelle varietà di<br />

italiano in cui è ammesso. In inglese invece i due foni possono trovarsi nello stesso contesto, precisamente in<br />

posizione finale di parola o di morfema, e distinguono parole. Per renderci conto di questa interpretazione<br />

strutturalista, dobbiamo fare astrazione dalla grafia dell'inglese e limitarci all'osservazione della realizzazione<br />

fonetica: le coppie minime /sin/ "peccato" e /siŋ/ "cantare", /θin/ "sottile" e /θiŋ/ "cosa", /win/ "vincere" e<br />

/wiŋ/ "ala", mostrano parole che foneticamente si distinguono soltanto per la diversa articolazione della<br />

nasale finale. Quindi per un fonologo strutturalista /n/ dentale e /ŋ/ velare in inglese sono due fonemi distinti;<br />

in una parola come quelle indicate sopra (thing, wing, ecc.) il segmento /g/ che compare nella grafia<br />

semplicemente non esiste: è solo un mezzo grafico per indicare la pronuncia della nasale. Già negli anni '20,<br />

lo strutturalista Eduard Sapir trovava questa interpretazione intuitivamente inaccettabile: in un articolo<br />

apparso nel primo numero della rivista "Language" (1925, pp. 37-51) commentava lo statuto di fonema di /ŋ/<br />

criticando fra l'altro la seguente serie di opposizioni, basate sulla presenza o assenza di nasalità, che veniva<br />

sostenuta dai fonologi-fonetisti:<br />

b : m = d : n = g : ŋ.<br />

Obiettava che nessun parlante inglese può essere indotto a "sentirselo nelle ossa" che le cose stanno cosi:<br />

l'intuizione non accetta di porre /ŋ/ sullo stesso piano delle altre consonanti della serie perché questo<br />

segmento non è liberamente movibile in sedi diverse della parola: in particolare, nessuna parola comincia per<br />

/ŋ/. Esso viene sentito psicologicamente come ng, e messo piuttosto in una relazione come la seguente, in cui<br />

i foni nasali sono accoppiati ad occlusive, che ne condizionano il punto di articolazione,<br />

nt : nd = nk : ng = mp : mb = mf : mv.<br />

L'obiezione, pur esposta da Sapir come un argomento 'ingenuo', è importante: da un punto di vista<br />

distribuzionale, resta non spiegato perché i due fonemi nasali in inglese non si alternano liberamente in tutti i<br />

contesti. La nasale velare infatti non si trova mai in posizione iniziale di parola, ma solo in fine di parola<br />

oppure in fine di morfema: si confronti longer /loŋ#er/ (comparativo dell'aggettivo long /loŋ/) "più lungo"<br />

dove /ŋ/ si trova al confine di morfema, contro linger /liŋger/ "passare il tempo" che non contiene confini di<br />

morfema. Molte varietà dialettali inglesi inoltre presentano la pronuncia /ŋg/ in posizione finale, esattamente<br />

come gli italiani, e nell'ortografia, infine, il fonema /ŋ/ è sempre reso con ng.<br />

Alcuni indizi importanti nello stesso senso provengono anche dai lapsus, un fenomeno interessante per<br />

avere indizi sulla struttura delle parole: nel lapsus vengono spostati infatti componenti della parola (prefissi,<br />

suffissi, desinenze, foni, tratti fonologici), non pezzi casuali: per es. troviamo vas-at-i di marmell-ett-a per<br />

vas-ett-i di marmell-at-a¸corn-in-i e cappucc-ett-o per corn-ett-i e cappucc-in-o. La linguista Victoria<br />

Fromkin ha riportato un lapsus molto significativo di un parlante inglese, che invece di pronunciare il nome<br />

proprio Chuck Young /t∫Λk jΛŋ/, disse /t∫Λŋk jΛg/. Il fenomeno del lapsus produce solo un cambiamento di<br />

ordine degli elementi presenti nella forma che si intenderebbe produrre: in questo lapsus non si comprende<br />

da dove provenga la /g/ finale della seconda parola, che non sarebbe presente nella sequenza di fonemi in


17<br />

senso strutturalista che il parlante voleva produrre. Un errore come questo mostra che /g/, anche se non viene<br />

pronunciata ma fornisce soltanto alla /n/ finale un punto di articolazione velare, esiste nella rappresentazione<br />

mentale, tanto che occasionalmente può comparire da sola (separata dalla nasale finale), per un lapsus, in una<br />

posizione diversa della sequenza fonologica: in questa posizione, trovandosi in un diverso contesto, non<br />

viene cancellato ma viene articolato pienamente.<br />

Abbiamo motivo di credere che la rappresentazione 'mentale' di /ŋ/ velare in inglese sia quindi più ricca<br />

della realizzazione superficiale, e sia piuttosto simile a /ng/, con una nasale non specificata per quanto<br />

riguarda l'articolazione orale (già individuata dai grammatici indiani e denominata anusvara).<br />

Proviamo a rappresentare il passaggio dalla rappresentazione astratta alla realizzazione superficiale con<br />

regole fonologiche, che diamo in modo informale (e più avanti riformuleremo usando i tratti fonologici):<br />

due regole fonologiche ordinate rendono conto della resa superficiale:<br />

1. una prima regola assegna alla nasale una specificazione di 'articolazione velare' davanti a consonante<br />

velare sonora, cioè specifica il tratto [posteriore] che diventa [+ posteriore];<br />

2. una seconda regola cancella la occlusiva velare in posizione finale, se è preceduta da nasale con la<br />

stessa articolazione..<br />

La descrizione proposta sembra complicare la rappresentazione fonologica del lessico inglese, ma bisogna<br />

valutare positivamente il fatto che rende conto in modo più completo dell’insieme dei dati dell’inglese: la<br />

pronuncia di –ng in inglese varia da /ŋg/ a /ŋ/ a seconda delle varietà; Sapir riportava un giudizio intuitivo di<br />

inadeguatezza dell’opposizione /ŋ ~ n /; Victoria Fromkin ha riferito un interessante lapsus; /ŋ/ si oppone a<br />

/n/ solo in fine di parola (o meglio di lessema o morfema).<br />

E' importante infine osservare che le regole che vengono proposte per passare dalla forma ‘profonda’ /n/<br />

(una nasale non specificata) a /ŋ/ non sono specificatamente richieste solo per il fenomeno considerato, ma<br />

casi particolari di fenomeni più generali dell'inglese: la nasale infatti si assimila a tutte le occlusive che<br />

seguono (p, b, t, d); le occlusive sonore finali precedute da nasale assimilata spariscono in molte varietà (-b<br />

in inglese standard, cfr. lamb /lam/, comb /com/; -d nell'inglese parlato, ad es, americano). Queste stesse<br />

regole ritornano in varie forme in molte altre lingue: assimilazione dell'articolazione delle nasali alla<br />

consonante seguente, cancellazione di segmenti per uguaglianza o grande somiglianza (nei termini di<br />

condivisione di tratti fonologici) con segmenti contigui), indebolimento o sparizione delle consonanti finali.<br />

2.3.2. La neutralizzazione della distinzione sordo/sonoro in posizione finale in tedesco. Un secondo<br />

argomento critico per un'impostazione strutturalista dell'analisi fonologica può essere tratto dal tedesco. Il<br />

tedesco realizza foneticamente nell'identico modo due parole differenziate nella grafia, /ra:t/ "ragione" (Rat)<br />

e /ra:t/ "ruota" (Rad). In posizione finale infatti in tedesco tutte le consonanti sono realizzate come [-sonoro];<br />

quindi la opposizione fonologica fra i fonemi /t/ e /d/, che in altre sedi è pertinente (cfr. /dank/<br />

"ringraziamento" contro /tank/ "serbatoio", ecc.) in posizione finale viene neutralizzata; però quando formo il<br />

plurale, cambia il contesto, e riemerge la distinzione: /ra:t/ (Rad) ha il plurale /rEder/ (Räder), mentre /ra:t/


18<br />

(Rat) ha il plurale /rEte/ (Räte). Il procedimento strutturalista porta a rappresentare le forme lessicali in modo<br />

da rendere impredicibile l'alternanza morfologica: non c'è nulla nella rappresentazione ottenuta con la teoria<br />

strutturalista che mi permetta di mettere in relazione sistematica il singolare con il plurale e altri casi<br />

morfologici del tedesco, in esempi come quelli visti ora. Questo è un caso in cui si potrebbe scegliere di<br />

considerare il plurale come totalmente idiosincratico nel tedesco, e sarebbe una scelta prematura e poco<br />

interessante: alcuni dettagli delle forme declinate restano tuttora idiosincratiche, ma ci sono molti elementi<br />

che possono essere ricondotti a regole produttive, come vedremo.<br />

Se la teoria prevede un livello più astratto, avremo /rad/ e /rat/ nella rappresentazione mentale: quella che<br />

gli strutturalisti consideravano una restrizione (le consonanti ostruenti devono essere sorde in fine di parola)<br />

diventa allora il risultato dell'applicazione di una regola, che proponiamo introducendo le convenzioni<br />

simboliche:<br />

conson. ostruente → [-- sonoro] / ___ ##<br />

Leggendo i simboli da sinistra a destra, 'leggiamo' la regola data come segue: una consonante ostruente<br />

(vale a dire qualunque consonante eccettuate l, r, m, n) → diventa [-- sonoro], cioè sorda, se si trova (/ nel<br />

contesto) davanti al confine di parola (##). Si noti che la linea orizzontale ___ indica la precisa posizione del<br />

segmento interessato rispetto al contesto specificato (in questo caso il confine di parola).<br />

**2.3.3. Il femminile degli aggettivi in francese. Da un punto di vista tassonomico stretto - che parte<br />

dalla realizzazione fonetica rappresentata dalla trascrizione fonetica - gli stessi problemi si incontrano nella<br />

morfologia francese. È un argomento tipico di una prospettiva strutturalista tassonomica sostenere che la -s<br />

del plurale in francese è puramente grafica:<br />

Le coppie mot "parola" e mots pl. "parole", oppure savant "dotto, sapiente" e savants "dotti", o grand sg.<br />

grands pl., solo graficamente sono distinte dall'aggiunta di -s; nella pronuncia ho solo /mo/ o /savã/ o /grã/ in<br />

tutti e due i casi. Ma è facile trovare delle difficoltà da opporre a questo punto di vista: nell'uso effettivo le<br />

parole compaiono in contesti diversi; quando la s del plurale si trova davanti a vocale, in certi contesti<br />

sintattici, si può o si deve pronunciare (si tratta del fenomeno detto tradizionalmente liaison /liε'zõ/<br />

"legamento"). Il contesto sintattico è determinante in modo alquanto sottile. Per es., se applico la liaison in<br />

/de savã z-italiẽ/ savant è necessariamente aggettivo (cioè significa " degli italiani colti"), mentre senza<br />

liaison può essere (anche) sostantivo (e italiens agg.): significa allora "delle persone colte che sono italiane".<br />

La -s del plurale va pronunciata se appartiene all'articolo definito les, al pronome soggetto ils, elles, al<br />

partitivo des, al possessivo mes, ecc. (sempre, naturalmente che la parola seguente cominci per vocale).<br />

Diremo quindi che il morfema /-s/ del plurale esiste sempre, ad un certo livello astratto di rappresentazione:<br />

la sua pronuncia è regolata in base a condizioni sia fonologiche, sia sintattiche.<br />

Parallelamente, la formazione del femminile degli aggettivi, che la grammatica tradizionale descriveva<br />

come "aggiunta di e muta, che rende pronunciabile la consonante finale del maschile, che altrimenti non si<br />

pronuncia" (masch. grand /grã/ femm. grande /grãd/) nell'analisi tassonomica diventa un processo


19<br />

idiosincratico, cioè del tutto irregolare e impredicibili, di aggiunta di consonante (vedi in L. Bloomfield, Il<br />

Linguaggio, il capitolo Morfologia, pubblicato separatamente in Benincà – Longobardi, Paradigmi<br />

Glottologici, pp.147-8). Basandoci infatti sulle forme prese in isolamento, avremmo molti casi come i<br />

seguenti:<br />

Masch.<br />

Femm.<br />

vert /vεr/ verte /vεrt/ "verde"<br />

long /lõ/ longue /lõg/ "lungo, -a"<br />

blanc /blã/ blanche /blã∫/ "bianco, -a"<br />

La formazione del femminile appare in molti casi come un processo che aggiunge una consonante,<br />

completamente impredicibile, alla forma del maschile. Una scelta, che è suggerita dallo stesso Bloomfield,<br />

consiste nel dire che in questi casi si parte dal femminile, e dal femminile si forma il maschile sottraendo una<br />

consonante. Così otterremmo automaticamente un risultato corretto e una regola che funziona. Tuttavia il<br />

processo risulta descritto in modo poco soddisfacente, sia dal punto di vista teorico, sia, come vedremo, dal<br />

punto di vista descrittivo o empirico. Dal punto di vista teorico possiamo osservare che, per lo meno nelle<br />

lingue indeuropee, la forma di base da cui si parte (la forma di citazione di un aggettivo, per esempio) è il<br />

maschile; il maschile è inoltre la forma non marcata, usata cioè quando l'aggettivo non ha accordo di genere<br />

(per esempio quando si riferisce a un indefinito, come in Chi è stanco / *stanca..., chiunque sia stanco...,<br />

nessuno è stanco..., ecc.). Risulta, insomma, contrario all'intuizione, e inaspettato su base comparativa,<br />

supporre che l'irregolarità di quest'area della morfologia francese sia di questo tipo, consista cioè nel fatto<br />

che la forma di base degli aggettivi sia il femminile.<br />

Dal punto di vista descrittivo, si può osservare innanzitutto che la consonante finale del maschile può<br />

essere pronunciata se l'aggettivo è seguito da un nome che comincia per vocale: il est fort /il ε fçr/, ma il a un<br />

fort interêt /fçrt-ãtere/; il est grand /grã/, ma un grand arbre /grãd-arbre/. Quindi la consonante finale, che<br />

secondo l'ipotesi di Bloomfield non esiste, compare imprevedibilmente in certi contesti: quando trova alla<br />

destra una vocale a cui appoggiarsi per formare una sillaba.<br />

Ci sono vari casi, inoltre, che mostrano che l’ipotesi di Bloomfield è descrittivamente inadeguata:<br />

sec /sEk/ sèche /sE∫/ "secco, -a"<br />

vif /vif/ vive /viv/ "vivo, -a"<br />

Nel primo esempio, se partiamo dal femm. /sE∫/, togliendo la consonante finale otteniamo un ipotetico<br />

masch */sE/, che non corrisponde alla realtà; nel secondo caso, se togliamo la consonante finale del femm.<br />

/viv/ otteniamo un masch. */vi/, che di nuovo non è quello voluto. Se un femminile finisce per –r, -l, come<br />

nei casi seguenti, è percepibile una vocale indistinta in posizione finale ∂, e si nota che il maschile si forma<br />

eliminando l’appoggio vocalico:<br />

formelle /for'mEl´/ /for'mEl/ "formale"<br />

chère /∫Er´/ /∫Er/ "caro, -a"<br />

Se ignoro lo shwà ed elimino la consonante finale, ho di nuovo risultati scorretti: */for'mE/, */∫E/.


20<br />

Un ultimo caso significativo è quello in cui un femm. finisce con consonante nasale dentale: secondo la<br />

regola ipotizzata, dovremmo formare il masch. eliminando la consonante nasale finale; nella forma maschile<br />

appare invece una nasalizzazione della vocale. Vediamo, negli esempi seguenti, la forma prodotta in base<br />

all'ipotesi di Bloomfield e la forma realmente esistente:<br />

Femm. Masch. (Bloomf.) Masch. ‘vero’<br />

bonne /bçn/ * /bç/ bon /bõ/ "buono"<br />

pleine /plEn/ * /plE/ plein /plE)/ "pieno"<br />

fine /fin/ * /fi/ fin /fE)/ "fino"<br />

Questo mostra che la consonante nasale non viene eliminata per formare il maschile, ma diviene la coda<br />

della sillaba finale, nasalizzando la vocale secondo una regola generale del francese.<br />

Se usiamo un modello che prevede una forma più astratta di quella direttamente osservabile (sempre<br />

ricostruibile su dati osservabili) e una serie di regole (il più semplice e verosimile possibile) che trasforma la<br />

rappresentazione astratta nella sua forma superficiale realmente pronunciata, il problema si chiarisce. La<br />

forma astratta con cui gli aggettivi sono codificati nel lessico del parlante francese è solo casualmente spesso<br />

uguale al femminile superficiale.<br />

Partiamo dall'ipotizzare come regola generale del francese la regola seguente, che rende conto del fatto<br />

che le consonanti ostruenti non vengono pronunciate in fine di parola, ma riappaiono se la parola è seguita da<br />

una parola che inizia per vocale ed è ad essa strettamente connessa dal punto di vista sintattico. Tralasciamo<br />

il caso di -f, -v, per semplificare la discussione, dando per scontato che, come con le sonoranti, le possiamo<br />

escludere dall'applicazione della regola; nel caso di /f v/ abbiamo solo la desonorizzazione della consonante,<br />

non la sua sparizione; tralasciamo anche il caso di /k/ finale di sec e di altri elementi del francese: questo è un<br />

problema generale che riguarda tutto il sistema, e che può essere descrittivamente risolto rendendo più<br />

precise e dettagliate le regole. Ma non è un problema che riguarda la formazione del femminile degli<br />

aggettivi. Per familiarizzarci col formato delle regole fonologiche proponiamo la seguente regola per il<br />

francese, anche se di fatto è troppo generale:<br />

conson. ostruente → Ø / ___ ##<br />

Leggendo i simboli da sinistra a destra, 'leggiamo' la regola data come segue: qualunque consonante<br />

ostruente → diventa Ø (scompare) se si trova (/ nel contesto) davanti al confine di parola (##). Quindi la<br />

regola dice semplicemente che “una consonante ostruente non viene pronunciata in fine di parola”. Se questa<br />

regola fa parte della grammatica del francese, possiamo supporre che il maschile corrisponda alla forma così<br />

come si trova nel lessico, senza elementi morfologici specifici. Il maschile compare in superficie senza la<br />

consonante finale, perché essa viene cancellata dalla regola appena illustrata. La consonante finale risulta<br />

nella posizione di coda sillabica; le consonanti l, r vengono pronunciate, mentre le nasali, di nuovo in base a<br />

una regola generale del francese non vengono articolate ma nasalizzano la vocale del nucleo. Questa regola


21<br />

di nasalizzazione è una regola che non si applica solo in questo caso (per cui potremmo essere accusati di<br />

immaginare regole artificiose): si applica anche all’interno di parola, in tutti i casi in cui la nasale è una ‘coda<br />

sillabica’.<br />

La morfologia del francese contiene una regola che forma il femminile aggiungendo una vocale, che<br />

possiamo supporre come specificata o anche non specificata: il risultato fonetico è uno shwà , /ə/, che viene o<br />

meno pronunciato a seconda dello 'stile' di pronuncia. L'importante è che si tratta di un elemento sillabico:<br />

[Femm.] → [+ sillabico]<br />

/ #___##<br />

/<br />

La consonante finale dell'aggettivo acquista così nel femminile un elemento sillabico che la copre e la<br />

rende pronunciabile, nel senso che ne impedisce la cancellazione: la consonante infatti nella forma femm.<br />

non si trova più in posizione finale.<br />

Questo spiega immediatamente il caso della nasale: come abbiamo detto, nel masch., corrispondente alla<br />

forma astratta, la nasale finale è coda sillabica; l'aggiunta di [+ sillabico] nel femminile cambia la struttura<br />

sillabica, perché la consonante diventa inizio della sillaba di cui è nucleo la vocale aggiunta. La nasale non è<br />

quindi più coda sillabica e viene pronunciata come nasale dentale, cioè come tutte le nasali seguite da vocale.<br />

Il fatto che lo shwà del femminile non si pronunci normalmente affatto risulta da una regola fonologica<br />

molto superficiale, che non distrugge la posizione di nucleo sillabico ma soltanto la sua articolazione<br />

fonetica. Si noti che l'ortografia riflette una pronuncia antica, diversa da quella attuale, ma preserva meglio la<br />

struttura sillabica della parola.<br />

2.3.4. Sorde e sonore nella morfologia derivazionale del tedesco. Lo stesso Bloomfield affronta un<br />

caso in cui non può ricorrere all'artificio che aveva suggerito per il francese e deve discostarsi dalla forma<br />

effettiva, costruendo, egli dice, una forma artificiale sottostante, che rende conto delle forme derivate<br />

(p.149).<br />

Il caso si presenta con derivati in tedesco da parole terminanti con -s:<br />

Haus /haws/ "casa"; hausen (verbo) /hawz´n/ "dimorare"<br />

Gras /gra:s/ "erba"; grasen (verbo) /graz´n/ "pascolare"<br />

Spass /spa:s/ "scherzo"; spassen (verbo) /spas´n/ "scherzare"<br />

auss /aus/ "fuori" ; aussen (avverb.) /aws´n/ "di fuori"<br />

Possiamo supporre che esista nel lessico del tedesco un lungo elenco di parole che trasformano /s/ in /z/<br />

davanti al suffisso #en, oppure ricostruiamo una forma sottostante con distinzione fra / s/ e /z/ in posizione<br />

finale, e facciamo ricadere la desonorizzazione del segmento sonoro finale (ad es. in /graz/ --> [gras]) nella<br />

regola generale (già vista sopra per /rad/ e /rat/) per cui le consonanti sonore diventano sorde in tedesco<br />

quando si trovano in posizione finale.


