Dispensa, A.A. 2005/2006: Parte seconda - Storia e tutela dei beni ...
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<strong>Parte</strong> terza – Teoria musicale<br />
Problemi di una teoria musicale generale<br />
Il titolo del paragrafo rimanda a difficoltà di tipo teorico. In realtà, il problema non è tanto<br />
quello di esporre o ri-esporre una teoria. Ne esistono per tutti i gusti ed in particolare la teoria<br />
musicale occidentale è un complesso di nozioni abbastanza precise e ampiamente riconosciute, alla<br />
quale sono stati dedicati numerosi libri di testo facilmente accessibili. 1<br />
Dove sta dunque il problema Deriva in parte dalle considerazioni esposte nella prima parte,<br />
vale a dire dal fatto che l’ascoltatore occidentale è esposto ad una molteplicità di esperienze, sia in<br />
senso orizzontale (musiche prodotte nel nostro tempo in culture differenti e culturalmente aliene), sia<br />
in senso verticale (musiche prodotte in tempi remoti che oggi ascoltiamo in un contesto funzionale<br />
mutato). Inoltre, i due fattori appena accennati possono essere combinati fra loro (per esempio,<br />
musiche di un passato remoto e appartenenti a una cultura esotica). Servirebbe allora, per soddisfare<br />
ogni bisogno, una teoria della musica sufficientemente generale da comprendere tutte queste<br />
manifestazioni. L’impresa è stata tentata nel senso di individuare degli aspetti o concetti musicali<br />
universali, che abbiano cioè validità indipendentemente dai contesti storici o culturali. Come c’era<br />
però da aspettarsi questi concetti, proprio per il fatto di dover essere generalissimi, finiscono per<br />
essere poco utili quando si deve dar conto di manifestazioni musicali specifiche. Per fare un esempio,<br />
se è vero che i concetti relativi di ‘acuto’ e ‘grave’ sono comuni ad ogni cultura musicale (e dunque<br />
costituiscono un ‘universale’), questo però ci aiuta poco ad apprezzare il fatto che in un<br />
contrappunto classico europeo viene messo a frutto dal compositore non già un generico ‘acuto’ o<br />
‘grave’ ma quattro distinte tessiture (corrispondenti convenzionalmente alle voci di soprano,<br />
contralto, tenore e basso), con precise conseguenze nell’organizzazione e dunque nello stile di un<br />
brano. L’esempio rimanda anche al fatto che la teoria fa sempre riferimento in modo più o meno<br />
diretto a casi musicali particolari collocati in tempi e contesti culturali precisi (e questo sebbene non<br />
di rado i teorici pretendano di individuare valori assoluti e prescrittivi). Anche certe associazioni che<br />
parrebbero ovvie e dunque ‘universali’ (per esempio quella del suono ‘acuto’ con l’elemento<br />
femminile) non lo sono necessariamente, come prova l’impiego <strong>dei</strong> falsettisti e (in tempi lontani) <strong>dei</strong><br />
castrati per parti maschili nella musica teatrale occidentale.<br />
Dunque, mentre una ‘teoria generale della musica’ non è impossibile ma è poco utile (perché<br />
non ci fornisce la chiavi del senso ‘specifico’ di ciascuna cultura musicale), non possiamo d’altra<br />
parte ambire (almeno in questa sede) ad una conoscenza enciclopedica di tutte le teorie musicali che<br />
1 Uno <strong>dei</strong> più noti è O. Kàroly, Grammatica della musica, Torino, Einaudi.<br />
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presiedono alla musiche di cui facciamo esperienza. Siamo dunque costretti ad un compromesso, che<br />
dovrà essere per quanto possibile ‘onorevole’. Pare logico muovere i nostri passi dalla teoria<br />
musicale a noi storicamente più vicina, dunque quella occidentale moderna, che rivisiteremo però<br />
cercando di evitarne alcune strettoie, come il fatto che la maggior parte delle formulazioni è diretta a<br />
musicisti che se ne servono per leggere la musica, suonarla o comporla, mentre chi userà questo<br />
testo ha bisogno piuttosto di apprezzare la teoria in quanto ascoltatore competente. Non si tratterà<br />
solo di ‘addomesticare’ gli aspetti meno accattivanti ma soprattutto di fornire le premesse che<br />
rendono chiare certe apparenti astrusità esplicitando concetti che il musicista professionista dà per<br />
scontati (o semplicemente tralascia).<br />
La teoria della musica occidentale, nelle formulazioni del XVII e del XIX secolo che noi<br />
seguiremo nei limiti dell’utilità, è una chiave di accesso potentissima alla comprensione della musica<br />
ma ha un valore limitato. Al più, ci rivela in che termini potesse concepire e giudicare la<br />
composizione un artista come Mozart, Rossini o Brahms, ma è impropria se applicata<br />
pedissequamente al Medioevo o alla musica colta contemporanea, per non parlare di ambiti culturali<br />
alieni (la musica popolare, il Jazz, il Rock etc. ). Tuttavia si tratta di un punto di partenza utilissimo<br />
anche quando viene relativizzato.<br />
Una premessa su melodia, armonia, ritmo, timbro<br />
Se si intende esaminare un costrutto musicale di media complessità, per esempio una<br />
canzone, ci si rende ben presto conto che una completa conoscenza implica che si possa<br />
comprendere la relazione di ogni suo elemento costitutivo con ogni altro, il che non è un’operazione<br />
banale rispetto a un oggetto che si manifesta fuggevolmente nel tempo. La teoria musicale moderna<br />
ha preso coscienza <strong>dei</strong> parametri principali della musica identificandoli in: melodia (l’ordine <strong>dei</strong><br />
suoni in quanto successivi nel tempo), armonia (l’ordine <strong>dei</strong> suoni in quanto prodotti<br />
contemporaneamente e le relative concatenazioni reciproche), ritmo (l’ordine <strong>dei</strong> suoni in rapporto<br />
alla loro diversa accentazione) e timbro (qualità <strong>dei</strong> suoni derivante dalle caratteristiche del corpo<br />
vibrante o dall'inflessione individuale ad esso comunicata dal musicista). Questa suddivisione è<br />
necessaria ed utile anche se tende ovviamente ad oscurare i rapporti ‘trasversali’ fra i parametri<br />
musicali (ritmo/timbro, melodia/armonia etc.). Aggiungo che l'intensità, considerata generalmente<br />
(ma erroneamente) un parametro collaterale o accessorio, non solo è stata sottovalutata per i<br />
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epertori del passato, 2 ma ha assunto un'importanza del tutto comparabile a quella degli altri<br />
parametri citati nella musica contemporanea e principalmente elettroacustica.<br />
In ogni caso, nell’esposizione delle teoria musicale occidentale si segue con profitto una tale<br />
segmentazione che, in parte almeno, corrisponde ad una progressione dal semplice al complesso.<br />
2 Alludo in particolare all'importanza assegnata alla dinamica nelle fonti notate del repertorio monodico liturgico<br />
medievale ed anche al recentissimo studio di Cliff Eisen sull'esecuzione da parte di W.A. Mozart <strong>dei</strong> Quartetti op. 17<br />
di F.J. Haydn (comunicazione non ancora pubblicata presentata al convegno Il giovane Mozart, Salisburgo <strong>2005</strong>).<br />
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La prima scala-tipo occidentale moderna (scala di Do maggiore)<br />
La musica può essere descritta in senso formale come una serie di eventi sonori disposti nel<br />
tempo. Questa è una definizione generalissima, adatta tanto ad un quartetto di Beethoven quanto ad<br />
un brano di musica aleatoria o di musica sintetizzata con il computer. La maggior parte della musica<br />
che ascoltiamo, dai repertori classici alla popular music, tuttavia, potrebbe utilizzare una definizione<br />
più restrittiva: la musica è costituita da una serie di eventi sonori disposti nel tempo e selezionati da<br />
serie predefinite.<br />
La ‘serie predefinita’ elementare del sistema musicale occidentale si chiama ‘scala maggiore’<br />
ed è costituita da sette suoni diversi per numero di vibrazioni (= frequenza) ai quali diamo per<br />
convenzione i ben noti nomi di Do, Re, Mi, Fa, Sol, La, Si etc. Come in una tastiera di pianoforte, la<br />
scala-tipo si può prolungare indefinitamente verso l’alto o verso il basso, almeno fino ai limiti<br />
dell’udibilità.<br />
Una <strong>seconda</strong> scala-tipo, la ‘scala minore’ è altrettanto importante, ma ne discuteremo più<br />
avanti alla luce di più approfondite conoscenze sulle scale in generale.<br />
Il termine ‘scala’, e l’immagine a cui rimanda, è efficace in quanto allude a gradini fissati una<br />
volta per tutte (e corrispondenti alla serie predefinita di suoni della nostra definizione). Però è anche<br />
un’immagine imprecisa perché i suoni della scala maggiore non si trovano fra loro a distanze uguali<br />
(come i gradini di una vera scala) ma si presentano a distanze diverse, una circostanza alla quale<br />
l’ascoltatore inesperto può non far caso, ma che è essenziale per capire il senso della scala stessa in<br />
quanto costrutto-modello.<br />
Dunque i gradini di una scala (che in musica si dicono ‘gradi’) sono diversamente distanti fra<br />
loro: la distanza fra un suono e l’altro si dice ‘intervallo’ e rimanda ad un dato fisico, vale a dire al<br />
rapporto fra il numero di vibrazioni <strong>dei</strong> due suoni considerati. I tipi di intervallo utilizzati fra i suoni<br />
contigui di una scala maggiore moderna sono solo due: ‘tono’ e ‘semitono’.<br />
Il tono è un intervallo nel quale il suono più acuto ha 9/8 delle vibrazioni del suono più<br />
grave. Il semitono è un intervallo nel quale il suono più acuto ha 16/15 delle vibrazioni del suono più<br />
grave. Questi rapporti non sono arbitrari ma derivano almeno in parte dai fenomeni naturali di<br />
vibrazione <strong>dei</strong> corpi; in ogni caso non è importante indagarne l’origine in questo momento.<br />
Bisognerà invece riflettere su quale sia il significato o l’utilità della diversità fra gli intervalli che<br />
compongono la scala-tipo. Da un punto di vista astratto infatti, potrebbe apparire più logico o<br />
razionale che una scala fosse composta di intervalli uguali fra loro. Una tale scala però (scala che è<br />
pure possibile costruire e sfruttare a fini musicali, come vedremo) presenta un problema primario<br />
cioè l’essere indifferenziata al suo interno. Viceversa, le differenze (fra intervalli di tono e di<br />
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semitono) rendono una scala al tempo stesso caratteristica e identificabile (ossia facile da ricordare e<br />
distinguere).<br />
E’ interessante osservare che tanto la scala (in quanto serie ascendente ovvero discendente di<br />
intervalli), quanto la differenziazione fra gli intervalli entro una scala, sono elementi comuni a<br />
diverse culture musicali sviluppatesi indipendentemente l’una dall’altra, segno evidente dell’utilità del<br />
modello scalare per la formazione di costrutti musicali. (Ovviamente, nelle differenti culture possono<br />
cambiare sia il numero <strong>dei</strong> gradi della scala che la sequenza e qualità degli intervalli.)<br />
Ma ritorniamo alla nostra scala maggiore alla quale, per procedere efficacemente nella<br />
comprensione del sistema, dobbiamo essere in grado di associare un riferimento acustico (cioè di<br />
riconoscerla all’ascolto, pensarla, e possibilmente anche cantarla). La maggior parte <strong>dei</strong> lettori ha già<br />
appreso questa scala per trasmissione mnemonica (imitando inconsapevolmente qualcuno che gliel’ha<br />
insegnata); altri saranno in grado di riconoscerla senza però poterla cantare, i più infine potranno<br />
cantarla senza problemi. La eseguiamo pronunciando le sillabe convenzionali Do, Re, Mi, Fa, Sol,<br />
La, Si (e poi nuovamente Do).<br />
Il secondo Do nella serie è un suono diverso dal primo (è più acuto) ma porta lo stesso nome<br />
perché presenta una ‘somiglianza speciale’ con il Do iniziale: ha il doppio delle vibrazioni di quello<br />
(dunque i due Do stanno, quanto al numero di vibrazioni, in rapporto 1/2); si dice che questo Do più<br />
acuto sta (ovvero è) all’ottava superiore del primo (in quanto è l’ottavo suono dopo il Do iniziale);<br />
viceversa il primo Do è all’ottava inferiore rispetto al secondo.<br />
Le sillabe convenzionali, di per sé, non sono significative. Potremmo fare a meno di<br />
pronunciarle cantando invece i singoli suoni su di una vocale scelta ad arbitrio, una modalità di canto<br />
che si chiama ‘vocalizzazione’, ‘vocalizzare’. Quello che è importante perché la scala sia<br />
riconoscibile è la precisione degli intervalli e la loro corretta successione.<br />
Es. 3.1<br />
Per fornire immediatamente un’applicazione di questo modello teorico, si potrà ascoltare<br />
l’inizio di un brano della tradizione che si avvalga <strong>dei</strong> suoni della scala di Do maggiore (ossia, con<br />
una certa semplificazione, quello che si dice un brano ‘in Do maggiore’).<br />
La melodia nota come Fra’ Martino è un esempio elementare quanto utile, sul quale<br />
ritorneremo ripetutamente.<br />
39
Es. 3.2<br />
In questo caso facciamo corrispondere un esempio concreto (Fra’ Martino) ad un modello<br />
teorico (la scala-tipo). Quest’ultima rappresenta dunque il ‘materiale’ per l’elaborazione di costrutti<br />
articolati o se si preferisce è dedotta per astrazione dai brani della tradizione (è una questione come<br />
quella dell’uovo e della gallina). I suoni della scala vengono utilizzati nella melodia in esame con una<br />
certa arbitrarietà: l’ordine è scelto liberamente (almeno nel senso che non osservano la sequenza<br />
scalare). Ma la libertà è relativa: notiamo per esempio che il suono iniziale e quello finale sono uguali<br />
(Do) e possiamo anche osservare che certi suoni (Do, Sol, Mi) si trovano di preferenza in posizioni<br />
ritmiche ‘forti’ (si approfondirà in seguito questo concetto che dovrebbe risultare comunque chiaro<br />
al semplice ascolto). Questa coincidenza fra certi suoni e certe posizioni ritmiche rappresenta una<br />
relazione ‘stilistica’ fra melodia e ritmo. Il ritmo d'altra parte identifica la melodia cioè la rende,<br />
insieme con la sequenza degli intervalli, ‘quello che è’. Per rendercene conto più chiaramente basterà<br />
assegnare alla sequenza melodica un ritmo diverso, col risultato di renderla qualcosa di diverso<br />
(anche se non del tutto irriconoscibile):<br />
Es. 3.3<br />
L’esempio serve a mettere in evidenza come la considerazione dell’unico parametro della<br />
‘melodia’ rappresenti un’astrazione nel momento in cui si passa da un modello (la scala) ad una sua<br />
applicazione; serve almeno una configurazione ritmica per poter affrontare in concreto il nostro<br />
oggetto. Un secondo esempio mostrerà come la modificazione degli intervalli originali alteri<br />
profondamente il carattere della melodia pur mantenendo lo stesso ritmo:<br />
Es. 3.4<br />
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E’ evidente che questa versione è simile, eppure diversa sebbene per la sola alterazione di<br />
due intervalli della scala-tipo impiegata (la terza e sesta, che vengono 'bemollizati' ossia abbassati di<br />
un semitono). Si evidenzia così una caratteristica che, se non è esclusiva della musica, le appartiene<br />
però in maniera particolare e cioè il rapporto che si stabilisce fra elementi simili e dissimili cioè, in<br />
termini compositivi, la possibilità di determinare una varietà di eventi che condividono tuttavia un<br />
certo livello di unitarietà.<br />
In termini più generali, abbiamo rilevato come l’ineguaglianza degli intervalli (toni e semitoni)<br />
e la loro sequenza caratterizza il modello. Possiamo fin d’ora intravvedere che il modello (la scala di<br />
Do maggiore), è solo uno fra molti possibili. In termini puramente combinatori è possibile inventare<br />
una qualsiasi scala formata da una sequenza di toni e semitoni (scale di questo tipo sono dette<br />
‘diatoniche’). Non è però necessario perché altri l’hanno fatto per noi: la storia della musica<br />
occidentale ha rappresentato una poderosa esplorazione delle possibilità combinatorie riguardo agli<br />
intervalli musicali.<br />
Torniamo momentaneamente a verificare la nostra definizione di musica come ‘serie di eventi<br />
sonori disposti nel tempo e selezionati da una o più serie predefinite’; abbiamo considerato una ‘serie<br />
predefinita’ quanto ai rapporti aritmetici fra gli intervalli successivi (toni ovvero semitoni), mentre<br />
abbiamo tralasciato momentaneamente altri aspetti rilevanti: per esempio, mentre abbiamo<br />
immaginato rapporti fra suoni che si succedono nel tempo, non ci siamo occupati di quelli che si<br />
stabiliscono fra suoni ‘contemporanei’ (la parte di teoria musicale detta ‘armonia’); inoltre abbiamo<br />
tralasciato quasi interamente la dimensione temporale (cioè la struttura generale di un costrutto e le<br />
sue articolazioni di livello inferiore: metro, ritmo), nonché la dimensione 'qualitativa' (cioè il timbro,<br />
l’intensità <strong>dei</strong> suoni prodotti e le sfumature che caratterizzano l’esecuzione musicale). Tutto questo<br />
può essere rimandato ad un momento successivo ma deve essere chiaro fin d’ora che, sebbene la<br />
teoria musicale abbia messo in primo piano gli aspetti relativi al calcolo e alla sequenza degli<br />
intervalli, ognuno degli elementi citati è indispensabile per la comprensione del senso di un costrutto.<br />
41
Particolarità e nomenclatura della scala-tipo<br />
Fra i suoni della scala-tipo incontriamo cinque intervalli di tono (T) e due intervalli di<br />
semitono (S); questi ultimi si trovano fra il III ed il IV grado (Mi e Fa) e fra il settimo e l’ottavo (Si e<br />
Do). La successione è la seguente:<br />
T,T,S,T,T,T,S<br />
L’identità di questa, come di qualsiasi altra scala, è data dalla successione degli intervalli e<br />
dalla loro entità. I gradi della scala vengono anche denominati, per un complesso di motivi sia storici<br />
che funzionali, nel modo seguente:<br />
I grado = tonica<br />
II = sopratonica<br />
III = mediante (o caratteristica)<br />
IV = sottodominante<br />
V = dominante<br />
VI = sopradominante (o sottomediante)<br />
VII = sensibile<br />
Questa tripla denominazione (Do = primo grado = tonica), non è superflua, come si renderà<br />
chiaro nel seguito della trattazione. Per il momento basti sapere che, sebbene la scala-tipo abbia<br />
come tonica il Do (in quanto per convenzione la scala di Do è il centro del sistema), qualsiasi suono<br />
inclusi quelli alterati (con diesis o bemolle), può essere utilizzato come tonica di una scala; di qui<br />
l’opportunità di ricorrere ad una nomenclatura astratta (= primo grado) e anche ad una che alluda<br />
alla funzione (per esempio: tonica, dominante etc.).<br />
La funzione di tonica<br />
Ma in cosa consistono le ‘funzioni’ sopra citate Esaminiamolo attraverso un esempio.<br />
Abbiamo notato come nella formazione della melodia la libertà nella scelta <strong>dei</strong> suoni della scala-tipo<br />
si accompagnava ad una limitazione caratteristica: il primo e l’ultimo suono si corrispondevano<br />
(erano entrambi Do, cioè la tonica): questo fatto determina in un costrutto musicale un parallelismo<br />
logico-percettivo (fondato sulla memoria di chi ascolta), che conferisce all’ultimo suono un senso di<br />
ritorno e dunque di conclusione. Per converso, qualora l’ultimo suono fosse diverso dal primo, il<br />
senso conclusivo ne risulterebbe indebolito o addirittura annullato; per verificarlo basterà eseguire un<br />
La invece che un Do come suono finale della melodia Fra' Martino, col risultato che la sequenza<br />
melodica risulterà conclusa in modo inefficace.<br />
42
La funzione di tonica dunque (che comporta anche altre implicazioni) consiste nell’essere<br />
avvertita come ‘suono di riferimento’ rispetto agli altri che formano un costrutto; nel nostro esempio<br />
il riferimento o rimando (da tonica a tonica) si avverte ad un livello primariamente ‘sintattico’, perché<br />
definisce la conclusione della frase musicale.<br />
Quanto appena detto era necessario per chiarire che le funzioni non sono un’astrazione<br />
arbitraria e neppure delle qualità immanenti del singolo suono, ma derivano dal sistema di relazioni<br />
fra le componenti del costrutto. Dunque un Do non è necessariamente una tonica, ma lo è in quanto<br />
parte di un sistema di relazioni.<br />
Converrà anche in questo caso notare che la funzione di tonica è comune a tutte le culture<br />
musicali (si può dire che costituisca un ‘universale musicale’), anche se viene sfruttata in modi<br />
diversi. Inoltre, il valore della tonica in quanto suono di riferimento ai fini sintattici (all’effetto di<br />
cogliere un senso ‘conclusivo’) non è assoluto ma sta in relazione alla durata complessiva di un<br />
costrutto e a specifiche poetiche musicali che hanno saputo sfruttare le relazioni fra i gradi della<br />
scala. Una delle caratteristiche più notevoli del sistema musicale occidentale rispetto a tutti gli altri è<br />
la capacità di realizzare architetture musicali di ampie dimensioni grazie ad una serie di procedimenti,<br />
fra i quali il più importante è probabilmente lo spostamento temporaneo della tonica (detto anche<br />
‘modulazione’).<br />
Bisogna aggiungere per completezza che non sempre i brani della nostra tradizione terminano<br />
