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Dispensa, A.A. 2005/2006: Parte seconda - Storia e tutela dei beni ...

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<strong>Parte</strong> terza – Teoria musicale<br />

Problemi di una teoria musicale generale<br />

Il titolo del paragrafo rimanda a difficoltà di tipo teorico. In realtà, il problema non è tanto<br />

quello di esporre o ri-esporre una teoria. Ne esistono per tutti i gusti ed in particolare la teoria<br />

musicale occidentale è un complesso di nozioni abbastanza precise e ampiamente riconosciute, alla<br />

quale sono stati dedicati numerosi libri di testo facilmente accessibili. 1<br />

Dove sta dunque il problema Deriva in parte dalle considerazioni esposte nella prima parte,<br />

vale a dire dal fatto che l’ascoltatore occidentale è esposto ad una molteplicità di esperienze, sia in<br />

senso orizzontale (musiche prodotte nel nostro tempo in culture differenti e culturalmente aliene), sia<br />

in senso verticale (musiche prodotte in tempi remoti che oggi ascoltiamo in un contesto funzionale<br />

mutato). Inoltre, i due fattori appena accennati possono essere combinati fra loro (per esempio,<br />

musiche di un passato remoto e appartenenti a una cultura esotica). Servirebbe allora, per soddisfare<br />

ogni bisogno, una teoria della musica sufficientemente generale da comprendere tutte queste<br />

manifestazioni. L’impresa è stata tentata nel senso di individuare degli aspetti o concetti musicali<br />

universali, che abbiano cioè validità indipendentemente dai contesti storici o culturali. Come c’era<br />

però da aspettarsi questi concetti, proprio per il fatto di dover essere generalissimi, finiscono per<br />

essere poco utili quando si deve dar conto di manifestazioni musicali specifiche. Per fare un esempio,<br />

se è vero che i concetti relativi di ‘acuto’ e ‘grave’ sono comuni ad ogni cultura musicale (e dunque<br />

costituiscono un ‘universale’), questo però ci aiuta poco ad apprezzare il fatto che in un<br />

contrappunto classico europeo viene messo a frutto dal compositore non già un generico ‘acuto’ o<br />

‘grave’ ma quattro distinte tessiture (corrispondenti convenzionalmente alle voci di soprano,<br />

contralto, tenore e basso), con precise conseguenze nell’organizzazione e dunque nello stile di un<br />

brano. L’esempio rimanda anche al fatto che la teoria fa sempre riferimento in modo più o meno<br />

diretto a casi musicali particolari collocati in tempi e contesti culturali precisi (e questo sebbene non<br />

di rado i teorici pretendano di individuare valori assoluti e prescrittivi). Anche certe associazioni che<br />

parrebbero ovvie e dunque ‘universali’ (per esempio quella del suono ‘acuto’ con l’elemento<br />

femminile) non lo sono necessariamente, come prova l’impiego <strong>dei</strong> falsettisti e (in tempi lontani) <strong>dei</strong><br />

castrati per parti maschili nella musica teatrale occidentale.<br />

Dunque, mentre una ‘teoria generale della musica’ non è impossibile ma è poco utile (perché<br />

non ci fornisce la chiavi del senso ‘specifico’ di ciascuna cultura musicale), non possiamo d’altra<br />

parte ambire (almeno in questa sede) ad una conoscenza enciclopedica di tutte le teorie musicali che<br />

1 Uno <strong>dei</strong> più noti è O. Kàroly, Grammatica della musica, Torino, Einaudi.<br />

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presiedono alla musiche di cui facciamo esperienza. Siamo dunque costretti ad un compromesso, che<br />

dovrà essere per quanto possibile ‘onorevole’. Pare logico muovere i nostri passi dalla teoria<br />

musicale a noi storicamente più vicina, dunque quella occidentale moderna, che rivisiteremo però<br />

cercando di evitarne alcune strettoie, come il fatto che la maggior parte delle formulazioni è diretta a<br />

musicisti che se ne servono per leggere la musica, suonarla o comporla, mentre chi userà questo<br />

testo ha bisogno piuttosto di apprezzare la teoria in quanto ascoltatore competente. Non si tratterà<br />

solo di ‘addomesticare’ gli aspetti meno accattivanti ma soprattutto di fornire le premesse che<br />

rendono chiare certe apparenti astrusità esplicitando concetti che il musicista professionista dà per<br />

scontati (o semplicemente tralascia).<br />

La teoria della musica occidentale, nelle formulazioni del XVII e del XIX secolo che noi<br />

seguiremo nei limiti dell’utilità, è una chiave di accesso potentissima alla comprensione della musica<br />

ma ha un valore limitato. Al più, ci rivela in che termini potesse concepire e giudicare la<br />

composizione un artista come Mozart, Rossini o Brahms, ma è impropria se applicata<br />

pedissequamente al Medioevo o alla musica colta contemporanea, per non parlare di ambiti culturali<br />

alieni (la musica popolare, il Jazz, il Rock etc. ). Tuttavia si tratta di un punto di partenza utilissimo<br />

anche quando viene relativizzato.<br />

Una premessa su melodia, armonia, ritmo, timbro<br />

Se si intende esaminare un costrutto musicale di media complessità, per esempio una<br />

canzone, ci si rende ben presto conto che una completa conoscenza implica che si possa<br />

comprendere la relazione di ogni suo elemento costitutivo con ogni altro, il che non è un’operazione<br />

banale rispetto a un oggetto che si manifesta fuggevolmente nel tempo. La teoria musicale moderna<br />

ha preso coscienza <strong>dei</strong> parametri principali della musica identificandoli in: melodia (l’ordine <strong>dei</strong><br />

suoni in quanto successivi nel tempo), armonia (l’ordine <strong>dei</strong> suoni in quanto prodotti<br />

contemporaneamente e le relative concatenazioni reciproche), ritmo (l’ordine <strong>dei</strong> suoni in rapporto<br />

alla loro diversa accentazione) e timbro (qualità <strong>dei</strong> suoni derivante dalle caratteristiche del corpo<br />

vibrante o dall'inflessione individuale ad esso comunicata dal musicista). Questa suddivisione è<br />

necessaria ed utile anche se tende ovviamente ad oscurare i rapporti ‘trasversali’ fra i parametri<br />

musicali (ritmo/timbro, melodia/armonia etc.). Aggiungo che l'intensità, considerata generalmente<br />

(ma erroneamente) un parametro collaterale o accessorio, non solo è stata sottovalutata per i<br />

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epertori del passato, 2 ma ha assunto un'importanza del tutto comparabile a quella degli altri<br />

parametri citati nella musica contemporanea e principalmente elettroacustica.<br />

In ogni caso, nell’esposizione delle teoria musicale occidentale si segue con profitto una tale<br />

segmentazione che, in parte almeno, corrisponde ad una progressione dal semplice al complesso.<br />

2 Alludo in particolare all'importanza assegnata alla dinamica nelle fonti notate del repertorio monodico liturgico<br />

medievale ed anche al recentissimo studio di Cliff Eisen sull'esecuzione da parte di W.A. Mozart <strong>dei</strong> Quartetti op. 17<br />

di F.J. Haydn (comunicazione non ancora pubblicata presentata al convegno Il giovane Mozart, Salisburgo <strong>2005</strong>).<br />

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La prima scala-tipo occidentale moderna (scala di Do maggiore)<br />

La musica può essere descritta in senso formale come una serie di eventi sonori disposti nel<br />

tempo. Questa è una definizione generalissima, adatta tanto ad un quartetto di Beethoven quanto ad<br />

un brano di musica aleatoria o di musica sintetizzata con il computer. La maggior parte della musica<br />

che ascoltiamo, dai repertori classici alla popular music, tuttavia, potrebbe utilizzare una definizione<br />

più restrittiva: la musica è costituita da una serie di eventi sonori disposti nel tempo e selezionati da<br />

serie predefinite.<br />

La ‘serie predefinita’ elementare del sistema musicale occidentale si chiama ‘scala maggiore’<br />

ed è costituita da sette suoni diversi per numero di vibrazioni (= frequenza) ai quali diamo per<br />

convenzione i ben noti nomi di Do, Re, Mi, Fa, Sol, La, Si etc. Come in una tastiera di pianoforte, la<br />

scala-tipo si può prolungare indefinitamente verso l’alto o verso il basso, almeno fino ai limiti<br />

dell’udibilità.<br />

Una <strong>seconda</strong> scala-tipo, la ‘scala minore’ è altrettanto importante, ma ne discuteremo più<br />

avanti alla luce di più approfondite conoscenze sulle scale in generale.<br />

Il termine ‘scala’, e l’immagine a cui rimanda, è efficace in quanto allude a gradini fissati una<br />

volta per tutte (e corrispondenti alla serie predefinita di suoni della nostra definizione). Però è anche<br />

un’immagine imprecisa perché i suoni della scala maggiore non si trovano fra loro a distanze uguali<br />

(come i gradini di una vera scala) ma si presentano a distanze diverse, una circostanza alla quale<br />

l’ascoltatore inesperto può non far caso, ma che è essenziale per capire il senso della scala stessa in<br />

quanto costrutto-modello.<br />

Dunque i gradini di una scala (che in musica si dicono ‘gradi’) sono diversamente distanti fra<br />

loro: la distanza fra un suono e l’altro si dice ‘intervallo’ e rimanda ad un dato fisico, vale a dire al<br />

rapporto fra il numero di vibrazioni <strong>dei</strong> due suoni considerati. I tipi di intervallo utilizzati fra i suoni<br />

contigui di una scala maggiore moderna sono solo due: ‘tono’ e ‘semitono’.<br />

Il tono è un intervallo nel quale il suono più acuto ha 9/8 delle vibrazioni del suono più<br />

grave. Il semitono è un intervallo nel quale il suono più acuto ha 16/15 delle vibrazioni del suono più<br />

grave. Questi rapporti non sono arbitrari ma derivano almeno in parte dai fenomeni naturali di<br />

vibrazione <strong>dei</strong> corpi; in ogni caso non è importante indagarne l’origine in questo momento.<br />

Bisognerà invece riflettere su quale sia il significato o l’utilità della diversità fra gli intervalli che<br />

compongono la scala-tipo. Da un punto di vista astratto infatti, potrebbe apparire più logico o<br />

razionale che una scala fosse composta di intervalli uguali fra loro. Una tale scala però (scala che è<br />

pure possibile costruire e sfruttare a fini musicali, come vedremo) presenta un problema primario<br />

cioè l’essere indifferenziata al suo interno. Viceversa, le differenze (fra intervalli di tono e di<br />

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semitono) rendono una scala al tempo stesso caratteristica e identificabile (ossia facile da ricordare e<br />

distinguere).<br />

E’ interessante osservare che tanto la scala (in quanto serie ascendente ovvero discendente di<br />

intervalli), quanto la differenziazione fra gli intervalli entro una scala, sono elementi comuni a<br />

diverse culture musicali sviluppatesi indipendentemente l’una dall’altra, segno evidente dell’utilità del<br />

modello scalare per la formazione di costrutti musicali. (Ovviamente, nelle differenti culture possono<br />

cambiare sia il numero <strong>dei</strong> gradi della scala che la sequenza e qualità degli intervalli.)<br />

Ma ritorniamo alla nostra scala maggiore alla quale, per procedere efficacemente nella<br />

comprensione del sistema, dobbiamo essere in grado di associare un riferimento acustico (cioè di<br />

riconoscerla all’ascolto, pensarla, e possibilmente anche cantarla). La maggior parte <strong>dei</strong> lettori ha già<br />

appreso questa scala per trasmissione mnemonica (imitando inconsapevolmente qualcuno che gliel’ha<br />

insegnata); altri saranno in grado di riconoscerla senza però poterla cantare, i più infine potranno<br />

cantarla senza problemi. La eseguiamo pronunciando le sillabe convenzionali Do, Re, Mi, Fa, Sol,<br />

La, Si (e poi nuovamente Do).<br />

Il secondo Do nella serie è un suono diverso dal primo (è più acuto) ma porta lo stesso nome<br />

perché presenta una ‘somiglianza speciale’ con il Do iniziale: ha il doppio delle vibrazioni di quello<br />

(dunque i due Do stanno, quanto al numero di vibrazioni, in rapporto 1/2); si dice che questo Do più<br />

acuto sta (ovvero è) all’ottava superiore del primo (in quanto è l’ottavo suono dopo il Do iniziale);<br />

viceversa il primo Do è all’ottava inferiore rispetto al secondo.<br />

Le sillabe convenzionali, di per sé, non sono significative. Potremmo fare a meno di<br />

pronunciarle cantando invece i singoli suoni su di una vocale scelta ad arbitrio, una modalità di canto<br />

che si chiama ‘vocalizzazione’, ‘vocalizzare’. Quello che è importante perché la scala sia<br />

riconoscibile è la precisione degli intervalli e la loro corretta successione.<br />

Es. 3.1<br />

Per fornire immediatamente un’applicazione di questo modello teorico, si potrà ascoltare<br />

l’inizio di un brano della tradizione che si avvalga <strong>dei</strong> suoni della scala di Do maggiore (ossia, con<br />

una certa semplificazione, quello che si dice un brano ‘in Do maggiore’).<br />

La melodia nota come Fra’ Martino è un esempio elementare quanto utile, sul quale<br />

ritorneremo ripetutamente.<br />

39


Es. 3.2<br />

In questo caso facciamo corrispondere un esempio concreto (Fra’ Martino) ad un modello<br />

teorico (la scala-tipo). Quest’ultima rappresenta dunque il ‘materiale’ per l’elaborazione di costrutti<br />

articolati o se si preferisce è dedotta per astrazione dai brani della tradizione (è una questione come<br />

quella dell’uovo e della gallina). I suoni della scala vengono utilizzati nella melodia in esame con una<br />

certa arbitrarietà: l’ordine è scelto liberamente (almeno nel senso che non osservano la sequenza<br />

scalare). Ma la libertà è relativa: notiamo per esempio che il suono iniziale e quello finale sono uguali<br />

(Do) e possiamo anche osservare che certi suoni (Do, Sol, Mi) si trovano di preferenza in posizioni<br />

ritmiche ‘forti’ (si approfondirà in seguito questo concetto che dovrebbe risultare comunque chiaro<br />

al semplice ascolto). Questa coincidenza fra certi suoni e certe posizioni ritmiche rappresenta una<br />

relazione ‘stilistica’ fra melodia e ritmo. Il ritmo d'altra parte identifica la melodia cioè la rende,<br />

insieme con la sequenza degli intervalli, ‘quello che è’. Per rendercene conto più chiaramente basterà<br />

assegnare alla sequenza melodica un ritmo diverso, col risultato di renderla qualcosa di diverso<br />

(anche se non del tutto irriconoscibile):<br />

Es. 3.3<br />

L’esempio serve a mettere in evidenza come la considerazione dell’unico parametro della<br />

‘melodia’ rappresenti un’astrazione nel momento in cui si passa da un modello (la scala) ad una sua<br />

applicazione; serve almeno una configurazione ritmica per poter affrontare in concreto il nostro<br />

oggetto. Un secondo esempio mostrerà come la modificazione degli intervalli originali alteri<br />

profondamente il carattere della melodia pur mantenendo lo stesso ritmo:<br />

Es. 3.4<br />

40


E’ evidente che questa versione è simile, eppure diversa sebbene per la sola alterazione di<br />

due intervalli della scala-tipo impiegata (la terza e sesta, che vengono 'bemollizati' ossia abbassati di<br />

un semitono). Si evidenzia così una caratteristica che, se non è esclusiva della musica, le appartiene<br />

però in maniera particolare e cioè il rapporto che si stabilisce fra elementi simili e dissimili cioè, in<br />

termini compositivi, la possibilità di determinare una varietà di eventi che condividono tuttavia un<br />

certo livello di unitarietà.<br />

In termini più generali, abbiamo rilevato come l’ineguaglianza degli intervalli (toni e semitoni)<br />

e la loro sequenza caratterizza il modello. Possiamo fin d’ora intravvedere che il modello (la scala di<br />

Do maggiore), è solo uno fra molti possibili. In termini puramente combinatori è possibile inventare<br />

una qualsiasi scala formata da una sequenza di toni e semitoni (scale di questo tipo sono dette<br />

‘diatoniche’). Non è però necessario perché altri l’hanno fatto per noi: la storia della musica<br />

occidentale ha rappresentato una poderosa esplorazione delle possibilità combinatorie riguardo agli<br />

intervalli musicali.<br />

Torniamo momentaneamente a verificare la nostra definizione di musica come ‘serie di eventi<br />

sonori disposti nel tempo e selezionati da una o più serie predefinite’; abbiamo considerato una ‘serie<br />

predefinita’ quanto ai rapporti aritmetici fra gli intervalli successivi (toni ovvero semitoni), mentre<br />

abbiamo tralasciato momentaneamente altri aspetti rilevanti: per esempio, mentre abbiamo<br />

immaginato rapporti fra suoni che si succedono nel tempo, non ci siamo occupati di quelli che si<br />

stabiliscono fra suoni ‘contemporanei’ (la parte di teoria musicale detta ‘armonia’); inoltre abbiamo<br />

tralasciato quasi interamente la dimensione temporale (cioè la struttura generale di un costrutto e le<br />

sue articolazioni di livello inferiore: metro, ritmo), nonché la dimensione 'qualitativa' (cioè il timbro,<br />

l’intensità <strong>dei</strong> suoni prodotti e le sfumature che caratterizzano l’esecuzione musicale). Tutto questo<br />

può essere rimandato ad un momento successivo ma deve essere chiaro fin d’ora che, sebbene la<br />

teoria musicale abbia messo in primo piano gli aspetti relativi al calcolo e alla sequenza degli<br />

intervalli, ognuno degli elementi citati è indispensabile per la comprensione del senso di un costrutto.<br />

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Particolarità e nomenclatura della scala-tipo<br />

Fra i suoni della scala-tipo incontriamo cinque intervalli di tono (T) e due intervalli di<br />

semitono (S); questi ultimi si trovano fra il III ed il IV grado (Mi e Fa) e fra il settimo e l’ottavo (Si e<br />

Do). La successione è la seguente:<br />

T,T,S,T,T,T,S<br />

L’identità di questa, come di qualsiasi altra scala, è data dalla successione degli intervalli e<br />

dalla loro entità. I gradi della scala vengono anche denominati, per un complesso di motivi sia storici<br />

che funzionali, nel modo seguente:<br />

I grado = tonica<br />

II = sopratonica<br />

III = mediante (o caratteristica)<br />

IV = sottodominante<br />

V = dominante<br />

VI = sopradominante (o sottomediante)<br />

VII = sensibile<br />

Questa tripla denominazione (Do = primo grado = tonica), non è superflua, come si renderà<br />

chiaro nel seguito della trattazione. Per il momento basti sapere che, sebbene la scala-tipo abbia<br />

come tonica il Do (in quanto per convenzione la scala di Do è il centro del sistema), qualsiasi suono<br />

inclusi quelli alterati (con diesis o bemolle), può essere utilizzato come tonica di una scala; di qui<br />

l’opportunità di ricorrere ad una nomenclatura astratta (= primo grado) e anche ad una che alluda<br />

alla funzione (per esempio: tonica, dominante etc.).<br />

La funzione di tonica<br />

Ma in cosa consistono le ‘funzioni’ sopra citate Esaminiamolo attraverso un esempio.<br />

Abbiamo notato come nella formazione della melodia la libertà nella scelta <strong>dei</strong> suoni della scala-tipo<br />

si accompagnava ad una limitazione caratteristica: il primo e l’ultimo suono si corrispondevano<br />

(erano entrambi Do, cioè la tonica): questo fatto determina in un costrutto musicale un parallelismo<br />

logico-percettivo (fondato sulla memoria di chi ascolta), che conferisce all’ultimo suono un senso di<br />

ritorno e dunque di conclusione. Per converso, qualora l’ultimo suono fosse diverso dal primo, il<br />

senso conclusivo ne risulterebbe indebolito o addirittura annullato; per verificarlo basterà eseguire un<br />

La invece che un Do come suono finale della melodia Fra' Martino, col risultato che la sequenza<br />

melodica risulterà conclusa in modo inefficace.<br />

42


La funzione di tonica dunque (che comporta anche altre implicazioni) consiste nell’essere<br />

avvertita come ‘suono di riferimento’ rispetto agli altri che formano un costrutto; nel nostro esempio<br />

il riferimento o rimando (da tonica a tonica) si avverte ad un livello primariamente ‘sintattico’, perché<br />

definisce la conclusione della frase musicale.<br />

Quanto appena detto era necessario per chiarire che le funzioni non sono un’astrazione<br />

arbitraria e neppure delle qualità immanenti del singolo suono, ma derivano dal sistema di relazioni<br />

fra le componenti del costrutto. Dunque un Do non è necessariamente una tonica, ma lo è in quanto<br />

parte di un sistema di relazioni.<br />

Converrà anche in questo caso notare che la funzione di tonica è comune a tutte le culture<br />

musicali (si può dire che costituisca un ‘universale musicale’), anche se viene sfruttata in modi<br />

diversi. Inoltre, il valore della tonica in quanto suono di riferimento ai fini sintattici (all’effetto di<br />

cogliere un senso ‘conclusivo’) non è assoluto ma sta in relazione alla durata complessiva di un<br />

costrutto e a specifiche poetiche musicali che hanno saputo sfruttare le relazioni fra i gradi della<br />

scala. Una delle caratteristiche più notevoli del sistema musicale occidentale rispetto a tutti gli altri è<br />

la capacità di realizzare architetture musicali di ampie dimensioni grazie ad una serie di procedimenti,<br />

fra i quali il più importante è probabilmente lo spostamento temporaneo della tonica (detto anche<br />

‘modulazione’).<br />

Bisogna aggiungere per completezza che non sempre i brani della nostra tradizione terminano<br />

con la tonica: eccezionalmente, si incontrano esempi di spostamento finale della tonica sia nel<br />

periodo medievale che in quello moderno e contemporaneo, tanto in stili colti quanto in stili popolari<br />

o leggeri. Si tratta tuttavia di eccezioni che, per quanto significative, individuano un allargamento<br />

delle possibilità con valore dimostrativo o espressivo che non contraddice la validità generale della<br />

funzione 3 .<br />

Intervalli nella scala-tipo<br />

Descrivendo gli intervalli fra i suoni successivi di una scala maggiore abbiamo verificato<br />

l’esistenza di due soli tipi di intervalli ma gli intervalli fra suoni non successivi sono ovviamente più<br />

numerosi. Questo l’elenco delle possibilità e la nomenclatura relativa, che deriva dal numero di suoni<br />

compresi fra il primo e l’ultimo, con l’aggiunta di una qualificazione di origine storica (i termini<br />