22<br />

conson. ostruente → [- sonoro] / ___ ##<br />

Questa seconda soluzione, che è quella proposta da Bloomfield, è molto vicina a quella che adotterebbe<br />

un fonologo generativo: la differenza fondamentale è che per Bloomfield la forma sottostante (ad es. /graz/) è<br />

artificiale, è una costruzione del linguista che rende più semplice la descrizione. Per un generativo, questa<br />

forma non è affatto artificiale: poiché essa rende più semplice e naturale la descrizione diventa la miglior<br />

approssimazione alla forma in cui l'elemento lessicale è registrato nel lessico mentale di un parlante del<br />

tedesco.<br />

Regole espresse in modo più formale riguardo a questi fenomeni saranno presentate dopo l'introduzione<br />

degli strumenti formali, in 3.4.<br />

2. 3.5. Alcune conclusioni generali<br />

Gli argomenti che abbiamo proposto si riferiscono a un tema molto dibattuto fra strutturalisti e<br />

generativisti: quello di individuare il livello di astrazione corretto per cogliere le unità fonologiche. La<br />

diversità delle soluzioni dipende naturalmente dai diversi scopi delle due teorie: le unità fonologiche per i<br />

generativisti sono quelle da utilizzare in quella parte della grammatica interiorizzata che si riferisce alla<br />

componente sonora della lingua; lo strutturalismo partiva invece dall'osservazione fonetica fisica e su questo<br />

livello osservativo costruiva le astrazioni che considerava pertinenti.<br />

Dal punto di vista generativo, che qui adottiamo, ci interessa individuare un livello di rappresentazione<br />

che renda conto di come possiamo produrre le forme della nostra lingua in tutte le loro occorrenze, e che<br />

renda conto anche delle relazioni fra forme o fra parole in una data lingua. Mentre lo strutturalismo si<br />

impone di non supporre nulla che non sia direttamente osservabile, noi cerchiamo di ricostruire qualcosa che<br />

non è direttamente osservabile, cioè come gli elementi del lessico siano rappresentati nel nostro lessico<br />

mentale dal punto di vista del loro suono: ricostruiamo qualcosa di astratto, ma lo facciamo partendo da<br />

quello che possiamo osservare e lo controlliamo di nuovo osservando i dati.<br />

2.4. Grafia fonetica e ortografia<br />

Dal punto di vista che abbiamo illustrato sopra, la rappresentazione di una lingua che è fornita dalla sua<br />

propria grafia tradizionale è più significativa, più vicina al nostro obiettivo che non la trascrizione fonetica<br />

che si propone di rappresentare coerentemente lo stesso suono sempre con lo stesso simbolo, costante per<br />

tutte le lingue. Se una trascrizione fonetica come quella basata sull'alfabeto fonetico internazionale (IPA) è<br />

più corretta per quanto riguarda la realtà fisica del suono, una grafia sviluppatasi naturalmente per una lingua<br />

naturale ci offre una rappresentazione del suono che è più simile a quella che il parlante ha della sua lingua.<br />

La teoria strutturalista ha fortemente svalutato - del tutto correttamente, dal punto di vista della sua teoria<br />

- i sistemi grafici prodottisi per selezione naturale in varie lingue del mondo, e stabilizzatisi per ragioni<br />

socioculturali, le cosiddette ortografie. Lo strutturalismo ha messo in luce il fatto che le ortografie<br />

tradizionali sono sistemi del tutto inadeguati di rappresentazione dei suoni di una lingua. Anche una lingua


23<br />

con grafia abbastanza vicina alla realizzazione fonetica come l'italiano presenta casi di una caratteristica<br />

generale delle grafie naturali: uno stesso suono viene rappresentato con simboli diversi, uno stesso simbolo<br />

può rappresentare suoni diversi. Il segno c nella grafia italiana rappresenta /k/ in casa, cuoco, rappresenta /t∫/<br />

in cena, cinese; il segno g rappresenta /g/ in gola, riga, guanto, rappresenta /dζ/ in gelo, ginestra. Questo<br />

cessa di essere un difetto, se vediamo le grafie naturali non come modi di registrare la fonetica di una lingua,<br />

ma piuttosto legati alla sua rappresentazione ad un livello più astratto. Il difetto indicato, l'incoerenza di<br />

simboli grafici e suoni, diventa anzi un vantaggio, perché queste apparenti incongruenze con la fonetica<br />

permettono di mantenere unitaria e fissa la rappresentazione della base lessicale di una parola in tutte le sue<br />

varianti morfologiche: amic- resta invariato nei vari contesti (amici, amic-he, amic-izia, amic-hevole, amicone),<br />

sia che la sua pronuncia cambi o meno; le alternanze della pronuncia sono predicibili da chi conosce la<br />

lingua. Le grafie naturali sono costruite infatti, bisogna ricordarlo, per chi conosce la lingua, mentre le grafie<br />

fonetiche rappresentano il suono in modo univoco anche per chi non sa nulla di una lingua. Chi conosce la<br />

lingua sa le regole fonologiche generali, e le applica automaticamente: non gli serve perciò una<br />

rappresentazione dettagliata, mentre gli serve riconoscere comunque la parola anche se le regole fonologiche<br />

la cambiano nei vari contesti morfologici.<br />

La grafia fonetica, che utilizza universalmente i simboli dell'Alfabeto Fonetico Internazionale (IPA), i<br />

quali permettono di rappresentare in modo univoco i suoni di qualsiasi lingua, sono un mezzo indispensabile<br />

nell'uso scientifico: le grafie naturali sono tuttavia una fonte preziosa di intuizioni linguistiche e sono frutto<br />

di una analisi inconscia della fonologia e della morfologia di una lingua. Esse costituiscono un modo sotto<br />

molti aspetti ottimale di rendere la rappresentazione astratta della lingua, sono quindi molto più vicine che<br />

una trascrizione fonetica alla rappresentazione che ricostruiamo col modello generativo. Questo punto di<br />

vista è stato proposto nel lavoro che sta alla base della fonologia moderna, The Sound Pattern of English<br />

("La struttura fonologica dell'inglese") di N.Chomsky e M.Halle (1968).<br />

I comparatisti (ad es. Jakob Grimm) parlavano di "mutamenti di lettere", in un primo tempo: poi questa<br />

formula è stata abbandonata (poteva far pensare a un mutamento puramente dovuto a convenzioni grafiche,<br />

per esempio), ma non era affatto una formulazione sciocca: si basava sull'intuizione che più che quanto<br />

riguarda il suono fisico in sé, per una teoria del mutamento è rilevante il mutamento delle rappresentazioni<br />

astratte dei suoni, e delle regole che rendono conto della loro realizzazione superficiale. Le 'lettere' potevano<br />

quindi essere dei simboli del tutto adeguati per queste entità. Una rivalutazione di questo modo di esprimersi<br />

da parte dei linguisti ottocenteschi è stata sostenuta dal linguista Luis Hjelmslev.<br />

Quando ci si è orientati a ricostruire la fonologia come parte della grammatica, costituita da<br />

rappresentazioni e regole, si è potuto vedere che le grafie alfabetiche naturali (o perfino quelle sillabiche)<br />

rispecchiano meglio delle grafie fonetiche questo punto di vista. Naturalmente, dobbiamo ricordare che nelle<br />

grafie naturali sono presenti anche elementi di ragione solo storica, convenzionalmente conservati per trasmissione<br />

culturale: una grafia fissata convenzionalmente è tendenzialmente conservativa, e mantiene<br />

rappresentazioni superate dalla evoluzione della lingua.


24<br />

Se capiamo bene che cosa rappresenta la grafia di una lingua naturale, capiamo anche perché le prime<br />

intuizioni sul linguaggio sono legate allo studio e alla comparazione di lingue morte, le cui uniche<br />

documentazioni erano scritte in grafie naturali. Una lingua scritta con una grafia alfabetica naturale è una<br />

lingua di cui è stata fatta una - in gran parte inconsapevole - analisi fonologica, del lessico e della<br />

morfologia. Le grafie delle lingue naturali sono quindi imperfette come rappresentazioni fonetiche<br />

superficiali, ma rappresentano invece in modo quasi ottimale la forma fonologica, la rappresentazione<br />

mentale del lessico e della morfologia. Le apparenti incoerenze fonetiche, rivelano invece le regole<br />

fonologiche e mantengono stabile la forma fonologica della parte lessicale.<br />

Qualcuno sostiene che è la conoscenza della grafia che influenza le nostre intuizioni sulla lingua: ma c'è<br />

un bellissimo aneddoto riferito da Eduard Sapir (vedi trad. ital. in Benincà- Longobardi, a p. 162-63): aveva<br />

addestrato il suo informatore Tony, parlante di paiute meridionale (una lingua amerindiana, parlata allora fra<br />

Utah e Arizona); una volta addestrato a usare simboli grafici, Tony spontaneamente trascrive un suffisso con<br />

la sua forma fonologica profonda, trascurando la realizzazione fonetica superficiale, condizionata dal<br />

contesto (e si veda il commento dello stesso Sapir, in particolare a p. 170 della trad. it.).<br />

3. Il terzo livello di articolazione: i tratti fonologici.<br />

Abbiamo presentato alcuni argomenti per stabilire che il livello superficiale in cui si colgono le<br />

opposizioni fonologiche non è il livello significativo per l'analisi della fonologia come parte di una<br />

grammatica. Dobbiamo spostarci ad un livello più astratto: a questo livello sono pertinenti tutte le<br />

informazioni che ci provengono dalle diverse forme alternanti della morfologia di un elemento lessicale<br />

(come abbiamo visto per il tedesco: la forma del plurale di Räder ci suggerisce di porre una /d/ nella<br />

rappresentazione sottostante di Rad, anche se la sua realizzazione fonetica superficiale è /ra:t/).<br />

Anche riguardo ai tratti fonologici, gli elementi costituivi del fonema, si parte dalle basi concettuali e<br />

fattuali poste dagli strutturalisti. Nikolaj Trubeckoj ha dato un contributo fondamentale allo sviluppo della<br />

teoria concentrandosi sui 'tipi di sistemi fonologici' e sui 'tipi di opposizioni fra fonemi' (in particolare<br />

ricavati dalle lingue dell'Europa Orientale). Per fare un esempio semplice, quando constatiamo che molti<br />

sistemi hanno serie simmetriche di opposizioni del tipo seguente, detto da Trubeckoj "proporzionale":<br />

t : d = p : b = k : g<br />

possiamo arrivare intuitivamente ad isolare la 'qualità' che distingue, nei rapporti dati sopra, i primi<br />

membri dai secondi membri: questi ultimi sono sonori, mentre i primi non lo sono. La qualità della sonorità<br />

si presenta come un componente del fonema. Così per altri componenti come 'continuo' rispetto a 'non<br />

continuo', ad esempio in<br />

t : s = p : f= k : h<br />

In questa serie di opposizioni il primo elemento di ogni coppia si distingue dal secondo per il modo<br />

'continuo' presente nel secondo elemento e non nel primo. Oppure per 'arrotondato' rispetto a 'non<br />

arrotondato', ad es. in<br />

i : y = e : ø = ε : œ


25<br />

dove i primi membri si oppongono ai secondi membri per assenza ~ presenza dell'arrotondamento selle<br />

labbra. Roman Jakobson sviluppò le osservazioni di Trubeckoj formulando l'ipotesi che tutti i fonemi delle<br />

lingue del mondo risultino da diverse combinazioni di un insieme piuttosto piccolo (circa 20) di elementi<br />

'primitivi', i tratti fonologici. Gli elementi articolatori (e acustici, per Jakobson) che compongono il fonema<br />

fanno parte di una lista chiusa, valida a livello universale, dalla quale attingono tutti i sistemi linguistici delle<br />

lingue del mondo. Questa ipotesi aprì un 'paradigma di ricerca' di cui la fonologia generativa (a partire da<br />

Chomsky & Halle 1968) è un naturale sviluppo.<br />

Per lo strutturalismo classico, la correttezza degli elementi individuati, sia i fonemi che i tratti, va valutata<br />

a livello della descrizione delle lingue e della 'verosimiglianza' (difficile da definire) dei sistemi individuati.<br />

Le scelte, in questo quadro, mirano ad ottenere un sistema economico: il minor numero possibile di tratti che<br />

rendano conto di tutte le opposizioni. Il modello generativo, in base ai suoi assunti, giudica l'economicità in<br />

un modo più complesso, scegliendo a volte un maggior numero di tratti, se così facendo si può render conto<br />

meglio dei processi fonologici.<br />

La teoria generativa considera il fonema l'unità di rappresentazione fonologica e i tratti gli elementi che<br />

compongono il fonema, sempre a livello di rappresentazione mentale nella grammatica interiorizzata dal<br />

parlante di una lingua. Questa differenza fondamentale è alla base delle differenze fra l'inventario dei tratti<br />

proposto da Jakobson e quello proposto inizialmente da Chomsky & Halle (1968) e successivamente<br />

elaborato e modificato sulla base della teoria, quindi sulla base di analisi ulteriori di altre lingue e altri<br />

processi fonologici attestati. I tratti vanno quindi considerati istruzioni agli organi articolatori: i fonemi sono<br />

costituiti da matrici, o fasci, di tratti fonologici. Gli elementi del lessico sono quindi codificati come<br />

sequenze di fasci (o matrici) di tratti fonologici.<br />

3.1. La base empirica della teoria fonologica. Considerare scopo della ricerca la ricostruzione della<br />

grammatica come rappresentazione mentale, aumenta la base empirica per il controllo delle ipotesi: il corpus<br />

comprende non solo i dati osservabili, ma anche le intuizioni e i giudizi dei parlanti nativi della lingua in<br />

esame. Inoltre, dà un peso diverso all'osservazione delle modalità di acquisizione della fonologia nel<br />

bambino, alla registrazione di fatti patologici (afasie) o occasionali (lapsus), inoltre delle costanti che si<br />

osservano nel confronto fra sistemi linguistici su base universale. Anche queste osservazioni erano state<br />

introdotte da Jakobson; in Il farsi e il disfarsi del linguaggio (trad. dal tedesco, Kindersprache, Aphasie und<br />

allgemeine Lautgesetze, Uppsala 1941) ha notato che i fonemi e i tipi di sillaba più universalmente diffusi<br />

sono anche quelli che il bambino produce per primi e quelli che rimangono più stabili quando si verificano<br />

patologie del linguaggio o traumatiche o senili (afasie). Si possono stabilire, tramite ampie osservazioni,<br />

delle scale di marcatezza universali, secondo le quali ad esempio se in una lingua sono presenti consonanti<br />

più marcate devono essere presenti anche le consonanti meno marcate.<br />

Ci si aspetta che quello che è marcato sia anche più raro, e quello che è non marcato sia più comune:<br />

questo corrisponde ai risultati delle osservazioni su un gran numero di lingue del mondo, ma in linea di<br />

principio questi concetti sono imprecisi; per poterli usare correttamente dovremmo avere a disposizione un


26<br />

campione ponderato, mentre le osservazioni riportate, per quanto estese, sono casuali e riguardano un<br />

numero molto basso di lingue in rapporto alla grande quantità di varietà linguistiche esistenti.<br />

Tutte le lingue hanno consonanti sorde, non tutte hanno consonanti sonore. Se, per esempio, cominciamo<br />

ad analizzare una lingua sconosciuta e troviamo che essa ha consonanti sonore, possiamo assumere (o<br />

prevedere) che in essa dovranno esserci anche consonanti sorde. La presenza in una data lingua di un<br />

elemento più marcato implica in una lingua la presenza di un elemento meno marcato. Principi e<br />

osservazioni di questo tipo possono essere sfruttati molto ampiamente nella linguistica storica ricostruttiva:<br />

un mutamento ipotizzato non dovrebbe comunque mai contravvenire a principi universali ben consolidati. Se<br />

ricostruiamo, per es., un sistema con solo consonanti sonore, dobbiamo sospettare di aver ricostruito un<br />

sistema irreale, impossibile. Un mutamento linguistico, d'altra parte, dovrebbe essere ben ricostruito quando<br />

si ha un mutamento da un sistema più marcato a un sistema meno marcato: ma la valutazione in questo caso<br />

diventa più complessa, perché non va valutato il singolo punto dove avviene il mutamento, ma una parte<br />

coerente della grammatica.<br />

Questi principi dipendono strettamente dall'idea che la lingua umana sia un oggetto la cui forma è<br />

strettamente dipendente da principi psicologici cognitivi innati, forse specifici per il linguaggio, certamente<br />

specifici dell'uomo. Tutte le lingue, in quanto lingue umane, condivideranno caratteristiche molto precise.<br />

Una teoria di questo tipo ha un grande peso nella comprensione degli universali fonologici e delle relazioni<br />

implicazionali fra le proprietà dei sistemi fonologici delle lingue del mondo.<br />

Le osservazioni tipologiche sui sistemi fonologici delle lingue del mondo ebbero un forte impulso dalle<br />

descrizioni di sistemi fonologici fornite dal principe Trubeckoj e trovarono espressione più sistematica e<br />

ricca di spunti teorici generali in una serie di saggi illuminanti di Roman Jakobson: Joseph Greenberg, che ha<br />

dato inizio a un programma molto ampio di rilevazioni tipologiche a partire dagli anni '60, riconosce spesso<br />

che l'ispirazione per il vasto programma di ricerca sugli universali linguistici da lui diretto alla Stanford<br />

University (California) gli venne proprio dai lavori di Jakobson.<br />

3.2. I tratti nella rappresentazione fonologica. Nella fonologia generativa il fonema può continuare ad<br />

essere considerato l'unità di rappresentazione fonologica, ma nei termini di codificazione mentale del lessico,<br />

saltando il livello delle opposizioni fonologiche osservate a livello superficiale e facendo intervenire le<br />

regole fonologiche per ottenere la rappresentazione (o la realizzazione) superficiale. Il fonema strutturalista è<br />

l’unità della seconda articolazione, ottenuta segmentando la stringa superficiale e controllando la funzione<br />

oppositiva degli elementi individuati; in questo quadro, i tratti fonologici non sono direttamente rilevanti per<br />

l’analisi dei processi, ma - semplificando molto - riguardano piuttosto la riflessione sui diversi sistemi<br />

fonologici. Il fonema generativo è una matrice di tratti fonologici, che possono risultare in superficie<br />

modificati o cancellati da regole fonologiche; rappresenta il codice con cui il parlante codifica le unità del<br />

lessico per quanto concerne il loro aspetto sonoro.<br />

L'inventario dei tratti resta anche nella grammatica generativa, universale come pensava Jakobson: ogni<br />

lingua sceglie quelli da utilizzare per la rappresentazione del suo lessico, in base alle restrizioni specifiche


27<br />

della lingua stessa (sulla struttura possibile della sillaba, sulle possibili configurazioni di tratti) e quindi sulla<br />

base delle convenzioni che derivano da tutto questo. I tratti sono inoltre concepiti in forma strettamente<br />

'binaria', specificati con +/- a seconda, grosso modo, se presenti o assenti. I tratti della grammatica generativa<br />

non sono ‘qualità del suono’ ma precisamente il codice con cui sono impartite “istruzioni agli organi<br />

articolatori per produrre un certo suono”. Le modifiche al sistema di tratti ipotizzato possono essere proposte<br />

quando l’analisi di sistemi fonologici e di processi fonologici lo suggerisca.<br />

3.2.1. Illustrazione dei tratti fonologici.<br />

La matrice generale dei tratti fonologici è basata sul lavoro di N. Chomsky & M. Halle (1968: The Sound<br />

Pattern of English = SPE) e revisioni successive basati su analisi di fenomeni fonologici, ed è inoltre<br />

compatibile con alcuni sviluppi teorici più recenti (fonologia autosegmentale).<br />

Il principio fondamentale è che i tratti nella fonologia generativa (tranne [stridulo]: vedi sotto) alludono,<br />

in modo formale, a atteggiamenti articolatori reali, e quindi tentano di identificare in qualche modo la<br />

codificazione della fonologia di una qualsiasi lingua nella grammatica mentale. Quelli di Roman Jakobson e<br />

del modello strutturalista in genere, hanno invece lo scopo di descrivere nella maniera più economica i<br />

sistemi fonologici delle lingue del mondo (non avendo lo scopo di ricostruire la rappresentazione mentale,<br />

questo modello può utilizzare anche tratti acustici, che si riferiscono cioè all’effetto sonoro). Un modo per<br />

comprendere e memorizzare il valore dei tratti consiste quindi nell'osservare la loro corrispondenza con la<br />

nostra articolazione dei suoni.<br />

I tratti maggiori di classificazione sono [consonantico], [sonorante], [sillabico].<br />

Il tratto [+sonorante] interessa sia le vocali che le consonanti; si riferisce alla vibrazione spontanea<br />

delle corde vocali, prodotta da un passaggio ingente di aria attraverso la faringe, che dà luogo a onde sonore<br />

periodiche (regolari). Le vocali e le semivocali sono tutte intrinsecamente [+sonorante]: non c'è ostruzione<br />

nella bocca, l'aria passa liberamente e provoca la vibrazione spontanea delle corde vocali. Anche alcune<br />

consonanti sono [+sonorante]; sono quelle in cui si ha un passaggio d'aria supplementare o attraverso il naso<br />

(nasali), o ai lati della lingua (liquide), al di sopra della lingua (rotate). Le consonanti contenenti il tratto<br />

[+sonorante] sono caratterizzate dal luogo in cui si produce questo passaggio continuo d'aria: le nasali da [+<br />

nasale] /m, n, ŋ, ¯/; le liquide da [+laterale] /l, λ/), le rotate dalla modalità [+ interrotta] (/r, }, {/).<br />

Il tratto [+ consonantico] caratterizza tutti i suoni (foni, fonemi, segmenti) in cui c'è presenza di<br />

rumore, prodotto dall'ostruzione nella bocca. Il tratto [-consonantico] caratterizza i segmenti che presentano<br />

solo onde sonore periodiche e assenza di rumore (vocali e semivocali). Le consonanti, che condividono tutte<br />

il tratto [+consonantico], sono ulteriormente distinte in base<br />

al luogo in cui si ha l'ostruzione (quindi dai tratti [+/-anteriore, +/-posteriore, +/-alto, +/-basso]);<br />

all'organo articolatorio che effettua l'ostruzione (che si può ridurre al tratto [+/-coronale]);