con la tonica: eccezionalmente, si incontrano esempi di spostamento finale della tonica sia nel<br />
periodo medievale che in quello moderno e contemporaneo, tanto in stili colti quanto in stili popolari<br />
o leggeri. Si tratta tuttavia di eccezioni che, per quanto significative, individuano un allargamento<br />
delle possibilità con valore dimostrativo o espressivo che non contraddice la validità generale della<br />
funzione 3 .<br />
Intervalli nella scala-tipo<br />
Descrivendo gli intervalli fra i suoni successivi di una scala maggiore abbiamo verificato<br />
l’esistenza di due soli tipi di intervalli ma gli intervalli fra suoni non successivi sono ovviamente più<br />
numerosi. Questo l’elenco delle possibilità e la nomenclatura relativa, che deriva dal numero di suoni<br />
compresi fra il primo e l’ultimo, con l’aggiunta di una qualificazione di origine storica (i termini<br />
‘maggiore’, ‘minore’, ‘giusto’, ‘diminuito’ o ‘eccedente’):<br />
3 Si danno casi di brani che iniziano in un tono e terminano in un altro, per differenti motivi, tanto nel repertorio<br />
rinascimentale (casi studiati da M.Bent e collegati col problema delle alterazioni di passaggio) quanto in quello<br />
moderno (come in una celebre aria di Osmino del Ratto dal Serraglio di Mozart in cui l'anomalia intende avere una<br />
funzione espressiva dell'irrazionalità del personaggio) oppure nel repertorio pop in una canzone come Mi ritorni in<br />
mente di Mogol-Battisti (in cui dipende probabilmente da una strategia di intensificazione finale)..<br />
43
Es. mus. 3.4 bis<br />
De-Re: 1 tono, intervallo di <strong>seconda</strong> maggiore<br />
Do-Mi: 2 toni, intervallo di terza maggiore<br />
Do-Fa: 2 toni e mezzo, intervallo di quarta giusta<br />
Do-Sol: 3 toni e mezzo, intervallo di quinta giusta<br />
Do-La: 4 toni e mezzo, intervallo di sesta maggiore<br />
Do-Si: 5 toni e mezzo, intervallo di settima maggiore<br />
Do-Do: 6 toni, intervallo di ottava<br />
E’ da notare che fra due suoni uguali per altezza non si dà un intervallo (perché non esiste<br />
differenza nel numero di vibrazioni). Tuttavia è invalso l’uso di considerare intervallo (o pseudointervallo)<br />
anche l’unisono.<br />
Tutti gli intervalli sopra elencati sono computati a partire dal Do. Altri se ne trovano a partire<br />
da suoni differenti della scala. Per esempio fra Mi e Fa nonché fra Si e Do (come si è già visto) si ha<br />
un intervallo di mezzo tono (‘<strong>seconda</strong> minore’). Fra Re e Fa, come pure fra Mi e Sol e fra La e Do<br />
abbiamo intervalli di terza diversi da quello fra Do e Mi perché comprendono solo un tono e mezzo:<br />
Re-Fa, Mi-Sol, La-Do: 1 tono e mezzo = terza minore<br />
Analogamente, troviamo intervalli di sesta diversi da quello fra Do e La (sesta maggiore). Per<br />
esempio fra Mi e Do abbiamo solo quattro toni, come pure fra La e Fa:<br />
Mi-Do, La-Fa, Si-Sol: 4 toni = sesta minore<br />
Gli intervalli di quinta ravvisabili fra i suoni della scala sono tutti formati da tre toni e mezzo,<br />
con l’eccezione della quinta che sta fra il VII grado (in Do maggiore è un Si) ed il successivo IV<br />
grado (Fa). In questo solo caso la scala-tipo presenta un intervallo di tre toni (‘tritono’), fortemente<br />
dissonante. La quinta così formata si dice ‘diminuita’.<br />
Questa rassegna prende in considerazione solo gli intervalli fra suoni ‘naturali’ (appartenenti<br />
alla scala-tipo). E’ possibile tuttavia realizzare attraverso alterazioni <strong>dei</strong> suoni della scala diatonica<br />
altri intervalli che vengono nominati sulla base di una convenzione semi-razionale: per esempio una<br />
settima maggiore Do-Si, se viene ‘ristretta’ di un semitono (Do-Si bemolle) si chiama settima<br />
minore; ulteriormente abbassata di mezzo tono si chiama settima diminuita (Do-Si doppio bemolle,<br />
che corrisponde acusticamente ad una sesta maggiore). Intervalli di questo genere, che in questo<br />
contesto possono apparire più ‘nominali’ che reali, in quanto corrispondono acusticamente ad altri<br />
intervalli ‘semplici’, hanno un significato specifico nelle concatenazioni armoniche, che si<br />
44
toccheranno più avanti. Una quinta o una quarta abbassate di un semitono si dicono ‘diminuite’; se<br />
elevate di un semitono si dicono ‘aumentate’ o 'eccedenti'.<br />
Intervalli composti<br />
Dal momento che una scala si sviluppa indefinitamente verso l’alto e verso il basso, gli<br />
intervalli possono eccedere l’ottava. In tal caso i loro nomi seguono la progressione numerica e si<br />
definiscono ‘intervalli composti’:<br />
Es. mus. 3.4 ter<br />
nona = ottava più <strong>seconda</strong><br />
decima = ottava più terza<br />
undicesima = ottava più quarta<br />
dodicesima = ottava più quinta<br />
tredicesima = ottava più sesta<br />
quattordicesima = ottava più settima<br />
quindicesima = doppia ottava<br />
Inversione degli intervalli<br />
Un intervallo fra due suoni (poniamo, Do-La) può essere considerato sia in senso ascendente<br />
che discendente. Per costruzione, l’intervallo in senso ascendente unito a quello discendente forma<br />
un’ottava. Si dice che uno <strong>dei</strong> due intervalli costituisce l’inversione dell’altro. Di seguito diamo<br />
l’elenco degli intervalli principali e delle relative inversioni:<br />
<strong>seconda</strong> minore diventa settima maggiore<br />
<strong>seconda</strong> maggiore diventa settima minore<br />
terza minore diventa sesta maggiore<br />
terza maggiore diventa sesta minore<br />
quarta giusta diventa quinta giusta<br />
quinta giusta diventa quarta giusta<br />
quinta diminuita diventa quarta aumentata o eccedente<br />
sesta minore diventa terza maggiore<br />
sesta maggiore diventa terza minore<br />
settima maggiore diventa <strong>seconda</strong> minore<br />
E’ probabile che chi avvicina questo argomento per la prima volta sia preoccupato dalla<br />
quantità di informazioni da ricordare. Vi sono tuttavia elementi di importanza primaria ed altri<br />
<strong>seconda</strong>ri: per poter seguire con competenza un discorso tecnico-musicale e di conseguenza estetico<br />
è necessario almeno poter riferire nomi e concetti ad un’esperienza acustica concreta e quindi saper<br />
riconoscere le differenze fra gli intervalli principali (<strong>seconda</strong> maggiore e minore, terza maggiore e<br />
minore, quarta, quinta, sesta maggiore e minore, settima, quinta diminuita).<br />
45
Altre voci, altre scale<br />
Prima di passare a considerare la <strong>seconda</strong> scala-tipo del sistema occidentale (la scala ‘minore’), sarà<br />
utile osservare il profilo sonoro di altre scale che, con uguale legittimità, sono state utilizzate in<br />
ambiti culturali differenti. Questo servirà indirettamente ad identificare meglio le scale-tipo della<br />
nostra tradizione.<br />
La scala blues e la scala pentatonica derivano da culture musicali extra-europee, ma sono state<br />
utilizzate anche nell'ambito della musica occidentale colta da compositori che a queste culture<br />
“esotiche” volevano alludere per introdurre un colore locale alle loro opere (come Puccini in<br />
Turandot) o per rappresentarle (Gershwin in Porgy and Bess) o infine per creare sonorità insolite.<br />
Queste scale sono basate su una suddivisione dell'ottava differente rispetto alla scala-tipo<br />
precedentemente descritta e risultano di conseguenza relativamente 'estranee' benché in realtà siano<br />
state ampiamente recepite nell'esperienza comune.<br />
La scala Blues<br />
Una delle scale ascoltate con maggior frequenza nel mondo moderno (e forse a livello planetario), è<br />
la scala blues. Essa deriva dalla complessa tradizione musicale afro-americana, che gode di grande<br />
popolarità in tutto il mondo sia per ragioni musicali intrinseche, sia per aver tratto vantaggio della<br />
capacità di proiezione culturale degli Stati Uniti d’America, dove è stata riconosciuta a partire dagli<br />
anni ’20 del Novecento come parte integrante della cultura nazionale. La scala blues è stata<br />
impiegata nel Blues, genere musicale (o piuttosto atteggiamento insieme culturale e musicale) che<br />
merita approfondimento ma che in questo momento ci interessa solo per la disposizione degli<br />
intervalli nella scala di riferimento. Benché non esista un consenso generale su quali siano i gradi<br />
fondamentali di questa scala e sui suoni che dovrebbero essere considerati 'accessorii', ne propongo<br />
la seguente forma:<br />
Es. 3.5<br />
La sequenza degli intervalli è:<br />
I-II grado = 1 tono e mezzo<br />
II-III grado = 1 tono<br />
III-IV grado= mezzo tono<br />
IV-V = mezzo tono<br />
V-VI = 1 tono e mezzo<br />
46
VI-I = un tono<br />
Anche in questo caso, iniziamo la scala convenzionalmente a partire dal Do ma quello che conta è la<br />
sequenza degli intervalli. Si nota la presenza di sei soli gradi invece che sette e di ben due intervalli<br />
particolarmente ampi, di un tono e mezzo. Fortemente caratteristica è anche la successione di due<br />
semitoni fra il terzo ed il quinto grado. Questa caratteristica è solo in parte descritta dalla notazione<br />
musicale perché nella pratica performativa (cioè nell’esecuzione) il passaggio fra quarto e quinto<br />
grado avviene gradualmente per microintervalli con una sorta di ‘glissato’ espressivo (effetto che<br />
viene realizzato meglio dalla voce e dagli strumenti ad intonazione variabile che da strumenti a suono<br />
fisso come il pianoforte).<br />
Si nota anche la presenza di un quarto grado alterato (Fa#) fortemente dissonante rispetto al Do.<br />
Questo suono è comunque utilizzato prevalentemente con una funzione di ‘passaggio’ fra i suoni<br />
contigui. La pratica dell’intonazione variabile (ossia deformata espressivamente) può riguardare<br />
anche altri suoni della scala che vengono detti ‘blue-notes’ (ossia suoni ‘blu’ o caratteristici); da qui<br />
si capisce che il modo di esecuzione identifica il Blues quanto e forse più della sequenza degli<br />
intervalli come prova l’ascolto di un brano eseguito da un’interprete storica, la statunitense Billie<br />
Holiday.<br />
Es. mus. 3.6<br />
La scelta di questo esempio (My man) dipende dal fatto, piuttosto paradossale, che ‘suona’ come un<br />
Blues in virtù dell’esecuzione della Holiday, ma è in effetti una canzone sentimentale francese (Mon<br />
homme).<br />
Si direbbe che la scala blues sia quanto di più distante si possa immaginare dalla scala di Do<br />
maggiore ma in realtà esistono scale-tipo ben più remote dal nostro modello. E’ forse più giusto<br />
vedere nella scala blues un’alternativa alla scala maggiore, non priva di punti di contatto che la<br />
rendono in qualche misura famigliare. Per esempio, i due intervalli di un tono e mezzo sono<br />
equivalenti agli intervalli di terza minore presenti entro la scala-tipo di Do maggiore (la differenza è<br />
che qui si omette, per così dire, il suono intermedio); inoltre è comune alle due scale l’intervallo<br />
particolarmente importante fra il primo ed il quinto grado (quinta giusta). Si rileva un’altra quinta<br />
giusta fra il secondo ed il sesto grado (Mi bemolle-Si bemolle) e fra il terzo (Fa, che nella scala di Do<br />
maggiore è il IV grado) l’ottavo (Do). Ma un altro parallelismo fra i due modelli pare più<br />
significativo: la prima metà della scala presenta una sequenza di intervalli uguale alla <strong>seconda</strong> metà:<br />
Scala blues<br />
47
(3a min + 2a magg.) + (3a min- + 2a magg.)<br />
Scala di Do magg.<br />
(2a magg. + 2a magg + 2a min) + (2a magg. + 2a magg. + 2a min.)<br />
E’ possibile che la relativa semplicità strutturale <strong>dei</strong> due modelli (cioè il fatto che contengano due<br />
sottostrutture identiche) ne spieghi in parte la fortuna. Per la scala blues (come per ogni altra scala),<br />
va ribadito che le sequenze melodiche sono soltanto uno degli aspetti che caratterizza lo stile (la<br />
scala-blues ne sottende molti e diversi fra loro) e quest’ultimo va valutato alla luce di altri elementi<br />
caratteristici. Un esempio paradigmatico dell’impiego di questa scala è un’altra registrazione di Billie<br />
Holyday (Es. 3.7), The Blues are brewing, un brano autoreferenziale, nel senso che il testo descrive<br />
quale sia il terreno di coltura, in termine di sensazioni e sentimenti, del Blues stesso, o almeno dello<br />
stile tipico degli anni ’40 del Novecento.<br />
La scala pentatonica (detta anche “cinese”)<br />
La scala pentatonica consta della seguente successione di intervalli: T, T, T+S (1 tono 1/2 ), T (forma<br />
A nell'esempio). Ne è stata utilizzata però anche la forma T, TS, T, T (forma B). In entrambi i casi la<br />
scala è caratterizzata da intervalli di <strong>seconda</strong> maggiore e di terza minore, senza alcun intervallo di<br />
semitono. Questo conferisce alla sequenza <strong>dei</strong> suoni un carattere relativamente sospeso, mentre per<br />
converso risulta meno pronunciata l'implicazione 'risolutiva' da un suono all'altro.<br />
Es. 3.8 scala pentatonica ascendente e discendente (Es. mus. 3.8 A e B)<br />
La scala pentatonica è un modello di grande semplicità, che si ritrova in culture musicali molto<br />
antiche. La sua teorizzazione in Cina risale al IV secolo a.C. ma essa appartiene anche a culture di<br />
parti del mondo che la dovettero elaborare indipendentemente (Europa, Africa, Sud-America).<br />
48
Bisogna considerare che la stessa definizione di 'scala pentatonica' è generica e che nelle applicazioni<br />
storiche - in Cina per esempio - la forma elementare è stata soggetta a notevoli elaborazioni e<br />
complicazioni, anche rispetto al calcolo degli intervalli fra i suoni.<br />
Fra le numerose forme di scala pentatonica va ricordata per la sua particolarità la scala detta<br />
“Slendro” (Giava, Bali) che, con un procedimento artificioso e affatto diverso dalle altre<br />
pentatoniche, divide l’ottava in 5 intervalli di ampiezza pressoché uguale.<br />
La scala pentatonica fu impiegata di frequente nella musica occidentale del periodo romantico: nello<br />
Studio op. 10 n.5 per pianoforte di Fryderyk Chopin (detta “sui tasti neri” perché la mano destra<br />
suona la scala pentatonica maggiore di Fa#, usando appunto solo i tasti neri del pianoforte),<br />
nell’opera L’Oro del Reno di Richard Wagner; in seguito la impiegarono Giacomo Puccini nella<br />
Turandot, Claude Debussy (Pagodes da Estampes), Maurice Ravel (Ma mere l’oye), Béla Bartók<br />
(Mikrokosmos, vol III), Gian Francesco Malipiero (Pause del silenzio).<br />
La scala esatonale (detta anche “a toni interi”)<br />
È formata da 6 suoni a distanza di tono (l’ottava è dunque divisa in sei parti uguali):<br />
Es. 3.9 scala esatonale ascendente e discendente<br />
Poiché le distanze fra i suoni sono tutte uguali (si parla anche di scala 'equalizzata'), non può<br />
configurarsi un centro tonale solo sulla base della progressione melodica: la scala, in altri termini,<br />
può iniziare e finire indifferentemente su ciascuno <strong>dei</strong> sei suoni perché nessuna differenziazione<br />
interna ne segnala percettivamente la posizione della tonica. Ciò le conferisce un carattere sospeso e<br />
la sua costruzione implica che ne possano esistere due sole forme entro il nostro sistema; la <strong>seconda</strong><br />
comprende i suoni Do# – Re# – Fa – Sol – La – Si.<br />
La scala fu usata per la prima volta con significato ironico (cioè come scala 'sbagliata') in W.A.<br />
Mozart (Ein musikalischer Spass K. 522), fu più tardi utilizzata nella musica russa del XIX sec.<br />
(Glinka, Mussorgski) e quindi acquisita da Debussy (Pelléas et Melisande, Voiles da Préludes),<br />
Ravel (Ma mère l’Oye), Bartók (Quartetto n.1, String Quartet No. 5), Busoni (Sonatina n.1 per pf.,<br />
An die Jugend), Stravinskij (Le sacre du printemps), Berg (Sieben frühe Lieder).<br />
49
La scala cromatica<br />
Si è visto come i tipi di intervalli fra i suoni di una scala diatonica siano di due tipi, tono e semitono.<br />
Ciò implica che fra gli intervalli di tono è possibile inserire un suono intermedio, a distanza di<br />
semitono. Per esempio fra un Do e un Re possiamo inserire un suono intermedio più alto di mezzo<br />
tono rispetto a Do e più basso di mezzo tono rispetto a Re. Un tale suono non riceve nella pratica<br />
musicale un nome proprio ma viene concepito, per motivi principalmente storici, come<br />
‘modificazione’, o ‘alterazione’ del Do (in aumento) o del Re (in diminuzione): nel primo caso viene<br />
chiamato Do diesis (segnato #), nel secondo Re bemolle (segnato b). Le frequenze <strong>dei</strong> due suoni Do<br />
diesis e Re bemolle sono identiche (nel sistema di accordatura temperato in uso dal medio<br />
Settecento) ma nella pratica musicale si danno nomi diversi, a <strong>seconda</strong> del contesto tonale.<br />
Se immaginiamo una scala che comprenda solo gli intervalli di semitono entro un’ottava otterremo la<br />
scala cromatica.<br />
Es. 3.10<br />
Ogni grado intermedio fra due suoni a distanza di tono puà avere in pratica due 'nomi', a <strong>seconda</strong><br />
delle circostanze armoniche nelle quali si presenta (cioè può essere inteso come innalzamento del<br />
suono precedente o abbassamento di quello successivo, come si vede di seguito:)<br />
L’aggettivo ‘cromatico’ non comporta alcun riferimento a fatti visivi o coloristici ma discende<br />
dall’uso dello stesso termine per le successioni melodiche o armoniche che comportano l'uso di suoni<br />
alterati. La scala cromatica, intera o per frammenti, ha avuto largo impiego nella musica occidentale<br />
sin dal Rinascimento e con effetti diversi: un caso celebre di uso del cromatismo con finalità<br />
simboliche ed espressive è il madrigale di Luca Marenzio Solo e pensoso su testo di Francesco<br />
Petrarca (qui il movimento cromatico di una delle voci intende rappresentare il cammino del narrante<br />
che “solo e pensoso” va misurando “a passi tardi e lenti i più deserti campi”; al tempo stesso però il<br />
cromatismo impone in questo madrigale una costruzione armonica continuamente cangiante e a tratti<br />
fortemente dissonante che implica un’espressione dolorosa (Es. mus. 3.11). Per la verità questo<br />
50
esempio musicale comporta una complicazione, nel senso che gli intervalli di semitono usati nel<br />
periodo rinascimentale non corrispondevano esattamente a quelli attuali.<br />
Del tutto diverso è l’impiego coloristico (e virtuosistico al tempo stesso) della scala cromatica nel<br />
celebre ‘Volo del calabrone’ dall'opera Tsar Saltan di Nikolai Rimskji Korsakov; qui la scala<br />
cromatica è usata in combinazione con un’armonia stabile e piuttosto prevedibile per un pezzo che<br />
pone in primo piano il colore ed il virtuosismo orchestrale (Es. mus. 3.12).<br />
Infine bisognerà citare l’impiego di procedimenti cromatici, con importanti conseguenze sul piano<br />
armonico e formale, di Richard Wagner (1813-1883). Questi utilizzò le risorse del cromatismo in<br />
modo rivoluzionario per i suoi tempi, affrettando una riflessione sul senso del sistema tonale<br />
moderno che determinò una crisi <strong>dei</strong> suoi presupposti estetici, reinterpretati in chiave modernista dal<br />
compositore e teorico Arnold Schönberg (1877-1951).<br />
Da un punto di vista formale, la scala cromatica presenta un’analogia con la scala per toni interi, nel<br />
senso che è indifferenziata al suo interno. Diversamente da quella però, essa comprende al suo<br />
interno la dominante (V grado).<br />
La scala octotonica<br />
A differenza delle scale finora analizzate, che derivano primariamente da una pratica musicale<br />
successivamente teorizzata, altre scale sono state create artificialmente a tavolino dai compositori. È<br />
il caso della scala octotonica (od octofonica). Nella scala octotonica l’ottava è divisa in quattro<br />
gruppi di tre suoni ciascuno caratterizzati dalla successione di S e T:<br />
La scala può essere costruita secondo due modelli. Il primo modello corrisponde a quello<br />
rappresentato nel pentagramma (es. mus. 3.9 bis), con la successione STST ecc.; l'altro invece inizia<br />
con T e i suoni della scala sono di conseguenza Do – Re – Mib, ecc.<br />
51
La logica di un sistema e le risorse della tavolozza musicale<br />
Le scale, come si è detto, sono un riferimento teorico comune a molte culture. Esistono migliaia di<br />
scale diverse (o tipi di applicazione delle medesime), ma a noi serve solo conoscere le principali e,<br />
più importante, capire il rapporto esistente fra la scala in quanto struttura di riferimento e gli altri<br />
elementi di un sistema musicale. Infatti una scala, di per sé, non può costituire un fondamento<br />
sufficiente per un sistema musicale articolato. Ciò dipende dal fatto che non offre sufficiente varietà<br />
per repertori numerosi o per costrutti di ampie dimensioni. Sussiste infatti un rapporto stretto fra le<br />
capacità di percezione, attenzione e memoria (cioè la 'competenza' dell’ascoltatore), la varietà<br />
intrinseca e durata di un brano (che discende dal lavoro del compositore) e la funzione sociale di un<br />
determinato brano o del repertorio al quale appartiene (cioè il contesto culturale).<br />
Per fare un esempio, la varietà intrinseca di una musica destinata alla danza o alla preghiera, o<br />
ad accompagnare le immagini di un film, o semplicemente ad un ascolto distratto (come la musica<br />