‘maggiore’, ‘minore’, ‘giusto’, ‘diminuito’ o ‘eccedente’):<br />

3 Si danno casi di brani che iniziano in un tono e terminano in un altro, per differenti motivi, tanto nel repertorio<br />

rinascimentale (casi studiati da M.Bent e collegati col problema delle alterazioni di passaggio) quanto in quello<br />

moderno (come in una celebre aria di Osmino del Ratto dal Serraglio di Mozart in cui l'anomalia intende avere una<br />

funzione espressiva dell'irrazionalità del personaggio) oppure nel repertorio pop in una canzone come Mi ritorni in<br />

mente di Mogol-Battisti (in cui dipende probabilmente da una strategia di intensificazione finale)..<br />

43


Es. mus. 3.4 bis<br />

De-Re: 1 tono, intervallo di <strong>seconda</strong> maggiore<br />

Do-Mi: 2 toni, intervallo di terza maggiore<br />

Do-Fa: 2 toni e mezzo, intervallo di quarta giusta<br />

Do-Sol: 3 toni e mezzo, intervallo di quinta giusta<br />

Do-La: 4 toni e mezzo, intervallo di sesta maggiore<br />

Do-Si: 5 toni e mezzo, intervallo di settima maggiore<br />

Do-Do: 6 toni, intervallo di ottava<br />

E’ da notare che fra due suoni uguali per altezza non si dà un intervallo (perché non esiste<br />

differenza nel numero di vibrazioni). Tuttavia è invalso l’uso di considerare intervallo (o pseudointervallo)<br />

anche l’unisono.<br />

Tutti gli intervalli sopra elencati sono computati a partire dal Do. Altri se ne trovano a partire<br />

da suoni differenti della scala. Per esempio fra Mi e Fa nonché fra Si e Do (come si è già visto) si ha<br />

un intervallo di mezzo tono (‘<strong>seconda</strong> minore’). Fra Re e Fa, come pure fra Mi e Sol e fra La e Do<br />

abbiamo intervalli di terza diversi da quello fra Do e Mi perché comprendono solo un tono e mezzo:<br />

Re-Fa, Mi-Sol, La-Do: 1 tono e mezzo = terza minore<br />

Analogamente, troviamo intervalli di sesta diversi da quello fra Do e La (sesta maggiore). Per<br />

esempio fra Mi e Do abbiamo solo quattro toni, come pure fra La e Fa:<br />

Mi-Do, La-Fa, Si-Sol: 4 toni = sesta minore<br />

Gli intervalli di quinta ravvisabili fra i suoni della scala sono tutti formati da tre toni e mezzo,<br />

con l’eccezione della quinta che sta fra il VII grado (in Do maggiore è un Si) ed il successivo IV<br />

grado (Fa). In questo solo caso la scala-tipo presenta un intervallo di tre toni (‘tritono’), fortemente<br />

dissonante. La quinta così formata si dice ‘diminuita’.<br />

Questa rassegna prende in considerazione solo gli intervalli fra suoni ‘naturali’ (appartenenti<br />

alla scala-tipo). E’ possibile tuttavia realizzare attraverso alterazioni <strong>dei</strong> suoni della scala diatonica<br />

altri intervalli che vengono nominati sulla base di una convenzione semi-razionale: per esempio una<br />

settima maggiore Do-Si, se viene ‘ristretta’ di un semitono (Do-Si bemolle) si chiama settima<br />

minore; ulteriormente abbassata di mezzo tono si chiama settima diminuita (Do-Si doppio bemolle,<br />

che corrisponde acusticamente ad una sesta maggiore). Intervalli di questo genere, che in questo<br />

contesto possono apparire più ‘nominali’ che reali, in quanto corrispondono acusticamente ad altri<br />

intervalli ‘semplici’, hanno un significato specifico nelle concatenazioni armoniche, che si<br />

44


toccheranno più avanti. Una quinta o una quarta abbassate di un semitono si dicono ‘diminuite’; se<br />

elevate di un semitono si dicono ‘aumentate’ o 'eccedenti'.<br />

Intervalli composti<br />

Dal momento che una scala si sviluppa indefinitamente verso l’alto e verso il basso, gli<br />

intervalli possono eccedere l’ottava. In tal caso i loro nomi seguono la progressione numerica e si<br />

definiscono ‘intervalli composti’:<br />

Es. mus. 3.4 ter<br />

nona = ottava più <strong>seconda</strong><br />

decima = ottava più terza<br />

undicesima = ottava più quarta<br />

dodicesima = ottava più quinta<br />

tredicesima = ottava più sesta<br />

quattordicesima = ottava più settima<br />

quindicesima = doppia ottava<br />

Inversione degli intervalli<br />

Un intervallo fra due suoni (poniamo, Do-La) può essere considerato sia in senso ascendente<br />

che discendente. Per costruzione, l’intervallo in senso ascendente unito a quello discendente forma<br />

un’ottava. Si dice che uno <strong>dei</strong> due intervalli costituisce l’inversione dell’altro. Di seguito diamo<br />

l’elenco degli intervalli principali e delle relative inversioni:<br />

<strong>seconda</strong> minore diventa settima maggiore<br />

<strong>seconda</strong> maggiore diventa settima minore<br />

terza minore diventa sesta maggiore<br />

terza maggiore diventa sesta minore<br />

quarta giusta diventa quinta giusta<br />

quinta giusta diventa quarta giusta<br />

quinta diminuita diventa quarta aumentata o eccedente<br />

sesta minore diventa terza maggiore<br />

sesta maggiore diventa terza minore<br />

settima maggiore diventa <strong>seconda</strong> minore<br />

E’ probabile che chi avvicina questo argomento per la prima volta sia preoccupato dalla<br />

quantità di informazioni da ricordare. Vi sono tuttavia elementi di importanza primaria ed altri<br />

<strong>seconda</strong>ri: per poter seguire con competenza un discorso tecnico-musicale e di conseguenza estetico<br />

è necessario almeno poter riferire nomi e concetti ad un’esperienza acustica concreta e quindi saper<br />

riconoscere le differenze fra gli intervalli principali (<strong>seconda</strong> maggiore e minore, terza maggiore e<br />

minore, quarta, quinta, sesta maggiore e minore, settima, quinta diminuita).<br />

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Altre voci, altre scale<br />

Prima di passare a considerare la <strong>seconda</strong> scala-tipo del sistema occidentale (la scala ‘minore’), sarà<br />

utile osservare il profilo sonoro di altre scale che, con uguale legittimità, sono state utilizzate in<br />

ambiti culturali differenti. Questo servirà indirettamente ad identificare meglio le scale-tipo della<br />

nostra tradizione.<br />

La scala blues e la scala pentatonica derivano da culture musicali extra-europee, ma sono state<br />

utilizzate anche nell'ambito della musica occidentale colta da compositori che a queste culture<br />

“esotiche” volevano alludere per introdurre un colore locale alle loro opere (come Puccini in<br />

Turandot) o per rappresentarle (Gershwin in Porgy and Bess) o infine per creare sonorità insolite.<br />

Queste scale sono basate su una suddivisione dell'ottava differente rispetto alla scala-tipo<br />

precedentemente descritta e risultano di conseguenza relativamente 'estranee' benché in realtà siano<br />

state ampiamente recepite nell'esperienza comune.<br />

La scala Blues<br />

Una delle scale ascoltate con maggior frequenza nel mondo moderno (e forse a livello planetario), è<br />

la scala blues. Essa deriva dalla complessa tradizione musicale afro-americana, che gode di grande<br />

popolarità in tutto il mondo sia per ragioni musicali intrinseche, sia per aver tratto vantaggio della<br />

capacità di proiezione culturale degli Stati Uniti d’America, dove è stata riconosciuta a partire dagli<br />

anni ’20 del Novecento come parte integrante della cultura nazionale. La scala blues è stata<br />

impiegata nel Blues, genere musicale (o piuttosto atteggiamento insieme culturale e musicale) che<br />

merita approfondimento ma che in questo momento ci interessa solo per la disposizione degli<br />

intervalli nella scala di riferimento. Benché non esista un consenso generale su quali siano i gradi<br />

fondamentali di questa scala e sui suoni che dovrebbero essere considerati 'accessorii', ne propongo<br />

la seguente forma:<br />

Es. 3.5<br />

La sequenza degli intervalli è:<br />

I-II grado = 1 tono e mezzo<br />

II-III grado = 1 tono<br />

III-IV grado= mezzo tono<br />

IV-V = mezzo tono<br />

V-VI = 1 tono e mezzo<br />

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VI-I = un tono<br />

Anche in questo caso, iniziamo la scala convenzionalmente a partire dal Do ma quello che conta è la<br />

sequenza degli intervalli. Si nota la presenza di sei soli gradi invece che sette e di ben due intervalli<br />

particolarmente ampi, di un tono e mezzo. Fortemente caratteristica è anche la successione di due<br />

semitoni fra il terzo ed il quinto grado. Questa caratteristica è solo in parte descritta dalla notazione<br />

musicale perché nella pratica performativa (cioè nell’esecuzione) il passaggio fra quarto e quinto<br />

grado avviene gradualmente per microintervalli con una sorta di ‘glissato’ espressivo (effetto che<br />

viene realizzato meglio dalla voce e dagli strumenti ad intonazione variabile che da strumenti a suono<br />

fisso come il pianoforte).<br />

Si nota anche la presenza di un quarto grado alterato (Fa#) fortemente dissonante rispetto al Do.<br />

Questo suono è comunque utilizzato prevalentemente con una funzione di ‘passaggio’ fra i suoni<br />

contigui. La pratica dell’intonazione variabile (ossia deformata espressivamente) può riguardare<br />

anche altri suoni della scala che vengono detti ‘blue-notes’ (ossia suoni ‘blu’ o caratteristici); da qui<br />

si capisce che il modo di esecuzione identifica il Blues quanto e forse più della sequenza degli<br />

intervalli come prova l’ascolto di un brano eseguito da un’interprete storica, la statunitense Billie<br />

Holiday.<br />

Es. mus. 3.6<br />

La scelta di questo esempio (My man) dipende dal fatto, piuttosto paradossale, che ‘suona’ come un<br />

Blues in virtù dell’esecuzione della Holiday, ma è in effetti una canzone sentimentale francese (Mon<br />

homme).<br />

Si direbbe che la scala blues sia quanto di più distante si possa immaginare dalla scala di Do<br />

maggiore ma in realtà esistono scale-tipo ben più remote dal nostro modello. E’ forse più giusto<br />

vedere nella scala blues un’alternativa alla scala maggiore, non priva di punti di contatto che la<br />

rendono in qualche misura famigliare. Per esempio, i due intervalli di un tono e mezzo sono<br />

equivalenti agli intervalli di terza minore presenti entro la scala-tipo di Do maggiore (la differenza è<br />

che qui si omette, per così dire, il suono intermedio); inoltre è comune alle due scale l’intervallo<br />

particolarmente importante fra il primo ed il quinto grado (quinta giusta). Si rileva un’altra quinta<br />

giusta fra il secondo ed il sesto grado (Mi bemolle-Si bemolle) e fra il terzo (Fa, che nella scala di Do<br />

maggiore è il IV grado) l’ottavo (Do). Ma un altro parallelismo fra i due modelli pare più<br />

significativo: la prima metà della scala presenta una sequenza di intervalli uguale alla <strong>seconda</strong> metà:<br />

Scala blues<br />

47


(3a min + 2a magg.) + (3a min- + 2a magg.)<br />

Scala di Do magg.<br />

(2a magg. + 2a magg + 2a min) + (2a magg. + 2a magg. + 2a min.)<br />

E’ possibile che la relativa semplicità strutturale <strong>dei</strong> due modelli (cioè il fatto che contengano due<br />

sottostrutture identiche) ne spieghi in parte la fortuna. Per la scala blues (come per ogni altra scala),<br />

va ribadito che le sequenze melodiche sono soltanto uno degli aspetti che caratterizza lo stile (la<br />

scala-blues ne sottende molti e diversi fra loro) e quest’ultimo va valutato alla luce di altri elementi<br />

caratteristici. Un esempio paradigmatico dell’impiego di questa scala è un’altra registrazione di Billie<br />

Holyday (Es. 3.7), The Blues are brewing, un brano autoreferenziale, nel senso che il testo descrive<br />

quale sia il terreno di coltura, in termine di sensazioni e sentimenti, del Blues stesso, o almeno dello<br />

stile tipico degli anni ’40 del Novecento.<br />

La scala pentatonica (detta anche “cinese”)<br />

La scala pentatonica consta della seguente successione di intervalli: T, T, T+S (1 tono 1/2 ), T (forma<br />

A nell'esempio). Ne è stata utilizzata però anche la forma T, TS, T, T (forma B). In entrambi i casi la<br />

scala è caratterizzata da intervalli di <strong>seconda</strong> maggiore e di terza minore, senza alcun intervallo di<br />

semitono. Questo conferisce alla sequenza <strong>dei</strong> suoni un carattere relativamente sospeso, mentre per<br />

converso risulta meno pronunciata l'implicazione 'risolutiva' da un suono all'altro.<br />

Es. 3.8 scala pentatonica ascendente e discendente (Es. mus. 3.8 A e B)<br />

La scala pentatonica è un modello di grande semplicità, che si ritrova in culture musicali molto<br />

antiche. La sua teorizzazione in Cina risale al IV secolo a.C. ma essa appartiene anche a culture di<br />

parti del mondo che la dovettero elaborare indipendentemente (Europa, Africa, Sud-America).<br />

48


Bisogna considerare che la stessa definizione di 'scala pentatonica' è generica e che nelle applicazioni<br />

storiche - in Cina per esempio - la forma elementare è stata soggetta a notevoli elaborazioni e<br />

complicazioni, anche rispetto al calcolo degli intervalli fra i suoni.<br />

Fra le numerose forme di scala pentatonica va ricordata per la sua particolarità la scala detta<br />

“Slendro” (Giava, Bali) che, con un procedimento artificioso e affatto diverso dalle altre<br />

pentatoniche, divide l’ottava in 5 intervalli di ampiezza pressoché uguale.<br />

La scala pentatonica fu impiegata di frequente nella musica occidentale del periodo romantico: nello<br />

Studio op. 10 n.5 per pianoforte di Fryderyk Chopin (detta “sui tasti neri” perché la mano destra<br />

suona la scala pentatonica maggiore di Fa#, usando appunto solo i tasti neri del pianoforte),<br />

nell’opera L’Oro del Reno di Richard Wagner; in seguito la impiegarono Giacomo Puccini nella<br />

Turandot, Claude Debussy (Pagodes da Estampes), Maurice Ravel (Ma mere l’oye), Béla Bartók<br />

(Mikrokosmos, vol III), Gian Francesco Malipiero (Pause del silenzio).<br />

La scala esatonale (detta anche “a toni interi”)<br />

È formata da 6 suoni a distanza di tono (l’ottava è dunque divisa in sei parti uguali):<br />

Es. 3.9 scala esatonale ascendente e discendente<br />

Poiché le distanze fra i suoni sono tutte uguali (si parla anche di scala 'equalizzata'), non può<br />

configurarsi un centro tonale solo sulla base della progressione melodica: la scala, in altri termini,<br />

può iniziare e finire indifferentemente su ciascuno <strong>dei</strong> sei suoni perché nessuna differenziazione<br />

interna ne segnala percettivamente la posizione della tonica. Ciò le conferisce un carattere sospeso e<br />

la sua costruzione implica che ne possano esistere due sole forme entro il nostro sistema; la <strong>seconda</strong><br />

comprende i suoni Do# – Re# – Fa – Sol – La – Si.<br />

La scala fu usata per la prima volta con significato ironico (cioè come scala 'sbagliata') in W.A.<br />

Mozart (Ein musikalischer Spass K. 522), fu più tardi utilizzata nella musica russa del XIX sec.<br />

(Glinka, Mussorgski) e quindi acquisita da Debussy (Pelléas et Melisande, Voiles da Préludes),<br />

Ravel (Ma mère l’Oye), Bartók (Quartetto n.1, String Quartet No. 5), Busoni (Sonatina n.1 per pf.,<br />

An die Jugend), Stravinskij (Le sacre du printemps), Berg (Sieben frühe Lieder).<br />

49


La scala cromatica<br />

Si è visto come i tipi di intervalli fra i suoni di una scala diatonica siano di due tipi, tono e semitono.<br />

Ciò implica che fra gli intervalli di tono è possibile inserire un suono intermedio, a distanza di<br />

semitono. Per esempio fra un Do e un Re possiamo inserire un suono intermedio più alto di mezzo<br />

tono rispetto a Do e più basso di mezzo tono rispetto a Re. Un tale suono non riceve nella pratica<br />

musicale un nome proprio ma viene concepito, per motivi principalmente storici, come<br />

‘modificazione’, o ‘alterazione’ del Do (in aumento) o del Re (in diminuzione): nel primo caso viene<br />

chiamato Do diesis (segnato #), nel secondo Re bemolle (segnato b). Le frequenze <strong>dei</strong> due suoni Do<br />

diesis e Re bemolle sono identiche (nel sistema di accordatura temperato in uso dal medio<br />

Settecento) ma nella pratica musicale si danno nomi diversi, a <strong>seconda</strong> del contesto tonale.<br />

Se immaginiamo una scala che comprenda solo gli intervalli di semitono entro un’ottava otterremo la<br />

scala cromatica.<br />

Es. 3.10<br />

Ogni grado intermedio fra due suoni a distanza di tono puà avere in pratica due 'nomi', a <strong>seconda</strong><br />

delle circostanze armoniche nelle quali si presenta (cioè può essere inteso come innalzamento del<br />

suono precedente o abbassamento di quello successivo, come si vede di seguito:)<br />

L’aggettivo ‘cromatico’ non comporta alcun riferimento a fatti visivi o coloristici ma discende<br />

dall’uso dello stesso termine per le successioni melodiche o armoniche che comportano l'uso di suoni<br />

alterati. La scala cromatica, intera o per frammenti, ha avuto largo impiego nella musica occidentale<br />

sin dal Rinascimento e con effetti diversi: un caso celebre di uso del cromatismo con finalità<br />

simboliche ed espressive è il madrigale di Luca Marenzio Solo e pensoso su testo di Francesco<br />

Petrarca (qui il movimento cromatico di una delle voci intende rappresentare il cammino del narrante<br />

che “solo e pensoso” va misurando “a passi tardi e lenti i più deserti campi”; al tempo stesso però il<br />

cromatismo impone in questo madrigale una costruzione armonica continuamente cangiante e a tratti<br />

fortemente dissonante che implica un’espressione dolorosa (Es. mus. 3.11). Per la verità questo<br />

50


esempio musicale comporta una complicazione, nel senso che gli intervalli di semitono usati nel<br />

periodo rinascimentale non corrispondevano esattamente a quelli attuali.<br />

Del tutto diverso è l’impiego coloristico (e virtuosistico al tempo stesso) della scala cromatica nel<br />

celebre ‘Volo del calabrone’ dall'opera Tsar Saltan di Nikolai Rimskji Korsakov; qui la scala<br />

cromatica è usata in combinazione con un’armonia stabile e piuttosto prevedibile per un pezzo che<br />

pone in primo piano il colore ed il virtuosismo orchestrale (Es. mus. 3.12).<br />

Infine bisognerà citare l’impiego di procedimenti cromatici, con importanti conseguenze sul piano<br />

armonico e formale, di Richard Wagner (1813-1883). Questi utilizzò le risorse del cromatismo in<br />

modo rivoluzionario per i suoi tempi, affrettando una riflessione sul senso del sistema tonale<br />

moderno che determinò una crisi <strong>dei</strong> suoi presupposti estetici, reinterpretati in chiave modernista dal<br />

compositore e teorico Arnold Schönberg (1877-1951).<br />

Da un punto di vista formale, la scala cromatica presenta un’analogia con la scala per toni interi, nel<br />

senso che è indifferenziata al suo interno. Diversamente da quella però, essa comprende al suo<br />

interno la dominante (V grado).<br />

La scala octotonica<br />

A differenza delle scale finora analizzate, che derivano primariamente da una pratica musicale<br />

successivamente teorizzata, altre scale sono state create artificialmente a tavolino dai compositori. È<br />

il caso della scala octotonica (od octofonica). Nella scala octotonica l’ottava è divisa in quattro<br />

gruppi di tre suoni ciascuno caratterizzati dalla successione di S e T:<br />

La scala può essere costruita secondo due modelli. Il primo modello corrisponde a quello<br />

rappresentato nel pentagramma (es. mus. 3.9 bis), con la successione STST ecc.; l'altro invece inizia<br />

con T e i suoni della scala sono di conseguenza Do – Re – Mib, ecc.<br />

51


La logica di un sistema e le risorse della tavolozza musicale<br />

Le scale, come si è detto, sono un riferimento teorico comune a molte culture. Esistono migliaia di<br />

scale diverse (o tipi di applicazione delle medesime), ma a noi serve solo conoscere le principali e,<br />

più importante, capire il rapporto esistente fra la scala in quanto struttura di riferimento e gli altri<br />

elementi di un sistema musicale. Infatti una scala, di per sé, non può costituire un fondamento<br />

sufficiente per un sistema musicale articolato. Ciò dipende dal fatto che non offre sufficiente varietà<br />

per repertori numerosi o per costrutti di ampie dimensioni. Sussiste infatti un rapporto stretto fra le<br />

capacità di percezione, attenzione e memoria (cioè la 'competenza' dell’ascoltatore), la varietà<br />

intrinseca e durata di un brano (che discende dal lavoro del compositore) e la funzione sociale di un<br />

determinato brano o del repertorio al quale appartiene (cioè il contesto culturale).<br />

Per fare un esempio, la varietà intrinseca di una musica destinata alla danza o alla preghiera, o<br />

ad accompagnare le immagini di un film, o semplicemente ad un ascolto distratto (come la musica<br />

che viene diffusa in supermercato o negli ascensori) sarà generalmente minore rispetto a quella<br />

destinata all’ascolto (musica d’arte o da concerto). Sarà invece nella musica concepita per l’ascolto<br />

che si ritroveranno le più sottili arguzie compositive o esecutive e in essa verranno più probabilmente<br />

sfruttate a fondo le risorse complessive di un sistema musicale. Per formulare un giudizio fondato su<br />

di una musica è dunque necessario comprendere i rapporti fra la sua grammatica, la sua funzione ed il<br />

contesto.<br />

Per apprezzare la logica del sistema occidentale moderno (ca. 1700-1900), sarà utile fare un<br />

passo indietro ed esaminare compendiosamente un paio di esempi del modo in cui viene affrontato il<br />

problema della ‘varietà nel tempo’ in epoche più remote (l’alto Medioevo) o in culture esotiche<br />