28<br />

la modalità dell'ostruzione stessa (dal tratto [+/-continua], [+ interrotto]);<br />

Per le vocali è caratteristico il punto in cui si eleva il dorso della lingua, l'arrotondamento delle labbra<br />

(+/-arrotondato) e la tensione del muscolo linguale (+/-teso).<br />

La combinazione di [+consonantico, +sonorante] isola quindi una categoria intermedia fra vocali e<br />

consonanti, le consonanti sonoranti (liquide, nasali, rotate o interrotte) /m, n, ŋ, ¯, l, λ, r / ecc., dotate di<br />

caratteristiche vocaliche e consonantiche. La componente vocalica è costituita dalla vibrazione spontanea<br />

delle corde vocali, la stessa che si ha nelle vocali vere e proprie, l’effetto fisico di un passaggio libero<br />

dell'aria in qualche punto del risonatore: in queste consonanti, oltre all’ostruzione (nella bocca), c’è un libero<br />

passaggio d'aria (nella bocca o nel naso). Molte lingue utilizzano questi suoni per costruire il nucleo della<br />

sillaba; ciò avviene nelle lingue slave, nel sanscrito e in molti dialetti italiani, dove le sonoranti svolgono<br />

funzioni di vocale. Questa proprietà dei foni sonoranti è stata ricostruita per il proto-indeuropeo.<br />

Il tratto [+ coronale] indica l'intervento dell'orlo anteriore della lingua; si avrà quindi la specificazione del<br />

tratto [- coronale] sia quando la lingua non è attiva ma è attivo l'articolatore labiale (come per /p, b/ ecc.), sia<br />

quando interviene il dorso della lingua (come in /k, g/, o nelle vocali). Alcuni ricercatori hanno classificato le<br />

consonanti palatali come [-coronali]; qui, come hanno proposto altri, classificheremo le palatali come [+<br />

coronale, + alto, -anteriore], una scelta che rende più naturale la rappresentazione dei processi di<br />

palatalizzazione. A differenza di vari manuali, non utilizziamo il tratto [affricato] o [rilascio ritardato] per<br />

/ts/, /pf/, ecc., come non distinguiamo con un tratto i segmenti consonantici labializzati o palatalizzati.<br />

Tratteremo questi elementi come segmenti complessi, combinazioni di fonemi (cioè unione di 2 matrici).<br />

Il tratto [+stridulo] è l’unico che fa riferimento a una caratteristica acustica; si riferisce a un qualsiasi<br />

atteggiamento articolatorio che abbia l’effetto di aumentare il rumore di una consonante continua (quindi<br />

contrappone, come [+stridulo] le continue anteriori /s, z/ a /θ, δ/, che sono [-stridulo], e /φ, β/ [-stridulo] a /f,<br />

v/ [+stridulo]. Quindi, la classe delle consonanti fricative anteriori (o continue anteriori), con l’uso dei tratti<br />

si sdoppia in 2 classi, quella [+continuo, + stridulo] (/s, z, f, v/) e quelle [+continuo, - stridulo] (/θ, δ, φ, β/).<br />

(Anche /∫, ζ/ sono continue e stridule, distinte da /s, z/ dai tratti [- anteriore, +alto])<br />

Diamo separatamente i tratti per le consonanti e per le vocali, anche se va tenuto presente che gli stessi<br />

tratti sono validi per tutti i segmenti; alcuni tratti sono però rilevanti solo per le vocali, altri solo per le<br />

consonanti: ad esempio il tratto [+anteriore] indica suoni articolati nella sezione della bocca che va dagli<br />

alveoli dei denti in avanti; ne deriva che nessuna vocale sarà [+anteriore], per cui questo tratto non va<br />

specificato per le vocali, in quanto si prevede che sarà sempre [-anteriore]; le vocali saranno solo [+/-<br />

posteriore], a seconda se la lingua si eleva anteriormente o posteriormente rispetto alla parte mediana del<br />

palato.


29<br />

Le vocali sono tutte [-coronale] per cui se un suono è [- consonantico] non va specificato anche come [-<br />

coronale], perché quest'ultima specificazione è implicata dalla precedente.<br />

Il tratto [basso] è invece rilevante per le vocali (/a/ è identificata da [+basso]) ma lo è molto poco per le<br />

consonanti (caratterizza la spirante /h/ ed altri suoni non presenti nelle lingue più familiari agli europei).<br />

L'abbreviazione [ATR] sta per Advanced Tongue Root, cioè 'radice della lingua avanzata', quindi [teso]; il<br />

tratto si riferisce alla presenza o assenza di tensione del muscolo linguale che modifica la sua forma e di<br />

conseguenza lo spazio nella bocca, con risonanza nel retrobocca o faringe. Questo tratto distingue fra le<br />

vocali medie e, o, le aperte /E, ç /(nell'ortografia italiana è, ò), che sono [-ATR] o rilassate, dalle chiuse /e, o/,<br />

che sono [+ATR] o tese. In questo modo possiamo mantenere una classificazione binaria anche per le vocali,<br />

mentre nel passato si era discusso questo aspetto, prospettando la possibilità di introdurre tratti graduali o<br />

continui relativamente all'altezza della lingua nelle vocali. Le vocali rilassate (o aperte, o [-tese] o [-ATR])<br />

sono indicate talvolta (per comodità) con vocali maiuscole.<br />

Non è chiaro con quali tratti distinguere i diversi tipi di /a/, tutti uniti e distinti dalle altre vocali dal tratto<br />

[+ basso]: va tenuto presente che all'interno di ciascun sistema linguistico il problema, dal punto di vista<br />

fonologico, si semplifica, perché non si trovano normalmente sistemi che distinguano più di due vocali<br />

basse, per cui il tratto [+/- posteriore] può essere sufficiente (non risulta esistere un sistema che distingua una<br />

vocale [+bassa] secondo il tratto [+/- teso]).<br />

Le vocali indicate con /I, U/, (/I, U/) sono [+ alto, -ATR], una configurazione marcata, presente ad<br />

esempio in inglese nelle vocali brevi,da cui derivano distinzioni molto sottili per parlanti italiani: beat<br />

“battere” /bi:t/ ~ bit “pezzettino” /bIt/, sheep “pecora” /∫i:p/ ~ ship “nave” /∫Ip/; pool “stagno” /pu:l/ ~ pull<br />

“tirare” /pUl/.<br />

Le vocali /y, O, ø/ sono vocali in cui il tratto [-anteriore] si accompagna a [+arrotondato], un<br />

accoppiamento marcato, (è normale l’arrotondamento nelle vocali velari, cioè [+posteriore], come o, u).<br />

Sono presenti in francese (lune, boef, peur) e tedesco (Bücher, Frösche, Söhne).<br />

Le semivocali (o semiconsonanti) /j w/ sono vocali non sillabiche, cioè che non costituiscono il<br />

nucleo della sillaba: possono trovarsi all’inizio di sillaba /'wçmo, 'jEna/, o dopo il nucleo sillabico /maj/<br />

/'kawza/; inoltre; come altre consonanti sonoranti, possono essere aggiunte a una consonante all'inizio della<br />

sillaba (bwçno, tjEne, come brçdo, trEno) ecc. Alcuni usano chiamarle semivocali quando chiudono la<br />

sillaba, e semiconsonanti quando sono all’inizio della sillaba e svolgono le funzioni tipiche di una vera<br />

consonante. Se le definiamo come “vocali non sillabiche” questa distinzione non ha ragion d’essere (benché<br />

abbia una ragione fonetica, che deriva però probabilmente dalla posizione nella sillaba)


30<br />

3.2.2. Illustrazione pratica del valore dei simboli fonetici più usati<br />

Il simbolo grafico corrisponde alla pronuncia delle lettere in grassetto delle parole a fianco.<br />

k canto, chimica<br />

g gola, ghiro<br />

s sasso<br />

z sdegno, rosa<br />

∫ sciame<br />

ζ franc. jour, garage<br />

t∫ cielo, celeste<br />

tt∫ faccia<br />

dζ gelo<br />

ddζ raggio<br />

n naso, cantare<br />

ŋ banco<br />

¯ gnomo<br />

λ foglia<br />

w uomo, pausa, può<br />

j iato, mai, pianta<br />

θ ingl. think<br />

δ ingl. there<br />

ç ted. ich, nicht<br />

x ted. nacht<br />

Alla pagina seguente si trovano i simboli ufficiali dell'alfabeto fonetico internazionale, caratterizzati da<br />

specificazioni articolatorie usate piuttosto in fonetica, che hanno naturalmente relazione con i termini che<br />

indicano i tratti fonologici, ma vanno tenuti distinti da questi.<br />

Nelle pagine successive, viene presentata la matrice dei tratti fonologici di consonanti e vocali.


32<br />

MATRICI IN TRATTI FONOLOGICI DEI SEGMENTI<br />

CONSONANTI<br />

p b t d k g f v s z ∫ ζ θ δ ϕ β<br />

conson + + + + + + + + + + + + + + + +<br />

sonort - - - - - - - - - - - - - - - -<br />

sillab - - - - - - - - - - - - - - - -<br />

continuo - - - - - - + + + + + + + + + +<br />

strid - - - - - - + + + + + + - - - -<br />

sonoro - + - + - + - + - + - + - + - +<br />

coron - - + + - - - - + + + + + + - -<br />

anter + + + + - - + + + + - - + + + +<br />

poster - - - - + + - - - - - - - - - -<br />

alto - - - - + + - - - - + + - - - -<br />

basso - - - - - - - - - - - - - - - -<br />

nasale - - - - - - - - - - - - - - - -<br />

later - - - - - - - - - - - - - - - -<br />

interrotto - - - - - - - - - - - - - - - -<br />

m n ŋ ¯ l r λ w j c j x γ ç j h ħ<br />

conson + + + + + + + - - + + + + + + + +<br />

sonort + + + + + + + + + - - - - - - - -<br />

sillab - - - - - - - - - - - - - - - - -<br />

contin - - - - + + + + + - - + + + + + + (a livello orale)<br />

strid - - - - - - - - - - - - - - - - -<br />

sonoro + + + + + + + + + - + - + - + - +<br />

coron - + - + + + + - - - - - - - - - -<br />

anter + + - - + + - - - - - - - - - - -<br />

poster - - + - - - - + - - - + + - - + +<br />

alto - - + + - - + + + + + + + + + - -<br />

basso - - - - - - - - - - - - - - - + +<br />

nasale + + + + - - - - - - - - - - - - -<br />

later - - - - + - + - - - - - - - - - -<br />

interr - - - - - + - - - - - - - - - - -


33<br />

VOCALI<br />

a æ A ε e i<br />

I u U o ç ø œ y ш<br />

conson - - - - - - - - - - - - - - -<br />

sonort + + + + + + + + + + + + + + +<br />

sillab + + + + + + + + + + + + + + +<br />

alto - - - - - + + + + - - - - + +<br />

basso + + + - - - - - - - - - - - -<br />

poster - - + - - - - + + + + - - - +<br />

teso (ATR) - + - - + + - + - + - + - + +<br />

arrotond - - - - - - - + + + + + + + -<br />

**3.3. La scelta dei tratti fonologici pertinenti.<br />

Una volta che abbiamo deciso che la nostra analisi fonologica deve esprimersi tramite tratti fonologici, la<br />

ricerca si dirige a scoprire quali siano i tratti pertinenti da utilizzare, quale aspetto articolatorio sia da<br />

scegliere. La risposta è, ancora una volta, dipendente dal controllo empirico: andranno scelti i tratti che sono<br />

più adatti a rappresentare il comportamento fonologico degli elementi lessicali nella lingua, quelli che<br />

esprimono meglio il comportamento dei suoni anche su base interlinguistica, quelli che sono più adatti a<br />

raggruppare i suoni in classi naturali, vale a dire in gruppi di suoni che mostrino di comportarsi, in una<br />

lingua o in più lingue, come un'unità.<br />

Guardando alla fonologia diacronica ottocentesca, si vede che le regole fonologiche diacroniche non<br />

riguardano singoli suoni, ma classi di suoni, espresse in modo formalmente non esplicito, ma che allude in<br />

maniera che ancora ci appare corretta a caratteristiche articolatorie comuni a gruppi di suoni: abbiamo così<br />

regole che colpiscono le "occlusive sonore" trasformandole in sorde, o le velari con articolazione labiale,<br />

trasformandole in velari pure, o le velari con appendice palatale trasformandole in palatali, ecc. La teoria<br />

fonologica deve darci i mezzi formali di render ragione da un lato di queste intuizioni, dall'altro di spiegare<br />

in modo interessante relazioni diacroniche o sincroniche fra classi di suoni (regole fonologiche diacroniche o<br />

sincroniche, proprietà interlinguistiche dei sistemi fonologici).<br />

**3.3.1 Jakobson aveva proposto un inventario di tratti ricavati dalla osservazione di sistemi fonologici<br />

nelle lingue del mondo: le opposizioni fonemiche utilizzano alcuni tratti di un insieme molto circoscritto di<br />

caratteristiche del suono linguistico. Jakobson, che vedeva la lingua e le sue componenti come un oggetto,<br />

considerava i tratti sia dal punto di vista della produzione, cioè come caratteristiche articolatorie, sia dal<br />

punto di vista della percezione o del loro effetto sonoro, cioè come caratteristiche acustiche da percepire:<br />

considerava il suono cioè dal punto di vista dell'emittente e del ricevente, vale a dire del parlante e dell'ascoltatore.<br />

La fonologia generativa ha scopi diversi da quelli dello strutturalismo, e questo porta a scelte diverse.<br />

Un esempio molto chiaro viene dal confronto dei tratti fondamentali utilizzati da Jakobson per classificare i<br />

suoni nei due grandi gruppi di "consonanti" e "vocali" con la revisione proposta da Chomsky & Halle (1968).


34<br />

I tratti di Jakobson prevedevano, per la classificazione più ampia dei suoni del linguaggio, i tratti [+/-<br />

consonantico] e [+/- vocalico]: con questi due tratti è possibile ottenere le opposizioni necessarie fra le<br />

tradizionali classi di suoni, come nello schema seguente:<br />

vere consonanti vocali liquide(l,r) semivocali<br />

(nasali incluse)<br />

+ conson - conson + conson - conson<br />

- vocalico + vocalico + vocalico - vocalico<br />

Ciascuna classe era distinta dalle altre da una coppia di tratti.<br />

In questo modo si coglievano anche alcune caratteristiche comuni di classi che condividono dati tratti: le<br />

consonanti (fra queste Jakobson poneva anche le nasali) hanno in comune con le liquide il tratto [+<br />

consonantico], mentre le vocali hanno in comune con le semivocali il tratto [-consonantico], d'altra parte<br />

vocali pure e consonanti pure non hanno niente in comune, e nessun tratto in comune: avremmo perciò delle<br />

classi di consonanti e liquide [+ conson], di vocali e semivocali [-conson], di consonanti e semivocali [-<br />

vocalico], di vocali e liquide [- conson]. Dovremmo aspettarci di trovare regole fonologiche che riguardano<br />

le classi così individuate. La proposta di revisione di Chomsky&Halle si concentrò proprio su questo punto.<br />

Vedremo che sotto questo profilo, i tratti scelti da Jakobson, sulla base di criteri di economia, non sono<br />

soddisfacenti.<br />

Le nasali sono secondo Jakobson da considerare vere consonanti, in quanto nell'articolatore orale (la<br />

bocca) abbiamo una occlusione completa (noi le consideriamo sonoranti per la presenza di sonorità<br />

spontanea, anche se questa sonorità avviene per l'effetto di un passaggio di aria che ha luogo non nella bocca<br />

ma nel naso). Possiamo proporre di spostare le nasali con le liquide nella classe delle [+ conson., + vocal.];<br />

altre modifiche devono dar modo di raggruppare i segmenti che possono essere nucleo della sillaba<br />

escludendo quelli che non possono esserlo, utilizzando uno o più tratti che solo essi abbiano in comune.<br />

La forma non marcata di sillaba nelle lingue del mondo è data dallo schema CVCV: se vediamo quali<br />

classi possono occupare le posizioni di C e di V rispettivamente, avremo consonanti, liquide e semivocali<br />

nella posizione C, vocali e sonoranti nella posizione V: ma i tratti di Jakobson [+/- conson] e [+/- vocalico]<br />

non ci danno modo di raggruppare le classi come vorremmo per descrivere questa tipologia generale; in<br />

particolare, non c'è un tratto - o una coppia di tratti - che sia condiviso dalle tre classi che costituiscono<br />

l'inizio della sillaba e possa unirle in un'unica classe; le semivocali e le liquide sono le une [- conson., -<br />

vocal.], le altre [+ conson., + vocal.], hanno cioè segni opposti riguardo a questi tratti molto generali,<br />

sembrano, in base a questi tratti, appartenere a classi completamente diverse. Abbiamo bisogno invece di un<br />

tratto che classifichi insieme semivocali, consonanti e sonoranti e escluda le vocali vere.<br />

Sulla base di considerazioni di questo tipo, Chomsky & Halle hanno proposto di sostituire il tratto [+/-<br />

vocalico] con due tratti, [+/- sonorante] [+/- sillabico]: il tratto sonorante indica la potenzialità di un dato<br />

segmento di essere nucleo della sillaba, il tratto sillabico indica la funzione di nucleo attualizzata in un dato<br />

sistema. Abbiamo quindi modo di contrapporre con il tratto [+ sonorante] vocali, semivocali, liquide e nasali<br />

contro le consonanti vere (o ostruenti), mentre [-sillabico] raggruppa tutti i segmenti che non sono nucleo


35<br />

sillabico (semivocali, consonanti e sonoranti non sillabiche). Liquide e nasali possono appartenere quindi sia<br />

alla classe dei foni sillabici, sia alla classe dei foni non sillabici, a seconda se la loro potenzialità di fungere<br />

da nucleo sillabico è attualizzata o no; condividono comunque con vocali e semivocali la caratteristica di [+<br />

sonorante].<br />

Per Jakobson l'obiettivo è avere tratti tali da poter descrivere tutti i sistemi oppositivi delle lingue del<br />

mondo, Chomsky & Halle hanno esigenze diverse, che spiegano la scelta rispetto a questi tratti e in molti<br />

altri casi. Lo scopo è quello di descrivere non i sistemi linguistici in se stessi, ma la competenza fonologica<br />

in generale e in particolare, il comportamento dei segmenti (o dei parlanti che li usano) rispetto a regole<br />

fonologiche. Quindi può essere preferibile avere un sistema con un maggior numero di tratti (quindi<br />

apparentemente più complesso) rispetto a quello di Jakobson, se questo serve a isolare correttamente classi di<br />

suoni che mostrano caratteristiche simili rispetto a regole fonologiche.<br />

Il loro carattere empirico spiega come siano state modificate molte delle originarie<br />

classificazioni di Chomsky & Halle, in seguito ad analisi dettagliate di lingue diverse. Vedremo<br />

subito un elenco di tratti e segmenti che saranno utilizzati per descrivere alcune regole fonologiche,<br />

in parte già considerate in maniera non formale (o diversamente formale) nella prima parte del<br />

corso.<br />

**3.3.2. Un esperimento in favore della rappresentazione in tratti. Vediamo ora un<br />

argomento per sostenere che i tratti fanno parte della nostra grammatica, che il 'comportamento<br />

fonologico' di un parlante può essere meglio descritto e spiegato se supponiamo che la<br />

rappresentazione fonologica sia costruita con i tratti fonologici. Si tratta anche di un esperimento<br />

che mostra come le diverse forme morfologiche non sono imparate una per una, ma – tranne per i<br />

casi altamente irregolari – vengono prodotte volta per volta tramite regole. 1 Concepire la<br />

grammatica come dispositivo generativo permette di costruire un tipo di esperimento molto<br />

illuminante per testare la correttezza di ipotesi astratte sulla forma della grammatica stessa e sulle<br />

unità utilizzate. Giudizi molto interessanti si hanno ponendo i parlanti di fronte a dati nuovi, per<br />

esempio chiedendo di giudicare se una parola è possibile o impossibile nella loro lingua,<br />

indipendentemente dal fatto che sia una parola realmente esistente. Ad esempio, senza che nessuno<br />

ce l'abbia espressamente insegnato, sappiamo che una parola come /brust/ è una parola<br />

incompatibile con i principi dell'italiano (consonante finale), così /brto/, possibile solo in una lingua<br />

che può avere una /r/ che forma nucleo di sillaba (altrimenti se fosse un'unica sillaba brto<br />

violerebbe una restrizione universale sulla struttura sillabica, come vedremo); le sonoranti con<br />

1 E' importante a questo proposito che nelle afasie (in particolare nell'afasia di Broca) vengono prodotte parole in<br />

una qualche forma di base (verbo alla 3.sg, per es.) ma il paziente non riesce a produrre forme adeguate<br />

morfologicamente.