che viene diffusa in supermercato o negli ascensori) sarà generalmente minore rispetto a quella<br />
destinata all’ascolto (musica d’arte o da concerto). Sarà invece nella musica concepita per l’ascolto<br />
che si ritroveranno le più sottili arguzie compositive o esecutive e in essa verranno più probabilmente<br />
sfruttate a fondo le risorse complessive di un sistema musicale. Per formulare un giudizio fondato su<br />
di una musica è dunque necessario comprendere i rapporti fra la sua grammatica, la sua funzione ed il<br />
contesto.<br />
Per apprezzare la logica del sistema occidentale moderno (ca. 1700-1900), sarà utile fare un<br />
passo indietro ed esaminare compendiosamente un paio di esempi del modo in cui viene affrontato il<br />
problema della ‘varietà nel tempo’ in epoche più remote (l’alto Medioevo) o in culture esotiche<br />
(l’India tradizionale e contemporanea).<br />
Dal punto di vista delle strutture scalari, la cultura musicale medievale era più ricca di quella<br />
moderna. Contemplava infatti un sistema di otto scale, rispetto alla due attuali, chiamate ‘modi’,<br />
ciascuna con sequenze di intervalli proprie. Gli otto modi sono qui sotto descritti e dovrebbero<br />
essere ascoltati attentamente per apprezzarne il differente carattere, che per i nostri antenati era certo<br />
più avvertibile che per noi, educati ad una diversa sensibilità.<br />
Modi autentici e modi plagali 4<br />
Ci siamo riferiti fino a questo momento a delle ‘scale-tipo’ ma il termine con il quale si descriveva nel<br />
Medioevo (ed oltre) una sequenza di intervalli in relazione con una tonica era ‘modo’. Un modo<br />
indicava dunque un ‘modo di cantare’ ed identificava il rapporto fra gli intervalli che lo<br />
52
caratterizzavano ed il suono di riferimento principale (in parte analogo funzionalmente alla moderna<br />
tonica), che era anche, per definizione, il suono col quale un determinato brano si concludeva. Il<br />
carattere del modo dipendeva anche da un suono frequentemente ricorrente nel corso <strong>dei</strong> brani,<br />
chiamato repercussio (e che non era un suono fisso entro i gradi della scala, ma variava a <strong>seconda</strong><br />
del modo: in tal senso, un concetto diverso da quello delle moderne 'funzioni' tonali).<br />
Gli otto modi del sistema teorico medievale sono suddivisi in ‘autentici’ e ‘plagali’. Ciascun modo<br />
autentico ha un proprio nome (derivato con qualche imprecisione dal sistema teorico della Grecia<br />
classica). La sequenza degli intervalli corrisponde alle scale che nel sistema moderno hanno per<br />
tonica rispettivamente Re, Mi, Fa, Sol. (Si noti comunque che l’altezza assoluta <strong>dei</strong> suoni è un<br />
fattore <strong>seconda</strong>rio rispetto alla sequenza degli intervalli).<br />
Modi autentici<br />
Protus autentico (o Dorico, primo modo)<br />
Es. 3.13<br />
Es. 3.14 (GR, p. 16 Universi)<br />
Deuterus autentico (Frigio, terzo modo)<br />
Es. 3.15<br />
Es. 3.16<br />
Tritus autentico (Lidio, quinto modo)<br />
Es. 3.17<br />
Es. 3.18<br />
4 Questo paragrafo serve ad approfondire la conoscenza di strutture scalari antiche ma non è indispensabile per la<br />
comprensione generale del testo.<br />
53
Tetrardus autentico (Misolidio, settimo modo)<br />
Es. 3.19<br />
Es. 3.20<br />
Può esser utile, per meglio cogliere e distinguere all’ascolto il profilo melodico delle scale modali,<br />
ricondurre le loro sequenze di intervalli a una medesima tonica, il Do (ossia, come si dice<br />
tecnicamente, 'trasportare' queste scale sul Do; si ascolti l’Es. mus. 3.20 bis):<br />
:<br />
A differenza dalle scale moderne, che si possono estendere verso l’alto o verso il basso<br />
indefinitamente, l’estensione di un modo era determinata. Ognuno comprendeva un’ottava e al più<br />
poteva eccedere verso l’acuto o verso il grave di due o tre suoni.<br />
Da ogni modo autentico deriva un ‘plagale’ che è analogo all’autentico nella sequenza degli intervalli<br />
e che ha la stessa nota finale ma è diverso riguardo all’estensione utilizzata. Il plagale aggiunge al<br />
nome dell’autentico il prefisso ipo-.<br />
Ogni modo plagale si colloca una quarta più in basso rispetto al relativo autentico. In termini<br />
moderni e con qualche semplificazione si può dire che il diverso impiego della tessitura faceva la<br />
differenza fra forma autentica e forma plagale a parità di tonica.<br />
Modi plagali<br />
Protus plagale (Ipodorico, secondo modo)<br />
Es. 3.21<br />
54
Es. 3.22 (GR, p. 17, Ad te Domine)<br />
Deuterus plagale (Ipofrigio, quarto modo)<br />
Es. 3.23<br />
Es. 3.24 Gloria. Domenica resurrectionis<br />
Tritus plagale (Ipolidio, sesto modo)<br />
Es. 3.25<br />
Es. 3.26 (Hildegard von Bingen responsorio O mobilissima viriditatis)<br />
Tetrardus plagale (Ipomisolidio, ottavo modo)<br />
Es. 3.27<br />
Es. 3.28 (GR, Kyrie I)<br />
Può essere utile, per meglio distinguere all’ascolto il profilo melodico <strong>dei</strong> modi, ricondurli a un’unica<br />
nota tonica (il Do) – si ascolti l’es. mus. 3.28 bis.<br />
55
Il sistema degli otto modi (Oktoechos), venne successivamente esteso e/o modificato nel corso del<br />
Rinascimento, ma per i nostri scopi è sufficiente questo livello di conoscenza.<br />
Se è vero che il Medioevo si avvaleva di un numero maggiore di scale (modi), rispetto all’epoca<br />
moderna bisogna però rilevare che la varietà musicale che ne derivava si collocava in un contesto<br />
culturale ben lontano dall’attuale. In primo luogo, il repertorio di riferimento era esclusivamente<br />
monodico (canto collettivo oppure solistico di una singola melodia, noto genericamente come<br />
‘Gregoriano’); viceversa, la cultura musicale dal tardo Medioevo all’età moderna ha preferito<br />
sviluppare strutture comprendenti più melodie contemporanee oppure una melodia principale con<br />
accompagnamento (modalità simili non erano ignote all’alto Medioevo ma la teoria <strong>dei</strong> modi non le<br />
prendeva in considerazione). In conseguenza dell’assetto monodico delle composizioni, la diversità<br />
<strong>dei</strong> modi risulta più avvertibile che nelle strutture a più voci (‘polifoniche’). Bisogna però precisare<br />
che la teoria <strong>dei</strong> modi, elaborata successivamente all’epoca di formazione del repertorio più antico,<br />
riflette solo in maniera imprecisa il contenuto intervallare di molti brani.<br />
Nonostante la notevole varietà rispetto al sistema bi-modale moderno è quasi inevitabile che un<br />
ascoltatore inesperto subisca un’impressione di monotonia all’ascolto delle melodie Gregoriane; ma<br />
questo dipende più dalla perdita di sensibilità modale e dall’ascolto in un contesto funzionale<br />
improprio (in quanto separato dal rito religioso) che dalle qualità musicali intrinseche <strong>dei</strong> canti. A<br />
questo bisogna aggiungere che le tradizioni esecutive moderne, pur tentando di avvicinarsi<br />
all’originale, non possono farlo che in via congetturale e presentano un alto grado di incertezza su<br />
dettagli esecutivi essenziali come la dinamica, la velocità, ed una serie di ‘effetti’ particolari di cui si<br />
ha traccia, ma solo incerta, nelle fonti scritte. Bisognerà quindi tenere presente che l’esecuzione in<br />
tempi moderni della monodia liturgica discende da un fenomeno di revival (iniziato nella <strong>seconda</strong><br />
metà dell’Ottocento) di tradizioni esecutive che si erano perdute irrimediabilmente fra Medioevo ed<br />
età moderna. E’ come se si volesse giudicare del valore artistico di Billie Holiday basandosi su di una<br />
trascrizione in partitura.<br />
56
Benché il sistema medievale europeo sia stato abbandonato (perlomeno nell’ambito della<br />
composizione di nuove musiche) questo non dipende dall’esaurimento delle possibilità del sistema<br />
modale. Altri sistemi musicali modali, basati sulla molteplicità delle scale, hanno potuto mantenersi in<br />
buona salute sino al presente entro contesti socio-culturali più stabili o, se si preferisce, meno<br />
dinamici di quelli occidentali. Le due tradizioni principali dell’India (quella settentrionale Indostana e<br />
quella meridionale o Karnataka), sfruttano concezioni modali complesse, che stanno tuttavia in<br />
relazione con una tonica fissa. Questa viene prodotta materialmente da strumenti musicali<br />
appositamente concepiti, come il tambura, al quale è affidato il compito di produrre una serie<br />
continua di suoni per tutta la durata del brano (I e V grado della scala). Da qui deriva un carattere<br />
eufonico e stabile ma anche monotono (le due cose vanno necessariamente di pari passo). Tuttavia, il<br />
sistema nel suo complesso sfrutta sapientemente questa cornice tonale fissa per farvi risaltare una<br />
varietà di sfumature esecutive sottilissime (suoni alterati per microintervalli, sovrapposizione di suoni<br />
dissonanti rispetto alla tonica etc.). Si può dire dunque che quei sistemi guadagnano varietà<br />
nell’impiego <strong>dei</strong> microintervalli mentre ne perdono nella fissità tonale. Questa però è compensata<br />
dalle finezze modali, di intonazione, e dalla varietà ritmica, oltreché da strutture formali elementari<br />
ma efficaci che tendono all’intensificazione ciclica progressiva nel corso del brano.<br />
Quanto alla tonica fissa, infine, bisogna segnalarne una certa relatività: nella musica per voce con<br />
accompagnamento strumentale la tonica stessa viene definita non da una convenzione universale<br />
(come il diapason occidentale che fissa il La a 440 vibrazioni per secondo), ma è individuata nella<br />
frequenza considerata ideale per la voce del singolo esecutore. Insomma la tonica di un brano è fissa,<br />
ma quella di ciascun esecutore è mobile.<br />
Generalmente, un sistema musicale sviluppa alcune risorse a svantaggio di altre: per esempio nella<br />
musica di consumo (o Pop, anche se il termine è impreciso) è centrale la ricerca timbrica mentre<br />
l’elaborazione armonica o la ricerca formale sono solo raramente rilevanti. Talvolta i differenti<br />
parametri musicali trovano nell’opera (o in specifiche opere) di singoli compositori un equilibrio che<br />
ne qualifica il carattere come ‘classico’ (il termine va però usato con parsimonia perché ha assunto<br />
nella storia musicale significati diversi). In termini semplificati si può dire che ogni sistema ed ogni<br />
funzione musicale si avvalgono del livello e del tipo di varietà più appropriato ai fini. Un esercizio<br />
fondamentale per l’ascoltatore occidentale moderno che intende apprezzare differenti culture<br />
musicali è quello di individuare le logiche sottese alle musiche cui è esposto, apprezzandone le<br />
risorse e individuandone i limiti.<br />
57
La <strong>seconda</strong> scala-tipo occidentale (scala di La minore)<br />
Abbiamo rimandato a lungo l’esame della <strong>seconda</strong> scala-tipo occidentale perché era necessario<br />
capire, almeno per cenni, quante diverse possibilità scalari si presentino ai musicisti e quanto relativa<br />
sia la sistemazione teorica moderna occidentale dell’elemento scalare.<br />
La scala-tipo di La minore deriva da quella di Do maggiore, essendo la scala che ha per tonica il<br />
sesto grado (La) di quella e che utilizza gli stessi suoni. Tuttavia, come vedremo, questa forma della<br />
scala minore non è la più utilizzata, in quanto se ne sono preferite nella pratica delle ‘varianti’ che la<br />
rendono più simile alla scala di Do maggiore di quanto non sia nella forma normale.<br />
Scala maggiore e scala minore possono essere considerate a tutti gli effetti <strong>dei</strong> ‘modi’, vale a dire<br />
delle sequenze di intervalli in relazione con una tonica. La scala di La minore viene definita anche<br />
come ‘relativa minore’ di quella di Do maggiore<br />
Es. 3.30<br />
Si ha dunque la seguente sequenza di intervalli:<br />
T, S, T, T, S, T, T,<br />
Il termine ‘minore’ deriva dall’intervallo che la caratterizza in maniera decisiva rispetto alla scala<br />
maggiore, cioè l’intervallo di terza fra la tonica e la mediante (o caratteristica) che è di due toni<br />
(terza maggiore) nella scala maggiore e di un tono e mezzo (terza minore) nella minore.<br />
Oltre a questa scala detta ‘minore naturale’, che rappresenta la forma almeno teoricamente più pura,<br />
perché direttamente discendente dalla scala maggiore, ne esistono altre due che potremmo<br />
considerare rispettivamente come:<br />
a) la forma più usata storicamente: scala minore melodica e<br />
b) la forma che costituisce un supporto teorico intermedio fra la scala ‘naturale’ e scala ‘melodica’.<br />
Questa forma è detta ‘minore armonica’.<br />
Il caso della scale minori è interessante perché rivela insieme l’importanza di una teoria e i suoi limiti.<br />
Si può dire che nella nostra cultura non sia mai stato sufficiente ‘constatare’ l’esistenza di una scala<br />
nell’uso ma si è inteso giustificarla in modo organico entro il sistema.<br />
58
La scala minore melodica, che fra le tre forme in minore ha avuto la massima frequenza d’uso, unisce<br />
alla caratteristica terza minore della minore naturale due intervalli modificati che la rendono più<br />
simile alla scala maggiore: l’innalzamento di un semitono del settimo e del sesto grado. Vedremo fra<br />
poco per quale motivo sia convenuto alterare in questa maniera la forma primaria della scala.<br />
Es. 3.31<br />
La scala minore melodica presenta dunque la seguente sequenza di intervalli:<br />
T, S, T, T, T, T, S<br />
Viene detta ‘melodica’ non tanto perché sia intreinsecamente più melodiosa della scala naturale ma<br />
per distinguerla, quanto a cantabilità, dalla scala minore ‘armonica’ di cui si dirà fra breve.<br />
Con questa disposizione degli intervalli la parte superiore della scala, o tetracordo superiore, è<br />
identico alla scala maggiore mentre quello inferiore se ne differenzia solo per il III grado. Questa<br />
circostanza potrebbe essere una giustificazione sufficiente (per quanto meramente utilitaristica), ma<br />
in generale i libri di teoria ricorrono ad un’argomentazione un po’ più complessa che comporta la<br />
considerazione della forma intermedia fra scala naturale e melodica, cioè la scala minore ‘armonica’.<br />
La minore ‘armonica’ prevede l’innalzamento artificiale del solo settimo grado, ma non del sesto.<br />
Es. 3.32<br />
Presenta dunque la seguente sequenza di intervalli:<br />
T, S, T, T, S, (T+S), S<br />
si riscontra un intervallo eccezionale di 1 tono e 1 /2 fra VI e VII grado. Questa forma della scala, pur<br />
con il suo intervallo ‘anomalo’ è stata utilizzata nel repertorio, ma piuttosto raramente. Bisogna<br />
chiedersi a questo punto perché sia così desiderabile, in entrambe le forme derivate della scala<br />
minore, introdurre l’intervallo di semitono, invece che quello di tono della minore naturale, fra il VII<br />
grado e il successivo I.<br />
Nei trattati di teoria musicale si incontra perlopiù una giustificazione di ordine melodico, cioè si<br />
sostiene l’opportunità di utilizzare un VII grado sensibile, vale a dire il più vicino possibile alla<br />
successiva tonica verso la quale tenderebbe a 'risolvere’. Il settimo grado innalzato dunque (Sol # in<br />
59
La minore), determina l’intervallo anomalo (e difficile da intonare per una voce) di un tono e mezzo,<br />
al quale si pone rimedio nella scala minore melodica con l’innalzamento del VI grado (Fa # in La<br />
minore).<br />
E’ lecito chiedersi se questa catena di giustificazioni, che in verità si reggono solo fra di loro, abbia<br />
qualche fondamento e se sia possibile provare che l’intervallo di semitono fra VII e I grado implichi<br />
con maggiore urgenza la risoluzione verso la tonica rispetto all’intervallo di tono. Questo può anche<br />
essere, ma bisogna evitare di confondere delle abitudini d’ascolto consolidate con delle leggi<br />
immutabili o con delle proprietà fisiche inerenti ai singoli suoni. La forma della scala minore naturale<br />
è in verità altrettanto buona quanto la minore melodica e i singoli suoni non godono di proprietà<br />
intrinseche ma, tutt’al più, di implicazioni relazionali. Il settimo grado ‘sensibile’ lascia prevedere la<br />
sua risoluzione sulla tonica solo sulla base dell'esperienza pregressa, sia delle progressioni melodiche,<br />
sia (e questo è forse più decisivo) delle concatenazioni armoniche.<br />
D’altra parte nella presentazione melodica di una scala minore naturale anche il VII grado non<br />
sensibile lascia prevedere una conclusione verso la tonica, sulla base di un’inferenza piuttosto ovvia<br />
(cioè l’aver udito tutti i gradi di una scala ascendente tranne l’ottava). Se ne potrà fare esperienza<br />
ascoltando l’Es. 3.33 in cui le tre forme della scala sono lasciate sospese sul VII grado (solo nel<br />
terzo caso non si tratta di un VII grado sensibile).<br />
Es. 3.33<br />
E’ vero però che il VII grado sensibile ha un’instabilità maggiore del VII grado non sensibile ma ciò<br />
deriva dal fatto che due suoni a distanza di semitono presentano fra loro un più alto grado di<br />
dissonanza.<br />
La questione non sarebbe in verità di grande importanza se non incontrassimo spesso nella letteratura<br />
teorica un linguaggio che sembra attribuire ai suoni delle proprietà immanenti, come si trattasse di<br />
organismi indipendenti e guidati da una una necessità se non addirittura da una volontà propria.<br />
60
Laddove si sentirà affermare che un suono ‘si muove’ oppure ‘risolve’ oppure ‘tende a’, etc. si sta<br />
applicando un linguaggio figurato: è sempre e solo il compositore che muove le cose.<br />
E’ più importante riflettere su quale senso abbia, storicamente parlando, l’assimilazione della scala<br />
minore naturale alla maggiore attraverso la variante ‘melodica’. Non esiste una risposta certa a una<br />
questione di questo genere ma si può supporre che la progressiva elaborazione di un sistema<br />
bimodale (maggiore/minore) abbia comportato una tendenza a ridurre le differenze modali fino<br />
all’unica differenza del III grado. Bisogna anche considerare che la pura disposizione melodica non<br />
ha un parallelo esatto nei procedimenti armonici, cioè nella concatenazione degli accordi. Come ha<br />
osservato Walter Piston “nelle successioni di accordi gli aspetti modali hanno un peso minore di<br />
quelli tonali. Modo maggiore e modo minore non si differenziano per il loro uso quanto le differenze<br />
tra le rispettive scale potrebbero far supporre, e a volte non è neppure chiaro quale tra i due modi il<br />
compositore stia usando”. 5 E’ dunque possibile, anche se del tutto congetturale, che l’appiattimento<br />
delle differenze modali dipenda dalla ricerca di un linguaggio accordale relativamente coeso e che<br />
non differenzi, se non nel tratto essenziale del III grado, i due modi.. Infatti la scelta <strong>dei</strong> suoni che<br />
compongono determinati accordi di un brano in minore (per esempio quelli che si costruiscono sul<br />
III o sul V grado) derivano più dalle funzioni armoniche caratteristiche del modo maggiore che dagli<br />
intervalli prescritti per le scale minori.<br />
Alle anomalie fin qui rilevate circa le scale minori va aggiunta la differente forma fra scala ascendente<br />
e scala discendente melodica: nella forma discendente infatti è teorizzata la rimozione degli accidenti,<br />
sicché la scala corrisponde, nel discendere, alla minore naturale. Questa distinzione tuttavia non è<br />
stata osservata in maniera rigorosa e si trovano esempi di uso diverso nella letteratura.<br />
Es. 3.34<br />
5 W. Piston, Armonia, Ed. ampliata e riveduta da M. Devoto, Torino, EdT, 1989, p. 60.<br />
61
Concludiamo questo paragrafo con alcuni esempi di utilizzazione del modo minore. E’ appena il caso<br />
di rilevare che il modo minore ha un carattere generalmente più dimesso o ‘triste’ rispetto al modo<br />
maggiore, benché il carattere di una musica derivi da un complesso di elementi e non solo dalla<br />
struttura scalare.<br />
Es. sonoro 3.36: W.A. Mozart, Sinfonia K.550 in Sol minore<br />
Es. sonoro 3.37: L. van Beethoven, Sinfonia No. 5 in Do min. op- 67 Allegro con brio<br />
Es. sonoro 3.38: F. Couperin, Pièces de clavecin, cinquième ordre, Prima corrente in La magg. E<br />
<strong>seconda</strong> corrente in La min.<br />
Es. sonoro 3.39: W.A. Mozart. Quintetto per archi No. in La magg. K 515, Allegro<br />
Una trasfigurazione singolare di una melodia tradizionale in maggiore (la già citata Fra’ Martino) si<br />
trova nel primo movimento della Prima sinfonia di G. Mahler dove assume, per il modo minore ma<br />
anche per l’orchestrazione ed il tempo, un carattere insieme sinistro ed ironico (Es. mus. 3.40).<br />
Una volta affrontate le strutture scalari in quanto elemento di base di una teoria musicale, muoviamo<br />
ad occuparci del parametro che identifica qualunque sequenza melodica rendendola propriamente<br />
una melodia, vale a dire il ritmo. Sebbene molti degli esempi fin qui ascoltati comportassero anche<br />
delle strutture armoniche, cioè sovrapposizioni accordali di suoni, ne rimanderemo l’esame ad un<br />
momento successivo.<br />
62
Ancora sulle funzioni <strong>dei</strong> gradi<br />
Si è trattata più sopra la funzione di tonica. Ad essa si contrappone la funzione di dominante in<br />
