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Editoriale<br />

ESERCITAZIONI IN LINGUA ALTRA<br />

Ci chiedevamo: esiste il teatro di poesia? È esistito nel<strong>la</strong> tradizione novecentesca, è def<strong>la</strong>grato sul<strong>la</strong> scena<br />

italiana? Avevamo una domanda più radicale: non <strong>la</strong> performance, l’<strong>in</strong>trattenimento, <strong>la</strong> poesia<br />

spettaco<strong>la</strong>re.<br />

Poi le sigle <strong>in</strong>iziano a scorrerci davanti agli occhi: teatro di paro<strong>la</strong>, teatro dell’urlo, teatro <strong>in</strong> versi, teatro<br />

versificato… Un excursus sul novecento ci porta subito al<strong>la</strong> deriva <strong>in</strong> una selva di nomi, def<strong>in</strong>izioni,<br />

manifesti, tentativi di rottura. Eppure <strong>in</strong> questione è sempre <strong>la</strong> l<strong>in</strong>gua, <strong>la</strong> sua rigenerazione <strong>in</strong> un corpo<br />

fisico e nell’azione. L’<strong>in</strong>nesto del<strong>la</strong> poesia nel teatro e del teatro nel<strong>la</strong> poesia si rive<strong>la</strong> come una pratica<br />

estrema, una esercitazione <strong>in</strong> una l<strong>in</strong>gua altra, dove è gioco l’effrazione dell’ord<strong>in</strong>ario, <strong>la</strong> necessità di uno<br />

spostamento. Come questa sp<strong>in</strong>ta verticale abbia disturbato, fecondato o anche portato al fallimento <strong>la</strong><br />

drammaturgia italiana, dopo l’exemplum tragico di Pasol<strong>in</strong>i e Testori, dopo l’irruzione non metabolizzata<br />

di Carmelo Bene; come i poeti si siano impadroniti del<strong>la</strong> scena, o come drammaturghi, registi e attori<br />

abbiano <strong>in</strong>seguito l’utopia di un teatro nuovo, e di una poesia altra dal<strong>la</strong> poesia stessa; come<br />

l’avanguardia teatrale del novecento, da Artaud a Beckett, abbia rivoltato dall’<strong>in</strong>terno <strong>la</strong> scrittura, il<br />

dettato dei poeti.<br />

Una mappatura di questo terreno vasto e accidentato richiede un confronto prolungato, ci impegna <strong>in</strong> una<br />

avventura di conoscenza dove sono <strong>in</strong> gioco il nuovo e <strong>la</strong> sua possibilità. Il confronto <strong>in</strong>izia da questo<br />

numero dell’Ulisse: una panoramica storica (<strong>in</strong> Saggi e <strong>in</strong>cursioni) su momenti chiave del teatro di poesia<br />

del secondo novecento europeo (Artaud e Beckett) e italiano (D’Annunzio, Bene, Pasol<strong>in</strong>i, Testori) f<strong>in</strong>o<br />

alle esperienze più recenti (Walcott, Porta, Raboni); una ricognizione (ne La poesia <strong>in</strong> scena) di alcune<br />

delle esperienze più vive del<strong>la</strong> scena italiana degli ultimi anni, documentando il <strong>la</strong>voro di compagnie<br />

teatrali (Teatro i, Teatro Valdoca con Mariange<strong>la</strong> Gualtieri, Lenz Rifrazioni con Pierluigi Bacch<strong>in</strong>i, Teatro<br />

delle Ariette con Giancarlo Sissa) drammaturghi, registi e attori (<strong>la</strong> trilogia Pasol<strong>in</strong>i di Latel<strong>la</strong>, l’esperienza<br />

di Engelbrecht, Mazzarelli e Berti) e ospitando <strong>in</strong>terventi polemici e appassionati sull’unicità del teatro di<br />

poesia italiano (Fratus) e sul<strong>la</strong> perturbante e silenziosa coralità del dire poesia (Scarpa). Il teatro di<br />

poesia è <strong>in</strong>corporato anche nel<strong>la</strong> sezione Autori, dove Il teatro dei poeti presenta una vasta campionatura<br />

di scritture per <strong>la</strong> scena, ospitando <strong>la</strong>vori teatrali di poeti contemporanei (Costa, D’Elia), prove di autori<br />

delle più recenti generazioni (Petrova, Engelbrecht, Sannelli, Diana, Ventroni) frammenti di drammaturgie<br />

sceniche su testi teatrali (Latel<strong>la</strong> su Pasol<strong>in</strong>i) o poetici (Pititto su Bacch<strong>in</strong>i e Rilke), poesie dal passo<br />

<strong>in</strong>timamente teatrale o già adattate per <strong>la</strong> scena (Amato, Damiani). Mentre <strong>la</strong> sezione i tradotti, accanto<br />

ad una scelta di poesie legate al teatro di He<strong>in</strong>er Müller e al<strong>la</strong> scena f<strong>in</strong>ale de Le drame de <strong>la</strong> vie di Valère<br />

Novar<strong>in</strong>a, presenta una selezione antologica di autori di l<strong>in</strong>gua francese, tedesca e spagno<strong>la</strong>, cui si<br />

aggiunge anche il consueto diorama di letture italiane.<br />

Ci chiedevamo: esiste il teatro di poesia, cos’è oggi, cosa lo dist<strong>in</strong>gue dal teatro “altro”? Perché si scrive<br />

teatro <strong>in</strong> versi, perché si fa teatro con le poesia? Perché rappresentare sul<strong>la</strong> scena un testo di poesia,<br />

quali le sue specificità per il regista? Quali le poetiche delle compagnie che decidono di <strong>la</strong>vorare sul teatro<br />

di poesia o di fare riduzioni teatrali di testi di poesia? E cosa dist<strong>in</strong>gue <strong>la</strong> poesia “pura” dal<strong>la</strong> poesia per il<br />

teatro?<br />

Ci chiedevamo e cont<strong>in</strong>uiamo a chiederci: perché <strong>la</strong> sfida del teatro di poesia sarà <strong>la</strong>nciata di nuovo nel<br />

prossimo numero.<br />

Italo Testa<br />

2


SAGGI E INCURSIONI<br />

3


Un panorama del Novecento<br />

4


LA POESIA E LA SCENA NOVECENTESCA<br />

C’è voglia di Poesia nel teatro italiano novecentesco, anche perché c’è <strong>la</strong> coscienza che con <strong>la</strong> morte di<br />

Dio, Poesia e Teatro siano accomunati da un medesimo dest<strong>in</strong>o luttuoso. E nello stesso tempo, circo<strong>la</strong><br />

negli <strong>in</strong>trecci <strong>la</strong> topica del poeta suicida, per amore magari o perché non compreso dal pubblico, e <strong>in</strong> tal<br />

modo anche i nostri repertori si all<strong>in</strong>eano ai <strong>la</strong>menti sul<strong>la</strong> «perdita dell’aura». Ma c’è da sottol<strong>in</strong>eare<br />

subito che se <strong>la</strong> poesia <strong>in</strong> scena non è più di casa, non è perché le parole sono troppo immanenti, e non<br />

«fanno» più «il verso», né perché i corpi non si muovono più con l’antica leggerezza.<br />

Alle parole solo par<strong>la</strong>te, e non cantate (il carmen ossia lo charme, ossia <strong>la</strong> fasc<strong>in</strong>azione), al corpo fermo<br />

nello spazio e non danzante, corrisponde <strong>in</strong>fatti, nel teatro di prosa, e <strong>in</strong> «l<strong>in</strong>gua», <strong>la</strong> def<strong>in</strong>itiva<br />

cancel<strong>la</strong>zione delle maschere, che nel dialetto aveva trovato le sue ultime difese. Ora, senza maschere, <strong>la</strong><br />

poesia non accede sul palcoscenico, meglio, senza un rapporto religioso (nell’etimo di legame organico)<br />

tra maschere, complesso mitico, funzione rituale del<strong>la</strong> rappresentazione.<br />

Il teatro novecentesco nel<strong>la</strong> sua strategia poetica se vuole tornare al sacro e al tragico, per <strong>la</strong> sua<br />

avversione al mimetico, al lucido, al funzionale entro i meccanismi del box office, non potrà che ritentare<br />

<strong>la</strong> via del<strong>la</strong> maschera, e da <strong>qui</strong> rischiare un’immersione nel magico. Perché poesia co<strong>in</strong>cide, <strong>in</strong> questa<br />

nostalgia dell’arcaico, con «poiesis», ossia fattura, pratica gestuale per «vedere oltre», e per far vedere<br />

l’al di là agli <strong>in</strong>iziati, e dunque una pratica div<strong>in</strong>atoria, e un apparato di protocolli per frequentare l’ombra<br />

<strong>in</strong> una dimensione evocativa.<br />

Ma <strong>la</strong> nostalgia è <strong>in</strong>effabile, non può cioè essere detta, né comunicata, né realizzata se non sul piano di<br />

tecniche riduttive. Il teatro di poesia, per restare all’Italia, ha conosciuto solo due esperienze<br />

«regressive», nell’etimo del<strong>la</strong> paro<strong>la</strong>, due repertori eversivi rispetto ai codici scenici egemonici del<strong>la</strong> loro<br />

epoca, proprio <strong>in</strong> quanto travolti da un ambizioso furore, da un gusto aristocratico (da aristos), da una<br />

velleitaria ricerca di mitizzare scandalisticamente <strong>la</strong> propria scrittura e di assegnare un ruolo<br />

dichiaratamente magico al<strong>la</strong> drammaturgia personale. E non riuscendovi, entrambi han f<strong>in</strong>ito per<br />

mitizzare se stessi, trasformare le proprie metafore ossessive <strong>in</strong> miti personali, r<strong>in</strong>chiudersi <strong>in</strong> un’aura<br />

tragica un po’ come l’Enrico IV pirandelliano. Mi riferisco a D’Annunzio e Pasol<strong>in</strong>i, molto simili tra loro per<br />

più d’un aspetto, accomunati nel rifiuto sprezzante delle condizioni imperanti al loro tempo sui<br />

palcoscenici pubblici, il primo negli ultimi anni dell’Italia umbert<strong>in</strong>a al passaggio verso quel<strong>la</strong> giolittiana, il<br />

secondo nel decennio ‘<strong>60</strong>-‘70, tra il centro s<strong>in</strong>istra e <strong>la</strong> contestazione sessantottesca.<br />

Ma entrambi, nel loro programma di alzare il tiro, di riportare <strong>la</strong> Poesia a Teatro, non possono che fallire,<br />

anche se gloriosamente.<br />

Occorre a questo punto precisare lo statuto antropologico delle maschere, quale grammatica primaria per<br />

una scena poetica, e dunque sacra.<br />

LA MASCHERA E L’ASSENZA<br />

La maschera è <strong>in</strong>fatti presente <strong>in</strong> tutte le civiltà arcaiche e c<strong>la</strong>ssiche. un segno festivo che non manca a<br />

nessuna società nel<strong>la</strong> sua orig<strong>in</strong>e. Come il tabù dell’<strong>in</strong>cesto, allo stesso tempo motivo convenzionale e<br />

culturale per le diversità tra un’area e l’altra, e <strong>in</strong>sieme naturale per l’universalità delle sue<br />

manifestazioni, <strong>la</strong> maschera par<strong>la</strong>, o meglio danza <strong>in</strong> tutte le l<strong>in</strong>gue.<br />

L’Oriente è, però, il suo territorio privilegiato. Nei templi buddisti, nei chiostri <strong>la</strong>maisti, nelle cappelle<br />

sh<strong>in</strong>toiste, nelle corti nobiliari, nelle sale rec<strong>in</strong>tate delle caste militari, nei santuari e nelle processioni ai<br />

sacri luoghi <strong>in</strong>duisti, negli agapi cimiteriali, e ancora nelle piazze popo<strong>la</strong>ri, tra i campi di riso, tra semplici<br />

festoni floreali, davanti a banchi sacrificali cosparsi d’erba, come nei culti vedici, tra rozzi assi di bambù e<br />

al balug<strong>in</strong>io del<strong>la</strong> <strong>la</strong>mpada votiva. E <strong>la</strong> maschera veste <strong>la</strong> Festa col suo suggello misterioso per le più<br />

svariate strategie: dal<strong>la</strong> bassa magia animistica alle raff<strong>in</strong>ate liturgie esoteriche, dallo sciamanismo<br />

medianico alle div<strong>in</strong>azioni esorcistiche, emerge il suo volto sconciato e deforme per <strong>la</strong>nciare enigmatici<br />

messaggi. I grandi cicli propiziatori, legati alle culture venatorie, pastorali, agrarie e zootecniche,<br />

rie<strong>la</strong>borate spesso <strong>in</strong> chiave culta-sublime, i rituali re<strong>la</strong>tivi ai miti di «fondazione» (il «prima» orig<strong>in</strong>ario),<br />

ai miti di «<strong>in</strong>iziazione» e di «<strong>in</strong>tegrazione sociale» (il «poi» verso cui procedere grazie al superamento di<br />

prove), ai miti di fecondazione (il «di più» da garantirsi nel prodotto alimentare e sessuale) si appoggiano<br />

<strong>in</strong>evitabilmente al suo ghigno mostruoso, al suo fasc<strong>in</strong>us num<strong>in</strong>oso.<br />

Col suo solo apparire, <strong>la</strong> maschera «racconta». È il suo un epos tutto tradotto <strong>in</strong> una iconografia multip<strong>la</strong>,<br />

<strong>in</strong> movimento che del<strong>la</strong> «fabu<strong>la</strong>» utilizza e segue tutte le direzioni, dall’agiografia all’<strong>in</strong>nografia,<br />

dall’ep<strong>in</strong>icio al<strong>la</strong> ierofania, dal<strong>la</strong> cosmogonia all’<strong>in</strong>segnamento protreptico, dal<strong>la</strong> rapsodia amorosa e<br />

guerresca delle mitologie leggendarie ai formu<strong>la</strong>ri devozionali, dal<strong>la</strong> dec<strong>la</strong>mazione soteriologica al<br />

divertissement ludico-decorativo. Ora, tra i tanti colori di cui si ricopre, è possibile scorgere, sotto, un<br />

disegno costante: <strong>in</strong>fi<strong>la</strong>rsi <strong>la</strong> maschera significa sempre, «all’<strong>in</strong>izio», perdere il «Soggetto». La Storia,<br />

anzi, delle maschere potrebbe <strong>in</strong>tendersi <strong>in</strong> fondo come Storia di narcotici pubblici, di fughe deliranti dal<br />

proprio ego sentito quale limite, di sospensione di coscienza, autorizzata e cercata con ossessiva e<br />

puntigliosa sollecitud<strong>in</strong>e! Perché <strong>la</strong> maschera religiosa, non ancora caduta nello spettacolo, esclude il<br />

Soggetto, è <strong>in</strong>versamente proporzionale al<strong>la</strong> sua vischiosa resistenza nel<strong>la</strong> misura <strong>in</strong> cui opera un vero e<br />

5


proprio decentramento rispetto all’io, quasi <strong>in</strong> una dimensione oniroide, dove, parafrasando Benjam<strong>in</strong>,<br />

l’<strong>in</strong>dividualità precipita <strong>in</strong> basso come un dente cariato!<br />

Questo it<strong>in</strong>erario verso l’altro da sé è, però, un morire simbolicamente protetto da parte di chi <strong>la</strong> <strong>in</strong>dossa.<br />

La maschera è <strong>in</strong>fatti un morto che esplode, che urge oltre <strong>la</strong> barriera tra il di qua e l’Aldilà, cranio del<br />

defunto sovraimposto sul<strong>la</strong> faccia del vivo, barriera che ne divora e assorbe i sensi vitali. Antenato<br />

totemico, spirito zoomorfo, div<strong>in</strong>ità so<strong>la</strong>re iperurania cui come <strong>in</strong> uno specchio sollevato verso l’alto si<br />

protende, e ancora demone <strong>in</strong>ferico che schizza fuori dalle oscure pulsioni ctonie che brulicano nei visceri<br />

del suolo, sempre è una <strong>la</strong>rva spettrale che s’impossessa di colui che l’ha evocata, che si presenta non di<br />

sua <strong>in</strong>iziativa, il che sarebbe catastrofico e <strong>in</strong>control<strong>la</strong>bile, ma culturalmente provocato, e <strong>qui</strong>ndi non per<br />

distruggere, ma per aiutare. Del resto, maschera e persona si ricongiungono nel<strong>la</strong> loro etimologia arcaica<br />

<strong>in</strong>torno a un comune vocabo<strong>la</strong>rio luttuoso.<br />

La maschera non è, allora, <strong>in</strong>vestita per essere vista dagli altri, spettacolo rivolto agli occhi profani dei<br />

presenti, ma è una propedeutica s<strong>in</strong>go<strong>la</strong> e collettiva per «vedere oltre», per farsi, attraverso l’<strong>in</strong>tensità<br />

estatica con cui si pensa all’assente, con cui si immedesima <strong>in</strong> chi non c’è, penetrare nel corpo dall’Altro.<br />

Esserci, ma non vedere, apparire come <strong>in</strong> sogno ma non esserci, è questo lo statuto ontologico, <strong>la</strong><br />

condizione <strong>in</strong>determ<strong>in</strong>ata del fantasma, il cui arrivo esclude <strong>la</strong> presenza di chi l’ha <strong>in</strong>corporato; di questo<br />

scambio notturno <strong>la</strong> maschera costituisce una sorta di lugubre s<strong>in</strong>eddoche.<br />

Potremmo anzi vedere l’orig<strong>in</strong>e del<strong>la</strong> maschera nel<strong>la</strong> bocca dove lo sciamano si riduce a cavità orale entro<br />

cui sprofonda il morto e da cui poi <strong>la</strong>scerà i suoi sil<strong>la</strong>bati, esoterici oracoli. Se <strong>la</strong> bocca è l’orifizio<br />

metafisico da cui fuoriescono i «rumores» orrifici che vanno e vengono tra «daimon» e sacerdote, l’occhio<br />

si riduce a mera appendice <strong>in</strong>erme, sguardo risucchiato dal vuoto, buco spa<strong>la</strong>ncato che si proietta nel<strong>la</strong><br />

Notte. La maschera non guarda i vivi; le sue sbarrate pupille fissano abbac<strong>in</strong>anti L’<strong>in</strong>visibile, sono <strong>la</strong><br />

«tache aveugle» di cui ci par<strong>la</strong> Bataille, sono il volto del<strong>la</strong> Medusa, pateticamente <strong>in</strong>seguita dalle poetiche<br />

decadenti occidentali f<strong>in</strong>e ‘800.<br />

Si chiedeva Nietzsche: «Noi vediamo tutte le cose con <strong>la</strong> testa umana, e non possiamo tagliare questa<br />

testa (...) che cosa esisterebbe ancora del mondo, se <strong>in</strong>vece <strong>la</strong> testa fosse tagliata?». Ebbene, <strong>la</strong><br />

maschera arcaica è proprio questo «mondo senza una testa», mondo sentito <strong>in</strong> assenza del Soggetto. La<br />

trascendenza che si mesco<strong>la</strong> con l’immanenza, il sogno che sostituisce <strong>la</strong> veglia, si <strong>in</strong>crociano negli<br />

attoniti l<strong>in</strong>eamenti del<strong>la</strong> maschera stessa, dove si <strong>in</strong>tersecano e ruotano tra loro le coppie po<strong>la</strong>ri del<br />

vivo/morto, cultura/natura, reale/immag<strong>in</strong>ario, umano/non umano.<br />

Nel<strong>la</strong> dialettica tra re<strong>in</strong>tegrazione ed espulsione del morto questo travestimento manifesta <strong>in</strong>nanzitutto un<br />

furore omeopatico. Ora il contatto tra il volto del vivo e il simu<strong>la</strong>cro di chi è già morto o di chi mai morrà,<br />

avviene <strong>in</strong>fatti entro un orizzonte di paura. «Larva, simu<strong>la</strong>crum quod terret», si legge nei penitenziali<br />

tomistici, e questa apotropaica didascalia implica che tra le funzioni esaltate nel commercio colle anime,<br />

dopo il dissimu<strong>la</strong>re e il metamorfizzare, lo spaventare è <strong>la</strong> strategia più attiva, perché entrare nel<strong>la</strong><br />

maschera comporta il passare dal<strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse di chi subisce il fasc<strong>in</strong>us <strong>in</strong> quel<strong>la</strong> che lo provoca.<br />

È <strong>la</strong> maschera, pertanto, lo spazio dell’oltre e dell’altro, <strong>in</strong>ciso sul proprio corpo, sorta di altare iconico che<br />

spiazza, mutua e destorifica <strong>la</strong> presenza del soggetto. Se <strong>la</strong> musica e <strong>la</strong> danza rappresentano le arti che<br />

favoriscono i processi di «<strong>in</strong>carnazione», «<strong>in</strong>-spirazione», «<strong>in</strong>-vasamento», <strong>la</strong> maschera suggel<strong>la</strong> <strong>la</strong> f<strong>in</strong>e<br />

del viaggio, grida nel<strong>la</strong> sua maniera «mostruosa», che questo «adunaton», questo evento che dis<strong>in</strong>tegra<br />

le leggi del<strong>la</strong> natura, è già «avvenuto». Sbocco term<strong>in</strong>ale del grande profluvio energetico richiesto,<br />

dell’<strong>in</strong>vestimento traumatico di forze, di vitalità e di concentrazione, <strong>la</strong> maschera va ben oltre i s<strong>in</strong>tomi<br />

febbrili, gli scotimenti delle membra, i parossismi del<strong>la</strong> trance, è didascalia «dell’arrivo», dell’oltre<br />

raggiunto dallo psicopompo. Fissazione di una condizione transitoria, <strong>la</strong> maschera convive<br />

paradossalmente con <strong>la</strong> gestica del<strong>la</strong> danza, con <strong>la</strong> pronuncia animistica delle sil<strong>la</strong>be sacre, <strong>in</strong> una catena<br />

simultanea, plurisegnica, <strong>in</strong> un dialogo dissociato e re<strong>in</strong>tegrato tra forze <strong>in</strong> campo opposte, di cui <strong>la</strong><br />

maschera rappresenta proprio l’esito fantasmatico. Se i gesti del corpo fungono da <strong>in</strong>dici deittici del<br />

percorso metafisico, da richiami <strong>in</strong>iziatici al Dio, <strong>la</strong> maschera opera come momento iconografico e<br />

c<strong>in</strong>etografico di questa «<strong>in</strong>sania», risultante dello spostamento di soggetto. Se il corpo <strong>in</strong> movimento,<br />

ulteriormente, è il momento dionisiaco del<strong>la</strong> danza, <strong>la</strong> trasgressione autorizzata e <strong>la</strong> ricerca dell’eccesso<br />

d<strong>in</strong>amico, <strong>la</strong> maschera traduce da parte sua il culm<strong>in</strong>e apoll<strong>in</strong>eo, <strong>la</strong> ricomposizione statica nel<strong>la</strong> forma,<br />

«nell’imago» messa a fuoco. Il corpo che regge questa maschera diventa allora il corpo <strong>in</strong>compiuto,<br />

collettivo, rovesciato, configurazione dell’abnorme e dell’eccentrico, come nelle parallele carnevalizzazioni<br />

dell’area occidentale.<br />

Il ripresentarsi così del codice, <strong>la</strong> coazione a ripetere del rituale di questa perdita del sé, si concretizzano,<br />

si solidificano, depurandosi dai tratti più angosciosi, nel<strong>la</strong> struttura del<strong>la</strong> maschera medesima. Situazione<br />

immag<strong>in</strong>aria cristallizzata <strong>in</strong> una lunga sedimentazione di tentativi precedenti, divenuta segno che si<br />

espone <strong>in</strong> tutta <strong>la</strong> sua compiutezza, <strong>la</strong> maschera è l’<strong>in</strong>visibile che apre palpitanti fessure nel<strong>la</strong> serie del<br />

visibile, e tra i due mondi avviene una densa osmosi, quasi prestazione totale di mutuo scambio, secondo<br />

le leggi del «Pot<strong>la</strong>c» a cui allude Marcel Mauss.<br />

Specialista di questa massima lontananza dal sé, <strong>in</strong> grado di procedere avanti, e <strong>in</strong>sieme capace di<br />

rientrare nel quotidiano, ossia di togliersi <strong>la</strong> maschera e tornare vivo, è il mago danzatore. Per<br />

nascondersi dietro <strong>la</strong> maschera, <strong>in</strong>fatti, per mettere <strong>in</strong> scena questa «fictio», nel doppio significato di<br />

immag<strong>in</strong>are una presenza che non c’è e di model<strong>la</strong>re su questa assenza una «figura», un simu<strong>la</strong>cro,<br />

perché possedere l’immag<strong>in</strong>e del modello sacro, imitar<strong>la</strong> sul<strong>la</strong> propria pelle permette dì operare<br />

6


attraverso quel modello, è richiesto un tiroc<strong>in</strong>io estremamente impegnativo. Saper sparire e rientrare ad<br />

«entusiasmo» f<strong>in</strong>ito, rimettere i piedi <strong>in</strong> terra da un viaggio che è <strong>in</strong>sieme tecnica artistica, trance<br />

amorosa, alluc<strong>in</strong>azione vatic<strong>in</strong>ante e cerimoniale di <strong>in</strong>iziazione, implica una tecnica ardua, «un’arte del<br />

doppio», per <strong>in</strong>cana<strong>la</strong>re <strong>la</strong> dispersione centrifuga <strong>in</strong> un «it<strong>in</strong>erarium mentis ad Deum» che consenta di<br />

avventurarsi tra <strong>la</strong> fol<strong>la</strong> dei «mana» <strong>in</strong>visibili e che garantisca per il ritorno al<strong>la</strong> propria identità, <strong>in</strong>ibendo<br />

altresì le forze malefiche dall’approfittare del<strong>la</strong> momentanea separazione tra spirito e corpo del mago<br />

stesso. Ora, colui che ha il diritto di assumere <strong>la</strong> maschera <strong>in</strong>ferica, questo <strong>in</strong>cantatore dedito all’occulto<br />

fervore religioso, è divenuto attraverso il tempo e poi nei contatti col pubblico occidentale,<br />