36<br />

valore sillabico sono inesistenti in italiano.<br />

Noi sappiamo inoltre giudicare che /brito/ è una parola possibile, benché (forse!) inesistente in italiano.<br />

Esperimenti di questo tipo permettono di sostenere che abbiamo un'idea inconscia di quali sono i segmenti<br />

possibili (fonemi) e quali sono le loro possibili combinazioni.<br />

Utilizzeremo un esperimento di questo tipo - riferito da Morris Halle - a sostegno dell'idea che gli<br />

elementi del lessico sono rappresentati nella mente del parlante non sotto forma di sequenze di segmenti<br />

fonologici (fonemi inanalizzati) ma utilizzando una rappresentazione con fasci (o matrici) di tratti<br />

fonologici: per ottenere questo, l'esperimento vuole precisare ulteriormente il livello pertinente di<br />

rappresentazione della fonologia, cioè intende provare che le regole fonologiche (di cui si avvale anche la<br />

morfologia) sono operazioni che hanno luogo non sui segmenti fonologici, ma sui loro sottocomponenti, i<br />

tratti. Indirettamente, questo è un argomento anche contro l'esistenza di un livello di rappresentazione<br />

corrispondente al fonema strutturalista, il livello in cui, come si è detto sopra, si osservano le opposizioni<br />

fonologiche tramite le coppie minime. Questo livello è talvolta utile al linguista, come prima rilevazione dei<br />

suoni di una lingua, ma non corrisponde a un livello di rappresentazione reale, non fa parte della grammatica.<br />

Consideriamo la regola di formazione del plurale inglese: (analizzata in Akmajian et alii, Linguistica)<br />

tranne alcuni casi irregolari (child, pl. children, o i resti dell'antica metafonesi, che avremo occasione di<br />

vedere più avanti), il plurale produttivo si ottiene aggiungendo alla forma della parola (il singolare) un<br />

elemento morfologico che assume forme diverse: /s/, /z/, /Iz/. Abbiamo ad es.:<br />

/s/: cat "gatto" pl. cats /kæts/; lip "labbro" pl. lips /lIps/; rank “fila” pl- ranks /ræŋks/; month "mese" pl.<br />

months /m√nθs/, puff “soffio” pl. puffs /p√fs/ ecc.;<br />

/z/ dog, “cane”, pl. dogs /dçgz/; new “nuovo” /nju/ pl. news /njuz/ “novità”; bell “campana” pl. bells<br />

/bElz/; can “lattina” pl. cans /kænz/<br />

/Iz/ bus pl. buses /b√sIz/; fox /fçks/ “volpe”, pl. foxes /'fçksIz /; bush /bu∫/ “cespuglio”, pl. bushes /'bu∫Iz/;<br />

beach /bi:t∫/ “spiaggia” pl. beaches /'bi:t∫Iz/; phase /fεjz/ pl. phases /'fεjzIz/, badge /badζ/, pl. badges<br />

/badζIz/.<br />

E’ importante notare che la stessa allomorfia si osserva in altri due morfemi inglesi, ortograficamente s: il<br />

plurale: ‘s del genitivo sassone e –s della 3. sg. del verbo lessicale al presente indicativo.<br />

1. Partiamo dall’ipotesi più debole: può essere che la formazione del plurale si apprenda memorizzando<br />

una per una le singole parole col loro plurale L’intuizione lo escluderebbe, ma possiamo anche molto<br />

facilmente dimostrare che non è così che funziona la lingua. Un parlante inglese infatti sa formare senza<br />

alcuna difficoltà il plurale di parole nuove, che non ha mai sentito prima. Possiede quindi nella sua<br />

grammatica un meccanismo produttivo che gli permette de comportamenti linguistici coerenti anche di fronte<br />

a compiti nuovi.<br />

2. Si può fare allora un’ipotesi un po’ più generale e supporre che il parlante faccia come chi impara la<br />

lingua da adulto su una grammatica descrittiva usuale: memorizza una lista di fonemi che selezionano le<br />

diverse forme di desinenza: /p, t, k, θ,/ e inoltre /f/ (non sempre), aggiungono /s/; le vocali, le consonanti /b,


37<br />

g, d, r, l, m, n, ð/ e le semivocali /j, w/ aggiungono /z/; /s, z, ∫, ζ,t∫, dζ/ aggiungono /Iz /. In questo modo il<br />

parlante inglese imparerebbe a formare il plurale imparando ad aggiungere morfemi diversi alla parola,<br />

selezionati sulla base del fonema finale della parola.<br />

3. Una terza ipotesi, più astratta e legata alla teoria fonologica, suggerisce invece che il parlante raggruppi<br />

i fonemi in classi e codifichi in base a questa classificazione la forma del morfema di plurale. Rivediamo i<br />

casi esemplificati e ipotizziamo delle classi fonologiche:<br />

/-z/ dopo qualsiasi segmento sonoro, cioè dopo vocali, sonoranti e consonanti sonore (dog, pl. dogs<br />

/dçgz/, new /nju/ pl. /njuz/, bell, pl. bells /bElz/, ecc.);<br />

/-s/ dopo ostruente sorda non sibilante (cat "gatto" pl. cats, lip "labbro" pl. lips, month "mese" pl. months,<br />

ecc.);<br />

/-Iz/ dopo ostruente sibilante, sorda o sonora (bus pl. buses /'b√sIz/, fox /fÅks/ pl. foxes, bush /bU∫/ pl.<br />

bushes /'bU∫Iz/, beach /bi:t∫/ pl. beaches /'bi:t∫Iz/, phase /fεjz/ pl. phases /'fεjzIz/, badge /bQdζ/, pl. badges<br />

/bQdζIz/, ecc. );<br />

Ma il nostro modello ci dà il mezzo per esprimere in modo formale una classe fonologica: è l’insieme che<br />

contiene tutti e solo i segmenti che contengono un tratto o un insieme di tratti. Facciamo allora l’ipotesi che<br />

il parlante utilizzi la codificazione in tratti selezionando la forma del morfema a seconda del tratto<br />

caratteristico del segmento finale della parola interessata.<br />

Nel fenomeno considerato, sono interessate le seguenti classi di suoni (si vedano più avanti le matrici dei<br />

tratti):<br />

-- tutti e solo i foni contenenti la configurazione [+ coronale, + stridulo], aggiungono /Iz/;<br />

-- una volta sottratta la classe dei foni contenenti i tratti [+ coronale, + stridulo], i rimanenti foni contenenti il<br />

tratto [+sonoro] aggiungono /z/;<br />

-- tutti gli altri foni, aggiungono /s/.<br />

Che questa ipotesi sia la più soddisfacente lo si può di nuovo dimostrare sperimentalmente, come ha fatto<br />

Morris Halle qualche anno fa; si chiederà ad un parlante nativo di inglese di formare il plurale di una parola<br />

non solo non appartenente all'inglese, ma che abbia come segmento finale un fonema che non fa parte dei<br />

fonemi dell'inglese (e che quindi non può essere stato memorizzato nella sua ipotetica lista); se il parlante<br />

non produce nessun plurale, non abbiamo prove per la nostra ipotesi; ma se il parlante produce un plurale, si<br />

può ricavare un indizio importante.<br />

Dei cognomi si può formare in inglese il plurale riferendosi alla famiglia o a più persone della stessa<br />

famiglia: si può chiedere quindi il plurale di Bach /bax/ "i Bach", per riferirsi per esempio a Johann Sebastian<br />

e ai suoi figli. Il parlante inglese forma il plurale di quella parola senza particolari difficoltà, producendo<br />

/baxs/, una /s/ sorda. Egli non si basa quindi sul fonema finale, ma sul tratto di sonorità del fonema finale;<br />

identifica nel fonema /x/ il tratto [- sonoro], e aggiunge /s/. Questo ci fornisce un indizio in favore<br />

dell’ipotesi che il parlante nativo abbia a disposizione una grammatica codificata in termini molto semplici e


38<br />

astratti, altamente produttivi di fronte a casi "nuovi". Questo sarà dunque il livello di rappresentazione delle<br />

unità pertinenti a cui tenterà di giungere una analisi fonologica, il livello dei tratti fonologici.<br />

Si noti che la copula alla 3. sg. is /Iz/ e il genitivo sassone 's mostrano un comportamento identico a<br />

quello del morfema di plurale (vedi anche il già citato capitolo di Bloomfield, Morfologia). Ci sono piccole<br />

differenze: i nomi plurali e in genere i nomi che finiscono con una –s non aggiungono un morfema per il<br />

genitivo sassone (ma non tutti i parlanti sono d'accordo); inoltre i termini etnici (nomi di popoli o di lingue)<br />

che terminano con una sibilante (come English, French, ecc.) non possono aggiungere il morfema /z/ o /Iz/<br />

per formare il plurale; si confronti Italians, Greeks, Britons, Australians, con *Englishes, *Frenches,<br />

*Chineses, *Welshes, ecc.; alcuni restano invariati al plurale (English), altri non possono proprio fare il<br />

plurale (French, Spanish); ma anche qui non ci sono giudizi sempre sicuri.<br />

Un interessante argomento fra fonologia e morfologia è l'individuazione della forma precisa del morfema<br />

di plurale da prendere come forma lessicale da cui partir. Se scegliamo /Iz/, dobbiamo supporre regole che<br />

cancellino la vocale /I/ e producano l'assimilazione di /z/ alla consonante finale sorda nei casi richiesti; se<br />

scegliamo /s/, dovremmo avere invece regole per l'inserzione della vocale e l'assimilazione alla consonante<br />

finale sonora; se scegliamo /z/ sarebbero necessarie regole di inserzione della vocale e di assimilazione al<br />

segmento finale sordo. Gli argomenti in favore dell'una o dell'altra soluzione vanno valutati in rapporto al<br />

complesso della fonologia e della morfologia dell'inglese. Sembra più naturale scegliere –s come morfema di<br />

plurale, per semplicità fonologica e uniformità morfologica. Avremo allora una regola morfologica che<br />

potrebbe essere simboleggiata così:<br />

Plur. /#s#<br />

o con una matrice di tratti e il contesto (il simbolo a destra rappresenta la posizione in fine di parola o<br />

morfema):<br />

:<br />

+conson<br />

Plur -sonorante / #__#<br />

+ coronale<br />

+continuo<br />

-sonoro<br />

Questa regola produce cat-s, lip-s, month-s, ecc., ma anche /*dçg-s/, /*nju-s/, /*bEl-s/, ecc.; /*b√s-s/,<br />

/*fÅks-s/ /*bU∫-s/, /*bi:t∫-s/, ecc.; produce cioè anche forme scorrette.<br />

L'applicazione di altre due regole produce i risultati voluti:<br />

1. una regola inserirà la vocale fra le due consonanti [+coronale, +stridulo]; possiamo formularla così:<br />

O [-consonantico] / [+conson # _____ #+conson<br />

[+sillabico ] -sonort -sonort<br />

+coronale +coronale<br />

+ stridulo + stridulo


39<br />

Non diamo tratti per la vocale inserita, che sarà una vocale non marcata (epentetica, di appoggio), la cui<br />

qualità viene determinata da regole generali della lingua<br />

2. Una seconda regola assimilerà la /s/ del plurale alla sonorità del segmento che precede:<br />

+conson [+ sonoro] / [+sonoro]# ___##<br />

-sonort<br />

+coronale<br />

+stridulo<br />

Abbiamo trascurato un caso di plurale più marginale, nel senso che sembra interessare pochi elementi che<br />

forse sono resti irregolari di un sistema fonologico diverso: come per il francese vif, vive, riguardano –f/-v.<br />

Alcune parole inglesi che finiscono con /f/ fanno il plur. aggiungendo /z/ e facendo emergere la qualità<br />

sonora di /f/: knife “coltello” /najf/ pl. knives /naivz/, wife “moglie” pl. wives /waivz/, dwarf “nano” pl.<br />

dwarves /dwçrvz/ o /dwçrfs/, wharf "pontile", plur. /wçrvz/ o /wçrfs/, ecc.). Non sembra possibile inserire<br />

questi plur. nella categoria generale della formazione del plur., ma notiamo che /f/ fa parte delle consonanti<br />

stridule. Si può ricostruire allora (guardando all'ortografia, oltre che alla pronuncia) che l'inserzione di /I/<br />

davanti al morfema di plurale fosse generalizzata a tutte le stridule, non solo alle coronali. Quindi queste<br />

parole formavano il plur. aggiungendo /Iz/, con la vocale che preservava la sonorità di /v/. Attualmente però<br />

in queste parole la /I/ non viene pronunciata, ma la sonorità della consonante è preservata (e diversa dal<br />

singolare).<br />

Abbiamo visto un modo di verificare empiricamente con una sorta di esperimento la regola ipotizzata: si<br />

costruisce un caso da sottoporre a un parlante (formare il plurale di una parola inesistente, formare il plurale<br />

di una parola straniera che finisca con un segmento inesistente in inglese). La risposta del parlante ci dice se<br />

l'ipotesi era giusta o no.<br />

L'esempio di regola che abbiamo analizzato può illustrare anche i vari livelli di adeguatezza della ricerca<br />

rispetto al fenomeno linguistico, cosi come in altre discipline rispetto ad altri oggetti di ricerca. Il primo<br />

livello è quello dell'adeguatezza osservativa, che consiste nel fare un elenco degli elementi che definiscono<br />

un fenomeno, come, nel caso analizzato, un elenco dei fonemi che selezionano l'uno o l'altro morfema di<br />

plurale. L'adeguatezza descrittiva, invece, si raggiunge, nel nostro caso, notando che la regola funziona<br />

sulla base dei tratti fonologici (di sonorità, stridulità). Infine, un terzo livello è quello dell'adeguatezza<br />

esplicativa, un livello più astratto che dovrebbe far derivare le regole da principi generali della grammatica,<br />

dandone così una spiegazione. Nel nostro caso, questa si raggiungerebbe arrivando non solo a determinare<br />

l’unica forma del morfema ma anche a motivare le regole che danno luogo alle varie allomorfie superficiali.<br />

Di fronte a un fenomeno dobbiamo proporci di raggiungere almeno l'adeguatezza descrittiva, dato che<br />

quella esplicativa richiede una serie di conoscenze indipendentemente raggiunte, che in molti casi non sono<br />

disponibili. L'osservazione e la descrizione affrontano in molti casi aree della grammatica rispetto alle quali


40<br />

la riflessione teorica non è ancora adeguatamente sviluppata per poterne ricavare una spiegazione. In aree<br />

poco studiate, a volte è necessario arrestarsi all'adeguatezza osservativa, se mancano elementi conoscitivi per<br />

andare oltre.<br />

3.4. Esempi di regole con l'uso formale dei tratti. Gli esempi problematici che abbiamo esaminato nel<br />

capitolo precedente sono resi quindi in modo più naturale e interessante con una descrizione a due livelli: al<br />

primo livello, quello della rappresentazione astratta o codificazione mentale, abbiamo una serie di fonemi<br />

sotto forma di matrici di tratti, al livello superficiale la rappresentazione risulta diversa, modificata da regole<br />

fonologiche. Rad e Rat hanno due rappresentazioni sottostanti diverse, che praticamente corrispondono<br />

all'ortografia; una regola molto generale rende conto della loro effettiva pronuncia e delle differenze che<br />

emergono nelle forme derivate morfologicamente. Così /ŋ/ velare inglese è /ng/ nella rappresentazione<br />

sottostante, come nella grafia tradizionale; due regole fonologiche rendono conto della resa superficiale: la<br />

nasale assume l'articolazione velare davanti a consonante velare sonora, e l’occlusiva velare scompare<br />

quando è preceduta da una nasale con articolazione assimilata. Le forme morfologicamente derivate che<br />

abbiamo tratto dal francese e dal tedesco mostrano inoltre come un livello di rappresentazione più astratto<br />

come punto di partenza permetta di collegare in modo semplice le varie forme rendendo conto allo stesso<br />

tempo della variazione fonologica, che dipende dalle regole e dalle variazioni del contesto nelle derivazioni.<br />

3.4.1.. Cominciamo dalla rappresentazione lessicale di Rad /rat/ e Rat /rat/: nonostante l’identica<br />

realizzazione superficiale le due forme sono registrate nel lessico mentale con due rappresentazioni<br />

sottostanti diverse, praticamente corrispondenti a quelle date nella grafia tradizionale. Ciascun segmento<br />

superficiale (fonema) è definito da una matrice di tratti fonologici:<br />

+conson -conson +conson +conson -conson +conson<br />

+sonort +sillabico -sonort +sonort +sillabico -sonort<br />

+coron +basso +anter +coron +basso +anter<br />

+interrt +coron +interrt +coron<br />

+sonoro<br />

-sonoro<br />

/r/ /a/ /d/ /r/ /a/ /t/<br />

Ciascun fonema è un fascio di tratti fonologici (una matrice) e le regole intervengono sulla forma<br />

sottostante modificando le specificazioni (+/-) dei tratti. Il tedesco ha una regola fonologica del tutto generale<br />

che fa diventare [- sonoro] un segmento fonologico consonantico non sonorante in posizione finale.<br />

Rappresentiamo questo processo con una regola formale:<br />

(+ conson.)<br />

- sonorante → [ - sonoro ] / ___ ##<br />

Il tratto tra parentesi tonde può essere omesso, perché implicato dal tratto [-sonorante]: se un segmento è<br />

[-sonorante] è certamente [+consonantico], cioè una consonante; l'implicazione non vale nell'altro senso: se<br />

un elemento è [+consonantico], può essere sia [+sonorante] che [-sonorante]).


41<br />

Nello schema di regola quindi al primo posto abbiamo la matrice di tratti che individua il segmento<br />

interessato dalla regola (una consonante ostruente); la freccia si legge "diventa" ed è seguita dalla matrice del<br />

tratto (o dei tratti) che vengono specificati (modificati) dalla regola; la barra obliqua si legge "nel contesto",<br />

la linea orizzontale localizza il punto nel contesto in cui si deve trovare il segmento per essere colpito dalla<br />

regola; i segni finali indicano il confine di parola: quindi il segmento, in questo caso, deve essere o diventare<br />

sordo quando si trova davanti al confine di parola, ovvero in posizione finale. La regola ha il formato più<br />

generale possibile; non si limita al caso in questione, ma descrive il processo in generale: tutte le ostruenti<br />

diventano sorde in posizione finale.<br />

La regola data sopra non si applica, ovviamente, se il segmento non è in posizione finale, perché in questo<br />

caso il contesto non è quello previsto dalla regola: quando abbiamo la forma plurale, in cui si aggiunge una<br />

desinenza (es.: Räder), la consonante non si trova più in posizione finale, il contesto non corrisponde alla<br />

descrizione data nella regola e la regola non si applica, cioè la consonante rimane sonora, come è nella forma<br />

sottostante. Questo produce correttamente il risultato voluto.<br />

**3.4.2. /ng/ in posizione finale in inglese.<br />

Diamo le matrici in tratti corrispondenti ai due segmenti di partenza (la nasale è non specificata, anusvara):<br />

+conson<br />

+sonort<br />

+nasale<br />

/n/<br />

+conson<br />

-sonrt<br />

+alta<br />

+post<br />

/g/<br />

Diamo la regola per questo caso, ma in realtà questo è il caso particolare di una regola generale di<br />

assimilazione delle nasali alla consonante seguente (cioè, una nasale si articola come /m/ se è seguita da /b/ o<br />

/p/, e come /n/ se è seguita da /t/, /d/, ecc., assume cioè lo stesso punto di articolazione della consonante<br />

seguente).<br />

+ conson. / +conson<br />

+ sonort → [+ posteriore] / ___ -sonort<br />

+ nasale / +poster<br />

La regola rende conto dell’assimilazione della nasale a /g/ e anche a /k/; si noti che usiamo i tratti<br />

necessari e sufficienti a identificare il segmento interessato e a descrivere il fenomeno; non occorre<br />

specificare [+alto, -continuo] perché in inglese non esistono altre consonanti posteriori in questo contesto.<br />

Nell’inglese standard, /g/ viene poi cancellata da una seconda regola, che sarà


42<br />

+ conson. / + conson.<br />

- sonorante → Ø / + sonorante _____##<br />

+ posteriore / + nasale<br />

+ sonoro + posteriore<br />

Cioè, una occlusiva velare sonora (/g/) scompare se si trova in posizione finale, preceduta da una nasale<br />

velare. Anche questo è in realtà un caso particolare di un fenomeno più generale dell'inglese, per cui ad<br />

esempio anche /b/ in posizione finale non si articola se è preceduto da una nasale articolata nello stesso punto<br />

(cioè /m/).<br />

Il fenomeno quindi non è specifico per /g/ ma è più generale (in varietà di inglese interessa anche la<br />

nasale seguita da una coronale sonora /d/). Si potrebbero fondere le regole individuando la classe di segmenti<br />

interessati (le nasali e le occlusive sonore rispettivamente articolate nello stesso punto di articolazione).<br />

Avendo capito il processo, possiamo ridurre all'essenziale le specificazioni ridondanti, ricavandone una<br />

regola più semplice e generale:<br />

1) assimilazione della nasale a una qualsiasi consonante ostruente che segue:<br />

+ conson. α coron. / +conson.<br />

+ nasale → α anter. / ____ -sonorante ##<br />

α poster /<br />

α coron<br />

α anter<br />

α poster<br />

2) cancellazione di /b/ o /g/ in posizione finale se precedute da nasale assimilata:<br />

+ conson.<br />

- sonorante / + conson.<br />

- continuo → Ø / + nasale ____ ##<br />

+ sonoro / - coronale<br />

-- coronale α anteriore<br />

α anteriore<br />

α poster<br />

α poster<br />

Se elimino la specificazione [- coronale] comprendo anche il caso in cui si ha sparizione di /d/ preceduta<br />

da nasale assimilata.<br />

Se la prima regola si applica prima della seconda, non abbiamo bisogno di specificare che la nasale deve<br />

essere assimilata perché la consonante finale possa sparire. Se vogliamo evitare regole ordinate, dovremmo<br />

invece mantenere la regola nella forma più esplicita. Le due diverse scelte dipendono dagli scopi della<br />

descrizione.<br />

3.5. LA CLASSE DELLE CORONALI. Nell’esperimento riportato al paragrafo precedente, sulla formazione<br />

del plurale inglese, abbiamo identificato l’insieme dei foni che selezionano il morfema /Iz/ come<br />

l’intersezione di due insiemi, la classe delle continue coronali e la classe delle continue stridule; il tratto [+/-<br />

stridulo] non ha una chiara descrizione articolatoria, non è definito in modo soddisfacente, ma l’abbiamo


