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Torquato Tasso Dafne e Silvia, Aminta e Tirsi T76 ... - Palumbo Editore

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PARTE SESTA L’età della Controriforma: il Manierismo e la letteratura tardo-rinascimentale (1545-1610)<br />

CAPITOLO III <strong>Tasso</strong> e l’esperienza della follia<br />

<strong>T76</strong> ON LINE<br />

123-128 O mia giovinezza (etate) fuggita, quante notti solitarie<br />

(vedove), quanti giorni (dì) solitari ho consumato<br />

inutilmente (indarno), che si sarebbero potuti impiegare<br />

in questo atto (uso) [d’amore], il quale più [è] replicato<br />

[e] più è piacevole (soave)!<br />

131 da sezzo: alla fine; quando è troppo tardi.<br />

132-137 <strong>Silvia</strong> riprende alcune delle parole di <strong>Dafne</strong>, negando<br />

la possibilità che a lei possa mai accadere di<br />

pentirsi per aver preferito ai piaceri dell’amore i piaceri<br />

della caccia e i giochi nei boschi. A rendere più efficace<br />

l’argomentazione è qui introdotta la figura<br />

<strong>Torquato</strong> <strong>Tasso</strong> ~ <strong>Dafne</strong> e <strong>Silvia</strong>, <strong>Aminta</strong> e <strong>Tirsi</strong><br />

O mia fuggita etate,<br />

quante vedove notti,<br />

125 quanti dì solitari<br />

ho consumati indarno,<br />

che si poteano impiegar in quest’uso,<br />

il qual più replicato è più soave!<br />

Cangia, cangia consiglio,<br />

130 pazzarella che sei:<br />

ché ’l pentirsi da sezzo nulla giova.<br />

SILVIA<br />

Quando io dirò, pentita, sospirando,<br />

queste parole che tu fingi ed orni<br />

come a te piace, torneranno i fiumi<br />

135 a le lor fonti, e i lupi fuggiranno<br />

da gli agni, e ’l veltro le timide lepri;<br />

amerà l’orso il mare, e ’l delfin l’alpi.<br />

DAFNE<br />

Conosco la ritrosa fanciullezza:<br />

qual tu sei, tal io fui: così portava<br />

140 la vita e ’l volto, e così biondo il crine,<br />

e così vermigliuzza avea la bocca,<br />

e così mista col candor la rosa<br />

ne le guancie pienotte e delicate.<br />

Era il mio sommo gusto (or me n’avveggio,<br />

145 gusto di sciocca) sol tender le reti,<br />

ed invescar le panie, ed aguzzare<br />

il dardo ad una cote, e spiar l’orme<br />

e ’l covil de le fere; e se talora<br />

vedea guatarmi da cupido amante,<br />

150 chinava gli occhi rustica e selvaggia,<br />

piena di sdegno e di vergogna, e m’era<br />

mal grata la mia grazia, e dispiacente<br />

quanto di me piaceva altrui: pur come<br />

fosse mia colpa e mia onta e mio scorno<br />

155 l’esser guardata, amata e desiata.<br />

Ma che non puote il tempo? e che non puote,<br />

servendo, meritando, supplicando,<br />

fare un fedele ed importuno amante?<br />

Fui vinta, io te ’l confesso, e furon l’armi<br />

160 del vincitore umiltà, sofferenza,<br />

pianti, sospiri e dimandar mercede.<br />

Mostrommi l’ombra d’una breve notte<br />

allora quel che ’l lungo corso e ’l lume<br />

di mille giorni non m’avea mostrato;<br />

165 ripresi allor me stessa e la mia cieca<br />

simplicitate, e dissi sospirando:<br />

dell’*ady´naton. Fonti: sorgenti. Agni: agnelli. E ’l veltro…lepri:<br />

e il cane da caccia fuggirà le timide lepri.<br />

Amerà…l’alpi: l’orso amerà il mare e il delfino amerà<br />

i monti.<br />

139 qual tu sei, tal io fui: come tu sei ora [: scontrosa e<br />

contraria all’amore], così ero io.<br />

145-148 sol tender…fere: solamente tendere le reti e rivestire<br />

di vischio le panie [: per catturare gli uccelli], e affilare<br />

(aguzzare) la freccia a una pietra dura (cote), e<br />

cercare (spiar) le orme e la tana degli animali feroci.<br />

149 guatarmi: fissarmi.<br />

Luperini, Cataldi, Marchiani, Marchese LETTERATURA STORIA IMMAGINARIO [G. B. PALUMBO EDITORE]<br />

2<br />

151-155 e m’era...desiata: e la mia bellezza mi era sgradita<br />

(mal grata), e [mi era] spiacevole tutto ciò di me che<br />

piaceva agli altri: proprio come se l’esser guardata,<br />

amata e desiderata fosse mia colpa e mia vergogna<br />

(onta) e mio danno (scorno).<br />

158 importuno: insistente.<br />

161 mercede: pietà.<br />

162-168 Le tenebre (l’ombra) di una breve notte mi mostrarono<br />

allora quel che il lungo corso e la luce di mille giorni<br />

non mi avevano mostrato; allora rimproverai me stessa e<br />

la mia cieca ingenuità (simplicitate), e dissi sospirando:

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