<strong>in</strong>evitabilmente un archetipo di attore teatrale. Ma <strong>in</strong> tal modo riemerge <strong>la</strong> presenza del Soggetto.<br />

La maschera è messa fuori gioco, è scomparsa dal<strong>la</strong> scena occidentale <strong>in</strong> quanto emblema funebre, s’è<br />

detto; rivive solo come progetto utopico nelle avanguardie storiche, nelle febbrili reviviscenze, nelle<br />

manifestazioni estetiche <strong>la</strong>sciate ai marg<strong>in</strong>i dell’<strong>in</strong>dustria culturale, caricata di valenza politica<br />

contestativa o di strategia ludica, ma ormai tutta dentro <strong>la</strong> cultura del Soggetto.<br />

Morti i morti nel<strong>la</strong> dimensione mondanizzata delle nostre selvagge città, <strong>in</strong> cui <strong>la</strong> festa è diventata ferie,<br />

consumo privato e <strong>in</strong>dividuale di un preteso tempo libero, spezzato il cordone, un tempo solidissimo, di<br />

socializzazione culturale tra i vivi e i morti, resta <strong>la</strong> curiosità per questo arcano che ricompare ormai solo<br />

nel<strong>la</strong> psicopatologia quotidiana, nei s<strong>in</strong>tomi nevrotici, nel<strong>la</strong> l<strong>in</strong>gua del sogno, tra il familiare e<br />

l’irriconoscibile. È <strong>la</strong> morte del morto che più non ritorna, più che <strong>la</strong> Morte di Dio, ad aver spento le<br />

maschere, riempito le loro bocche, aperto i loro occhi, ricomposto i loro corpi. Elim<strong>in</strong>ato il culto dei morti,<br />

che non producono e <strong>qui</strong>ndi non servono, r<strong>in</strong>chiusi nei cerimoniali privati, sono le maschere a sparire<br />

dal<strong>la</strong> circo<strong>la</strong>zione profonda dell’immag<strong>in</strong>ario collettivo.<br />

La nostalgia dell’estasi, del narcotico, d’altra parte, dopo tragiche esperienze politiche recenti, non può<br />

non suonare sospetta ideologicamente e culturalmente, tra società di massa e regimi totalitari.<br />

Nell’anonimato urbano, nel<strong>la</strong> voracità ebbra con cui si drizzano e abbattono via via i nuovi idoli feticcio, lo<br />

scambio tra soggetti avviene ormai come mero <strong>in</strong>crocio psicologico tra precarie e fittizie identità.<br />

Non siamo noi il coro di servitori del Dio, che immobili riescono a scaricare l’energia <strong>in</strong>terna nel mondo<br />

esterno dell’icona sacra, non siamo noi capaci di «vedere oltre», circondati come siamo dalle ragnatele<br />

delle tante, proliferanti antenne televisive che hanno pervicacemente opacizzato l’<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito sopra i tetti del<br />

nostro vil<strong>la</strong>ggio elettronico. Se anche, <strong>in</strong> una più completa ricostruzione filologica di questi spettacoli,<br />

potessimo recuperare l’altra parte del<strong>la</strong> scena, trasc<strong>in</strong>are anche chi sta al di qua del<strong>la</strong> rampa, del<br />

«limen», il gruppo cioè dei fedeli, scorgeremmo sempre soltanto quelli che «vedono», non quello che<br />

costoro «sanno vedere».<br />

Partita dai templi, passata per le corti e le piazze, <strong>la</strong> maschera arriva così nei nostri festivals, già nel<br />

term<strong>in</strong>e deformazione etimologica, tragica e <strong>in</strong>sieme irreversibile, del<strong>la</strong> Festa antica. Divenuta spettacolo<br />

desemantizzato, folklore esportato, questa maschera ha subito <strong>la</strong> rimozione profonda del<strong>la</strong> Storia che<br />

preme alle sue spalle: <strong>la</strong> complessa trama del suo regime iconologico, le contam<strong>in</strong>azioni tra momenti<br />

devozionali ed estetici, le <strong>in</strong>cessanti migrazioni tra aree alte e basse del<strong>la</strong> cultura, sono cancel<strong>la</strong>te per un<br />

contatto immediato. A questo sogno ormai disorganizzato, senza possibilità per noi di coglierne<br />

spostamenti e compensazioni, possiamo accostarci solo coi surrogati del<strong>la</strong> fa me conoscitiva, per divorano<br />

nei nostri templi <strong>la</strong>ici del sapere come oggetto di esposizione, frammenti per ragge<strong>la</strong>te autopsie tra<br />

istituti universitari e tavole rotonde. Artaud, del resto, ha pagato a caro prezzo il velleitario tentativo di<br />

riprodurre sul<strong>la</strong> Scena di Città <strong>la</strong> metafisica lotta dell’anima alle prese con <strong>la</strong>rve e fantasmi.<br />

IL TENTATIVO DANNUNZIANO<br />

Negli anni <strong>in</strong> cui <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> dannunziana sale sul palcoscenico per <strong>la</strong> prima volta, ossia verso <strong>la</strong> f<strong>in</strong>e del<br />

secolo, <strong>la</strong> riflessione sul mito <strong>in</strong> Europa ha, nel frattempo, accumu<strong>la</strong>to nuovi e decisivi contributi su<br />

orig<strong>in</strong>i, funzioni, meccanismi, strategie culturali del mito stesso e sulle sue connessioni col l<strong>in</strong>guaggio.<br />

Pur nel<strong>la</strong> diversità di scuole ed <strong>in</strong>dirizzi vengono così ad emergere, e via via a stratificarsi, alcune costanti<br />

<strong>in</strong>terpretative, capaci anche di <strong>in</strong>filtrarsi <strong>in</strong> modo produttivo nei settori lontani dall’antropologia o dal<strong>la</strong><br />

mitologia comparata, come ad esempio quello estetico.<br />

Innanzi tutto, si batte l’accento proficuamente sull’omologia tra mito e sogno per <strong>la</strong> comune presenza di<br />

aspetti <strong>in</strong>congrui e tematicamente selvaggi. «Incoerenza» e «violenza» risultano dunque i corre<strong>la</strong>ti<br />

primari e del mondo arcaico e di quello onirico: le due dimensioni manifestano allo stesso modo <strong>in</strong>fatti<br />

una sp<strong>in</strong>ta irresistibile a vanificare le leggi del «regime diurno», a umiliare le pretese del Soggetto verso<br />

un’organizzazione razionale e logica del reale, a sostituire al pr<strong>in</strong>cipio di «non contraddizione» o di<br />

identità lo spirito di «partecipazione». Nel mito, <strong>in</strong>somma, le categorie del tempo e dello spazio, il<br />

rapporto io-altro, <strong>la</strong> scansione l<strong>in</strong>eare del montaggio subiscono, per quanto appunto concerne <strong>la</strong><br />

narrazione, un processo radicale di frantumazione, uno smottamento cont<strong>in</strong>uo e assil<strong>la</strong>nte dei bordi e<br />

delle giunture. Grazie ad un simile gioco di «condensazioni» e «spostamenti», per usare proprio una<br />

term<strong>in</strong>ologia ormai c<strong>la</strong>ssica desunta dall’approccio psicoanalitico al sogno, l’immag<strong>in</strong>e diviene<br />

<strong>in</strong>evitabilmente «polivalente», esalta il tasso di ambiguità, rivendica il suo «statuto iconocentrico»,<br />

sottraendosi a qualsiasi velleità di def<strong>in</strong>ir<strong>la</strong> e coprir<strong>la</strong> attraverso <strong>la</strong> paro<strong>la</strong>! A tale metaforicità <strong>in</strong>esausta e<br />

diffusa, il mito aggiunge altresì (e <strong>qui</strong> i suoi codici culturali si fanno più complessi del sogno) una<br />

7


propensione evidente a «regredire», a rivolgersi verso il passato <strong>in</strong> quanto «orig<strong>in</strong>e», anzi a costituirsi<br />

quale «fondazione» del presente comunque <strong>in</strong>teso, ma allo stesso tempo questa carica verso il «prima» si<br />

dialetizza coll’opposta tensione a proiettarsi verso il «poi», control<strong>la</strong>ndo ed esorcizzando le <strong>in</strong>sidie del<br />

futuro. Cosmogonia orig<strong>in</strong>aria da un <strong>la</strong>to, <strong>in</strong>iziazione e fecondazione dall’altro, implicano allora cerimoniali<br />

precisi, protocolli specifici, una pratica dunque, dove il «mito» si trasforma e si r<strong>in</strong>nova <strong>in</strong> «rito», per<br />

garantirsi «un’efficacia» simbolica sul reale.<br />

Ancora, il mito cresce su se stesso, germ<strong>in</strong>a, e si moltiplica sulle proprie parti, ripete ma<br />

contemporaneamente assimi<strong>la</strong> valori semantici nuovi, si fa cioè «struttura d<strong>in</strong>amica», <strong>in</strong> un gioco serrato<br />

di schemi oppositivi, di corrispondenze plurime, def<strong>in</strong>ibile <strong>in</strong> base alle sue variabili.<br />

In un certo senso, noi ritroviamo simili componenti nel<strong>la</strong> drammaturgia dannunziana. Nel suo teatro, il<br />

mito circo<strong>la</strong> come Notte, come distruzione momentanea dell’Ord<strong>in</strong>e, come perdita d’identità, come<br />

metafora <strong>in</strong>decifrabile, come aspirazione a fondare il passato e ad orientare il futuro, come metamorfosi<br />

<strong>in</strong>decifrabile che parte però da una comb<strong>in</strong>atoria limitata. Soprattutto, <strong>la</strong> scena dannunziana si apre al<br />

mito <strong>in</strong> quanto forma e sostanza del<strong>la</strong> sua vocazione irreversibile a «ritualizzarsi», a co<strong>in</strong>volgere un<br />

circuito, a determ<strong>in</strong>are e ad <strong>in</strong>cidere un tempo-spazio non meramente estetici. Non ci troviamo <strong>in</strong>somma<br />

davanti, come <strong>in</strong>vece succede per tanto teatro europeo primonovecentesco, ad un «pastiche» letterario,<br />

ad una citazione ironica, ad uno straniamento critico nei riguardi del mito, ad una sua riattualizzazione<br />

problematica che ne dimostri <strong>la</strong> caduta d’aureo<strong>la</strong> nel mondo moderno.<br />

D’Annunzio non è Gide, o Giraudoux o Anouilh, per fermarci ad autori francesi che pure tanto spesso<br />

«usarono» il c<strong>la</strong>ssico, non è nemmeno un Oriani o un Morselli, per restare <strong>in</strong> area nostrana e <strong>in</strong> periodi<br />

anche coevi allo scrittore. Se <strong>in</strong> costoro <strong>la</strong> memoria dell’antico agisce <strong>in</strong> una prospettiva «critica», al<br />

contrario <strong>in</strong> D’Annunzio il mito possiede una forza «monumentale-antiquaria», nell’accezione niciana del<br />

term<strong>in</strong>e, e questo <strong>in</strong> quanto fiducia <strong>in</strong>tr<strong>in</strong>seca sulle possibilità d’un «ritorno globale dei valori» del passato<br />

e di un loro fecondo riproporsi nel<strong>la</strong> cultura del tempo.<br />

Teatro come rito, allora, e rito essenzialmente di «passaggio». Lo strumento scenico, nonostante <strong>la</strong> sua<br />

estrazione elitaria, idealistica ed esoterica, di partenza, secondo le poetiche tardoromantiche <strong>in</strong> cui si<br />

iscrive l’impatto dannunziano col palcoscenico, <strong>in</strong>tende <strong>in</strong>fatti come il mito fondare un’orig<strong>in</strong>e, <strong>in</strong>iziare un<br />

futuro, svolgere un compito «alchemico di mutazione» rispetto ai materiali culturali prelevati e ai<br />

dest<strong>in</strong>atari cui si offre. Semplificando, potremmo sostenere che il teatro dannunziano funziona come una<br />

«macch<strong>in</strong>a mitopoietica», <strong>in</strong> cui il «pubblico» si deve trasformare <strong>in</strong> «popolo», il «caos» <strong>in</strong> «cosmo», <strong>la</strong><br />

fol<strong>la</strong> «m<strong>in</strong>acciosa» socialmente <strong>in</strong> massa «discipl<strong>in</strong>ata» e <strong>la</strong>voratrice, l’eroe androg<strong>in</strong>o e snervato <strong>in</strong><br />

novello «Ulisside», <strong>la</strong> donna da «femm<strong>in</strong>a medusea» a «madre-partner» esorcizzata.<br />

Conviene <strong>in</strong>iziare dal<strong>la</strong> paro<strong>la</strong>, a questo punto. Teatro scritto, teatro letterario, s’è spesso polemicamente<br />

affermato a proposito delle partiture dannunziane. Ebbene, nel l’ottica mitica, tale caratteristica non<br />

rappresenta un limite, ma una scelta necessaria!<br />

Sfasata enormemente nei confronti del<strong>la</strong> chiacchiera convenzionale dei tardi epigoni del naturalismo<br />

francese, questa paro<strong>la</strong> irrompe nei salotti prudenti e verosimili dei Giacosa, dei Praga e dei Torelli con<br />

un’<strong>in</strong>sostenibile, <strong>in</strong>ospitale «verticalizzazione», con un accumulo «<strong>in</strong>audito» di enunciati, un sovraccarico<br />

debordante di figure lessicali, di tropi poetici da rendere <strong>in</strong>evitabile <strong>la</strong> crisi di rigetto da parte del<br />

contenitore. Si tratta <strong>in</strong> effetti d’una l<strong>in</strong>gua medianica, salmodiante, <strong>in</strong>naturale, di «côte» wagneriano<br />

simbolista, che si colloca cioè nel solco, almeno nel<strong>la</strong> sua orig<strong>in</strong>e «culta», dei teatr<strong>in</strong>i d’arte del<strong>la</strong> «rive<br />

gauche» parig<strong>in</strong>a «f<strong>in</strong> de siècle».<br />

Oralità animistica, melopea ierofanica, <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> dannunziana sul<strong>la</strong> scena diventa formu<strong>la</strong>rio magico per<br />

tragitti estatici e stuporosi, molto più «performativa» degli attanti di maniera che <strong>la</strong> «recitano», degli<br />

stereotipi <strong>la</strong>nguorosi del<strong>la</strong> «Zivilisation» preraffaellita e anglo-bizant<strong>in</strong>a, <strong>in</strong>caricati di pronunciar<strong>la</strong>. Così le<br />

«Erodiadi», gli «Orfei» di Moreau, le «Pentisilee» di Kleist, le «Salomé» di Wilde, le «Psiche giacenti» di<br />

Burne Jones, le «Meduse» di Khnopff, le «Muse» di Denis e di Maeterl<strong>in</strong>ck, le «Beatrici» di Rossetti, i<br />

«Fauni» di Mal<strong>la</strong>rmé e di Debussy, le «Cleopatre» di Sw<strong>in</strong>burne, le «Sa<strong>la</strong>mbò» di F<strong>la</strong>ubert, le «Sibille» di<br />

Sartorio, gli «Efebi» di Pater, ossia l’iconologia parnassiano-decadente, grazie al<strong>la</strong> paro<strong>la</strong> si mettono <strong>in</strong><br />

azione, entrano <strong>in</strong> «trance», <strong>la</strong>sciano <strong>la</strong> dimensione quotidiana per sprofondare nel<strong>la</strong> topica del sogno.<br />

Ecco pertanto <strong>la</strong> condizione costante del protagonista dannunziano sul<strong>la</strong> scena, che si mostra quasi<br />

sempre addormentato, o <strong>in</strong> dormiveglia, o <strong>in</strong> stati febbrili di possessione amorosa, riproducendo <strong>in</strong> tal<br />

modo perfettamente <strong>la</strong> fenomenologia del «Soggetto» che partecipa ai «protocolli mitico-rituali» nel<br />

mondo arcaico. Come già puntualizzato altrove, lo spazio visibile esteriormente è molto meno rilevante<br />

dello spazio <strong>in</strong>visibile; ciò che si mostra e <strong>in</strong> cui si svolge <strong>la</strong> rappresentazione, il conflitto, è solo un «pretesto»<br />

per ciò che viene «e-vocato», ricordato, atteso.<br />

Nonostante le soluzioni a volte spettaco<strong>la</strong>ri, richieste dalle didascalie, nonostante l’uso multimediale dei<br />

segni scenici col ricorso all’Opera d’Arte totale dal<strong>la</strong> «Figlia di Jorio» al<strong>la</strong> «Pisanelle», dal<strong>la</strong> «Nave» al<br />

«San Sebastiano», il <strong>qui</strong> «presente» ha nettamente meno carisma dell’«assente», il momento<br />

«drammatico» si risolve <strong>in</strong> quello «lirico-epico» ed è <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> che media <strong>la</strong> distanza tra <strong>la</strong> scena fisica e<br />

quel<strong>la</strong> alluc<strong>in</strong>atoria del personaggio <strong>in</strong> crisi.<br />

L’«altro», l’avversario, il «partner» erotico è <strong>in</strong> fondo un mero precipitato, una condensazione che<br />

«appare», risucchiata dallo sguardo trasognato di un io iso<strong>la</strong>to nei propri <strong>la</strong>bir<strong>in</strong>ti deliranti! Nei testi più<br />

radicali, meno compromessi, cioè col<strong>la</strong> «collisione <strong>in</strong>terpersonale», il lessico brucia presto le scorie del<br />

dialogo, salendo musicalmente verso una monodia <strong>la</strong>mentosa, abbandonato il «recitativo» e <strong>in</strong>nalzandosi<br />

8


verso l’«aria», a mo’ di prosciugato libretto, ultima stagione del nostro melodramma ottocentesco. E <strong>la</strong><br />

paro<strong>la</strong>, <strong>in</strong>somma, che consente <strong>la</strong> fuoriuscita del fantasma, che libera <strong>la</strong> visione <strong>in</strong>teriore, che opera una<br />

sorta di graduale parossismo fasc<strong>in</strong>ante travolgendo il protagonista e con lui (almeno nelle <strong>in</strong>tenzioni<br />

dell’autore) lo spettatore.<br />

Inevitabilmente, il «sermo» risulta «e<strong>la</strong>tus», punta sistematicamente al «sublime», evita il registro<br />

«cotidianus» o peggio quello «rusticus-plebeius», rifugge dalle contam<strong>in</strong>azioni con cifre ironiche, da<br />

slittamenti nel<strong>la</strong> «bassa» comicità, stante appunto l’analogia col mito-rito e col sogno.<br />

Ora lo statuto ritualistico del teatro dannunziano comporta dei «cerimoniali regressivi», ossia il rimando<br />

ad un orizzonte mitico, ad un tempo anteriore <strong>in</strong> cui è già esplosa <strong>la</strong> «scena primaria», verso cui<br />

retrocede il montaggio con una progressione irresistibile. Dietro l’impulso d’un’autentica «coazione a<br />

ripetere», l’azione presente tende a riprodurre istericamente l’azione passata, prima <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i narrativi e<br />

poi rivivendo<strong>la</strong> <strong>in</strong> una maniacale riattualizzazione. Può essere un <strong>in</strong>cubo demoniaco, come il tragico<br />

antefatto d’amore luttuoso nel quale è <strong>in</strong>chiodata <strong>la</strong> demente Isabel<strong>la</strong> nel «Sogno d’un matt<strong>in</strong>o di<br />

primavera», oppure l’abbac<strong>in</strong>ante ricordo di lontani trionfi erotici che perseguita e umilia, per il contrasto<br />

col<strong>la</strong> decadenza fisica e il nuovo stato d’abbandono, <strong>la</strong> Doganessa Gradeniga nel «Sogno d’un tramonto<br />

d’autunno».<br />

DI AFFABULAZIONE E DI ALTRO<br />

Nel ‘66 Pasol<strong>in</strong>i è a letto, amma<strong>la</strong>to d’ulcera. Perde sangue e <strong>in</strong>tanto legge i «Dialoghi» p<strong>la</strong>tonici, anche<br />

memore di due sue precedenti traduzioni dall’antico, cioè l’«Orestiade» e il «Miles gloriosus». Questo è il<br />

quadro costruito dai suoi agiografi, questa è <strong>la</strong> «bibliografia» c<strong>la</strong>ssica <strong>in</strong> cui si <strong>in</strong>scrive <strong>la</strong> serie dei suoi<br />

testi, sei, composti di getto <strong>in</strong> quegli anni. E nel<strong>la</strong> ripresa del mito c<strong>la</strong>ssico, nel<strong>la</strong> sua decl<strong>in</strong>azione sottile,<br />

che si «orig<strong>in</strong>a» <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> pasol<strong>in</strong>iana, è <strong>in</strong> questa distanza abissale dai canoni coevi del teatro<br />

«storicamente» prodotto che si sprigiona il suo lessico «medio-alto», nei registri retori ci cioè di una<br />

paro<strong>la</strong> antica, che recita nell’etimo il verbo di Omero, e quello di una paro<strong>la</strong> recente, transeunte, tipica<br />

delle «parole non scritte di cui non c’è niente di più bello».<br />

Nel lessico di questo teatro ritroviamo puntualmente l’atipica ambivalenza pasol<strong>in</strong>iana: da un <strong>la</strong>to, <strong>la</strong><br />

paro<strong>la</strong> si consegna al<strong>la</strong> pronunzia convenzionale, ad una «ko<strong>in</strong>é», non purista, ma pur sempre<br />

<strong>in</strong>terregionale e antidialettale, verso una oralità prosaica che di<strong>la</strong>ta le proprie possibilità semantiche, <strong>la</strong><br />

paro<strong>la</strong> <strong>in</strong>somma come significato da esportare, come medium «didattico» e «dialettico», ed è questo il<br />

momento «apoll<strong>in</strong>eo» — illum<strong>in</strong>ista; dall’altro, <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> «dionisiaca», ctonia, notturna, che sale verso un<br />

livello sublime o sprofonda verso lo scatologico <strong>in</strong> una circo<strong>la</strong>rità tra l’eccesso del div<strong>in</strong>o e l’eccesso del<br />

bestiale, che sta al tono medio precedente come l’«aria» sta al «recitativo» nel libretto musicale del<br />

melodramma. È <strong>in</strong> questa seconda l<strong>in</strong>gua che si manifesta con più evidenza <strong>la</strong> natura monologante, <strong>la</strong><br />

propensione lirica «Oratoria» di Pasol<strong>in</strong>i, <strong>la</strong> sua propensione «affabu<strong>la</strong>toria» verso una sorta di<br />

autoalluc<strong>in</strong>azione per il Soggetto che si narra. Paro<strong>la</strong> <strong>in</strong> questo caso, che agisce <strong>in</strong> sostituzione dell’azione<br />

scenica praticamente annul<strong>la</strong>ta, tutta già avvenuta al di là del sipario, tutta rivissuta nel ricordo o<br />

nell’attesa, paro<strong>la</strong> sil<strong>la</strong>bata quale agente «estatico» per <strong>la</strong> discesa nel magma pulsionale dell’«Es».<br />

Ora, se il lessico rive<strong>la</strong> contam<strong>in</strong>azioni tra il sostrato greco e attualizzazioni con aree determ<strong>in</strong>ate<br />

dell’epicità antidrammatica del Gran Teatro del<strong>la</strong> Crisi (dal «fantasmi» eliotiani alle «Uscite» funebri<br />

pirandelliane di memoria leopardiana, dall’«Antologia di Spoon River» alle confessioni pubbliche di<br />

Wilder), anche l’<strong>in</strong>treccio denuncia collegamenti precisi col<strong>la</strong> staticità, discont<strong>in</strong>uità, <strong>in</strong>transitività del<br />

teatro «espressionista», e perf<strong>in</strong>o col<strong>la</strong> destrutturazione del<strong>la</strong> letteratura dadaista per certe animazioni di<br />

oggetti o stati d’animo, divenuti «dramatis personae» come <strong>in</strong> «Bestia da stile».<br />

Ma è il Notturno, nel<strong>la</strong> scena pasol<strong>in</strong>iana, che scalpita per uscire al<strong>la</strong> luce e monopolizzare <strong>la</strong> paro<strong>la</strong>, <strong>in</strong><br />

una messa a fuoco del desiderio e <strong>in</strong> una messa a morte dell’io, ossia nelle due tipiche attività delle<br />

macch<strong>in</strong>e oniriche.<br />

Ancora una volta, tale l<strong>in</strong>gua cerca di parafrasare il «disord<strong>in</strong>e del discorso» di farsi doppio del corpo,<br />

rallentando il processo che appunto l’annul<strong>la</strong> nel<strong>la</strong> mera fisicità, là dove verrebbe sostituita da un<br />

alfabetiere e da una s<strong>in</strong>tassi che usano i corpi direttamente come figure cifrate.<br />

E dunque questa l<strong>in</strong>gua sfida l’impossibile, e <strong>in</strong>tende esprimere il «profondo silenzio con cui si tocca il<br />

grembo», e <strong>in</strong> tal senso i corpi evocati automaticamente sullo spazio del palcoscenico devono subire uno<br />

straniamento che li smaterializza, li riduce ad ombre, data <strong>la</strong> natura «iconica», non «simbolica» del<br />

mezzo teatrale.<br />

Ulteriormente, questo lessico, <strong>in</strong>teso quale trattenimento, quale sospensione e allungamento del<br />

desiderio e del<strong>la</strong> violenza omicida, quest’<strong>in</strong>stabile e<strong>qui</strong>librio sul filo del<strong>la</strong> vita/morte, perimetra tutto un<br />

<strong>in</strong>treccio centrato maniacalmente sul<strong>la</strong> «Famiglia di Notte», secondo <strong>la</strong> tradizione del teatro europeo tra i<br />

due secoli, tra Str<strong>in</strong>dberg e Pirandello. Ecco, allora, gli snervanti «mixages» dei ruoli parentali, le<br />

<strong>in</strong>versioni tra Padre e Figlio, tra Marito e Moglie, tra Vittima e Carnefice.<br />

«Affabu<strong>la</strong>zione», ad esempio funziona come una sorta di cerebrale carne-valizzazione nel<strong>la</strong> gerarchia<br />

sessuale dell’asse edipico, rovesciamento provocatorio all’<strong>in</strong>segna del «complesso di Laio»; con un padre<br />

voyeur che spia il figlio, ne <strong>in</strong>dividua <strong>la</strong> forza coitale, <strong>in</strong> una frenetica identificazione-possessione del suo<br />