(l’India tradizionale e contemporanea).<br />

Dal punto di vista delle strutture scalari, la cultura musicale medievale era più ricca di quella<br />

moderna. Contemplava infatti un sistema di otto scale, rispetto alla due attuali, chiamate ‘modi’,<br />

ciascuna con sequenze di intervalli proprie. Gli otto modi sono qui sotto descritti e dovrebbero<br />

essere ascoltati attentamente per apprezzarne il differente carattere, che per i nostri antenati era certo<br />

più avvertibile che per noi, educati ad una diversa sensibilità.<br />

Modi autentici e modi plagali 4<br />

Ci siamo riferiti fino a questo momento a delle ‘scale-tipo’ ma il termine con il quale si descriveva nel<br />

Medioevo (ed oltre) una sequenza di intervalli in relazione con una tonica era ‘modo’. Un modo<br />

indicava dunque un ‘modo di cantare’ ed identificava il rapporto fra gli intervalli che lo<br />

52


caratterizzavano ed il suono di riferimento principale (in parte analogo funzionalmente alla moderna<br />

tonica), che era anche, per definizione, il suono col quale un determinato brano si concludeva. Il<br />

carattere del modo dipendeva anche da un suono frequentemente ricorrente nel corso <strong>dei</strong> brani,<br />

chiamato repercussio (e che non era un suono fisso entro i gradi della scala, ma variava a <strong>seconda</strong><br />

del modo: in tal senso, un concetto diverso da quello delle moderne 'funzioni' tonali).<br />

Gli otto modi del sistema teorico medievale sono suddivisi in ‘autentici’ e ‘plagali’. Ciascun modo<br />

autentico ha un proprio nome (derivato con qualche imprecisione dal sistema teorico della Grecia<br />

classica). La sequenza degli intervalli corrisponde alle scale che nel sistema moderno hanno per<br />

tonica rispettivamente Re, Mi, Fa, Sol. (Si noti comunque che l’altezza assoluta <strong>dei</strong> suoni è un<br />

fattore <strong>seconda</strong>rio rispetto alla sequenza degli intervalli).<br />

Modi autentici<br />

Protus autentico (o Dorico, primo modo)<br />

Es. 3.13<br />

Es. 3.14 (GR, p. 16 Universi)<br />

Deuterus autentico (Frigio, terzo modo)<br />

Es. 3.15<br />

Es. 3.16<br />

Tritus autentico (Lidio, quinto modo)<br />

Es. 3.17<br />

Es. 3.18<br />

4 Questo paragrafo serve ad approfondire la conoscenza di strutture scalari antiche ma non è indispensabile per la<br />

comprensione generale del testo.<br />

53


Tetrardus autentico (Misolidio, settimo modo)<br />

Es. 3.19<br />

Es. 3.20<br />

Può esser utile, per meglio cogliere e distinguere all’ascolto il profilo melodico delle scale modali,<br />

ricondurre le loro sequenze di intervalli a una medesima tonica, il Do (ossia, come si dice<br />

tecnicamente, 'trasportare' queste scale sul Do; si ascolti l’Es. mus. 3.20 bis):<br />

:<br />

A differenza dalle scale moderne, che si possono estendere verso l’alto o verso il basso<br />

indefinitamente, l’estensione di un modo era determinata. Ognuno comprendeva un’ottava e al più<br />

poteva eccedere verso l’acuto o verso il grave di due o tre suoni.<br />

Da ogni modo autentico deriva un ‘plagale’ che è analogo all’autentico nella sequenza degli intervalli<br />

e che ha la stessa nota finale ma è diverso riguardo all’estensione utilizzata. Il plagale aggiunge al<br />

nome dell’autentico il prefisso ipo-.<br />

Ogni modo plagale si colloca una quarta più in basso rispetto al relativo autentico. In termini<br />

moderni e con qualche semplificazione si può dire che il diverso impiego della tessitura faceva la<br />

differenza fra forma autentica e forma plagale a parità di tonica.<br />

Modi plagali<br />

Protus plagale (Ipodorico, secondo modo)<br />

Es. 3.21<br />

54


Es. 3.22 (GR, p. 17, Ad te Domine)<br />

Deuterus plagale (Ipofrigio, quarto modo)<br />

Es. 3.23<br />

Es. 3.24 Gloria. Domenica resurrectionis<br />

Tritus plagale (Ipolidio, sesto modo)<br />

Es. 3.25<br />

Es. 3.26 (Hildegard von Bingen responsorio O mobilissima viriditatis)<br />

Tetrardus plagale (Ipomisolidio, ottavo modo)<br />

Es. 3.27<br />

Es. 3.28 (GR, Kyrie I)<br />

Può essere utile, per meglio distinguere all’ascolto il profilo melodico <strong>dei</strong> modi, ricondurli a un’unica<br />

nota tonica (il Do) – si ascolti l’es. mus. 3.28 bis.<br />

55


Il sistema degli otto modi (Oktoechos), venne successivamente esteso e/o modificato nel corso del<br />

Rinascimento, ma per i nostri scopi è sufficiente questo livello di conoscenza.<br />

Se è vero che il Medioevo si avvaleva di un numero maggiore di scale (modi), rispetto all’epoca<br />

moderna bisogna però rilevare che la varietà musicale che ne derivava si collocava in un contesto<br />

culturale ben lontano dall’attuale. In primo luogo, il repertorio di riferimento era esclusivamente<br />

monodico (canto collettivo oppure solistico di una singola melodia, noto genericamente come<br />

‘Gregoriano’); viceversa, la cultura musicale dal tardo Medioevo all’età moderna ha preferito<br />

sviluppare strutture comprendenti più melodie contemporanee oppure una melodia principale con<br />

accompagnamento (modalità simili non erano ignote all’alto Medioevo ma la teoria <strong>dei</strong> modi non le<br />

prendeva in considerazione). In conseguenza dell’assetto monodico delle composizioni, la diversità<br />

<strong>dei</strong> modi risulta più avvertibile che nelle strutture a più voci (‘polifoniche’). Bisogna però precisare<br />

che la teoria <strong>dei</strong> modi, elaborata successivamente all’epoca di formazione del repertorio più antico,<br />

riflette solo in maniera imprecisa il contenuto intervallare di molti brani.<br />

Nonostante la notevole varietà rispetto al sistema bi-modale moderno è quasi inevitabile che un<br />

ascoltatore inesperto subisca un’impressione di monotonia all’ascolto delle melodie Gregoriane; ma<br />

questo dipende più dalla perdita di sensibilità modale e dall’ascolto in un contesto funzionale<br />

improprio (in quanto separato dal rito religioso) che dalle qualità musicali intrinseche <strong>dei</strong> canti. A<br />

questo bisogna aggiungere che le tradizioni esecutive moderne, pur tentando di avvicinarsi<br />

all’originale, non possono farlo che in via congetturale e presentano un alto grado di incertezza su<br />

dettagli esecutivi essenziali come la dinamica, la velocità, ed una serie di ‘effetti’ particolari di cui si<br />

ha traccia, ma solo incerta, nelle fonti scritte. Bisognerà quindi tenere presente che l’esecuzione in<br />

tempi moderni della monodia liturgica discende da un fenomeno di revival (iniziato nella <strong>seconda</strong><br />

metà dell’Ottocento) di tradizioni esecutive che si erano perdute irrimediabilmente fra Medioevo ed<br />

età moderna. E’ come se si volesse giudicare del valore artistico di Billie Holiday basandosi su di una<br />

trascrizione in partitura.<br />

56


Benché il sistema medievale europeo sia stato abbandonato (perlomeno nell’ambito della<br />

composizione di nuove musiche) questo non dipende dall’esaurimento delle possibilità del sistema<br />

modale. Altri sistemi musicali modali, basati sulla molteplicità delle scale, hanno potuto mantenersi in<br />

buona salute sino al presente entro contesti socio-culturali più stabili o, se si preferisce, meno<br />

dinamici di quelli occidentali. Le due tradizioni principali dell’India (quella settentrionale Indostana e<br />

quella meridionale o Karnataka), sfruttano concezioni modali complesse, che stanno tuttavia in<br />

relazione con una tonica fissa. Questa viene prodotta materialmente da strumenti musicali<br />

appositamente concepiti, come il tambura, al quale è affidato il compito di produrre una serie<br />

continua di suoni per tutta la durata del brano (I e V grado della scala). Da qui deriva un carattere<br />

eufonico e stabile ma anche monotono (le due cose vanno necessariamente di pari passo). Tuttavia, il<br />

sistema nel suo complesso sfrutta sapientemente questa cornice tonale fissa per farvi risaltare una<br />

varietà di sfumature esecutive sottilissime (suoni alterati per microintervalli, sovrapposizione di suoni<br />

dissonanti rispetto alla tonica etc.). Si può dire dunque che quei sistemi guadagnano varietà<br />

nell’impiego <strong>dei</strong> microintervalli mentre ne perdono nella fissità tonale. Questa però è compensata<br />

dalle finezze modali, di intonazione, e dalla varietà ritmica, oltreché da strutture formali elementari<br />

ma efficaci che tendono all’intensificazione ciclica progressiva nel corso del brano.<br />

Quanto alla tonica fissa, infine, bisogna segnalarne una certa relatività: nella musica per voce con<br />

accompagnamento strumentale la tonica stessa viene definita non da una convenzione universale<br />

(come il diapason occidentale che fissa il La a 440 vibrazioni per secondo), ma è individuata nella<br />

frequenza considerata ideale per la voce del singolo esecutore. Insomma la tonica di un brano è fissa,<br />

ma quella di ciascun esecutore è mobile.<br />

Generalmente, un sistema musicale sviluppa alcune risorse a svantaggio di altre: per esempio nella<br />

musica di consumo (o Pop, anche se il termine è impreciso) è centrale la ricerca timbrica mentre<br />

l’elaborazione armonica o la ricerca formale sono solo raramente rilevanti. Talvolta i differenti<br />

parametri musicali trovano nell’opera (o in specifiche opere) di singoli compositori un equilibrio che<br />

ne qualifica il carattere come ‘classico’ (il termine va però usato con parsimonia perché ha assunto<br />

nella storia musicale significati diversi). In termini semplificati si può dire che ogni sistema ed ogni<br />

funzione musicale si avvalgono del livello e del tipo di varietà più appropriato ai fini. Un esercizio<br />

fondamentale per l’ascoltatore occidentale moderno che intende apprezzare differenti culture<br />

musicali è quello di individuare le logiche sottese alle musiche cui è esposto, apprezzandone le<br />

risorse e individuandone i limiti.<br />

57


La <strong>seconda</strong> scala-tipo occidentale (scala di La minore)<br />

Abbiamo rimandato a lungo l’esame della <strong>seconda</strong> scala-tipo occidentale perché era necessario<br />

capire, almeno per cenni, quante diverse possibilità scalari si presentino ai musicisti e quanto relativa<br />

sia la sistemazione teorica moderna occidentale dell’elemento scalare.<br />

La scala-tipo di La minore deriva da quella di Do maggiore, essendo la scala che ha per tonica il<br />

sesto grado (La) di quella e che utilizza gli stessi suoni. Tuttavia, come vedremo, questa forma della<br />

scala minore non è la più utilizzata, in quanto se ne sono preferite nella pratica delle ‘varianti’ che la<br />

rendono più simile alla scala di Do maggiore di quanto non sia nella forma normale.<br />

Scala maggiore e scala minore possono essere considerate a tutti gli effetti <strong>dei</strong> ‘modi’, vale a dire<br />

delle sequenze di intervalli in relazione con una tonica. La scala di La minore viene definita anche<br />

come ‘relativa minore’ di quella di Do maggiore<br />

Es. 3.30<br />

Si ha dunque la seguente sequenza di intervalli:<br />

T, S, T, T, S, T, T,<br />

Il termine ‘minore’ deriva dall’intervallo che la caratterizza in maniera decisiva rispetto alla scala<br />

maggiore, cioè l’intervallo di terza fra la tonica e la mediante (o caratteristica) che è di due toni<br />

(terza maggiore) nella scala maggiore e di un tono e mezzo (terza minore) nella minore.<br />

Oltre a questa scala detta ‘minore naturale’, che rappresenta la forma almeno teoricamente più pura,<br />

perché direttamente discendente dalla scala maggiore, ne esistono altre due che potremmo<br />

considerare rispettivamente come:<br />

a) la forma più usata storicamente: scala minore melodica e<br />

b) la forma che costituisce un supporto teorico intermedio fra la scala ‘naturale’ e scala ‘melodica’.<br />

Questa forma è detta ‘minore armonica’.<br />

Il caso della scale minori è interessante perché rivela insieme l’importanza di una teoria e i suoi limiti.<br />

Si può dire che nella nostra cultura non sia mai stato sufficiente ‘constatare’ l’esistenza di una scala<br />

nell’uso ma si è inteso giustificarla in modo organico entro il sistema.<br />

58


La scala minore melodica, che fra le tre forme in minore ha avuto la massima frequenza d’uso, unisce<br />

alla caratteristica terza minore della minore naturale due intervalli modificati che la rendono più<br />

simile alla scala maggiore: l’innalzamento di un semitono del settimo e del sesto grado. Vedremo fra<br />

poco per quale motivo sia convenuto alterare in questa maniera la forma primaria della scala.<br />

Es. 3.31<br />

La scala minore melodica presenta dunque la seguente sequenza di intervalli:<br />

T, S, T, T, T, T, S<br />

Viene detta ‘melodica’ non tanto perché sia intreinsecamente più melodiosa della scala naturale ma<br />

per distinguerla, quanto a cantabilità, dalla scala minore ‘armonica’ di cui si dirà fra breve.<br />

Con questa disposizione degli intervalli la parte superiore della scala, o tetracordo superiore, è<br />

identico alla scala maggiore mentre quello inferiore se ne differenzia solo per il III grado. Questa<br />

circostanza potrebbe essere una giustificazione sufficiente (per quanto meramente utilitaristica), ma<br />

in generale i libri di teoria ricorrono ad un’argomentazione un po’ più complessa che comporta la<br />

considerazione della forma intermedia fra scala naturale e melodica, cioè la scala minore ‘armonica’.<br />

La minore ‘armonica’ prevede l’innalzamento artificiale del solo settimo grado, ma non del sesto.<br />

Es. 3.32<br />

Presenta dunque la seguente sequenza di intervalli:<br />

T, S, T, T, S, (T+S), S<br />

si riscontra un intervallo eccezionale di 1 tono e 1 /2 fra VI e VII grado. Questa forma della scala, pur<br />

con il suo intervallo ‘anomalo’ è stata utilizzata nel repertorio, ma piuttosto raramente. Bisogna<br />

chiedersi a questo punto perché sia così desiderabile, in entrambe le forme derivate della scala<br />

minore, introdurre l’intervallo di semitono, invece che quello di tono della minore naturale, fra il VII<br />

grado e il successivo I.<br />

Nei trattati di teoria musicale si incontra perlopiù una giustificazione di ordine melodico, cioè si<br />

sostiene l’opportunità di utilizzare un VII grado sensibile, vale a dire il più vicino possibile alla<br />

successiva tonica verso la quale tenderebbe a 'risolvere’. Il settimo grado innalzato dunque (Sol # in<br />

59


La minore), determina l’intervallo anomalo (e difficile da intonare per una voce) di un tono e mezzo,<br />

al quale si pone rimedio nella scala minore melodica con l’innalzamento del VI grado (Fa # in La<br />

minore).<br />

E’ lecito chiedersi se questa catena di giustificazioni, che in verità si reggono solo fra di loro, abbia<br />

qualche fondamento e se sia possibile provare che l’intervallo di semitono fra VII e I grado implichi<br />

con maggiore urgenza la risoluzione verso la tonica rispetto all’intervallo di tono. Questo può anche<br />

essere, ma bisogna evitare di confondere delle abitudini d’ascolto consolidate con delle leggi<br />

immutabili o con delle proprietà fisiche inerenti ai singoli suoni. La forma della scala minore naturale<br />

è in verità altrettanto buona quanto la minore melodica e i singoli suoni non godono di proprietà<br />

intrinseche ma, tutt’al più, di implicazioni relazionali. Il settimo grado ‘sensibile’ lascia prevedere la<br />

sua risoluzione sulla tonica solo sulla base dell'esperienza pregressa, sia delle progressioni melodiche,<br />

sia (e questo è forse più decisivo) delle concatenazioni armoniche.<br />

D’altra parte nella presentazione melodica di una scala minore naturale anche il VII grado non<br />

sensibile lascia prevedere una conclusione verso la tonica, sulla base di un’inferenza piuttosto ovvia<br />

(cioè l’aver udito tutti i gradi di una scala ascendente tranne l’ottava). Se ne potrà fare esperienza<br />

ascoltando l’Es. 3.33 in cui le tre forme della scala sono lasciate sospese sul VII grado (solo nel<br />

terzo caso non si tratta di un VII grado sensibile).<br />

Es. 3.33<br />

E’ vero però che il VII grado sensibile ha un’instabilità maggiore del VII grado non sensibile ma ciò<br />

deriva dal fatto che due suoni a distanza di semitono presentano fra loro un più alto grado di<br />

dissonanza.<br />

La questione non sarebbe in verità di grande importanza se non incontrassimo spesso nella letteratura<br />

teorica un linguaggio che sembra attribuire ai suoni delle proprietà immanenti, come si trattasse di<br />

organismi indipendenti e guidati da una una necessità se non addirittura da una volontà propria.<br />

60


Laddove si sentirà affermare che un suono ‘si muove’ oppure ‘risolve’ oppure ‘tende a’, etc. si sta<br />

applicando un linguaggio figurato: è sempre e solo il compositore che muove le cose.<br />

E’ più importante riflettere su quale senso abbia, storicamente parlando, l’assimilazione della scala<br />

minore naturale alla maggiore attraverso la variante ‘melodica’. Non esiste una risposta certa a una<br />

questione di questo genere ma si può supporre che la progressiva elaborazione di un sistema<br />

bimodale (maggiore/minore) abbia comportato una tendenza a ridurre le differenze modali fino<br />

all’unica differenza del III grado. Bisogna anche considerare che la pura disposizione melodica non<br />

ha un parallelo esatto nei procedimenti armonici, cioè nella concatenazione degli accordi. Come ha<br />

osservato Walter Piston “nelle successioni di accordi gli aspetti modali hanno un peso minore di<br />

quelli tonali. Modo maggiore e modo minore non si differenziano per il loro uso quanto le differenze<br />

tra le rispettive scale potrebbero far supporre, e a volte non è neppure chiaro quale tra i due modi il<br />

compositore stia usando”. 5 E’ dunque possibile, anche se del tutto congetturale, che l’appiattimento<br />

delle differenze modali dipenda dalla ricerca di un linguaggio accordale relativamente coeso e che<br />

non differenzi, se non nel tratto essenziale del III grado, i due modi.. Infatti la scelta <strong>dei</strong> suoni che<br />

compongono determinati accordi di un brano in minore (per esempio quelli che si costruiscono sul<br />

III o sul V grado) derivano più dalle funzioni armoniche caratteristiche del modo maggiore che dagli<br />

intervalli prescritti per le scale minori.<br />

Alle anomalie fin qui rilevate circa le scale minori va aggiunta la differente forma fra scala ascendente<br />

e scala discendente melodica: nella forma discendente infatti è teorizzata la rimozione degli accidenti,<br />

sicché la scala corrisponde, nel discendere, alla minore naturale. Questa distinzione tuttavia non è<br />

stata osservata in maniera rigorosa e si trovano esempi di uso diverso nella letteratura.<br />

Es. 3.34<br />

5 W. Piston, Armonia, Ed. ampliata e riveduta da M. Devoto, Torino, EdT, 1989, p. 60.<br />

61


Concludiamo questo paragrafo con alcuni esempi di utilizzazione del modo minore. E’ appena il caso<br />

di rilevare che il modo minore ha un carattere generalmente più dimesso o ‘triste’ rispetto al modo<br />

maggiore, benché il carattere di una musica derivi da un complesso di elementi e non solo dalla<br />

struttura scalare.<br />

Es. sonoro 3.36: W.A. Mozart, Sinfonia K.550 in Sol minore<br />

Es. sonoro 3.37: L. van Beethoven, Sinfonia No. 5 in Do min. op- 67 Allegro con brio<br />

Es. sonoro 3.38: F. Couperin, Pièces de clavecin, cinquième ordre, Prima corrente in La magg. E<br />

<strong>seconda</strong> corrente in La min.<br />

Es. sonoro 3.39: W.A. Mozart. Quintetto per archi No. in La magg. K 515, Allegro<br />

Una trasfigurazione singolare di una melodia tradizionale in maggiore (la già citata Fra’ Martino) si<br />

trova nel primo movimento della Prima sinfonia di G. Mahler dove assume, per il modo minore ma<br />

anche per l’orchestrazione ed il tempo, un carattere insieme sinistro ed ironico (Es. mus. 3.40).<br />

Una volta affrontate le strutture scalari in quanto elemento di base di una teoria musicale, muoviamo<br />

ad occuparci del parametro che identifica qualunque sequenza melodica rendendola propriamente<br />

una melodia, vale a dire il ritmo. Sebbene molti degli esempi fin qui ascoltati comportassero anche<br />

delle strutture armoniche, cioè sovrapposizioni accordali di suoni, ne rimanderemo l’esame ad un<br />

momento successivo.<br />

62


Ancora sulle funzioni <strong>dei</strong> gradi<br />

Si è trattata più sopra la funzione di tonica. Ad essa si contrappone la funzione di dominante in<br />

quanto grado della scala più importante dopo la tonica. La dominante corrisponde all'armonico più<br />

'forte' fra quelli contenuti nel suono della tonica e quindi è al tempo stesso strettamente legato ad<br />

essa e ne costituisce (in una struttura sintattica) l'alternativa più ovvia ed anche l'anticipazione più<br />

probabile. Se ascoltiamo una tonica seguita dalla sua dominante essa ci appare come una<br />

conseguenza 'naturale' ed altrettanto naturale appare il ritorno al suono di partenza. Il salto<br />

dominante-tonica prende anche il nome di salto principale ed è un movimento caratteristico che<br />

definisce in maniera forte l'identità tonale (esso si trova spesso nella parte grave di<br />

accompagnamento).<br />

La polarità tonica-dominante rappresenta dunque il rapporto funzionale più forte fra i gradi della<br />

scala; ne consegue fra l'altro che, quando vengono presentati <strong>dei</strong> 'salti principali' diversi da quello<br />

della tonalità di impianto, essi tendono a indicare o rinforzare lo spostamento verso una nuova tonica<br />

