emanuele zinato volponi: narratore e poeta del ... - LietoColle
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dalla barba irregolare e graffiata da strade misteriose, ricadere lenta sull‟altra materia greve <strong>del</strong>la giacca<br />
da camera (SR 15-16).<br />
La morte <strong>del</strong> padre e l‟eclissi <strong>del</strong>l‟autorità repressiva lasciano libera la via per i sintomi <strong>del</strong>la nevrosi e per il<br />
ritorno <strong>del</strong> represso la cui prima materializzazione è il cappotto paterno. Guido attende con ansia la<br />
sepoltura che «l‟avrebbe liberato, consentendogli di respirare senza più contaminazioni» (SR 159) e<br />
intanto cerca di non toccare gli abiti <strong>del</strong> padre che gli appaiono «caldi, vivi come un organo appena<br />
tagliato» (ivi). Il giorno <strong>del</strong> funerale Guido vorrebbe liberarsi <strong>del</strong> cappotto, durante una passeggiata con<br />
gli amici. Esita a lungo, sbatacchiando l‟indumento e rivelando infine con un motto di spirito l‟intima<br />
parentela che lega l‟immagine di Urbino a quella paterna:<br />
Quando ritornò, Guido per rinvigorire le risate mostrò il cappotto ad Alberto e disse - Ecco le spoglie di<br />
Urbino - . Ma s‟accorse <strong>del</strong> significato scuro <strong>del</strong>le sue parole e vide quell‟indumento reclinato con molta<br />
pena e gli sembrò tradito" (SR 170).<br />
L‟intento <strong>volponi</strong>ano di offrire <strong>del</strong> mondo contadino e <strong>del</strong>la provincia urbinate un‟immagine tormentata<br />
e stravolta, in via di decomposizione per il vertiginoso incalzare storico <strong>del</strong>lo sviluppo, raccoglie ne La<br />
strada per Roma la lezione di Verga e di Tozzi e si gioca attorno a un campo metaforico incentrato<br />
sull‟immagine <strong>del</strong>la putrefazione, <strong>del</strong>la mummificazione e <strong>del</strong>la contaminazione. Urbino appare come il<br />
cappotto infetto di un morto o come «un castello di ammalati» con le case «visitate dalla peste» (SR<br />
199). La strada per Roma presta una voce alle ragioni storiche condannate dalla modernizzazione che<br />
vanno trasformandosi in fantasmi e ossessioni di un inconscio non solo individuale ma anche<br />
oggettivato nel sociale.<br />
Volponi trapianta dunque la sua formazione poetica officinesca in grandi organismi narrativi: passa<br />
dalla poesia alla prosa, portando alle ultime conseguenze il moto di sliricizzazione propugnato da<br />
Pasolini e dando vita a un linguaggio narrativo unico nel secondo Novecento italiano, perché frutto <strong>del</strong>la<br />
combinazione di romanzo e di poesia.<br />
Il più ambizioso dei suoi romanzi, Corporale (1974) – la cui genesi – come attestano le carte autografe<br />
da me consultate durò oltre dieci anni - mediante l‟allegoria <strong>del</strong>la bomba nucleare, narra una<br />
deflagrazione già avvenuta nel paesaggio italiano, nel nostro tessuto sociale, nella coscienza e nel corpo<br />
<strong>del</strong> protagonista, l‟intellettuale fallito Gerolamo Aspri.<br />
La terza parte <strong>del</strong> romanzo si apre con l‟ascesa di Aspri in auto verso Urbino ventosa. La centralità <strong>del</strong><br />
sito appenninico nella mitologia personale ossessiva <strong>del</strong>l‟autore, rende tale ascesa una festa pittorica di<br />
linee, luci e colori, all‟insegna <strong>del</strong>la visionarietà percettiva e <strong>del</strong>l‟empiria sensoriale.<br />
Rivedevo le mura di Urbino composte a gradi, pur nell‟uniformità morbida <strong>del</strong> colore. A quel punto<br />
l‟altitudine, anche per la rapidità con la quale ero salito, premeva sui miei timpani e mi scaricava in gola<br />
le diverse immagini, i loro angoli, il modo di sovrapporsi e di cadere voltando secondo la mia velocità.<br />
Sulle ultime curve il vento sbatteva l‟auto e tirava dai greppi e dai campi qualche sterpo sulla strada. Il<br />
vento disponeva in basso e in alto le linee <strong>del</strong> paesaggio alzandone la terra o abbassando le frange <strong>del</strong><br />
cielo.Sull‟ultima curva, dove aspettavo il confronto con la città, un drappello ordinato di uomini spinto<br />
dalle folate mi veniva incontro. Si fermò ammucchiandosi per un momento e poi dal suo centro venne<br />
fuori, adagio, un carro funebre (…) Si voltarono verso le mura e ripresero un passo cadenzato. Il vento<br />
ebbe alcune impennate tre il convoglio e il gruppo; il carro e le macchine avevano aumentato la loro<br />
velocità e mi passarono davanti per imboccare la strada dritta <strong>del</strong> cimitero. Proseguii verso la porta più<br />
bassa <strong>del</strong>la città sull‟orlo <strong>del</strong> grande vuoto <strong>del</strong>l‟Appennino. (…) Sto guardando