Mana fallico, f<strong>in</strong>o a masturbarsi per farsi sorprendere dal ragazzo:<br />

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«Nel<strong>la</strong> sua testa immaco<strong>la</strong>ta e testardamente conformista<br />

non può entrare <strong>la</strong> previsione nemmeno più confusa<br />

di un padre nudo, pronto a far l’amore, ma senza<br />

sua madre sotto di lui. Ed è così che mi troverà,<br />

<strong>in</strong>vece, e vedrà il mio sesso ... <strong>la</strong> cui funzione, dunque,<br />

sarà pura .... senza utilità come nelle masturbazioni,<br />

del ragazzo, appunto ... quando un ragazzo si sente,<br />

nel pugno un sesso di padre, ma privo<br />

del privilegio di fecondare,<br />

come un grande albero senza ombra».<br />

È <strong>in</strong>evitabile pertanto, che questa regressione si traduca <strong>in</strong> un processo di detronizzazione, di<br />

cannibalizzazione del figlio stesso:<br />

«Ci sono delle epoche nel mondo<br />

<strong>in</strong> cui i padri degenerano<br />

e uccidono i loro figli<br />

compiono dei regicidi».<br />

In «Orgia», al contrario, è il rapporto coniugale ad essere attraversato da una simile furia demolitrice,<br />

con un transfert ed osmosi <strong>in</strong>terne, f<strong>in</strong>ché l’uomo, il cui cuore si è <strong>in</strong>durito «come un membro», l’Uomo<br />

che ha sacrificato, novello Isacco senza più Angelo che lo fermi, l’<strong>in</strong>tera famiglia, s’è femm<strong>in</strong>ilizzato <strong>in</strong> un<br />

cerimoniale psicotico e dissociativo che allude a Genet.<br />

È questa creatura spettrale che sbuca all’<strong>in</strong>izio di «Orgia», a suicidio avvenuto, è quest’Uomo apparso a<br />

dec<strong>la</strong>marci <strong>la</strong> sua triste storia, il personaggio forse più rappresentativo del teatro pasol<strong>in</strong>iano, colui che<br />

s’è <strong>in</strong>oltrato più a fondo nel tunnel senza ritorno di una crudeltà autodiretta e autodistruttiva, colui che<br />

monta sul<strong>la</strong> scena, <strong>in</strong> cui non saliranno mai operai come nel sogno del «Calderon», col<strong>la</strong> testa <strong>in</strong> mano,<br />

avendo al<strong>la</strong> lettera perso questa testa, e potendo <strong>qui</strong>ndi percepire il mondo appunto senza testa, al di là<br />

del bene e del male, del<strong>la</strong> vita e del<strong>la</strong> morte.<br />

Questo narratore funebre lo ritroviamo <strong>in</strong> «Affabu<strong>la</strong>zione», sdoppiato nei due simu<strong>la</strong>cri complementari<br />

dell’Io epico e giudicante, immag<strong>in</strong>e di Sofocle, del padre disperato, obsédé dai propri fantasmi.<br />

«Affabu<strong>la</strong>zione» è pure un dramma a tesi, se lo si legge al<strong>la</strong> luce del «Manifesto del Nuovo Teatro» del<br />

‘68.<br />

Questo funebre «auto da fè» rivendica una nobile orig<strong>in</strong>e, una <strong>in</strong>dipendenza <strong>in</strong> quanto «micro<br />

Accademia» dal<strong>la</strong> lontana democrazia ateniese, una aura di circuito chiuso dove mittenti e dest<strong>in</strong>atari del<br />

testo-lettura siano rigorosamente sullo stesso piano di «competenza culturale», <strong>in</strong> una trasparenza<br />

specu<strong>la</strong>re che consenta eventuali rotazioni nelle parti <strong>in</strong> gioco.<br />

Teatro di paro<strong>la</strong>, scritto <strong>in</strong>nanzi tutto per <strong>la</strong> mente che lo ripercorre, spunto recitati vo da consumarsi <strong>in</strong><br />

esercizi di «autodidattica», oratorio i cui <strong>in</strong>terpreti, secondo l’utopia pasol<strong>in</strong>iana, dovrebbero essere i soli<br />

ascoltatori e <strong>in</strong> cui a far<strong>la</strong> da protagonisti non sono i personaggi, ma le idee che crescono e si spostano<br />

grazie allo scambio problematico tra scena e sa<strong>la</strong>.<br />

Pasol<strong>in</strong>i, si sa, parodizzava <strong>in</strong> quegli anni, i vari modelli di «rito» teatrale del «mercato», da quello basato<br />

sul<strong>la</strong> figura carismatica del mattatore al revival pseudo-sacrale dell’americanismo del Liv<strong>in</strong>g, dal politicocomiziante<br />

al mondano-sociale (quest’ultimo irreversibilmente spiazzato per <strong>la</strong> concorrenza trionfante<br />

del<strong>la</strong> civiltà audiovisiva). Per certi versi, allora, il nuovo schema agita paradossalmente <strong>la</strong> memoria del<br />

«Lehrstück» brechtiano, del dramma didattico concepito dal drammaturgo tedesco tra le ce neri del<strong>la</strong><br />

Repubblica di Weimar: là, il processo dell’«autodramma», ossia di copioni scritti esclusivamente per gli<br />

esecutori militanti, <strong>in</strong>tendeva agevo<strong>la</strong>re l’<strong>in</strong>teriorizzazione del<strong>la</strong> dialettica hegeliana <strong>in</strong> una strategia<br />

rivoluzionaria del mutamento anche personale. Qui <strong>in</strong>vece, <strong>in</strong> un orizzonte azzerato ideologicamente per<br />

<strong>la</strong> caduta di tutti i miti, dal<strong>la</strong> resistenza al<strong>la</strong> cultura popo<strong>la</strong>re, dal progetto alternativo al<strong>la</strong> rivoluzione<br />

stessa, viene ribadito <strong>in</strong> dimensioni ridotte il mandato sociale dell’<strong>in</strong>tellettuale tramite <strong>la</strong> moltiplicazione<br />

<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ita di zone periferiche decentrate, <strong>in</strong> cui avviare <strong>la</strong> sotterranea educazione al dialogo.<br />

Nessun divertimento, nessun gusto scandalistico, nessuna catarsi, nessuna tautologia, assicurati,<br />

viceversa, come Pasol<strong>in</strong>i annotava polemicamente, dal teatro del<strong>la</strong> chiacchiera e dal teatro dell’urlo, ossia<br />

dal teatro naturalistico-mimetico gastronomico e dal teatro gestuale-sperimentale, <strong>in</strong> cui Pasol<strong>in</strong>i<br />

racchiude un po’ sbrigativamente le tendenze del teatro italiano sul f<strong>in</strong>ire degli anni ‘<strong>60</strong>.<br />

«Affabu<strong>la</strong>zione» rientra così <strong>in</strong> una specie di didattica illum<strong>in</strong>ata al<strong>la</strong> notte romantica: antipopulista per<br />

eccellenza, un po’ esoterico ed elitario pur nel<strong>la</strong> prefissata proliferazione del proprio modello, questo<br />

schema contraddittorio mantiene tutto il fasc<strong>in</strong>o di un «discorso sul teatro al di fuori del teatro», <strong>in</strong> una<br />

prospettiva «postuma», <strong>in</strong> una tensione poetica-adolescenziale che ignora volutamente le leggi del<strong>la</strong><br />

macch<strong>in</strong>a dello spettacolo, che sabota sadicamente <strong>la</strong> tradizione dell’<strong>in</strong>terprete, le esigenze dello<br />

spettatore, i calcoli degli impresari o <strong>la</strong> velleità del militante! Per ritrovare una simile «<strong>in</strong>esperienza», una<br />

analoga aggressività contro lo specifico professionale, dobbiamo risalire, per restare nell’ambito italiano<br />

del nostro secolo, proprio ai citati «sogni» niciani del giovane D’Annunzio gettati coll’ardore del neofita,<br />

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ma anche con una maggior tecnica autopromozionale, contro l’universo del<strong>la</strong> scena-salotto e del<br />

«bad<strong>in</strong>age» da quarta pare.<br />

Paolo Puppa<br />

[Da Il teatro dei poeti – Antologia-catalogo, a cura di Fabio Doplicher (C.T.M. – Circuito Teatro Musica coop. S.r.l.<br />

1987). Per gentile concessione.]<br />

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PASOLINI E LA TRADIZIONE DEL TEATRO DI POESIA<br />

La straripante paro<strong>la</strong> teatrale di Pasol<strong>in</strong>i è una sfida al<strong>la</strong> ricezione sup<strong>in</strong>a dello spettatore, <strong>in</strong> accordo con<br />

<strong>la</strong> dimensione pedagogica dei dialoghi di P<strong>la</strong>tone a cui, non a caso, lo stesso Pasol<strong>in</strong>i fa riferimento<br />

quando cerca di spiegare il suo nuovo impegno drammaturgico degli anni 1966/68. Lontano, ma non<br />

arbitrario, riferimento del<strong>la</strong> scrittura di Pasol<strong>in</strong>i è il teatro di Rac<strong>in</strong>e, per <strong>la</strong> cui “stupenda, delirante musica<br />

dell’alessandr<strong>in</strong>o” aveva già dichiarato il suo amore venti anni prima, e che torna <strong>in</strong> maniera carsica nelle<br />

sue opere. Del resto, Rac<strong>in</strong>e è una poco analizzata chiave di volta del teatro <strong>in</strong> versi contemporaneo. Mi<br />

riferisco, per esempio, a Yukio Mishima (che per molti versi compie percorsi analoghi a quelli di Pasol<strong>in</strong>i<br />

negli stessi anni), che dichiara, mentre compone Madame de Sade e Il mio amico Hitler: “il mio ideale<br />

drammaturgico è una tragedia politica come il Britannicus di Rac<strong>in</strong>e, <strong>in</strong> cui il sangue viene <strong>la</strong>vato con il<br />

sangue, <strong>in</strong> eleganti versi alessandr<strong>in</strong>i”. Meno corretto è <strong>in</strong>vece il riferimento talvolta avanzato riguardo a<br />

D’Annunzio. In realtà, se <strong>la</strong> tragedia dannunziana ha i toni del<strong>la</strong> pura dec<strong>la</strong>mazione oratoria, confondendo<br />

<strong>la</strong> teatralità con <strong>la</strong> recitazione aulica e sostenuta, quel<strong>la</strong> pasol<strong>in</strong>iana è impastata di una straord<strong>in</strong>aria<br />

modernità che <strong>la</strong> ca<strong>la</strong> nel pieno del r<strong>in</strong>novamento drammaturgico del<strong>la</strong> seconda metà del ’900. Proprio a<br />

com<strong>in</strong>ciare dall’uso del verso teatrale, che mesco<strong>la</strong> sensibilità verso uno strumento <strong>in</strong>attuale e organicità<br />

con forme radicali di r<strong>in</strong>novamento drammaturgico <strong>in</strong> Europa.<br />

George Ste<strong>in</strong>er sottol<strong>in</strong>eava nel 1965 (l’anno prima dell’<strong>in</strong>izio del<strong>la</strong> scrittura delle sue sei tragedie da<br />

parte di Pasol<strong>in</strong>i) l’<strong>in</strong>attualità del verso nel teatro ricordando che “il verso non è più al centro del discorso<br />

espressivo”. Per Ste<strong>in</strong>er ben due motivi ostaco<strong>la</strong>no un uso efficace del verso nel dramma contemporaneo<br />

successivo al<strong>la</strong> scomparsa del genere tragedia: da una parte <strong>la</strong> poesia non è più mezzo espressivo<br />

condiviso come era <strong>in</strong> passato ma mezzo <strong>in</strong>dividuale, dall’altra parte questa trasformazione <strong>in</strong> senso<br />

em<strong>in</strong>entemente lirico ed elitario comporta un’<strong>in</strong>adeguatezza all’<strong>in</strong>terno di un genere che è <strong>in</strong>vece per sua<br />

natura drammatico e popo<strong>la</strong>re, cioè rappresentativo del<strong>la</strong> realtà. In attesa che <strong>la</strong> canzone riporti il verso,<br />

proprio a com<strong>in</strong>ciare da questi anni ’<strong>60</strong> di nascente cultura pop, a una dimensione nuovamente condivisa<br />

a livello universale e legata al<strong>la</strong> rappresentazione del reale, il suo uso <strong>in</strong> questo momento appare<br />

improprio per chi voglia rappresentare <strong>la</strong> realtà (<strong>qui</strong>ndi sfuggire al<strong>la</strong> gabbia del<strong>la</strong> poesia lirica o comunque<br />

soggettiva), tanto più nell’agorà scenico. E proprio su questo paradosso Pasol<strong>in</strong>i <strong>in</strong>terviene non solo<br />

riesumando il genere tragico, ma addirittura il suo strumento d’elezione, il verso.<br />

Al contrario dell’esperienza italiana di D’Annunzio, dove <strong>la</strong> scrittura teatrale poetica si proietta verso una<br />

retorica magniloquente che dovrebbe dare lustro metastorico ad azioni esemp<strong>la</strong>ri, magari cercando di<br />

recuperare archeologicamente <strong>la</strong> prosodia arcaica, il verso tragico di Pasol<strong>in</strong>i ricerca al proprio <strong>in</strong>terno le<br />

ragioni di una struttura drammaturgica da rifondare nell’unità di concezione dell’opera, nel solco del<br />

grande teatro <strong>in</strong> versi del ’900 europeo <strong>in</strong>iziato da Yeats. È <strong>in</strong>fatti con il drammaturgo ir<strong>la</strong>ndese che <strong>la</strong><br />

paro<strong>la</strong> poetica si colloca al centro del<strong>la</strong> scena <strong>in</strong> senso moderno, non come esercizio di stile o come<br />

dom<strong>in</strong>ante letteraria, ma per <strong>la</strong> sua carica evocativa. Il teatro <strong>in</strong> versi di Yeats, come egli stesso scrive<br />

nel 1903 <strong>in</strong> Riforma del teatro, rifugge il realismo e ricerca il simbolismo e l’allusione, imponendo <strong>la</strong><br />

massima concentrazione all’attore, sottraendogli un’eccessiva mimica e movimento e richiedendogli<br />

un’attenzione al fluire ritmico del verso che sottol<strong>in</strong>ea con <strong>la</strong> metrica il proprio essere verso, e dunque<br />

fraseggio artificiale.<br />

D’altro canto Thomas Stearns Eliot ribadisce <strong>la</strong> necessità di una scrittura poetica a teatro <strong>in</strong> quanto il<br />

verso consente di sve<strong>la</strong>re le profondità dell’animo umano. Interessante è il fatto che, al contrario di<br />

Yeats, Eliot persegua una sorta di mimetizzazione del verso che si trova a dover assumere, anche nel<strong>la</strong><br />

recitazione, un ritmo prosastico. E tuttavia, al di sotto dell’apparenza del<strong>la</strong> prosa, è il verso nascosto<br />

come un fantasma <strong>in</strong>sidioso a <strong>in</strong><strong>qui</strong>etare l’ascoltatore che così può <strong>in</strong>tuire un senso alto e altro rispetto a<br />

ciò a cui assiste, sostenuto <strong>in</strong> questo dall’evidente e diretta ispirazione delle opere eliotiane dalle grandi<br />

tragedie greche. La grande tradizione <strong>in</strong>glese del<strong>la</strong> dec<strong>la</strong>mazione del verso nei secoli precedenti, dal b<strong>la</strong>nk<br />

verse di Shakespeare <strong>in</strong> poi, ha consentito a Yeats e Eliot di presentare le proprie sperimentazioni<br />

drammaturgiche a una tipologia di attori e di spettatori con una competenza di alto livello, cosa che ha<br />

reso le loro opere ‘facilmente’ assimi<strong>la</strong>bili dai contemporanei. Analogamente è accaduto nel<strong>la</strong> tradizione<br />

francofona, dove l’alessandr<strong>in</strong>o di Rac<strong>in</strong>e e di Molière ha costituito una buona base per un altro riuscito<br />

tentativo di versificazione teatrale nel secolo scorso, quello di Paul C<strong>la</strong>udel, che sempre nel<strong>la</strong> prima metà<br />

del ’900 come Eliot, mette a punto una versificazione fluente, dal ritmo ampio e complesso, costruita sul<br />

ritmo organico del<strong>la</strong> respirazione. Anche per questo il verso di C<strong>la</strong>udel, pur <strong>in</strong> una dissimu<strong>la</strong>zione <strong>in</strong><br />

direzione del<strong>la</strong> prosa come nel teatro eliotiano, impone all’attore uno studio attento del<strong>la</strong> tecnica per una<br />

sua corretta recitazione. Perf<strong>in</strong>o <strong>in</strong> ambito tedesco, negli stessi anni di scrittura teatrale di Pasol<strong>in</strong>i,<br />

possono trovare piena cittad<strong>in</strong>anza gli esperimenti di teatro <strong>in</strong> versi di Peter Weiss, che aggancia <strong>la</strong><br />

versificazione alle nuove tensioni sociali e politiche, a com<strong>in</strong>ciare da Marat-Sade e L’istruttoria, o di<br />

He<strong>in</strong>er Müller che muove i primi passi nel<strong>la</strong> direzione del teatro <strong>in</strong> versi per il recupero dei miti c<strong>la</strong>ssici.<br />

Dunque <strong>la</strong> scelta del verso compiuta da Pasol<strong>in</strong>i è <strong>in</strong>serita all’<strong>in</strong>terno di un’ampia e ricca tradizione<br />

europea di r<strong>in</strong>novamento del teatro e non di vagheggiamento antiquario. E tuttavia <strong>la</strong> forza <strong>in</strong>novativa e<br />

di respiro <strong>in</strong>ternazionale di questa concezione viene misconosciuta nel momento <strong>in</strong> cui si <strong>in</strong>nesta su una<br />

tradizione nostrana tutt’altro che esemp<strong>la</strong>re. Infatti gli esempi più importanti nel<strong>la</strong> storia del teatro<br />

italiano, devoto al<strong>la</strong> prosa di autori come Machiavelli, Goldoni o Pirandello, si limitano sostanzialmente<br />

12


alle tragedie di Alfieri, Manzoni e D’Annunzio che però - diversamente dai loro omologhi europei -<br />

impongono una recitazione <strong>in</strong> forma di dec<strong>la</strong>mazione altisonante, allontanando di fatto attori e spettatori<br />

dal loro studio e dal loro apprezzamento.<br />

Il ritmo del verso teatrale pasol<strong>in</strong>iano costituisce una vera e propria partitura. Il verso sembra tendere a<br />

una certa l<strong>in</strong>earità prosastica che ha più a che vedere con l’opera di Eliot o dell’amato Allen G<strong>in</strong>sberg che<br />

non con i tragici greci, ma Pasol<strong>in</strong>i non ha <strong>in</strong>tenzione di r<strong>in</strong>unciare ancora all’autonomia del<strong>la</strong> poesia<br />

rispetto a una contam<strong>in</strong>azione con <strong>la</strong> prosa, e impone agli attori una recitazione <strong>in</strong>usitata, che obbliga a<br />

cadenze, tonalità e volumi di non facile applicazione per <strong>in</strong>terpreti di formazione accademicopirandelliana,<br />

spesso disabituati (al contrario dei colleghi europei) a un serio studio del verso teatrale. In<br />

questo senso, il testo teatrale pasol<strong>in</strong>iano è sperimentale nel<strong>la</strong> sua stessa confezione, cioè nel rendersi<br />

<strong>in</strong>avvic<strong>in</strong>abile da parte di un attore tradizionale e cresciuto a forza di Pirandello e Goldoni (per non dire<br />

del<strong>la</strong> piatta drammaturgia degli epigoni), e nel necessitare di una nuova generazione di attori capaci di<br />

restituire correttamente quei versi, studiando e costruendo una nuova l<strong>in</strong>gua teatrale.<br />

Il verso tragico va dunque necessariamente ricollegato al<strong>la</strong> critica del<strong>la</strong> l<strong>in</strong>gua media par<strong>la</strong>ta a teatro, che<br />

non a caso Pasol<strong>in</strong>i stigmatizza violentemente soltanto pochi mesi prima di <strong>in</strong>iziare <strong>la</strong> stesura delle<br />

tragedie. Questa l<strong>in</strong>gua palesemente antagonista a quel<strong>la</strong> usata nel<strong>la</strong> tradizione del<strong>la</strong> prosa italiana è<br />

dunque <strong>la</strong> pars costruens del nuovo teatro, ovvero traccia di sviluppo, suggerimento. Pasol<strong>in</strong>i ri<strong>la</strong>ncia<br />

portando il traguardo del nuovo teatro molto oltre l’orizzonte al quale non solo il teatro tradizionale ma<br />

anche quello sperimentale riescono a guardare: proiettando il suo nuovo teatro ben oltre gli anni ’<strong>60</strong>,<br />

verso un’epoca <strong>in</strong> cui nuovi attori sarebbero stati <strong>in</strong> grado non solo di comprenderlo ma soprattutto di<br />

comunicarlo. E che <strong>la</strong> scelta del<strong>la</strong> tragedia <strong>in</strong> versi sia una scelta consapevolmente rivoluzionaria per<br />

l’angusto rec<strong>in</strong>to teatrale italiano del 1966 e costituisca il secondo atto di un affondo <strong>in</strong>iziato con gli<br />

<strong>in</strong>terventi su “Vie nuove” e “Sipario” lo dimostra <strong>la</strong> lettera scritta a Livio Garzanti nell’aprile 1966,<br />

esattamente all’<strong>in</strong>izio del<strong>la</strong> nuova esperienza di tragediografo, <strong>in</strong> cui spiega quale sia “il mio problema.<br />

Far dare questi drammi all’estero, e <strong>in</strong> Italia, magari, non rappresentarli, o rappresentarli dopo <strong>la</strong><br />

pubblicazione. Dovrei perciò cercare un buon traduttore, anzi, buonissimo, perché i drammi sono <strong>in</strong><br />

versi”.<br />

Il concetto è chiaro: <strong>in</strong> Italia non si vedono attori <strong>in</strong> grado di recitare questi testi. Ma come andrebbero<br />

recitati? Stabilire un’ipotesi tecnica non è possibile. In realtà, solo due tracce ci possono aiutare, pur nel<strong>la</strong><br />

loro fragilità. La prima è scritta proprio <strong>in</strong> questi stessi mesi, e perciò di grande utilità, e si trova<br />

all’<strong>in</strong>terno del saggio Dal <strong>la</strong>boratorio che analizza <strong>la</strong> questione l<strong>in</strong>guistica, subito dopo aver accennato al<strong>la</strong><br />

recitazione di Eleonora Duse e Petrol<strong>in</strong>i: “Saba leggeva stupendamente le sue poesie (…): <strong>la</strong> pateticità nel<br />

tempo stesso pudibonda e sfacciata con cui diceva le proprie parole affidate al misterioso mezzo di<br />

locomozione metrico dei suoi endecasil<strong>la</strong>bi ‘raso terra’, è uno straord<strong>in</strong>ario fenomeno di ‘teatro’. Gli<br />

elementi strutturali di tale dizione sono due: <strong>la</strong> pronuncia triest<strong>in</strong>a, locale f<strong>in</strong>o quasi al ridicolo (il ‘fasista<br />

abièto’), e una partico<strong>la</strong>re ‘allure’ del suo registro melodico, una partico<strong>la</strong>re idea dei diagrammi del<strong>la</strong><br />

frase pronunciata” (“Nuovi Argomenti”, gennaio 1966). Gli elementi che trasformerebbero, almeno <strong>in</strong><br />

Saba, i versi <strong>in</strong> teatro sono dunque una pronuncia ‘vera’ ed essenziale con sfumature verso <strong>la</strong> leggerezza<br />

o il ridicolo, e una consapevolezza dei “diagrammi” del<strong>la</strong> frase <strong>in</strong> senso melodico. Una traccia sicuramente<br />

<strong>la</strong>bile, anche se precisa.<br />

La seconda traccia è <strong>la</strong> registrazione del<strong>la</strong> messa <strong>in</strong> scena di Orgia diretta da Pasol<strong>in</strong>i nel 1968 al Teatro<br />

Stabile di Tor<strong>in</strong>o, che tuttavia può rappresentare appena un <strong>in</strong>izio di attuazione del pensiero pasol<strong>in</strong>iano.<br />

Protagonista è Laura Betti, che agli occhi di Pasol<strong>in</strong>i <strong>in</strong>carna ciò che più si avvic<strong>in</strong>a al nuovo attore che ha<br />

<strong>in</strong> mente. Per <strong>la</strong> parte maschile viene scelto Luigi Mezzanotte, che Pasol<strong>in</strong>i aveva visto l’anno prima nello<br />

spettacolo di Carmelo Bene Amleto o le conseguenze del<strong>la</strong> pietà filiale. La recitazione si avvale di otto<br />

microfoni per creare un effetto di oggettivazione del<strong>la</strong> paro<strong>la</strong> e distanza dal<strong>la</strong> fisicità naturale grazie al<strong>la</strong><br />

mediazione metallica dell’altopar<strong>la</strong>nte. Nel<strong>la</strong> rappresentazione <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> non è dec<strong>la</strong>mata né enfatizzata,<br />

ma recitata con un tono quasi didascalico, che nei passaggi più drammatici assume forti sfumature<br />

ironiche, ed è sottol<strong>in</strong>eata dal timbro dell’impianto di amplificazione e dal<strong>la</strong> sostanziale fissità (ma non<br />

rigidità; si tratta piuttosto di contenuta sobrietà di gesti e movimenti) degli attori. Un’acuta testimonianza<br />

di Augusto Romano riferisce che gli attori “dicono le loro parti un po’ come si cantano i ‘recitativi’ nei<br />

<strong>la</strong>vori musicali del Settecento, con un che di distaccato, di rattenuto, ma anche di salmodiante”.<br />

Stefano Casi<br />

[Rie<strong>la</strong>borazione a cura dell’autore di alcune pag<strong>in</strong>e tratte da “I teatri di Pasol<strong>in</strong>i” di Stefano Casi, ed. Ubulibri, Mi<strong>la</strong>no<br />