(e ciò che vale per i singoli suoni è vero anche gli accordi costruiti sugli stessi suoni).<br />

La sottodominante ha una posizione particolare ed ambigua in quanto si tratta del grado rispetto al<br />

quale la tonica è (o può presentarsi come) una dominante (un Do pur essendo presentato come<br />

tonica, è a sua volta una dominante potenziale di Fa).<br />

Diversamente dalle funzioni di tonica e dominante (e in parte sottodominante), le funzioni degli altri<br />

gradi, ad eccezione del settimo, sono più ambigue o tendono a ricadere nelle funzioni di tonica o<br />

dominante; per esempio, il terzo ed il sesto grado hanno un nesso forte con il primo, particolarmente<br />

perché gli accordi costruiti su quei gradi (Mi-Sol-Si. La-Do-Mi) comprendono due suoni (su tre)<br />

appartenenti anche all'accordo costruito sul primo grado (Do-Mi-Sol).<br />

Il settimo grado sensibile costituisce un caso particolare perché si tratta del suono più prossimo alla<br />

tonica (la sopratonica è anch'essa vicina ma dista un tono intero). Ma c'è di più: l'accordo sulla<br />

sensibile (Si-Re-Fa) è l'unico a non contenere l'intervallo di quinta giusta, ma quello fortemente<br />

dissonante di quinta diminuita (Si-Fa = tre toni). Di conseguenza, sia per motivi melodici che<br />

armonici, il settimo grado è specialmente instabile e, in un contesto appropriato, presenta una<br />

tendenza risolutiva pronunciata.<br />

Metro e ritmo<br />

Per 'ritmo' si intende nella lingua comune l’ordine degli eventi musicali considerati rispetto alla loro<br />

disposizione nel tempo. Tali eventi solitamente risultano raggruppati in modelli prevalentemente<br />

ricorrenti, chiamati anche figure. Così come ci siamo riferiti ad un modello storicamente determinato<br />

63


nel trattare le scale, anche nel ritmo e nel metro (del quale si dirà fra poco) conviene fare riferimento<br />

ai modelli classici del Sette-Ottocento, tenendo presente che si tratta come è ovvio di modelli di<br />

validità relativa ma straordinariamente utili e validi per la maggior parte della musica che ascoltiamo,<br />

incluso la musica leggera, popular etc.<br />

Nel contesto della teoria musicale classica si tratta del ritmo in maniera relativamente astratta,<br />

esemplificandolo d'altra parte con applicazioni facilmente comprensibili: un esempio tipico è<br />

l’alternarsi di due eventi percussivi isocroni (cioè di durata uguale) distinti da una qualità<br />

accentuativa o timbrica (il tic- tac- di un orologio). Eccone un altro appena più complesso:<br />

pronunciando le parole: “u–no, du-e” in modo che ognuna delle due sillabe abbia la stessa durata, si<br />

genera un semplice ritmo che può essere utilizzato come riferimento (si tratta di un ritmo binario<br />

semplice, in cui ogni membro (cioè quello rappresentato rispettivamente dall’esecuzione dell’uno e<br />

del due) risulta già suddiviso a sua volta in due parti, come nella pronuncia della parola “u/no”);<br />

Analogamente si può procedere per un ritmo ternario semplice: “u-no, du-e, tre-e” (in tal caso<br />

abbiamo a che fare con un ritmo ternario, suddiviso in unità binarie (per essere eseguito richiede<br />

dunque la suddivisione ‘forzata’ del monosillabo ‘tre’ in: ‘tre-e’). Spesso nella pratica didattica<br />

elementare della musica si accompagna la pronuncia di queste sillabe, dal valore esclusivamente<br />

esemplificativo, con movimenti del corpo che facilitano (ma per qualche principiante possono anche<br />

complicare!) l’isocronia dell’esecuzione. Da questi movimenti del corpo derivano anche i termini<br />

‘battere’ (oppure ‘in battere’) o ‘levare (‘in levare’) coi quali si allude al battere e al levare della<br />

mano (o del piede).<br />

Prendiamo i due modelli ritmici sopra riferiti come punto di partenza per alcune osservazioni:<br />

la prima è che questo tipo di spiegazione del ritmo, per quanto efficace, può comportare un equivoco<br />

in quanto induce a ritenere che il ritmo pre-esista ad un costrutto musicale vero e proprio (o ne sia,<br />

comunque, una dimensione autosufficiente); è vero piuttosto il contrario e cioè che noi astraiamo<br />

dall’esperienza <strong>dei</strong> costrutti reali alcuni schemi astratti, che poi rappresentiamo in maniera<br />

convenzionale (“u-no, du-e, etc.”). Da questa distinzione apparentemente pedante consegue che<br />

qualsiasi ritmo determinatosi entro un evento musicale presenta una complessità fenomenica<br />

superiore a quella della sua astrazione teorica. Infatti nell’evento reale interagiscono i diversi<br />

parametri e fattori musicali (altezza, intensità, timbro, melodia e fraseggio, armonia - e questi sia a<br />

livello di microstruttura, sia in quanto membri di sintagmi più ampi).<br />

Taluni problemi riguardanti la comprensione <strong>dei</strong> fenomeni ritmici derivano piuttosto dalla<br />

teorizzazione che non dalla natura intrinseca <strong>dei</strong> costrutti musicali. Per esempio, ci si chiede talvolta<br />

se ritmo e metro debbano essere considerati come elementi essenzialmente diversi fra loro (e la<br />

64


maggior parte delle trattazioni teoriche traccia in effetti una netta distinzione). Secondo il punto di<br />

vista qui esposto invece, sia ritmo che metro costituiscono astrazioni di eventi analoghi, poste<br />

tuttavia ad un livello gerarchico diverso.<br />

Il ritmo si colloca ad un livello inferiore, cioè particolare e proprio di ciascuna composizione<br />

(o talvolta di un genere di composizione) della quale costituisce un elemento di identità; il metro,<br />

viceversa, si pone ad un livello tipologico più alto (ossia più generale). I due piani si possono<br />

confondere quando non si esamina un costrutto specifico e se ne discutono solo le rappresentazioni<br />

astratte. Per esempio, nel primo terzetto dell’opera di Mozart Così fan tutte, il metro di quattro<br />

tempi è definito dal gruppo strumentale <strong>dei</strong> bassi, viole e vl II (di accompagnamento), mentre la<br />

melodia principale vi si sovrappone definendo una figura ritmica in tutto diversa, che presenta solo<br />

alcuni punti di congruenza con l’accompagnamento (il battere del primo e terzo tempo di ogni<br />

battuta, mentre l’attacco <strong>dei</strong> vl I non corrisponde né fraseologicamente ad un tempo forte<br />

dell’accompagnamento, né figurativamente, in quanto la figura di semicroma cade successivamente<br />

alla croma della terzina sottostante; solo nella parte finale della frase voce e accompagnamento<br />

divengono interamente congruenti).<br />

Es. mus.: W.A. Mozart, Così fan tutte, Atto I, sc. 1: Terzetto, batt. 1-11<br />

L’esempio mozartiano è relativamente trasparente ma entro tessuti musicali di maggiore complessità<br />

è difficile o impossibile separare con precisione i concetti di metro e ritmo, tanto che le due nozioni<br />

65


possono essere intese in un senso sintetico come un complesso metrico-ritmico. Non mi pare di<br />

conseguenza che si possa essere d’accordo con chi concepisce il metro come sinonimo<br />

dell’indicazione di tempo nella scrittura musicale (vi ci si riferisce semplicemente come al ‘tempo’ di<br />

una composizione); sebbene una tale indicazione prescriva una certa realizzazione, dal punto di vista<br />

fenomenico essa non è nulla più che una possibilità teorica, una scatola vuota che stabilisce il numero<br />

di moduli isocroni in cui si articola il costrutto. Quello che conta è il modo particolare nel quale il<br />

complesso metrico-ritmico viene realizzato dal compositore. Dobbiamo evitare di cadere<br />

nell’equivoco che attribuisce ai simboli della scrittura musicale una sostanza al di là della loro<br />

funzione pratica. I concetti di cui ci serviamo devono essere validi non tanto in relazione alla<br />

rappresentazione grafica ma alla musica eseguita e ascoltata, indipendentemente dalla circostanza che<br />

sia fissata in partitura.<br />

Nell’infinita possibilità di combinazione di eventi musicali sotto il profilo ritmico, non c’è<br />

dubbio che alcuni tipi principali siano privilegiati nell’uso. Si osserva (anche attraverso culture<br />

musicali molto diverse fra loro) che i ritmi riconducibili a modelli semplici e/o simmetrici sono<br />

favoriti, per il buon motivo che sono facilmente comprensibili in quanto si riferiscono a<br />

comportamenti universali e in tal senso ‘naturali’. Per esempio si cammina e si respira secondo cicli<br />

binari, per lo più isocroni. L’esperienza dell’isocronia è fondamentale nell’educazione al movimento<br />

e costituisce anche un fondamento dell’esperienza musicale. D’altra parte va sottolineata<br />

l’importanza della prospettiva contraria: quasi ogni cultura esprime, in un genere musicale o l’altro<br />

fra quelli che sviluppa, il tentativo di sottrarsi all’isocronia oppure di complicarla in maniera<br />

artificiosa. Questo è comune tanto a modi di far musica di tradizione orale come quelli <strong>dei</strong><br />

percussionisti del Senegal (genere Zykr) per i quali la sovrapposizione di strutture ritmiche (e timbri)<br />

incarna una prassi musicale professionale autonoma, quanto a procedimenti compositivi mediati<br />

intellettualmente, come l’elaborazione a tavolino di strutture preordinate (A. Berg, Lulu, Atto II),<br />

oppure la sovrapposizione di suddivisioni ritmiche razionali ma non congruenti fra loro (come nel<br />

lavoro cameristico Tre per sette di G. Petrassi.). Soluzioni di questo genere sono favorite laddove,<br />

per qualsiasi motivo di ordine culturale ed estetico, si voglia sottrarre i costrutti musicali all’ovvietà<br />

o alla trasparenza <strong>dei</strong> rapporti ritmici semplici.<br />

Negli esempi di divisione del tempo riportati più sopra abbiamo immaginato sequenze di<br />

eventi elementari: una sequenza binaria suddivisa ed una sequenza ternaria suddivisa. Ovviamente<br />

queste brevi cellule non trovano applicazione in un costrutto musicale reale, che deve dilatarsi per un<br />

numero considerevole di moduli. Immaginiamo allora che la sequenza binaria isocrona venga<br />

moltiplicata per n volte:<br />

66


u-no du-e / u-no du- e / u-no du-e / u-no du-e etc.<br />

Osserviamo che l’unica qualità attribuita alla sequenza è l’isocronia, ma questo implica che la<br />

serie di eventi, in quanto prolungata indefinitamente, perda la 'chiusura' che era data dalla stessa<br />

interruzione del modulo. Di conseguenza la serie di moduli prolungata nel tempo risulta<br />

indifferenziata al suo interno: da cosa deriviamo l'idea che sia articolata due a due, piuttosto che tre<br />

a tre (o qualsiasi altro raggruppamento) In effetti, nella misura in cui restano indifferenziati, i moduli<br />

sono una semplice ripetizione di u-no, u-no, u-no etc..<br />

Dal punto di vista percettivo, dunque, nulla impedisce che si intendano i gruppi di eventi<br />

come raggruppati a 1+1+1, oppure a 3 +3, o a 2+2, o qualsiasi altro raggruppamento arbitrario<br />

(3+2+5+7 etc.); in realtà è arbitrario concepire che esistano <strong>dei</strong> raggruppamenti (l’unico ‘vettore’ di<br />

un raggruppamento sono le parole ‘uno due e tre’ che però risultano irrilevanti da un punto di vista<br />

propriamente acustico-musicale).<br />

La scansione degli eventi non può essere articolata oggettivamente in gruppi ammenoché non<br />

vengano introdotte delle differenziazioni di natura musicale (e non solo semantica, come le parole<br />

uno, due tre etc.), <strong>dei</strong> segnali che definiscano l’inizio di ogni nuovo ciclo. Questi segnali sono detti<br />

‘accenti’.<br />

Accento<br />

Il termine ‘accento’ è generalmente usato per significare un ‘accento forte’, che caratterizza<br />

un evento musicale rispetto ad un altro relativamente più debole (per questo motivo, si parla<br />

comunemente, benché impropriamente di accenti forti ed accenti deboli nonché, come vedremo, di<br />

accenti ‘mezzo forti’). L’accento è dunque l’intensificazione relativa di un evento musicale,<br />

generalmente ottenuta attraverso la dinamica (sia come inflessione relativamente forte di un singolo<br />

suono, sia come sovrapposizione momentanea di più suoni che, sommati, producono<br />

un’intensificazione dinamica – oltreché una differenziazione timbrica).<br />

Una tale intensificazione può essere determinata o rinforzata con mezzi non primariamente<br />

dinamici, come ad esempio con l’armonia (per esempio con un avvicendamento armonico<br />

disgiuntivo, quando l’accento forte corrisponde all’introduzione di un nuovo accordo) o attraverso la<br />

disposizione complessiva <strong>dei</strong> suoni che compongono una frase musicale. Secondo J. Lester si<br />

possono distinguere numerosi accenti, diversamente costituiti: accento dinamico, accento di durata,<br />

accento dell’incipit (iniziale), accento testurale, accento di profilo melodico, accento articolatorio,<br />

accento motivico. A noi interessa chiarire qualche aspetto del primo tipo che è anche il più facilmente<br />

percepibile.<br />

67


Nella sua forma elementare l’accento viene esemplificato attraverso l’alternanza di un accento<br />

forte e di un accento debole. Tuttavia è necessario chiarire che solo per comodità teorica possiamo<br />

assumere un livello astratto di accentazione; nella realtà, ogni brano musicale contiene e rappresenta<br />

una applicazione particolare di fenomeni accentuativi (per quanto tipologicamente affini). Se si<br />

accetta il fatto che ogni elemento musicale ha una propria dimensione accentuativa (relativamente<br />

forte o debole, in relazione ad ogni altro elemento del costrutto) ne consegue che è possibile<br />

distinguere fra diversi livelli di accentazione, cioè fra accenti più o meno evidenti. Nella nostra<br />

descrizione elementare ci si riferisce ad un livello primario ed immediatamente percepibile ma se<br />

proviamo ad immaginare l’interazione di tutti gli strumenti di un’orchestra in un costrutto di notevole<br />

complessità ci rendiamo conto che l’accentazione è un fenomeno estremamente complesso. 6<br />

E’ da notare che la definizione degli accenti comporta qualche problema. Se è vero che la<br />

loro percezione è immediata anche per un ascoltatore inesperto, ci si deve però chiedere, in presenza<br />

di un suono che ha una durata nel tempo, se l’accentazione lo coinvolga interamente o non riguardi<br />

piuttosto la sola parte iniziale del suono (d’altra parte, dove terminerebbe precisamente la ‘parte<br />

iniziale’ del suono). 7<br />

L’esperienza pratica suggerisce che l’accentazione (e primariamente l’accentazione basata<br />

sulla dinamica) può avere decorsi fenomenici differenti, passando da un relativo f(orte) a un relativo<br />

p(iano), secondo diverse modalità di decadimento del suono che dipendono largamente dagli<br />

strumenti usati e in parte dalle intenzioni esecutive. In tal senso, l’accento è da considerare come un<br />

processo.<br />

La costituzione degli accenti sta alla base della definizione ritmico-metrica della musica. Se in<br />

una successione di eventi indifferenziati introduciamo delle connotazioni accentuative, esse<br />

costituiscono il ritmo. Il passo successivo nella tradizione occidentale è di collegare l’elemento<br />

isocronico con i processi accentuativi: questo dà luogo ai modelli ritmico-metrici più consueti:<br />

binario, ternario, quaternario etc., <strong>dei</strong> quali si dirà fra poco. Tuttavia la relazione fra isocronia ed<br />

accentazione non è necessaria in senso assoluto. Possiamo infatti immaginare modelli accentuativi<br />

collegati ad eventi non isocroni, come si riscontra in varie tradizioni musicali e/o in repertori<br />

particolari. Lo stesso ‘accento prosodico’ applicato a (o se si preferisce, derivante da) testi letterari<br />

moderni è un caso significativo (e di notevole importanza anche per la storia musicale). Per avere un<br />

6 Nell’articolazione accentuativa il teorico Leonard B. Meyer ha proposto di individuare (per utilità di analisi e in via<br />

convenzionale) tre livelli di accentuazione corrispondenti ad un’accentazione superficiale, ad un livello medio e ad<br />

uno profondo, via via meno immediatamente evidenti all'ascolto).<br />

7 Questa difficoltà ha indotto alcuni teorici (J.D. Kramer) a distinguere fra 'lassi di tempo' e ‘punti nel tempo’<br />

(timespans e timepoints) ma se la soluzione pare utile in teoria, nella realtà porta al paradosso che i ‘punti nel tempo’,<br />

sedi degli accenti, esattamente come i punti geometrici, dovrebbero essere intesi come privi di estensione.<br />

68


iscontro percettivo di questi due modelli generali, cioè a) isocronia+accenti e b) accenti indipendenti<br />

dall’isocronia si potrà confrontare una qualsiasi canzone del repertorio leggero corrente (caso a),<br />

oppure un tema di sonata classica (a) con l’esecuzione di un canto gregoriano (caso b) o con un<br />

brano del repertorio dell'avanguardia colta novecentesca (b) [B. Maderna, Biogramma: sezioni<br />

notate “in campo aperto”].<br />

In sostanza, la cultura musicale occidentale, almeno dal Settecento in poi, ha concepito la<br />

strutturazione metrico-ritmica come successione di durate entro moduli metrici costanti (4/4, 3/4<br />

etc); all'interno di questi moduli viene inoltre articolata una serie di ulteriori 'divisioni del tempo'.<br />

Altri concetti ritmici<br />

Il controllo e l'articolazione del tempo, tuttavia, può basarsi su criteri diversi. Nella cultura<br />

medievale dell'Occidente (ca. XII secolo), nella quale cominciò a porsi il problema di far andare<br />

daccordo due o più voci contemporanee (polifonia), si affermò un sistema di congruenze basato su<br />

moduli ritmici sovrapponibili (idealmente discendenti dai 'piedi' della metrica letteraria classica),<br />

denominati modi. I modi erano definiti dall'avvicendarsi di due valori di durata, rispettivamente la<br />

lunga (L), e la breve (B). Lunga e breve stabilivano un rapporto generale ma, a <strong>seconda</strong> del modo in<br />

cui venivano applicate, potevano avere fra loro una relazione 2:1 (1 lunga = 2 brevi) oppure una<br />

diversa (3:2). In altri termini, mentre veniva salvaguardato il principio di base per cui una L durava<br />

più di una B, esso non era associato ad un rapporto proporzionale invariabile. E' chiaro, anche senza<br />

entrare in ulteriori dettagli, che questa logica è diversa da quella a noi più familiare anche se<br />

raggiunge il fine di organizzare la struttura polifonica di un brano. Trattandosi di un sistema definito<br />

più dalle durate relative che dall''accentazione, ne consegue tuttavia un'incertezza circa il modo di<br />

rapportare le durate e gli eventuali accenti.. Di qui derivano interpretazioni e stili piuttosto diversi<br />

nelle moderne esecuzioni di polifonia antica.<br />

Altri esempi vengono da culture esotiche. L'organizzazione del tempo nelle culture musicali<br />

del subcontinente indiano si basa sull'articolazione del tala 8 in tre livelli diversi: il ciclo (āvarta), la<br />

partizione (vibhāga o vibhag) e la misura (mātrā). Ogni āvarta comprende due o più partizioni<br />

(vibhāga) che sono segnalate dal battito della mano: tuttavia questi battiti non articolanosempre<br />

durate uguali sicché l' āvarta non è divisa necessariamente in sottosezioni uguali, ma piuttosto risulta<br />

dalla somma di elementi (fra loro uguali oppure diversi). Al livello inferiore invece tutte le durate<br />

8 Non esiste un equivalente esatto del termine tala ma esso deriva dall'azione del battere le mani e in tal senso indica il<br />

controllo sui cicli temporali di cui si compone un brano musicale. Powers lo definisce una "durata fissa e ciclicamente<br />

ripetuta, articolata in segmenti mediante battiti della mano o strumenti percussivi idiofoni". Più concretamente, tala è<br />

un ciclo di eventi ritmici, ma in questo caso si usa più specificamente il termine āvarta, che si spiega più sotto.<br />

69


sono isocrone (mātrā). Un livello ancora più minuto di segmentazione è possibile ma non viene<br />

teorizzato e risulta in sostanza un'applicazione della pratica musicale.<br />

Benché l'organizzazione prevalente delle partizioni sia binaria (non diversamente<br />

dall'Occidente), sono previste strutture asimmetriche non binarie, sicché il sistema si fonda sui<br />

seguenti modelli:<br />

4 = 2+2 (equivalente ad un modello binario)<br />

3 = 1+2 (modello ternario)<br />

7 = 3+4<br />

5 = 2+3<br />

9 = 4+5<br />

Ad una classe di partizioni simmetriche si accosta una più ampia classe caratterizzata da<br />

asimmetria. Tuttavia, sebbene nella teoria prevalga l'elemento asimmetrico, nella pratica i modelli<br />

simmetrici prevalgono per più della metà nei repertori e stili (fra loro marcatamente distinti) sia<br />

dell'India settentrionale che di quella meridionale (Powers).<br />

Dovendo tracciare una distinzione generale fra il sistema controllo del tempo in Occidente<br />