43<br />

utilizzato per escludere le interdentali /θ, δ/, che consideriamo delle coronali. Questa decisione può essere<br />

controllata empiricamente, individuando un processo che interessi in generale le coronali e controllando se<br />

colpisce anche /θ, δ/; se il controllo avrà esito positivo, la scelta che abbiamo fatto, benché presenti degli<br />

aspetti non chiari, risulterà rafforzata.<br />

Nella parte che segue tratteremo fenomeni fonologici osservati in lingue diverse, che ci offrono prove<br />

empiriche a sostegno dell’esistenza di una classe naturale di fonemi caratterizzati dal tratto [+coronale].<br />

3.5.1. UNA CARATTERISTICA DELLA PRONUNCIA ANGLO-AMERICANA.<br />

L'interazione della classe delle coronali con /j/ dà luogo ad un fenomeno fonologico che distingue<br />

l'inglese d'America dall'inglese britannico. Nell'inglese britannico, /j/ non viene pronunciato dopo un piccolo<br />

sottoinsieme della classe delle coronali, identificato con i tratti [ + coronale, + sonorante, - nasale], cioè dopo<br />

/r, l/; in inglese d'America la stessa regola di cancellazione di /j/ ha luogo dopo tutte le coronali di quella<br />

lingua; in altre varietà di inglese come quella del Galles /j/ viene pronunciata invece in questi contesti. Una<br />

delle origini di /j/ è /u:/ sottostante, che dittonga in /ju/ in sillaba aperta, tranne quando è preceduto da<br />

coronali, qualsiasi coronale in anglo-americano, solo le sonoranti non nasali in inglese britannico. Abbiamo<br />

così le seguenti differenze sistematiche di pronuncia, a seconda dei contesti e delle varietà (la trascrizione è<br />

semplificata per tutto quanto non riguarda il fenomeno in questione):<br />

/j/ → Ø / [-coron] ___<br />

AMERIC. BRITANN. ANGL.-GALLESE<br />

ecc.<br />

pure /pjuə/ /pjuə/ /pjua/<br />

cute /kjut/ /kjut/ /kjut/<br />

few /fju/ /fju/ /fju/<br />

music /′mjuzik/ /′mjuzik/ /′mjuzik/<br />

beauty /′bjuty/ /′bjuty/ /′bjuty/<br />

+ coron<br />

/j/ → Ø / + sonort ___<br />

- nasale<br />

AMERIC. BRITANN. ANGL.-GALLESE<br />

luke /luk/ /luk/ /ljuk/<br />

flute /flu:t/ /flu:t/ /flju:t/<br />

rude /ru:d/ /ru:d/ /rju:d/<br />

Bruce /bru:s/ /bru:s/ /brju:s/<br />

/j/ → Ø / [+coron] ___<br />

AMERIC. BRITANN. ANGL.-GALLESE<br />

tune<br />

due<br />

/tu:n/<br />

/du:/<br />

/tju:n/<br />

/dju:/<br />

/tju:n/<br />

/dju:/<br />

new<br />

assume<br />

/nu:/<br />

/a′su:m/<br />

/nju:/<br />

/a′sju:m/<br />

/nju:/<br />

/a′sju:m/<br />

presume /pre′zu:m/ /pre′zju:m/ /pre′zjum/


44<br />

Da questa descrizione possiamo ricavare un esempio di scala di implicazione: se una varietà di inglese<br />

(come l’anglo-americano) cancella /j/ dopo una coronale non sonorante, ci aspettiamo cancelli /j/ dopo una<br />

coronale sonorante. Ci aspettiamo d’altra parte di non trovare una varietà in cui /j/ viene cancellato dopo /n/<br />

ma non dopo /r/. Ci aspettiamo infine che possa esistere una varietà in cui /j/ viene cancellata dopo tutte le<br />

coronali sonoranti (quindi anche dopo /n/) ma non dopo le coronali non sonoranti, una varietà cioè in cui si<br />

dica /nu/ “new”, ma /tjun/ “tune”, /dju:/ “due”.<br />

Torniamo ora alla regola di formazione del plurale analizzata sopra; avevamo individuato il tratto [+<br />

stridulo] come quello che individua la classe delle consonanti finali che richiedono l’inserzione di una vocale<br />

inserita prima della desinenza +/s/. Abbiamo utilizzato questo tratto perché i tratti [+ coronale, + continuo]<br />

colgono una classe troppo ampia, che include anche le interdentali; è invece necessario separare le<br />

interdentali all’interno della classe delle [+coronale, +continuo], perché queste consonanti non richiedono<br />

l’inserzione della vocale davanti alla desinenza /s/.<br />

Guardando più in generale il rapporto delle interdentali con le altre coronali, si riscontra che non sono<br />

normalmente interessate dalle regole di palatalizzazione che colpiscono le coronali; ci sono quindi altri casi<br />

in cui vanno tenute distinte dalle altre coronali, ed escluse dal contesto di determinate regole utilizzando tratti<br />

appropriati, quando necessario (vedi § 6). Ma ci si chiede allora: siamo certi – prima di tutto – che le<br />

interdentali siano delle coronali se non fossero coronali, sparirebbero anche i problemi posti dalla necessità<br />

di escluderle dal contesto di regole che interessano le coronali. Possiamo quindi controllare con la regola di<br />

cancellazione di /j/ se le interdentali fanno veramente parte delle coronali; se sono interessate da questa<br />

regola che caratterizza l’inglese d’America, fanno parte della classe delle coronali, e abbiamo fatto bene a<br />

elaborare la regola di formazione del plurale tenendo conto della loro appartenenza alla classe e della<br />

necessità di escluderle dalla regola.<br />

Dobbiamo quindi controllare se le coronali interdentali entrano nelle differenze fra inglese britannico e<br />

inglese americano per quanto riguarda la cancellazione di /j/. I casi rilevanti sono pochissimi, e tutti termini<br />

dotti, ma mostrano la stessa differenza di pronuncia fra inglese britannico e anglo-americano: questa<br />

differenza è ancora più significativa se si riscontra in parole dotti, dato che la pronuncia britannica è più<br />

prestigiosa e quindi potrebbe essere adottata in questo tipo di parole raramente usate.<br />

Gli esempi sono:<br />

britann. amer.<br />

thurifer "porta-incenso" /'θjurifə/ /'θurifə/<br />

Thule "mitica regione del Nord" /'θju:li/ /'θu:li/<br />

thulium "minerale" /'θju:lIəm/ /'θu:lIəm/<br />

Queste alternanze (che abbiamo potuto trovare solo per l’interdentale sorda) ci confermano che le<br />

interdentali sono un sottoinsieme delle coronali caratterizzate da [+coronale, +continuo, -stridulo]. Quindi le<br />

interdentali sono convenientemente classificate con le coronali, ed è corretto eliminarle dalla sottoclasse che<br />

subisce palatalizzazione, così come dalla classe delle consonanti [+coronale, +continuo] che richiedono<br />

l’inserzione della vocale quando precedono la /s/ desinenza di plurale. Per far questo, utilizziamo il tratto


45<br />

[+stridulo] che le individua, benché questo tratto abbia uno statuto poco chiaro, essendo un tratto che fa<br />

riferimento a proprietà acustiche, mentre i tratti sono nel quadro che stiamo adottando, essendo concepiti<br />

come ‘istruzioni agli organi articolatori’, dovrebbero far riferimento a proprietà articolatorie.<br />

Se non analizzassimo i suoni in componenti elementari, cioè in tratti, non potremmo mettere insieme in<br />

modo motivato questi suoni raggruppandoli in classi che si comportano come delle unità in tutte le lingue,<br />

indipendentemente da relazioni di parentela o contatto. I tratti ci danno il modo di mostrare che i suoni si<br />

comportano rispetto alle regole fonologiche secondo la loro composizione in tratti, e le regole stesse sono<br />

motivate dai tratti fonologici. Fra i tratti e il tipo di regola c’è un rapporto di necessità di tipo causa ed<br />

effetto, che non va concepito nel senso che il fenomeno debba necessariamente realizzarsi se si danno le<br />

condizioni; si deve intendere questo rapporto nel senso che se il fenomeno si realizza avrà quelle date<br />

modalità e non altre.<br />

Nelle regole fonologiche compaiono solo classi naturali di suoni, e non elenchi di suoni, come già<br />

avevano intuito i linguisti storici, pur senza formalizzare queste proprietà; le classi naturali sono esprimibili<br />

con i tratti fonologici, come quegli insiemi che raggruppano tutti e solo i suoni che condividono un dato<br />

insieme di tratti; tutti questi sono indizi molto forti in favore dell'analisi in tratti dei suoni linguistici.<br />

3.5.2. Assimilazione totale nell’articolo arabo. Sempre cercando fenomeni che interessino la classe<br />

delle coronali o un suo sottoinsieme (una classe più ristretta), osserviamo una regola che caratterizza la<br />

morfologia dell'arabo: l'articolo arabo al si modifica assimilando completamente l alla consonante iniziale<br />

della parola che segue, solo quando questa consonante è una delle seguenti: /t, d, s, z, ∫, r, l, n/. Abbiamo<br />

così, per esempio (diamo gli esempi arabi in una translitterazione semplificata):<br />

al kittab "il libro" ma ad dars "la lezione"<br />

al firaash "il letto" ar ruz "il riso"<br />

al baab "la porta" az zayt "l'olio"<br />

al faras "il cavallo" an naars "il popolo”<br />

al qamar "la luna" aš šams /a∫ ∫ams/ "il sole"<br />

Le consonanti che vengono sottoposte alla regola (nei nostri esempi ne abbiamo trascurate alcune) sono<br />

tutte e solo le coronali dell'arabo. Scriviamo la regola in modo formale:<br />

+consonante<br />

+sonorante / +consonante<br />

+coronale → [α tratti] / ___ # +coronale<br />

+laterale / α tratti<br />

Ricordiamo il valore dei simboli nella regola: la prima matrice individua il segmento che cambia, dopo la<br />

freccia sono indicate le nuove specificazioni dei tratti interessati dal processo, da cui ricaviamo il risultato<br />

dell'applicazione della regola; la sbarra va letta "nel contesto" e quello che segue la sbarra è la descrizione


46<br />

del contesto in cui il segmento cambia; il simbolo ___ indica la posizione del segmento che cambia rispetto<br />

al contesto: in questo caso il segmento che cambia si trova davanti a un confine di morfema (si tratta infatti<br />

di un articolo) seguito da una consonante coronale. La notazione secondo la convenzione α ( =alfa) indica<br />

che i tratti che seguono il simbolo α hanno lo stesso segno +/- che si trova per quei tratti nel segmento dove è<br />

indicato un altro α: nel nostro caso tutti i tratti di l si assimilano ai tratti della coronale che segue; α indica<br />

quindi "accordo di tratti". Come avremo occasione di esemplificare più avanti, -α indica ‘discordanza di<br />

segno’.<br />

La prima matrice è molto ridondante, ci sono tratti che non sono necessari per identificare il segmento:<br />

sarebbe stato sufficiente indicare [+ laterale], in quanto una laterale è, in molte lingue come in arabo,<br />

necessariamente una consonante coronale sonorante. In molti casi, ma non sempre, semplificare le<br />

specificazioni è importante per capire bene il processo. In altri casi, è preferibile dare la descrizione in forma<br />

ridondante, perché appare più chiaro che il processo assimilativo viene innescato dal fatto che i due segmenti<br />

hanno molti tratti in comune.<br />

I grammatici arabi chiamano 'consonanti solari' quelle che provocano l'assimilazione della /l/ dell'articolo,<br />

e ‘consonanti lunari’ quelle che non provocano l'assimilazione: questo dipende dal fatto che il nome che<br />

significa 'sole', cioè šams inizia con una coronale, mentre il nome che significa 'luna', cioè qamar, inizia con<br />

una consonante non coronale. Anche questa regola mnemonica si basa su un concetto implicito di 'classe di<br />

suoni' identificata sulla base di elementi articolatori non espressi formalmente ma solo intuiti: consonanti<br />

lunari e solari significa, a ben vedere, 'consonanti che sono, a qualche livello, come l'iniziale di šams e di<br />

qamar'.<br />

Questa regola ha dei riflessi sul lessico spagnolo, comparato con quello italiano, ad esempio. Ambedue<br />

queste lingue hanno nel loro lessico molti elementi di origine araba: lo spagnolo ha preso i termini arabi con<br />

l'articolo agglutinato (il fenomeno è detto anche tradizionalmente concrezione dell’articolo) mentre<br />

l'italiano (e vari dialetti, come il veneziano, o il siciliano) hanno preso i termini senza l'articolo. Si riscontra<br />

così che i prestiti arabi nello spagnolo iniziano in generale con la vocale a; iniziano con al se segue una<br />

consonante [-coronale]. Lo spagnolo cioè mostra l'articolo assimilato se l'iniziale della parola in arabo era<br />

una coronale, come si vede negli esempi seguenti:<br />

ar. al har∫uf, ital. carciofo, spagn. alcachofa<br />

ar. al mahzin, ital. magazzino, spagn. almacen<br />

ar. al qutun, ital. cotone, spagn. algodon<br />

ar. az zafaran, ital. zafferano, spagn. azafran<br />

ar. an naura, ital. noria, spagn. anoria (elevatore d'acqua)<br />

ar. ar ruz, (ital. riso), spagn. arroz<br />

ar. ad duwan, ital. dogana, spagn. aduana<br />

La forma degli arabismi in spagnolo riflette la fonologia dell’arabo, mostrando l’assimilazione della<br />

consonante dell’articolo con la consonante seguente, iniziale del nome, quando questa è una coronale.<br />

La parola algebra, un prestito medievale dall'arabo, è un problema interessante: l'origine, al-ğajbr<br />

presenta oggi una consonante che dovrebbe causare l'assimilazione, cioè l’affricata coronale /dζ/. Come mi


47<br />

ha suggerito il prof. Albert Abou Abdallah, la forma deriva da un prestito molto antico, quindi si deve<br />

guardare la pronuncia antica, che oggi si ritrova solo in varianti regionali: in queste pronunce il fono iniziale<br />

non era un'affricata coronale ma un'occlusiva palatale / j /, che non poteva provocare l’assimilazione non<br />

essendo coronale.<br />

3.6. I tratti e le classi naturali: alcune conclusioni<br />

L'utilizzazione dei tratti ha un immediato risultato (che è anche un modo di controllare tutta l'ipotesi) nel<br />

fatto che i tratti sono un modo formale per indicare le classi naturali di suoni. In modo più informale le<br />

regole fonologiche diacroniche del metodo storico comparativo consideravano molto spesso mutamenti non<br />

di singoli foni (o suoni, ecc.), o di gruppi eterogenei di suoni, ma di classi di suoni. Pur senza una teoria<br />

esplicita, sulla base dell’intuizione si individuavano regole che riguardavano gruppi di suoni che hanno<br />

caratteristiche articolatorie in comune; anche senza una teoria, a nessuno verrebbe in mente di ipotizzare una<br />

regola che riguardi 3 suoni come /p, a, r/, che non possono formare una classe fonologica.<br />

Una classe naturale di suoni è formalmente un gruppo di suoni che sono individuati nel loro insieme da<br />

un numero di tratti inferiore ai tratti necessari ad individuare ciascun membro della classe. Per individuare le<br />

sonoranti studiate da Osthoff e Brugmann servono tre tratti, come abbiamo visto; per individuare un membro<br />

della classe, ad es. /l/, dobbiamo aggiungere specificazioni ulteriori [+ anter, + coron].<br />

Se dovessimo individuare con i tratti il gruppo di suoni /p, a, r/ indicato sopra, dovremmo praticamente<br />

sommare i tratti necessari per individuare ciascun membro: avremmo quindi un gruppo di suoni che sono<br />

individuabili con una serie di tratti più ampia di quella necessaria per individuare ciascun membro. /p, a, r/<br />

quindi non costituiscono una classe naturale. È del resto, come abbiamo detto, molto improbabile che ci<br />

troviamo a trattare un mutamento che interessa questi suoni e non altri. Le classi naturali sono infatti insiemi<br />

di suoni che ritornano come parte di regole fonologiche in lingue diverse e indipendenti geneticamente.<br />

4. I segmenti complessi e la rappresentazione autosegmentale<br />

A differenza di vari manuali, non utilizziamo il tratto [+affricato] per /ts/, /pf/, ecc., come non<br />

distinguiamo con un tratto [+labiale] le consonanti velari labializzate /k w /, /g w /, né con un tratto [+ palatale]<br />

o simili le velari k j g j (cfr. la ricostruzione delle velari di Ascoli). Questi suoni si trovano classificati in molti<br />

manuali come segmenti occlusivi con particolari transizioni articolatorie: queste caratteristiche sono, in<br />

queste classificazioni, espresse con un tratto aggiunto ai tratti del fonema: nel caso delle affricate, da un<br />

tratto [+rilascio ritardato] (in ingl. [+delayed release] o semplicemente [+affricato]: le affricate infatti<br />

appaiono come delle occlusive il cui momento di esplosione viene prolungato in una articolazione continua;<br />

anche le consonanti labializzate vengono considerate nei manuali spesso come fonemi velari con un tratto<br />

aggiunto, ad esempio [+labiale] o [+arrotondato] nel caso di k w -, g w . Parallelamente (simmetricamente) le<br />

consonanti e le vocali lunghe sono state spesso distinte con l’aggiunta di un tratto [+lungo]. Queste soluzioni<br />

presentano delle difficoltà che sono spesso state notate: questi foni (o fonemi) hanno, in sostanza,


48<br />

comportamenti ambigui, che mostrano che non si tratta di fonemi analoghi agli altri ma di segmenti<br />

realmente complessi: anche se per certi aspetti sembrano dei fonemi singoli, per altri versi appaiono come se<br />

fossero due. Ad esempio, il comportamento delle affricate ha una direzione, un lato destro e un lato sinistro.<br />

L’affricata /ts/, /t∫/, ecc. per es. è una occlusiva a sinistra e una continua a destra; nella formazione del plurale<br />

in inglese, /t∫/ funziona come una /∫/ per quanto riguarda la selezione della forma appropriata del morfema.<br />

Come le consonanti lunghe, in tutte le lingue del mondo un’affricata mostra resistenza a diventare sonora<br />

quando si trovi fra due vocali, a differenza delle ostruenti semplici che mostrano una generale tendenza a<br />

diventare sonore se sono intervocaliche (assimilazione alla sonorità intrinseca delle vocali). Da un punto di<br />

vista generale, è inoltre importante notare che questo sarebbe un caso in cui i tratti non si riferiscono a<br />

caratteristiche che compaiono simultaneamente nel segmento, ma a caratteristiche che si manifestano in<br />

successione nel tempo. Avevamo visto invece che è proprio del terzo livello di articolazione individuare<br />

elementi (i tratti fonologici) che, diversamente dai fonemi e dai morfemi, compaiono simultaneamente.<br />

Tuttavia ci sono naturalmente delle ragioni per vedere una affricata come diversa da una unione di<br />

occlusiva più continua: l'inglese per esempio ammette la sequenza /ts/, ma solo come esito di aggiunta di /+s/<br />

morfema di plurale o di 3. singolare a una parola che termina per /t/: nessuna parola inglese è registrata nel<br />

lessico con la sequenza /ts/. Il tedesco invece ammette ambedue i casi. In inglese non esiste quindi l’affricata,<br />

ma esiste la sequenza dei due fonemi autonomi. Si sono avute varie discussioni, in ambito strutturalista, per<br />

stabilire lo statuto fonemico dei segmenti complessi: questo tipo di discussione è venuta meno in ambito<br />

generativo, ma si sono messi in evidenza gli aspetti ambigui e problematici di questi segmenti.<br />

Uno sviluppo più recente della teoria fonologica (fine anni ‘70) detto teoria autosegmentale, permette di<br />

rappresentare questa ambiguità grazie alla migliore definizione di un aspetto che era stato precedentemente<br />

trascurato, cioè la relazione fra matrice e spazio dove i tratti escono in superficie (fra gli studiosi che<br />

continuano a sviluppare questa teoria citiamo Morris Halle e Andrea Calabrese, di cui vedremo più avanti<br />

un''analisi autosegmentale della metafonesi). Abbiamo dato finora per scontato che la relazione fra matrice<br />

dei tratti e segmento superficiale sia una corrispondenza biunivoca, cioè che a un segmento (fonema)<br />

corrisponda una matrice e viceversa. In effetti, nulla ci impone questo. Possiamo supporre che in superficie si<br />

abbia uno spazio, che può essere concepito come una durata temporale: in questo spazio esce l'informazione<br />

contenuta nella matrice sotto forma di suono articolato. Ma possiamo avere una sola matrice che si prolunga<br />

per due 'spazi temporali' (per i segmenti, vocali o consonanti lunghi), e d'altra parte due matrici possono<br />

confluire in un unico 'spazio di tempo'.<br />

Per quanto riguarda dunque i segmenti lunghi (o doppi), quello che graficamente si scrive, per es. -ttcome<br />

in gatto e in grafia fonetica si scrive /t:/, fonologicamente si può rappresentare come una matrice<br />

(ovvero un fascio di tratti) che specificano /t/ come collegato con due segmenti superficiali, due spazi,<br />

indicati nella figura seguente con X:


49<br />

+conson.<br />

-continuo<br />

+coronale<br />

-sonoro<br />

/\<br />

/ \<br />

/ \<br />

X X<br />

/t:/<br />

Per le affricate, come pure per gli altri segmenti complessi /kw/, /gw/, o i dittonghi, si ha una<br />

rappresentazione simmetrica: avremo cioè due matrici - ovvero due distinti fasci di tratti - collegate con un<br />

unico segmento fonologico, un unico spazio di tempo nella catena parlata. Abbiamo quindi i tratti di /t/ e i<br />

tratti di /s/, in /ts/, come pure in /kw/ abbiamo i tratti di /k/ e i tratti di /w/, ecc.<br />