2005]<br />

13


Appendice<br />

Pier Paolo Pasol<strong>in</strong>i - Manifesto per un nuovo teatro<br />

(Ai lettori)<br />

1) Il teatro che vi aspettate, anche come totale novità, non potrà mai essere il teatro che vi aspettate.<br />

Infatti, se vi aspettate un nuovo teatro, lo aspettate necessariamente nell'ambito delle idee che già<br />

avete; <strong>in</strong>oltre, una cosa che vi aspettate, <strong>in</strong> qualche modo c'è già.<br />

Non c'è nessuno di voi che davanti a un testo o a uno spettacolo resista al<strong>la</strong> tentazione di dire: "Questo È<br />

TEATRO", oppure: "Questo NON È TEATRO" il che significa che voi avete già <strong>in</strong> testa, ben radicata, una<br />

idea del TEATRO. Ma le novità, anche totali, come ben sapete, non sono mai ideali, sono sempre<br />

concrete. Qu<strong>in</strong>di <strong>la</strong> loro verità e <strong>la</strong> loro necessità sono mesch<strong>in</strong>e, seccanti e deludenti: o non si conoscono<br />

o si discutono riportandole alle vecchie abitud<strong>in</strong>i.<br />

Oggi, dunque, tutti voi vi aspettate un teatro nuovo, ma tutti ne avete già <strong>in</strong> testa un'idea, nata <strong>in</strong> seno<br />

al teatro vecchio. Queste note sono scritte sotto <strong>la</strong> forma di un manifesto, perché ciò che di nuovo esse<br />

esprimono si presenti dichiaratamente e magari anche autoritariamente come tale.<br />

(In tutto il presente manifesto, Brecht non verrà mai nom<strong>in</strong>ato. Egli è stato l'ultimo uomo di teatro che ha<br />

potuto fare una rivoluzione teatrale all'<strong>in</strong>terno del teatro stesso: e ciò perché ai suoi tempi l'ipotesi era<br />

che il teatro tradizionale esistesse [e <strong>in</strong>fatti esisteva]. Ora, come vedremo attraverso i commi del<br />

presente manifesto, l'ipotesi è che il teatro tradizionale non esista più (o che stia cessando di esistere). Ai<br />

tempi di Brecht, si potevano dunque operare delle riforme, anche profonde, senza mettere <strong>in</strong> discussione<br />

il teatro: anzi, <strong>la</strong> f<strong>in</strong>alità di tali riforme era di rendere il teatro autenticamente teatro. Oggi, <strong>in</strong>vece, ciò<br />

che si mette <strong>in</strong> discussione è il teatro stesso: <strong>la</strong> f<strong>in</strong>alità di questo manifesto è dunque, paradossalmente,<br />

<strong>la</strong> seguente: il teatro dovrebbe essere ciò che il teatro non è. Comunque questo è certo che i tempi di<br />

Brecht sono f<strong>in</strong>iti per sempre).<br />

(Chi saranno i dest<strong>in</strong>atari del nuovo teatro)<br />

2) I dest<strong>in</strong>atari del nuovo teatro non saranno i borghesi che formano generalmente il pubblico teatrale:<br />

ma saranno <strong>in</strong>vece i gruppi avanzati del<strong>la</strong> borghesia.<br />

Queste tre righe, del tutto degne dello stile di un verbale, sono il primo proposito rivoluzionario di questo<br />

manifesto. Esse significano <strong>in</strong>fatti che l'autore di un testo teatrale non scriverà più per il pubblico che è<br />

sempre stato, per def<strong>in</strong>izione, il pubblico teatrale; che va a teatro per divertirsi, e che qualche volta vi è<br />

scandalizzato.<br />

I dest<strong>in</strong>atari del nuovo teatro non saranno né divertiti né scandalizzati dal nuovo teatro, perché essi,<br />

appartenendo ai gruppi avanzati del<strong>la</strong> borghesia, sono <strong>in</strong> tutto pari all'autore dei testi.<br />

3) Una signora che frequenta i teatri cittad<strong>in</strong>i, e non manca mai alle pr<strong>in</strong>cipali "prime" di Strehler, di<br />

Visconti o di Zeffirelli, è vivamente consigliata a non presentarsi alle rappresentazioni del nuovo teatro.<br />

O, se con <strong>la</strong> sua simbolica, patetica, pelliccia di visone, si presenterà, troverà all'<strong>in</strong>gresso un cartello su<br />

cui c'è scritto che le signore con <strong>la</strong> pelliccia di visone sono tenute a pagare il biglietto trenta volte più del<br />

suo costo normale (che sarà bassissimo). In tale cartello, al contrario, ci sarà scritto che i fascisti (purché<br />

<strong>in</strong>feriori ai ventic<strong>in</strong>que anni) avranno l'<strong>in</strong>gresso gratuito. E, <strong>in</strong>oltre, vi si leggerà una preghiera: di non<br />

app<strong>la</strong>udire: i fischi e le disapprovazioni saranno naturalmente ammessi, ma, al posto degli eventuali<br />

app<strong>la</strong>usi sarà richiesta da parte dello spettatore quel<strong>la</strong> fiducia quasi mistica nel<strong>la</strong> democrazia che<br />

consente un dialogo, totalmente dis<strong>in</strong>teressato e idealistico, sui problemi posti o dibattuti (a canone<br />

sospeso!) dal testo.<br />

4) Per gruppi avanzati del<strong>la</strong> borghesia <strong>in</strong>tendiamo le poche migliaia di <strong>in</strong>tellettuali di ogni città il cui<br />

<strong>in</strong>teresse culturale sia magari <strong>in</strong>genuo, prov<strong>in</strong>ciale, ma reale.<br />

5) Oggettivamente, essi sono costituiti nel<strong>la</strong> massima parte da quelli che si def<strong>in</strong>iscono dei "progressisti<br />

di s<strong>in</strong>istra" (compresi quei cattolici che tendono costituire <strong>in</strong> Italia una Nuova S<strong>in</strong>istra): <strong>la</strong> m<strong>in</strong>oranza di<br />

tali gruppi è formata dalle élites sopravviventi del <strong>la</strong>icismo liberale crociano e dai radicali. Naturalmente,<br />

questo elenco è, e vuole essere, schematico e terroristico.<br />

6) Il nuovo teatro non è dunque né teatro accademico (1) né un teatro d'avanguardia (2).<br />

Non si <strong>in</strong>serisce <strong>in</strong> una tradizione ma nemmeno <strong>la</strong> consta. Semplicemente <strong>la</strong> ignora e <strong>la</strong> scavalca una<br />

volta per sempre.<br />

(Il teatro di paro<strong>la</strong>)<br />

7) Il nuovo teatro si vuole def<strong>in</strong>ire, sia pur banalmente e <strong>in</strong> stile da verbale, "teatro di paro<strong>la</strong>".<br />

La sua <strong>in</strong>compatibilità sia col teatro tradizionale sia con ogni tipo di contestazione al teatro tradizionale, è<br />

dunque contenuta <strong>in</strong> questa sua autodef<strong>in</strong>izione.<br />

14


Esso non nasconde (3) di rifarsi esplicitamente al teatro del<strong>la</strong> democrazia ateniese, saltando<br />

completamente l'<strong>in</strong>tera tradizione moderna del teatro r<strong>in</strong>ascimentale e di Shakespeare.<br />

8) Venite ad assistere alle rappresentazioni del "teatro di paro<strong>la</strong>" con l'idea più di ascoltare che di vedere<br />

(restrizione necessaria per comprendere meglio le parole che sentirete, e <strong>qui</strong>ndi le idee, che sono i reali<br />

personaggi di questo teatro)<br />

(A cosa si oppone il teatro di paro<strong>la</strong>)<br />

9) Tutto il teatro esistente si può dividere <strong>in</strong> due tipi: questi due tipi di teatro si possono def<strong>in</strong>ire -<br />

secondo una term<strong>in</strong>ologia seria - <strong>in</strong> diversi modi, per esempio: teatro tradizionale e teatro d'avanguardia;<br />

teatro borghese e teatro antiborghese; teatro ufficiale e teatro di contestazione; teatro accademico e<br />

teatro dell'underground, ecc. ecc. Ma a queste def<strong>in</strong>izioni serie noi preferiamo due def<strong>in</strong>izioni vivaci,<br />

ossia: a) teatro del<strong>la</strong> chiacchiera (accettando dunque <strong>la</strong> bril<strong>la</strong>nte def<strong>in</strong>izione di Moravia), b) teatro del<br />

Gesto e dell'Urlo.<br />

Per <strong>in</strong>tenderci subito: il teatro del<strong>la</strong> chiacchiera è il teatro <strong>in</strong> cui <strong>la</strong> chiacchiera, appunto, sostituisce <strong>la</strong><br />

Paro<strong>la</strong> (per esempio, anziché dire, senza humour, senza senso del ridicolo e senza buona educazione,<br />

"Vorrei morire", si dice amaramente "Buona sera"); il teatro del Gesto o dell'Urlo, è il teatro dove <strong>la</strong><br />

paro<strong>la</strong> è completamente dissacrata, anzi distrutta, <strong>in</strong> favore del<strong>la</strong> presenza fisica pura (cfr. più avanti).<br />

10) Il nuovo teatro si def<strong>in</strong>isce di "Paro<strong>la</strong>" per opporsi <strong>qui</strong>ndi:<br />

I) al teatro del<strong>la</strong> Chiacchiera, che implica una ricostruzione ambientale e una struttura spettaco<strong>la</strong>re<br />

naturalistiche, senza cui:<br />

a) gli avvenimenti (omicidi, furti, balletti, baci, abbracci e controscene) sarebbero irrappresentabili;<br />

b) dire "Buona notte" anziché "Vorrei morire" non avrebbe senso perché vi mancherebbero le atmosfere<br />

del<strong>la</strong> realtà quotidiana.<br />

II) Per opporsi al teatro del Gesto o dell'Urlo, che contesta il primo radendone al suolo le strutture<br />

naturalistiche e sconsacrandone i testi: ma di cui non può abolire il dato fondamentale, cioè l'azione<br />

scenica (che esso porta, anzi, all'esaltazione). Da questa doppia opposizione deriva una delle<br />

caratteristiche fondamentali del "teatro di paro<strong>la</strong>": ossia (come nel teatro ateniese) <strong>la</strong> mancanza quasi<br />

totale dell'azione scenica.<br />

La mancanza di azione scenica implica naturalmente <strong>la</strong> scomparsa quasi totale del<strong>la</strong> mess<strong>in</strong>scena - luci,<br />

scenografia, costumi ecc.: tutto sarà ridotto all'<strong>in</strong>dispensabile (poiché, come vedremo, il nostro nuovo<br />

teatro non potrà non cont<strong>in</strong>uare ad essere una forma, sia pure mai sperimentata, di RITO. E <strong>qui</strong>ndi un<br />

accendersi o uno spegnersi di luci, a <strong>in</strong>dicare l'<strong>in</strong>izio o <strong>la</strong> f<strong>in</strong>e del<strong>la</strong> rappresentazione, non potrà mai<br />

sussistere).<br />

11) Sia il teatro del<strong>la</strong> Chiacchiera (4) che il teatro del Gesto o dell'Urlo (5) sono due prodotti di una<br />

stessa civiltà borghese. Essi hanno <strong>in</strong> comune l'odio e <strong>la</strong> Paro<strong>la</strong>.<br />

Il primo è un rituale dove <strong>la</strong> borghesia si rispecchia, più o meno idealizzandosi, comunque sempre<br />

riconoscendosi.<br />

Il secondo è un rituale <strong>in</strong> cui <strong>la</strong> borghesia (riprist<strong>in</strong>ando attraverso <strong>la</strong> propria cultura antiborghese <strong>la</strong><br />

purezza di un teatro religioso), da una parte si riconosce <strong>in</strong> quanto produttrice dello stesso (per ragioni<br />

culturali), dall'altra prova il piacere del<strong>la</strong> provocazione, del<strong>la</strong> condanna e dello scandalo (attraverso cui,<br />

<strong>in</strong>f<strong>in</strong>e, non ottiene che <strong>la</strong> conferma delle proprie conv<strong>in</strong>zioni).<br />

12) Esso (il teatro del Gesto o dell'Urlo) è il prodotto dunque dell'anticultura borghese (6) che si pone <strong>in</strong><br />

polemica con <strong>la</strong> borghesia, usando contro di essa lo stesso processo, distruttivo, crudele e dissociato, che<br />

è stato usato (unendo al<strong>la</strong> follia <strong>la</strong> pratica) da Hitler, nei campi di concentramento e di sterm<strong>in</strong>io.<br />

13) Se, sia il teatro del Gesto o dell'Urlo, che il nostro teatro di Paro<strong>la</strong>, sono ambedue prodotti di gruppi<br />

culturali antiborghesi del<strong>la</strong> borghesia, <strong>in</strong> che cosa consiste <strong>la</strong> differenza tra loro?<br />

Ecco<strong>la</strong>: mentre il teatro del Gesto o dell'Urlo ha come dest<strong>in</strong>ataria - magari assente - <strong>la</strong> borghesia da<br />

scandalizzare (senza <strong>la</strong> quale esso sarebbe <strong>in</strong>concepibile, come Hitler senza di Ebrei, i Po<strong>la</strong>cchi, gli Z<strong>in</strong>gari<br />

e gli Omosessuali), il teatro di Paro<strong>la</strong>, al contrario, ha come dest<strong>in</strong>atari gli stessi gruppi culturali avanzati<br />

da cui è prodotto.<br />

14) Il teatro del Gesto o dell'Urlo - nel<strong>la</strong> c<strong>la</strong>ndest<strong>in</strong>ità dell'underground - ricerca coi suoi dest<strong>in</strong>atari una<br />

complicità di lotta o una forma comune di ascesi: esso dunque tutto sommato, non rappresenta, per i<br />

gruppi avanzati che lo producono e lo fruiscono come dest<strong>in</strong>atari, che una conferma, rituale, delle proprie<br />

conv<strong>in</strong>zioni antiborghesi: <strong>la</strong> stessa conferma rituale che rappresenta il teatro tradizionale per il pubblico<br />

medio e normale con le proprie conv<strong>in</strong>zioni borghesi.<br />

Al contrario, negli spettacoli del teatro di Paro<strong>la</strong>, se pure si avranno molte conferme e verifiche (non per<br />

nul<strong>la</strong> autori e dest<strong>in</strong>atari appartengono al<strong>la</strong> stessa cerchia culturale e ideologica) ci sarà soprattutto uno<br />

scambio di op<strong>in</strong>ioni e di idee, <strong>in</strong> un rapporto molto più critico che rituale (7).<br />

(Dest<strong>in</strong>atari e spettatori)<br />

15) Sarà possibile una co<strong>in</strong>cidenza, pratica, tra dest<strong>in</strong>atari e spettatori?<br />

15


Noi crediamo che ormai <strong>in</strong> Italia, i gruppi culturali avanzati del<strong>la</strong> borghesia possano formare anche<br />

numericamente un pubblico, producendo <strong>qui</strong>ndi praticamente un proprio teatro: il teatro di Paro<strong>la</strong> viene a<br />

costituire dunque, nel rapporto tra autore e spettatore, un fatto del tutto nuovo nel<strong>la</strong> storia del teatro.<br />

E ciò per le seguenti ragioni:<br />

a) il teatro di Paro<strong>la</strong> è - come abbiamo visto - un teatro reso possibile, richiesto e fruito nel<strong>la</strong> cerchia<br />

strettamente culturale dei gruppi avanzati di una borghesia.<br />

b) esso rappresenta, di conseguenza, l'unica strada per <strong>la</strong> r<strong>in</strong>ascita del teatro <strong>in</strong> una nazione <strong>in</strong> cui <strong>la</strong><br />

borghesia è <strong>in</strong>capace di produrre un teatro che non sia prov<strong>in</strong>ciale e accademico, e <strong>la</strong> cui c<strong>la</strong>sse operaia è<br />

assolutamente estranea a questo problema (e <strong>qui</strong>ndi <strong>la</strong> sua possibilità di produrre nel proprio ambito un<br />

teatro è soltanto teorica: teorica e retorica, come dimostrano tutti i tentativi di "teatro popo<strong>la</strong>re" che ha<br />

cercato di raggiungere direttamente <strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse operaia).<br />

c) il teatro di Paro<strong>la</strong> - che, come abbiamo visto, scavalca ogni possibile rapporto con <strong>la</strong> borghesia, e si<br />

rivolge solo ai gruppi culturali avanzati - è il solo che possa raggiungere, non per partito preso o retorica,<br />

ma realisticamente, <strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse operaia. Essa è <strong>in</strong>fatti unita da un rapporto diretto con gli <strong>in</strong>tellettuali<br />

avanzati. È questa una nozione tradizionale e <strong>in</strong>elim<strong>in</strong>abile dell'ideologia marxista e su cui sia gli eretici<br />

che gli ortodossi non possono non essere d'accordo, come su un fatto naturale.<br />

16) Non fra<strong>in</strong>tendete. Non è un operaismo dogmatico, stal<strong>in</strong>ista, togliattiano, o comunque conformista,<br />

che viene <strong>qui</strong> rievocato.<br />

Viene rievocata piuttosto <strong>la</strong> grande illusione di Majakowskij, di Esen<strong>in</strong>, e degli altri commoventi e grandi<br />

giovani che hanno operato con loro <strong>in</strong> quel tempo. Ad essi è idealmente dedicato il nostro nuovo teatro.<br />

Niente operaismo ufficiale, dunque: anche se il teatro di Paro<strong>la</strong> andrà coi suoi testi (senza scene,<br />

costumi, musichette, magnetofoni e mimica) nelle fabbriche e nei circoli culturali comunisti, magari <strong>in</strong><br />

stanzoni con le bandiere rosse del '45.<br />

17) Leggete i precedenti commi 15 e 16 come i commi fondamentali del presente manifesto.<br />

18) Il teatro di Paro<strong>la</strong>, che attraverso questo manifesto si va def<strong>in</strong>endo, è dunque anche una impresa<br />

pratica.<br />

19) Non è escluso che il teatro di Paro<strong>la</strong> esperimenti anche degli spettacoli esplicitamente dedicati a<br />

dest<strong>in</strong>atari operai: ma ciò, appunto, <strong>in</strong> via sperimentale, perché il solo modo giusto per implicare <strong>la</strong><br />

presenza operaia <strong>in</strong> tale teatro, è quello <strong>in</strong>dicato al punto C del comma 15.<br />

20) I programmi del teatro di Paro<strong>la</strong> - costituito <strong>in</strong> impresa o <strong>in</strong>iziativa - non avranno perciò un ritmo<br />

normale. Non ci saranno anteprime, prime o repliche. Si prepareranno due o tre rappresentazioni al<strong>la</strong><br />

volta, che verranno date contemporaneamente nel<strong>la</strong> sede propria del teatro, e nei luoghi (fabbriche,<br />

scuole, circoli culturali) dove i gruppi culturali avanzati, cui il teatro di Paro<strong>la</strong> si rivolge, hanno <strong>la</strong> loro<br />

sede.<br />

(Parentesi l<strong>in</strong>guistica: <strong>la</strong> l<strong>in</strong>gua)<br />

21) Che l<strong>in</strong>gua par<strong>la</strong>no questi "gruppi culturali avanzati" del<strong>la</strong> borghesia? Par<strong>la</strong>no - come ormai quasi<br />

tutta <strong>la</strong> borghesia - l'italiano, cioè una l<strong>in</strong>gua convenzionale, <strong>la</strong> cui convenzionalità però, non si è fatta "da<br />

so<strong>la</strong>", per un naturale accumu<strong>la</strong>rsi di luoghi comuni fonologici: ossia per tradizione storica, politica,<br />

burocratica, militare, sco<strong>la</strong>stica e scientifica, oltre che letteraria. La convenzionalità dell'italiano è stata<br />

stabilita <strong>in</strong> un dato momento, astratto (mettiamo il 1870) e dall'altro (prima dalle corti, su un piano<br />

esclusivamente letterario e <strong>in</strong> picco<strong>la</strong> parte diplomatico, poi dai piemontesi e dal<strong>la</strong> prima borghesia<br />

risorgimentale, sul piano statale).<br />

Dal punto di vista del<strong>la</strong> l<strong>in</strong>gua scritta, tale imposizione autoritaria può apparire anche <strong>in</strong>evitabile, seppure<br />

artificiale e puramente pratica. Infatti si è avuta una <strong>in</strong>dubbia omologazione dell'italiano scritto <strong>in</strong> tutta <strong>la</strong><br />

nazione (geograficamente e socialmente). Ma per l'italiano orale l'accettazione dell'imposizione<br />

nazionalistica e del<strong>la</strong> necessità pratica, è stata semplicemente impossibile. Nessuno del resto può essere<br />

<strong>in</strong>sensibile al ridicolo del<strong>la</strong> pretesa che una l<strong>in</strong>gua soltanto letteraria, venga imposta attraverso norme<br />

fonetiche artificiali e dotte, a un popolo di analfabeti (nel 1870 gli analfabeti erano più del novanta per<br />

cento del<strong>la</strong> popo<strong>la</strong>zione). Ed è comunque oggi un fatto che se un italiano scrive una frase <strong>la</strong> scrive allo<br />

stesso modo <strong>in</strong> qualsiasi punto geografico o a qualsiasi livello sociale del<strong>la</strong> nazione, ma se <strong>la</strong> dice <strong>la</strong> dice<br />

<strong>in</strong> un modo diverso da quello di qualsiasi altro italiano.<br />

(Parentesi l<strong>in</strong>guistica: <strong>la</strong> convenzionalità del<strong>la</strong> l<strong>in</strong>gua orale e <strong>la</strong> convenzionalità del<strong>la</strong> dizione<br />

teatrale)<br />

22) Il teatro tradizionale ha accettato questa convenzionalità dell'italiano orale, emanata, per così dire,<br />

per editto. Ha accettato, cioè, un italiano che non esiste. Su tale convenzionalità, ossia sul nul<strong>la</strong>,<br />

sull'<strong>in</strong>esistente, sul morto, essa ha fondato <strong>la</strong> convenzionalità del<strong>la</strong> dizione. Il risultato è ripugnante.<br />

Soprattutto quando il teatro puramente accademico si presenta sotto <strong>la</strong> specie più "moderna" del teatro<br />

del<strong>la</strong> Chiacchiera. Per esempio il "Buona sera" che nel nostro esempio sostituisce il "Vorrei morire" che<br />

non si dice, ha, nel<strong>la</strong> reale vita dell'italiano orale, tanti aspetti fonetici quanti sono i gruppi reali d'italiani<br />

16


che lo pronunciano. Ma <strong>in</strong> teatro ha una so<strong>la</strong> pronuncia (usata unicamente nel<strong>la</strong> dizione degli attori). In<br />

teatro dunque si pretende di "chiacchierare" <strong>in</strong> un italiano <strong>in</strong> cui <strong>in</strong> realtà nessuno chiacchiera (nemmeno<br />

a Firenze) (8).<br />

23) Quanto al teatro di contestazione (che <strong>qui</strong> chiamiamo del Gesto o dell'Urlo) il problema del<strong>la</strong> l<strong>in</strong>gua<br />

orale o non si pone, o si pone solo come problema secondario. In tale teatro, <strong>in</strong>fatti, <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> <strong>in</strong>tegra, <strong>in</strong><br />

posizione ancil<strong>la</strong>re, <strong>la</strong> presenza fisica. E adempie, poi, questo suo ufficio, generalmente, attraverso una<br />

semplice contraffazione dissacrante - tende cioè ad imitare il gesto, e a essere <strong>qui</strong>ndi pregrammaticale,<br />

f<strong>in</strong>o a farsi, appunto, <strong>in</strong>teriettiva: gemito, versaccio o urlo. Quando semplicemente non si limiti a fare <strong>la</strong><br />

caricatura del<strong>la</strong> convenzionalità teatrale (fondata sul<strong>la</strong> convenzionalità impossibile dell'italiano orale).<br />

24) Il teatro del<strong>la</strong> Chiacchiera, avrebbe <strong>in</strong> Italia uno strumento ideale: il dialetto e <strong>la</strong> ko<strong>in</strong>è dialettizzata<br />

(9). Ma esso non usa tale strumento <strong>in</strong> parte per ragioni pratiche, <strong>in</strong> parte per prov<strong>in</strong>cialismo, <strong>in</strong> parte<br />

per <strong>in</strong>colto estetismo, <strong>in</strong> parte per servilismo verso <strong>la</strong> tendenza nazionalistica dei suoi dest<strong>in</strong>atari.<br />

(Parentesi l<strong>in</strong>guistica: Il teatro di Paro<strong>la</strong> e l'italiano orale)<br />

25) Il teatro di Paro<strong>la</strong> esclude tuttavia, nel<strong>la</strong> sua autodef<strong>in</strong>izione, il dialetto e <strong>la</strong> ko<strong>in</strong>è dialettizzata. O, se<br />

li <strong>in</strong>clude, li <strong>in</strong>clude <strong>in</strong> via eccezionale e <strong>in</strong> una accezione tragica che li pone a livello del<strong>la</strong> l<strong>in</strong>gua colta.<br />

26) Il teatro di Paro<strong>la</strong>, <strong>qui</strong>ndi, prodotto e fruito dai gruppi avanzati del<strong>la</strong> nazione, non può che accettare<br />

di scrivere dei testi <strong>in</strong> quel<strong>la</strong> l<strong>in</strong>gua convenzionale che è l'italiano scritto e letto (e solo saltuariamente<br />

assumere i dialetti, puramente orali, al livello del<strong>la</strong> l<strong>in</strong>gue scritte e lette).<br />