(nell'ambito colto) e in India, si può ricorrere rispettivamente ai termini di 'tempo divisivo' e di 'tempo<br />

additivo'. Nel primo caso il sistema procede alla divisione quasi interamente determinata degli eventi<br />

rispetto al tempo dato, nel secondo si determina il tempo in quanto addizione di moduli fissi (che<br />

vengono tuttavia determinati solamente in parte, lasciando un margine ulteriore alla pratica<br />

improvvisativa).<br />

E' evidente che una tale comparazione dovrà anche tener conto del fatto che l'articolazione<br />

del tempo a livello di microstruttura o di media struttura (cioè in quelle che chiamiamo 'frasi') si<br />

rapporta con la determinazione della durata complessiva del brano, che presenta differenze<br />

concettuali sensibili, riferibili da un lato al fatto che la durata di un brano della tradizione occidentale<br />

colta è predeterminata (una durata 'chiusa', per così dire) e dall'altro al tipo di trasmissione (scritta<br />

vs. mnemonica).<br />

70


Armonia triadica<br />

Il termine ‘armonia’ ha differenti significati, da quello più ampio che indica un rapporto<br />

equilibrato fra le parti (di un qualsiasi oggetto, e in particolare di un'opera musicale) a quello più<br />

specifico, col quale si designa quella parte della teoria musicale (e della composizione in particolare)<br />

nella quale si apprende a strutturare i rapporti fra suoni contemporanei (che compongono i cosiddetti<br />

accordi), come pure le loro successioni.<br />

La forma elementare degli accordi si ottiene sovrapponendo a ciascun grado di una scala gli<br />

intervalli di terza e di quinta rispetto al suono più grave (oppure, il che gli equivale, due terze<br />

sovrapposte), così come si vede dall' es. 3.42. Ogni accordo di tre suoni è detto 'triade' e il modello<br />

generale dà luogo all'armonia 'triadica'.<br />

Es. 3.42<br />

Il procedimento dà luogo a una serie di triadi, che si dicono 'appartenenti', in questo caso, alla<br />

scala maggiore. Si rileva che le triadi così costruite sono di tre tipi rispetto agli intervalli che vi sono<br />

compresi: triadi maggiori composte di una terza maggiore e una quinta giusta (sul I, IV e V grado),<br />

triadi minori composte da una terza minore e una quinta giusta (sul II, III e VI grado) e infine la<br />

triade diminuita sul VII grado, conmposta da una triade minore e una quinta diminuita (ossia, il che<br />

equivale, dalla sovrapposizione di due terze minori). Sia le triadi maggiori che le minori<br />

comprendono l'intervallo di quinta giusta e si differenziano dunque per l'intervallo di terza sopra la<br />

fondamentale (maggiore o minore). La triade diminuita, che consta di una terza minore e di una<br />

quinta diminuita è, rispetto alle precedenti, è considerata dissonante (perché comprende l'intervallo<br />

dissonante di tre toni, detto anche 'trìtono'). Sul significato di consonanza e dissonanza si parlerà più<br />

approfonditamente nel prossimo paragrafo (per il momento è sufficiente comprendere il termine nel<br />

significato corrente).<br />

La configurazione triadica dell'accordo può essere frequentemente estesa con la<br />

sovrapposizione di una o più terze ulteriori. Si formano così accordi di quattro o più suoni diversi,<br />

comprendenti la settima e la nona rispetto alla fondamentale. Le quadriadi con la settima sono<br />

particolarmente frequenti nel linguaggio armonico classico.<br />

Nella realtà compositiva, le forme teorica elementare delle triadi, così come risulta<br />

dall'esempio 3.42, viene usata raramente. Questo per i seguenti motivi:<br />

71


- la scrittura 'normale' del periodo classico prevede quattro suoni per accordo,<br />

ciascuno corrispondente ad una delle 'voci' dalle quali il suono doveva essere eseguito 9 (e<br />

non tre soli suoni, quanti sono quelli della triade); di conseguenza, un accordo completo<br />

richiede il raddoppio di uno <strong>dei</strong> suoni (di solito la fondamentale o la terza);<br />

- storicamente, l'organizzazione degli accordi risulta dalla conduzione delle singole<br />

voci o parti melodiche e dal principio secondo il quale ogni parte dovrebbe presentare il<br />

massimo grado di indipendenza dalle altre (ciò significa che dovrebbe seguire un proprio<br />

andamento logico anche se ascoltata indipendentemente dalle altre, il che è per la verità<br />

un'aspirazione ideale ma raramente può essere realizzata per tutte le voci, o perlomeno<br />

non in tutti gli stili e generi in modo analogo); E' chiaro invece che nel modello teorico<br />

sopra riportato le singole voci che compongono le triadi si procedono parallelamente<br />

(cioè tutte verso per moto di grado verso l'alto o verso il basso), il che le rende<br />

intrinsecamente 'dipendenti' le une dalle altre;<br />

- gli accordi possono presentarsi in posizione 'fondamentale' (con il suono<br />

fondamentale al basso) oppure in posizione rivoltata (o in posizione di rivolto). La<br />

posizione di primo rivolto si ha quando è al basso la terza dell'accordo. La posizione di<br />

secondo rivolto si ha con la quinta al basso;<br />

- gli accordi possono presentarsi tanto in posizione stretta (quando fra i suoni delle<br />

voci superiori non c'è spazio per un altro suono della stessa triade), sia in posizione 'lata'.<br />

Ovviamente, sebbene i suoni componenti la triade siano sempre gli stessi, l'effetto<br />

complessivo ed il grado di consonanza (e quindi stabilità) degli accordi è diverso fra posizioni strette<br />

e late, fondamentali o rivoltate.<br />

Per verificare acusticamente quanto qui esposto, si veda l’esempio musicale 3.43 a-h a tre<br />

parti, nel quale si danno tre triadi del I, V e nuovamente I grado di una scala di Do maggiore (sono<br />

sempre Do, Mi, Sol - Sol Si, Re e nuovamente Do, Mi Sol), in una serie di configurazioni diverse.<br />

L’armonia classica teorizza quali siano le configurazioni più appropriate a <strong>seconda</strong> del contesto di<br />

utilizzo, come pure le successioni più opportune.<br />

9 Questo perché la scrittura prevalente della musica corale classica impiegava quattro 'voci' corrispondenti alle<br />

tessitura prevalenti nelle voci umane, vale a dire soprano, contralto, tenore e basso (rispettivamenta dalla più acuta<br />

alla più grave).<br />

72


Es. 3.43<br />

A questo punto è legittimo chiedersi a chi spetti determinare cosa sia appropriato ed<br />

opportuno. Questi aggettivi hanno senso solo nella misura in cui rimandano a stili e concetti<br />

storicamente determinati; in altri termini, la teoria rimanda ad una precisa visione estetica. Infatti, a<br />

chi le ascoltasse per la prima volta e fuori da un contesto determinato, le realizzazioni armoniche<br />

dell’esempio potrebbero apparire tutte ugualmente buone. Tuttavia ognuna ha una fisionomia<br />

leggermente diversa (in ragione della disposizione delle voci) e può risultare più o meno efficace<br />

delle altre in relazione al contesto (a <strong>seconda</strong> cioè della posizione entro una frase musicale, del<br />

genere musicale, dello stile o dell’organico).<br />

Per esempio, in prossimità della fine di un segmento musicale che si volesse usare come<br />

conclusione, le soluzioni f) o quella h) sarebbero certamente più efficaci della e) o della g).<br />

Prima di procedere nell’esame di alcune strutture armoniche 'applicate' e delle loro<br />

implicazioni è necessaria qualche altra considerazione. In primo luogo osserveremo che la teoria<br />

dell’armonia, così come per la melodia e il ritmo, è per sua natura un’astrazione. Non esiste nella<br />

storia musicale uno stile che impieghi le concatenazioni di accordi così come le troviamo in un<br />

trattato d’armonia. Ci si approssima ad una coincidenza fra teoria e pratica nel corale bachiano a<br />

quattro voci (per il buon motivo che la teoria è desunta per astrazione da questo particolare<br />

repertorio). Ma anche nel caso di composizioni come i corali semplici, il tessuto musicale è sempre<br />

più complesso di una successione accordale 'da manuale' in quanto comporta, come non ci si<br />

stancherà di ripetere, l’interazione di tutti i parametri musicali ed anche delle condizioni pratiche di<br />

esecuzione.<br />

Nel corale bachiano, la ragione di certe regole o consuetudini circa il movimento delle parti<br />

non sarebbe comprensibile se non si considerassero i presupposti materiali di quel linguaggio, cioè<br />

73


che si tratta di scrittura per quattro voci (SATB) che, almeno idealmente, deve essere eseguibile da<br />

non professionisti.<br />

La presentazione in forma astratta dell’armonia, d'altra parte, si può considerare come una<br />

utile necessità didattica. Secondo Arnold Schönberg, che prima di inventare la dodecafonia<br />

approfondì la teoria armonica tradizionale “se si combinassero tutte le possibilità delle funzioni<br />

armoniche con tutte le possibilità del ritmo e della melodia, ne nascerebbe una complicazione tale da<br />

riuscire impenetrabile sia al maestro sia all’allievo”. 10 Di qui l’utilità di isolare le successioni<br />

armoniche e trattarle a sé, nella coscienza però che non si può sostituire la comprensione del<br />

linguaggio armonico alla comprensione di un costrutto musicale integrale senza perderne di vista la<br />

logica complessiva. Va altresì precisato che i trattati di armonia sono stati scritti per insegnare ai<br />

compositori come strutturare un pezzo mentre qui ci limitiamo a spiegare concetti utili per chi vuole<br />

comprendere meglio musica già composta da altri.<br />

Infine, si tenga conto che la teoria armonica si sviluppò nella sua formulazione classica nel<br />

corso del Sette e dell'Ottocento ma l’armonia, in quanto sistema di relazioni fra suoni contemporanei,<br />

è esistita sia prima che dopo quel particolare periodo storico. Si può dire però che dal Settecento<br />

maturo (l’epoca di Mozart, Haydn e <strong>dei</strong> loro successori) l’armonia in quanto dimensione privilegiata<br />

del pensiero compositivo raggiunge il suo momento più alto perché coinvolge non solo il livello<br />

fraseologico (la sintassi delle strutture piccole e medie) ma la dimensione formale intera di un brano<br />

(o anche di un’opera comprendente più movimenti). Le grandi forme musicali settecentesche ed<br />

ottocentesche (in particolare la sinfonia ed il poema sinfonico, ma prima ancora le opere in più<br />

movimenti di Bach o i melodrammi di Mozart e molti altri compositori) sono state sviluppate anche<br />

sulla base di concezioni armoniche portate alle estreme conseguenze. D’altra parte, anche il tramonto<br />

- o piuttosto l’eclissi temporanea - del linguaggio armonico tradizionale nella prima metà del<br />

Novecento non ha rappresentato per davvero la fine dell'armonia come si poté pensare per qualche<br />

tempo, ma una sua ri-configurazione. Un moderno teorico dell’armonia applicata al Jazz, Vincent<br />

Persichetti, esordisce nel proprio trattato affermando che “Qualunque gruppo di note può essere<br />

seguito da qualunque altro gruppo di note”, manifestando dunque un atteggiamento che non avrebbe<br />

potuto essere condiviso da un compositore classico. D’altra parte, a questa libertà armonica<br />

sconfinata non corrisponde nei generi moderni di riferimento una rilevanza strutturale dell’armonia<br />

comparabile a quella che segnò l’epoca delle grandi forme classiche.<br />

10 Manuale di armonia, a cura di L. Rognoni, trad. di G. Manzoni, Milano, Il Saggiatore 1963, vol. 1, p. 15.<br />

74


Consonanza e dissonanza<br />

Per arrivare a comprendere le implicazioni più ampie del linguaggio armonico è necessario<br />

partire dalle microstrutture e ancor prima da alcuni concetti (o se si preferisce realtà fenomeniche)<br />

che presiedono alla loro organizzazione, come i termini di ‘consonanza’ e ‘dissonanza’.<br />

Un gruppo accordale di suoni viene considerato 'consonante' o 'dissonante' (così come sono<br />

considerati consonanti o dissonanti gli intervalli fra suoni successivi).<br />

Per il fenomeno <strong>dei</strong> suoni armonici, ogni suono include in sé stesso (in misura maggiore o<br />

minore) il risuonare di altre frequenze. Secondo la definizione del fisico Helmoltz, due suoni sono da<br />

considerare consonanti quando condividono <strong>dei</strong> suoni armonici. Questo punto di vista considera in<br />

via privilegiata i primi armonici (che sono anche quelli acusticamente più rilevanti perché più<br />

avvertibili).<br />

Quanto più alto è il numero delle frequenze condivise (entro i primi armonici), tanto più<br />

consonante risulta l'intervallo o l'accordo che lo contiene. Un suono fondamentale condivide<br />

armonici con una altro fondamentale che sta a distanza di quinta e dunque, fatti risuonare insieme,<br />

producono consonanza. Lo stesso suono non condivide frequenze (perlomeno fra i primi e più<br />

rilevanti armonici) con la sua <strong>seconda</strong> minore, e di conseguenza i due suoni producono dissonanza.<br />

Così di ogni intervallo o, per estensione, ogni accordo.<br />

Non esiste peraltro un consenso assoluto circa la distinzione fra dissonanza e consonanza,<br />

come prova il fatto che nella storia della teoria certi intervalli ed accordi sono stati considerati<br />

talvolta consonanti e talvolta dissonanti, arrivando in qualche caso a coniare termini che<br />

pretendevano di aggirare il problema mentre in realtà evidenziavano una difficoltà, come il termine<br />

'semiconsonante' (attribuito all'intervallo di quarta).<br />

Bisogna aggiungere che i termini 'consonante' e 'dissonante' rimandano a considerazioni di<br />

psicoacustica, cioè ad una definizione sperimentale della 'gradevolezza' di un intervallo (o accordo)<br />

per un determinato individuo o gruppo di persone; non entreremo tuttavia in quest'ordine di<br />

problemi, tenendo per buone le definizioni della teoria musicale così come derivate dalla fisica<br />

elementare.<br />

Stabilito il valore storico e relativo <strong>dei</strong> termini, possiamo accogliere una delle classificazioni<br />

tradizionali degli intervalli (e, successivamente, degli accordi):<br />

unisono = consonante<br />

<strong>seconda</strong> min. = dissonante<br />

<strong>seconda</strong> magg. = dissonante<br />

terza minore = consonante<br />

terza maggiore consonante<br />

75


quarta giusta = consonante 11<br />

quinta giusta = consonante<br />

sesta magg. = consonante<br />

sesta minore = consonante<br />

settima = dissonante<br />

Sono dissonanti tutti gli intervalli eccedenti e diminuiti. Sono consonanti gli accordi che contengono<br />

solo intervalli consonanti; dissonanti quelli che contengono almeno un intervallo dissonante. 12<br />

E' fondamentale rilevare che ogni suono, ogni intervallo ed ogni accordo, possiede una certa<br />

ambiguità rispetto al proprio punto di riferimento riferimento tonale: il suono Do è la tonica in Do<br />

maggiore, ma anche il V grado di Fa, il IV di Sol etc.; così pure, la triade sul I grado di Do maggiore<br />

è anche triade sul V grado di Fa e sul IV di Sol. E' dal contesto <strong>dei</strong> collegamenti armonici, dalla<br />

posizione ritmica ed anche dalla disposizione e dall'andamento delle parti (cioè dai processi melodici,<br />

detti anche lineari) che si può capire in quale tonalità si collochi un determinato accordo o un'intera<br />

frase musicale. Spesso una situazione armonica si presenta come ambigua ed anzi il conseguimento<br />

di tale ambiguità rappresenta presso certi autori un risultato consapevolmente ricercato.<br />

11 Per Johannes Tinctoris si trattava di una dissonanza (Terminorum musicae diffinitorium, ca. 1473)<br />

12 Il neofita può legittimamente chiedersi per quale motivo debba essere considerato 'dissonante' un intervallo di<br />

<strong>seconda</strong> eccedente (1 tono e mezzo) dal momento che viene invece considerato consonante quello di terza minore<br />

acusticamente equivalente (è sempre 1 tono e mezzo). L'apparente paradosso si spiega perché la 'dissonanza' non è una<br />

qualità intrinseca dell' intervallo ma è correlata al contesto nel quale compare; così, in una progressione che porti dalla<br />

triade sul I grado a quella sul III grado di Do maggiore (Do-Mi-Sol, Re#-Fa-La, Mi-Sol-Si) l'intervallo Do-Re#<br />

assegnato alla triade intermedia sul II grado risulta dissonante, sia in virtù della relazione fra la <strong>seconda</strong> e la prima<br />

triade, che della relazione con la terza.In differenti circostanze l'intervallo di un tono e mezzo è considerato<br />

consonante, per es. nella successione Do-Mi-Sol/Re#(=Mibem.)-Fa-La/Fa-Re-Si bem.; si nota però che ciò il punto di<br />

arrivo tonale, cioè la triade di Si bem. (in posizione di rivolto) configura una diversa tonalità rispetto all'accordo di<br />

partenza (che era la triade sul primo grado di Do magg.); inoltre, esattamente in rapporto al contesto, quello che<br />

poteva apparire come un Re# 'funziona' in realtà come un Mi bemolle in quanto implica (ossia 'prelude a') una<br />

risoluzione nella tonalità della quale costituisce il quinto grado (Mi bem.= V di Si bem.). E' da notare infine che<br />

nell'accordo Mib-Fa-La, il Mib è in effetti a sua volta considerato una dissonanza, ma non già rispetto al Do che lo<br />

precede, bensì rispetto al Fa del suo stesso accordo (del quale rappresenta la settima in posizione di rivolto).<br />

76


Una analisi<br />

Sulla base della precedente schematizzazione (e delle successive considerazioni), possiamo<br />

provare a rilevare e riconoscere in un costrutto musicale reale gli accordi (detti anche 'armonie')<br />

consonanti o dissonanti ed esaminare in che modo il compositore si valga della tonalità.<br />

Nell'esempio 3.41 (una melodia corale tradizionale al soprano, corredata da tre altre voci<br />

originali composte da J.S. Bach), notiamo quanto segue:<br />

- la tonalità è definita a priori per posizione (cioè semplicemente perché così inizia il brano)<br />

dall'accordo sul I grado di Do, formato col raddoppio della tonica in posizione esterna (cioè alla<br />

voce più alta e a quella più bassa, S e B); notiamo tuttavia che si trova in posizione ritmica<br />

debole rispetto al successivo accordo (triade del V grado); dal punto di vista percettivo, la<br />

posizione ritmica debole non può essere avvertita fin dall'inizio ma si chiarisce con l'entrata del<br />

secondo accordo (relativamente più 'forte');<br />

- sia il primo che il secondo accordo sono consonanti, e così pure il terzo, che introduce però un<br />

suono estraneo alla scala di Do e caratteristico invece della scala di Sol (triade sul V grado di<br />

Sol: Re Fa#, La); in tal modo, l'armonia che si era appena udita (e che appariva in relazione a Do<br />

come armonia del V grado) viene reinterpretata come armonia del I grado (di Sol); ma il<br />

processo di deviazione dalla tonalità di Do a quella di Sol non è ancora completato; potrà esserlo<br />

solo se si farà ritorno alla triade di Sol (come infatti sta per accadere). Ci si potrebbe arrivare<br />

semplicemente avvicendando alla triade della dominante (Re) quella della nuova tonica (Sol), ma<br />

il compositore rende il processo più interessante (o meno semplice, se si preferisce), arricchendo<br />

la triade della dominante (Re) con una quarto suono (il Do che la parte di tenore tocca nell'ultima<br />

frazione della battuta, passando da Re a Si). Dunque, per quanto momentaneamente, si impiega<br />

l'accordo Re-Fa#-La-Do che, in quanto contiene l'intervallo dissonante di 7a (Re/Do) è esso<br />

stesso complessivamente dissonante. In tal modo, l'armonia viene resa più instabile e tanto più<br />

efficace risulta la 'risoluzione' di questa instabilità nel successivo accordo, che cade sul tempo<br />

forte della battuta.<br />

77


- C'è da rilevare la cura con la quale viene introdotta la dissonanza Do: sull'ultima frazione debole<br />

di un tempo debole e attraverso un moto congiunto discendente della parte, che per di più è una<br />

parte 'interna': se fosse stata affidata al soprano o al basso la dissonanza sarebbe risultata più<br />

esposta e sensibile (non per questo inapplicabile, ma probabilmente troppo intensa per un brano<br />

che si è appena iniziato);<br />

- Bisogna infine notare che questi 5 accordi non sono semplicemente <strong>dei</strong> 'blocchi' di suoni<br />

incolonnati verticalmente ma nascono di movimenti lineari delle singole voci. In tal senso, sono<br />

particolarmente sensibili ed efficaci i movimenti della parti esterne; qui vediamo come il S muove<br />

per grado congiunto da Do a Sol, descrivendo in forma completa il percorso di allontanamento<br />

dalla tonalità di partenza. Il B muove invece per salti di quinta a cavallo fra le battute, e cioè fra<br />

tempi deboli e i successivi forti Do-Sol, Re-Sol (con un movimento di quarta intermedio). Il salto<br />

di quinta è anche detto salto fondamentale in quanto configura, se in posizione ritmica adeguata,<br />

la più forte risoluzione melodica dalla dominante alla tonica.<br />

Da un punto di vista grammaticale il segmento esaminato presenta una modulazione, cioè a dire<br />

un cambiamento di tonalità. Si potrebbe ritenere che sia strano o addirittura inappropriato<br />

abbandonare praticamente fin dall'inizio la tonalità appena definita all'inizio. In altri contesti stilistici,<br />

in effetti, questo non avrebbe lo stesso senso. Per esempio in una forma di sonata la tonalità di<br />

impianto si sarebbe mantenuta per un certo numero di battute e cioè almeno fino alla presentazione<br />

di un primo inciso tematico (ovvero dell'antecedente di una frase musicale nella tonalità di impianto,<br />

completata poi con il suo conseguente, solitamente basato sulla triade di dominante). Si veda<br />

l'esempio qui sotto dove vediamo che la mano sinistra del pianoforte espone per due intere battute la<br />

medesima trade di I grado di Sol:<br />

78


Questo però non qualifica come scorretta o infelice l'armonizzazione bachiana; piuttosto, ci fa<br />

immediatamente capire quanto diverse possano essere le declinazioni del linguaggio armonico. Nel<br />

caso del corale qui esaminato abbiamo a che fare con un linguaggio molto ricco, caratterizzato da un<br />

frequente avvicendamento di triadi e da una transizione pressoché continua a differenti regioni tonali<br />

(come vedremo nel prosieguo); d'altra parte, le tonalità non vengono confermate e consolidate per<br />

lungo tempo. Si potrebbe concludere che questo uso dell'armonia ha una valore locale o<br />

microstrutturale rispetto alla frase melodica principale e più esposta (al S), che ne risulta<br />

caratterizzata in senso espressivo. D'altra parte è la stessa brevità del costrutto (17 battute in tutto) e<br />

la sua natura di elaborazione artificiosa di una melodia semplice preesistente a suggerire che un<br />

approccio diverso (per esempio applicato a strutture di media o lunga durata, cioè di 2-4-8 battute)<br />

non avrebbe spazio per svilupparsi o, viceversa, non contribuirebbe a rendere interessante una<br />

melodia che, quanto ai suoni che la compongono, non abbandona mai la scala di Do maggiore.<br />