+conson. +conson.<br />

-continuo +continuo<br />

+coronale +coronale<br />

-sonoro -sonoro<br />

\ /<br />

\ /<br />

\ /<br />

\ /<br />

\ /<br />

\ /<br />

\/<br />

X<br />

/ts/<br />

Il secondo punto di interesse della teoria autosegmentale è l'organizzazione dei tratti fonologici, che nella<br />

teoria di Chomsky & Halle erano concepiti come un elenco di istruzioni in ordine casuale: secondo i nuovi<br />

studi invece, la relazione fra i tratti è di nuovo una relazione in una struttura gerarchica. Lo spazio in cui si<br />

colloca la matrice è tridimensionale, i tratti sono marcati su piani diversi, strutturati gerarchicamente,<br />

raggruppati sotto categorie più ampie come MODO, LUOGO, SONORITA’, ecc. In questo modo si apre una<br />

possibilità di considerare in modo più naturale un altro aspetto ben noto, cioè casi di assimilazione a<br />

distanza, come l’armonia vocalica, o la metafonesi che vedremo più avanti. Si tratta di processi di<br />

assimilazione fra segmenti che non sono adiacenti. Se i tratti delle vocali sono collocati sul loro specifico<br />

piano, in quel piano sono adiacenti, e una loro influenza reciproca diventa più naturale.<br />

La teoria fonologica autosegmentale sarà considerato solo brevemente in questo corso introduttivo, ma ne<br />

utilizzeremo alcuni spunti interessanti per l'interpretazione di fenomeni ben noti. In generale, la<br />

rappresentazione autosegmentale è illuminante per l'interpretazione del mutamento fonologico. Se<br />

supponiamo piani diversi per matrice dei tratti e 'spazio' superficiale, diventa più naturale un mutamento che<br />

comporta un aumento di segmenti: la dittongazione, un fenomeno così ampio nella diacronia come nella<br />

sincronia, comporta la distribuzione dei tratti su due matrici, lasciando intatto lo spazio superficiale (un<br />

dittongo può essere visto come due vocali che occupano lo stesso spazio di una). Così i processi di<br />

palatalizzazione distribuiscono i tratti di /c/ su due matrici /t∫/, per poi tornare spesso ad una sola matrice /∫/;<br />

segmenti complessi come /kw/, rappresentati come due matrici con un solo segmento superficiale, facilmente


50<br />

danno luogo ad una fusione /p/ (si veda nel capitolo di fonologia diacronica il caso di ind.-eur. *k w - che dà p<br />

in alcune lingue; il latino /kw/ dà /b/ in sardo: aqua > abba; *kinkwe > kimbe).<br />

4.1. Assimilazione parziale nelle vocali: la metafonesi<br />

La teoria autosegmentale ha introdotto anche il concetto di filtro: un filtro è una configurazione di tratti<br />

(due, in genere) che una lingua non ammette (ad es. *[-posteriore, + arrotondato]). Se il risultato della regola<br />

viola un filtro, o viene bloccata (non si applica) o il risultato viene 'corretto', in modo da non violare il filtro.<br />

Ne vedremo un esempio nel trattamento della metafonesi, un fenomeno fonologico sincronico, che era stato<br />

descritto già dai fonologi storico comparativi (Grimm, nella Deutsche Grammatik, l'aveva indicato col nome,<br />

divenuto tradizionale, di Umlaut). Alla luce di una teoria fonologica sincronica formalmente più sviluppata,<br />

vedremo che è possibile semplificare la descrizione del meccanismo della regola, e metterne in evidenza la<br />

naturalezza come processo di assimilazione.<br />

La metafonesi è l'assimilazione (parziale o totale) di una vocale tonica a una vocale finale; in maniera<br />

un po' più formale diciamo che la metafonesi è una regola che muta di segno un tratto (o anche più d'uno)<br />

della vocale tonica rendendolo identico al tratto corrispondente della vocale finale. A questa operazione della<br />

regola di metafonesi si accompagnano aggiustamenti particolari, che non dipendono direttamente dalla<br />

regola, ma dal sistema vocalico della lingua in cui la regola agisce.<br />

Vedremo due casi di metafonesi da lingue diverse: nel primo, esemplificato con due esempi dell'area<br />

italiana, il tratto interessato è [+alto], nel secondo, riguardante le lingue germaniche, il tratto interessato è [-<br />

posteriore].<br />

4.1.1. Metafonesi romanza 1.: il tipo veneto. Un tipo di metafonesi sistematica e chiara nel suo<br />

meccanismo è osservabile nei dialetti dell'area di Padova, Vicenza e Rovigo. I dati essenziali, presenti con<br />

completa regolarità nella flessione del nome/aggettivo maschile e del verbo, sono i seguenti (dal dialetto<br />

dell'area di Padova):<br />

Nome e aggettivo maschile:<br />

singolare<br />

/fjore/ "fiore"<br />

/kar'ton/ "cartone"<br />

/'roso/ "rosso"<br />

/kava'reto/ "capretto"<br />

/pero/ "pera"<br />

/vero/ "vetro"<br />

/meze/ "mese"<br />

plurale<br />

/fjuri/<br />

/kar'tuni<br />

/'rusi/<br />

/kava'riti/<br />

/piri/<br />

/viri/<br />

/mizi/<br />

Verbo:<br />

1. singolare<br />

/'kredo/ "credo"<br />

2. singolare<br />

/te 'kridi/<br />

/'vedo/ "vedo"<br />

/'koro/ "corro"<br />

/te 'vidi/<br />

/te 'kuri/<br />

/'moro/ "muoio"<br />

/te muri/<br />

Osservativamente: /e/, /o/ toniche (cioè la classe delle vocali [-alto, -basso, +teso]) diventano<br />

rispettivamente /i/, /u/ (cioè [+alto, (-basso), +teso] quando la vocale finale è una /i/ (cioè una vocale [+alto, -<br />

posteriore, (-basso), +teso].<br />

Diversamente dai casi appena visti, gli esempi seguenti non mostrano cambiamenti nella vocale tonica:


51<br />

Nome e aggettivo maschile:<br />

singolare<br />

/'fçso/ "fosso<br />

/'çso/ "osso"<br />

/'pçro/ "porro; povero"<br />

/'pçsto/ "posto"<br />

/lEto/ "letto"<br />

/mEzo/ "mezzo"<br />

/vEro/ "vero"<br />

/karo/"caro, carro"<br />

plurale<br />

/fçsi/<br />

/çsi/<br />

/'pçri/<br />

/pçsti/<br />

/lEti/<br />

/mEzi/<br />

/vEri/<br />

/kari/<br />

Verbo:<br />

1. singolare 2. singolare<br />

/'lEzo/ "leggo"<br />

/te 'lEzi/<br />

/'spEto/ "aspetto"<br />

/te 'spEti/<br />

/'spçsto/ "sposto" /te 'spçsti/<br />

/'ma¯o/ "mangio" /te ma¯i/<br />

/'paso/ "passo<br />

/te pasi/<br />

Questi esempi mostrano che il fenomeno non si verifica se la vocale tonica è una /a/, cioè se ha la<br />

specificazione [+basso], oppure se è /E/, /ç/, cioè una vocale [-tesa]; la vocale tonica inoltre non cambia al<br />

plurale se è una /i/ oppure una /u/:<br />

sg. /'muro/ pl. /'muri/, ecc.<br />

sg. /'rizo/ pl. /rizi/, ecc.<br />

Eliminando le specificazioni ridondanti, possiamo ottenere una regola abbastanza semplice della<br />

metafonesi veneta: considerando i casi dove c’è un cambiamento, possiamo descriverlo con la seguente<br />

regola:<br />

+sillabico<br />

-alto<br />

-basso<br />

+teso<br />

→ [+alto] / ____ C° #<br />

[+accento]<br />

+sillabico ##<br />

+alto<br />

Il simbolo C° (un numero qualsiasi di consonanti, compreso zero) è un modo per rappresentare la<br />

presenza di un confine di sillaba (potemmo usare anche il simbolo convenzionale +). Come si vede, si ha<br />

un'assimilazione per quanto riguarda il tratto di altezza. Questo fenomeno sembra verificarsi, però, solo con<br />

certe vocali: cerchiamo di darne una spiegazione. Osservando i casi nei quali il fenomeno non si verifica,<br />

proviamo a semplificare la regola e renderla più generale, lasciando a principi indipendenti della lingua o<br />

della fonologia in generale, il compito di bloccare l'azione della regola di metafonesi nei casi osservati.<br />

1) Possiamo sistemare subito il caso in cui la vocale sia già [+alto], cioè /i/, /u/; possiamo non escludere<br />

questo caso dal contesto lasciando che la regola si applichi vacuamente, e semplificare la specificazione:


52<br />

+sillabico<br />

-basso<br />

+teso<br />

[+alto] / ____<br />

[+accento]<br />

C° # +sillabico ##<br />

+alto<br />

Per comprendere la ragione delle altre esclusioni, il caso in cui la vocale tonica sia [+basso] oppure [-<br />

teso], guardiamo quale sarebbe il risultato se la regola si applicasse:<br />

2) se l'assimilazione di altezza si verificasse con una /a/, avremmo come risultato una vocale contenente<br />

la configurazione di tratti impossibile *[+alto, +basso]; possiamo dire che questa configurazione viola un<br />

filtro assoluto, che nessuna lingua viola; una matrice non può contenere questi due tratti, i quali<br />

comporterebbero che l'articolatore lingua si trovi contemporaneamente sollevato e in posizione di riposo;<br />

3) se la regola si applicasse a una vocale [-tesa], avremmo come risultato una matrice contenente la<br />

configurazione [*+ alto, -teso], che è impossibile non in assoluto (è possibile in inglese, era possibile in<br />

latino) ma impossibile in veneto (come in italiano, e inoltre nei dialetti meridionali che considereremo più<br />

avanti).<br />

Se supponiamo che questi filtri che eliminano le configurazioni impossibili facciano parte in qualche<br />

modo della grammatica del veneto, possiamo formulare la regola di metafonesi in un modo ancor più<br />

generale, lasciando ai filtri il compito di eliminare i risultati non voluti. Permettiamo cioè alla regola di<br />

applicarsi senza restrizioni: l'applicazione sarà vacua nel caso che la vocale tonica sia già alta, mentre sarà<br />

bloccata negli altri casi dai filtri [* +alto, +basso] e [*+ alto, -teso]. La regola sarà quindi:<br />

[+ sillabico] → [+alto] / ____ C° # +sillabico<br />

/ [+ accento] +alto ##<br />

Abbiamo così meglio compreso la metafonesi come una regola generale di assimilazione della vocale<br />

tonica sulla vocale finale, e abbiamo contemporaneamente spiegato perché la regola in certi casi non produce<br />

alcun effetto.<br />

4.1.2. Metafonesi romanza 2.: il tipo italiano meridionale. Vediamo il tipo di metafonesi che si<br />

riscontra in molti sistemi fonologici dell'Italia meridionale: anche qui la regola è produttiva nella morfologia<br />

del nome e del verbo, ma il contesto appare in superficie oscurato. N.B. Indico con ∂ una vocale indistinta<br />

(scewà).<br />

I dati della morfologia dell'aggettivo in un dialetto tipo (Puglia meridionale, Campi Salentina, prov.<br />

Lecce), tratti da vari lavori del fonologo Andrea Calabrese, sono i seguenti:<br />

sing. plur.<br />

(1) f. kar´ kar´ "cara, care"<br />

m. kar´ kar´ "caro, cari"<br />

(2) f. krud´ krud´ "cruda, crude"<br />

m. krud´ krud´ "crudo, crudi"


53<br />

(3) f. prim´ prim´ "prima, prime"<br />

m. prim´ prim´ "primo, primi"<br />

(4) f. ros:´ ros:´ "rossa, rosse"<br />

m. rus:´ rus:´ "rosso, rossi"<br />

(5) f. ner´ ner´ "nera, nere"<br />

m. nir´ nir´ "nero, neri<br />

(6) f. nçv´ nçv´ "nuova, nuove"<br />

m. nwEv´ nwEv´ "nuovo, nuovi"<br />

(7) f. bEl:´ bEl: ´ "bella, belle"<br />

m. bjEl:´ bjEl:´ "bello, belli"<br />

Le vocali finali sono tutte ridotte a vocale indistinta /´/ in questo dialetto (in altri dialetti della zona le<br />

vocali hanno conservato le distinzioni in questa posizione). Sappiamo che in latino il tratto che distingueva le<br />

vocali dei masch. sing. e plur. da quelle dei femm. negli aggettivi della prima classe era il tratto [+alto]: -u<br />

m.sg., -i, m.pl., sono vocali con il tratto [+alto], -a, f.sg., -e/as, f.pl., sono vocali [-alto]; nessun altro tratto è<br />

adatto a separare le vocali delle desinenze che ci interessano in due gruppi che rispecchino lo schema<br />

morfologico visto sopra. La conoscenza del latino ci suggerisce una via interpretativa dei dati, ma dobbiamo<br />

tenere distinti i due livelli di analisi, e cercare di dare una ridefinizione sincronica di questa conoscenza<br />

diacronica, che non può far parte di per sé della grammatica di queste varietà. Anche la conoscenza delle<br />

variet vicine ci possono suggerire di ricostruire in questo modo le vocali di questo dialetto; ma anche in<br />

questo caso dobbiamo tenere distinto il livello interno alla lingua dalla sua comparazione con varietà<br />

presumibilmente simili. Per ricostruire le differenze fra le vocali finali su base interna alla lingua è rimasto<br />

forse un indizio sincronico importante per i parlanti nella forma dell'articolo, che ha una vocale che non è del<br />

tutto priva di accento (ha un accento secondario) e conserva quindi in questi dialetti un timbro più preciso<br />

delle altre vocali finali: l'articolo è molto frequentemente /lu/ e /li/ per il masch. sing. e plur., /la/ e /le/ per il<br />

femm. sing. e plur. Si noti comunque che la memoria di vocali che non compaiono in superficie e provocano<br />

tuttavia la metafonesi deve essere supposta per la flessione del verbo: la seconda sing. ha una vocale<br />

sottostante -i finale che provoca metafonesi, ad es., in pugliese merid.: io kor:(o) tu kur:(i), io bev(o), tu<br />

biv(i), ecc. Quindi la morfologia inserisce un morfema rappresentato da tratti che escono in superficie solo se<br />

sono assorbiti dalla vocale tonica, che si modifica .<br />

Continuando ad osservare i dati nel paradigma dato sopra, vediamo che se la vocale tonica è [+ alto] nel<br />

femminile sing. (ess. 2, 3), resta invariata in tutto il paradigma; la vocale tonica resta invariata anche se è<br />

[+bassa] (es.1); se invece è una vocale [-alto,-basso], essa subisce delle modificazioni nel masch., sing. e<br />

plur. Queste modificazioni sono diverse a seconda se la vocale è inoltre [+ATR] ovvero chiusa (ess.4, 5) o [-<br />

ATR] ovvero aperta (ess.6, 7).


54<br />

I linguisti storici (vedi ad es. Ascoli, nell’Introduzione al primo volume dell’Archivio Glottologico<br />

Italiano (1873), ristampata in Benincà-Longobardi) analizzavano questi casi riconoscendovi una metafonesi<br />

provocata da una caratteristica della vocale finale del latino (o del latino volgare) scomparsa nel dialetto<br />

attuale: essi collocavano l'azione della regola in un momento storico anteriore al passaggio a vocale indistinta<br />

delle vocali finali: Ascoli dice espressamente (a p. 26) che la metafonesi in questi dialetti è un effetto che<br />

sopravvive alla sua causa. Noi vorremmo però lasciare questa interpretazione a casi come quello dell'inglese,<br />

in cui la regola non è più produttiva. Nei dialetti meridionali invece questa regola è tuttora completamente<br />

produttiva, sia nel nome che nel verbo. Vorremmo render conto di questo, escludendo naturalmente l'ipotesi<br />

che un parlante debba apprendere singolarmente tutte le parole pertinenti con il loro plurale, e non ne ricavi<br />

una regola produttiva e una rappresentazione adatta nel lessico e nella morfologia. Va ricordato infatti che la<br />

metafonesi in questi dialetti si applica anche alle parole nuove.<br />

La metafonesi deve essere dunque provocata dal tratto [+alto] di una vocale finale legata al maschile sing.<br />

e plur. (e alla 2. persona del verbo). Le alternanze sono codificate sotto forma di un morfema costituito<br />

dall'informazione [-conson., +alto]. I tratti di questo morfema, inserito in posizione finale, influiscono sul<br />

tratto [alto] della vocale tonica, che diventa (o resta, se lo era già) [+alto]. Otteniamo in questo modo i casi<br />

esemplificati con 2, 3, 4, 5.<br />

Le forme riportate in 6, 7 mostrano differenze più complesse, che possono essere spiegate senza<br />

complicare la regola, se facciamo uso della teoria dei filtri e inoltre se concepiamo la relazione fra matrice<br />

fonologica e segmento superficiale nel modo autosegmentale, cui abbiamo accennato sopra: un segmento<br />

superficiale, concepito come un'unità di tempo, può essere collegato con una o con più matrici fonologiche,<br />

come vedremo subito (e come abbiamo già visto per le consonanti affricate e labializzate). La ragione della<br />

differenza osservabile in (6, 7) deve essere connessa (come abbiamo visto per il veneto) con il tratto [-teso]:<br />

la regola produrrebbe in questi casi delle vocali toniche contenenti i tratti [+alto, -teso], cioè una vocale alta e<br />

"aperta" ovvero rilassata: vocali di questo tipo, /I/, /U/, non esistono in questi dialetti (esistono, come si è<br />

detto, in inglese, ed esistevano in latino). Formalizziamo questo dicendo che in questi dialetti (come pure in<br />

italiano, in veneto, ecc.) è attivo per le vocali un filtro come il seguente:<br />

*[+ alto, -teso]<br />

Questo filtro può produrre l'effetto di bloccare semplicemente la regola (oltre al veneto, visto sopra, ci<br />

sono varietà meridionali in cui casi come 6, 7 hanno il maschile uguale al femminile, senza alternanze<br />

metafonetiche); oppure produce quanto si osserva in 6, 7, cioè un dittongo: il dittongo viene prodotto dalla<br />

scissione dei due tratti incompatibili, i quali generano due vocali, ciascuna prodotta da uno dei due tratti: il<br />

tratto [+alto] genera la /w/ in 6 e la /j/ in 7, il tratto [-ATR] genera /E/ in ambedue i casi. La regola di<br />

metafonesi produrrebbe, rispettivamente agendo su /E/ e /ç/ toniche) le seguenti matrici:


55<br />

input<br />

→ ouput<br />

input → output<br />

- alto + alto<br />

- basso - basso<br />

- ATR - ATR<br />

- poster. - poster.<br />

/E/ → */I/<br />

- alto + alto<br />

- basso - basso<br />

- ATR - ATR<br />

+ poster. + poster.<br />

/ç/ → */U/<br />

Nelle matrici a destra delle frecce è violato il filtro *[+alto, -ATR], e la violazione viene risolta in questo<br />

dialetto distribuendo i due tratti incompatibili su due matrici distinte, ottenendo invece di una vocale un<br />

dittongo:<br />

+ alto - alto + alto - alto<br />

- basso - basso -basso - basso<br />

+ ATR - ATR +ATR - ATR<br />

- poster - poster +poster - poster.<br />

/i/ /E /u/ /E/<br />

I tratti evidenziati in grassetto vengono completati da altri tratti necessari a dar luogo a un segmento, in<br />

base a principi in parte generali, in parte specifici della varietà (molti dialetti hanno un dittongo /uo/ invece<br />

di /ue/, ad esempio); inoltre, per costruire la sillaba senza aumentare le sillabe della parola, solo una delle<br />

vocali prodotte deve essere il nucleo sillabico, l'altra sarà una semivocale /j/, /w/.<br />

Con questi mezzi formali, è possibile formulare la regola in modo molto semplice; saranno principi<br />

indipendenti della fonologia generale e le caratteristiche della fonologia (e della morfologia) della lingua a<br />

bloccare gli esiti non attestati e a produrre gli esiti complessi. La regola può essere come la seguente:<br />

+sillabico -→ [+ alto] / _____ C° # +sillabico ##<br />

/ [+accento] + alto<br />

La regola è identica a quella ipotizzata per il padovano: le differenze derivano dal fatto che il padovano<br />

l’unica desinenza [- conson., +alto] è rappresentata da /i/, poiché non ha /u/ in posizione finale; inoltre, il<br />

filtro *[-conson., +alto, -teso] in padovano blocca la regola, mentre in pugliese la blocca solo per /a/, ma<br />

negli altri casi agisce sul risultato della regola, rimediando alla violazione con un dittongo che produce la<br />

separazione dei tratti incompatibili.<br />

È interessante che nella varietà di padovano usata nel 1500 da Ruzante la metafonesi produceva un<br />

cambiamento, oltre ai casi tuttora vivi nell'area padovana, anche nelle vocali [-alto, - teso] /E/, /ç/, lo stesso<br />

effetto che si vede nei dialetti salentini, cioè dittonghi molto simili a questi: oltre a casi come marcheto pl.<br />

marchiti, elo pl. igi, rosso pl. russi ecc. troviamo bon pl. buoni, ocio pl. uoci "occhio, -i", vegio pl. viegi<br />

"vecchio, -i", belo pl. biegi "bello, -i". Possiamo ricostruire che si trattava di vocali fonologicamente rilassate<br />

(aperte) sulla base della loro origine da vocali medie brevi (rilassate) latine.<br />

Anche il caso esemplificato sopra con (1) deriva dallo stesso meccanismo: la regola di metafonesi<br />

produrrebbe un segmento vocalico con i tratti *[+alto, +basso], che corrisponde a un filtro inviolabile in