quanto grado della scala più importante dopo la tonica. La dominante corrisponde all'armonico più<br />
'forte' fra quelli contenuti nel suono della tonica e quindi è al tempo stesso strettamente legato ad<br />
essa e ne costituisce (in una struttura sintattica) l'alternativa più ovvia ed anche l'anticipazione più<br />
probabile. Se ascoltiamo una tonica seguita dalla sua dominante essa ci appare come una<br />
conseguenza 'naturale' ed altrettanto naturale appare il ritorno al suono di partenza. Il salto<br />
dominante-tonica prende anche il nome di salto principale ed è un movimento caratteristico che<br />
definisce in maniera forte l'identità tonale (esso si trova spesso nella parte grave di<br />
accompagnamento).<br />
La polarità tonica-dominante rappresenta dunque il rapporto funzionale più forte fra i gradi della<br />
scala; ne consegue fra l'altro che, quando vengono presentati <strong>dei</strong> 'salti principali' diversi da quello<br />
della tonalità di impianto, essi tendono a indicare o rinforzare lo spostamento verso una nuova tonica<br />
(e ciò che vale per i singoli suoni è vero anche gli accordi costruiti sugli stessi suoni).<br />
La sottodominante ha una posizione particolare ed ambigua in quanto si tratta del grado rispetto al<br />
quale la tonica è (o può presentarsi come) una dominante (un Do pur essendo presentato come<br />
tonica, è a sua volta una dominante potenziale di Fa).<br />
Diversamente dalle funzioni di tonica e dominante (e in parte sottodominante), le funzioni degli altri<br />
gradi, ad eccezione del settimo, sono più ambigue o tendono a ricadere nelle funzioni di tonica o<br />
dominante; per esempio, il terzo ed il sesto grado hanno un nesso forte con il primo, particolarmente<br />
perché gli accordi costruiti su quei gradi (Mi-Sol-Si. La-Do-Mi) comprendono due suoni (su tre)<br />
appartenenti anche all'accordo costruito sul primo grado (Do-Mi-Sol).<br />
Il settimo grado sensibile costituisce un caso particolare perché si tratta del suono più prossimo alla<br />
tonica (la sopratonica è anch'essa vicina ma dista un tono intero). Ma c'è di più: l'accordo sulla<br />
sensibile (Si-Re-Fa) è l'unico a non contenere l'intervallo di quinta giusta, ma quello fortemente<br />
dissonante di quinta diminuita (Si-Fa = tre toni). Di conseguenza, sia per motivi melodici che<br />
armonici, il settimo grado è specialmente instabile e, in un contesto appropriato, presenta una<br />
tendenza risolutiva pronunciata.<br />
Metro e ritmo<br />
Per 'ritmo' si intende nella lingua comune l’ordine degli eventi musicali considerati rispetto alla loro<br />
disposizione nel tempo. Tali eventi solitamente risultano raggruppati in modelli prevalentemente<br />
ricorrenti, chiamati anche figure. Così come ci siamo riferiti ad un modello storicamente determinato<br />
63
nel trattare le scale, anche nel ritmo e nel metro (del quale si dirà fra poco) conviene fare riferimento<br />
ai modelli classici del Sette-Ottocento, tenendo presente che si tratta come è ovvio di modelli di<br />
validità relativa ma straordinariamente utili e validi per la maggior parte della musica che ascoltiamo,<br />
incluso la musica leggera, popular etc.<br />
Nel contesto della teoria musicale classica si tratta del ritmo in maniera relativamente astratta,<br />
esemplificandolo d'altra parte con applicazioni facilmente comprensibili: un esempio tipico è<br />
l’alternarsi di due eventi percussivi isocroni (cioè di durata uguale) distinti da una qualità<br />
accentuativa o timbrica (il tic- tac- di un orologio). Eccone un altro appena più complesso:<br />
pronunciando le parole: “u–no, du-e” in modo che ognuna delle due sillabe abbia la stessa durata, si<br />
genera un semplice ritmo che può essere utilizzato come riferimento (si tratta di un ritmo binario<br />
semplice, in cui ogni membro (cioè quello rappresentato rispettivamente dall’esecuzione dell’uno e<br />
del due) risulta già suddiviso a sua volta in due parti, come nella pronuncia della parola “u/no”);<br />
Analogamente si può procedere per un ritmo ternario semplice: “u-no, du-e, tre-e” (in tal caso<br />
abbiamo a che fare con un ritmo ternario, suddiviso in unità binarie (per essere eseguito richiede<br />
dunque la suddivisione ‘forzata’ del monosillabo ‘tre’ in: ‘tre-e’). Spesso nella pratica didattica<br />
elementare della musica si accompagna la pronuncia di queste sillabe, dal valore esclusivamente<br />
esemplificativo, con movimenti del corpo che facilitano (ma per qualche principiante possono anche<br />
complicare!) l’isocronia dell’esecuzione. Da questi movimenti del corpo derivano anche i termini<br />
‘battere’ (oppure ‘in battere’) o ‘levare (‘in levare’) coi quali si allude al battere e al levare della<br />
mano (o del piede).<br />
Prendiamo i due modelli ritmici sopra riferiti come punto di partenza per alcune osservazioni:<br />
la prima è che questo tipo di spiegazione del ritmo, per quanto efficace, può comportare un equivoco<br />
in quanto induce a ritenere che il ritmo pre-esista ad un costrutto musicale vero e proprio (o ne sia,<br />
comunque, una dimensione autosufficiente); è vero piuttosto il contrario e cioè che noi astraiamo<br />
dall’esperienza <strong>dei</strong> costrutti reali alcuni schemi astratti, che poi rappresentiamo in maniera<br />
convenzionale (“u-no, du-e, etc.”). Da questa distinzione apparentemente pedante consegue che<br />
qualsiasi ritmo determinatosi entro un evento musicale presenta una complessità fenomenica<br />
superiore a quella della sua astrazione teorica. Infatti nell’evento reale interagiscono i diversi<br />
parametri e fattori musicali (altezza, intensità, timbro, melodia e fraseggio, armonia - e questi sia a<br />
livello di microstruttura, sia in quanto membri di sintagmi più ampi).<br />
Taluni problemi riguardanti la comprensione <strong>dei</strong> fenomeni ritmici derivano piuttosto dalla<br />
teorizzazione che non dalla natura intrinseca <strong>dei</strong> costrutti musicali. Per esempio, ci si chiede talvolta<br />
se ritmo e metro debbano essere considerati come elementi essenzialmente diversi fra loro (e la<br />
64
maggior parte delle trattazioni teoriche traccia in effetti una netta distinzione). Secondo il punto di<br />
vista qui esposto invece, sia ritmo che metro costituiscono astrazioni di eventi analoghi, poste<br />
tuttavia ad un livello gerarchico diverso.<br />
Il ritmo si colloca ad un livello inferiore, cioè particolare e proprio di ciascuna composizione<br />
(o talvolta di un genere di composizione) della quale costituisce un elemento di identità; il metro,<br />
viceversa, si pone ad un livello tipologico più alto (ossia più generale). I due piani si possono<br />
confondere quando non si esamina un costrutto specifico e se ne discutono solo le rappresentazioni<br />
astratte. Per esempio, nel primo terzetto dell’opera di Mozart Così fan tutte, il metro di quattro<br />
tempi è definito dal gruppo strumentale <strong>dei</strong> bassi, viole e vl II (di accompagnamento), mentre la<br />
melodia principale vi si sovrappone definendo una figura ritmica in tutto diversa, che presenta solo<br />
alcuni punti di congruenza con l’accompagnamento (il battere del primo e terzo tempo di ogni<br />
battuta, mentre l’attacco <strong>dei</strong> vl I non corrisponde né fraseologicamente ad un tempo forte<br />
dell’accompagnamento, né figurativamente, in quanto la figura di semicroma cade successivamente<br />
alla croma della terzina sottostante; solo nella parte finale della frase voce e accompagnamento<br />
divengono interamente congruenti).<br />
Es. mus.: W.A. Mozart, Così fan tutte, Atto I, sc. 1: Terzetto, batt. 1-11<br />
L’esempio mozartiano è relativamente trasparente ma entro tessuti musicali di maggiore complessità<br />
è difficile o impossibile separare con precisione i concetti di metro e ritmo, tanto che le due nozioni<br />
65
possono essere intese in un senso sintetico come un complesso metrico-ritmico. Non mi pare di<br />
conseguenza che si possa essere d’accordo con chi concepisce il metro come sinonimo<br />
dell’indicazione di tempo nella scrittura musicale (vi ci si riferisce semplicemente come al ‘tempo’ di<br />
una composizione); sebbene una tale indicazione prescriva una certa realizzazione, dal punto di vista<br />
fenomenico essa non è nulla più che una possibilità teorica, una scatola vuota che stabilisce il numero<br />
di moduli isocroni in cui si articola il costrutto. Quello che conta è il modo particolare nel quale il<br />
complesso metrico-ritmico viene realizzato dal compositore. Dobbiamo evitare di cadere<br />
nell’equivoco che attribuisce ai simboli della scrittura musicale una sostanza al di là della loro<br />
funzione pratica. I concetti di cui ci serviamo devono essere validi non tanto in relazione alla<br />
rappresentazione grafica ma alla musica eseguita e ascoltata, indipendentemente dalla circostanza che<br />
sia fissata in partitura.<br />
Nell’infinita possibilità di combinazione di eventi musicali sotto il profilo ritmico, non c’è<br />
dubbio che alcuni tipi principali siano privilegiati nell’uso. Si osserva (anche attraverso culture<br />
musicali molto diverse fra loro) che i ritmi riconducibili a modelli semplici e/o simmetrici sono<br />
favoriti, per il buon motivo che sono facilmente comprensibili in quanto si riferiscono a<br />
comportamenti universali e in tal senso ‘naturali’. Per esempio si cammina e si respira secondo cicli<br />
binari, per lo più isocroni. L’esperienza dell’isocronia è fondamentale nell’educazione al movimento<br />
e costituisce anche un fondamento dell’esperienza musicale. D’altra parte va sottolineata<br />
l’importanza della prospettiva contraria: quasi ogni cultura esprime, in un genere musicale o l’altro<br />
fra quelli che sviluppa, il tentativo di sottrarsi all’isocronia oppure di complicarla in maniera<br />
artificiosa. Questo è comune tanto a modi di far musica di tradizione orale come quelli <strong>dei</strong><br />
percussionisti del Senegal (genere Zykr) per i quali la sovrapposizione di strutture ritmiche (e timbri)<br />
incarna una prassi musicale professionale autonoma, quanto a procedimenti compositivi mediati<br />
intellettualmente, come l’elaborazione a tavolino di strutture preordinate (A. Berg, Lulu, Atto II),<br />
oppure la sovrapposizione di suddivisioni ritmiche razionali ma non congruenti fra loro (come nel<br />
lavoro cameristico Tre per sette di G. Petrassi.). Soluzioni di questo genere sono favorite laddove,<br />
per qualsiasi motivo di ordine culturale ed estetico, si voglia sottrarre i costrutti musicali all’ovvietà<br />
o alla trasparenza <strong>dei</strong> rapporti ritmici semplici.<br />
Negli esempi di divisione del tempo riportati più sopra abbiamo immaginato sequenze di<br />
eventi elementari: una sequenza binaria suddivisa ed una sequenza ternaria suddivisa. Ovviamente<br />
queste brevi cellule non trovano applicazione in un costrutto musicale reale, che deve dilatarsi per un<br />
numero considerevole di moduli. Immaginiamo allora che la sequenza binaria isocrona venga<br />
moltiplicata per n volte:<br />
66
u-no du-e / u-no du- e / u-no du-e / u-no du-e etc.<br />
Osserviamo che l’unica qualità attribuita alla sequenza è l’isocronia, ma questo implica che la<br />
serie di eventi, in quanto prolungata indefinitamente, perda la 'chiusura' che era data dalla stessa<br />
interruzione del modulo. Di conseguenza la serie di moduli prolungata nel tempo risulta<br />
indifferenziata al suo interno: da cosa deriviamo l'idea che sia articolata due a due, piuttosto che tre<br />
a tre (o qualsiasi altro raggruppamento) In effetti, nella misura in cui restano indifferenziati, i moduli<br />
sono una semplice ripetizione di u-no, u-no, u-no etc..<br />
Dal punto di vista percettivo, dunque, nulla impedisce che si intendano i gruppi di eventi<br />
come raggruppati a 1+1+1, oppure a 3 +3, o a 2+2, o qualsiasi altro raggruppamento arbitrario<br />
(3+2+5+7 etc.); in realtà è arbitrario concepire che esistano <strong>dei</strong> raggruppamenti (l’unico ‘vettore’ di<br />
un raggruppamento sono le parole ‘uno due e tre’ che però risultano irrilevanti da un punto di vista<br />
propriamente acustico-musicale).<br />
La scansione degli eventi non può essere articolata oggettivamente in gruppi ammenoché non<br />
vengano introdotte delle differenziazioni di natura musicale (e non solo semantica, come le parole<br />
uno, due tre etc.), <strong>dei</strong> segnali che definiscano l’inizio di ogni nuovo ciclo. Questi segnali sono detti<br />
‘accenti’.<br />
Accento<br />
Il termine ‘accento’ è generalmente usato per significare un ‘accento forte’, che caratterizza<br />
un evento musicale rispetto ad un altro relativamente più debole (per questo motivo, si parla<br />
comunemente, benché impropriamente di accenti forti ed accenti deboli nonché, come vedremo, di<br />
accenti ‘mezzo forti’). L’accento è dunque l’intensificazione relativa di un evento musicale,<br />
generalmente ottenuta attraverso la dinamica (sia come inflessione relativamente forte di un singolo<br />
suono, sia come sovrapposizione momentanea di più suoni che, sommati, producono<br />
un’intensificazione dinamica – oltreché una differenziazione timbrica).<br />
Una tale intensificazione può essere determinata o rinforzata con mezzi non primariamente<br />
dinamici, come ad esempio con l’armonia (per esempio con un avvicendamento armonico<br />
disgiuntivo, quando l’accento forte corrisponde all’introduzione di un nuovo accordo) o attraverso la<br />
disposizione complessiva <strong>dei</strong> suoni che compongono una frase musicale. Secondo J. Lester si<br />
possono distinguere numerosi accenti, diversamente costituiti: accento dinamico, accento di durata,<br />
accento dell’incipit (iniziale), accento testurale, accento di profilo melodico, accento articolatorio,<br />
accento motivico. A noi interessa chiarire qualche aspetto del primo tipo che è anche il più facilmente<br />
percepibile.<br />
67
Nella sua forma elementare l’accento viene esemplificato attraverso l’alternanza di un accento<br />
forte e di un accento debole. Tuttavia è necessario chiarire che solo per comodità teorica possiamo<br />
assumere un livello astratto di accentazione; nella realtà, ogni brano musicale contiene e rappresenta<br />
una applicazione particolare di fenomeni accentuativi (per quanto tipologicamente affini). Se si<br />
accetta il fatto che ogni elemento musicale ha una propria dimensione accentuativa (relativamente<br />
forte o debole, in relazione ad ogni altro elemento del costrutto) ne consegue che è possibile<br />
distinguere fra diversi livelli di accentazione, cioè fra accenti più o meno evidenti. Nella nostra<br />
descrizione elementare ci si riferisce ad un livello primario ed immediatamente percepibile ma se<br />
proviamo ad immaginare l’interazione di tutti gli strumenti di un’orchestra in un costrutto di notevole<br />
complessità ci rendiamo conto che l’accentazione è un fenomeno estremamente complesso. 6<br />
E’ da notare che la definizione degli accenti comporta qualche problema. Se è vero che la<br />
loro percezione è immediata anche per un ascoltatore inesperto, ci si deve però chiedere, in presenza<br />
di un suono che ha una durata nel tempo, se l’accentazione lo coinvolga interamente o non riguardi<br />
piuttosto la sola parte iniziale del suono (d’altra parte, dove terminerebbe precisamente la ‘parte<br />
iniziale’ del suono). 7<br />
L’esperienza pratica suggerisce che l’accentazione (e primariamente l’accentazione basata<br />
sulla dinamica) può avere decorsi fenomenici differenti, passando da un relativo f(orte) a un relativo<br />
p(iano), secondo diverse modalità di decadimento del suono che dipendono largamente dagli<br />
strumenti usati e in parte dalle intenzioni esecutive. In tal senso, l’accento è da considerare come un<br />
processo.<br />
La costituzione degli accenti sta alla base della definizione ritmico-metrica della musica. Se in<br />
una successione di eventi indifferenziati introduciamo delle connotazioni accentuative, esse<br />
costituiscono il ritmo. Il passo successivo nella tradizione occidentale è di collegare l’elemento<br />
isocronico con i processi accentuativi: questo dà luogo ai modelli ritmico-metrici più consueti:<br />
binario, ternario, quaternario etc., <strong>dei</strong> quali si dirà fra poco. Tuttavia la relazione fra isocronia ed<br />
accentazione non è necessaria in senso assoluto. Possiamo infatti immaginare modelli accentuativi<br />
collegati ad eventi non isocroni, come si riscontra in varie tradizioni musicali e/o in repertori<br />
particolari. Lo stesso ‘accento prosodico’ applicato a (o se si preferisce, derivante da) testi letterari<br />
moderni è un caso significativo (e di notevole importanza anche per la storia musicale). Per avere un<br />
6 Nell’articolazione accentuativa il teorico Leonard B. Meyer ha proposto di individuare (per utilità di analisi e in via<br />
convenzionale) tre livelli di accentuazione corrispondenti ad un’accentazione superficiale, ad un livello medio e ad<br />
uno profondo, via via meno immediatamente evidenti all'ascolto).<br />
7 Questa difficoltà ha indotto alcuni teorici (J.D. Kramer) a distinguere fra 'lassi di tempo' e ‘punti nel tempo’<br />
(timespans e timepoints) ma se la soluzione pare utile in teoria, nella realtà porta al paradosso che i ‘punti nel tempo’,<br />
sedi degli accenti, esattamente come i punti geometrici, dovrebbero essere intesi come privi di estensione.<br />
68
iscontro percettivo di questi due modelli generali, cioè a) isocronia+accenti e b) accenti indipendenti<br />
dall’isocronia si potrà confrontare una qualsiasi canzone del repertorio leggero corrente (caso a),<br />
oppure un tema di sonata classica (a) con l’esecuzione di un canto gregoriano (caso b) o con un<br />
brano del repertorio dell'avanguardia colta novecentesca (b) [B. Maderna, Biogramma: sezioni<br />
notate “in campo aperto”].<br />
In sostanza, la cultura musicale occidentale, almeno dal Settecento in poi, ha concepito la<br />
strutturazione metrico-ritmica come successione di durate entro moduli metrici costanti (4/4, 3/4<br />
etc); all'interno di questi moduli viene inoltre articolata una serie di ulteriori 'divisioni del tempo'.<br />
Altri concetti ritmici<br />
Il controllo e l'articolazione del tempo, tuttavia, può basarsi su criteri diversi. Nella cultura<br />
medievale dell'Occidente (ca. XII secolo), nella quale cominciò a porsi il problema di far andare<br />
daccordo due o più voci contemporanee (polifonia), si affermò un sistema di congruenze basato su<br />
moduli ritmici sovrapponibili (idealmente discendenti dai 'piedi' della metrica letteraria classica),<br />
denominati modi. I modi erano definiti dall'avvicendarsi di due valori di durata, rispettivamente la<br />
lunga (L), e la breve (B). Lunga e breve stabilivano un rapporto generale ma, a <strong>seconda</strong> del modo in<br />
cui venivano applicate, potevano avere fra loro una relazione 2:1 (1 lunga = 2 brevi) oppure una<br />
diversa (3:2). In altri termini, mentre veniva salvaguardato il principio di base per cui una L durava<br />
più di una B, esso non era associato ad un rapporto proporzionale invariabile. E' chiaro, anche senza<br />
entrare in ulteriori dettagli, che questa logica è diversa da quella a noi più familiare anche se<br />
raggiunge il fine di organizzare la struttura polifonica di un brano. Trattandosi di un sistema definito<br />
più dalle durate relative che dall''accentazione, ne consegue tuttavia un'incertezza circa il modo di<br />
rapportare le durate e gli eventuali accenti.. Di qui derivano interpretazioni e stili piuttosto diversi<br />
nelle moderne esecuzioni di polifonia antica.<br />
Altri esempi vengono da culture esotiche. L'organizzazione del tempo nelle culture musicali<br />
del subcontinente indiano si basa sull'articolazione del tala 8 in tre livelli diversi: il ciclo (āvarta), la<br />
partizione (vibhāga o vibhag) e la misura (mātrā). Ogni āvarta comprende due o più partizioni<br />
(vibhāga) che sono segnalate dal battito della mano: tuttavia questi battiti non articolanosempre<br />
durate uguali sicché l' āvarta non è divisa necessariamente in sottosezioni uguali, ma piuttosto risulta<br />
dalla somma di elementi (fra loro uguali oppure diversi). Al livello inferiore invece tutte le durate<br />
8 Non esiste un equivalente esatto del termine tala ma esso deriva dall'azione del battere le mani e in tal senso indica il<br />
controllo sui cicli temporali di cui si compone un brano musicale. Powers lo definisce una "durata fissa e ciclicamente<br />
ripetuta, articolata in segmenti mediante battiti della mano o strumenti percussivi idiofoni". Più concretamente, tala è<br />
un ciclo di eventi ritmici, ma in questo caso si usa più specificamente il termine āvarta, che si spiega più sotto.<br />
69
sono isocrone (mātrā). Un livello ancora più minuto di segmentazione è possibile ma non viene<br />
teorizzato e risulta in sostanza un'applicazione della pratica musicale.<br />
Benché l'organizzazione prevalente delle partizioni sia binaria (non diversamente<br />
dall'Occidente), sono previste strutture asimmetriche non binarie, sicché il sistema si fonda sui<br />
seguenti modelli:<br />
4 = 2+2 (equivalente ad un modello binario)<br />