Ritmo armonico<br />

Prima di proseguire con l'esame del corale è utile a questo punto una precisazione terminologica sul<br />

concetto di 'ritmo armonico'. Questo è definibile come il numero di cambiamenti armonici (di triadi<br />

differenti) entro una battuta. Si noti che il 'ritmo armonico' non coincide col ritmo figurativo (ossia il<br />

ritmo in senso proprio). Per esempio, figurazioni anche molto dense ritmicamente ma basate sui<br />

suoni di una stessa triade non determinano movimento armonico e dunque non costituiscono una<br />

intensificazione del ritmo armonico (in altre parole, hanno solo una valenza ritmica e timbrica).<br />

- A partire dalla <strong>seconda</strong> metà della batt. 3 (alla parola wie), si ritorna alla triade di Do che a<br />

questo punto appare come un IV grado in relazione alla precedente triade di Sol; ma subito viene<br />

inserita una nuova alterazione, il Si bem. del T che appartiene alla scala di Fa magg. (oppure alla<br />

sua relativa minore, Re minore). In effetti si tocca la triade di Fa alla parola groß ma<br />

immediatamente dopo viene reintrodotto al S il Si naturale: in questa posizione (und) viene<br />

raggiunta per la <strong>seconda</strong> volta una triade dissonante: si tratta della triade sul VII grado di Do, in<br />

posizione rivoltata (con la terza al basso); anche qui è notevole la delicatezza con la quale<br />

l'accordo dissonante viene raggiunto attraverso moti congiunti (e quindi scorrevoli e naturali) di<br />

tutte le voci: S e C salgono, mentre T e B scendono); la triade sul Do (alla parola schwer)<br />

compare per la prima volta dall'inizio del brano su di un tempo forte;<br />

- Con la successiva triade si ritorna al V grado di Do che viene subito reinterpretato come nuova<br />

tonica, attraverso l'introduzione del Fa#. Tuttavia perché tale tonica venga affermata<br />

79


sensibilmente si dovrà arrivare a riproporla su di un tempo forte, come in effetti accade alla fine<br />

della parola (Sün) -den. Tutta questa frase avvicenda la funzione del I grado (su tempi deboli) e<br />

quella della dominante (o del VII grado) su quelli forti, fino alla successione cadenzale<br />

caratteristica I-II-V-I che marca il raggiungimento sul tempo forte della triade di Sol come I<br />

grado. In tutta la frase è sempre notevole il trattamento <strong>dei</strong> suoni dissonanti: alla parola mein' per<br />

esempio il Sol diventa dissonante in battere (in quanto settima del La che sta al B), mentre era<br />

consonante nell'accordo precedente. Questo modo di preparare la dissonanza si chiama 'ritardo'<br />

perché in effetti costituisce un ritardo nella presentazione del suono consonante 'giusto' della<br />

triade (che è il successivo Fa#); un altro suono estraneo alla triade è il Do al B alla fine della<br />

stessa battuta. Si tratta di un suono di passaggio non essenziale ma che si giustifica anche<br />

melodicamente in quanto la progressione La-Si-Do del B viene imitata immediatamente dopo dal<br />

S. Mentre però la linea del B conduceva al Re (dominante di Sol sul tempo forte), quella del S<br />

ritorna al punto di partenza (La) per poi scendere a Sol (che sarà tonica sul tempo forte alla<br />

sillaba - den). Il La che precede il raggiungimento della tonica è il suono più lungo dall'inizio del<br />

brano e prepara in maniera evidente il raggiungimento di un punto di stasi (lo stesso<br />

procedimento, detto di 'aggravamento ritmico' lo ritroveremo alla fine, ancora al S, ma questa<br />

volta la progressione melodica sarà Re-Do, e condurrà alla tonalità di impianto). C'è da notare il<br />

procedimento cadenzale alla parola Sünden. Qui abbiamo sul tempo forte una triade del IV grado<br />

(rispetto alla tonica locale Sol) alla quale si aggiunge però una dissonanza (preparata col sistema<br />

del 'ritardo' del Sol dalla battuta precedente). Nella <strong>seconda</strong> metà della battuta si configura la<br />

triade di dominante (Re), cui si aggiunge di passaggio la settima (Do) dissonante, secondo il<br />

procedimento già visto in precedenza alla batt. 2);<br />

- La semifrase successiva è la più neutra armonicamente del brano in quanto si basa quasi<br />

esclusivamente sull'avvicendamento di armonie consonanti. Solo alla sillaba (hel) - fen ci si<br />

riporta ad una triade di dominante con l'aggiunta della settima che, come avevamo visto in<br />

precedenza rappresenta un punto di tensione immediatamente precedente la risoluzione sulla<br />

tonica locale Sol;<br />

- La frase successiva e finale inizia sulla triade di Do in primo rivolto sul tempo debole e termina<br />

sulla stessa triade in posizione fondamentale e quindi conclusiva. Contiene però un'ultima e<br />

pronunciata modulazione che, introducendo nel B la scala di La (minore) conduce sul tempo<br />

forte della terz'ultima battuta ad una diversione verso quella regione tonale, immediatamente<br />

revocata con il ritorno ai suoni della scala dio Do nella battuta successiva. Qui, tuttavia, più<br />

interessante del meccanismo delle triadi è l'uso della tessitura che produce, con un generale<br />

80


spostamento verso l'acuto, il raggiungimento di un culmine di intensità timbrico e insieme<br />

figurativo (per la prima volta dall'inizio del brano il valore ritmico prevalente è la semiminima<br />

(una quarto di battuta), invece della minima (mezza battuta). Nella penultima battuta si nota<br />

anche a T la quarta trattata come una dissonanza (lo è effettivamente rispetto al Do del S) e<br />

dunque 'preparata' dalla battuta precedente.<br />

81


Forma<br />

Si può abbozzare un discorso sulla forma sia dal punto di vista teoretico che con un semplice<br />

esempio. Scegliamo la <strong>seconda</strong> via. La forma-canzone fa parte della comune esperienza musicale più<br />

di ogni altra, benché si tratti a ben vedere di un oggetto non esclusivamente musicale, in quanto la<br />

musica interferisce significativamente con un testo. Ma servirà ugualmente bene.<br />

Una 'normale' canzone è articolata in due parti, che chiameremo convenzionalmente A e B.<br />

La parte A consiste in una melodia caratteristica (composta di uno o più segmenti o 'frasi' in sé stesse<br />

concluse); la parte B impiega una <strong>seconda</strong> e diversa melodia. A e B si avvicendano determinando<br />

attraverso il loro contrasto una varietà sufficiente a mantenere l'interesse e l'attenzione<br />

dell'ascoltatore per il tempo che ci si aspetta da una brano di tale genere (dai 3 ai 4 minuti circa).<br />

Schematicamente, la forma si riduce a questo:<br />

AB AB AB<br />

Dopodiché la canzone termina con uno 'sfumato' o con una breve coda (spesso<br />

esclusivamente strumentale). Esistono alcune varianti di questo schema fondamentale (per esempio,<br />

l'introduzione con carattere recitativo o l'introduzione strumentale che anticipa la prima frase vocale<br />

affidandola agli strumenti), ma qui non ci interessano. Il semplice avvicendamento di due 'cose'<br />

diverse (ciascuna delle quali presenta una sua relativa indipendenza) e la loro ripetizione definisce<br />

una forma che possiede un grado di differenziazione (derivante dalla diversità di A e B) ma anche<br />

una coerenza intrinseca (data dal ciclico ritorno delle 'cose' che si sono già ascoltate come pure dallo<br />

coerenza di stile che acaratterizza tali frasi).<br />

Questo è sufficiente a costituire una forma musicale (denominata anche forma/struttura),<br />

anche se bisogna aggiungere che il testo verbale aggiunge in una canzone una complicazione<br />

interessante: infatti mentre A utilizza un testo che cambia ad ogni ritorno del materiale musicale, B<br />

utilizza sempre lo stesso testo (la combinazione di A col testo che cambia si chiama 'strofa', quella di<br />

B con quello che ritorna uguale prende il nome di 'ritornello'):<br />

Materiale musicale: A B A B A B coda<br />

Materiale verbale: strofa1 rit. strofa 2 rit. strofa 3 rit.<br />

Prescindiamo momentaneamente dal testo verbale per rilevare che, da un punto di vista<br />

musicale, questa forma è definita per addizione e ripetizione. La sua fortuna è dovuta alla chiarezza,<br />

essenzialità e relativa facilità di memorizzazione. I suoi limiti sono la scarsa capacità di supportare<br />

brani estesi ed il rischio di risultare banale e prevedibile; in effetti, nella canzone questi rischi devono<br />

essere evitati ricorrendo ad altri elementi di interesse (testo, timbro strumentale, vocalità etc.). In<br />

82


questa forma la coerenza dipende soprattutto dalla ripetizione ciclica di materiali musicali<br />

differenziati. Si potrebbe immaginare anche qualcosa di diverso e non meno funzionale, come ad<br />

esempio una coerenza dipendente da una relazione relativamente forte (una 'somiglianza' di qualche<br />

genere) fra i materiali di A e di B: un caso di questo genere si ha ad esempio nella prima parte della<br />

canzone di Mogol-Batttisti Non è Francesca (prima della lunga coda strumentale che la conclude).<br />

Si possono immaginare (e ritrovare nella storia musicale) altri concetti formali di tipo<br />

additivo, con un grado analogo o anche minore di coerenza. Forme di questo sono chiamate, nei casi<br />

più enigmatici (o apparentemente disordinati) rapsodie. La rapsodia, in senso generale, comprende<br />

una successione di elementi che hanno relazioni molto tenui fra di loro e si succedono liberamente:<br />

A,B, C, D etc. Solitamente anche in queste forme, tuttavia, si presentano <strong>dei</strong> 'ritorni' (il termine<br />

tecnico è 'ripresa') di materiali già uditi (A,B, C, D, A). Nel repertorio pop, uno degli esempi più noti<br />

è la Bohemian rhapsody del gruppo Queen; in quello classico occidentale ci si riferisce tipicamente<br />

all'opera di Franz Liszt che adottò frequentemente modelli formali rapsodici.<br />

Nella strutturazione della forma classica sono di grande importanza non solamente i materiali<br />

melodici (o comunque tematici) impiegati ma anche le tonalità nelle quali vengono proposti. Se il<br />

primo materiale presentato è in una tonalità 'x', il secondo può essere in una tonalità diversa 'y',<br />

solitamente vicina alla tonalità di impianto (quindi per esempio, se A è il Do maggiore, B sarà in Sol<br />

maggiore, mentre se la tonalità di impianto è minore, il secondo tema è solitamente nella relativa<br />

maggiore).<br />

Esistono d'altra parte forme che sfruttano la capacità della musica (e della musica polifonica<br />

in particolare) di mantenere inalterati certi elementi mentre, nello stesso tempo, ne vengono variati<br />

degli altri. Questo si rileva in particolare nella forma delle variazioni su di un tema (melodia affidata<br />

perlopiù ad una parte acuta, almeno alla prima presentazione) oppure delle variazioni su di un basso<br />

(cioè su un modulo fisso di accompagnamento o su di una successione armonica caratteristica). In tal<br />

caso si ha contemporaneamente la permanenza di un elemento e la variazione di un altro. Delle<br />

variazioni su un basso potrebbero essere schematizzate così:<br />

a b c d e<br />

A, A, A, A, A, etc.<br />

Si osserva dunque che la ripetizione è un elemento indispensabile per la coerenza formale,<br />

così come la varianza è indispensabile per mantenere vivo l'interesse intrinseco <strong>dei</strong> costrutti musicali.<br />

Meno ovvia però è la natura degli elementi che definiscono coerenza o varianza, spesso piuttosto<br />

sottili o avvertibili solo ad un livello subliminale, oppure accertabili attraverso procedimenti di analisi<br />

talvolta piuttosto complessi.<br />

83


Forma di sonata<br />

Così come è utile riflettere sulle forme più semplici di tipo essenzialmente additivo, è'<br />

indispensabile familiarizzarsi con quelle più complesse. Fra queste la più importante nella nostra<br />

cultura musicale è la forma-sonata o forma di sonata. Bisogna preliminarmente chiarire che sonata e<br />

forma di sonata sono cose differenti. La forma di sonata è un concetto costruttivo che viene<br />

applicato ad un singolo movimento di una composizione in più movimenti. Per lo più si tratta del<br />

primo movimento di una sonata, di un concerto, di una sinfonia, di una ouverture operistica (più<br />

raramente, la forma viene applicata ad un movimento intermedio o finale entro gli stessi generi). La<br />

forma venne a maturazione a partire dal medio Settecento e continuò ad essere usata per buona parte<br />

dell'Ottocento, divenendo un punto di riferimento essenziale nella pratica compositiva. La forma<br />

sonata, come concetto formale astratto, non è particolarmente complessa e consente in verità<br />

applicazioni svariate e realizzazioni talvolta volutamente anomale rispetto al modello normale, che è<br />

il seguente:<br />

Prima parte (esposizione)<br />

gruppo tematico A | ponte | gruppo tematico B | |<br />

tonalità X | transizione tonale che passa a: ! tonalità Y | | ripetizione dell'esposizione<br />

Seconda <strong>Parte</strong> (sviluppo)<br />

elementi di A e B o elementi del ponte, per lo più in combinazione<br />

tonalità Y, W, Z, etc. con frequenti modulazioni fino alla dominante di X, prima della:<br />

Terza parte (ripresa)<br />

Gruppo A | ponte |Gruppo B | Coda<br />

tonalità X | transizione tonale che torna a: | tonalità X | sempre in X<br />

La relazione fra il tema principale del primo gruppo tematico ed il secondo è spesso di<br />

opposizione o contrasto; presso certi autori, tuttavia, viene piuttosto ricercata una forte coerenza fra<br />

i due temi, sicché il secondo è derivato più o meno palesemente dal primo (questo è tipico di forme<br />

di sonata realizzate da F. J. Haydn).<br />

L'elemento logico essenziale della forma di sonata è la 'riconciliazione' tonale che si svolge<br />

nella ripresa fra il primo ed il secondo tema (o gruppo tematico). Si può dire che il brano non possa<br />

dirsi completo se tutti i materiali tematici non sono stati uditi nella medesima tonalità. La cosa si<br />

può esprimere anche in questo modo: l'esposizione presenta una 'dissonanza strutturale' (fra primo e<br />

secondo gruppo tematico) che viene risolta nella ripresa.<br />

Un secondo elemento è ravvisabile a livello stilistico piuttosto che strutturale e consiste nei<br />

procedimenti di elaborazione motivico-tematica, che meritano una trattazione particolare ma che, in<br />

breve, rappresentano un modo di far derivare svariati materiali musicali da uno stesso nucleo che può<br />

84


essere considerato 'generatore'. Implicito in questo approccio è il presupposto estetico secondo il<br />

quale l'unità del movimento realizzata attraverso la coesione <strong>dei</strong> materiali è in sé un valore, una sorta<br />

di obbligo autoimposto dal compositore ed apprezzato dal fruitore.<br />

Esistono decine di migliaia di brani musicali strutturati secondo questi concetti il cui schema<br />

formale viene seguito talvolta rigidamente, talvolta in modo molto elastico o apertamente deviante.<br />

Fra brani diversi può risultare molto diversa la dimensione relativa dello sviluppo che a volte<br />

consta di poche battute soltanto, a volta invece è il cuore dell'intero movimento e la sezione più<br />

interessante sotto il profilo tecnico-compositivo. Peraltro esistono anche realizzazioni di forma<br />

sonata senza sviluppo, la più celebre delle quali è forse l'Ouverture dell'opera Le Nozze di Figaro di<br />

W.A. Mozart.<br />

Un'altra variante interessante, benché non frequente, consiste nell'inversione <strong>dei</strong> due gruppi<br />

tematici durante la ripresa, così che ad un'esposizione AB, corrisponde una ripresa BA.<br />

L'importanza della forma-sonata per lo sviluppo di movimenti di grandi dimensioni non può<br />

essere esagerata. Prendere confidenza con la sua logica intrinseca e saperne riconoscere i contorni<br />

all'ascolto rappresenta un passo importante, anche se non facile, per la comprensione <strong>dei</strong> maggiori<br />

capolavori musicali dell'Occidente.<br />

85


Bibliografia essenziale<br />

M. Agamennone-S.Facci-F. Giannattasio-G. Giuriati, Grammatica della musica etnica, Roma,<br />

Bulzoni 1991.<br />

L. Azzaroni, Canone infinito. Lineamenti di teoria della musica, Bologna. CLUEB, 1997.<br />

V. Persichetti, Armonia del ventesimo secolo, ed. it. a cura di F. Jegher e L. Cerchiari, Milano,<br />

Guerini 1993<br />

W. Piston, Armonia, Edizione riveduta e ampliata da Mark DeVoto, ed. it. A cura di G. Bosco-G.<br />

Gioanola, G. Vinay, Torino, EdT 1989<br />

N. Ruwet, Linguaggio, Musica, Poesia, Torino, Einaudi 1972, in particolare il capitolo 5, Alcune<br />

osservazioni sulla funzione della ripetizione nella sintassi musicale, pp. 120-133.<br />

86


GLOSSARIO<br />

Accordatura<br />

Accordo<br />

Acuto<br />

Aleatoria<br />

Alterato<br />

Alterazione<br />

Altezza<br />

Armonia<br />

Armonico - Armonici<br />

Atto dell’accordare, cioè far corrispondere i suoni di uno strumento musicale (nel<br />

pianoforte, organo, strumenti a corda, ecc.) ad un modello di riferimento<br />

(temperamento equabile, natulare, pitagorico).<br />

Per estensione, accordare più strumenti musicali tra di loro (in un ensemble o in<br />

un’orchestra).<br />

Ai fini della standardizzazione internazionale, nel corso dell’800 è stato<br />

concordare di considerare la nota la con frequenza 440 Hz, come frequenza di<br />

riferimento per l’accordatura.<br />

Sonorità derivante da suoni prodotti contemporaneamente (normalmente tre o più).<br />

In una partitura viene rappresentata mediante la sovrapposizione verticale delle<br />

note.<br />

(Suono acuto) Suono di frequenza più alta relativamente ad un altro suono. Nella<br />

prassi vengono considerati generalmente acuti i suoni a partire dal Do nel terzo<br />

spazio della chiave di violino.<br />

Musica aleatoria: musica basata sul caso come parte fondamentale della tecnica<br />

compositiva (dal termine alea, caso). Comprende una parte della musica della fine<br />

degli anni ’50 del XX secolo e degli anni ’60, come quella di John Cage che<br />

utilizzava forme di sorteggio del materiale musicale oppure alcune partiture<br />

(Troisième sonate di Pierre Boulez, Mobile di Pousser) che lasciavano libertà<br />

all’interprete nella scelta dell’ordine delle sezioni di partitura da suonare<br />

(importante è il concetto di ‘opera aperta’, secondo la definizione di Umberto Eco).<br />

Vedi alterazione<br />

Storicamente certi suoni aventi la stessa frequenza (identici tra loro), venivano<br />

denominati diversamente. D’altra parte, suoni di frequenza diversa venivano<br />

denominati con lo stesso nome, più un suffisso distintivo (do diesis, do bemolle, do<br />

bequadro); queste diverse frequenze venivano cioè considerate delle ‘alterazioni’<br />

del suono principale.<br />

Per indicare queste alterazioni si utilizzano <strong>dei</strong> simboli posti prima della nota sul<br />

pentagramma:<br />

• il bemolle ( ) indica l’abbassamento di un semitono,<br />

• il diesis ( ) indica l’innalzamento di un semitono,<br />

• il bequadro ( ) annulla l’effetto di alterazioni precedenti.<br />

In circostanze particolari, devono esser utilizzati i segni di doppio diesis e doppio<br />

bemolle, che alzano o abbassano la nota di un tono intero.<br />

È una delle caratteristiche primarie del suono; corrisponde alla frequenza (numero<br />

di oscillazioni per secondo, indicata in Hertz) di oscillazione del sistema sonoro<br />

che la genera.<br />

La tecnica (e il conseguente risultato) della combinazione e concatenazione di più<br />

suoni simultanei (accordi), nonché la definizione della loro funzione all’interno del<br />

sistema tonale. Nasce come disciplina strutturata con il Traité de l’harmonie<br />

(1722) di Jean-Philippe Rameau.<br />

Armonico : una delle frequenze che compongono la serie delle armoniche.<br />

Armoniche: insieme di suoni prodotti assieme ad una nota fondamentale (la serie<br />

include anche la armonica fondamentale), emesso dagli strumenti cordofoni o<br />

aerofoni. L’insieme della serie degli armonici dà luogo alla percezione di una nota<br />

precisa, la fondamentale. La fisica acustica, infatti, spiega che un suono prodotto<br />

da un corpo vibrante non è mai puro, ma è costituito dall’amalgama del suono<br />

fondamentale e di altri più acuti e meno intensi: gli armonici. La loro intensità e/o<br />

87


presenza hanno un’importanza fondamentale nella determinazione del timbro di<br />

uno strumento.<br />

Gli armonici sono multipli interi della frequenza fondamentale. Se prendiamo a<br />

riferimento il suono fondamentale di la 440 Hz (primo armonico), il suo secondo<br />

armonico sarà 880 Hz (440*2), il terzo 1320 Hz (440*3), il quarto 1760 Hz<br />

(440*4), ecc.<br />

La prima armonica caratterizza la nota che effettivamente percepiamo, e ha<br />

ampiezza (volume) maggiore, come si vede in una qualsiasi visualizzazione dello<br />

spettro.<br />

Basso<br />

1) Nella musica vocale, indica il registro più grave tra le voci maschili e il cantante<br />

che la possiede. La voce di un basso ha un timbro profondo e scuro. La sua<br />

estensione è rappresentata in figura, dove il tasto in grigio più scuro rappresenta il<br />

do centrale del pianoforte.<br />

2) Il termine indica anche comunemente il Basso elettrico, o alcuni strumenti a<br />

fiato: basso tuba, clarinetto basso, sassofono basso, trombone basso.<br />

3) Indica anche la parte più grave di un brano affidata a strumenti con estensione<br />

grave (basso elettrico, pianoforte, contrabbasso, violoncello, ecc.) che serve a<br />