27) Naturalmente il teatro di Paro<strong>la</strong> deve accettare anche <strong>la</strong> convenzionalità dell'italiano orale: dal<br />

momento che i suoi testi sono scritti anche per essere rappresentati, ossia, nel<strong>la</strong> fattispecie, e per<br />

def<strong>in</strong>izione, detti.<br />

28) Si tratta evidentemente di una contraddizione: a) poiché <strong>in</strong> questo caso specifico (ed essenziale) il<br />

teatro di Paro<strong>la</strong> si comporta proprio come il più abbietto teatro borghese, accettando una convenzionalità<br />

che non esiste: ossia l'unità di un italiano orale che nessun italiano reale par<strong>la</strong>; b) perché mentre il teatro<br />

di Paro<strong>la</strong>, vuol scavalcare <strong>la</strong> borghesia, rivolgendosi ad altri dest<strong>in</strong>atari (<strong>in</strong>tellettuali e operai), nel tempo<br />

stesso eccolo che accetta di essere avviluppato al<strong>la</strong> borghesia: perché solo attraverso lo sviluppo<br />

dell'attuale società borghese, è pensabile che si possano riempire le "tappe vuote" del<strong>la</strong> formazione di<br />

una convenzionalità fonetica - storica - dell'italiano, e raggiungere quell'unità di l<strong>in</strong>gua orale che ora è<br />

astratta e autoritaria.<br />

29) Come risolvere questa contraddizione? Prima di tutto, evitando ogni purismo di pronuncia. L'italiano<br />

orale dei testi del teatro di Paro<strong>la</strong> deve essere omologato f<strong>in</strong>o al punto <strong>in</strong> cui resta reale: ossia f<strong>in</strong>o al<br />

limite tra <strong>la</strong> dialettizzazione e il canone pseudo-fiorent<strong>in</strong>o, senza mai superarlo.<br />

30) Perché tale convenzionalità l<strong>in</strong>guistica teatrale fondata su una convenzionalità fonetica (cioè l'italiano<br />

dei sessanta milioni di eccezioni fonetiche) non divenga una nuova accademia, è sufficiente: a) avere<br />

cont<strong>in</strong>uamente coscienza del problema; (10) b) restare fedeli ai pr<strong>in</strong>cìpi del teatro di Paro<strong>la</strong>: ossia a un<br />

teatro che sia prima di tutto dibattito, scambio di idee, lotta letteraria e politica, sul piano più<br />

democratico e razionale possibile: <strong>qui</strong>ndi a un teatro attento soprattutto al significato e al senso, ed<br />

escludente ogni formalismo, che, sul piano orale, vuol dire compiacimento ed estetismo fonetico.<br />

31) Tutto ciò richiede <strong>la</strong> fondazione di una vera e propria scuo<strong>la</strong> di rieducazione l<strong>in</strong>guistica; che ponga le<br />

basi del<strong>la</strong> recitazione del teatro di Paro<strong>la</strong>: una recitazione il cui oggetto diretto non sia <strong>la</strong> l<strong>in</strong>gua, ma il<br />

significato delle parole e il senso dell'opera.<br />

Uno sforzo totale, <strong>in</strong>sieme di acume critico e di s<strong>in</strong>cerità, che comporta una revisione completa dell'idea<br />

di sé che ha l'attore.<br />

(I due tipi esistenti di attore)<br />

32) Che cos'è il teatro? "IL TEATRO È IL TEATRO". Questa è <strong>la</strong> risposta di tutti, oggi: il teatro è dunque<br />

oggi <strong>in</strong>teso come "qualcosa" o meglio "qualcos'altro" che si può spiegare solo con se stesso, e che può<br />

essere <strong>in</strong>tuito solo carismaticamente.<br />

L'attore (11) è <strong>la</strong> prima vittima di questa specie di misticismo teatrale, che fa di lui spesso un<br />

personaggio ignorante, presuntuoso e ridicolo.<br />

33) Ma, come abbiamo visto, il teatro di oggi e di due tipi: il teatro borghese e il teatro borghese<br />

antiborghese. Sono di due tipi, <strong>qui</strong>ndi, anche gli attori. Osserviamo prima gli attori del teatro borghese.<br />

Il teatro borghese trova <strong>la</strong> sua giustificazione (non <strong>in</strong> quanto testo ma <strong>in</strong> quanto spettacolo) nel<strong>la</strong> vita di<br />

società: è un fasto del<strong>la</strong> gente ricca e perbene, che ha anche il privilegio del<strong>la</strong> cultura (12).<br />

Ora, un simile teatro è <strong>in</strong> crisi: perciò è costretto a prendere coscienza del<strong>la</strong> sua condizione, a riconoscere<br />

le ragioni che lo resp<strong>in</strong>gono dal centro di una vita di società ai marg<strong>in</strong>i, come qualcosa di superato e di<br />

sopravvivente.<br />

Una diagnosi che non gli è stata difficile: il teatro tradizionale ha ben presto capito che un nuovo tipo di<br />

società, immensamente appiattita e al<strong>la</strong>rgata, le masse piccolo borghesi, lo hanno sostituito con due tipi<br />

di avvenimenti sociali molto più adatti e moderni: il c<strong>in</strong>ema e <strong>la</strong> televisione. Non gli è stato neanche<br />

17


difficile capire che qualcosa di irreversibile è accaduto nel<strong>la</strong> storia del teatro: il demos ateniese e le élites<br />

del vecchio capitalismo sono dei remoti ricordi. I tempi di Brecht sono f<strong>in</strong>iti per sempre!<br />

Il teatro tradizionale è dunque venuto a trovarsi <strong>in</strong> uno stato di deperimento storico, che gli ha creato<br />

<strong>in</strong>torno, da una parte, un'atmosfera di conservazione miope quanto accanita, e dall'altra un'aria di<br />

rimpianto e di speranze <strong>in</strong>fondate. Anche questo è un fatto che il teatro tradizionale ha saputo (più o<br />

meno confusamente) diagnosticare.<br />

Ciò che il teatro tradizionale non ha saputo diagnosticare neppure f<strong>in</strong>o a un primo barlume di coscienza è<br />

ciò che esso è. Esso si def<strong>in</strong>isce teatro e basta. Anche il più sciatto e mestierante degli attori, davanti al<br />

più vecchio e spe<strong>la</strong>cchiato dei pubblici borghesi, sente vagamente di non partecipare più a un<br />

avvenimento sociale, trionfante e del tutto giustificato, e perciò spiega <strong>la</strong> sua presenza e <strong>la</strong> sua<br />

prestazione (così poco richiesta) come un atto mistico: una "messa teatrale", <strong>in</strong> cui il teatro appare <strong>in</strong><br />

tutta una luce così abbagliante da acciecare completamente: <strong>in</strong>fatti, come tutti i falsi sentimenti, esso<br />

produce una coscienza <strong>in</strong>transigente, demagogica e quasi terroristica, del<strong>la</strong> propria verità.<br />

34) Vediamo ora il secondo tipo di attore, quello del teatro borghese antiborghese, del Gesto o dell'Urlo.<br />

Tale teatro ha, come abbiamo già visto, le seguenti caratteristiche: a) si rivolge a dest<strong>in</strong>atari borghesi<br />

colti co<strong>in</strong>volgendoli nel<strong>la</strong> propria scatenata e ambigua protesta antiborghese; b) cerca le sedi dove dare i<br />

propri spettacoli fuori dalle sedi ufficiali; c) rifiuta <strong>la</strong> paro<strong>la</strong>, e dunque le l<strong>in</strong>gue delle c<strong>la</strong>ssi dirigenti<br />

nazionali, <strong>in</strong> favore di una paro<strong>la</strong> contraffatta e diabolica o del puro e semplice gesto, provocatorio,<br />

scandaloso, <strong>in</strong>comprensibile, osceno, rituale.<br />

Qual è <strong>la</strong> ragione di tutto questo? La ragione di tutto questo è una diagnosi <strong>in</strong>esatta ma ugualmente<br />

efficace di ciò che è diventato, o semplicemente, è, il teatro. E cioè? IL TEATRO È IL TEATRO, ancora. Ma<br />

mentre per il teatro borghese questa non è che una tautologia che implica un ridicolo e tronfio<br />

misticismo, per il teatro antiborghese questa è una vera e propria - e cosciente - def<strong>in</strong>izione del<strong>la</strong><br />

sacralità del teatro.<br />

Tale sacralità del teatro si fonda sul<strong>la</strong> ideologia del<strong>la</strong> r<strong>in</strong>ascita di un teatro primitivo, orig<strong>in</strong>ario, compiuto<br />

come rito propiziatorio o meglio, orgiastico (13). Si tratta di un'operazione tipica del<strong>la</strong> cultura moderna:<br />

per cui una forma di religione cristallizza l'irrazionalità del formalismo <strong>in</strong> qualcosa che nasce come<br />

<strong>in</strong>autentico (ossia per estetismo) e diviene autentico (ossia un vero e proprio tipo di vita come pragma<br />

fuori e contro <strong>la</strong> pratica) (14).<br />

Ora <strong>in</strong> alcuni casi, tale religiosità arcaica riprist<strong>in</strong>ata per rabbia contro il <strong>la</strong>icismo cret<strong>in</strong>o del<strong>la</strong> civiltà dei<br />

consumi, f<strong>in</strong>isce appunto col diventare una forma di autentica religiosità moderna (che non ha nul<strong>la</strong> a che<br />

fare con gli antichi contad<strong>in</strong>i, e molto <strong>in</strong>vece con <strong>la</strong> moderna organizzazione <strong>in</strong>dustriale del<strong>la</strong> vita). Si<br />

pensi, a proposito del Liv<strong>in</strong>g Theatre, al<strong>la</strong> collegialità quasi da ord<strong>in</strong>e monacale, al "gruppo" che<br />

costituisce i gruppi tradizionali come <strong>la</strong> famiglia, ecc., al<strong>la</strong> droga come protesta, al drop<strong>in</strong>g out o<br />

autoesclusione, però come forma di violenza, almeno gestuale e verbale, e <strong>in</strong>somma allo spettacolo quasi<br />

come un caso di sedizione, o, - così oggi usa dire - di guerriglia.<br />

Nel<strong>la</strong> maggior parte dei casi però una simile concezione del teatro, f<strong>in</strong>isce con l'essere <strong>la</strong> stessa tautologia<br />

del teatro borghese, obbedendo alle stesse <strong>in</strong>evitabili regole (15). La religione, cioè, da forma di vita che<br />

si realizza nel teatro, diviene semplicemente "<strong>la</strong> religione del teatro". E da tale genericità culturale, da tal<br />

estetismo di second'ord<strong>in</strong>e, l'attore <strong>in</strong> gramaglie è drogato, è reso ridicolo come l'attore <strong>in</strong>tegrato, <strong>in</strong><br />

doppio petto, che <strong>la</strong>vora anche per <strong>la</strong> televisione.<br />

(L'attore del teatro di Paro<strong>la</strong>)<br />

35) Sarà dunque necessario che l'attore del "teatro di Paro<strong>la</strong>", <strong>in</strong> quanto attore, cambi natura: non dovrà<br />

più sentirsi, fisicamente, portatore di un verbo che trascenda <strong>la</strong> cultura <strong>in</strong> una idea sacrale del teatro: ma<br />

dovrà semplicemente essere un uomo di cultura.<br />

Egli non dovrà più, dunque, fondare <strong>la</strong> sua abilità sul fasc<strong>in</strong>o personale (teatro borghese) o su una specie<br />

di forza isterica e medianica (teatro antiborghese) sfruttando demagogicamente il desiderio di spettacolo<br />

dello spettatore (teatro borghese), o prevaricando lo spettatore attraverso l'imposizione implicita del farlo<br />

partecipare a un rito sacrale (teatro antiborghese). Egli dovrà piuttosto fondare <strong>la</strong> sua abilità sul<strong>la</strong> sua<br />

capacità di comprendere veramente il testo (16). E non essere dunque <strong>in</strong>terprete <strong>in</strong> quanto portatore di<br />

un messaggio (il Teatro!) che trascende il testo: ma essere veicolo vivente del testo stesso.<br />

Egli dovrà rendersi trasparente sul pensiero: e sarà tanto più bravo quanto più, sentendolo dire il testo, lo<br />

spettatore capirà che egli ha capito.<br />

(Il "rito" teatrale)<br />

36) Il teatro è comunque, <strong>in</strong> ogni caso, <strong>in</strong> ogni tempo e <strong>in</strong> ogni luogo, un RITO.<br />

37) Semiologicamente il teatro è un sistema di segni i cui segni, non simbolici ma iconici, viventi, sono gli<br />

stessi segni del<strong>la</strong> realtà. Il teatro rappresenta un corpo un oggetto per mezzo di un oggetto, un'azione<br />

per mezzo di una azione.<br />

18


Naturalmente il sistema di segni del teatro ha dei suoi codici partico<strong>la</strong>ri, a livello estetico. Ma a livello<br />

puramente semiologico esso non si differenzia (come il c<strong>in</strong>ema) dal sistema di segni del<strong>la</strong> realtà.<br />

L'archetipo semiologico del teatro è dunque lo spettacolo che si svolge ogni giorno davanti ai nostri occhi<br />

e al<strong>la</strong> portata delle nostre orecchie, per strada, <strong>in</strong> casa, nei ritrovi pubblici, ecc. In tal senso <strong>la</strong> realtà<br />

sociale è una rappresentazione che non è priva del tutto del<strong>la</strong> coscienza di esserlo, e ha dunque i suoi<br />

codici (regole di buona educazione, di comportamento, tecniche corporali, ecc.): <strong>in</strong> una paro<strong>la</strong> essa non è<br />

priva del tutto del<strong>la</strong> coscienza del<strong>la</strong> propria ritualità.<br />

Il rito archetipo del teatro e dunque un RITO NATURALE.<br />

38) Idealmente, il primo teatro che si dist<strong>in</strong>gue dal teatro del<strong>la</strong> vita, è di carattere religioso:<br />

cronologicamente tale nascita di un teatro come "mistero" non è databile. Ma essa si ripete <strong>in</strong> tutte le<br />

situazioni storiche, o meglio, preistoriche, analoghe. In tutte le "età delle orig<strong>in</strong>i" e <strong>in</strong> tutte le "età oscure"<br />

o medioevi. Il primo rito del teatro, come propiziazione, scongiuro, mistero, orgia, danza magica ecc. ecc.<br />

è dunque un RITO RELIGIOSO.<br />

39) La democrazia ateniese ha <strong>in</strong>ventato il più grande teatro del mondo - <strong>in</strong> versi -, istituendolo come<br />

RITO POLITICO.<br />

40) La borghesia - <strong>in</strong>sieme al<strong>la</strong> sua prima rivoluzione, <strong>la</strong> rivoluzione protestante - ha creato <strong>in</strong>vece un<br />

nuovo tipo di teatro (<strong>la</strong> cui storia com<strong>in</strong>cia forse col teatro dell'arte, ma certamente col teatro<br />

elisabettiano e il teatro del periodo d'oro spagnolo, e giunge f<strong>in</strong>o a noi). Nel teatro <strong>in</strong>ventato dal<strong>la</strong><br />

borghesia (subito realistico, ironico, avventuroso, d'evasione, e, come diremmo oggi qualun<strong>qui</strong>sta -<br />

anche se si tratta di Shakespeare o di Calderón), <strong>la</strong> borghesia celebra il più alto dei suoi fasti mondani -<br />

che è anche poeticamente sublime, almeno f<strong>in</strong>o a Cechov, cioè f<strong>in</strong>o al<strong>la</strong> seconda rivoluzione borghese,<br />

quel<strong>la</strong> liberale. Il teatro del<strong>la</strong> borghesia, è dunque un RITO SOCIALE.<br />

41) Col decl<strong>in</strong>o del<strong>la</strong> "grandezza rivoluzionaria" del<strong>la</strong> borghesia (a meno che - forse giustamente - non si<br />

voglia considerare "grande" <strong>la</strong> sua terza rivoluzione, quel<strong>la</strong> tecnologica), è decl<strong>in</strong>ata anche <strong>la</strong> grandezza<br />

di quel RITO SOCIALE che è stato il suo teatro. Sicché se da una parte tale rito sociale sopravvive, a cura<br />

dello spirito conservatore borghese, dall'altra parte esso sta ac<strong>qui</strong>stando una coscienza nuova del<strong>la</strong><br />

propria ritualità. Coscienza che sembra essere del tutto ac<strong>qui</strong>sita - come abbiamo visto - dal teatro<br />

borghese antiborghese, che <strong>in</strong>furiando contro il teatro ufficiale del<strong>la</strong> borghesia e <strong>la</strong> borghesia stessa,<br />

prende di mira soprattutto <strong>la</strong> sua ufficialità, il suo establishment, ossia <strong>la</strong> sua mancanza di religione. Il<br />

teatro dell'underground - come abbiamo detto - cerca di recuperare le orig<strong>in</strong>i religiose del teatro, come<br />

mistero orgiastico e violenza psicagogica: tuttavia <strong>in</strong> una simile operazione, l'estetismo non filtrato dal<strong>la</strong><br />

cultura, fa sì che il reale contenuto <strong>in</strong> tale religione sia il teatro stesso, così come il mito del<strong>la</strong> forma è il<br />

contenuto di ogni formalismo. Non si può dire che <strong>la</strong> religione violenta, sacrilega, oscena, dissacranteconsacrante<br />

del teatro del Gesto o dell'Urlo, sia priva di contenuto e <strong>in</strong>autentica, perché è riempita<br />

talvolta da un'autentica religione del teatro.<br />

Il rito di tale teatro è dunque un RITO TEATRALE.<br />

(Il teatro di Paro<strong>la</strong> e il rito)<br />

42) Il teatro di Paro<strong>la</strong> non riconosce come proprio nessuno dei riti <strong>qui</strong> elencati. Si rifiuta con rabbia,<br />

<strong>in</strong>dignazione e nausea, di essere un RITO TEATRALE, cioè di obbedire alle regole di una tautologia<br />

nascente da uno spirito religioso archeologico, decadente e culturalmente generico, facilmente <strong>in</strong>tegrabile<br />

dal<strong>la</strong> borghesia attraverso lo stesso scandalo che esso vuole suscitare. Si rifiuta di essere un RITO<br />

SOCIALE del<strong>la</strong> borghesia: anzi, non si rivolge nemmeno al<strong>la</strong> borghesia e <strong>la</strong> esclude, chiudendole le porte<br />

<strong>in</strong> faccia.<br />

Non può essere RITO POLITICO dell'Atene aristotelica, con i suoi "molti" che erano poche dec<strong>in</strong>e di<br />

migliaia di persone: e tutta <strong>la</strong> città era contenuta nel suo stupendo teatro sociale all'aperto.<br />

Non può essere <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e RITO RELIGIOSO, perché il nuovo medioevo tecnologico pare escluderlo, <strong>in</strong> quanto<br />

antropologicamente diverso da tutti i precedenti medioevi...<br />

Rivolgendosi a dest<strong>in</strong>atari di "gruppi culturali avanzati del<strong>la</strong> borghesia", e, <strong>qui</strong>ndi, al<strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse operaia più<br />

cosciente, attraverso testi fondati sul<strong>la</strong> paro<strong>la</strong> (magari poetica) e su temi che potrebbero essere tipici di<br />

una conferenza, di un comizio ideale o di un dibattito scientifico - il teatro di Paro<strong>la</strong> nasce ed opera<br />

totalmente nell'ambito del<strong>la</strong> cultura.<br />

Il suo rito non si può def<strong>in</strong>ire dunque altrimenti che RITO CULTURALE.<br />

(Riepilogo)<br />

43) Riepilogando dunque: il teatro di Paro<strong>la</strong> è un teatro completamente nuovo, perché si rivolge a un<br />

nuovo tipo di pubblico, scavalcando del tutto e per sempre il pubblico borghese tradizionale.<br />

La sua novità consiste nell'essere, appunto, di Paro<strong>la</strong>: nell'opporsi, cioè, ai due teatri tipici del<strong>la</strong><br />

borghesia, il teatro del<strong>la</strong> Chiacchiera o il teatro del Gesto o dell'Urlo, che sono ricondotti a una sostanziale<br />

unità: a) dallo stesso pubblico (che il primo diverte, il secondo scandalizza), b) dal comune odio per <strong>la</strong><br />

paro<strong>la</strong>, (ipocrita il primo, irrazionale il secondo).<br />

19


Il teatro di Paro<strong>la</strong> ricerca il suo "spazio teatrale" non nell'ambiente ma nel<strong>la</strong> testa.<br />

Tecnicamente tale "spazio teatrale" sarà frontale; testo e attori di fronte al pubblico: l'assoluta parità<br />

culturale tra questi due <strong>in</strong>terlocutori, che si guardano negli occhi, è garanzia di reale democraticità anche<br />

scenica.<br />

Il teatro di Paro<strong>la</strong> è popo<strong>la</strong>re non <strong>in</strong> quanto si rivolge direttamente o retoricamente al<strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse <strong>la</strong>voratrice,<br />

ma <strong>in</strong> quanto vi si rivolge <strong>in</strong>direttamente e realisticamente attraverso gli <strong>in</strong>tellettuali borghesi avanzati<br />

che sono il suo pubblico.<br />

Il teatro di Paro<strong>la</strong> non ha alcun <strong>in</strong>teresse spettaco<strong>la</strong>re, mondano ecc.: il suo unico <strong>in</strong>teresse è l'<strong>in</strong>teresse<br />

culturale, comune all'autore, agli attori e agli spettatori; che, dunque, quando si radunano, compiono un<br />

"rito culturale".<br />

[Da "Nuovi argomenti", n.s., 9, gennaio-marzo 1968]<br />

Pier Paolo Pasol<strong>in</strong>i<br />

Note.<br />

(1) Antichi o moderni teatri con le poltrone di velluto. Compagnie teatrali. Stabili (Piccolo Teatro) ecc.<br />

(2) Cant<strong>in</strong>e, vecchio teatri <strong>in</strong> disuso, secondi canali delle Stabili. ecc.<br />

(3) Con candore neofitico.<br />

(4) Da Cechov a Jonesco all'orribile Albee.<br />

(5) Lo stupendo Liv<strong>in</strong>g Theatre.<br />

(6) Da Artaud al Liv<strong>in</strong>g Theatre, soprattuto, e a Grotowskij, tale teatro ha dato prove assai alte.<br />

(7) Non è detto, certo, che gli stessi gruppi culturali avanzati siano qualche volta scandalizzati e soprattutto delusi.<br />

Specie quando i testi siano a canone sospeso, cioè pongano i problemi, senza pretendere di risolverli.<br />

(8) Il testo, <strong>in</strong>somma, è <strong>in</strong> ciabatte, mentre l'attore, <strong>in</strong>consapevole, è <strong>in</strong> coturni (per questo <strong>in</strong> Italia il teatro è<br />

impopo<strong>la</strong>re anche presso <strong>la</strong> borghesia, che non vi riconosce le ciabatte del<strong>la</strong> sua ko<strong>in</strong>è dialettizzata).<br />

(9) Infatti gli unici casi <strong>in</strong> cui <strong>in</strong> Italia il teatro è tollerabile, sono quelli <strong>in</strong> cui gli attori par<strong>la</strong>no o il dialetto (il teatro<br />

regionale, specie quello veneto e quello napoletano, col grande De Filippo) o <strong>la</strong> ko<strong>in</strong>é dialettizzata (il testo di cabaret).<br />

Purtroppo però, generalmente, là dove c'è il dialetto o ko<strong>in</strong>è dialettizzata ci sono quasi sempre qualun<strong>qui</strong>smo e<br />

volgarità.<br />

(10) Nessun uomo di teatro italiano (c'è qualche eccezione, mettiamo Dario Fo) si è mai posto f<strong>in</strong>ora questo<br />

problema, e ha sempre preso per buona <strong>la</strong> identificazione tra convenzionalità orale dell'italiano e convenzionalità del<strong>la</strong><br />

dizione teatrale, appresa dai più spe<strong>la</strong>cchiati, ignoranti e esaltati maestri accademici. C'è il caso straord<strong>in</strong>ario di<br />

Carmelo Bene, il cui teatro del Gesto e dell'Urlo, è <strong>in</strong>tegrato da paro<strong>la</strong> teatrale che dissacra, e per dir<strong>la</strong> tutta, smerda<br />

se stessa.<br />

(11) Ma anche il critico.<br />

(12) Almeno quel<strong>la</strong> ufficiale, nata dal privilegio di andare a scuo<strong>la</strong>.<br />

(13) Dioniso...<br />

(14) Balug<strong>in</strong>a <strong>qui</strong> di nuovo <strong>la</strong> figura di Hitler, già evocata <strong>in</strong> altri commi di questo manifesto.<br />

(15) Il teatro antiborghese non potrebbe esistere: a) senza il teatro borghese da contestare e massacrare (questo è il<br />

suo pr<strong>in</strong>cipale scopo); b) senza un pubblico borghese da scandalizzare, sia pure per <strong>in</strong>terposta persona.<br />

(16) Cosa che fanno, con molta buona volontà e spesso con buona fede, tutti gli attori seri: con deboli risultati critici,<br />

però. Infatti essi sono ottenebrati dall'idea tautologica del teatro, che implica materiali e stili storicamente diversi da<br />

quelli del testo preso <strong>in</strong> esame (se si tratta di un testo anteriore a Cechov o posteriore a Jonesco).<br />

20


IL TEATRO DI POESIA DI GIOVANNI TESTORI<br />

La centralità del<strong>la</strong> paro<strong>la</strong> come unico corpo materico e sonoro da frapporre all’afasia e al silenzio<br />

dell’<strong>in</strong>eluttabilità del<strong>la</strong> morte è <strong>la</strong> risposta concreta del<strong>la</strong> poetica teatrale di Giovanni Testori alle tendenze<br />

sceniche degli anni Sessanta. Una drammaturgia <strong>in</strong>tesa come il tentativo «di ‘verbalizzare’ il grumo<br />

dell’esistenza» (1) costituisce una reazione al dom<strong>in</strong>io del<strong>la</strong> fisicità, dell’improvvisazione e dell’immag<strong>in</strong>e<br />

che aveva contrassegnato l’impegno <strong>la</strong>boratoriale e collettivo di tanti artisti contemporanei al<strong>la</strong> ricerca di<br />