3 = 1+2 (modello ternario)<br />
7 = 3+4<br />
5 = 2+3<br />
9 = 4+5<br />
Ad una classe di partizioni simmetriche si accosta una più ampia classe caratterizzata da<br />
asimmetria. Tuttavia, sebbene nella teoria prevalga l'elemento asimmetrico, nella pratica i modelli<br />
simmetrici prevalgono per più della metà nei repertori e stili (fra loro marcatamente distinti) sia<br />
dell'India settentrionale che di quella meridionale (Powers).<br />
Dovendo tracciare una distinzione generale fra il sistema controllo del tempo in Occidente<br />
(nell'ambito colto) e in India, si può ricorrere rispettivamente ai termini di 'tempo divisivo' e di 'tempo<br />
additivo'. Nel primo caso il sistema procede alla divisione quasi interamente determinata degli eventi<br />
rispetto al tempo dato, nel secondo si determina il tempo in quanto addizione di moduli fissi (che<br />
vengono tuttavia determinati solamente in parte, lasciando un margine ulteriore alla pratica<br />
improvvisativa).<br />
E' evidente che una tale comparazione dovrà anche tener conto del fatto che l'articolazione<br />
del tempo a livello di microstruttura o di media struttura (cioè in quelle che chiamiamo 'frasi') si<br />
rapporta con la determinazione della durata complessiva del brano, che presenta differenze<br />
concettuali sensibili, riferibili da un lato al fatto che la durata di un brano della tradizione occidentale<br />
colta è predeterminata (una durata 'chiusa', per così dire) e dall'altro al tipo di trasmissione (scritta<br />
vs. mnemonica).<br />
70
Armonia triadica<br />
Il termine ‘armonia’ ha differenti significati, da quello più ampio che indica un rapporto<br />
equilibrato fra le parti (di un qualsiasi oggetto, e in particolare di un'opera musicale) a quello più<br />
specifico, col quale si designa quella parte della teoria musicale (e della composizione in particolare)<br />
nella quale si apprende a strutturare i rapporti fra suoni contemporanei (che compongono i cosiddetti<br />
accordi), come pure le loro successioni.<br />
La forma elementare degli accordi si ottiene sovrapponendo a ciascun grado di una scala gli<br />
intervalli di terza e di quinta rispetto al suono più grave (oppure, il che gli equivale, due terze<br />
sovrapposte), così come si vede dall' es. 3.42. Ogni accordo di tre suoni è detto 'triade' e il modello<br />
generale dà luogo all'armonia 'triadica'.<br />
Es. 3.42<br />
Il procedimento dà luogo a una serie di triadi, che si dicono 'appartenenti', in questo caso, alla<br />
scala maggiore. Si rileva che le triadi così costruite sono di tre tipi rispetto agli intervalli che vi sono<br />
compresi: triadi maggiori composte di una terza maggiore e una quinta giusta (sul I, IV e V grado),<br />
triadi minori composte da una terza minore e una quinta giusta (sul II, III e VI grado) e infine la<br />
triade diminuita sul VII grado, conmposta da una triade minore e una quinta diminuita (ossia, il che<br />
equivale, dalla sovrapposizione di due terze minori). Sia le triadi maggiori che le minori<br />
comprendono l'intervallo di quinta giusta e si differenziano dunque per l'intervallo di terza sopra la<br />
fondamentale (maggiore o minore). La triade diminuita, che consta di una terza minore e di una<br />
quinta diminuita è, rispetto alle precedenti, è considerata dissonante (perché comprende l'intervallo<br />
dissonante di tre toni, detto anche 'trìtono'). Sul significato di consonanza e dissonanza si parlerà più<br />
approfonditamente nel prossimo paragrafo (per il momento è sufficiente comprendere il termine nel<br />
significato corrente).<br />
La configurazione triadica dell'accordo può essere frequentemente estesa con la<br />
sovrapposizione di una o più terze ulteriori. Si formano così accordi di quattro o più suoni diversi,<br />
comprendenti la settima e la nona rispetto alla fondamentale. Le quadriadi con la settima sono<br />
particolarmente frequenti nel linguaggio armonico classico.<br />
Nella realtà compositiva, le forme teorica elementare delle triadi, così come risulta<br />
dall'esempio 3.42, viene usata raramente. Questo per i seguenti motivi:<br />
71
- la scrittura 'normale' del periodo classico prevede quattro suoni per accordo,<br />
ciascuno corrispondente ad una delle 'voci' dalle quali il suono doveva essere eseguito 9 (e<br />
non tre soli suoni, quanti sono quelli della triade); di conseguenza, un accordo completo<br />
richiede il raddoppio di uno <strong>dei</strong> suoni (di solito la fondamentale o la terza);<br />
- storicamente, l'organizzazione degli accordi risulta dalla conduzione delle singole<br />
voci o parti melodiche e dal principio secondo il quale ogni parte dovrebbe presentare il<br />
massimo grado di indipendenza dalle altre (ciò significa che dovrebbe seguire un proprio<br />
andamento logico anche se ascoltata indipendentemente dalle altre, il che è per la verità<br />
un'aspirazione ideale ma raramente può essere realizzata per tutte le voci, o perlomeno<br />
non in tutti gli stili e generi in modo analogo); E' chiaro invece che nel modello teorico<br />
sopra riportato le singole voci che compongono le triadi si procedono parallelamente<br />
(cioè tutte verso per moto di grado verso l'alto o verso il basso), il che le rende<br />
intrinsecamente 'dipendenti' le une dalle altre;<br />
- gli accordi possono presentarsi in posizione 'fondamentale' (con il suono<br />
fondamentale al basso) oppure in posizione rivoltata (o in posizione di rivolto). La<br />
posizione di primo rivolto si ha quando è al basso la terza dell'accordo. La posizione di<br />
secondo rivolto si ha con la quinta al basso;<br />
- gli accordi possono presentarsi tanto in posizione stretta (quando fra i suoni delle<br />
voci superiori non c'è spazio per un altro suono della stessa triade), sia in posizione 'lata'.<br />
Ovviamente, sebbene i suoni componenti la triade siano sempre gli stessi, l'effetto<br />
complessivo ed il grado di consonanza (e quindi stabilità) degli accordi è diverso fra posizioni strette<br />
e late, fondamentali o rivoltate.<br />
Per verificare acusticamente quanto qui esposto, si veda l’esempio musicale 3.43 a-h a tre<br />
parti, nel quale si danno tre triadi del I, V e nuovamente I grado di una scala di Do maggiore (sono<br />
sempre Do, Mi, Sol - Sol Si, Re e nuovamente Do, Mi Sol), in una serie di configurazioni diverse.<br />
L’armonia classica teorizza quali siano le configurazioni più appropriate a <strong>seconda</strong> del contesto di<br />
utilizzo, come pure le successioni più opportune.<br />
9 Questo perché la scrittura prevalente della musica corale classica impiegava quattro 'voci' corrispondenti alle<br />
tessitura prevalenti nelle voci umane, vale a dire soprano, contralto, tenore e basso (rispettivamenta dalla più acuta<br />
alla più grave).<br />
72
Es. 3.43<br />
A questo punto è legittimo chiedersi a chi spetti determinare cosa sia appropriato ed<br />
opportuno. Questi aggettivi hanno senso solo nella misura in cui rimandano a stili e concetti<br />
storicamente determinati; in altri termini, la teoria rimanda ad una precisa visione estetica. Infatti, a<br />
chi le ascoltasse per la prima volta e fuori da un contesto determinato, le realizzazioni armoniche<br />
dell’esempio potrebbero apparire tutte ugualmente buone. Tuttavia ognuna ha una fisionomia<br />
leggermente diversa (in ragione della disposizione delle voci) e può risultare più o meno efficace<br />
delle altre in relazione al contesto (a <strong>seconda</strong> cioè della posizione entro una frase musicale, del<br />
genere musicale, dello stile o dell’organico).<br />
Per esempio, in prossimità della fine di un segmento musicale che si volesse usare come<br />
conclusione, le soluzioni f) o quella h) sarebbero certamente più efficaci della e) o della g).<br />
Prima di procedere nell’esame di alcune strutture armoniche 'applicate' e delle loro<br />
implicazioni è necessaria qualche altra considerazione. In primo luogo osserveremo che la teoria<br />
dell’armonia, così come per la melodia e il ritmo, è per sua natura un’astrazione. Non esiste nella<br />
storia musicale uno stile che impieghi le concatenazioni di accordi così come le troviamo in un<br />
trattato d’armonia. Ci si approssima ad una coincidenza fra teoria e pratica nel corale bachiano a<br />
quattro voci (per il buon motivo che la teoria è desunta per astrazione da questo particolare<br />
repertorio). Ma anche nel caso di composizioni come i corali semplici, il tessuto musicale è sempre<br />
più complesso di una successione accordale 'da manuale' in quanto comporta, come non ci si<br />
stancherà di ripetere, l’interazione di tutti i parametri musicali ed anche delle condizioni pratiche di<br />
esecuzione.<br />
Nel corale bachiano, la ragione di certe regole o consuetudini circa il movimento delle parti<br />
non sarebbe comprensibile se non si considerassero i presupposti materiali di quel linguaggio, cioè<br />
73
che si tratta di scrittura per quattro voci (SATB) che, almeno idealmente, deve essere eseguibile da<br />
non professionisti.<br />
La presentazione in forma astratta dell’armonia, d'altra parte, si può considerare come una<br />
utile necessità didattica. Secondo Arnold Schönberg, che prima di inventare la dodecafonia<br />
approfondì la teoria armonica tradizionale “se si combinassero tutte le possibilità delle funzioni<br />
armoniche con tutte le possibilità del ritmo e della melodia, ne nascerebbe una complicazione tale da<br />
riuscire impenetrabile sia al maestro sia all’allievo”. 10 Di qui l’utilità di isolare le successioni<br />
armoniche e trattarle a sé, nella coscienza però che non si può sostituire la comprensione del<br />
linguaggio armonico alla comprensione di un costrutto musicale integrale senza perderne di vista la<br />
logica complessiva. Va altresì precisato che i trattati di armonia sono stati scritti per insegnare ai<br />
compositori come strutturare un pezzo mentre qui ci limitiamo a spiegare concetti utili per chi vuole<br />
comprendere meglio musica già composta da altri.<br />
Infine, si tenga conto che la teoria armonica si sviluppò nella sua formulazione classica nel<br />
corso del Sette e dell'Ottocento ma l’armonia, in quanto sistema di relazioni fra suoni contemporanei,<br />
è esistita sia prima che dopo quel particolare periodo storico. Si può dire però che dal Settecento<br />
maturo (l’epoca di Mozart, Haydn e <strong>dei</strong> loro successori) l’armonia in quanto dimensione privilegiata<br />
del pensiero compositivo raggiunge il suo momento più alto perché coinvolge non solo il livello<br />
fraseologico (la sintassi delle strutture piccole e medie) ma la dimensione formale intera di un brano<br />
(o anche di un’opera comprendente più movimenti). Le grandi forme musicali settecentesche ed<br />
ottocentesche (in particolare la sinfonia ed il poema sinfonico, ma prima ancora le opere in più<br />
movimenti di Bach o i melodrammi di Mozart e molti altri compositori) sono state sviluppate anche<br />
sulla base di concezioni armoniche portate alle estreme conseguenze. D’altra parte, anche il tramonto<br />
- o piuttosto l’eclissi temporanea - del linguaggio armonico tradizionale nella prima metà del<br />
Novecento non ha rappresentato per davvero la fine dell'armonia come si poté pensare per qualche<br />
tempo, ma una sua ri-configurazione. Un moderno teorico dell’armonia applicata al Jazz, Vincent<br />
Persichetti, esordisce nel proprio trattato affermando che “Qualunque gruppo di note può essere<br />
seguito da qualunque altro gruppo di note”, manifestando dunque un atteggiamento che non avrebbe<br />
potuto essere condiviso da un compositore classico. D’altra parte, a questa libertà armonica<br />
sconfinata non corrisponde nei generi moderni di riferimento una rilevanza strutturale dell’armonia<br />
comparabile a quella che segnò l’epoca delle grandi forme classiche.<br />
10 Manuale di armonia, a cura di L. Rognoni, trad. di G. Manzoni, Milano, Il Saggiatore 1963, vol. 1, p. 15.<br />
74
Consonanza e dissonanza<br />
Per arrivare a comprendere le implicazioni più ampie del linguaggio armonico è necessario<br />
partire dalle microstrutture e ancor prima da alcuni concetti (o se si preferisce realtà fenomeniche)<br />
che presiedono alla loro organizzazione, come i termini di ‘consonanza’ e ‘dissonanza’.<br />
Un gruppo accordale di suoni viene considerato 'consonante' o 'dissonante' (così come sono<br />
considerati consonanti o dissonanti gli intervalli fra suoni successivi).<br />
Per il fenomeno <strong>dei</strong> suoni armonici, ogni suono include in sé stesso (in misura maggiore o<br />
minore) il risuonare di altre frequenze. Secondo la definizione del fisico Helmoltz, due suoni sono da<br />
considerare consonanti quando condividono <strong>dei</strong> suoni armonici. Questo punto di vista considera in<br />
via privilegiata i primi armonici (che sono anche quelli acusticamente più rilevanti perché più<br />
avvertibili).<br />
Quanto più alto è il numero delle frequenze condivise (entro i primi armonici), tanto più<br />
consonante risulta l'intervallo o l'accordo che lo contiene. Un suono fondamentale condivide<br />
armonici con una altro fondamentale che sta a distanza di quinta e dunque, fatti risuonare insieme,<br />
producono consonanza. Lo stesso suono non condivide frequenze (perlomeno fra i primi e più<br />
rilevanti armonici) con la sua <strong>seconda</strong> minore, e di conseguenza i due suoni producono dissonanza.<br />
Così di ogni intervallo o, per estensione, ogni accordo.<br />
Non esiste peraltro un consenso assoluto circa la distinzione fra dissonanza e consonanza,<br />
come prova il fatto che nella storia della teoria certi intervalli ed accordi sono stati considerati<br />
talvolta consonanti e talvolta dissonanti, arrivando in qualche caso a coniare termini che<br />
pretendevano di aggirare il problema mentre in realtà evidenziavano una difficoltà, come il termine<br />
'semiconsonante' (attribuito all'intervallo di quarta).<br />
Bisogna aggiungere che i termini 'consonante' e 'dissonante' rimandano a considerazioni di<br />
psicoacustica, cioè ad una definizione sperimentale della 'gradevolezza' di un intervallo (o accordo)<br />
per un determinato individuo o gruppo di persone; non entreremo tuttavia in quest'ordine di<br />
problemi, tenendo per buone le definizioni della teoria musicale così come derivate dalla fisica<br />
elementare.<br />
Stabilito il valore storico e relativo <strong>dei</strong> termini, possiamo accogliere una delle classificazioni<br />
tradizionali degli intervalli (e, successivamente, degli accordi):<br />
unisono = consonante<br />
<strong>seconda</strong> min. = dissonante<br />
<strong>seconda</strong> magg. = dissonante<br />
terza minore = consonante<br />
terza maggiore consonante<br />
75
quarta giusta = consonante 11<br />
quinta giusta = consonante<br />
sesta magg. = consonante<br />
sesta minore = consonante<br />
settima = dissonante<br />
Sono dissonanti tutti gli intervalli eccedenti e diminuiti. Sono consonanti gli accordi che contengono<br />
solo intervalli consonanti; dissonanti quelli che contengono almeno un intervallo dissonante. 12<br />
E' fondamentale rilevare che ogni suono, ogni intervallo ed ogni accordo, possiede una certa<br />
ambiguità rispetto al proprio punto di riferimento riferimento tonale: il suono Do è la tonica in Do<br />
maggiore, ma anche il V grado di Fa, il IV di Sol etc.; così pure, la triade sul I grado di Do maggiore<br />
è anche triade sul V grado di Fa e sul IV di Sol. E' dal contesto <strong>dei</strong> collegamenti armonici, dalla<br />
posizione ritmica ed anche dalla disposizione e dall'andamento delle parti (cioè dai processi melodici,<br />
detti anche lineari) che si può capire in quale tonalità si collochi un determinato accordo o un'intera<br />
frase musicale. Spesso una situazione armonica si presenta come ambigua ed anzi il conseguimento<br />
di tale ambiguità rappresenta presso certi autori un risultato consapevolmente ricercato.<br />
11 Per Johannes Tinctoris si trattava di una dissonanza (Terminorum musicae diffinitorium, ca. 1473)<br />
12 Il neofita può legittimamente chiedersi per quale motivo debba essere considerato 'dissonante' un intervallo di<br />
<strong>seconda</strong> eccedente (1 tono e mezzo) dal momento che viene invece considerato consonante quello di terza minore<br />
acusticamente equivalente (è sempre 1 tono e mezzo). L'apparente paradosso si spiega perché la 'dissonanza' non è una<br />
qualità intrinseca dell' intervallo ma è correlata al contesto nel quale compare; così, in una progressione che porti dalla<br />
triade sul I grado a quella sul III grado di Do maggiore (Do-Mi-Sol, Re#-Fa-La, Mi-Sol-Si) l'intervallo Do-Re#<br />
assegnato alla triade intermedia sul II grado risulta dissonante, sia in virtù della relazione fra la <strong>seconda</strong> e la prima<br />
triade, che della relazione con la terza.In differenti circostanze l'intervallo di un tono e mezzo è considerato<br />
consonante, per es. nella successione Do-Mi-Sol/Re#(=Mibem.)-Fa-La/Fa-Re-Si bem.; si nota però che ciò il punto di<br />
arrivo tonale, cioè la triade di Si bem. (in posizione di rivolto) configura una diversa tonalità rispetto all'accordo di<br />
partenza (che era la triade sul primo grado di Do magg.); inoltre, esattamente in rapporto al contesto, quello che<br />
poteva apparire come un Re# 'funziona' in realtà come un Mi bemolle in quanto implica (ossia 'prelude a') una<br />
risoluzione nella tonalità della quale costituisce il quinto grado (Mi bem.= V di Si bem.). E' da notare infine che<br />
nell'accordo Mib-Fa-La, il Mib è in effetti a sua volta considerato una dissonanza, ma non già rispetto al Do che lo<br />
precede, bensì rispetto al Fa del suo stesso accordo (del quale rappresenta la settima in posizione di rivolto).<br />
76
Una analisi<br />
Sulla base della precedente schematizzazione (e delle successive considerazioni), possiamo<br />
provare a rilevare e riconoscere in un costrutto musicale reale gli accordi (detti anche 'armonie')<br />
consonanti o dissonanti ed esaminare in che modo il compositore si valga della tonalità.<br />
Nell'esempio 3.41 (una melodia corale tradizionale al soprano, corredata da tre altre voci<br />
originali composte da J.S. Bach), notiamo quanto segue:<br />
- la tonalità è definita a priori per posizione (cioè semplicemente perché così inizia il brano)<br />
dall'accordo sul I grado di Do, formato col raddoppio della tonica in posizione esterna (cioè alla<br />
voce più alta e a quella più bassa, S e B); notiamo tuttavia che si trova in posizione ritmica<br />
debole rispetto al successivo accordo (triade del V grado); dal punto di vista percettivo, la<br />
posizione ritmica debole non può essere avvertita fin dall'inizio ma si chiarisce con l'entrata del<br />
secondo accordo (relativamente più 'forte');<br />
- sia il primo che il secondo accordo sono consonanti, e così pure il terzo, che introduce però un<br />
suono estraneo alla scala di Do e caratteristico invece della scala di Sol (triade sul V grado di<br />
Sol: Re Fa#, La); in tal modo, l'armonia che si era appena udita (e che appariva in relazione a Do<br />
come armonia del V grado) viene reinterpretata come armonia del I grado (di Sol); ma il<br />
processo di deviazione dalla tonalità di Do a quella di Sol non è ancora completato; potrà esserlo<br />
solo se si farà ritorno alla triade di Sol (come infatti sta per accadere). Ci si potrebbe arrivare<br />
semplicemente avvicendando alla triade della dominante (Re) quella della nuova tonica (Sol), ma<br />
il compositore rende il processo più interessante (o meno semplice, se si preferisce), arricchendo<br />
la triade della dominante (Re) con una quarto suono (il Do che la parte di tenore tocca nell'ultima<br />
frazione della battuta, passando da Re a Si). Dunque, per quanto momentaneamente, si impiega<br />
l'accordo Re-Fa#-La-Do che, in quanto contiene l'intervallo dissonante di 7a (Re/Do) è esso<br />
stesso complessivamente dissonante. In tal modo, l'armonia viene resa più instabile e tanto più<br />
efficace risulta la 'risoluzione' di questa instabilità nel successivo accordo, che cade sul tempo<br />
forte della battuta.<br />
77
- C'è da rilevare la cura con la quale viene introdotta la dissonanza Do: sull'ultima frazione debole<br />
di un tempo debole e attraverso un moto congiunto discendente della parte, che per di più è una<br />
parte 'interna': se fosse stata affidata al soprano o al basso la dissonanza sarebbe risultata più<br />
esposta e sensibile (non per questo inapplicabile, ma probabilmente troppo intensa per un brano<br />
che si è appena iniziato);<br />
- Bisogna infine notare che questi 5 accordi non sono semplicemente <strong>dei</strong> 'blocchi' di suoni<br />
incolonnati verticalmente ma nascono di movimenti lineari delle singole voci. In tal senso, sono<br />
particolarmente sensibili ed efficaci i movimenti della parti esterne; qui vediamo come il S muove<br />
per grado congiunto da Do a Sol, descrivendo in forma completa il percorso di allontanamento<br />
dalla tonalità di partenza. Il B muove invece per salti di quinta a cavallo fra le battute, e cioè fra<br />
tempi deboli e i successivi forti Do-Sol, Re-Sol (con un movimento di quarta intermedio). Il salto<br />