“sostenere” l’armonia generata dall’insieme delle note generate dai vari strumenti.<br />

4) infine la chiave di basso è la chiave collocata sulla quarta linea del<br />

pentagramma e indica la nota fa sotto il do centrale del pianoforte.<br />

Cassa armonica<br />

Castrato<br />

Clausola<br />

Cognitivismo<br />

Contralto<br />

La cassa armonica o cassa di risonanza è la parte degli strumenti a corda o a<br />

percussione costituita da una cavità racchiusa da materiale di vario tipo e serve ad<br />

amplificare il suono prodotto in virtù della risonanza dell’aria in essa contenuta.<br />

Cantante adulto di sesso maschile che subiva la castrazione in pubertà; in questo<br />

modo possedeva eccezionali capacità vocali, agilità, potenza ed estensione molto<br />

ampia (anche fino a tre ottave, coprendo i registri di soprano, contralto, tenore e<br />

talvolta basso). La pratica iniziò nel secolo XV (poiché le donne non potevano<br />

cantare nelle chiese, i castrati sostituivano le loro parti). La tecnica della<br />

castrazione fu utilizzata fino alla fine del XIX secolo; esiste infatti la registrazione<br />

dell’ultimo castrato vivente, Alessandro Moreschi, incisa a Roma nel 1902. Nato<br />

nel 1858, dal 1898 Moreschi fu il direttore del coro della Cappella Sistina, cappella<br />

in cui fu attivo anche come cantante fino al 1913 (Ascolto n. 56).<br />

Famoso è il film, peraltro infame, Farinelli (1994) del regista Gérard Corbiau,<br />

storia del castrato Carlo Broschi (1705-1782) che divenne famoso ai tempi di G.F.<br />

Haendel. La voce del cantante è stata ricreata con il programma di sintesi vocale<br />

CHANT dell’IRCAM di Parigi, unendo la caratteristiche della voce bianca (di<br />

bambino) e di soprano.<br />

È una delle forme melodiche utilizzate nelle chiusure <strong>dei</strong> canti gregoriani. Nella<br />

clausola dell’organum (forma polifonica primitiva del secolo XII-XIII), il tenor (la<br />

voce che intonava il canto) creava linee più variate e agili, in contrasto con le altre<br />

voci che cantavano con schemi più regolari.<br />

In musica, il cognitivismo studia i processi psicologici che si innescano nella<br />

mente umana durante la percezione della musica.<br />

Nella musica vocale, indica il registro più grave tra le voci femminili e bianche e la<br />

88


cantante (o il bambino) che la possiede. La sua estensione va dal Fa sotto al do<br />

centrale al sol (anche oltre in certi casi) della <strong>seconda</strong> ottava.<br />

Nella musica del XVI secolo la voce veniva sostituita da falsettisti maschi o da<br />

castrati (contraltisti).<br />

Il termine indica anche gli strumenti che hanno una estensione corrispondente alla<br />

voce (es. sassofono, ecc.).<br />

Decadimento<br />

Dervisci rotanti<br />

Diatonico<br />

Diminuito<br />

È la <strong>seconda</strong> fase di sviluppo di un suono: dopo aver raggiunto l’ampiezza<br />

massima dell’attacco ( transitorio d’attacco), il suono perde la sua massima energia<br />

e si stabilizza.<br />

Riferito alla danza vertiginosa della tradizione Sufi, con i dervisci vestiti di bianco<br />

e con lungo cappello di feltro in testa. La trance (wajd) raggiunta attraverso la<br />

musica, ha un ruolo importantissimo nella ricerca di Dio, scopo ultimo della<br />

pratica religiosa del Sufismo. La cerimonia religiosa è fatta di preghiera, musica<br />

(strumentale, fra cui spiccano il flauto e i timpani, e vocale corale) e danza, con le<br />

quali si raggiunge il wajd (rivelazione della Verità). Le forme ritmiche sono<br />

chiamate pesrev (introduzione orientale composta da quattro frasi musicali) e<br />

semai (opera strumentale a tre tempi).<br />

Intervallo diatonico: è l’intervallo i cui suoni sono compresi in una scala diatonica<br />

(la scala eptatonica occidentale, formata da sette note delle 12 della scala<br />

cromatica, con schema T - T - s - T - T - T - s).<br />

Intervallo diminuito: intervallo inferiore di un semitono all’intervallo giusto o<br />

minore che ha lo stesso nome, ad esempio sol-la (<strong>seconda</strong> diminuita), sol-si<br />

(terza diminuita), sol-dob (quarta diminuita), sol-reb (quinta diminuita), sol-mi<br />

(sesta diminuita), sol-fab (settima diminuita), sol-solb (ottava diminuita). Si dice<br />

anche di un accordo quando l’intervallo tra la nota più grave e quella più acuta è<br />

diminuito.<br />

Dinamica L’insieme delle variazioni dell’intensità del suono, indipendentemente<br />

dall’accentuazione ritmica. I segni dinamici vengono indicati internazionalmente<br />

con i termini italiani e le abbreviazioni ppp (più che pianissimo), pp (pianissimo),<br />

p (piano), mp (meno piano), mf (mezzoforte), f (forte), ff (fortissimo) e sf<br />

(sforzato), comprese le loro trasformazioni (cresc.: crescendo, dim.: diminuendo).<br />

Il valore (ampiezza) di tali segni è relativa al contesto musicale e non è<br />

determinata in maniera assoluta. La dinamica indica allo strumentista l’intensità<br />

con cui suonare lo strumento o la voce e serve a dare maggiore espressività ai<br />

brani.<br />

In elettroacustica indica l’intervallo tra i livelli estremi di misura di un segnale<br />

acustica, indicata con dB (decibel): 1 dB è il più flebile suono, 140 dB il più<br />

intenso, sopra il quale il sistema uditivo umano prova dolore.<br />

Dodecafonia<br />

È la tecnica compositiva introdotta da Arnold Schoenberg (1874-1951) con lo<br />

scopo di superare definitivamente le regole armoniche della sistema tonale. Il<br />

sistema prevede la creazione di una serie, successione di 12 suoni che coprono il<br />

totale cromatico. La serie può essere utilizzata per ottenere linee orizzontali o<br />

agglomerati verticali, seguendo vari processi: da sinistra a destra (serie originale),<br />

da destra a sinistra (serie retrograda), innalzamento o abbassamento di tutta la<br />

serie di uno o più semitoni (trasposizione), inversione a specchio di tutti gli<br />

intervalli (inversione: una terza minore ascendente diventa una terza minore<br />

discendente, ecc.).<br />

Tra i protagonisti della dodecafonia, oltre a Schoenberg, i maggior furono Alban<br />

Berg e Anton Webern, che assieme a Schoenberg vengono identificati come<br />

Seconda Scuola di Vienna.<br />

89


Eccedente<br />

Falsettista<br />

Fondamentale<br />

Forma sonata<br />

Frequenza<br />

Intervallo eccedente: intervallo che eccede di un semitono quello dell’intervallo<br />

giusto o maggiore con lo stesso nome, ad esempio sol-la# (<strong>seconda</strong> eccedente), solsi#<br />

(terza eccedente), sol-do# (quarta eccedente), ecc.<br />

Cantante maschile specializzato nell’uso della tecnica vocale del falsetto<br />

(l’estensione vocale che la voce maschile può raggiungere al di sopra della sua<br />

gamma normale), cioè in grado di cantare parti di soprano (sopranista) o contralto<br />

(contraltista).<br />

(frequenza fondamentale) Il primo suono di una serie di armonici.<br />

La Forma Sonata viene applicata ad un movimento singolo, che solitamente fa<br />

parte di un lavoro più esteso (come per esempio una Sinfonia, una Sonata, un<br />

Quartetto, ecc.). La sua forma tipica consiste in una struttura tonale dialettica sul<br />

piano del materiale tematico (primo e secondo gruppo tematico a confronto) e del<br />

materiale tonale (tra la tonalità d’impianto e la sua dominante se in tonalità<br />

originaria maggiore, relativa maggiore se in tonalità originaria minore),<br />

organizzata in tre sezioni:<br />

1) esposizione (tonica, modulazione ad altra tonalità);<br />

2) sviluppo (sviluppa in senso modulante il materiale tematico dell’esposizione; il<br />

carattere di instabilità è fondante rispetto alla natura di questa sezione, tuttavia il<br />

continuo variare <strong>dei</strong> piani tonali non è destabilizzante della forte coesione formale<br />

dell’intera composizione, ma al contrario è giocato sul continuo procrastinare del<br />

ritorno alla tonalità d’impianto);<br />

3) ripresa (riprende letteralmente il materiale esposto nella prima sezione,<br />

riconducendolo per intero alla tonalità di impianto, rinunciando cioè<br />

all’opposizione dialettica delle due tonalità vicine a confronto in funzione del<br />

consolidamento definitivo della tonalità d’impianto).<br />

La frequenza indica il numero di volte in cui un corpo oscilla in un secondo,<br />

(dunque il numero di onde generate in un secondo). Viene misurata in Hertz [Hz]<br />

(cicli al secondo). Le frequenze delle note dal do centrale del pianoforte alla sua<br />

ottava sono:<br />

Do<br />

Do#<br />

Reb<br />

Re<br />

Re#<br />

Mi<br />

b<br />

Mi Fa Fa#<br />

Solb<br />

Sol<br />

Sol#<br />

Lab<br />

La<br />

La#<br />

Sib<br />

Si<br />

Do<br />

261.63<br />

277.18<br />

293.66<br />

311.13<br />

329.63<br />

349.23<br />

369.99<br />

391.99<br />

415.31<br />

440.00<br />

466.16<br />

493.88<br />

523.25<br />

Generatore<br />

Giusto<br />

Grave<br />

Hertz<br />

Qualsiasi dispositivo che genera un suono (strumenti musicali, sintetizzatori,<br />

generatore di impulsi, ecc.).<br />

Intervallo giusto: l’intervallo di quarta, quinta e ottava (o undicesima, dodicesima,<br />

sedicesima, ecc.) quando non sono eccedenti o diminuiti. Sono definiti giusti in<br />

quanto appartengono sia alla scala maggiore che alla scala minore; infatti se<br />

analizziamo una scala maggiore e una minore con la stessa tonica, queste avranno<br />

in comune il primo, il quarto, il quinto e l’ottavo grado).<br />

(Suono grave) Suono di bassa frequenza – (Tempo) indica l’andatura lenta e quasi<br />

marziale di un brano (si trova all’inizio della partitura).<br />

(abbreviato in Hz) è l’unità di misura, internazionalmente riconosciuta, della<br />

frequenza, dal nome del fisico tedesco Heinrich Rudolf Hertz (1857-1894). Un<br />

hertz significa uno al secondo: quindi una frequenza di 100 Hz significa cento al<br />

secondo, dove l’unità può essere applicata a qualsiasi evento periodico (non solo al<br />

suono; quindi si può dire che in un orologio il ticchettio corrisponde a 1Hz).<br />

90


Imboccatura<br />

Intensità<br />

Intervallo<br />

Dispositivo che serve a mettere in vibrazione la colonna d’aria contenuta in un<br />

tubo negli strumenti aerofoni. Può essere di diversi tipi: bocchino (trombe e corni),<br />

ancia (clarinetti e oboi), bordo affilato di un’imboccatura (flauti).<br />

È il volume, la forza della sensazione sonora provocata dal suono; in base al<br />

volume si distinguono, soggettivamente, suoni forti (intensi) o deboli.<br />

In elettroacustica, la misura che indica l’energia di un segnale acustico è il dB<br />

(decibel): 1 dB è il più flebile suono, 140 dB il più intenso, sopra il quale il sistema<br />

uditivo umano prova dolore.<br />

La distanza tra due suoni, misurata in gradi. La distanza identifica quanti gradi<br />

intercorrono tra i due suoni, contando quelli in questione (es. do-re: intervallo di<br />

<strong>seconda</strong>, ecc.).<br />

[fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Intervallo_%28musica%29]<br />

Maggiore<br />

Melodia<br />

Melodramma<br />

Microtonale<br />

Scala maggiore: è composta da 8 gradi, ovvero otto suoni o note, che si dispongono<br />

su un’ottava. Una scala maggiore è costituita da uno schema fisso di intervalli,<br />

cioè da una serie di intervalli così organizzati: T-T-ST-T-T-T-ST, schema che<br />

definisce la distanza fra i suoi gradi.<br />

Successione di note di differente altezza la cui struttura genera una figura musicale<br />

di senso compiuto; procedere per gradi congiunti o disgiunti lungo una scala, a<br />

<strong>seconda</strong> che segua la successione di toni e semitoni o compia <strong>dei</strong> salti tra i vari<br />

gradi.<br />

È sinonimo di Opera Lirica, genere teatrale totalmente o quasi interamente cantato,<br />

con cantanti sulla scena che cantano l’azione, con costumi, scenografie e<br />

l’orchestra posizionata nella buca (oltre a melodramma, si usa parlare anche di<br />

opera in musica, opera, teatro musicale). Il testo letterario su cui si basa il<br />

melodramma, contenente i dialoghi e le didascalie, viene detto libretto.<br />

Generalmente, l’opera o melodramma è composta di una successione di arie (in cui<br />

il o i cantanti esprimono un singolo tema, idea, sentimento) e di recitativi (parti<br />

melodicamente meno identificate che fanno avanzare l’azione della storia).<br />

Intervallo microtonale: intervallo inferiore al semitono (terzo, quarto di tono, ecc.),<br />

dunque estraneo alla scala diatonica del sistema tonale occidentale. È usato in scale<br />

91


extra-europee, nella musica d’avanguardia o con strumenti che non seguono il<br />

sistema basato sulla scala cromatica.<br />

Minore<br />

Modulazione<br />

Monodia<br />

Mottetto<br />

Musicologia<br />

Neumatica<br />

Scala minore: ogni tonalità maggiore possiede una tonalità ‘relativa minore’.<br />

Questa tonalità si ottiene dal sesto grado della tonalità maggiore in questione<br />

oppure scendendo di una terza minore. Viene definita ‘scala minore naturale’ la<br />

scala costruita a partire dal sesto grado della scala maggiore. Per la scala di do, ed<br />

esempio, la scala minore naturale relativa sarà la minore, per re sarà invece si<br />

minore, ecc. La successione degli intervalli nella scala minore naturale è T-St-T-T-<br />

St-T-T.<br />

Esistono altre due scale minori, derivate dalla minore naturale: la scala minore<br />

armonica (che viene ottenuta alterando il settimo grado della scala minore<br />

naturale) e la scala minore melodica (che, oltre al settimo grado, altera in senso<br />

ascendente anche il sesto grado della scala).<br />

La modulazione corrisponde ad un cambio di tonalità, attraverso varie tecniche<br />

compositive, all’interno di un brano.<br />

Canto composto per una sola linea melodica, vocale, senza accompagnamento,<br />

praticato nella musica antica e medievale. Il termine viene contrapposto a<br />

polifonia.<br />

Forma musicale polifonica, vocale o vocale e strumentale, che ha subito una lunga<br />

trasformazione, di argomento amoroso o liturgico. Nasce nel XIII secolo dai primi<br />

esperimenti polifonici di Perotino e di altri autori della scuola di Nôtre-Dame (fine<br />

sec. XII - prima metà del sec. XIII), come elaborazione a due o a tre voci di una<br />

melodia preesistente (detta tenor). Nel XV secolo il ruolo di parte melodica<br />

principale passa al soprano, e diventa materia di libera invenzione per il<br />

compositore. Come conseguenza di questo passaggio, nei secoli successivi le voci<br />

<strong>seconda</strong>rie venivano spesso realizzate da strumenti. Tra gli autori di mottetti<br />

citiamo Orlando di Lasso, G.P. Palestrina e Andrea e Giovanni Gabrieli (nel ‘500),<br />

e successivamente C. Monteverdi, J.S. Bach, Brahms e altri.<br />

L’insieme delle discipline storiche e sistematiche che si dedicano allo studio della<br />

musica. La disciplina si è sviluppata nella <strong>seconda</strong> metà del XIX secolo in<br />

ambiente tedesco e francese, per influenza del positivismo. Tradizionalmente la<br />

disciplina viene distinta in:<br />

• musicologia sistematica, che comprende le discipline che affrontano le<br />

caratteristiche costanti della musica in senso teorico e con metodi scientifici<br />

(statistici o delle scienze sociali) (acustica, psicologia della musica, analisi,<br />

sociologia, semiologia);<br />

• musicologia storica, che studia la musica come un prodotto storicamente<br />

determinato e si occupa in particolare della musica prodotta in Europa, a<br />

partire dal Medioevo, usando un approccio storico (bibliografia musicale, la<br />

filologia musicale, paleografia musicale, organologia, la critica testuale);<br />

• etnomusicologia, inizialmente definita "musicologia comparata", che sviluppa<br />

lo studio della musica popolare; si propone di raccogliere e ordinare le<br />

testimonianze musicali, inserendole nel contesto delle varie culture e civiltà;<br />

• musicologia applicata, disciplina più recente che si occupa del l’applicazione<br />

della musica ad altri ambiti, come ad esempio la musicoterapia, o la didattica<br />

della musica.<br />

Da neuma: segno che, nella musica gregoriana, corrisponde al nostro concetto di<br />

nota (dal greco nêuma: ‘segno’) ma che può significare una nota o un gruppo di<br />

note.<br />

Inizialmente la funzione <strong>dei</strong> neumi era puramente mnemonica e venivano chiamati<br />

chironomici, cioè gestuali (bisogna ricordare che la trasmissione del canto<br />

gregoriano è nata oralmente; solo successivamente si è iniziato a scrivere i segni da<br />

cantare, che richiamavano gli accenti delle parole: notazione adiastematica, cioè<br />

92


senza rigo). Verso la fine del XIII secolo si arriva alla precisazione degli intervalli<br />

melodici e ad una notazione diastematica, su rigo. La scrittura <strong>dei</strong> neumi<br />

corrispondeva perciò più precisamente anche a melismi elaborati.<br />

La scrittura <strong>dei</strong> neumi variava da monastero a monastero. Tra i neumi si potevano<br />

trovare, ad esempio, il pes (neuma di due note ascendenti), la clivis (neuma di due<br />

note discendenti), il torculus e il porrectus (neuma di tre note ascendenti e<br />

discendenti), il climacus (neuma di tre o più note discendenti), ecc.<br />

Non periodico<br />

Oktoechos<br />

Organum<br />

Ornamentazione<br />

Ottava<br />

Overtone singing<br />

Partitura<br />

Periodico<br />

Poema sinfonico<br />

Suono non periodico: è un suono generato da onde acustiche irregolari e non<br />

periodiche e che psicologicamente viene percepito come rumore o suono non<br />

intonato.<br />

(o octoechos) termine che indica il sistema degli otto modi della musica<br />

gregoriana.<br />

Organum parallelo: è il termine con il quale si definiscono le prime forme musicali<br />

non monodiche in uso dal XI al XIII secolom costituite da due voci parallele<br />

(principalis e organalis) che procedevano nota contro nota (punctus contra<br />

punctum), per intervalli di quarta o quinta.<br />

(Organum) Ma il contrappunto, nell’accezione più conosciuta, inizia nel XII<br />

secolo, quando le due voci dell’organum abbandonano il parallelismo iniziale e la<br />

<strong>seconda</strong> voce comincia a procedere per moto contrario o in modo indipendente<br />

(moto obliquo: mentre una voce scende o sale, l’altra si mantiene sulla stessa<br />

linea). Si sviluppano così l’organum triplum (a tre voci) e quadruplum (sa quattro<br />

voci), che portano allo sviluppo del mensuralismo, cioè al sistema di notazione<br />

(nato con il primo grande sviluppo della musica polifonica nei secc. XII-XIII), che<br />

codificava il principio, rimasto a base della notazione moderna, secondo il quale le<br />

durate <strong>dei</strong> suoni sono regolate da precisi rapporti matematici.<br />

La pratica improvvisativa di inserire abbellimenti in una linea melodica vocale o<br />

strumentale.<br />

È l’intervallo tra una nota ed un’altra che presenta una frequenza doppia. Per<br />

esempio, l’ottava di un la 440 Hz, ha una frequenza di 880 Hz, mentre quello<br />

un’ottava inferiore ha una frequenza di 220 Hz. Il rapporto tra le frequenze di due<br />

note in ottava è 2:1. Dopo l’unisono, l’ottava è l’intervallo più semplice e<br />

l’orecchio umano sente due note separate da un’ottava come se fossero ‘uguali’.<br />

Nella scala cromatica, l’ottava è divisa in 12 semitoni.<br />

Tecnica vocale in cui una singola voce riesce a produrre simultaneamente due o<br />

più note chiaramente udibili. Normalmente il cantante produce un lungo bordone<br />

di una nota tenuta, sopra al quale riesce a far emergere single note indipendenti.<br />

Tale tecnica è praticata da secoli in Asia, in particolare da parte <strong>dei</strong> monaci<br />

tibetani e da tribù mongole e turche.<br />

L’insieme di righi musicali condensati in una sola parte complessiva, ad uso del<br />

compositore o del direttore d’orchestra. La parte, invece, è la notazione musicale<br />

riservata ad uno strumento solista, oppure ai differenti strumenti di una formazione<br />

cameristica o orchestrale, notati singolarmente.<br />

Suono periodico: un suono periodico contiene, oltre alla frequenza fondamentale<br />

che dà il nome alla nota, la frequenza doppia (un’ottava più acuta), quella tripla<br />

(una quinta) e così via, secondo il fenomeno degli armonici. Il teorema di Fourier<br />

stabilisce che qualunque suono periodico è sempre rappresentabile mediante un<br />

opportuno numero d’onde (sinusoidi) di determinate ampiezze, frequenze e fasi.<br />