<strong>in</strong>edite, ataviche e universali forme di comunicazione antitetiche o divergenti rispetto al<strong>la</strong> natura<br />

convenzionale del l<strong>in</strong>guaggio par<strong>la</strong>to. In un rappel à l’ordre condiviso anche da Pasol<strong>in</strong>i nel Manifesto per<br />

un nuovo teatro (2), Testori riscatta <strong>la</strong> dimensione verbale dall’ormai imperante soggezione agli altri<br />

codici espressivi dell’allestimento, propugnata con conv<strong>in</strong>zione e pervicacia dalle avanguardie, e le<br />

attribuisce <strong>la</strong> missione primaria e fondante di una teatralità concepita come trasformazione del<strong>la</strong> carne <strong>in</strong><br />

materia dicibile.<br />

Ultima prova del mistero dell’essere, estremo appiglio prima del baratro del vuoto etico ed estetico,<br />

gemito effimero <strong>in</strong> cui albergano tutti gli <strong>in</strong>terrogativi, <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> è una realtà fisiologica a cui non si può e<br />

non si deve sfuggire per cercare di rappresentare il mondo e di <strong>in</strong>dagare <strong>la</strong> condizione umana. Il saggio<br />

Nel ventre del teatro (3) del 1968 ribadisce <strong>la</strong> sacralità del palcoscenico come luogo deputato a dibattere<br />

il pr<strong>in</strong>cipio stesso dell’essere senza <strong>la</strong> pretesa di una risposta esauriente e <strong>in</strong> una sorta di veglia funebre<br />

che evochi l’angoscia del<strong>la</strong> possibilità term<strong>in</strong>ale offerta all’uomo. Alle soglie di un’irredimibile agonia<br />

l’assenza di soluzioni non deve precludere <strong>la</strong> necessità del chiedere <strong>in</strong> attesa che <strong>la</strong> bocca chiusa del<br />

dest<strong>in</strong>o pronunci un fatidico suono, sia pure non riconducibile a un concetto. La drammaturgia non si<br />

affida <strong>qui</strong>ndi al ragionamento, al<strong>la</strong> meditazione filosofica o al<strong>la</strong> dimostrazione di una tesi, ma deve<br />

piuttosto dare libera voce a una rive<strong>la</strong>zione imprevista, provocatoria, <strong>in</strong>control<strong>la</strong>bile. Dall’urlo all’estasi,<br />

dal<strong>la</strong> <strong>la</strong>uda al<strong>la</strong> bestemmia, dall’eroismo al sacrificio, il teatro diventa <strong>la</strong> presa di coscienza immediata e<br />

sconvolgente dello scandalo del<strong>la</strong> nascita e del<strong>la</strong> morte.<br />

Alieno dal gioco ammiccante del<strong>la</strong> conversazione almeno quanto dal<strong>la</strong> mera riflessione dialettica, lo<br />

scrittore lombardo non si <strong>la</strong>scia attirare dalle lus<strong>in</strong>ghe dell’argomentazione e privilegia uno stile <strong>in</strong> grado<br />

di avvic<strong>in</strong>are il più possibile il significante al significato, <strong>in</strong> una corrispondenza biunivoca e <strong>in</strong>vischiante<br />

come quel<strong>la</strong> che sussiste fra il corpo e le sue <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ite manifestazioni esteriori. L’it<strong>in</strong>erario multiforme ed<br />

eclettico dello sperimentalismo letterario di Testori si sottrae alle trappole del mero esercizio formale <strong>in</strong><br />

virtù di un’attenzione quasi ossessiva al dato oggettuale, non tanto nel<strong>la</strong> prospettiva di una ricostruzione<br />

naturalistica quanto nel desiderio di penetrare nelle ragioni orig<strong>in</strong>arie e profonde del<strong>la</strong> realtà prescelta.<br />

Il l<strong>in</strong>guaggio risulta protagonista come i suoi contenuti <strong>in</strong> una tensione drammatica più fiduciosa nel<strong>la</strong><br />

potenza epica del racconto personale che nel<strong>la</strong> d<strong>in</strong>amica scenica. Il teatro di Testori, <strong>in</strong>fatti, non si<br />

prefigge di imitare le azioni umane nell’adesione al canone aristotelico, ma preferisce restituire<br />

mimeticamente il loro contesto senza subord<strong>in</strong>arsi all’osse<strong>qui</strong>oso rispetto di un par<strong>la</strong>to effettivo <strong>in</strong> favore<br />

dell’esplicitazione del non detto e del non udibile. Poco importa se <strong>la</strong> stesura di un testo appartenga<br />

all’universo logico e consequenziale del<strong>la</strong> prosa o sfoci naturalmente nel<strong>la</strong> formu<strong>la</strong> icastica, franta e<br />

s<strong>in</strong>tetica del verso, poiché <strong>in</strong> Testori <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> è sempre autonoma dal<strong>la</strong> frase <strong>in</strong> cui è <strong>in</strong>serita e si ritaglia<br />

una violenza semantica orig<strong>in</strong>ale e spiazzante.<br />

Dal ritratto dissacratorio e pietoso di una coralità popo<strong>la</strong>re che accomuna La Maria Brasca (4) e L’Arialda<br />

(5) <strong>in</strong> una progressiva con<strong>qui</strong>sta del<strong>la</strong> sublimazione metaforica, racchiusa nell’apparente affresco sociale,<br />

si approda a un’ossessiva ricerca dell’ambiguità del corpo che anticipa e rispecchia <strong>la</strong> futura <strong>in</strong><strong>qui</strong>etud<strong>in</strong>e<br />

generata dall’impossibilità di riconoscere un senso univoco all’esistere. Ogni vicenda assunta dal<strong>la</strong><br />

scrittura di Testori si muta <strong>in</strong> un’<strong>in</strong>chiesta metafisica, <strong>in</strong> una disperata voluttà di v<strong>in</strong>cere <strong>la</strong> morte<br />

attraverso <strong>la</strong> vita, <strong>in</strong> una vendetta sia pure esclusivamente verbale contro <strong>la</strong> scomparsa def<strong>in</strong>itiva, <strong>in</strong> un<br />

esorcismo religioso che sostituisce una mancata promessa salvifica. La paro<strong>la</strong> è un baluardo contro <strong>la</strong><br />

f<strong>in</strong>itezza <strong>in</strong> una deformazione l<strong>in</strong>guistica che asseconda <strong>la</strong> tradizione del<strong>la</strong> poesia lombarda e <strong>la</strong> esalta<br />

attraverso <strong>la</strong> ripetizione compulsiva di alcuni term<strong>in</strong>i emblematici o il loro vertig<strong>in</strong>oso iso<strong>la</strong>mento.<br />

La domanda assil<strong>la</strong>nte che <strong>la</strong> dialettica teatrale non chiarisce e non risolve produce anche il poema<br />

<strong>in</strong>nografico I trionfi (6) e le successive raccolte prettamente poetiche <strong>in</strong> cui si possono ravvisare i<br />

percorsi lirici e allusivi che troveranno un’espressione più matura e completa nel<strong>la</strong> Trilogia degli<br />

Scarozzanti.<br />

Una posizione <strong>in</strong>termedia tra drammaturgia e poesia, un cr<strong>in</strong>ale espressivo fra oratoria e <strong>in</strong>vocazione,<br />

una tensione morale soffocata dall’ideologia del nul<strong>la</strong> contraddist<strong>in</strong>guono, <strong>in</strong>vece, La Monaca di Monza<br />

(7) ed Erodiade (8), due drammi al femm<strong>in</strong>ile <strong>in</strong> cui <strong>la</strong> battaglia fra il pensiero codificato dal<strong>la</strong> civiltà e il<br />

desiderio ist<strong>in</strong>tivo del s<strong>in</strong>golo cerca di materializzarsi <strong>in</strong> un discorso coerente nel<strong>la</strong> speranza vana di<br />

oltrepassare l’<strong>in</strong>sensatezza. La medesima utilità del teatro come rappresentazione verbale del conflitto<br />

esistenziale e del<strong>la</strong> <strong>in</strong>esorabilità del<strong>la</strong> morte è messa <strong>in</strong> discussione: «La carne fatica troppo a ridiventare<br />

paro<strong>la</strong>. E poi se il verbo che abbiam saputo esprimere dalle nostre ossa è solo questo, che senso ha<br />

aggiunto a quel che sapevamo?» (9). Tuttavia resta un tentativo non trascurabile, un necessario atto di<br />

fiducia <strong>in</strong> un rito collettivo che sappia <strong>in</strong>dividuare lo sforzo quasi disumano di voler affermare <strong>la</strong> vita<br />

prima di arrendersi a perder<strong>la</strong>. La confessione <strong>in</strong>tima e <strong>la</strong>cerata di un personaggio disposto a consegnarsi<br />

al nichilismo, che lo divora e lo <strong>in</strong>globa f<strong>in</strong>o al<strong>la</strong> totale ed eterna scomparsa, richiede un’adeguata<br />

21


frantumazione del l<strong>in</strong>guaggio che subisce condensazioni, ellissi, alterazioni di piani e dom<strong>in</strong>anze sonore<br />

proprio come avviene nel<strong>la</strong> poesia. La prosa si scard<strong>in</strong>a f<strong>in</strong>o al<strong>la</strong> def<strong>la</strong>grazione dell’urlo e del s<strong>in</strong>ghiozzo<br />

pur non organizzandosi nel<strong>la</strong> struttura precisa e riconoscibile del<strong>la</strong> versificazione, ma il ritmo <strong>in</strong>cessante e<br />

musicale del<strong>la</strong> battuta smaschera una naturale pulsione lirica <strong>in</strong> cui il cupio dissolvi delle dichiarazioni<br />

contagia <strong>la</strong> loro epifania verbale.<br />

Complice una fertile parentesi poetica, compresa tra il 1966 e il 1973, <strong>in</strong> cui regna sovrana <strong>la</strong> tematica<br />

amorosa nelle sue più eterogenee manifestazioni, s<strong>in</strong>o a una disperazione per l’abbandono e il distacco<br />

che f<strong>in</strong>isce per condurre al dubbio teologico, con un uomo afflitto dal<strong>la</strong> solitud<strong>in</strong>e dest<strong>in</strong>ato a implorare un<br />

cenno di solidarietà da un Dio illusorio, muto e <strong>in</strong>differente, Testori dirige <strong>la</strong> sua creatività l<strong>in</strong>guistica nel<br />

territorio sbrigliato e liberatorio del<strong>la</strong> contam<strong>in</strong>azione. A guidarlo <strong>in</strong> questo multiforme e policromo caos<br />

espressivo non è il gioco onnipotente e gratificante di impadronirsi di una convenzione comune per<br />

sovvertirne le regole né il gusto <strong>in</strong>tellettuale e letterario di cimentarsi nel<strong>la</strong> rappresentazione del mondo<br />

attraverso l’ironia, il paradosso e <strong>la</strong> parodia come <strong>in</strong> parte avviene <strong>in</strong> Gadda, bensì un bisogno ancestrale<br />

e trasc<strong>in</strong>ante di par<strong>la</strong>re per comprendersi, di dire per esistere, di nom<strong>in</strong>are per rendere oggettivo.<br />

Nel<strong>la</strong> scrittura teatrale l’ansia comunicativa si rafforza nel<strong>la</strong> consapevolezza dell’eventualità di rivolgersi a<br />

una p<strong>la</strong>tea e non soltanto al<strong>la</strong> ricezione solitaria del s<strong>in</strong>golo lettore come accade nel<strong>la</strong> poesia. La paro<strong>la</strong><br />

non resta bloccata sul<strong>la</strong> pag<strong>in</strong>a, ma ac<strong>qui</strong>sta vocalità, emozione fisica e psichica, sublimazione artistica<br />

attraverso il <strong>la</strong>voro dell’attore che si pone come un mediatore ispirato e ispirante fra l’autore e lo<br />

spettatore. La concezione rituale del teatro di Testori, che assimi<strong>la</strong> lo spettacolo a una cerimonia<br />

religiosa, si completa e si sostanzia con un’idea dell’<strong>in</strong>terpretazione come «verbo» che diventa carne <strong>in</strong><br />

l<strong>in</strong>ea con <strong>la</strong> cultura cristiana. La presenza maieutica e sciamanica di un attore officiante, disposto<br />

all’estremo sacrificio di sé, muta <strong>qui</strong>ndi il copione <strong>in</strong> una poetica <strong>in</strong> atto, assecondando <strong>la</strong> natura<br />

performativa del l<strong>in</strong>guaggio ed emancipandolo dal<strong>la</strong> prevedibilità del suo codice. Nasce così il pastiche, un<br />

tessuto contam<strong>in</strong>ato e irrego<strong>la</strong>re, <strong>in</strong> cui <strong>la</strong> voluttà maccheronica si sposa con suggestioni sonore e<br />

virtuosismi orali da grammelot. È il passaggio fatidico dal mimetismo all’<strong>in</strong>venzione con cui <strong>la</strong><br />

drammaturgia testoriana si con<strong>qui</strong>sta una specificità unica e forse addirittura irripetibile nel panorama<br />

italiano. La l<strong>in</strong>gua manifesta <strong>la</strong> sua orig<strong>in</strong>e molteplice e sedimentaria: gli arcaismi si <strong>in</strong>nestano sul lessico<br />

corrente <strong>in</strong> cui <strong>la</strong> term<strong>in</strong>ologia tecnica e scientifica convive con uno stile quotidiano non privo di volgarità,<br />

i vocaboli stranieri delle più disparate provenienze vengono giustapposti e spesso italianizzati e il dialetto<br />

lombardo diventa un fuc<strong>in</strong>a di deformazioni. Dal<strong>la</strong> tecnica ludica del calembour si arriva naturalmente<br />

all’alterazione fantasiosa dei suffissi, al<strong>la</strong> crasi, al neologismo. L’istanza trasgressiva contagia ogni<br />

normativa grammaticale e s<strong>in</strong>tattica per <strong>in</strong>seguire un’esplosione verbale demistificante e catartica <strong>in</strong> cui<br />

però non si r<strong>in</strong>traccia il gioco rassicurante del<strong>la</strong> parodia o il ghigno irridente del grottesco, ma emerge<br />

una disperazione <strong>la</strong>tente e perversa che deriva dal<strong>la</strong> amara constatazione dell’<strong>in</strong>capacità di strutturare<br />

razionalmente <strong>la</strong> realtà. I modelli sottesi sono i drammaturghi europei del secondo Novecento che hanno<br />

dovuto confrontarsi con l’assurdità del presente rifugiandosi nel paradiso fittizio del surreale come<br />

Dürrenmatt o denunciando <strong>la</strong> <strong>la</strong>bilità di tutti i percorsi umani e dei rapporti <strong>in</strong>terpersonali come Beckett.<br />

Allo stallo nichilista dell’<strong>in</strong>comunicabilità, all’autoreferenziale monologo parallelo <strong>in</strong> stile nom<strong>in</strong>ale, al<br />

dialogo ridotto a semplice funzione fàtica, Testori replica con un <strong>in</strong>cessante flusso di parole che avverte il<br />

suo limite nel descrivere il mondo circostante almeno quanto si sforza di superarlo creando un universo<br />

alternativo e praticabile sia pure prettamente verbale. Per afferrare una condizione umana sfuggente e<br />

<strong>in</strong>spiegabile con gli strumenti razionali, non resta che abbandonarsi a uno sfogo che rappresenti sul<strong>la</strong><br />

scena l’impegno di attribuire al<strong>la</strong> vita un significato p<strong>la</strong>usibile mentre si prende atto del<strong>la</strong> sua <strong>in</strong>utilità.<br />

Nel<strong>la</strong> trilogia <strong>in</strong>centrata sulle possibilità sceniche del<strong>la</strong> tragedia, comunemente considerata un genere <strong>in</strong><br />

crisi e <strong>in</strong> via di est<strong>in</strong>zione <strong>in</strong> quest’epoca contemporanea che esclude figure eroiche, avventure sacrificali<br />

dagli esiti collettivi e conflitti con un assoluto div<strong>in</strong>o, storico o sociale a cui si possa ricondurre un<br />

pr<strong>in</strong>cipio esistenziale, <strong>la</strong> l<strong>in</strong>gua deve contenere il marchio <strong>in</strong>delebile del<strong>la</strong> tradizione culturale precedente,<br />

dai c<strong>la</strong>ssici all’attualità, senza presc<strong>in</strong>dere dal ratificare il caos <strong>in</strong>forme del<strong>la</strong> degenerazione moderna.<br />

Stratificata e convulsa come una materia composta con residui appartenenti a tempi e spazi differenti,<br />

diventa un esperanto babelico che si allontana dal<strong>la</strong> mimesi poiché il teatro stesso non è ritenuto uno<br />

specchio fedele del<strong>la</strong> vita, ma <strong>la</strong> sua immag<strong>in</strong>e metaforica e deformata. Se <strong>la</strong> drammaturgia si pone come<br />

domanda suprema e <strong>in</strong>chiesta esistenziale, il suo l<strong>in</strong>guaggio non può che destrutturare e decodificare se<br />

stesso al<strong>la</strong> ricerca di matrici orig<strong>in</strong>arie e corre<strong>la</strong>zioni ataviche.<br />

Il progetto scenico del<strong>la</strong> fantomatica compagnia degli Scarozzanti, attori girovaghi che trasferiscono sul<br />

repertorio c<strong>la</strong>ssico <strong>la</strong> loro mesta esperienza quotidiana, si avvale <strong>qui</strong>ndi di una metateatralità f<strong>in</strong>alizzata<br />

al<strong>la</strong> scoperta del mistero umano che richiede un tessuto verbale adeguato. Immag<strong>in</strong>ato a partire dal<strong>la</strong><br />

suggestione esercitata da La Moschea (10) ruzantiana, <strong>in</strong>terpretata da Franco Parenti (11), il discorso di<br />

questi patetici quanto s<strong>in</strong>tomatici guitti violenta l’impianto l<strong>in</strong>guistico dell’opera da recitare e consente<br />

all’autore lombardo di sfociare nell’<strong>in</strong>venzione. Il magma confuso e <strong>in</strong>domabile dell’essere si può<br />

nom<strong>in</strong>are soltanto con un amalgama di arcaico e moderno, di <strong>la</strong>t<strong>in</strong>o e italiano, di straniero e dialetto, di<br />

erudito e popo<strong>la</strong>re, di forbito e sgrammaticato, di ibrido e paradossale. La s<strong>in</strong>tassi si sganghera <strong>in</strong> virtù<br />

del predom<strong>in</strong>io del<strong>la</strong> paro<strong>la</strong> s<strong>in</strong>go<strong>la</strong> con una tendenza spiccata al<strong>la</strong> ripetizione, all’iperbole, al super<strong>la</strong>tivo<br />

quanto al dim<strong>in</strong>utivo <strong>in</strong> un’atmosfera verbale improntata all’accumulo eterogeneo e sbrigliato di term<strong>in</strong>i<br />

slegati fra loro e dest<strong>in</strong>ati a urtarsi per generare ulteriori significati.<br />

22


Il monologo si palesa come <strong>la</strong> forma privilegiata di un teatro che mira dritto al perno del dilemma sospeso<br />

fra <strong>la</strong> vita e <strong>la</strong> morte <strong>in</strong> una visione scenica totalmente sv<strong>in</strong>co<strong>la</strong>ta dal<strong>la</strong> priorità dell’azione e orientata<br />

verso <strong>la</strong> condivisione di un rovello <strong>in</strong>teriore così fagocitante e urgente da necessitare un <strong>in</strong>terlocutore<br />

esterno al contesto pr<strong>in</strong>cipale. I personaggi testoriani sembrano <strong>in</strong>dirizzarsi al pubblico o a un’entità<br />

superiore onnisciente nel<strong>la</strong> speranza di essere liberati dall’atroce condanna di un dest<strong>in</strong>o sacrificale.<br />

Ognuno di loro segue e <strong>in</strong>carna il suo discorso: una confidenza esacerbata dal<strong>la</strong> solitud<strong>in</strong>e dell’anima, una<br />

meditazione gridata al prossimo senza attendere <strong>la</strong> sua reazione, una dolente constatazione di impotenza<br />

che ha come estrema risorsa <strong>la</strong> verbalizzazione del proprio it<strong>in</strong>erario emotivo.<br />

Ecco <strong>qui</strong>ndi L’Ambleto (12) discostarsi dall’orig<strong>in</strong>ale shakespeariano con un protagonista che si ribel<strong>la</strong> ai<br />

ruoli precostituiti e al potere f<strong>in</strong>o ad approdare al rifiuto totale del<strong>la</strong> vita ridotta a un fatuo <strong>in</strong>ganno<br />

concluso dal<strong>la</strong> vittoria del nul<strong>la</strong>. L’<strong>in</strong>treccio si condensa sul<strong>la</strong> vocazione amorosa di un eroe costretto,<br />

forse più che disposto, a caricarsi del male universale, espiando <strong>in</strong> un rapporto negato con <strong>la</strong> madre di cui<br />

diviene l’assass<strong>in</strong>o e <strong>in</strong> un’attrazione omosessuale per un personaggio <strong>in</strong>edito, il Franzese, suo alter ego<br />

positivo e angelicato. Il desiderio affettivo implica una regressione <strong>in</strong>fantile, un ritorno al<strong>la</strong> situazione<br />

fetale che però non celebra il miracolo del<strong>la</strong> vita, bensì <strong>in</strong>chioda al<strong>la</strong> fatale ac<strong>qui</strong>escenza del non essere. Il<br />

carattere residuale del l<strong>in</strong>guaggio adoperato, con i suoi fulm<strong>in</strong>ei e <strong>la</strong>nc<strong>in</strong>anti salti di registro e le sue<br />

bizzarre trasgressioni stilistiche, dovrebbe tenere <strong>in</strong>sieme i pezzi di un conglomerato logico di secondo<br />

livello, ottenuto nel confronto d<strong>in</strong>amico e irriverente con il testo di partenza.<br />

La disgregazione dell’apparato letterario si sviluppa progressivamente <strong>in</strong> occasione del Macbetto (13) <strong>in</strong><br />

cui il pessimismo cosmico affligge anche l’andamento delle battute che appaiono artico<strong>la</strong>te <strong>in</strong> versi<br />

polimetri privi di rima con una scelta lessicale sempre più elementare. La coppia malefica si giustizia a<br />

vicenda <strong>in</strong> una castrazione reciproca che verifica <strong>la</strong> valenza del connubio fra amore e morte. L’esistenza è<br />

soltanto un effimero e vano tragitto dal buio uter<strong>in</strong>o a quello dell’Ade <strong>in</strong> cui si può cogliere per un attimo<br />

<strong>la</strong> verità dell’essere legata al<strong>la</strong> coscienza del<strong>la</strong> propria f<strong>in</strong>itezza.<br />

La riduzione al grado zero del modello tragico di riferimento procede poi <strong>in</strong> Edipus (14) con Lo<br />

Scarozzante concepito come unica voce solitaria rimasta a testimoniare <strong>la</strong> def<strong>in</strong>itiva dipartita degli altri<br />

membri del<strong>la</strong> compagnia e <strong>la</strong> possibilità magica dell’<strong>in</strong>terprete di rivestire tutti i ruoli <strong>in</strong> un teatro<br />

ant<strong>in</strong>aturalistico che è <strong>in</strong>carnazione, travestimento, maschera nuda e straniante di una realtà <strong>in</strong>coerente.<br />

Il parricidio e l’<strong>in</strong>cesto, mutuati da Sofocle, non sono motivi di colpevolezza e <strong>la</strong> responsabilità tragica<br />

scontata dal<strong>la</strong> futura progenie scompare per <strong>la</strong>sciare il posto a una diversità etica che sovverte una<br />

consuetud<strong>in</strong>e sociale e religiosa fondata sul privilegio per proc<strong>la</strong>mare <strong>la</strong> nascita di un nuovo sistema<br />

culturale emancipato dai tabù che hanno ratificato <strong>la</strong> civiltà e il suo ord<strong>in</strong>e. La scarica di mitra che<br />

colpisce dalle <strong>qui</strong>nte l’Edipus-Scarozzante riconsegna, <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e, al silenzio un attore che si è illuso di essere<br />

l’ultimo sacerdote di una religione del<strong>la</strong> libertà rifiutata dal<strong>la</strong> gente <strong>in</strong> un teatro considerato l’estremo<br />

baluardo del dionisiaco e del<strong>la</strong> sua sfida a un assetto gerarchico e autoritario. Ancora una volta <strong>la</strong> paro<strong>la</strong><br />

aspra, disarmonica, irreale di un <strong>in</strong>terprete plebeo abbandonato a se stesso e <strong>in</strong>ascoltato denuncia <strong>la</strong> crisi<br />

del<strong>la</strong> professione teatrale nel momento <strong>in</strong> cui tende a ribadirne <strong>la</strong> necessità <strong>in</strong> un mondo sordo e violento.<br />

Un idioletto fluido e ritmato con le sue difformità grafiche, sonore e morfologiche produce una tensione<br />

epica <strong>in</strong>eguagliabile che sconfigge ogni aspirazione apoll<strong>in</strong>ea e precostituita del l<strong>in</strong>guaggio e delle sue<br />

suggestioni. Il teatro permette, <strong>in</strong>fatti, di comunicare anche con una l<strong>in</strong>gua <strong>in</strong>comprensibile o <strong>in</strong>ventata<br />

affidando il messaggio al contatto empatico fra l’attore e il pubblico come conferma il successo<br />

<strong>in</strong>ternazionale e atemporale del<strong>la</strong> commedia dell’arte.<br />