di quinta è anche detto salto fondamentale in quanto configura, se in posizione ritmica adeguata,<br />
la più forte risoluzione melodica dalla dominante alla tonica.<br />
Da un punto di vista grammaticale il segmento esaminato presenta una modulazione, cioè a dire<br />
un cambiamento di tonalità. Si potrebbe ritenere che sia strano o addirittura inappropriato<br />
abbandonare praticamente fin dall'inizio la tonalità appena definita all'inizio. In altri contesti stilistici,<br />
in effetti, questo non avrebbe lo stesso senso. Per esempio in una forma di sonata la tonalità di<br />
impianto si sarebbe mantenuta per un certo numero di battute e cioè almeno fino alla presentazione<br />
di un primo inciso tematico (ovvero dell'antecedente di una frase musicale nella tonalità di impianto,<br />
completata poi con il suo conseguente, solitamente basato sulla triade di dominante). Si veda<br />
l'esempio qui sotto dove vediamo che la mano sinistra del pianoforte espone per due intere battute la<br />
medesima trade di I grado di Sol:<br />
78
Questo però non qualifica come scorretta o infelice l'armonizzazione bachiana; piuttosto, ci fa<br />
immediatamente capire quanto diverse possano essere le declinazioni del linguaggio armonico. Nel<br />
caso del corale qui esaminato abbiamo a che fare con un linguaggio molto ricco, caratterizzato da un<br />
frequente avvicendamento di triadi e da una transizione pressoché continua a differenti regioni tonali<br />
(come vedremo nel prosieguo); d'altra parte, le tonalità non vengono confermate e consolidate per<br />
lungo tempo. Si potrebbe concludere che questo uso dell'armonia ha una valore locale o<br />
microstrutturale rispetto alla frase melodica principale e più esposta (al S), che ne risulta<br />
caratterizzata in senso espressivo. D'altra parte è la stessa brevità del costrutto (17 battute in tutto) e<br />
la sua natura di elaborazione artificiosa di una melodia semplice preesistente a suggerire che un<br />
approccio diverso (per esempio applicato a strutture di media o lunga durata, cioè di 2-4-8 battute)<br />
non avrebbe spazio per svilupparsi o, viceversa, non contribuirebbe a rendere interessante una<br />
melodia che, quanto ai suoni che la compongono, non abbandona mai la scala di Do maggiore.<br />
Ritmo armonico<br />
Prima di proseguire con l'esame del corale è utile a questo punto una precisazione terminologica sul<br />
concetto di 'ritmo armonico'. Questo è definibile come il numero di cambiamenti armonici (di triadi<br />
differenti) entro una battuta. Si noti che il 'ritmo armonico' non coincide col ritmo figurativo (ossia il<br />
ritmo in senso proprio). Per esempio, figurazioni anche molto dense ritmicamente ma basate sui<br />
suoni di una stessa triade non determinano movimento armonico e dunque non costituiscono una<br />
intensificazione del ritmo armonico (in altre parole, hanno solo una valenza ritmica e timbrica).<br />
- A partire dalla <strong>seconda</strong> metà della batt. 3 (alla parola wie), si ritorna alla triade di Do che a<br />
questo punto appare come un IV grado in relazione alla precedente triade di Sol; ma subito viene<br />
inserita una nuova alterazione, il Si bem. del T che appartiene alla scala di Fa magg. (oppure alla<br />
sua relativa minore, Re minore). In effetti si tocca la triade di Fa alla parola groß ma<br />
immediatamente dopo viene reintrodotto al S il Si naturale: in questa posizione (und) viene<br />
raggiunta per la <strong>seconda</strong> volta una triade dissonante: si tratta della triade sul VII grado di Do, in<br />
posizione rivoltata (con la terza al basso); anche qui è notevole la delicatezza con la quale<br />
l'accordo dissonante viene raggiunto attraverso moti congiunti (e quindi scorrevoli e naturali) di<br />
tutte le voci: S e C salgono, mentre T e B scendono); la triade sul Do (alla parola schwer)<br />
compare per la prima volta dall'inizio del brano su di un tempo forte;<br />
- Con la successiva triade si ritorna al V grado di Do che viene subito reinterpretato come nuova<br />
tonica, attraverso l'introduzione del Fa#. Tuttavia perché tale tonica venga affermata<br />
79
sensibilmente si dovrà arrivare a riproporla su di un tempo forte, come in effetti accade alla fine<br />
della parola (Sün) -den. Tutta questa frase avvicenda la funzione del I grado (su tempi deboli) e<br />
quella della dominante (o del VII grado) su quelli forti, fino alla successione cadenzale<br />
caratteristica I-II-V-I che marca il raggiungimento sul tempo forte della triade di Sol come I<br />
grado. In tutta la frase è sempre notevole il trattamento <strong>dei</strong> suoni dissonanti: alla parola mein' per<br />
esempio il Sol diventa dissonante in battere (in quanto settima del La che sta al B), mentre era<br />
consonante nell'accordo precedente. Questo modo di preparare la dissonanza si chiama 'ritardo'<br />
perché in effetti costituisce un ritardo nella presentazione del suono consonante 'giusto' della<br />
triade (che è il successivo Fa#); un altro suono estraneo alla triade è il Do al B alla fine della<br />
stessa battuta. Si tratta di un suono di passaggio non essenziale ma che si giustifica anche<br />
melodicamente in quanto la progressione La-Si-Do del B viene imitata immediatamente dopo dal<br />
S. Mentre però la linea del B conduceva al Re (dominante di Sol sul tempo forte), quella del S<br />
ritorna al punto di partenza (La) per poi scendere a Sol (che sarà tonica sul tempo forte alla<br />
sillaba - den). Il La che precede il raggiungimento della tonica è il suono più lungo dall'inizio del<br />
brano e prepara in maniera evidente il raggiungimento di un punto di stasi (lo stesso<br />
procedimento, detto di 'aggravamento ritmico' lo ritroveremo alla fine, ancora al S, ma questa<br />
volta la progressione melodica sarà Re-Do, e condurrà alla tonalità di impianto). C'è da notare il<br />
procedimento cadenzale alla parola Sünden. Qui abbiamo sul tempo forte una triade del IV grado<br />
(rispetto alla tonica locale Sol) alla quale si aggiunge però una dissonanza (preparata col sistema<br />
del 'ritardo' del Sol dalla battuta precedente). Nella <strong>seconda</strong> metà della battuta si configura la<br />
triade di dominante (Re), cui si aggiunge di passaggio la settima (Do) dissonante, secondo il<br />
procedimento già visto in precedenza alla batt. 2);<br />
- La semifrase successiva è la più neutra armonicamente del brano in quanto si basa quasi<br />
esclusivamente sull'avvicendamento di armonie consonanti. Solo alla sillaba (hel) - fen ci si<br />
riporta ad una triade di dominante con l'aggiunta della settima che, come avevamo visto in<br />
precedenza rappresenta un punto di tensione immediatamente precedente la risoluzione sulla<br />
tonica locale Sol;<br />
- La frase successiva e finale inizia sulla triade di Do in primo rivolto sul tempo debole e termina<br />
sulla stessa triade in posizione fondamentale e quindi conclusiva. Contiene però un'ultima e<br />
pronunciata modulazione che, introducendo nel B la scala di La (minore) conduce sul tempo<br />
forte della terz'ultima battuta ad una diversione verso quella regione tonale, immediatamente<br />
revocata con il ritorno ai suoni della scala dio Do nella battuta successiva. Qui, tuttavia, più<br />
interessante del meccanismo delle triadi è l'uso della tessitura che produce, con un generale<br />
80
spostamento verso l'acuto, il raggiungimento di un culmine di intensità timbrico e insieme<br />
figurativo (per la prima volta dall'inizio del brano il valore ritmico prevalente è la semiminima<br />
(una quarto di battuta), invece della minima (mezza battuta). Nella penultima battuta si nota<br />
anche a T la quarta trattata come una dissonanza (lo è effettivamente rispetto al Do del S) e<br />
dunque 'preparata' dalla battuta precedente.<br />
81
Forma<br />
Si può abbozzare un discorso sulla forma sia dal punto di vista teoretico che con un semplice<br />
esempio. Scegliamo la <strong>seconda</strong> via. La forma-canzone fa parte della comune esperienza musicale più<br />
di ogni altra, benché si tratti a ben vedere di un oggetto non esclusivamente musicale, in quanto la<br />
musica interferisce significativamente con un testo. Ma servirà ugualmente bene.<br />
Una 'normale' canzone è articolata in due parti, che chiameremo convenzionalmente A e B.<br />
La parte A consiste in una melodia caratteristica (composta di uno o più segmenti o 'frasi' in sé stesse<br />
concluse); la parte B impiega una <strong>seconda</strong> e diversa melodia. A e B si avvicendano determinando<br />
attraverso il loro contrasto una varietà sufficiente a mantenere l'interesse e l'attenzione<br />
dell'ascoltatore per il tempo che ci si aspetta da una brano di tale genere (dai 3 ai 4 minuti circa).<br />
Schematicamente, la forma si riduce a questo:<br />
AB AB AB<br />
Dopodiché la canzone termina con uno 'sfumato' o con una breve coda (spesso<br />
esclusivamente strumentale). Esistono alcune varianti di questo schema fondamentale (per esempio,<br />
l'introduzione con carattere recitativo o l'introduzione strumentale che anticipa la prima frase vocale<br />
affidandola agli strumenti), ma qui non ci interessano. Il semplice avvicendamento di due 'cose'<br />
diverse (ciascuna delle quali presenta una sua relativa indipendenza) e la loro ripetizione definisce<br />
una forma che possiede un grado di differenziazione (derivante dalla diversità di A e B) ma anche<br />
una coerenza intrinseca (data dal ciclico ritorno delle 'cose' che si sono già ascoltate come pure dallo<br />
coerenza di stile che acaratterizza tali frasi).<br />
Questo è sufficiente a costituire una forma musicale (denominata anche forma/struttura),<br />
anche se bisogna aggiungere che il testo verbale aggiunge in una canzone una complicazione<br />
interessante: infatti mentre A utilizza un testo che cambia ad ogni ritorno del materiale musicale, B<br />
utilizza sempre lo stesso testo (la combinazione di A col testo che cambia si chiama 'strofa', quella di<br />
B con quello che ritorna uguale prende il nome di 'ritornello'):<br />
Materiale musicale: A B A B A B coda<br />
Materiale verbale: strofa1 rit. strofa 2 rit. strofa 3 rit.<br />
Prescindiamo momentaneamente dal testo verbale per rilevare che, da un punto di vista<br />
musicale, questa forma è definita per addizione e ripetizione. La sua fortuna è dovuta alla chiarezza,<br />
essenzialità e relativa facilità di memorizzazione. I suoi limiti sono la scarsa capacità di supportare<br />
brani estesi ed il rischio di risultare banale e prevedibile; in effetti, nella canzone questi rischi devono<br />
essere evitati ricorrendo ad altri elementi di interesse (testo, timbro strumentale, vocalità etc.). In<br />
82
questa forma la coerenza dipende soprattutto dalla ripetizione ciclica di materiali musicali<br />
differenziati. Si potrebbe immaginare anche qualcosa di diverso e non meno funzionale, come ad<br />
esempio una coerenza dipendente da una relazione relativamente forte (una 'somiglianza' di qualche<br />
genere) fra i materiali di A e di B: un caso di questo genere si ha ad esempio nella prima parte della<br />
canzone di Mogol-Batttisti Non è Francesca (prima della lunga coda strumentale che la conclude).<br />
Si possono immaginare (e ritrovare nella storia musicale) altri concetti formali di tipo<br />
additivo, con un grado analogo o anche minore di coerenza. Forme di questo sono chiamate, nei casi<br />
più enigmatici (o apparentemente disordinati) rapsodie. La rapsodia, in senso generale, comprende<br />
una successione di elementi che hanno relazioni molto tenui fra di loro e si succedono liberamente:<br />
A,B, C, D etc. Solitamente anche in queste forme, tuttavia, si presentano <strong>dei</strong> 'ritorni' (il termine<br />
tecnico è 'ripresa') di materiali già uditi (A,B, C, D, A). Nel repertorio pop, uno degli esempi più noti<br />
è la Bohemian rhapsody del gruppo Queen; in quello classico occidentale ci si riferisce tipicamente<br />
all'opera di Franz Liszt che adottò frequentemente modelli formali rapsodici.<br />
Nella strutturazione della forma classica sono di grande importanza non solamente i materiali<br />
melodici (o comunque tematici) impiegati ma anche le tonalità nelle quali vengono proposti. Se il<br />
primo materiale presentato è in una tonalità 'x', il secondo può essere in una tonalità diversa 'y',<br />
solitamente vicina alla tonalità di impianto (quindi per esempio, se A è il Do maggiore, B sarà in Sol<br />
maggiore, mentre se la tonalità di impianto è minore, il secondo tema è solitamente nella relativa<br />
maggiore).<br />
Esistono d'altra parte forme che sfruttano la capacità della musica (e della musica polifonica<br />
in particolare) di mantenere inalterati certi elementi mentre, nello stesso tempo, ne vengono variati<br />
degli altri. Questo si rileva in particolare nella forma delle variazioni su di un tema (melodia affidata<br />
perlopiù ad una parte acuta, almeno alla prima presentazione) oppure delle variazioni su di un basso<br />
(cioè su un modulo fisso di accompagnamento o su di una successione armonica caratteristica). In tal<br />
caso si ha contemporaneamente la permanenza di un elemento e la variazione di un altro. Delle<br />
variazioni su un basso potrebbero essere schematizzate così:<br />
a b c d e<br />
A, A, A, A, A, etc.<br />
Si osserva dunque che la ripetizione è un elemento indispensabile per la coerenza formale,<br />
così come la varianza è indispensabile per mantenere vivo l'interesse intrinseco <strong>dei</strong> costrutti musicali.<br />
Meno ovvia però è la natura degli elementi che definiscono coerenza o varianza, spesso piuttosto<br />
sottili o avvertibili solo ad un livello subliminale, oppure accertabili attraverso procedimenti di analisi<br />
talvolta piuttosto complessi.<br />
83
Forma di sonata<br />
Così come è utile riflettere sulle forme più semplici di tipo essenzialmente additivo, è'<br />
indispensabile familiarizzarsi con quelle più complesse. Fra queste la più importante nella nostra<br />
cultura musicale è la forma-sonata o forma di sonata. Bisogna preliminarmente chiarire che sonata e<br />
forma di sonata sono cose differenti. La forma di sonata è un concetto costruttivo che viene<br />
applicato ad un singolo movimento di una composizione in più movimenti. Per lo più si tratta del<br />
primo movimento di una sonata, di un concerto, di una sinfonia, di una ouverture operistica (più<br />
raramente, la forma viene applicata ad un movimento intermedio o finale entro gli stessi generi). La<br />
forma venne a maturazione a partire dal medio Settecento e continuò ad essere usata per buona parte<br />
dell'Ottocento, divenendo un punto di riferimento essenziale nella pratica compositiva. La forma<br />
sonata, come concetto formale astratto, non è particolarmente complessa e consente in verità<br />
applicazioni svariate e realizzazioni talvolta volutamente anomale rispetto al modello normale, che è<br />
il seguente:<br />
Prima parte (esposizione)<br />
gruppo tematico A | ponte | gruppo tematico B | |<br />
tonalità X | transizione tonale che passa a: ! tonalità Y | | ripetizione dell'esposizione<br />
Seconda <strong>Parte</strong> (sviluppo)<br />
elementi di A e B o elementi del ponte, per lo più in combinazione<br />
tonalità Y, W, Z, etc. con frequenti modulazioni fino alla dominante di X, prima della:<br />
Terza parte (ripresa)<br />
Gruppo A | ponte |Gruppo B | Coda<br />
tonalità X | transizione tonale che torna a: | tonalità X | sempre in X<br />
La relazione fra il tema principale del primo gruppo tematico ed il secondo è spesso di<br />
opposizione o contrasto; presso certi autori, tuttavia, viene piuttosto ricercata una forte coerenza fra<br />
i due temi, sicché il secondo è derivato più o meno palesemente dal primo (questo è tipico di forme<br />
di sonata realizzate da F. J. Haydn).<br />
L'elemento logico essenziale della forma di sonata è la 'riconciliazione' tonale che si svolge<br />
nella ripresa fra il primo ed il secondo tema (o gruppo tematico). Si può dire che il brano non possa<br />
dirsi completo se tutti i materiali tematici non sono stati uditi nella medesima tonalità. La cosa si<br />
può esprimere anche in questo modo: l'esposizione presenta una 'dissonanza strutturale' (fra primo e<br />
secondo gruppo tematico) che viene risolta nella ripresa.<br />
Un secondo elemento è ravvisabile a livello stilistico piuttosto che strutturale e consiste nei<br />
procedimenti di elaborazione motivico-tematica, che meritano una trattazione particolare ma che, in<br />
breve, rappresentano un modo di far derivare svariati materiali musicali da uno stesso nucleo che può<br />
84
essere considerato 'generatore'. Implicito in questo approccio è il presupposto estetico secondo il<br />
quale l'unità del movimento realizzata attraverso la coesione <strong>dei</strong> materiali è in sé un valore, una sorta<br />
di obbligo autoimposto dal compositore ed apprezzato dal fruitore.<br />
Esistono decine di migliaia di brani musicali strutturati secondo questi concetti il cui schema<br />
formale viene seguito talvolta rigidamente, talvolta in modo molto elastico o apertamente deviante.<br />
Fra brani diversi può risultare molto diversa la dimensione relativa dello sviluppo che a volte<br />
consta di poche battute soltanto, a volta invece è il cuore dell'intero movimento e la sezione più<br />
interessante sotto il profilo tecnico-compositivo. Peraltro esistono anche realizzazioni di forma<br />
sonata senza sviluppo, la più celebre delle quali è forse l'Ouverture dell'opera Le Nozze di Figaro di<br />
W.A. Mozart.<br />
Un'altra variante interessante, benché non frequente, consiste nell'inversione <strong>dei</strong> due gruppi<br />
tematici durante la ripresa, così che ad un'esposizione AB, corrisponde una ripresa BA.<br />
L'importanza della forma-sonata per lo sviluppo di movimenti di grandi dimensioni non può<br />
essere esagerata. Prendere confidenza con la sua logica intrinseca e saperne riconoscere i contorni<br />
all'ascolto rappresenta un passo importante, anche se non facile, per la comprensione <strong>dei</strong> maggiori<br />
capolavori musicali dell'Occidente.<br />
85
Bibliografia essenziale<br />
M. Agamennone-S.Facci-F. Giannattasio-G. Giuriati, Grammatica della musica etnica, Roma,<br />
Bulzoni 1991.<br />
L. Azzaroni, Canone infinito. Lineamenti di teoria della musica, Bologna. CLUEB, 1997.<br />
V. Persichetti, Armonia del ventesimo secolo, ed. it. a cura di F. Jegher e L. Cerchiari, Milano,<br />
Guerini 1993<br />
W. Piston, Armonia, Edizione riveduta e ampliata da Mark DeVoto, ed. it. A cura di G. Bosco-G.<br />
Gioanola, G. Vinay, Torino, EdT 1989<br />
N. Ruwet, Linguaggio, Musica, Poesia, Torino, Einaudi 1972, in particolare il capitolo 5, Alcune<br />
osservazioni sulla funzione della ripetizione nella sintassi musicale, pp. 120-133.<br />
86
GLOSSARIO<br />
Accordatura<br />
Accordo<br />
Acuto<br />
Aleatoria<br />
Alterato<br />
Alterazione<br />
Altezza<br />
Armonia<br />
Armonico - Armonici<br />
Atto dell’accordare, cioè far corrispondere i suoni di uno strumento musicale (nel<br />
pianoforte, organo, strumenti a corda, ecc.) ad un modello di riferimento<br />
(temperamento equabile, natulare, pitagorico).<br />
Per estensione, accordare più strumenti musicali tra di loro (in un ensemble o in<br />
un’orchestra).<br />
Ai fini della standardizzazione internazionale, nel corso dell’800 è stato<br />
concordare di considerare la nota la con frequenza 440 Hz, come frequenza di<br />
riferimento per l’accordatura.<br />
Sonorità derivante da suoni prodotti contemporaneamente (normalmente tre o più).<br />
In una partitura viene rappresentata mediante la sovrapposizione verticale delle<br />
note.<br />
(Suono acuto) Suono di frequenza più alta relativamente ad un altro suono. Nella<br />
prassi vengono considerati generalmente acuti i suoni a partire dal Do nel terzo<br />
spazio della chiave di violino.<br />
Musica aleatoria: musica basata sul caso come parte fondamentale della tecnica<br />
compositiva (dal termine alea, caso). Comprende una parte della musica della fine<br />
degli anni ’50 del XX secolo e degli anni ’60, come quella di John Cage che<br />
utilizzava forme di sorteggio del materiale musicale oppure alcune partiture<br />
(Troisième sonate di Pierre Boulez, Mobile di Pousser) che lasciavano libertà<br />
all’interprete nella scelta dell’ordine delle sezioni di partitura da suonare<br />
(importante è il concetto di ‘opera aperta’, secondo la definizione di Umberto Eco).<br />
Vedi alterazione<br />
Storicamente certi suoni aventi la stessa frequenza (identici tra loro), venivano<br />
denominati diversamente. D’altra parte, suoni di frequenza diversa venivano<br />
denominati con lo stesso nome, più un suffisso distintivo (do diesis, do bemolle, do<br />
bequadro); queste diverse frequenze venivano cioè considerate delle ‘alterazioni’<br />
del suono principale.<br />
Per indicare queste alterazioni si utilizzano <strong>dei</strong> simboli posti prima della nota sul<br />
pentagramma:<br />
• il bemolle ( ) indica l’abbassamento di un semitono,<br />
• il diesis ( ) indica l’innalzamento di un semitono,<br />
• il bequadro ( ) annulla l’effetto di alterazioni precedenti.<br />
In circostanze particolari, devono esser utilizzati i segni di doppio diesis e doppio<br />