Genere di musica a programma (ispirato ad una fonte letteraria o extra-musicale in<br />

genere) per orchestra sviluppatosi nel corso del XVIII e nei primi anni del XIX<br />

secolo.<br />

93


Polifonia<br />

Psicoacustica<br />

Psicologia della musica<br />

Psicologico<br />

Registrazione<br />

Relativa<br />

Risuonatore<br />

Ritmo<br />

Rivolto - teoria <strong>dei</strong> rivolti<br />

Scala<br />

Semitono<br />

È lo stile compositivo secondo il quale un brano musicale presenta più linee<br />

melodiche del tutto indipendenti l’una dall’altra, sia dal punto di vista melodico<br />

che ritmico, ma che insieme formano un’unità musicale coerente.<br />

Disciplina che studia il comportamento <strong>dei</strong> meccanismi fisiologici e psicologici che<br />

intervengono nella percezione uditiva. Al fine di ottenere risultati agevolmente<br />

quantificabili, nelle ricerche di psicoacutsica vengono usati prevalentemente suoni<br />

puri (sinusoidi o suoni decontestualizzati rispetto ad un insieme di suoni che<br />

compongono la musica), o rumori. La ricerca su brani veri e propri infatti diventa<br />

molto complicata a causa del sovrapporsi <strong>dei</strong> suoni.<br />

Fin dalla sua nascita, attorno agli inizi del secolo scorso, si è occupata degli aspetti<br />

inerenti la musica in relazione alla percezione <strong>dei</strong> suoni oppure all’indagine sulle<br />

abilità musicali. Attorno agli anni ‘60 la disciplina si è allargata a studiare la<br />

musica vera e propria. Le prime ricerche studiarono gli effetti psicologici <strong>dei</strong> modi<br />

maggiore e minore, delle tonalità, delle consonanze e delle dissonanze, del ritmo.<br />

Dalla metà degli anni ‘70 si sono sviluppati nuovi campi di ricerca grazie al più<br />

recente approccio cognitivista, che considera la musica come processo che si basa<br />

su rappresentazioni mentali che l’individuo si crea ascoltando un brano musicale.<br />

Vedi Psicologia della musica<br />

(di strumento, in particolare dell’organo) scelta e combinazione <strong>dei</strong> registri<br />

(timbri) di alcuni strumenti a tastiera per la corretta resa <strong>dei</strong> valori espressivi e<br />

stilistici di un determinato brano musicale.<br />

Relativa minore: vedi minore<br />

Risuonatore è qualsiasi corpo elastico nel momento in cui entra in vibrazione<br />

eccitato da vibrazioni esterne. I risuonatori possono essere accordati (la risonanza è<br />

legata ad una frequenza precisa, come nel caso degli strumenti a fiato) o liberi (non<br />

hanno condizionamenti, come nel caso degli strumenti a corda). La voce umana<br />

comprende entrambe le caratteristiche.<br />

Susseguirsi di una serie di accenti che presentano una regolarità periodica; è basato<br />

sulla suddivisione del tempo in forme e misure variabili.<br />

Rivolto: Tutti gli intervalli possono essere rivoltati spostando all’ottava superiore la<br />

nota grave, di modo che la nota acuta diventi il basso del rivolto. Ad esempio,<br />

l’intervallo Do-Sol viene trasformato nel suo rivolto Sol-Do (come regola generale,<br />

la somma dell’intervallo e del suo rivolto dà sempre nove: l’unisono diventa ottava<br />

(1+8=9); la <strong>seconda</strong> diventa settima (2+7=9), ecc.). ogni intervallo maggiore<br />

diventa minore, ogni intervallo eccedente diventa diminuito e viceversa.<br />

Teoria <strong>dei</strong> rivolti: nella teoria dell’armonia del sistema tonale, si chiama rivolto di<br />

un accordo un accordo formato dalle stesse note, ma con un ordine verticale<br />

diverso (es: do-mi-sol diventa mi-sol-do).<br />

Successione ascendente o discendente di suoni (note ovvero frequenze) compresi<br />

nell’ambito di un’ottava.<br />

È il più piccolo intervallo usato nella scala cromatica occidentale. Per visualizzare<br />

il semitono basta ricordare che un’ottava sulla tastiera del pianoforte è composta da<br />

7 tasti bianchi inframmezzati da 5 tasti neri (5+7=12). L’intervallo di semitono sta<br />

tra un tasto bianco e il successivo tasto nero, oppure tra le note mi-fa e si-do.<br />

94


I semitoni della scala cromatica sono spaziati in uguale misura, secondo il sistema<br />

del temperamento equabile.<br />

Sensibile<br />

Sesta<br />

Sinfonia<br />

Sistema temperato<br />

Sistema tonale<br />

Sonata<br />

Soprano<br />

La sensibile è la settima nota di ogni scala musicale diatonica; è una nota che,<br />

percettivamente, risulta instabile. Il suo punto d’appoggio, d’arrivo, in un brano<br />

del sistema tonale occidentale, è la tonica successiva, da cui è separata da un<br />

intervallo di semitono.<br />

Intervallo di sesta: intervallo che, nella scala diatonica, conta sei note (ad es.: do-la<br />

= do re, mi, fa, sol, la - cioè sei note). A differenza degli intervalli giusti, e come<br />

quelli di terza e settima, l’intervallo di sesta varia a <strong>seconda</strong> della scala e può<br />

essere maggiore o minore.<br />

Brano per orchestra composto di più movimenti, articolato secondo una<br />

determinata forma. La definizione è volutamente larga in quanto comprende lo<br />

sviluppo lungo e diversificato di una forma musicale molto considerata dai<br />

compositori.<br />

La sinfonia moderna comincia a delinearsi a metà del Settecento (Haydn, Mozart e<br />

Beethoven) ed è divisa in tre tempi: un allegro in forma di sonata, un secondo<br />

movimento lento, un minuetto (poi sostituito dallo scherzo) e un movimento finale<br />

veloce. In epoca romantica (Schubert, Mendelssohn e Schumann), si ampliò fino a<br />

giungere, con Mahler, a dimensioni molto vaste.<br />

Vedi temperamento equabile.<br />

Nel sistema tonale (o Tonalità), ogni nota ha una sua funzione; la tonica è il centro<br />

tonale attorno al quale ruotano i concetti chiave di modo maggiore e minore. Il<br />

movimento dell’accordo di dominante (V grado della scala) verso l’accordo di<br />

tonica (I grado) (Cadenza Perfetta, in gergo V - I) è tipico del sistema tonale.<br />

Sonata: è un genere di composizione strumentale strettamente collegato allo<br />

sviluppo del principio tonale nella musica occidentale. Il termine non è sinonimo<br />

di Forma sonata.<br />

Indica la voce più acuta delle voci femminile o bianche (di bambino) e la/il<br />

cantante che ne è dotato. Il soprano leggero raggiunge il mi della terza ottava, il<br />

soprano lirico il re , il soprano drammatico il do.<br />

Fin dal XVI secolo la voce poteva venire sostituita da falsettisti maschi o da<br />

castrati (sopranisti).<br />

Il termine indica anche l’estensione di certi strumenti (saxofono s., ecc.).<br />

Spettro<br />

Con il termine spettro si intende un grafico in cui sono indicate le frequenze<br />

sull’asse orizzontale e in ordine crescente, e sull’asse verticale la densità di energia<br />

per la data frequenza (con colori più o meno carichi), cioè quanta componente di<br />

frequenza è contenuta nel suono. Lo spettro non visualizza l’andamento temporale<br />

del suono, ma il suo contenuto armonico.<br />

95


Spettro di un la 880 Hz prodotto da un<br />

violino<br />

Spettro di un la 880 Hz prodotto da un<br />

pianoforte<br />

Spettro di un suono di piatto della batteria<br />

Suono<br />

È il fenomeno prodotto dalla vibrazione di un corpo elastico che si trasmette<br />

propagandosi, mediante successive compressioni e rarefazioni periodiche,<br />

attraverso l’aria. Il suo andamento periodico è a onda, per questo si parla di onda<br />

sonora.<br />

Figura. Successione periodica di compressioni e rarefazioni e sua rappresentazione<br />

Le caratteristiche distintive del suono sono l’altezza (che dipende dalla frequenza<br />

delle vibrazioni, misurate in Hertz), l’intensità (che dipende dall’ampiezza delle<br />

vibrazioni), il timbro (che dipende dalla forma d’onda), tutte queste operando e<br />

influenzandosi, da n punto di vista percettivo, a vicenda. Le quattro fasi che<br />

rappresentano l’inviluppo, cioè lo sviluppo del volume di un suono nel tempo,<br />

sono: attacco (o transitorio d’attacco), decadimento (decay), sustain (che inizia<br />

quando il decadimento si stabilizza e viene mantenuto per tutta la durata del<br />

suono) e release (fase in cui il volume diminuisce fino a zero).<br />

Tastiera<br />

Temperamento equabile<br />

Tenore<br />

La tastiera è un insieme di tasti che vengono premuti in generale con l’aiuto delle<br />

dita delle mani o <strong>dei</strong> piedi (nell’organo). La disposizione <strong>dei</strong> tasti segue le dodici<br />

note della scala cromatica, con i tasti della scala diatonica normalmente di colore<br />

bianco, rispetto a quelli delle alterazioni cromatiche di colore nero. La tastiera<br />

della fisarmonica differisce, per i tasti rotondi sul lato sinistro.<br />

Il temperamento equabile è il sistema musicale che basa la costruzione della scala<br />

sulla suddivisione dell’ottava in 12 semitoni uguali. Questa uguaglianza venne<br />

introdotta per superare gli inconvenienti del temperamento naturale (fondato sulla<br />

successione naturale <strong>dei</strong> suoni armonici) e del temperamento pitagorico (che<br />

organizza gli intervalli musicali secondo i rapporti: Unisono 1:1, Seconda<br />

maggiore 9:8, Terza maggiore 81:64, Quarta giusta 4:3, Quinta giusta 3:2, Sesta<br />

maggiore 27:16, Settima maggiore 243:128, Ottava 2:1).<br />

Il temperamento equabile venne teorizzato a cavallo tra il XVII e il XVIII e<br />

rappresenta un compromesso, tuttavia efficace, in quanto comporta uno sfasamento<br />

dell’altezza delle note rispetto agli armonici naturali.<br />

Indica la voce più acuta maschile e il cantante che ne è dotato. la sua estensione va<br />

dal fa sotto al do centrale al re della <strong>seconda</strong> ottava.<br />

Terza<br />

Intervallo di terza: intervallo tra due note inframmezzate da una sola nota (per es.<br />

96


do-mi). L’intervallo di terza può essere:<br />

Terza maggiore: due toni<br />

Terza minore: un tono e mezzo<br />

Terza eccedente: due toni e mezzo<br />

Terza diminuita: un tono<br />

Timbro<br />

Tonica<br />

Tono<br />

Transitorio<br />

Trasportare<br />

Triade<br />

Tritono<br />

È la qualità del suono, diversa da strumento a strumento, anche se la nota prodotta<br />

(frequenza) è la stessa; permette, a chi ascolta, di distinguere le diverse fonti<br />

sonore (strumenti, voci e tutto ciò che genera suoni). La caratterizzazione timbrica<br />

è in relazione alla materia e alla costituzione della sorgente sonora; dal punto di<br />

vista acustico dipende dalla forma delle vibrazioni ed è collegata con il fenomeno<br />

<strong>dei</strong> suoni armonici.<br />

Indica la prima nota (grado) di una scala maggiore o minore nel sistema tonale.<br />

Intervallo di <strong>seconda</strong> maggiore (tono intero); sul pianoforte, la distanza tra due<br />

tasti bianchi che abbiano inframmezzato un tasto nero.<br />

Il transitorio d’attacco la fase durante la quale il suono passa da volume zero al<br />

massimo dell’intensità. Il transitorio è molto ricco di informazioni per il sistema<br />

percettivo umano e reca molte informazioni relative al timbro di un suono<br />

(strumentale, naturale, vocale, ecc.).<br />

Notare o eseguire un brano in una tonalità diversa dall’originale (ad esempio per<br />

adattarlo alla voce di un cantante).<br />

Triade accordale: accordo di tre suoni. A <strong>seconda</strong> del tipo di intervalli di terza che<br />

la compongono (vedi terza), può essere di quattro tipi diversi: T. Maggiore, T.<br />

minore, T. eccedente, T. diminuita.<br />

Intervallo di tre toni interi; l’esempio più semplice è l’intervallo fa-si. Nei trattati<br />

medievali veniva chiamato diabolus in musica perché era di difficile intonazione<br />

ed era considerato un intervallo dissonante.<br />

97


FONDAMENTI DELLA COMUNICAZIONE MUSICALE<br />

AA <strong>2005</strong>-<strong>2006</strong><br />

CD allegato alla dispensa<br />

(disponibile presso la biblioteca del Dipartimento di Musica)<br />

Traccia Esempio Titolo Durata<br />

1 1.1 S. Shashank, Srikantha Bhavapriya – Adi – Thyagaraja, (S. Shashank, flute - 5:02.24<br />

Dehli P. Sunder Rajan, violin – P. Satish Kumar, mridangam – N.<br />

Radhakrishnan, ghatam – B.V.S. Prasad, morsing), The Bamboo in a dialogue,<br />

SRUTHI RECORDS - SRI 12<br />

2 1.2 Gooj Nanaa, Mongolian Overtone Singing, Altai Khairkhan, Whistle in the wind 2:44.00<br />

(CD produced in cooperation with Window to Europe and North Asia Institute<br />

Tengri, vanstades@tengri.nl)<br />

3 2.1 1) nota di pianoforte con transitorio – 2) nota di pianoforte senza transitorio 5”<br />

4 2.2 1) suono di piatto (di batteria) con transitorio – 2) suono di piatto (di batteria) 5”<br />

senza transitorio<br />

5 2.3 W.A. Mozart Sonata in Do maggiore per pianoforte K. 545, Primo movimento<br />

6 3.1 Scala ascendente di Do maggiore 0:10.86<br />

7 3.2 Melodia Fra’ Martino 0:33.52<br />

8 3.3 Fra’ Martino con ritmo modificato 0:35.01<br />

9 3.4 Fra’ Martino con intervalli modificati 0:34.84<br />

10 3.4 bis Sequenza degli intervalli a partire da Do 0:58.96<br />

11 3.4 ter Altri intervalli nella scala di Do 1:09.76<br />

12 3.5 Scala blues 0:17.62<br />

13 3.6 Billie Holiday, My man - Mon Homme (Pollock – Yvain – Willemetz – Charles); 2:56.29<br />

Billie Holiday, My greatest songs, MCA MCD-18767 (distributed by BMG)<br />

14 3.6 Billie Holiday, Mon Homme (Pollock – Yvain – Willemetz – Charles); New York, 3:01.34<br />

September 13, 1937 – Billie Holiday and her orchestra (Buck Clayton, tp – Buster<br />

Bailey, cl – Lester Young, ts – Claude Thornhill, p – Freddie Green, g – Walter<br />

Page, b – Jo Jones, d), Billie Holiday, Me, Myerlf And I, PAST PERFECT,<br />

20.4224-PP<br />

15 3.7 Billie Holiday, The blues are brewing (De Lange – Alter); New York, December 3:00.09<br />

27, 1946 – John Simmons and his orchestra (Rostelle Reese, tp – Lem Davis, as–<br />

Bob Dorsey, ts – Bobby Tucker, p – John Simmons, b – Denzil Best, d), Billie<br />

Holiday, There Is No Greater Love, PAST PERFECT, 20.4230-PP<br />

16 3.8A Scala pentatonica di tipo A 0:13.81<br />

17 3.8B Scala pentatonica di tipo B 0:14.13<br />

18 3.9 Scala esatonale (o a toni interi) 0:17.48<br />

19 3.9 bis Scala ottotonica 0:13.64<br />

20 3.10 Scala cromatica 0:16.96<br />

21 3.11 L.Marenzio, Solo e pensoso (dal nono libro <strong>dei</strong> madrigali); La Venexiana 1:20.86<br />

(Rossana Bertini, Soprano – Marina De Liso, mezzosoprano – Claudio Cavina,<br />

controtenore e direttore – Sandro Naglia, tenore – Giuseppe Maletto, tenore –<br />

Daniele Carnovich, basso), recorded in Riletto, Italia, aprile 1999, GLOSSA<br />

MUSIC GCD 920906 [estratto: primi 1’19” di 6’10”]<br />

22 3.12 N. Rimskij Korsakov, Volo del calabrone, op. 57, da Tsar Saltan, London 1:31.02<br />

Festival Orchestra, direttore: Alfred Scholz, Beliebte Klassische Miniaturen,<br />

Wunschkonzert der Klassik, SSCSelected Sound Carrier, 3506.2258-2<br />

23 3.13 Modo protus autentico o Dorico, primo modo (con finalis e repercussio) 0:19.02<br />

24 3.14 Anonimo, Viderunt omnes (communio), Graduale Triplex – Solennità di Natale, 0:59.37<br />

Nativitas Domini, ensemble: Stirps Iesse, dir.: Enrico De Capitani, PAOLINE,<br />

PCD 017, 1995<br />

25 3.15 Modo deuterus autentico o Frigio, terzo modo (con finalis e repercussio) 0:17.99<br />

26 3.16 Hildegard Von Bingen (1098-1179), O vis aeternitatis, responsorium (Wiesbaden 1:45.96<br />

manuscript), Sequentia – Ensemble for medieval music (dir.: Barbara Thornton),<br />

DEUTSCHE HARMONIA MUNDI, 1994, 05472 77320 2<br />

27 3.17 Modo Tritus autentico o Lidio, quinto modo (con finalis e repercussio) 0:17.26<br />

98


28 3.18 Anonimo, Alma redemptoris mater, antifona a Maria (X secolo), Sequentia – 1:01.47<br />

Ensemble for medieval music (dir.: Barbara Thornton), DEUTSCHE<br />

HARMONIA MUNDI, 1994, 05472 77320 2<br />

29 3.19 Modo Tetrardus autentico o Misolidio, settimo modo (con finalis e repercussio) 0:17.28<br />

30 3.20 Hildegard Von Bingen (1098-1179), O vividissima virga, Sequentia – Ensemble 1:02.40<br />

for medieval music (dir.: Barbara Thornton), DEUTSCHE HARMONIA MUNDI,<br />

1994, 05472 77320 2<br />

31 3.20 bis Serie <strong>dei</strong> quattro modi autentici partendo da Do 0:53.61<br />

32 3.21 Modo Protus plagale o Ipodorico, secondo modo (con finalis e repercussio) 0:19.37<br />

33 3.22 Anonimo, Alleluia. Dies santificatus (versus), Graduale Triplex – Solennità di 0:50.45<br />

Natale, Nativitas Domini, ensemble: Stirps Iesse, dir.: Enrico De Capitani,<br />

PAOLINE, PCD 017, 1995<br />

34 3.23 Modo Deuterus plagale o Ipofrigio, quarto modo (con finalis e repercussio) 0:18.91<br />

35 3.24 Gloria. Dominica resurrectionis [estratto 52”], Chant grégorien, Nova Schola 0:52.57<br />

Gregoriana, dir.: Alberto Turco, ARION PARIS 1986<br />

36 3.25 ModoTritus plagale o Ipolidio, sesto modo (con finalis e repercussio) 0:19.51<br />

37 3.26 Hildegard Von Bingen (1098-1179), O mobilissima viriditas, responsorio – 0:47.94<br />

Ensemble for medieval music (dir.: Barbara Thornton), DEUTSCHE<br />

HARMONIA MUNDI, 1994, 05472 77320 2<br />

38 3.27 Modo Tetrardus plagale o Ipomisolidio, ottavo modo (con finalis e repercussio) 0:18.53<br />

39 3.28 Anonimo, Kyrie I. lux et origo [estratto 25”], Chant grégorien, Nova Schola 0:25.29<br />

Gregoriana, dir.: Alberto Turco, ARION PARIS 1986<br />

40 3.28 bis Serie <strong>dei</strong> quattro modi plagali partendo da Do 0:55.14<br />

41 3.29 S. Shashank, Srikantha Bhavapriya – Adi – Thyagaraja, (S. Shashank, flute - 5:02.24<br />

Dehli P. Sunder Rajan, violin – P. Satish Kumar, mridangam – N.<br />

Radhakrishnan, ghatam – B.V.S. Prasad, morsing), The Bamboo in a dialogue,<br />

SRUTHI RECORDS - SRI 12<br />

42 3.30 Scala di La minore naturale 0:12.58<br />

43 3.31 Scala di La minore melodica 0:12.62<br />

44 3.32 Scala di La minore armonica 0:13.97<br />

45 3.33 Serie delle tre forme della scala minore: melodica, armonica, naturale 0:33.90<br />

46 3.34 Forma ascendente e discendente della scala minore melodica 0:19.66<br />

47 3.35 J.S. Bach Suite francese n. 1, minuetto II – Joseph Payne, cembalo, BRILLIANT 0:17.82<br />

99372/5<br />

48 3.36 W.A. Mozart, Sinfonia n. 40 in sol minore K. 550, Allegro molto [Estratto: inizio 0:29.06<br />

29”], Orchestra del XVIII secolo, direttore: Frans Brüggen – De Agostini –<br />

Rizzoli periodici – PHILIPS 434594-2<br />

49 3.37 L.v. Beethoven, Sinfonia n. 5 in do minore op.67, Allegro con brio [estratto: 2:05.89<br />

primi 2’02” di 7’], Leningrad Symphony Orchestra, direttore: Alexander<br />

Dmitrijew, COMPACT COLLECTION CLASSICA (De Agostini) - CC 93A05<br />

50 3.38 F. Couperin, da Pièce de clavecin. Cinquième ordre: I Corrente in La maggiore – 3:14.01<br />

II Corrente in la minore [la II Corrente inizia al minuto 2’16”], Cristophe<br />

Rousset, cembalo (clav. Ruckers, Anversa 1624), HARMONIA MUNDI HMX<br />

2901442.52<br />

51 3.39 W.A. Mozart, Quintetto per archi no. 2 in Do maggiore, K 515, Allegro [estratto: 1:04.67<br />

1’04” di 14’26”] (Arthur Grumiaux, violino I – Arpad Gérecz, Violino II –<br />

Georges Panzer, alto – Max Lesueur, alto II – Eva Czako, violoncello), Mozart<br />

string quartets, Complete Mozart Edition, PHILIPS, volume 11, CD2, 422 684-2,<br />

1991<br />

52 3.40 G. Mahler, Sinfonia n. 1 in re minore [estratto dal I tempo: 2’ su 15’36”], London 2:03.62<br />

Symphony Orchestra, dir.: Georg Stolti, Amadeus, DECCA AM 035<br />

53 3.41 J.S.Bach – Joh. H. Schein, Ach Gott und Herr, Choräle BWV 253-3<br />

0:43.89<br />

Erscheinungsdatum: 15. Mai 2000, casa discografica: Teldec (Warner), ASIN:<br />

B00004SX2O, Künstler: Grihon/Brauns/Tamas/Rundf.Orch<br />

54 3.42 Triadi accordali 0:14.74<br />

55 3.43 Collegamenti accordali 0:58.18<br />

56 Incisione del castrato Alessandro Moreschi, incisa a Roma nel 1902 (esempio<br />

disponibile su Internet)<br />

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