La scarnificazione si radicalizza ancora <strong>in</strong> Post-Hamlet (15), una sorta di oratorio per coro e voci <strong>in</strong> cui <strong>la</strong><br />

sacra rappresentazione si impone sul<strong>la</strong> riscrittura del<strong>la</strong> tragedia c<strong>la</strong>ssica restituendo al<strong>la</strong> paro<strong>la</strong> <strong>la</strong> sua<br />

forma consueta e frequentata per segnare un patto di pace e comunione fra i personaggi da estendere<br />

ovviamente al<strong>la</strong> p<strong>la</strong>tea. C’è <strong>qui</strong> allora l’essenzialità del<strong>la</strong> liturgia con le sue iterazioni non aliene da <strong>in</strong>tenti<br />

didattici e predicatori. Le strofe sono piuttosto lunghe, ma i versi risultano brevi, spesso monosil<strong>la</strong>bici o<br />

ridotti a un solo vocabolo e talvolta rimati, <strong>in</strong> una struttura fonica che favorisce l’immediatezza delle<br />

appoggiature vocali. Allo spiazzamento del clima tragico si sostituisce ora <strong>la</strong> rassicurante modu<strong>la</strong>zione dei<br />

testi religiosi con chiasmi, anafore, assonanze e s<strong>in</strong>estesie che collocano serenamente il nuovo Amleto <strong>in</strong><br />

un cr<strong>in</strong>ale fra eroe tragico e martire cristiano con debita identificazione cristologica. Dopo il dubbio del<br />

prototipo shakespeariano mutato nel nichilismo di Ambleto, si avverte <strong>la</strong> necessità di un Messia<br />

contemporaneo <strong>in</strong> grado di r<strong>in</strong>saldare l’alleanza con il Padre dell’<strong>in</strong>tera comunità. La natura rituale del<br />

teatro risulta trionfante nel<strong>la</strong> fusione di palcoscenico e p<strong>la</strong>tea per <strong>la</strong> partecipazione comune a una<br />

celebrazione religiosa capace di garantire agli uom<strong>in</strong>i l’esperienza del<strong>la</strong> fraternità nel riconoscimento<br />

collettivo del bisogno urgente di un Padre che sappia amare e perdonare. Il compromesso ideologico<br />

raggiunto fra l’avventura eroica dell’antichità e l’anelito mistico del cristianesimo si formalizza <strong>in</strong> uno stile<br />

semplice e paradigmatico con metafore desunte dal quotidiano e riferimenti concreti.<br />

Questo tragitto messianico e pacificante non ac<strong>qui</strong>eta il travaglio <strong>in</strong>timo del drammaturgo che torna<br />

all’idea metateatrale del<strong>la</strong> compagnia di guitti per mettere a nudo un tormentato camm<strong>in</strong>o d’espiazione <strong>in</strong><br />

Confiteor (16). Le tappe di una Via Crucis <strong>in</strong>teriore scandiscono <strong>la</strong> redenzione di un uomo colpevole di<br />

aver ucciso il fratello m<strong>in</strong>orato <strong>in</strong> un atto misto di rabbia e pietà. Un rovello che ha spesso i connotati<br />

del<strong>la</strong> bestemmia anima un dialogo a posteriori fra madre e figlio <strong>in</strong> cui il teatro accoglie «una poesia di<br />

nuda e scoperta confessione con <strong>la</strong> risonanza corale di una paro<strong>la</strong> rituale ampiamente partecipata» (17).<br />

23


L’<strong>in</strong><strong>qui</strong>etud<strong>in</strong>e del tragico e <strong>la</strong> sua difformità nel contemporaneo tornano nei quattro monologhi di Sfaust<br />

(18), con un’alternanza di prosa e versi comb<strong>in</strong>ata disarmonicamente fra parodia e allegoria creando un<br />

l<strong>in</strong>guaggio s<strong>in</strong>cretico <strong>in</strong>torno al vernacolo lombardo con <strong>in</strong>cursioni arcaiche aliene dal<strong>la</strong> filologia. La prosa<br />

recupera l’assemb<strong>la</strong>ggio contam<strong>in</strong>ato del<strong>la</strong> trilogia, mentre <strong>la</strong> poesia mira all’effetto immediato dell’oralità<br />

predisponendosi alle coloriture tonali del<strong>la</strong> recitazione. Il protagonista goethiano affronta <strong>la</strong> sua risibile<br />

caduta nell’eroismo sterile e autodistruttivo di Ubu roi e il delirio di onnipotenza dell’uomo tracol<strong>la</strong> <strong>in</strong> una<br />

pagliacciata caricaturale. Ecco <strong>qui</strong>ndi il rovesciamento del<strong>la</strong> paro<strong>la</strong> nel suo contrario con una pulsione<br />

semantica verso l’ossimoro concretizzata nell’aggiunta di una “esse” davanti al<strong>la</strong> maggioranza dei<br />

vocaboli.<br />

La creatura umana gabbata dal<strong>la</strong> sua velleità prende coscienza del<strong>la</strong> sua fal<strong>la</strong>cia e si <strong>la</strong>scia conso<strong>la</strong>re dal<strong>la</strong><br />

misericordia div<strong>in</strong>a senza però trovare <strong>la</strong> modalità corretta e adeguata per esprimere <strong>la</strong> disperazione.<br />

Il perdono diventa, <strong>in</strong>vece, un mito di r<strong>in</strong>novamento etico <strong>in</strong> quanto istanza unificante del<strong>la</strong> comunità nel<br />

nome di Dio <strong>in</strong> sdisOrè (19). Un solitario attore scarozzante si dimena nell’<strong>in</strong>carnare <strong>la</strong> saga familiare<br />

dell’Orestea, r<strong>in</strong>novando l’avventura dissacrata di Edipus con il filtro del<strong>la</strong> recente demistificazione di<br />

Sfaust. Nel vortice martel<strong>la</strong>nte di un verso <strong>in</strong>dirizzato al<strong>la</strong> dec<strong>la</strong>mazione si <strong>in</strong>s<strong>in</strong>ua il suono di una paro<strong>la</strong><br />

nuova, sv<strong>in</strong>co<strong>la</strong>ta dal tessuto dom<strong>in</strong>ante e dalle sue appartenenze geografiche, letterarie, storiche o<br />

popo<strong>la</strong>ri. Prima ancora che un’idea salvifica, il perdono è un accostamento <strong>in</strong>edito di sil<strong>la</strong>be, un<br />

gorgheggio, un’<strong>in</strong>vocazione. Nel gioco di assonanza con il r<strong>in</strong>tocco delle campane si comprende come <strong>la</strong><br />

speranza f<strong>in</strong>ale sia partorita dall’universo sonoro e generata da un esercizio vocale. La vita diventa vera<br />

quando <strong>la</strong> l<strong>in</strong>gua riesce a oggettivare le percezioni umane. Una constatazione che attribuisce al teatro <strong>la</strong><br />

missione di sve<strong>la</strong>re e testimoniare le condizioni dell’esistenza.<br />

E il mistero per eccellenza si sonda, <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e, attraverso un genere drammatico ancestrale, melodico e lirico<br />

come il <strong>la</strong>mento nel trittico di monologhi femm<strong>in</strong>ili Tre Lai. Cleopatràs. Erodiàs. Mater Strangisciàs (20),<br />

testamento scenico dell’autore lombardo consegnato all’attrice Adriana Innocenti come viaggio estremo<br />

nel<strong>la</strong> sofferenza causata dai legami amorosi. In un percorso <strong>in</strong>iziatico di memoria dantesca dal<strong>la</strong><br />

dannazione <strong>in</strong>fernale all’attesa purgatoriale f<strong>in</strong>o all’estasi mistica, tre donne piangono sul corpo<br />

dell’amato rievocando il rapporto vio<strong>la</strong>to dal<strong>la</strong> morte e meditando sul significato del<strong>la</strong> loro sopravvivenza.<br />

Dall’enfasi terrena e sensuale di Cleopatra che eredita il registro l<strong>in</strong>guistico del<strong>la</strong> trilogia, si passa al<br />

patrimonio metaforico e lessicale dei testi sacri profanati dal<strong>la</strong> violenza di una vendetta contro una<br />

religione che impone <strong>la</strong> r<strong>in</strong>uncia caratterizzata da Erodiade, figura ossessivamente ricorrente nel<strong>la</strong><br />

produzione testoriana, per poi rifugiarsi nel<strong>la</strong> r<strong>in</strong>francante pacatezza dell’abbraccio materno di Maria.<br />

Ancora una volta c<strong>la</strong>ssicità e cristianesimo si <strong>in</strong>contrano <strong>in</strong> teatro, si cedono il testimone e col<strong>la</strong>borano per<br />

chiarire e rappresentare <strong>la</strong> sorte umana. È <strong>la</strong> voce dell’attore a coniugare questi mondi differenti e<br />

talvolta conflittuali come il suo corpo riesce a condensare eroi e martiri nell’unica, policroma e multiforme<br />

immag<strong>in</strong>e dell’uomo solo. La paro<strong>la</strong> si nutre del<strong>la</strong> sua fisicità proprio come <strong>la</strong> sua presenza reale <strong>in</strong>carna il<br />

testo dell’autore e materializza sul<strong>la</strong> scena personaggi costruiti sul<strong>la</strong> pag<strong>in</strong>a.<br />

L’urlo solitario di ogni protagonista si trasforma <strong>in</strong> preghiera corale quando è rivolto a una p<strong>la</strong>tea:<br />

l’avventura esistenziale di un s<strong>in</strong>golo diventa l’emblema del<strong>la</strong> vicenda umana quando <strong>la</strong> cerimonia del<br />

teatro sperimenta le prospettive e le <strong>in</strong>coerenze del<strong>la</strong> drammaturgia <strong>in</strong> corrispondenza con le possibilità e<br />

i limiti del<strong>la</strong> vita.<br />

Tiberia de Matteis<br />

Note.<br />

(1) G. Testori, Nel ventre del teatro, <strong>in</strong> «Paragone», giugno 1968, ora <strong>in</strong> Giovanni Testori nel ventre del teatro, a cura<br />

di G. Sant<strong>in</strong>i, p. 34.<br />

(2) P.P. Pasol<strong>in</strong>i, Manifesto per un nuovo teatro, <strong>in</strong> «Nuovi Argomenti», gennaio-marzo 1968.<br />

(3) Testori, Nel ventre del teatro, cit..<br />

(4) G. Testori, La Maria Brasca, Mi<strong>la</strong>no, Feltr<strong>in</strong>elli, 19<strong>60</strong>.<br />

(5) G. Testori, L’Arialda, Mi<strong>la</strong>no, Feltr<strong>in</strong>elli, 1966.<br />

(6) G. Testori, I trionfi, Mi<strong>la</strong>no, Feltr<strong>in</strong>elli, 1965.<br />

(7) G. Testori, La Monaca di Monza, Mi<strong>la</strong>no, Feltr<strong>in</strong>elli, 1967.<br />

(8) G. Testori, Erodiade, Mi<strong>la</strong>no, Feltr<strong>in</strong>elli, 1969.<br />

(9) Testori, La Monaca di Monza, cit., <strong>in</strong> Id., Opere 1965-1977, a cura di F. Panzeri, Mi<strong>la</strong>no, Bompiani, 1997, parte II,<br />

p. 565.<br />

(10) A. Beolco, La Moscheta (1529), a cura di L. Zorzi e G. de Bosio, Padova, Randi, 1951.<br />

(11) Mi<strong>la</strong>no, Piccolo Teatro, marzo 1970.<br />

(12) G. Testori, L’Ambleto, Mi<strong>la</strong>no, Rizzoli, 1972.<br />

(13) G. Testori, Macbetto, Mi<strong>la</strong>no, Rizzoli, 1974.<br />

(14) G. Testori, Edipus, Mi<strong>la</strong>no, Rizzoli, 1977.<br />

(15) G. Testori, Post-Hamlet, Mi<strong>la</strong>no, Rizzoli, 1983.<br />

(16) G. Testori, Confiteor, Mi<strong>la</strong>no, Mondadori, 1985.<br />

(17) A. Cascetta, Invito al<strong>la</strong> lettura di Testori. L’ultima stagione (1982-1993), Mi<strong>la</strong>no, Mursia, 1995, p. 64.<br />

(18) G. Testori, Sfaust, Mi<strong>la</strong>no, Longanesi, 1990.<br />

(19) G. Testori, sdisOrè, Mi<strong>la</strong>no, Longanesi, 1991.<br />

(20) G. Testori. Tre Lai. Cleopatràs. Erodiàs. Mater Strangisciàs, Mi<strong>la</strong>no, Longanesi, 1994.<br />

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LA CARTOLINA ILLUSTRATA DELLE LETTERE ITALIANE<br />

CARMELO BENE: VOCE, POESIA, TEATRO<br />

Concepire il luogo teatrico come cassa di risonanza del<strong>la</strong> paro<strong>la</strong> poetica, come semplice e acritico<br />

riverbero che riproduce <strong>la</strong> paro<strong>la</strong>, come sua più o meno estendibile protesi, è qualcosa che, dal mio<br />

personale punto di vista, mi pare essenzialmente non corretto. Facile anche da sostenere, <strong>in</strong> tempi <strong>in</strong> cui<br />

<strong>la</strong> pratica di poesia sconta <strong>in</strong>evitabilmente <strong>la</strong> sua <strong>in</strong>consistenza sociale e pubblica, <strong>la</strong> sua mancanza di<br />

forza, <strong>la</strong> sua ost<strong>in</strong>ata <strong>in</strong>capacità di dire e di divertire e <strong>in</strong>teressare il pubblico. Il teatro diventerebbe allora<br />

una confezione ben predisposta, attraente e garantita da tutta una serie di meccanismi di sicurezza - i<br />

teatri, nell’antichità erano luogo pubblico per eccellenza, quasi sempre all’aperto, poi furono costruiti al<br />

chiuso, <strong>in</strong> una materia deperibile e <strong>in</strong>fiammabile come il legno, ora per lo più scontano il rigor mortis e <strong>la</strong><br />

forma stabile del cemento armato.<br />

L’ossessione per <strong>la</strong> performance di sicuro garantisce una certa dose di spettaco<strong>la</strong>rità e, soprattutto, <strong>la</strong><br />

sensazione di trovarsi di fronte ad un tipo di paro<strong>la</strong> vivente, immediata, capace di con<strong>qui</strong>stare attraverso<br />

le d<strong>in</strong>amiche del<strong>la</strong> vocalità un pubblico sempre più abituato a ritenere l’arte una questione di narcosi a<br />

buon mercato, capace magari di garantire lo sballo control<strong>la</strong>to, <strong>la</strong> ricreazione dal<strong>la</strong> catena di montaggio<br />

dell’economia e del famigerato tempo libero - o, peggio, un pratico altar<strong>in</strong>o <strong>in</strong>teriore di una conso<strong>la</strong>toria<br />

devozione domestica, mascherata da happen<strong>in</strong>g pubblico e comunitario. Ma il teatro non è né immediato<br />

né naturale, né pubblico né privato, <strong>in</strong> quanto capace di attraversare e rendere problematiche tutte<br />

queste dimensioni che, nel momento <strong>in</strong> cui sono portate (o, meglio, ri-portate <strong>in</strong> vita) nel palco<br />

ricom<strong>in</strong>ciano davvero ad essere pensate e soprattutto a “dare da pensare”. Esso <strong>in</strong>fatti è per eccellenza il<br />

luogo del<strong>la</strong> f<strong>in</strong>zione e dell’artificio, del<strong>la</strong> maschera e del<strong>la</strong> virtualità più sp<strong>in</strong>ta. È il luogo del<strong>la</strong> volontà e<br />

del<strong>la</strong> rappresentazione - e proprio per questo, forse l’unico spazio estetico rimasto <strong>in</strong> cui veramente<br />

volontà e rappresentazione possono <strong>in</strong> qualche modo essere contestati e messi <strong>in</strong> discussione mediante<br />

una “pratica”. È <strong>in</strong> def<strong>in</strong>itiva questo, <strong>in</strong>fatti, lo spazio di una vera e propria pratica ed esperienza del<br />

pensiero, dove le consuete contrapposizioni fra teoria e prassi saltano e dimostrano <strong>la</strong> loro costitutiva <strong>in</strong>conciliabilità,<br />

<strong>la</strong> loro portata <strong>in</strong>dissolubilmente comunitaria, re<strong>la</strong>zionale (comunità e re<strong>la</strong>zionalità che <strong>in</strong> un<br />

autore come Bene vengono davvero capovolte, sofferte come <strong>in</strong>tollerabili, rese impossibili, di contro alle<br />

mistificazioni correnti del<strong>la</strong> politica e del sistema del<strong>la</strong> ricezione estetica).<br />

Va da sé che l’oblio sistematico di quanto appena detto va di pari passo con una opzione politica ben<br />

precisa, perché di questo si tratta: il teatro è sempre politico, perché è il luogo del<strong>la</strong> rappresentazione (e<br />

del<strong>la</strong> rappresentanza), e <strong>qui</strong>ndi del potere. C’è un potere, evidente nel teatro, forse come <strong>in</strong> nessun’altra<br />

discipl<strong>in</strong>a estetica, ed è appunto quello legato ad un tipo di rappresentazione del vivente <strong>in</strong> tutte le sue<br />

forme che potremmo forse avvic<strong>in</strong>are a quel<strong>la</strong> categoria debordiana dello “spettaco<strong>la</strong>re <strong>in</strong>tegrato”, capace<br />

di fornire <strong>la</strong> sensazione agevole di una totalità, di un tutto vivente. Quando <strong>in</strong>vece per Bene <strong>la</strong> pratica<br />

attoriale è essenzialmente pratica del disagio, e solo <strong>in</strong> quanto disagio può essere poesia. Ecco allora un<br />

divertente e feroce quadretto beniano su uno dei monumenti del Novecento italiano:<br />

La scorsa notte, una signora - Nostra non certo - <strong>la</strong>ureata dei numeri e muse fisiche, niente quasi avendo <strong>in</strong>telletto del<br />

verso scritto, ci esponeva il suo amore per <strong>la</strong> cartol<strong>in</strong>ata poesia montaliana. Simu<strong>la</strong>va <strong>la</strong> dama ricercar pareri,<br />

dappoiché, avendo altro tempo conosciuto de visu il vate che l’<strong>in</strong>namora non si sa perché, tetragona non r<strong>in</strong>unciava - è<br />

comprensibile - all’aver “visto il poeta”, e difendeva da nessun attacco, candida, i versi dell’Eusebio, i più impossibili di<br />

poesia, appunto. Eliot, Pound, Laforgue, che dico? Il Gozzano, tutti maestri tessitori il vento dell’<strong>in</strong>cidente Montale, el<strong>la</strong><br />

ignorava assai bril<strong>la</strong>ntemente. Basta, signora, riguardiamo a mente questi pochi versi sufficienti a mostrare che<br />

l’Eusebio nazionale aveva <strong>in</strong> gran dispetto quel disagio ch’è proprio del poetare:<br />

Anima mia [mica tanto bel<strong>la</strong>] non più divisa, pensa<br />

Cangiare <strong>in</strong> <strong>in</strong>no l’elegia, rifarsi,<br />

non mancar più…<br />

Anima “bel<strong>la</strong>”, evocata (riferita). A che? A pensare. Pensare a che? A rifarsi (il confort dell’essere). “Non mancar più”<br />

(e non è <strong>la</strong> poesia il suo venir meno?). Non è forse il testamento di uno strozz<strong>in</strong>o? Montale sparagn<strong>in</strong>o. Il suo è un<br />

tentar poesia del tempo libero. Il verso, il suono, salvi certi meriggi, gli son decisamente <strong>in</strong>essenziali. E lo sapeva. Ma<br />

contenti gli altri… […] Non divergente dal<strong>la</strong> malcapitata signora del<strong>la</strong> scorsa notte è <strong>la</strong> italiana critica letteraria. […]<br />

Via, via, signora cara, gli Ungaretti Quasimodo Montale, limbo mondano di soperchieria non poi tanto <strong>in</strong>nocente, no<br />

davvero. Su Mart<strong>in</strong>etti si poteva osare: “è un cret<strong>in</strong>o con <strong>la</strong>mpi di imbecillità”. Non male. […] Poesia è distacco,<br />

lontananza, assenza, separatezza, ma<strong>la</strong>ttia, suono e, soprattutto, urgenza, vita, sofferenza (non necessariamente<br />

cristiana). È flusso dell’<strong>in</strong>sofferenza d’esserci. È scontento, anche nei casi più “felici”. È risuonar del dire oltre il<br />

concetto. È <strong>in</strong>tervallo musicale d’altezza, lirico, <strong>in</strong> che si dice detta <strong>la</strong> delusione di quell’altro <strong>in</strong>tervallo (distanza) tra il<br />

“pensato” e il suo riporto sul<strong>la</strong> pag<strong>in</strong>a. È l’abisso che sc<strong>in</strong>de orale e scritto. (1)<br />

25


Il disagio, per Bene, è il disagio del soggetto e del<strong>la</strong> rappresentazione. Non si confondano certe sue tirate<br />

con una forma ormai <strong>la</strong>rgamente vulgata di simbolismo o di estetismo deteriore: non rimane niente, a<br />

ben vedere, nel<strong>la</strong> pratica beniana, di quel buio programmatico, di quel<strong>la</strong> sistematica ricerca del distacco<br />

dal vivente verso una presunta purezza del<strong>la</strong> forma che si rovescia spesso <strong>in</strong> necrofilia. Siamo piuttosto <strong>in</strong><br />

presenza di un movimento contrario che però attraversa tali impasse bruciandone quel tanto di<br />

rappresentativo e di decorativo, che non le accantona acriticamente ma le vive nel<strong>la</strong> propria carne<br />

martoriata e nel<strong>la</strong> grana sbrecciata del<strong>la</strong> voce. Questo, per Bene, è teatro. E teatro che usa <strong>la</strong> poesia e <strong>la</strong><br />

voce come critica, luogo cavo mediante il quale attraversare le forme, tutte le forme, trapassandole<br />

senza evitarle. E non c’è nessun mito del<strong>la</strong> purezza, neanche di una purezza vocalica orig<strong>in</strong>aria, come<br />

forse ad un primo approccio potrebbe sembrare.<br />

Nell’agone teatrale, nel<strong>la</strong> gogna del<strong>la</strong> scena e del<strong>la</strong> rappresentazione, l’attore sperimenta appunto il<br />

disagio dell’esserci, fa i conti con le <strong>in</strong>crostazioni del<strong>la</strong> storia e del testo, che non fugge ma combatte <strong>in</strong><br />

un corpo a corpo letterale: se <strong>la</strong> formazione di una identità ci distacca dalle pratiche che <strong>la</strong> costituiscono,<br />

il teatro ci spara <strong>in</strong> faccia, con violenza e tenerezza <strong>in</strong>sieme, tutto questo. E proprio l’attore-Bene, proprio<br />

il campione <strong>in</strong>discusso del<strong>la</strong> vocalità non abbandona mai lo scritto e le sue cancrene: <strong>la</strong> performance<br />

teatrale non è concepibile, per Bene, se non a partire dal testo scritto e dal<strong>la</strong> sua tirannia: è un cont<strong>in</strong>uo<br />

rimasticare e risputare brani di testo come impedimenti, sassi <strong>in</strong> bocca che <strong>la</strong>canianamente impediscono<br />

<strong>la</strong> marea del significante. È <strong>la</strong> stessa cosa che succede con il trovarobato di scena: abiti lunghi e fuori<br />

misura che ostruiscono e rendono <strong>in</strong>naturali i movimenti, oggetti sproporzionati, manich<strong>in</strong>i e pezzi che<br />

non tornano, che risulta impossibile ricomporre, le stesse voci registrate <strong>in</strong> as<strong>in</strong>crono che stracciano <strong>la</strong><br />

l<strong>in</strong>earità del<strong>la</strong> storia, che è poi <strong>la</strong> l<strong>in</strong>earità del nostro procedere scrittorio-alfabetico. Si tenta <strong>in</strong>somma lo<br />

sgambetto, il tranello, <strong>in</strong> modo da riaprire quel<strong>la</strong> fal<strong>la</strong> davvero orig<strong>in</strong>aria tra scritto e orale, tra pensato e<br />

pensiero <strong>in</strong> atto, tra atto e azione - l’abisso del<strong>la</strong> volontà che, per forza di cose, non può non contemp<strong>la</strong>re<br />

al suo <strong>in</strong>terno anche il suo “non”, <strong>la</strong> sua negazione, <strong>la</strong> sua <strong>in</strong>-potenza.<br />

La cosa sconvolgente è che gran parte del<strong>la</strong> poesia del nostro tempo non è più disposta ad abitare un tale<br />

abisso e molto spesso all’abisso preferisce l’ab-soluto, <strong>la</strong> prestazione immunitaria o al massimo<br />

omeopatica: <strong>la</strong> gestione del negativo e <strong>la</strong> costruzione di un rovescio dell’identità altrettanto tenace del<strong>la</strong><br />

forma identitaria stessa. E spiace dover constatare che <strong>in</strong> alcuni casi questo accade proprio ad un tipo di<br />

fruizione ed esperienza poetica che si dice “performativa” e teatrale. Molto spesso, questo tipo di<br />

esperienze si limitano ad accantonare il problema dello scritto che, come abbiamo visto, è il perno<br />

dell’agone orale beniano: allora, nel momento <strong>in</strong> cui sembrerebbe possibile e attuabile un recupero<br />

<strong>in</strong>teressante del corpo-voce e delle sue d<strong>in</strong>amiche, ci troviamo <strong>in</strong> realtà di fronte ad una<br />

smaterializzazione, ad una fuga aproblematica e aprioristica che divide <strong>in</strong>cessantemente vivente e<br />

vissuto, nuda vita e forma di vita, immediatezza e mediazione. È chiaro che allora <strong>la</strong> fruizione da parte<br />

del pubblico diventa più semplice ed accattivante poiché <strong>la</strong>scia tutto così com’è e può tran<strong>qui</strong>l<strong>la</strong>mente<br />

essere tollerata anche nelle sue forme più “estremistiche” poiché non mette <strong>in</strong> discussione l’essenziale,<br />

non percepisce cioè <strong>la</strong> voce come dialettica del pensiero. Lo stesso Bene <strong>in</strong>fatti sostiene:<br />

Non mi riguarda il verso descrittivo, il compit<strong>in</strong>o del paesaggio, il verso, <strong>in</strong>somma, da componimento, poiché e<strong>qui</strong>vale<br />

il riferire sciagurato d’ogni attore ch’io sappia sul<strong>la</strong> scena. E <strong>in</strong> tal senso, <strong>la</strong> tradizione “c<strong>la</strong>ssica” universa è un <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito<br />

cimitero d’attori-poeti e di poeti-attori. Ma se il poetare di là dai “sentimenti” è l’esercitazione <strong>in</strong> l<strong>in</strong>gua altra che<br />

rigorosamente si preclude ogni tentazionacel<strong>la</strong> extratestuale, ecco il gioco sovrano del dire che <strong>la</strong> voce scrive <strong>in</strong> pieno<br />

mercato di scena. […] Ci vuole urgenza - disessere nei suoni per dar voce al pensar dimenticato. (2)<br />