bemolle, che alzano o abbassano la nota di un tono intero.<br />
È una delle caratteristiche primarie del suono; corrisponde alla frequenza (numero<br />
di oscillazioni per secondo, indicata in Hertz) di oscillazione del sistema sonoro<br />
che la genera.<br />
La tecnica (e il conseguente risultato) della combinazione e concatenazione di più<br />
suoni simultanei (accordi), nonché la definizione della loro funzione all’interno del<br />
sistema tonale. Nasce come disciplina strutturata con il Traité de l’harmonie<br />
(1722) di Jean-Philippe Rameau.<br />
Armonico : una delle frequenze che compongono la serie delle armoniche.<br />
Armoniche: insieme di suoni prodotti assieme ad una nota fondamentale (la serie<br />
include anche la armonica fondamentale), emesso dagli strumenti cordofoni o<br />
aerofoni. L’insieme della serie degli armonici dà luogo alla percezione di una nota<br />
precisa, la fondamentale. La fisica acustica, infatti, spiega che un suono prodotto<br />
da un corpo vibrante non è mai puro, ma è costituito dall’amalgama del suono<br />
fondamentale e di altri più acuti e meno intensi: gli armonici. La loro intensità e/o<br />
87
presenza hanno un’importanza fondamentale nella determinazione del timbro di<br />
uno strumento.<br />
Gli armonici sono multipli interi della frequenza fondamentale. Se prendiamo a<br />
riferimento il suono fondamentale di la 440 Hz (primo armonico), il suo secondo<br />
armonico sarà 880 Hz (440*2), il terzo 1320 Hz (440*3), il quarto 1760 Hz<br />
(440*4), ecc.<br />
La prima armonica caratterizza la nota che effettivamente percepiamo, e ha<br />
ampiezza (volume) maggiore, come si vede in una qualsiasi visualizzazione dello<br />
spettro.<br />
Basso<br />
1) Nella musica vocale, indica il registro più grave tra le voci maschili e il cantante<br />
che la possiede. La voce di un basso ha un timbro profondo e scuro. La sua<br />
estensione è rappresentata in figura, dove il tasto in grigio più scuro rappresenta il<br />
do centrale del pianoforte.<br />
2) Il termine indica anche comunemente il Basso elettrico, o alcuni strumenti a<br />
fiato: basso tuba, clarinetto basso, sassofono basso, trombone basso.<br />
3) Indica anche la parte più grave di un brano affidata a strumenti con estensione<br />
grave (basso elettrico, pianoforte, contrabbasso, violoncello, ecc.) che serve a<br />
“sostenere” l’armonia generata dall’insieme delle note generate dai vari strumenti.<br />
4) infine la chiave di basso è la chiave collocata sulla quarta linea del<br />
pentagramma e indica la nota fa sotto il do centrale del pianoforte.<br />
Cassa armonica<br />
Castrato<br />
Clausola<br />
Cognitivismo<br />
Contralto<br />
La cassa armonica o cassa di risonanza è la parte degli strumenti a corda o a<br />
percussione costituita da una cavità racchiusa da materiale di vario tipo e serve ad<br />
amplificare il suono prodotto in virtù della risonanza dell’aria in essa contenuta.<br />
Cantante adulto di sesso maschile che subiva la castrazione in pubertà; in questo<br />
modo possedeva eccezionali capacità vocali, agilità, potenza ed estensione molto<br />
ampia (anche fino a tre ottave, coprendo i registri di soprano, contralto, tenore e<br />
talvolta basso). La pratica iniziò nel secolo XV (poiché le donne non potevano<br />
cantare nelle chiese, i castrati sostituivano le loro parti). La tecnica della<br />
castrazione fu utilizzata fino alla fine del XIX secolo; esiste infatti la registrazione<br />
dell’ultimo castrato vivente, Alessandro Moreschi, incisa a Roma nel 1902. Nato<br />
nel 1858, dal 1898 Moreschi fu il direttore del coro della Cappella Sistina, cappella<br />
in cui fu attivo anche come cantante fino al 1913 (Ascolto n. 56).<br />
Famoso è il film, peraltro infame, Farinelli (1994) del regista Gérard Corbiau,<br />
storia del castrato Carlo Broschi (1705-1782) che divenne famoso ai tempi di G.F.<br />
Haendel. La voce del cantante è stata ricreata con il programma di sintesi vocale<br />
CHANT dell’IRCAM di Parigi, unendo la caratteristiche della voce bianca (di<br />
bambino) e di soprano.<br />
È una delle forme melodiche utilizzate nelle chiusure <strong>dei</strong> canti gregoriani. Nella<br />
clausola dell’organum (forma polifonica primitiva del secolo XII-XIII), il tenor (la<br />
voce che intonava il canto) creava linee più variate e agili, in contrasto con le altre<br />
voci che cantavano con schemi più regolari.<br />
In musica, il cognitivismo studia i processi psicologici che si innescano nella<br />
mente umana durante la percezione della musica.<br />
Nella musica vocale, indica il registro più grave tra le voci femminili e bianche e la<br />
88
cantante (o il bambino) che la possiede. La sua estensione va dal Fa sotto al do<br />
centrale al sol (anche oltre in certi casi) della <strong>seconda</strong> ottava.<br />
Nella musica del XVI secolo la voce veniva sostituita da falsettisti maschi o da<br />
castrati (contraltisti).<br />
Il termine indica anche gli strumenti che hanno una estensione corrispondente alla<br />
voce (es. sassofono, ecc.).<br />
Decadimento<br />
Dervisci rotanti<br />
Diatonico<br />
Diminuito<br />
È la <strong>seconda</strong> fase di sviluppo di un suono: dopo aver raggiunto l’ampiezza<br />
massima dell’attacco ( transitorio d’attacco), il suono perde la sua massima energia<br />
e si stabilizza.<br />
Riferito alla danza vertiginosa della tradizione Sufi, con i dervisci vestiti di bianco<br />
e con lungo cappello di feltro in testa. La trance (wajd) raggiunta attraverso la<br />
musica, ha un ruolo importantissimo nella ricerca di Dio, scopo ultimo della<br />
pratica religiosa del Sufismo. La cerimonia religiosa è fatta di preghiera, musica<br />
(strumentale, fra cui spiccano il flauto e i timpani, e vocale corale) e danza, con le<br />
quali si raggiunge il wajd (rivelazione della Verità). Le forme ritmiche sono<br />
chiamate pesrev (introduzione orientale composta da quattro frasi musicali) e<br />
semai (opera strumentale a tre tempi).<br />
Intervallo diatonico: è l’intervallo i cui suoni sono compresi in una scala diatonica<br />
(la scala eptatonica occidentale, formata da sette note delle 12 della scala<br />
cromatica, con schema T - T - s - T - T - T - s).<br />
Intervallo diminuito: intervallo inferiore di un semitono all’intervallo giusto o<br />
minore che ha lo stesso nome, ad esempio sol-la (<strong>seconda</strong> diminuita), sol-si<br />
(terza diminuita), sol-dob (quarta diminuita), sol-reb (quinta diminuita), sol-mi<br />
(sesta diminuita), sol-fab (settima diminuita), sol-solb (ottava diminuita). Si dice<br />
anche di un accordo quando l’intervallo tra la nota più grave e quella più acuta è<br />
diminuito.<br />
Dinamica L’insieme delle variazioni dell’intensità del suono, indipendentemente<br />
dall’accentuazione ritmica. I segni dinamici vengono indicati internazionalmente<br />
con i termini italiani e le abbreviazioni ppp (più che pianissimo), pp (pianissimo),<br />
p (piano), mp (meno piano), mf (mezzoforte), f (forte), ff (fortissimo) e sf<br />
(sforzato), comprese le loro trasformazioni (cresc.: crescendo, dim.: diminuendo).<br />
Il valore (ampiezza) di tali segni è relativa al contesto musicale e non è<br />
determinata in maniera assoluta. La dinamica indica allo strumentista l’intensità<br />
con cui suonare lo strumento o la voce e serve a dare maggiore espressività ai<br />
brani.<br />
In elettroacustica indica l’intervallo tra i livelli estremi di misura di un segnale<br />
acustica, indicata con dB (decibel): 1 dB è il più flebile suono, 140 dB il più<br />
intenso, sopra il quale il sistema uditivo umano prova dolore.<br />
Dodecafonia<br />
È la tecnica compositiva introdotta da Arnold Schoenberg (1874-1951) con lo<br />
scopo di superare definitivamente le regole armoniche della sistema tonale. Il<br />
sistema prevede la creazione di una serie, successione di 12 suoni che coprono il<br />
totale cromatico. La serie può essere utilizzata per ottenere linee orizzontali o<br />
agglomerati verticali, seguendo vari processi: da sinistra a destra (serie originale),<br />
da destra a sinistra (serie retrograda), innalzamento o abbassamento di tutta la<br />
serie di uno o più semitoni (trasposizione), inversione a specchio di tutti gli<br />
intervalli (inversione: una terza minore ascendente diventa una terza minore<br />
discendente, ecc.).<br />
Tra i protagonisti della dodecafonia, oltre a Schoenberg, i maggior furono Alban<br />
Berg e Anton Webern, che assieme a Schoenberg vengono identificati come<br />
Seconda Scuola di Vienna.<br />
89
Eccedente<br />
Falsettista<br />
Fondamentale<br />
Forma sonata<br />
Frequenza<br />
Intervallo eccedente: intervallo che eccede di un semitono quello dell’intervallo<br />
giusto o maggiore con lo stesso nome, ad esempio sol-la# (<strong>seconda</strong> eccedente), solsi#<br />
(terza eccedente), sol-do# (quarta eccedente), ecc.<br />
Cantante maschile specializzato nell’uso della tecnica vocale del falsetto<br />
(l’estensione vocale che la voce maschile può raggiungere al di sopra della sua<br />
gamma normale), cioè in grado di cantare parti di soprano (sopranista) o contralto<br />
(contraltista).<br />
(frequenza fondamentale) Il primo suono di una serie di armonici.<br />
La Forma Sonata viene applicata ad un movimento singolo, che solitamente fa<br />
parte di un lavoro più esteso (come per esempio una Sinfonia, una Sonata, un<br />
Quartetto, ecc.). La sua forma tipica consiste in una struttura tonale dialettica sul<br />
piano del materiale tematico (primo e secondo gruppo tematico a confronto) e del<br />
materiale tonale (tra la tonalità d’impianto e la sua dominante se in tonalità<br />
originaria maggiore, relativa maggiore se in tonalità originaria minore),<br />
organizzata in tre sezioni:<br />
1) esposizione (tonica, modulazione ad altra tonalità);<br />
2) sviluppo (sviluppa in senso modulante il materiale tematico dell’esposizione; il<br />
carattere di instabilità è fondante rispetto alla natura di questa sezione, tuttavia il<br />
continuo variare <strong>dei</strong> piani tonali non è destabilizzante della forte coesione formale<br />
dell’intera composizione, ma al contrario è giocato sul continuo procrastinare del<br />
ritorno alla tonalità d’impianto);<br />
3) ripresa (riprende letteralmente il materiale esposto nella prima sezione,<br />
riconducendolo per intero alla tonalità di impianto, rinunciando cioè<br />
all’opposizione dialettica delle due tonalità vicine a confronto in funzione del<br />
consolidamento definitivo della tonalità d’impianto).<br />
La frequenza indica il numero di volte in cui un corpo oscilla in un secondo,<br />
(dunque il numero di onde generate in un secondo). Viene misurata in Hertz [Hz]<br />
(cicli al secondo). Le frequenze delle note dal do centrale del pianoforte alla sua<br />
ottava sono:<br />
Do<br />
Do#<br />
Reb<br />
Re<br />
Re#<br />
Mi<br />
b<br />
Mi Fa Fa#<br />
Solb<br />
Sol<br />
Sol#<br />
Lab<br />
La<br />
La#<br />
Sib<br />
Si<br />
Do<br />
261.63<br />
277.18<br />
293.66<br />
311.13<br />
329.63<br />
349.23<br />
369.99<br />
391.99<br />
415.31<br />
440.00<br />
466.16<br />
493.88<br />
523.25<br />
Generatore<br />
Giusto<br />
Grave<br />
Hertz<br />
Qualsiasi dispositivo che genera un suono (strumenti musicali, sintetizzatori,<br />
generatore di impulsi, ecc.).<br />
Intervallo giusto: l’intervallo di quarta, quinta e ottava (o undicesima, dodicesima,<br />
sedicesima, ecc.) quando non sono eccedenti o diminuiti. Sono definiti giusti in<br />
quanto appartengono sia alla scala maggiore che alla scala minore; infatti se<br />
analizziamo una scala maggiore e una minore con la stessa tonica, queste avranno<br />
in comune il primo, il quarto, il quinto e l’ottavo grado).<br />
(Suono grave) Suono di bassa frequenza – (Tempo) indica l’andatura lenta e quasi<br />
marziale di un brano (si trova all’inizio della partitura).<br />
(abbreviato in Hz) è l’unità di misura, internazionalmente riconosciuta, della<br />
frequenza, dal nome del fisico tedesco Heinrich Rudolf Hertz (1857-1894). Un<br />
hertz significa uno al secondo: quindi una frequenza di 100 Hz significa cento al<br />
secondo, dove l’unità può essere applicata a qualsiasi evento periodico (non solo al<br />
suono; quindi si può dire che in un orologio il ticchettio corrisponde a 1Hz).<br />
90
Imboccatura<br />
Intensità<br />
Intervallo<br />
Dispositivo che serve a mettere in vibrazione la colonna d’aria contenuta in un<br />
tubo negli strumenti aerofoni. Può essere di diversi tipi: bocchino (trombe e corni),<br />
ancia (clarinetti e oboi), bordo affilato di un’imboccatura (flauti).<br />
È il volume, la forza della sensazione sonora provocata dal suono; in base al<br />
volume si distinguono, soggettivamente, suoni forti (intensi) o deboli.<br />
In elettroacustica, la misura che indica l’energia di un segnale acustico è il dB<br />
(decibel): 1 dB è il più flebile suono, 140 dB il più intenso, sopra il quale il sistema<br />
uditivo umano prova dolore.<br />
La distanza tra due suoni, misurata in gradi. La distanza identifica quanti gradi<br />
intercorrono tra i due suoni, contando quelli in questione (es. do-re: intervallo di<br />
<strong>seconda</strong>, ecc.).<br />
[fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Intervallo_%28musica%29]<br />
Maggiore<br />
Melodia<br />
Melodramma<br />
Microtonale<br />
Scala maggiore: è composta da 8 gradi, ovvero otto suoni o note, che si dispongono<br />
su un’ottava. Una scala maggiore è costituita da uno schema fisso di intervalli,<br />
cioè da una serie di intervalli così organizzati: T-T-ST-T-T-T-ST, schema che<br />
definisce la distanza fra i suoi gradi.<br />
Successione di note di differente altezza la cui struttura genera una figura musicale<br />
di senso compiuto; procedere per gradi congiunti o disgiunti lungo una scala, a<br />
<strong>seconda</strong> che segua la successione di toni e semitoni o compia <strong>dei</strong> salti tra i vari<br />
gradi.<br />
È sinonimo di Opera Lirica, genere teatrale totalmente o quasi interamente cantato,<br />
con cantanti sulla scena che cantano l’azione, con costumi, scenografie e<br />
l’orchestra posizionata nella buca (oltre a melodramma, si usa parlare anche di<br />
opera in musica, opera, teatro musicale). Il testo letterario su cui si basa il<br />
melodramma, contenente i dialoghi e le didascalie, viene detto libretto.<br />
Generalmente, l’opera o melodramma è composta di una successione di arie (in cui<br />
il o i cantanti esprimono un singolo tema, idea, sentimento) e di recitativi (parti<br />
melodicamente meno identificate che fanno avanzare l’azione della storia).<br />
Intervallo microtonale: intervallo inferiore al semitono (terzo, quarto di tono, ecc.),<br />
dunque estraneo alla scala diatonica del sistema tonale occidentale. È usato in scale<br />
91
extra-europee, nella musica d’avanguardia o con strumenti che non seguono il<br />
sistema basato sulla scala cromatica.<br />
Minore<br />
Modulazione<br />
Monodia<br />
Mottetto<br />
Musicologia<br />
Neumatica<br />
Scala minore: ogni tonalità maggiore possiede una tonalità ‘relativa minore’.<br />
Questa tonalità si ottiene dal sesto grado della tonalità maggiore in questione<br />
oppure scendendo di una terza minore. Viene definita ‘scala minore naturale’ la<br />
scala costruita a partire dal sesto grado della scala maggiore. Per la scala di do, ed<br />
esempio, la scala minore naturale relativa sarà la minore, per re sarà invece si<br />
minore, ecc. La successione degli intervalli nella scala minore naturale è T-St-T-T-<br />
St-T-T.<br />
Esistono altre due scale minori, derivate dalla minore naturale: la scala minore<br />
armonica (che viene ottenuta alterando il settimo grado della scala minore<br />
naturale) e la scala minore melodica (che, oltre al settimo grado, altera in senso<br />
ascendente anche il sesto grado della scala).<br />
La modulazione corrisponde ad un cambio di tonalità, attraverso varie tecniche<br />
compositive, all’interno di un brano.<br />
Canto composto per una sola linea melodica, vocale, senza accompagnamento,<br />
praticato nella musica antica e medievale. Il termine viene contrapposto a<br />
polifonia.<br />
Forma musicale polifonica, vocale o vocale e strumentale, che ha subito una lunga<br />
trasformazione, di argomento amoroso o liturgico. Nasce nel XIII secolo dai primi<br />
esperimenti polifonici di Perotino e di altri autori della scuola di Nôtre-Dame (fine<br />
sec. XII - prima metà del sec. XIII), come elaborazione a due o a tre voci di una<br />
melodia preesistente (detta tenor). Nel XV secolo il ruolo di parte melodica<br />
principale passa al soprano, e diventa materia di libera invenzione per il<br />
compositore. Come conseguenza di questo passaggio, nei secoli successivi le voci<br />
<strong>seconda</strong>rie venivano spesso realizzate da strumenti. Tra gli autori di mottetti<br />
citiamo Orlando di Lasso, G.P. Palestrina e Andrea e Giovanni Gabrieli (nel ‘500),<br />
e successivamente C. Monteverdi, J.S. Bach, Brahms e altri.<br />
L’insieme delle discipline storiche e sistematiche che si dedicano allo studio della<br />
musica. La disciplina si è sviluppata nella <strong>seconda</strong> metà del XIX secolo in<br />
ambiente tedesco e francese, per influenza del positivismo. Tradizionalmente la<br />
disciplina viene distinta in:<br />
• musicologia sistematica, che comprende le discipline che affrontano le<br />
caratteristiche costanti della musica in senso teorico e con metodi scientifici<br />
(statistici o delle scienze sociali) (acustica, psicologia della musica, analisi,<br />
sociologia, semiologia);<br />
• musicologia storica, che studia la musica come un prodotto storicamente<br />
determinato e si occupa in particolare della musica prodotta in Europa, a<br />
partire dal Medioevo, usando un approccio storico (bibliografia musicale, la<br />
filologia musicale, paleografia musicale, organologia, la critica testuale);<br />
• etnomusicologia, inizialmente definita "musicologia comparata", che sviluppa<br />
lo studio della musica popolare; si propone di raccogliere e ordinare le<br />
testimonianze musicali, inserendole nel contesto delle varie culture e civiltà;<br />
• musicologia applicata, disciplina più recente che si occupa del l’applicazione<br />
della musica ad altri ambiti, come ad esempio la musicoterapia, o la didattica<br />
della musica.<br />
Da neuma: segno che, nella musica gregoriana, corrisponde al nostro concetto di<br />
nota (dal greco nêuma: ‘segno’) ma che può significare una nota o un gruppo di<br />
note.<br />
Inizialmente la funzione <strong>dei</strong> neumi era puramente mnemonica e venivano chiamati<br />
chironomici, cioè gestuali (bisogna ricordare che la trasmissione del canto<br />
gregoriano è nata oralmente; solo successivamente si è iniziato a scrivere i segni da<br />
cantare, che richiamavano gli accenti delle parole: notazione adiastematica, cioè<br />
92
senza rigo). Verso la fine del XIII secolo si arriva alla precisazione degli intervalli<br />
melodici e ad una notazione diastematica, su rigo. La scrittura <strong>dei</strong> neumi<br />
corrispondeva perciò più precisamente anche a melismi elaborati.<br />
La scrittura <strong>dei</strong> neumi variava da monastero a monastero. Tra i neumi si potevano<br />
trovare, ad esempio, il pes (neuma di due note ascendenti), la clivis (neuma di due<br />
note discendenti), il torculus e il porrectus (neuma di tre note ascendenti e<br />
discendenti), il climacus (neuma di tre o più note discendenti), ecc.<br />
Non periodico<br />
Oktoechos<br />
Organum<br />
Ornamentazione<br />
Ottava<br />
Overtone singing<br />
Partitura<br />
Periodico<br />
Poema sinfonico<br />
Suono non periodico: è un suono generato da onde acustiche irregolari e non<br />
periodiche e che psicologicamente viene percepito come rumore o suono non<br />
intonato.<br />
(o octoechos) termine che indica il sistema degli otto modi della musica<br />
gregoriana.<br />
Organum parallelo: è il termine con il quale si definiscono le prime forme musicali<br />
non monodiche in uso dal XI al XIII secolom costituite da due voci parallele<br />
(principalis e organalis) che procedevano nota contro nota (punctus contra<br />
punctum), per intervalli di quarta o quinta.<br />
(Organum) Ma il contrappunto, nell’accezione più conosciuta, inizia nel XII<br />
secolo, quando le due voci dell’organum abbandonano il parallelismo iniziale e la<br />
<strong>seconda</strong> voce comincia a procedere per moto contrario o in modo indipendente<br />
(moto obliquo: mentre una voce scende o sale, l’altra si mantiene sulla stessa<br />
linea). Si sviluppano così l’organum triplum (a tre voci) e quadruplum (sa quattro<br />
voci), che portano allo sviluppo del mensuralismo, cioè al sistema di notazione<br />
(nato con il primo grande sviluppo della musica polifonica nei secc. XII-XIII), che<br />
codificava il principio, rimasto a base della notazione moderna, secondo il quale le<br />
durate <strong>dei</strong> suoni sono regolate da precisi rapporti matematici.<br />
La pratica improvvisativa di inserire abbellimenti in una linea melodica vocale o<br />
strumentale.<br />
È l’intervallo tra una nota ed un’altra che presenta una frequenza doppia. Per<br />