56<br />

assoluto. Nel dialetto esaminato e nella maggioranza dei dialetti meridionali (oltre che nel veneto) il filtro<br />

blocca la regola, e non abbiamo alternanze (cioè non si ha metafonesi di /'a/. In alcuni dialetti viene prodotta<br />

una vocale possibile operando sempre sui tratti incompatibili della matrice risultante dalla metafonesi:<br />

tipologicamente, la metafonesi di /a/ è molto più rara, il tratto [+basso] in una vocale è in conflitto con molti<br />

tratti in numerose lingue.<br />

Il lavoro più recente di Calabrese sull’insieme di questa teoria, con analisi di vari fenomeni fonologici fra<br />

cui la metafonesi del Salentino, si trova nella rivista Linguistic Inquiry, num. 26, 3 (1995).<br />

Abbiamo ritradotto il processo diacronico in un processo sincronico, che richiede un certo grado di<br />

astrazione: abbiamo ipotizzato che la morfologia inserisca segmenti che non compaiono come tali in<br />

superficie, ma i cui effetti sono osservabili con coerenza. L'astrazione era del resto presente anche nell'analisi<br />

diacronica, dove si ipotizzava un segmento cancellato da regole di mutamento diacronico, i cui effetti sono<br />

ancora osservabili in sincronia in modo produttivo. Noi, d'altra parte, vorremmo anche render conto in modo<br />

verosimile dell'uso del linguaggio: la nostra ipotesi sembra inglobare le intuizioni della linguistica storica e<br />

fornire anche una descrizione verosimile dell'uso linguistico, in sostanza del fatto che questa regola è ancora<br />

del tutto produttiva, è cioè una regola della fonologia sincronica.<br />

**4.1.3. Metafonesi germanica: il tedesco. Nella flessione del nome (con varie idiosincrasie: più<br />

produttivamente nel maschile e nel neutro) e del verbo, come pure in parte nella morfologia derivazionale<br />

(con assoluta regolarità nella formazione dei diminutivi tramite il suffisso -chen, che cambia anche il genere)<br />

il tedesco presenta modificazioni della vocale tonica quando si aggiunge un morfema contenente una vocale<br />

/e/ (o /i/). Prendiamo esempi dalla flessione del nome maschile e neutro, che sono sufficienti per avere i casi<br />

rilevanti.<br />

Singolare<br />

das Buch /bux/ "libro"<br />

der Fuss /fus/ "piede"<br />

der Sohn /so:n/ "figlio"<br />

der Frosch /frç∫/ "rana"<br />

der Gast /gast/ "ospite"<br />

das Dach /dax/ "tetto"<br />

Plurale<br />

Bücher /byχer/<br />

Füsse /fyse/<br />

Söhne /Sø:ne/<br />

Frösche /frœ∫e/<br />

Gäste /gEste/<br />

Dächer /dECer/<br />

Il fenomeno non è ora pienamente produttivo, ha bisogno di aggiustamenti lessicali (cioè, appresi per<br />

singole parole), ma è sufficientemente automatico nelle sue linee generali: è inoltre completamente<br />

automatico nei diminutivi con -chen.<br />

Il tratto della vocale finale che provoca il mutamento è il tratto [-posteriore]; le vocali toniche col tratto<br />

[+posteriore] diventano infatti [-posteriore]. Possiamo esprimere questo mutamento sincronico, che ha luogo<br />

nella morfologia del tedesco, con una regola molto semplice:<br />

[+sillabico] → [- posteriore] / _____ C° # +sillabico (C)##<br />

/ [+ accento] -poster.


57<br />

Questa regola dice che un segmento sillabico (cioè, in tedesco, qualsiasi vocale) assume il segno - per il<br />

tratto posteriore se è seguita da una vocale [-posteriore] nella sillaba finale (C° indica qualsiasi numero di<br />

consonanti, (C) indica una consonante facoltativa: questo è un modo per indicare una sillaba aperta o chiusa;<br />

ci sono modi più semplici, che richiedono però formalismi un po' diversi). Possiamo formulare la regola in<br />

modo così semplice se lasciamo a principi indipendenti generali e specifici del tedesco il compito di agire e<br />

dare l'esito voluto. Intanto non abbiamo definito l'insieme delle vocali che mutano; possiamo lasciare che la<br />

regola agisca anche se la vocale tonica è già [-posteriore]: in questo caso la regola agirà vacuamente, la<br />

vocale ha già il tratto [-posteriore] e non cambierà per effetto della regola. Possiamo non specificare<br />

ulteriormente la vocale finale che provoca il mutamento: /e/ l'unica vocale [-posteriore] che compare nella<br />

flessione e nella modificazione (diminutivo, ecc.) del nome. Sulle vocali posteriori la regola ha l’unico<br />

effetto di mutare il segno del tratto [posteriore], lasciando invariati tutti gli altri tratti: l'esito è appunto una<br />

vocale [-posteriore, +arrotondato].<br />

input output input output input output<br />

/u/ /y/ /o/ /ø/ /ç/ /œ/<br />

+poster -poster +poster -poster +poster -poster<br />

+alto +alto -alto -alto -alto -alto<br />

(-basso) (-basso) -basso -basso -basso -basso<br />

+ arrot. +arrot. +arrot +arrot +arrot +arrot<br />

(+ATR) (+ATR) +ATR +ATR -ATR -ATR<br />

Il tedesco è infatti una lingua in cui sono presenti sia vocali [+poster.,+arrot.], sia vocali [-poster.,+arrot.].<br />

Si sa dall'osservazione delle lingue che questa non è la situazione non marcata: tutte le lingue hanno<br />

l'arrotondamento che si accompagna alla posteriorità, solo alcune lingue ammettono che l'arrotondamento sia<br />

presente in una configurazione che contiene [-posteriore].<br />

Una teoria basata sui filtri suppone che lo stato iniziale della grammatica universale sia una serie di<br />

configurazioni in ordine decrescente di marcatezza: si deve apprendere, dall'esposizione alla lingua, che un<br />

dato filtro è violato in quella lingua; per chi apprende la lingua, fino a prova contraria, una vocale [-<br />

posteriore] non può essere [+arrotondata]. Un filtro parallelo, ma autonomo, escluderà la configurazione<br />

simmetrica<br />

*[- conson., +posteriore, -arrotondato]<br />

Questa una configurazione è ammessa solo in un insieme marcato di lingue, nelle quali è sempre<br />

ammessa anche la configurazione con i segni concordi.<br />

Si noti che non può bastare un unico filtro che escluda tutti insieme i casi di segno discordante di<br />

posteriorità e arrotondamento, come il seguente:<br />

*[α posteriore, - α arrotondato]<br />

Questo filtro (da leggere "una configurazione che contenga alfa posteriore e non-alfa arrotondato è<br />

esclusa") impedisce che posteriore e arrotondato abbiano tratti discordi: se, durante l'apprendimento, ho<br />

prove per neutralizzare questo specifico filtro, per dire cioè che nel sistema sono ammesse configurazioni in


58<br />

cui i due tratti sono discordanti, dovrei ammettere contemporaneamente sia /y, œ/, [-post, +arrot.], che /^/ e<br />

/µ/, [+post., -arrot.]: questo non corrisponde a quello che si osserva nei sistemi linguistici, le due serie non<br />

vanno insieme: il tedesco ha infatti solo [-posteriore +arrotondato], mentre il rumeno, al contrario, ha solo<br />

[+posteriore -arrotondato].<br />

Infine, i filtri concepiti nel modo che abbiamo detto, hanno un ruolo attivo che agisce nella grammatica<br />

della lingua, come nei casi che abbiamo illustrato, bloccando risultati di processi morfologici che producono<br />

risaultati contrari al filtro, o rimediando a questi risultati in alcuni modi ben precisi, come linearizzando su<br />

due matrici diverse i tratti incompatibili.<br />

Ma non abbiamo parlato della metafonesi di /a/ in tedesco. Se la vocale tonica è /a/ l'esito fonetico finale è<br />

/E/: a quanto pare, la vocale tonica non solo è diventata [-posteriore], ma anche [-bassa]; sembra che<br />

dobbiamo applicare qui la regola in una forma più complessa. Ma possiamo evitarlo se lasciamo ai principi<br />

della fonologia del tedesco il compito di riempire la matrice in modo appropriato. Il tedesco, non ha due<br />

vocali basse, distinte per il tratto [- posteriore] vs. [+posteriore]; quando /a/ acquista la specificazione [-<br />

posteriore], modifica gli altri tratti per dar luogo a una vocale del sistema tedesco: diciamo, semplificando,<br />

che esce una vocale che conserva il tratto [-alto] della /a/ ed elimina il tratto [+basso] per poter realizzare il [-<br />

posteriore]: abbiamo così una /E/, senza che sia necessario specificare i tratti nella regola.<br />

**4.1.4. Metafonesi germanica nella morfologia dell’inglese. Nell'inglese abbiamo resti di questa<br />

regola fossilizzati nel lessico: possiamo accettare l'idea che vadano appresi singolarmente, ma possiamo<br />

tentare di analizzarli e comprenderli come un esempio della stessa regola, il cui contesto è stato cancellato<br />

irrecuperabilmente dal mutamento fonologico. Vorremmo sostenere che, anche se la regola non è produttiva<br />

(appare solo in una lista chiusa di elementi lessicali) tuttavia la relazione della vocale del singolare con<br />

quella del plurale non è la relazione fra due vocali qualsiasi, ma che può essere espressa con il cambiamento<br />

di un unico tratto, da [+posteriore] a [-posteriore]. Gli esempi sono i seguenti:<br />

Singolare<br />

foot /fu:t/ "piede"<br />

tooth /tu:θ/ "dente"<br />

goose /gu:z/ "oca"<br />

mouse /maws/ "topo"<br />

man /mæn/ "uomo"<br />

Plurale<br />

feet /fi:t/ "piedi"<br />

teeth /ti:θ/ "denti"<br />

geese /gi:z/ "oche"<br />

mice /majs/ "topi"<br />

men /mEn/ "uomini"<br />

Il quadro è complicato dalla rotazione vocalica, di cui non possiamo occuparci. Nelle sue linee essenziali<br />

può essere visto nel modo seguente: a differenza che in tedesco, le vocali toniche non solo diventano [-<br />

posteriore], ma perdono anche l'arrotondamento. Inoltre, la vocale finale [-posteriore] che provoca<br />

l'assimilazione, è stata cancellata dal mutamento. La perdita delle vocali finali è il processo che ha reso la<br />

regola di metafonesi non più attiva in sincronia: il contesto non è più recuperabile. Ma la relazione fra vocale<br />

del singolare e vocale del plurale è esprimibile con la stessa regola del tedesco, un mutamento del segno


59<br />

attribuito al tratto [posteriore]: la perdita dell'arrotondamento può essere lasciata inespressa, in quanto verrà<br />

indipendentemente prodotta da un filtro come quello di cui abbiamo parlato sopra, che fa parte del sistema<br />

fonologico dell'inglese. In inglese non esistono vocali [-posteriore, +arrotondato], quindi in questa lingua è<br />

attivo il filtro *[αposteriore, -α arrotondato]; quando la regola agisce mutando nel plurale il segno del tratto<br />

[+posteriore] dando luogo a una vocale [- posteriore], il filtro automaticamente agirà permettendo solo una<br />

vocale che abbia lo stesso tratto anche per [arrotondato], cioè [-arrotondato].<br />

Per /a/ la soluzione è più complessa che per la /a/ del tedesco, in quanto la /a/ inglese è foneticamente [-<br />

posteriore]. Tuttavia, possiamo, almeno intuitivamente, dire che la specificazione [-posteriore] va posta a<br />

livello fonetico, mentre fonologicamente la /a/ inglese è una vocale bassa senza altre specificazioni. Sempre<br />

a questo livello poco formale, possiamo far valere osservazioni sulla pronuncia dell'inglese da parte di<br />

italiani: per rendere la vocale /a/ noi facciamo spesso l'errore di articolare una /E/: questa pronuncia disturba<br />

molto la comprensione di un parlante inglese, che non è affatto disturbato se noi invece pronunciamo una /a/<br />

italiana, trascurando l'articolazione [-posteriore ]. Ciò significa che anche per la /a/ inglese, ciò che è<br />

distintivo è il tratto [+basso]; quando deve realizzare il tratto [-posteriore] con valore distintivo, come è<br />

appunto il caso per la metafonesi, la fonologia dell'inglese produce una /E/. Il discorso non è, alla fine, molto<br />

diverso da quello fatto per la metafonesi di /a/ in tedesco.<br />

4.1.5. Alcune conclusioni riassuntive. La marcatezza di segmenti, o meglio di configurazioni, espressa<br />

con filtri che eliminano le configurazioni impossibili, permette di avere regole molto semplici, lasciando alle<br />

convenzioni valide per le singole lingue il compito di modificare l'esito finale. I filtri ipotizzati devono d'altra<br />

parte avere un ambito universale, la loro validità e la relazione implicativa con altri filtri deve essere<br />

controllata su molte lingue, in relazione all'apprendimento linguistico e alla forma degli "alfabeti" fonologici<br />

delle lingue. In questo campo il lavoro dei tipologi può trovare precisi stimoli e fornire importanti contributi.<br />

Abbiamo visto per la metafonesi che in inglese il contesto della regola, costituito dalla vocale finale è<br />

stata eliminata dal mutamento fonologico, e questo ha prodotto una morte della regola come regola<br />

produttiva nella morfologia. È tuttavia verosimile, a mio parere, che la relazione fra le due forme,<br />

rispettivamente il singolare e il plurale, non risulti, per chi apprende l'inglese da bambino, come una<br />

relazione casuale fra due forme fonologiche qualsiasi: anche se le regole non sono produttive di forme<br />

nuove, la relazione fonologica che il parlante stabilisce fra la vocale del singolare e la vocale del plurale, è<br />

possibile che sia tuttora molto simile alla regola di metafonesi che abbiamo supposto per uno stadio<br />

precedente dell'inglese: la differenza è che la regola interpreta esclusivamente le forme, senza generarne di<br />

nuove. Un’interpretazione di questo tipo esclude che le alternanze singolare plurale con alternanza della<br />

vocale tonica possa essere considerata una forma di apofonia: mentre l’apofonia è una sostituzione fra due<br />

vocali che non hanno relazioni fonologiche, vorremmo sostenere che l’alternanza vocalica nel plurale inglese<br />

conserva traccia di una relazione fonologica fra una vocale [+posteriore] e la corrispondente vocale [-<br />

posteriore], che ha perso per motivi generali indipendenti anche l’arrotondamento.


60<br />

Lo stesso si può dire per la metafonesi dei dialetti meridionali: qui il mutamento diacronico ha reso le<br />

vocali finali indistinte in superficie: in questo caso però la regola è pienamente produttiva, e quindi la vocale<br />

finale deve essere presente con i suoi tratti distintivi nella mente del parlante; sparisce solo in superficie,<br />

dopo aver provocato il mutamento della vocale tonica secondo la regola.<br />

Un caso di mutamento linguistico si ha quando si passa da un sistema che aveva eliminato determinati<br />

filtri ad un sistema più restrittivo, meno marcato: se confrontiamo le sopravvivenze di metafonesi in inglese<br />

con il sistema dell'antico inglese, vediamo che in antico inglese non solo c'era il contesto, ma c'era anche la<br />

possibilita di avere vocali [-posteriore, +arrotondato], come nel tedesco: l'inglese è diventata poi una lingua<br />

meno marcata, in cui è diventato attivo il filtro *[αposterior,-αarrotondato].<br />

Così il mutamento che viene descritto (vedi Fonologia diacronica) per le sonoranti nel passaggio dal<br />

protoindeur. alle lingue indeur. è una serie di conseguenze particolari di un unico mutamento, di nuovo verso<br />

sistemi meno marcati: nel proto-i.e. erano possibili elementi con la configurazione [+conson., +sillabico]<br />

cioè le sonoranti con valore sonante di nucleo sillabico, le lingue derivate sviluppano vocali d'appoggio<br />

perché è attivo in esse il filtro *[+conson. +sillab.]: la violazione di questo filtro viene ‘rimediata’ nelle ligue<br />

indeuropee distribuendo su due matrici i tratti in conflitto; il tratto [sillabico] dà luogo a una vocale (che<br />

infatti è diversa nelle varie lingue), mentre il tratto consonantico resta attribuito alla consonante sonorante<br />

originaria, che è soltanto non più sillabica.<br />

Facciamo notare infine che la metafonesi è un argomento molto importante in favore della teoria<br />

fonologica autosegmentale. Se concepiamo le matrici di tratti fonologici come una successione su un piano,<br />

diventa difficile spiegare in modo semplice e formale come possano le vocali non adiacenti 'vedersi' e<br />

influenzarsi, producendo assimilazione. Una teoria come quella autosegmentale suppone invece che i tratti<br />

siano collocati in piani autonomi: il tratto [+ sillabico] sarà quindi adiacente al successivo tratto [+sillabico],<br />

perché i tratti delle consonanti che si interpongono si troveranno su piani diversi: ne deriva che una vocale,<br />

nella rappresentazione tridimensionale di una parola, si trova ad essere adiacente alla vocale della sillaba<br />

successiva, per cui l'assimilazione è un processo del tutto naturale.<br />

5. La Sillaba<br />

I filtri di cui abbiamo brevemente parlato, oltre che una diversa formulazione delle convenzioni di<br />

marcatezza, ritraducono anche alcune di quelle che tradizionalmente venivano dette "restrizioni segmentali",<br />

restrizioni sui segmenti ammessi come possibili in una data lingua. Quelle che invece sono dette "restrizioni<br />

sequenziali" o fonotattiche, restrizioni sulle compatibilità fra segmenti vicini e gruppi di segmenti, possono<br />

essere meglio espresse con una teoria della sillaba. Anzi, parlare di 'restrizioni sequenziali' sembra suggerire<br />

che si tratta di incompatibilità che si verificano nella sequenza lineare, il che non è vero descrittivamente,<br />

come vedremo subito.<br />

Anche per la sillaba si osservano condizioni universali di marcatezza. Ogni lingua ha come sillaba<br />

possibile la sillaba costituita da una consonante sorda seguita da una vocale: questa è la forma meno marcata


61<br />

di sillaba, la forma che qualsiasi lingua deve ammettere. Una possibilità ulteriore consiste nell'avere una<br />

sillaba costituita da una sola vocale. La vocale è la componente centrale della sillaba; poiché non esistono<br />

lingue senza consonanti (sorde), ne deriva che CV deve essere in ogni caso una sillaba possibile.<br />

Le restrizioni sui componenti possibili della sillaba, qualunque sia il modello formale con cui vogliamo<br />

esprimerle, partono da una osservazione fondamentale: le relazioni fra suoni in una sequenza linguistica non<br />

vanno considerate in base alla successione e alla vicinanza lineare; i suoni sono organizzati in unità, più<br />

piccole della parola, ed entro queste unità sono legati da rapporti esprimibili con una struttura gerarchica.<br />

Una sequenza /*rteno/ è chiaramente impossibile in italiano, si sarebbe tentati di dire ‘perche la sequenza<br />

/*rt/ è impossibile’, mentre è possibile /tr/, e infatti /treno/ è perfetta. Ma la sequenza /rt/ non è di per sé<br />

agrammaticale in italiano; è agrammaticale se questa sequenza costituisce l'inizio di una sillaba. La posizione<br />

di un elemento consonantico (o più generalmente [-sillabico]) nella sillaba si stabilisce localizzando il nucleo<br />

vocalico a cui 'si appoggia' (che non sempre, come si vedrà, è quello più vicino nella sequenza lineare). In<br />

italiano, la sequenza /rt/ è possibile solo se si distribuisce su due sillabe, quindi deve appoggiarsi a due nuclei<br />

vocalici, uno che segue e uno che precede la sequenza, per esempio in /ar-te/; in inglese, è sufficiente un solo<br />

nucleo vocalico, che necessariamente deve precedere, come in /art/, perché l'inglese ammette sillabe con una<br />

coda complessa di questo tipo in posizione finale; la sequenza /rt/ iniziale di sillaba, in una posizione in cui<br />

l'unico nucleo vocalico disponibile è un nucleo alla destra della sequenza, è impossibile in qualsiasi lingua, a<br />

meno che non si tratti di una lingua con /r/ sillabica (o sonante): in questo caso la /r/ dovrà necessariamente<br />

essere sillabica. La restrizione universale che descrive questi effetti si definisce come scala di sonorità:<br />

torneremo subito su questo argomento.<br />

La sillaba va dunque concepita come una unità di raggruppamento dei suoni, che si organizzano non<br />

linearmente ma con relazioni esprimibili con una struttura binaria: la componente indispensabile è il nucleo<br />

(N) (la vocale), preceduto facoltativamente da un elemento non sillabico (consonante o semivocale), detto<br />

onset (O) (in italiano anche attacco o inizio):<br />

σ<br />

/\<br />

/ \<br />

O N<br />

| |<br />

/p a/<br />

Questa è la struttura elementare della sillaba: l'onset può essere costituito da qualunque elemento non<br />

sillabico (costruendo sillabe ben formate come ta, pe, ra, wo, je, ecc.). Spesso troviamo lingue che, come<br />

l'italiano, ammettono sillabe più complesse: il nucleo appare allora un ramo di una struttura binaria, detta<br />

rima (R), che comprende il Nucleo e una Coda (C) facoltativa, costituita da un segmento non sillabico<br />

(consonante o semivocale). Sillabe come /par/, /sEj/, /ma:/, avranno la seguente rappresentazione strutturale<br />

(sarà questa quella da utilizzare per la sillabazione):