esempio, l’ottava di un la 440 Hz, ha una frequenza di 880 Hz, mentre quello<br />
un’ottava inferiore ha una frequenza di 220 Hz. Il rapporto tra le frequenze di due<br />
note in ottava è 2:1. Dopo l’unisono, l’ottava è l’intervallo più semplice e<br />
l’orecchio umano sente due note separate da un’ottava come se fossero ‘uguali’.<br />
Nella scala cromatica, l’ottava è divisa in 12 semitoni.<br />
Tecnica vocale in cui una singola voce riesce a produrre simultaneamente due o<br />
più note chiaramente udibili. Normalmente il cantante produce un lungo bordone<br />
di una nota tenuta, sopra al quale riesce a far emergere single note indipendenti.<br />
Tale tecnica è praticata da secoli in Asia, in particolare da parte <strong>dei</strong> monaci<br />
tibetani e da tribù mongole e turche.<br />
L’insieme di righi musicali condensati in una sola parte complessiva, ad uso del<br />
compositore o del direttore d’orchestra. La parte, invece, è la notazione musicale<br />
riservata ad uno strumento solista, oppure ai differenti strumenti di una formazione<br />
cameristica o orchestrale, notati singolarmente.<br />
Suono periodico: un suono periodico contiene, oltre alla frequenza fondamentale<br />
che dà il nome alla nota, la frequenza doppia (un’ottava più acuta), quella tripla<br />
(una quinta) e così via, secondo il fenomeno degli armonici. Il teorema di Fourier<br />
stabilisce che qualunque suono periodico è sempre rappresentabile mediante un<br />
opportuno numero d’onde (sinusoidi) di determinate ampiezze, frequenze e fasi.<br />
Genere di musica a programma (ispirato ad una fonte letteraria o extra-musicale in<br />
genere) per orchestra sviluppatosi nel corso del XVIII e nei primi anni del XIX<br />
secolo.<br />
93
Polifonia<br />
Psicoacustica<br />
Psicologia della musica<br />
Psicologico<br />
Registrazione<br />
Relativa<br />
Risuonatore<br />
Ritmo<br />
Rivolto - teoria <strong>dei</strong> rivolti<br />
Scala<br />
Semitono<br />
È lo stile compositivo secondo il quale un brano musicale presenta più linee<br />
melodiche del tutto indipendenti l’una dall’altra, sia dal punto di vista melodico<br />
che ritmico, ma che insieme formano un’unità musicale coerente.<br />
Disciplina che studia il comportamento <strong>dei</strong> meccanismi fisiologici e psicologici che<br />
intervengono nella percezione uditiva. Al fine di ottenere risultati agevolmente<br />
quantificabili, nelle ricerche di psicoacutsica vengono usati prevalentemente suoni<br />
puri (sinusoidi o suoni decontestualizzati rispetto ad un insieme di suoni che<br />
compongono la musica), o rumori. La ricerca su brani veri e propri infatti diventa<br />
molto complicata a causa del sovrapporsi <strong>dei</strong> suoni.<br />
Fin dalla sua nascita, attorno agli inizi del secolo scorso, si è occupata degli aspetti<br />
inerenti la musica in relazione alla percezione <strong>dei</strong> suoni oppure all’indagine sulle<br />
abilità musicali. Attorno agli anni ‘60 la disciplina si è allargata a studiare la<br />
musica vera e propria. Le prime ricerche studiarono gli effetti psicologici <strong>dei</strong> modi<br />
maggiore e minore, delle tonalità, delle consonanze e delle dissonanze, del ritmo.<br />
Dalla metà degli anni ‘70 si sono sviluppati nuovi campi di ricerca grazie al più<br />
recente approccio cognitivista, che considera la musica come processo che si basa<br />
su rappresentazioni mentali che l’individuo si crea ascoltando un brano musicale.<br />
Vedi Psicologia della musica<br />
(di strumento, in particolare dell’organo) scelta e combinazione <strong>dei</strong> registri<br />
(timbri) di alcuni strumenti a tastiera per la corretta resa <strong>dei</strong> valori espressivi e<br />
stilistici di un determinato brano musicale.<br />
Relativa minore: vedi minore<br />
Risuonatore è qualsiasi corpo elastico nel momento in cui entra in vibrazione<br />
eccitato da vibrazioni esterne. I risuonatori possono essere accordati (la risonanza è<br />
legata ad una frequenza precisa, come nel caso degli strumenti a fiato) o liberi (non<br />
hanno condizionamenti, come nel caso degli strumenti a corda). La voce umana<br />
comprende entrambe le caratteristiche.<br />
Susseguirsi di una serie di accenti che presentano una regolarità periodica; è basato<br />
sulla suddivisione del tempo in forme e misure variabili.<br />
Rivolto: Tutti gli intervalli possono essere rivoltati spostando all’ottava superiore la<br />
nota grave, di modo che la nota acuta diventi il basso del rivolto. Ad esempio,<br />
l’intervallo Do-Sol viene trasformato nel suo rivolto Sol-Do (come regola generale,<br />
la somma dell’intervallo e del suo rivolto dà sempre nove: l’unisono diventa ottava<br />
(1+8=9); la <strong>seconda</strong> diventa settima (2+7=9), ecc.). ogni intervallo maggiore<br />
diventa minore, ogni intervallo eccedente diventa diminuito e viceversa.<br />
Teoria <strong>dei</strong> rivolti: nella teoria dell’armonia del sistema tonale, si chiama rivolto di<br />
un accordo un accordo formato dalle stesse note, ma con un ordine verticale<br />
diverso (es: do-mi-sol diventa mi-sol-do).<br />
Successione ascendente o discendente di suoni (note ovvero frequenze) compresi<br />
nell’ambito di un’ottava.<br />
È il più piccolo intervallo usato nella scala cromatica occidentale. Per visualizzare<br />
il semitono basta ricordare che un’ottava sulla tastiera del pianoforte è composta da<br />
7 tasti bianchi inframmezzati da 5 tasti neri (5+7=12). L’intervallo di semitono sta<br />
tra un tasto bianco e il successivo tasto nero, oppure tra le note mi-fa e si-do.<br />
94
I semitoni della scala cromatica sono spaziati in uguale misura, secondo il sistema<br />
del temperamento equabile.<br />
Sensibile<br />
Sesta<br />
Sinfonia<br />
Sistema temperato<br />
Sistema tonale<br />
Sonata<br />
Soprano<br />
La sensibile è la settima nota di ogni scala musicale diatonica; è una nota che,<br />
percettivamente, risulta instabile. Il suo punto d’appoggio, d’arrivo, in un brano<br />
del sistema tonale occidentale, è la tonica successiva, da cui è separata da un<br />
intervallo di semitono.<br />
Intervallo di sesta: intervallo che, nella scala diatonica, conta sei note (ad es.: do-la<br />
= do re, mi, fa, sol, la - cioè sei note). A differenza degli intervalli giusti, e come<br />
quelli di terza e settima, l’intervallo di sesta varia a <strong>seconda</strong> della scala e può<br />
essere maggiore o minore.<br />
Brano per orchestra composto di più movimenti, articolato secondo una<br />
determinata forma. La definizione è volutamente larga in quanto comprende lo<br />
sviluppo lungo e diversificato di una forma musicale molto considerata dai<br />
compositori.<br />
La sinfonia moderna comincia a delinearsi a metà del Settecento (Haydn, Mozart e<br />
Beethoven) ed è divisa in tre tempi: un allegro in forma di sonata, un secondo<br />
movimento lento, un minuetto (poi sostituito dallo scherzo) e un movimento finale<br />
veloce. In epoca romantica (Schubert, Mendelssohn e Schumann), si ampliò fino a<br />
giungere, con Mahler, a dimensioni molto vaste.<br />
Vedi temperamento equabile.<br />
Nel sistema tonale (o Tonalità), ogni nota ha una sua funzione; la tonica è il centro<br />
tonale attorno al quale ruotano i concetti chiave di modo maggiore e minore. Il<br />
movimento dell’accordo di dominante (V grado della scala) verso l’accordo di<br />
tonica (I grado) (Cadenza Perfetta, in gergo V - I) è tipico del sistema tonale.<br />
Sonata: è un genere di composizione strumentale strettamente collegato allo<br />
sviluppo del principio tonale nella musica occidentale. Il termine non è sinonimo<br />
di Forma sonata.<br />
Indica la voce più acuta delle voci femminile o bianche (di bambino) e la/il<br />
cantante che ne è dotato. Il soprano leggero raggiunge il mi della terza ottava, il<br />
soprano lirico il re , il soprano drammatico il do.<br />
Fin dal XVI secolo la voce poteva venire sostituita da falsettisti maschi o da<br />
castrati (sopranisti).<br />
Il termine indica anche l’estensione di certi strumenti (saxofono s., ecc.).<br />
Spettro<br />
Con il termine spettro si intende un grafico in cui sono indicate le frequenze<br />
sull’asse orizzontale e in ordine crescente, e sull’asse verticale la densità di energia<br />
per la data frequenza (con colori più o meno carichi), cioè quanta componente di<br />
frequenza è contenuta nel suono. Lo spettro non visualizza l’andamento temporale<br />
del suono, ma il suo contenuto armonico.<br />
95
Spettro di un la 880 Hz prodotto da un<br />
violino<br />
Spettro di un la 880 Hz prodotto da un<br />
pianoforte<br />
Spettro di un suono di piatto della batteria<br />
Suono<br />
È il fenomeno prodotto dalla vibrazione di un corpo elastico che si trasmette<br />
propagandosi, mediante successive compressioni e rarefazioni periodiche,<br />
attraverso l’aria. Il suo andamento periodico è a onda, per questo si parla di onda<br />
sonora.<br />
Figura. Successione periodica di compressioni e rarefazioni e sua rappresentazione<br />
Le caratteristiche distintive del suono sono l’altezza (che dipende dalla frequenza<br />
delle vibrazioni, misurate in Hertz), l’intensità (che dipende dall’ampiezza delle<br />
vibrazioni), il timbro (che dipende dalla forma d’onda), tutte queste operando e<br />
influenzandosi, da n punto di vista percettivo, a vicenda. Le quattro fasi che<br />
rappresentano l’inviluppo, cioè lo sviluppo del volume di un suono nel tempo,<br />
sono: attacco (o transitorio d’attacco), decadimento (decay), sustain (che inizia<br />
quando il decadimento si stabilizza e viene mantenuto per tutta la durata del<br />
suono) e release (fase in cui il volume diminuisce fino a zero).<br />
Tastiera<br />
Temperamento equabile<br />
Tenore<br />
La tastiera è un insieme di tasti che vengono premuti in generale con l’aiuto delle<br />
dita delle mani o <strong>dei</strong> piedi (nell’organo). La disposizione <strong>dei</strong> tasti segue le dodici<br />
note della scala cromatica, con i tasti della scala diatonica normalmente di colore<br />
bianco, rispetto a quelli delle alterazioni cromatiche di colore nero. La tastiera<br />
della fisarmonica differisce, per i tasti rotondi sul lato sinistro.<br />
Il temperamento equabile è il sistema musicale che basa la costruzione della scala<br />
sulla suddivisione dell’ottava in 12 semitoni uguali. Questa uguaglianza venne<br />
introdotta per superare gli inconvenienti del temperamento naturale (fondato sulla<br />
successione naturale <strong>dei</strong> suoni armonici) e del temperamento pitagorico (che<br />
organizza gli intervalli musicali secondo i rapporti: Unisono 1:1, Seconda<br />
maggiore 9:8, Terza maggiore 81:64, Quarta giusta 4:3, Quinta giusta 3:2, Sesta<br />
maggiore 27:16, Settima maggiore 243:128, Ottava 2:1).<br />
Il temperamento equabile venne teorizzato a cavallo tra il XVII e il XVIII e<br />
rappresenta un compromesso, tuttavia efficace, in quanto comporta uno sfasamento<br />
dell’altezza delle note rispetto agli armonici naturali.<br />
Indica la voce più acuta maschile e il cantante che ne è dotato. la sua estensione va<br />
dal fa sotto al do centrale al re della <strong>seconda</strong> ottava.<br />
Terza<br />
Intervallo di terza: intervallo tra due note inframmezzate da una sola nota (per es.<br />
96
do-mi). L’intervallo di terza può essere:<br />
Terza maggiore: due toni<br />
Terza minore: un tono e mezzo<br />
Terza eccedente: due toni e mezzo<br />
Terza diminuita: un tono<br />
Timbro<br />
Tonica<br />
Tono<br />
Transitorio<br />
Trasportare<br />
Triade<br />
Tritono<br />
È la qualità del suono, diversa da strumento a strumento, anche se la nota prodotta<br />
(frequenza) è la stessa; permette, a chi ascolta, di distinguere le diverse fonti<br />
sonore (strumenti, voci e tutto ciò che genera suoni). La caratterizzazione timbrica<br />
è in relazione alla materia e alla costituzione della sorgente sonora; dal punto di<br />
vista acustico dipende dalla forma delle vibrazioni ed è collegata con il fenomeno<br />
<strong>dei</strong> suoni armonici.<br />
Indica la prima nota (grado) di una scala maggiore o minore nel sistema tonale.<br />
Intervallo di <strong>seconda</strong> maggiore (tono intero); sul pianoforte, la distanza tra due<br />
tasti bianchi che abbiano inframmezzato un tasto nero.<br />
Il transitorio d’attacco la fase durante la quale il suono passa da volume zero al<br />
massimo dell’intensità. Il transitorio è molto ricco di informazioni per il sistema<br />
percettivo umano e reca molte informazioni relative al timbro di un suono<br />
(strumentale, naturale, vocale, ecc.).<br />
Notare o eseguire un brano in una tonalità diversa dall’originale (ad esempio per<br />
adattarlo alla voce di un cantante).<br />
Triade accordale: accordo di tre suoni. A <strong>seconda</strong> del tipo di intervalli di terza che<br />
la compongono (vedi terza), può essere di quattro tipi diversi: T. Maggiore, T.<br />
minore, T. eccedente, T. diminuita.<br />
Intervallo di tre toni interi; l’esempio più semplice è l’intervallo fa-si. Nei trattati<br />
medievali veniva chiamato diabolus in musica perché era di difficile intonazione<br />
ed era considerato un intervallo dissonante.<br />
97
FONDAMENTI DELLA COMUNICAZIONE MUSICALE<br />
AA <strong>2005</strong>-<strong>2006</strong><br />
CD allegato alla dispensa<br />
(disponibile presso la biblioteca del Dipartimento di Musica)<br />
Traccia Esempio Titolo Durata<br />
1 1.1 S. Shashank, Srikantha Bhavapriya – Adi – Thyagaraja, (S. Shashank, flute - 5:02.24<br />
Dehli P. Sunder Rajan, violin – P. Satish Kumar, mridangam – N.<br />
Radhakrishnan, ghatam – B.V.S. Prasad, morsing), The Bamboo in a dialogue,<br />
SRUTHI RECORDS - SRI 12<br />
2 1.2 Gooj Nanaa, Mongolian Overtone Singing, Altai Khairkhan, Whistle in the wind 2:44.00<br />
(CD produced in cooperation with Window to Europe and North Asia Institute<br />
Tengri, vanstades@tengri.nl)<br />
3 2.1 1) nota di pianoforte con transitorio – 2) nota di pianoforte senza transitorio 5”<br />
4 2.2 1) suono di piatto (di batteria) con transitorio – 2) suono di piatto (di batteria) 5”<br />
senza transitorio<br />
5 2.3 W.A. Mozart Sonata in Do maggiore per pianoforte K. 545, Primo movimento<br />
6 3.1 Scala ascendente di Do maggiore 0:10.86<br />
7 3.2 Melodia Fra’ Martino 0:33.52<br />
8 3.3 Fra’ Martino con ritmo modificato 0:35.01<br />
9 3.4 Fra’ Martino con intervalli modificati 0:34.84<br />
10 3.4 bis Sequenza degli intervalli a partire da Do 0:58.96<br />
11 3.4 ter Altri intervalli nella scala di Do 1:09.76<br />
12 3.5 Scala blues 0:17.62<br />
13 3.6 Billie Holiday, My man - Mon Homme (Pollock – Yvain – Willemetz – Charles); 2:56.29<br />
Billie Holiday, My greatest songs, MCA MCD-18767 (distributed by BMG)<br />
14 3.6 Billie Holiday, Mon Homme (Pollock – Yvain – Willemetz – Charles); New York, 3:01.34<br />
September 13, 1937 – Billie Holiday and her orchestra (Buck Clayton, tp – Buster<br />
Bailey, cl – Lester Young, ts – Claude Thornhill, p – Freddie Green, g – Walter<br />
Page, b – Jo Jones, d), Billie Holiday, Me, Myerlf And I, PAST PERFECT,<br />
20.4224-PP<br />
15 3.7 Billie Holiday, The blues are brewing (De Lange – Alter); New York, December 3:00.09<br />
27, 1946 – John Simmons and his orchestra (Rostelle Reese, tp – Lem Davis, as–<br />
Bob Dorsey, ts – Bobby Tucker, p – John Simmons, b – Denzil Best, d), Billie<br />
Holiday, There Is No Greater Love, PAST PERFECT, 20.4230-PP<br />
16 3.8A Scala pentatonica di tipo A 0:13.81<br />
17 3.8B Scala pentatonica di tipo B 0:14.13<br />
18 3.9 Scala esatonale (o a toni interi) 0:17.48<br />
19 3.9 bis Scala ottotonica 0:13.64<br />
20 3.10 Scala cromatica 0:16.96<br />
21 3.11 L.Marenzio, Solo e pensoso (dal nono libro <strong>dei</strong> madrigali); La Venexiana 1:20.86<br />
(Rossana Bertini, Soprano – Marina De Liso, mezzosoprano – Claudio Cavina,<br />
controtenore e direttore – Sandro Naglia, tenore – Giuseppe Maletto, tenore –<br />
Daniele Carnovich, basso), recorded in Riletto, Italia, aprile 1999, GLOSSA<br />
MUSIC GCD 920906 [estratto: primi 1’19” di 6’10”]<br />
22 3.12 N. Rimskij Korsakov, Volo del calabrone, op. 57, da Tsar Saltan, London 1:31.02<br />
Festival Orchestra, direttore: Alfred Scholz, Beliebte Klassische Miniaturen,<br />
Wunschkonzert der Klassik, SSCSelected Sound Carrier, 3506.2258-2<br />
23 3.13 Modo protus autentico o Dorico, primo modo (con finalis e repercussio) 0:19.02<br />
24 3.14 Anonimo, Viderunt omnes (communio), Graduale Triplex – Solennità di Natale, 0:59.37<br />
Nativitas Domini, ensemble: Stirps Iesse, dir.: Enrico De Capitani, PAOLINE,<br />
PCD 017, 1995<br />
25 3.15 Modo deuterus autentico o Frigio, terzo modo (con finalis e repercussio) 0:17.99<br />
26 3.16 Hildegard Von Bingen (1098-1179), O vis aeternitatis, responsorium (Wiesbaden 1:45.96<br />
manuscript), Sequentia – Ensemble for medieval music (dir.: Barbara Thornton),<br />
DEUTSCHE HARMONIA MUNDI, 1994, 05472 77320 2<br />
27 3.17 Modo Tritus autentico o Lidio, quinto modo (con finalis e repercussio) 0:17.26<br />
98
28 3.18 Anonimo, Alma redemptoris mater, antifona a Maria (X secolo), Sequentia – 1:01.47<br />
Ensemble for medieval music (dir.: Barbara Thornton), DEUTSCHE<br />
HARMONIA MUNDI, 1994, 05472 77320 2<br />
29 3.19 Modo Tetrardus autentico o Misolidio, settimo modo (con finalis e repercussio) 0:17.28<br />
30 3.20 Hildegard Von Bingen (1098-1179), O vividissima virga, Sequentia – Ensemble 1:02.40<br />
for medieval music (dir.: Barbara Thornton), DEUTSCHE HARMONIA MUNDI,<br />
1994, 05472 77320 2<br />
31 3.20 bis Serie <strong>dei</strong> quattro modi autentici partendo da Do 0:53.61<br />
32 3.21 Modo Protus plagale o Ipodorico, secondo modo (con finalis e repercussio) 0:19.37<br />
33 3.22 Anonimo, Alleluia. Dies santificatus (versus), Graduale Triplex – Solennità di 0:50.45<br />
Natale, Nativitas Domini, ensemble: Stirps Iesse, dir.: Enrico De Capitani,<br />
PAOLINE, PCD 017, 1995<br />
34 3.23 Modo Deuterus plagale o Ipofrigio, quarto modo (con finalis e repercussio) 0:18.91<br />
35 3.24 Gloria. Dominica resurrectionis [estratto 52”], Chant grégorien, Nova Schola 0:52.57<br />
Gregoriana, dir.: Alberto Turco, ARION PARIS 1986<br />
36 3.25 ModoTritus plagale o Ipolidio, sesto modo (con finalis e repercussio) 0:19.51<br />
37 3.26 Hildegard Von Bingen (1098-1179), O mobilissima viriditas, responsorio – 0:47.94<br />
Ensemble for medieval music (dir.: Barbara Thornton), DEUTSCHE<br />
HARMONIA MUNDI, 1994, 05472 77320 2<br />
38 3.27 Modo Tetrardus plagale o Ipomisolidio, ottavo modo (con finalis e repercussio) 0:18.53<br />
39 3.28 Anonimo, Kyrie I. lux et origo [estratto 25”], Chant grégorien, Nova Schola 0:25.29<br />
Gregoriana, dir.: Alberto Turco, ARION PARIS 1986<br />
40 3.28 bis Serie <strong>dei</strong> quattro modi plagali partendo da Do 0:55.14<br />
41 3.29 S. Shashank, Srikantha Bhavapriya – Adi – Thyagaraja, (S. Shashank, flute - 5:02.24<br />
Dehli P. Sunder Rajan, violin – P. Satish Kumar, mridangam – N.<br />
Radhakrishnan, ghatam – B.V.S. Prasad, morsing), The Bamboo in a dialogue,<br />
SRUTHI RECORDS - SRI 12<br />
42 3.30 Scala di La minore naturale 0:12.58<br />
43 3.31 Scala di La minore melodica 0:12.62<br />
44 3.32 Scala di La minore armonica 0:13.97<br />
45 3.33 Serie delle tre forme della scala minore: melodica, armonica, naturale 0:33.90<br />
46 3.34 Forma ascendente e discendente della scala minore melodica 0:19.66<br />
47 3.35 J.S. Bach Suite francese n. 1, minuetto II – Joseph Payne, cembalo, BRILLIANT 0:17.82<br />
99372/5<br />
48 3.36 W.A. Mozart, Sinfonia n. 40 in sol minore K. 550, Allegro molto [Estratto: inizio 0:29.06<br />
29”], Orchestra del XVIII secolo, direttore: Frans Brüggen – De Agostini –<br />
Rizzoli periodici – PHILIPS 434594-2<br />
49 3.37 L.v. Beethoven, Sinfonia n. 5 in do minore op.67, Allegro con brio [estratto: 2:05.89<br />
primi 2’02” di 7’], Leningrad Symphony Orchestra, direttore: Alexander<br />
Dmitrijew, COMPACT COLLECTION CLASSICA (De Agostini) - CC 93A05<br />
50 3.38 F. Couperin, da Pièce de clavecin. Cinquième ordre: I Corrente in La maggiore – 3:14.01<br />
II Corrente in la minore [la II Corrente inizia al minuto 2’16”], Cristophe<br />
Rousset, cembalo (clav. Ruckers, Anversa 1624), HARMONIA MUNDI HMX<br />
2901442.52<br />
51 3.39 W.A. Mozart, Quintetto per archi no. 2 in Do maggiore, K 515, Allegro [estratto: 1:04.67<br />
1’04” di 14’26”] (Arthur Grumiaux, violino I – Arpad Gérecz, Violino II –<br />
Georges Panzer, alto – Max Lesueur, alto II – Eva Czako, violoncello), Mozart<br />
string quartets, Complete Mozart Edition, PHILIPS, volume 11, CD2, 422 684-2,<br />
1991<br />
52 3.40 G. Mahler, Sinfonia n. 1 in re minore [estratto dal I tempo: 2’ su 15’36”], London 2:03.62<br />
Symphony Orchestra, dir.: Georg Stolti, Amadeus, DECCA AM 035<br />
53 3.41 J.S.Bach – Joh. H. Schein, Ach Gott und Herr, Choräle BWV 253-3<br />
0:43.89<br />
Erscheinungsdatum: 15. Mai 2000, casa discografica: Teldec (Warner), ASIN:<br />
B00004SX2O, Künstler: Grihon/Brauns/Tamas/Rundf.Orch<br />
54 3.42 Triadi accordali 0:14.74<br />
55 3.43 Collegamenti accordali 0:58.18<br />
56 Incisione del castrato Alessandro Moreschi, incisa a Roma nel 1902 (esempio<br />
disponibile su Internet)<br />
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