62<br />

σ<br />

/ \<br />

/ \<br />

O R<br />

| / \<br />

| N (C)<br />

| | |<br />

/p a r/<br />

/s e j/<br />

/m a :/<br />

La coda può essere dunque costituita sia da un elemento non sillabico sia da una parte della durata della<br />

vocale del nucleo, quando questa è una vocale lunga (con lunghezza fonologica, come in latino classico, o in<br />

friulano).<br />

Anche l'onset può essere complesso, come vedremo subito, ma le conseguenze fonologicamente rilevanti<br />

derivano dalla complessità della coda, che determina il 'peso' di una sillaba. L'onset può inoltre<br />

facoltativamente mancare, mentre il nucleo non può mancare. Tuttavia, una sillaba senza onset è instabile. In<br />

posizione iniziale, se è atona, tende in varie lingue a sparire; in posizione interna tende ad essere assorbita<br />

dalle sillabe vicine (cfr. nella grammatica storica romanza il cambiamento di struttura di parole come lat. /fi-<br />

'li-o-lus/ > it. figliolo /fi'λwçlo/, in cui le due sillabe /li-o/ si sono fuse in /ljo/, con la successiva<br />

palatalizzazione di /lj/; /fa’se-o-lus/ > fagiolo /fa-'dζç-lo/ o /fa-'ζwç-lo/<br />

(/se-o/ passa a /zjo/ e si ha<br />

successsivamente una palatalizzazione); cfr. anche le pronunce correnti sbagliate /u'kraj-na/ invece di /u-kra-<br />

'i-na/, in cui la sillaba accentata è senza onset; o /'gwaj-na/ invece di /gwa-'i-na/, /'friw-li/ invece del corretto<br />

/fri-'u-li/, sembrano tutte da ricondurre alla tendenza ad evitare una sillaba senza onset (preferendo sillabe<br />

con coda).<br />

Una prova della realtà della rima come costituente della sillaba è data proprio dalla rima in poesia. Due<br />

parole rimano se sono identiche a partire dalla rima della sillaba tonica: spon-de rima con on-de e con fecon-de:<br />

le tre parole sono identiche a partire dal nucleo vocalico della sillaba tonica, quindi della sillaba<br />

tonica conta solo il costituente rima. (Il concetto di costituente, sottoparte propria di una struttura, è lo stesso<br />

che troviamo in sintassi). Inoltre il 'peso' di una sillaba, che determina per es. in latino la posizione<br />

dell'accento, dipende dalla complessità sillabica della rima, cioè dalla presenza di una coda; la distinzione di<br />

sillaba aperta o sillaba chiusa, che regola in italiano la dittongazione di /ε/ /ç/ latine, si basa sulla struttura<br />

della rima. Tutti questi fenomeni non 'vedono' l'onset, non sono sensibili alla sua maggiore o minore<br />

complessità.<br />

Sillabe come /trat/, o /gwaj/, avranno questa struttura:


63<br />

σ<br />

/ \<br />

/ \<br />

O R<br />

/ \ / \<br />

| | N C<br />

| | | |<br />

/t r a t/<br />

/g w a j/<br />

Una restrizione universale, detta scala di sonorità, regola le possibili posizioni nella sillaba dei segmenti<br />

fonologici: essa dice che la quantità di sonorità dei segmenti che fanno parte di una sillaba deve decrescere a<br />

partire dalla periferia verso il centro, che è costituito dal nucleo. Il nucleo ha il massimo di sonorità, e questa<br />

decresce verso la periferia destra e sinistra in modo uniforme. /trat/ è quindi una sillaba possibile, mentre<br />

/*rtat/ non lo è: partendo da r e andando verso il centro la sonorità decresce, perché /t/ è meno sonoro di /r/.<br />

La vocale rappresenta la massima sonorità, e all'interno delle vocali /a/ è la più sonora. Le sonoranti e le<br />

semivocali vengono subito dopo, in questa scala universale di sonorità (le sonoranti, infatti, in alcune lingue<br />

possono svolgere il ruolo di nucleo sillabico); seguono poi le continue in genere e alla fine le occlusive. In<br />

una sillaba complessa quindi le occlusive possono trovarsi solo ai confini destro e sinistro; l'eccezione più<br />

diffusa è costituita però dalle stridule, in particolare da /s, z/, che possono aggiungersi esternamente all'onset<br />

di una sillaba precedendo anche un'occlusiva sorda: questa possibilità è marcata, e solo alcune lingue la<br />

ammettono come violazione della scala di sonorità (vedi il paragrafo seguente per una riflessione<br />

sull’italiano in rapporto a altre lingue romanze).<br />

Un altro principio descrittivo riguardante la sillaba, che sembra universale, è quello detto del Massimo<br />

Onset (o Massimo Inizio): esso stabilisce che quando, all'interno di parola, un segmento può essere sia coda<br />

della sillaba precedente che onset della sillaba seguente, allora va attribuito all'onset. Questo principio<br />

sembra anche essere in qualche modo connesso con il fatto che le code sono più rilevanti degli onset, hanno<br />

più importanti effetti fonologici.<br />

Nella parola italiana /'kane/, la sonorante /n/ potrebbe, in teoria, essere la coda di /ka/ come in /kan-to/,<br />

ma poiché può essere l'onset di /e/ sarà da attribuire alla sillaba seguente (/ka-ne/); così in /metro/, potremmo<br />

ipotizzare di attribuire /t/ alla coda della prima sillaba, ottenendo così due sillabe /met-ro/, che sono due<br />

sillabe ben formate (cfr. /met-ti/, /ne-ro/). Ma poiché posso attribuire /t/ all’onset della sillaba che segue<br />

ottenendo -tro (cfr. tro-vo), dovrò scegliere questa seconda soluzione, che massimizza l’onset (Questo caso<br />

era trattato nella metrica latina come ‘muta cum liquida’).<br />

Si noti che una consonante lunga, costituita da due unità temporali, si distribuisce per metà della sua<br />

durata nella coda della sillaba che la precede, e per metà nell’onset della sillaba che la segue.


64<br />

5.1. Particolarità sillabiche di /s/<br />

Le lingue possono variare per quanto riguarda la possibile ricchezza della struttura sillabica: alcune lingue<br />

ammettono solo onset e nucleo e hanno possibilità ristrettissime per la coda (per.es. il giapponese), altre<br />

hanno onset complessi e rime con coda; le violazioni alla scala di sonorità sono molto limitate, forse possibili<br />

solo con le coronali stridule /s, z, ∫, ζ/ (o con tutte le stridule, incluse quindi /f, v/.<br />

Comparando le restrizioni sequenziali di spagnolo e italiano, si osserva che in spagnolo /sC/ (cioè,<br />

s+consonante) non può far parte dell'onset e viene separato in due sillabe; se è in posizione iniziale si crea un<br />

appoggio vocalico. In italiano invece /sC/ è possibile; in francese c'è stato un mutamento in questo punto:<br />

anticamente si aveva come in spagnolo un appoggio vocalico, inoltre s veniva cancellata in questo contesto:<br />

abbiamo stare, stella it., estar, estrella spagn., été(


65<br />

segue cominci con s+C, è la stessa s, che non è stabilmente attaccata all’onset successivo, ad usufruire della<br />

posizione temporale vuota per essere sillabificata in modo ben formato.<br />

3) Un altro indizio è dato dalla forma dell'articolo, sia indeterminato che determinativo, che<br />

davanti a s+C deve apparire come un allomorfo terminante in vocale, come davanti a parole che iniziano con<br />

le consonanti affricate o complesse: abbiamo infatti lo/uno stupido, lo/uno gnocco, lo/uno zoppo. Questo non<br />

succede con tutti i nessi consonantici (cfr. il treno, il premio, ecc.). La vocale finale dell'articolo /lo, uno/<br />

sembra avere lo scopo di fornire un nucleo vocalico a cui si appoggia come Coda parte della consonante che<br />

segue, proveniente da consonanti complesse: /ps/, /¯/, /ts/, /dz/ sono ammesse all’inizio di parola ma sono<br />

non del tutto ben formate (come ps, pn) oppure hanno un peso eccessivo (che si rivela nel fatto che sono<br />

lunghe in posizione interna). L’articolo il e il dimostrativo quel (anche l'aggettivo bel, ecc.) appaiono in una<br />

forma che termina con un nucleo sillabico; su questo nucleo si può scaricare il peso delle consonanti<br />

complesse. Se la stessa forma dell’articolo appare anche davanti a s+C, (lo, bello, buono, quello stato; e non<br />

*il / quel/ bel/ buon stato significa che anche in questo caso la s ha bisogno di un nucleo vocalico a cui attaccarsi<br />

come coda, sillabificandosi correttamente, mostrando così di non far parte stabilmente dell’onset che<br />

segue.<br />

4) Infine, un argomento per lo statuto speciale di /s/ rispetto al nucleo viene dalla fonologia<br />

diacronica. Si vedrà (a proposito dell'analogia morfologica che ostacola l'applicazione di regole fonologiche)<br />

che esiste nell'italiano una regola di dittongazione di /E, ç/ accentate in sillaba aperta, che ha portato tutte le<br />

e, o brevi del latino, passate ad /E, ç/ aperte nel proto-romanzo, a un dittongo /'jE, 'wç/ se sono in sillaba<br />

aperta tonica: abbiamo quindi /'pjEde/, /'fwçko/ ma /'pErdo/, /'tçrto/: la /'E/ di perdo non è diventata /jE/, e la<br />

/'ç/ di torto non è diventata /'wç/ perché la sillaba è chiusa da una consonante. Se la /s/ potesse essere<br />

sillabificata con la consonante seguente, la sillaba della vocale tonica di parole come fèsta, pèsca, òste, tòsto<br />

dovrebbe essere una sillaba aperta, e dovremmo avere un dittongo, quindi */'fjEsta/ */'pjEska/ */'wçste/<br />

*/'twçsto/, forme che invece non sono mai attestate nell'italiano: e breve e o breve latine non dittongano mai<br />

se si trovano davanti a s+Cons., in italiano. Questo dice che la s davanti a consonante è coda della sillaba<br />

precedente, che quindi è una sillaba chiusa: per questo non è ammessa la dittongazione di /E/ /ç/ in questo<br />

contesto.<br />

Possiamo concludere queste osservazioni dicendo che s+C in italiano ha evidentemente uno statuto<br />

diverso che in spagnolo, dato che l'italiano, a differenza dello spagnolo, ammette di aggiungere /s/ all'onset<br />

formando una sillaba marcata in alcuni casi (iniziale assoluta). Ma questo è ammesso solo come ultima<br />

risorsa: la /s/ aggiunta all'onset ha sempre uno statuto instabile e, appena possibile (per esempio, usando un<br />

allomorfo dell'articolo), la sillaba assume la forma non marcata assegnando la /s/ alla coda di un nucleo<br />

sillabico precedente. Si può osservare che questo spiega il fatto che questo punto dell’ortografia italiana sia<br />

problematico, sia nei bambini che negli adulti: dividere in sillabe s+C presenta sempre una certa difficoltà:


66<br />

ma diremmo che la regola ortografica dell’italiano che impone di unire s alla consonante che segue abbia un<br />

suo fondamento: infatti, in iniziale assoluta s+C è ammessa, e questa è la base della sillabificazione italiana,<br />

che si conforma anche al principio osservativo del Massimo inizio.<br />

Lo statuto speciale di /s / nella sillabificazione si può del resto osservare anche nell'inglese, che<br />

nell'ortografia sillabifica s+C attribuendo s alla coda della sillaba precedente e ammette –s in fine di parola (e<br />

quindi di sillaba). L’inglese però ammette s+C in posizione iniziale assoluta (quindi iniziale di sillaba).<br />

Dobbiamo citare una regola dell’inglese che inserisce un’aspirazione dopo le consonanti occlusive sorde ([-<br />

sonorante, - continuo, - sonoro]: /p, t, k/) in posizione iniziale di sillaba accentata, come negli esempi<br />

seguenti, con trascrizione semplificata delle vocali.:<br />

cause /k h oz/; because /bi'k h oz/; pose /'p h oz/; impose /im'p h oz/; propose /pro'p h oz/<br />

Se s+C in posizione interna fosse comunque da sillabificare con s come coda della sillaba precedente, la<br />

consonante che segue /s/ dovrebbe essere un onset; come tale, se si tratta di una occlusiva sorda seguita da<br />

vocale tonica, dovrebbe essere aspirata come in tutti gli altri casi.<br />

Dovremmo quindi avere spite /spajt/ ma despite */dIs'p h ajt/. Invece non è così:la pronuncia è /dI'spajt/.<br />

Appare chiaro che in posizione interna s+C si appoggia alla consonante seguente, cosicché la consonante<br />

seguente non si comporta come le altre consonanti in posizione iniziale di sillaba e non viene aspirata nei<br />

contesti previsti. Anche l’inglese ha per s+C un comportamento ambiguo, simile all’italiano; s+C sembra<br />

non essere né perfettamente attacco sillabico né perfettamente coda.<br />

E' interessante che in inglese la possibilità di aggiungere –s alla sillaba successiva che inizia per<br />

consonante si osserva anche fra parole. In casi come il seguente ci aspetteremmo un contrasto che invece non<br />

si osserva:<br />

this peach "questa pesca" dovrebbe essere pronunciato */ðIs 'p h it∫/ mentre la pronuncia è senza<br />

aspirazione, cioè /ðIs 'pit∫/ esattamente come in the speech /ð∂ 'spit∫/.<br />

Quindi, in inglese, non solo /s/ viene sillabificata alla fine, ma ha una preferenza per la posizione di<br />

aggiunzione all'attacco sillabico, anche quando per farlo deve attraversare il confine di morfema.<br />

In conclusione, gli indizi sono contradditori: in italiano, il nucleo sillabico di una sillaba seguita da<br />

s+Cons non ha le caratteristiche di una vocale in sillaba aperta; in inglese la consonante preceduta da /s/ non<br />

si comporta come una consonante iniziale di sillaba. La tradizione ortografica dell'italiano però interpreta la<br />

/s/ seguita da consonante come attacco sillabico, la tradizione ortografica dell'inglese, che divide le sillabe<br />

mettendo la /s/ alla fine della sillaba, la interpreta come se fosse coda.<br />

Possiamo ricavare da questo complesso di fatti un suggerimento per interpretare fatti morfologici in<br />

diacronia: -s è un morfema molto 'popolare', sia per le lingue romanze che per le lingue germaniche; si è<br />

generalizzato per indicare il plurale in molte lingue di queste famiglie, scalzando i morfemi etimologici, si<br />

osserva attualmente in tedesco, dove è usato per formare i plurali dei neologismi, ecc.<br />

Questo perché -s può essere liberamente aggiunto, attendendo di essere sillabificato in qualche modo alla<br />

fine.


67<br />

**5.2 Interazione fra struttura sillabica e tratti: la palatalizzazione<br />

Con il termine tradizionale di palatalizzazione si intende in generale lo spostamento verso la parte<br />

centrale del palato: poiché questa parte è anche la più alta, il fenomeno può essere visto sia come uno<br />

spostamento verso la parte centrale del palato, che coinvolge quindi il tratto [-posteriore], oppure come uno<br />

spostamento verso l'alto, con interessamento dell'insieme di tratti [- posteriore, +alto]. Una consonante (o una<br />

vocale) palatale deve contenere nella sua configurazione di tratti il sottoinsieme [-anteriore, -posteriore,<br />

+alto]. Per le coronali, che contengono tutte il tratto [-posteriore] (a meno che, ovviamente, non siano già<br />

palatalizzate) la palatalizzazione è provocata da un segmento che contiene i tratti [+alto, - anteriore, -<br />

posteriore]: cioè dall'insieme /i, I, j/. In italiano inoltre devono condividere lo stesso onset, cioè essere<br />

semivocali.<br />

Oltre alle coronali, anche le velari sono consonanti che in molte lingue sono sottoposte a processi di<br />

palatalizzazione; la palatalizzazione delle velari (/k/, /g/, che sono [+posteriore, +alto]) è provocata da<br />

elementi [-posteriore], cioè /i, I, j, e, E/, quindi da un insieme più ampio di vocali o semivocali; questo tipo di<br />

palatalizzazione è ampiamente attestato nel passaggio dal latino alle lingue romanze (tranne il sardo), dove le<br />

velari davanti a /e, i, E, I, j/ hanno dato come risultato un segmento palatale che possiamo supporre fosse /c/<br />

sordo e /j / sonoro; da questo stadio iniziale comune si sono avute poi diverse realizzazioni: /tS/, /ts/, /s/, /S/, e<br />

le corrispondenti sonore. Questa variazione può essere utilmente osservata nei dialetti, come pure in un altro<br />

insieme di lingue ricco di palatali, cioè le lingue slave (nelle quali anche /r/ viene palatalizzata con le<br />

coronali).<br />

Questa casistica diversa nella palatalizzazione delle velari rispetto a quella delle coronali, osservata da<br />

tempo dai ricercatori nelle lingue del mondo, viene ben rappresentata utilizzando i tratti fonologici, che<br />

permettono di esprimere in modo formale le caratteristiche articolatorie e di evidenziare quindi la semplicità<br />

sottostante ai processi fonetici, assimilatori e dissimilatori.<br />

Il risultato della palatalizzazione delle velari e delle coronali (comprendendo qui anche nasali e /l/) è<br />

quindi un'assimilazione a un segmento adiacente, in particolare vocalico. L'assimilazione trasforma il<br />

segmento (sia esso velare o coronale) in un segmento che contiene nella sua matrice la configurazione [-<br />

posteriore, -anteriore, +alto]; per una velare, sarà sufficiente, come si è visto, un elemento [- posteriore] per<br />

avere palatalizzazione (in quanto la velare contiene già i tratti [-anteriore, + alto], per una coronale invece è<br />

necessario un elemento [-posteriore, + alto]: la classe dei segmenti che provocano palatalizzazione delle<br />

coronali è quindi più ristretta della classe degli elementi che provocano palatalizzazione delle velari.<br />

La palatalizzazione come tale è un processo naturale di semplificazione (i tratti della consonante<br />

diventano, in parte, uguali a quelli del segmento adiacente) ma il suo risultato non è semplice: il segmento<br />

palatalizzato può risultare articolatoriamente complicato, si deve supporre: si osserva quindi che il segmento<br />

palatalizzato (c, j, λ, ¯, ) spesso nelle lingue distribuisce i suoi tratti su due matrici: con il modello<br />

autosegmentale questo processo è abbastanza semplice da configurare. Si può osservarlo innanzitutto nei<br />

prestiti: lingue che mancano nel loro inventario di segmenti palatalizzati, li ritraducono con segmenti<br />

complessi: l'inglese ha preso dal francese parole con ¯, e ha ritradotto questo segmento in una sequenza di<br />

/jn/ (cfr. fr. montagne ingl. mountain, fr. gagne ingl. gain) dove /j/ esprime l'articolazione palatale. I parlanti<br />

inglesi hanno spesso difficoltà a pronunciare questi segmenti, e rendono ad esempio l'italiano campagna con<br />

/kampanja/, ma questo fenomeno è molto rappresentato anche nei parlanti settentrionali non accurati che<br />

rendono l'italiano /S/ con /sj/ come in /sjentsa/ o /sjok:o/, e articolano una j dopo la /λ/ ad es. in /paλia/<br />

(paglia).<br />

È inoltre comune che la palatalizzazione nel mutamento si perda completamente: questo si osserva in<br />

molti dialetti, ma innanzitutto nel francese e nello spagnolo, proprio negli esiti di /ki, ke, gi, ge/ latini, che<br />

arrivano in francese a /s/ per le sorde (ma /ζ/ per le sonore) a interdentali (o /s/) in spagnolo (ma per la<br />

sonora anche qui l'esito è diverso). Sono fenomeni molto complessi e molto significativi per studiare le<br />

restrizioni fra tratti compresenti in una matrice.<br />

Quindi, quando si parla di processi di semplificazione nel mutamento linguistico bisogna aver ben<br />

chiaro che si tratta di processi molto complessi, cioè che quella che è una semplificazione ad un certo livello<br />

(assimilazione articolatoria) può dar luogo ad articolazioni marcate (ad es. /c, j/) che richiedono ulteriori<br />

semplificazioni: i tratti si distribuiscono su due matrici dando luogo ad affricate (ad es. /tS, dζ/), che restano<br />

collegate a un solo segmento superficiale, e possono venire ulteriormente semplificate (per es. /tS/ --> /S/ --><br />

/s/, oppure /tS/ --> /ts/ --> /s/).


Anche /p, b/ possono subire palatalizzazione: si tratta di un caso marcato, come è evidente se si<br />

considera che non contengono nessuno dei tratti propri dei segmenti palatalizzati: sono infatti [-poster., -<br />

coronale, - alto]. Anche queste palatalizzazioni avvengono solo in presenza di /j/, quando /j/ condivide con la<br />

consonante che lo precede la posizione di attacco della sillaba.<br />

Un caso facilmente accessibile è presente nei dialetti meridionali, come esito dal latino o protoromanzo:<br />

lat. habeo → *abjo → it. merid. /adζo/ (aggio)<br />

(l'italiano corrispondente è ho, che presuppone una evoluzione diversa, forse analogica sui verbi atematici<br />

come do, sto,so:<br />

habeo → ao→ ò);<br />

lat. sapjo → it. merid. /satSo/ (saccio) (l'it. ha, di nuovo come sopra, so < sao: cfr. i placiti di Capua, il<br />

più antico testo italiano: sao ko kelle terre….”So che quelle terre….”).<br />

Sulla base di queste osservazioni, si può ricostruire, su basi puramente linguistiche e deduttive, la<br />

storia del termine piccione, una variante di colombo. L'origine è il ← lat. pipjo pipjonem, una parola in<br />

origine onomatopeica, che imitava cioè il verso dell'animale designato; l'esito della palatalizzazione di pj ci<br />

dice che il processo è avvenuto in una varietà di italiano meridionale, e che quindi la parola è entrata in<br />

italiano come prestito da una varietà meridionale.<br />

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