Da tutto ciò <strong>la</strong> forte critica al modello poetico occidentale, e italiano <strong>in</strong> partico<strong>la</strong>re, e il progetto di una sua<br />

dis<strong>in</strong>tegrazione mediante l’atto teatrale:<br />

In questa “<strong>in</strong>umazione prematura”, <strong>la</strong> massa dei miei atomi ha meritato, per autocombustione irripetibile,<br />

un’esplosione che ha dis<strong>in</strong>tegrato gli scapigliati fiutascorregge del<strong>la</strong> tradizione e i signori di baciaculo del<strong>la</strong><br />

neoavanguardia pre-pensionata. Anche se, senza scampo, seguitano a riprodursi, visibilmente <strong>in</strong>coronati dal boato.<br />

Dis<strong>in</strong>tegrato è l’autorialità ecceduta dal<strong>la</strong> sprogrammazione nel prodursi e costituirsi come opera di che solo le scorie<br />

sono oggetto del corpo tipografico a seguire. Dis<strong>in</strong>tegrato è tutto il novecento: il “pasticciaccio brutto” dell’anti-neotradizione<br />

<strong>in</strong>tesa come servizio funebre d’imbellettare il sonno eterno dei c<strong>la</strong>ssici, e - <strong>in</strong> questo ufficio macabro<br />

cosmetico - se-viziare, “spregiudicata”, posture e atteggiamenti, spett<strong>in</strong>andone il senso, sforbiciandolo, <strong>in</strong>tascare una<br />

ciocca nel dis-senso “diligente”, <strong>in</strong>vidioso, mai tentata di r<strong>in</strong>unciare al senso; come <strong>la</strong> scampagnata d’avanguardia,<br />

lungi dal rov<strong>in</strong>are le rov<strong>in</strong>e, nell’ora più sfrenata di ricreazione sco<strong>la</strong>stica, scorrazza, sfregia i nomi sulle <strong>la</strong>pidi, <strong>in</strong>verte<br />

fiori, ceri e fuochi fatui, e f<strong>in</strong>almente impazza nell’obitorio di quel cimitero, <strong>in</strong>vocando il non-senso e il suo contrario.<br />

Non oltre. (3)<br />

26


Dis<strong>in</strong>tegrazione che dunque ha ben poco a che fare con i tentativi del<strong>la</strong> neoavanguardia italiana e con i<br />

suoi nipot<strong>in</strong>i - da dove spesso deriva <strong>la</strong> deriva montante del<strong>la</strong> performance <strong>in</strong> poesia e degli scellerati e<br />

per lo più poco di-vertenti s<strong>la</strong>m poetry, che confondono improvvisazione e immediatezza con<br />

pressappochismo e brico<strong>la</strong>ge del fai-da-te. Da questo punto di vista, davvero, Bene non ha eredi: non ha<br />

<strong>in</strong>segnato o, meglio, non ha disimparato a nessuno.<br />

Note.<br />

(1) Carmelo Bene, Sono apparso al<strong>la</strong> Madonna, <strong>in</strong> Opere, Bompiani, Mi<strong>la</strong>no 1995, pp. 1153-1156.<br />

(2) Ibid., pp. 1158-1159.<br />

(3) Ibid., p. XII.<br />

Andrea Ponso<br />

27


UN ALBO DI ROVINE (CON ALCESTI), SOGNANDO UN'ALTRA STORIA<br />

… quando il mondo<br />

era pieno di luce…<br />

e da tutte le parti, nel<strong>la</strong> fossa<br />

di chi rammenta, nelle <strong>qui</strong>nte <strong>in</strong>gombre<br />

di macerie, nei cessi, nel foyer<br />

annerito dagli <strong>in</strong>cendi ferveva<br />

l’<strong>in</strong>cauta vita…<br />

[Quare tristis]<br />

O forse <strong>la</strong> felicità<br />

è solo degli altri, d’un altro tempo,<br />

d’un’altra vita e a noi non è possibile<br />

che recitar<strong>la</strong> come viene viene,<br />

a soggetto, ost<strong>in</strong>andoci a <strong>in</strong>seguire<br />

<strong>la</strong> parte di noi stessi<br />

<strong>in</strong> un vecchio, bizzarro canovaccio<br />

senza capo né coda…<br />

[Barlumi di storia]<br />

Nel Novecento quello di Alcesti è il luogo <strong>in</strong> cui s’<strong>in</strong>tersecano <strong>in</strong><strong>qui</strong>etud<strong>in</strong>e privata, famigliare, e dramma<br />

collettivo, storico. Tra spietata bufera dei tempi e affannosa ricerca d’un luogo franco. Basti pensare ai<br />

tempi <strong>in</strong> cui vennero composte le due pr<strong>in</strong>cipali riscritture precedenti, Il mistero di Alcesti di Marguerite<br />

Yourcenar e Alcesti di Samuele di Alberto Sav<strong>in</strong>io: 1942 e 1948. La cornice storica è esplicita, nello<br />

smisurato e srego<strong>la</strong>to dramma di Sav<strong>in</strong>io, s<strong>in</strong> dall’antefatto: che fa risalire le sue orig<strong>in</strong>i proprio al ’42,<br />

quando l’autore <strong>in</strong>travede, alle prove di un Wozzeck all’Opera di Roma, <strong>la</strong> figura “tragica” del dottor<br />

Alfred Schlee, direttore delle Edizioni Universali di Vienna <strong>la</strong> cui consorte, ebrea, per salvarlo dalle<br />

persecuzioni naziste aveva compiuto <strong>la</strong> stessa scelta del<strong>la</strong> remota reg<strong>in</strong>a dei Tèssali.<br />

L’<strong>in</strong>treccio che le vicende collettive compongono con <strong>la</strong> biografia personale è il luogo dal quale ci par<strong>la</strong><br />

Giovanni Raboni. Nel<strong>la</strong> sua Alcesti non figurano riferimenti espliciti al contesto storico; si può dire che le<br />

allusioni ai «tempi che corrono», al «rischio mortale / che <strong>in</strong>combe sulle nostre teste», al «potere» che<br />

«sta ammassando / i presunti avversari del nuovo ord<strong>in</strong>e» negli «stadi» e nei «velodromi» – <strong>in</strong>somma a<br />

quanto fa sì che «il nostro mondo stia cadendo a pezzi» –, tutto questo disegni una condizione, nell’aere<br />

perso del totalitarismo, generale e universale. Anni Trenta e Quaranta – potremmo dire – ideali eterni.<br />

Dice del resto Simone, con amara ironia, che «i mali imprecisi sono i peggiori».<br />

Questo anche se l’onomastica dei personaggi, e certe battute di Sara (<strong>la</strong> quale def<strong>in</strong>isce per esempio<br />

«esodo» <strong>la</strong> sua fuga), potrebbero localizzare più precisamente l’azione nello spazio e nel tempo. Il<br />

persecutorio «nuovo ord<strong>in</strong>e», <strong>in</strong>fatti, è colpevole soprattutto <strong>in</strong> quanto «mira a toglierci l’anima / prima<br />

ancora di toglierci <strong>la</strong> vita»: altrimenti e manzonianamente detto, dunque, perché mette le sue vittime –<br />

come Stefano e Simone che vergognosamente battibeccano su chi abbia più diritto a sopravvivere – nelle<br />

condizioni di «far torto o subirlo». È stato nei Sommersi e i salvati che un altro grande manzoniano del<br />

nostro tempo, Primo Levi, ha citato I Promessi Sposi per ricordare che «tutti coloro che […] fanno torto<br />

altrui, sono rei, non solo del male che commettono, ma del pervertimento ancora a cui portano l’animo<br />

degli offesi».<br />

A precisare meglio i contorni “esterni”, si ponga mente al<strong>la</strong> fotografia che illustra l’edizione garzantiana<br />

dell’Alcesti (uscita nel settembre del 2002): due figure m<strong>in</strong>uscole si aggirano nel<strong>la</strong> p<strong>la</strong>tea di un grande<br />

teatro <strong>in</strong> rov<strong>in</strong>a, si fanno <strong>la</strong>rgo tra le macerie, rivolgono lo sguardo ansiosamente verso l’alto, verso lo<br />

squarcio – ai nostri occhi <strong>in</strong>visibile – attraverso il quale <strong>la</strong> bufera ha prodotto il suo catastrofico varco. La<br />

didascalia recita: «Il teatro al<strong>la</strong> Sca<strong>la</strong>, Mi<strong>la</strong>no 1943». E se l’Eracle euripideo (quello che <strong>in</strong> Sav<strong>in</strong>io era un<br />

enfatico Presidente Roosevelt…) diviene <strong>qui</strong> un <strong>la</strong>conico ed enigmatico «Custode» – detto anche<br />

«spedizioniere» – si può pensare al<strong>la</strong> figura di «Caronte» che appare <strong>in</strong> Quare tristis: il libro di versi, di<br />

Raboni, che <strong>in</strong>sieme all’ultimo Barlumi di storia meno dissimu<strong>la</strong> il tremare del<strong>la</strong> vita di fronte<br />

all’agghiacciare del<strong>la</strong> storia. «Fra l’Anschluss e <strong>la</strong> notte dei cristalli, / fra Monaco e Danzica», un «Caronte<br />

// di se stesso», <strong>in</strong> «decappottabile», s’impegna <strong>in</strong> una «gita / fuori porta, fuori dazio». Viaggio ambiguo,<br />

di salvezza e perdizione. Una lotta muta e senza nome, come quel<strong>la</strong> di Eracle con Thanatos. (Ci si ricorda<br />

pure che gli unici versi residui del<strong>la</strong> mai completata Alcesti di Rac<strong>in</strong>e – per Yourcenar «<strong>la</strong> più perfetta<br />

delle Alcesti», quel<strong>la</strong> che «da qualche parte fluttua, nel regno delle Idee» – ritraggono proprio il<br />

traghettatore ìnfero: «Je vois déjà <strong>la</strong> rame et <strong>la</strong> barque fatale; / J’entends le vieux nocher de <strong>la</strong> rive<br />

<strong>in</strong>fernale. / Impatient, il crie: “On t’attend ici-bas; / Tout est prêt, descends, viens, ne me retard pas”»;<br />

ed ecco il Custode del Teatro di Raboni: «Ma su, adesso sbrigatevi, o c’è il rischio / che il camion non vi<br />

28


aspetti: / il motore, lo sento, è acceso, / e sento anche che l’autista / ogni tanto, per impazienza, / dà<br />

qualche colpo d’acceleratore.»)<br />

Se, come pensava Marguerite Yourcenar, protagonista occulto di ogni Alcesti è proprio lui, Eracle, l’averlo<br />

tras<strong>formato</strong> – da ruvido e alticcio pa<strong>la</strong>d<strong>in</strong>o del<strong>la</strong> vita, manesco fracassone di buon cuore – <strong>in</strong><br />

traghettatore taciturno, figura lim<strong>in</strong>are dai l<strong>in</strong>eamenti sfuggenti, è il nucleo più <strong>in</strong>timo, forse,<br />

dell’immag<strong>in</strong>azione di Raboni. Quello che non può non presc<strong>in</strong>dere dall’identificazione positiva del<br />

“contesto”. In una delle prime sticomitìe fra Simone e Stefano, quest’ultimo annuncia che è giunto il<br />

momento di «una scelta». Ribatte il padre: «Neanche fosse tra vivere e morire!», al che replica il figlio:<br />

«E fra cosa e cosa, se no?». La battuta richiama al<strong>la</strong> mente quel<strong>la</strong> – nuovamente di Sav<strong>in</strong>io – che un<br />

rimpianto lettore e amico di Raboni, Luigi Baldacci, ha posto <strong>in</strong> esergo a un suo libro: «Quando si dice<br />

pensare, s’<strong>in</strong>tende pensare al<strong>la</strong> morte. E a che altro pensare?…».<br />

C’è un «gran fiume imm<strong>in</strong>ente» – stretto parente dell’Isar nel quale s’immerge l’Alcesti di Sav<strong>in</strong>io – che<br />

attende il lettore al term<strong>in</strong>e di Quare tristis (flusso di endecasil<strong>la</strong>bi sciolti che prelude, tecnicamente <strong>in</strong><br />

misura forse decisiva, al dialogato <strong>in</strong> versi del<strong>la</strong> Rappresentazione del<strong>la</strong> Croce e di questa Alcesti): un<br />

«fiume» al quale siamo chiamati, come i traghettati dal Custode, a «muoversi, affrettare l’<strong>in</strong>certo passo»:<br />

«e lì svoltare, perdersi, svanire». E non è certo nel “contesto” cont<strong>in</strong>gente di un’età che s’allunga, che<br />

nelle parole di Raboni si del<strong>in</strong>ea un simile orizzonte. Sono più di trent’anni che, come scrisse Piergiorgio<br />

Bellocchio, «anche se formalmente (s<strong>in</strong>tatticamente) i morti restano l’oggetto del discorso tenuto dai vivi,<br />

sostanzialmente ne diventano il vero soggetto».<br />

Ma non è proprio questo lento, graduale, quasi <strong>in</strong>sensibile scambiarsi di posizioni – fra vivi e morti – il<br />

“vero” tema di ogni Alcesti? Non è, colei che si vota al sacrificio, moralmente più “viva” dell’irresoluto<br />

consorte? Non è el<strong>la</strong> consegnata al<strong>la</strong> morte s<strong>in</strong> dall’<strong>in</strong>izio del dramma – e, malgrado ciò, assai “viva” sul<strong>la</strong><br />

scena? (Drammaturgicamente, anzi, primo motore dell’azione.) A un punto tale, è sp<strong>in</strong>ta s<strong>in</strong><br />

dall’archetipo questa condizione limbica del<strong>la</strong> reggia di Admeto (nel<strong>la</strong> quale s<strong>in</strong> dal pr<strong>in</strong>cipio dimora<br />

Thanatos), che l’ultimo traduttore dell’Alcesti di Euripide, Davide Susanetti (nel<strong>la</strong> bel<strong>la</strong> edizione<br />

commentata pubblicata da Marsilio nel 2001), ha potuto def<strong>in</strong>ire il dramma un’«enciclopedia umanistica e<br />

sentimentale del<strong>la</strong> morte», nel<strong>la</strong> quale vige «una condizione confusa e sospesa tra il regno dell’essere e il<br />

suo contrario, tra presenza e assenza, <strong>in</strong> una cornice temporale che si presta a <strong>in</strong>tersecare e confondere<br />

passato, presente e futuro». Si pensa, tornando a Raboni, a un sonetto di Ogni terzo pensiero (titolo,<br />

questo rubato al<strong>la</strong> Tempesta di Shakespeare, di per sé eloquente: seguìto com’è, sulle <strong>la</strong>bbra di Prospero,<br />

dalle parole «sarà per <strong>la</strong> mia tomba»…): «è questo niente / che ci separa, aria da foglie, gente // che<br />

aspetta pallidamente di qua / e di là d’una <strong>la</strong>pide, i non morti / ancora dai non ancora risorti».<br />

Ma non è proprio questa <strong>la</strong> condizione, non morta ancora e non ancora risorta, del personaggio che al<br />

dramma dà il titolo? Come dice Susanetti, «per l’<strong>in</strong>tera durata del dramma, Alcesti “è” e “non è” […]<br />

Quando è ancora viva, può essere considerata e def<strong>in</strong>ita già morta […] per il sacrificio che l’attende. Una<br />

volta morta, cont<strong>in</strong>ua tuttavia a “essere” secondo forme e modalità diverse». Al suo ritorno <strong>in</strong> scena,<br />

muta e ve<strong>la</strong>ta, tiene un contegno non dissimile da quello del Custode che <strong>la</strong> scorta – colui che a tutti gli<br />

effetti, cioè, appartiene a una condizione <strong>in</strong>termedia, impartecipe, sospesa fra i due regni.<br />

Giungiamo così a un elemento che caratterizza con forza <strong>la</strong> riscrittura raboniana: il suo ambientare <strong>la</strong><br />

vicenda nell’allusivo “contesto” di un Teatro. Non è proprio del<strong>la</strong> somma ambiguità che chiamiamo teatro<br />

questa vita che non è “del tutto” vita, questa morte che non è “<strong>in</strong>teramente” morte? Non è s<strong>qui</strong>sitamente<br />

teatrale l’«essere o non essere» – l’essere e, <strong>in</strong>sieme, il non essere? Il titolo di Raboni lo si legga per<br />

<strong>in</strong>tero. Alcesti sì ma, <strong>in</strong> aggiunta, <strong>la</strong> recita dell’esilio. Uno dei pochissimi partico<strong>la</strong>ri che sull’antefatto ci<br />

vengano riferiti, anzi forse l’unico, è l’«odio <strong>in</strong>decifrabile» che, «tras<strong>formato</strong>si <strong>in</strong> legge dello Stato»,<br />

impedisce a Sara «di fare / <strong>la</strong> so<strong>la</strong> cosa che ama […]: recitare». L’assenza presente di Sara dal<strong>la</strong> scena,<br />

che nel<strong>la</strong> prima parte del dramma consente a Simone e Stefano di sfogarsi nei loro <strong>in</strong>eleganti alterchi, si<br />

deve proprio al suo frugare fra le <strong>qui</strong>nte, al<strong>la</strong> ricerca delle emozioni del debutto, su quello stesso palco,<br />

più di vent’anni prima: «ero così giovane… Due battute, / massimo tre, <strong>la</strong> parte di un’ancel<strong>la</strong> / – sì, ma <strong>in</strong><br />

quale tragedia?». È l’anziano, il colto Stefano a riconoscer<strong>la</strong> dalle prime battute: naturalmente Euripide,<br />

naturalmente l’Alcesti.<br />

Non si pensi tuttavia a un ludico divertissement postmodernista. Tutt’altro. Qui <strong>la</strong> riflessione del teatro su<br />

se stesso scende a fondo – alle radici stesse, crediamo, del senso del testo. Probabilmente neppure<br />

l’archetipo euripideo – tutt’altro che arcaico, anzi appartenente a una stagione matura del<strong>la</strong><br />

drammaturgia c<strong>la</strong>ssica – sfugge del tutto a questa dimensione (e forse non a caso già s’annoverava,<br />

prima di quel<strong>la</strong> raboniana, una meta-Alcesti: quel<strong>la</strong> del poemetto del 1871 di Robert Brown<strong>in</strong>g,<br />

Ba<strong>la</strong>ustion’s Adventure, nel quale un’ero<strong>in</strong>a perseguitata dai pirati si rifugia a Siracusa, dove le viene<br />

offerto riparo a patto che acconsenta a recitare, appunto, <strong>la</strong> parte di Alcesti). Aggiunge <strong>in</strong>fatti Susanetti<br />

che se nul<strong>la</strong>, come dice l’ultimo stasimo del coro, si può contro <strong>la</strong> morte, il senso del dramma «si traduce,<br />

implicitamente, nel valore stesso del<strong>la</strong> poesia e del teatro che celebra chi muore, che ne garantisce il<br />

ricordo, e che nel f<strong>in</strong>ale rende il miracolo completo costruendo <strong>la</strong> scena del<strong>la</strong> resurrezione».<br />

Il teatro – <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> – come rifugio dal<strong>la</strong> Storia? O – ciò che sarebbe più conso<strong>la</strong>nte ancora – come arg<strong>in</strong>e<br />

al di<strong>la</strong>gare del<strong>la</strong> Morte, al montare del Non Essere? Quel che si può dire, con Hölderl<strong>in</strong>, è che dov’è il<br />

pericolo è anche <strong>la</strong> salvezza. È Sara a spiegare che nel Teatro, il luogo dal quale il vento del<strong>la</strong> Storia<br />

l’aveva bandita, <strong>la</strong> sorte «ha voluto che ritornasse». Sarà lì che sceglierà il Sacrificio, dunque, e sarà di<br />

29


nuovo lì che andrà <strong>in</strong> scena il suo trionfo: <strong>la</strong> sua Resurrezione. Nello stesso luogo, <strong>in</strong>somma, «mentre<br />

tutto f<strong>in</strong>isce», «qualcosa, forse, può ricom<strong>in</strong>ciare».<br />

Che è poi, a ben vedere, l’eterno “scandalo” di Alcesti: il suo “lieto f<strong>in</strong>e”. Non a caso non s’è f<strong>in</strong> <strong>qui</strong> usata<br />

<strong>la</strong> paro<strong>la</strong> tragedia. Che tragedia può essere quel<strong>la</strong> il cui nodo si scioglie felicemente? Per secoli ci si è<br />

affannati a sanare l’ambiguità di Alcesti, <strong>la</strong> sua compresenza di l<strong>in</strong>guaggio tragico e <strong>in</strong>termezzi comici e,<br />

soprattutto, l’enigma del suo f<strong>in</strong>ale. S’è def<strong>in</strong>ito, quello di Euripide, dramma prosatiresco (<strong>in</strong> quanto,<br />

quarto <strong>in</strong> tetralogia, figura <strong>in</strong> luogo del vero e proprio dramma satiresco). E il suo tono è stato def<strong>in</strong>ito,<br />

più che tragico, elegiaco. Ma forse, almeno nel Novecento – che s’è valso di questa favo<strong>la</strong> nel modo che<br />

s’è detto –, <strong>la</strong> chiave va cercata altrove.<br />

Leggendo <strong>la</strong> prima volta il f<strong>in</strong>ale dell’Alcesti di Raboni si resta spiazzati; <strong>in</strong> apparenza, però, molto<br />

diversamente da come ci <strong>la</strong>scia il f<strong>in</strong>ale di Sav<strong>in</strong>io: nel quale, anziché unirsi ad Admeto nel<strong>la</strong> nuova vita,<br />

l’ero<strong>in</strong>a lo chiama a sé nel regno del<strong>la</strong> morte. Altro che lieto f<strong>in</strong>e... Ma anche il silenzio f<strong>in</strong>ale dell’Alcesti di<br />

Raboni, a ben vedere, è un segno di sospensione, di ambiguità. (Una conclusione “<strong>in</strong> levare”, direbbe<br />

forse l’autore di Cadenza d’<strong>in</strong>ganno.) Già <strong>in</strong> Euripide, <strong>in</strong> effetti, il f<strong>in</strong>ale è <strong>in</strong>certo – segnato da un silenzio<br />

simmetrico a quello, misterioso, nel quale all’<strong>in</strong>izio è immersa <strong>la</strong> reggia. E tuttavia il gesto col quale<br />

Eracle al<strong>la</strong> f<strong>in</strong>e scopre il volto del<strong>la</strong> donna che ha <strong>in</strong>dotto Admeto ad accogliere nel<strong>la</strong> sua casa, così<br />

rive<strong>la</strong>ndone l’identità, ha un valore <strong>in</strong>e<strong>qui</strong>voco: quello di “nuove nozze” (questo il senso tradizionale dello<br />

sve<strong>la</strong>re, <strong>in</strong> pubblico, il volto del<strong>la</strong> donna), di patto riannodato. Una commedia del rimatrimonio avanti<br />

lettera.<br />

L’Alcesti di Raboni non solo resta muta – come quel<strong>la</strong> di Euripide. A differenza di quel<strong>la</strong>, resta anche<br />

ve<strong>la</strong>ta. Il dramma si conclude, <strong>in</strong>fatti, col Custode che avvia i suoi tre protetti al<strong>la</strong> salvezza, ma senza<br />

sve<strong>la</strong>re l’identità del<strong>la</strong> terza presenza. I due uom<strong>in</strong>i, che non hanno riconosciuto le fattezze<br />

«misteriosamente mutate» di Sara, restano conv<strong>in</strong>ti che «per far partire lei, per salvar<strong>la</strong> […] uno di noi<br />

tre / ha dovuto sacrificarsi».<br />

Se <strong>qui</strong> il velo è metafora del<strong>la</strong> maschera teatrale, e <strong>in</strong> generale dell’arte come protezione, l’ost<strong>in</strong>azione di<br />

quel silenzio, e soprattutto di quel velo, ci turba. E <strong>in</strong>sieme ci affasc<strong>in</strong>a. Lo sentivano, i nostri tre<br />

personaggi, s<strong>in</strong> dall’<strong>in</strong>izio. Uno di loro aveva chiesto: «c’è qualcosa / che mi tiene sul chi vive – qualcosa /<br />

che ancora m’impedisce di capire / se siamo <strong>in</strong> un rifugio o <strong>in</strong> una trappo<strong>la</strong>». La risposta di Sara –<br />

«Siamo <strong>in</strong> un teatro» – era stata, <strong>in</strong> apparenza, <strong>in</strong>congrua; era <strong>in</strong>vece proprio quel<strong>la</strong>, con ogni<br />

probabilità, <strong>la</strong> vera risposta.<br />

Noi, quel<strong>la</strong>, non <strong>la</strong> possiamo dare. Ogni spettatore darà <strong>la</strong> sua. È, questo, il Teatro.<br />

Andrea Cortellessa<br />

[Da «Alias», V, 41, 19 ottobre 2002, p. 19; poi <strong>in</strong> Andrea Cortellessa, Giovanni Raboni, l’osso senza carne del<strong>la</strong> paro<strong>la</strong>,<br />

ne La fisica del senso. Saggi e <strong>in</strong>terventi su poeti italiani dal 1940 a oggi, Fazi, 2006, pp. 309-313.]<br />

30


ARTAUD E LA SCRITTURA DELLA CRUDELTÀ<br />

“Tutta <strong>la</strong> scrittura è porcheria”. Interrogare sul tema del<strong>la</strong> scrittura l’autore di tale <strong>la</strong>pidaria affermazione<br />

può apparire un non senso teso solo a far ricadere <strong>la</strong> questione su se stessa. Tuttavia l’accanimento con il<br />

quale Anton<strong>in</strong> Artaud frequentò <strong>la</strong> scrittura <strong>in</strong> ogni sua forma – da quel<strong>la</strong> poetica a quel<strong>la</strong> episto<strong>la</strong>re, dal<br />

saggio al diario, dall’<strong>in</strong>vettiva al<strong>la</strong> drammaturgia, dagli aforismi agli oroscopi, come documenta il corpo<br />

monumentale delle sue Oeuvres Complètes – impone una valutazione non affrettata del rapporto<br />

<strong>in</strong>trattenuto da questo autore con il proprio gesto grafico.<br />

Un aspetto del<strong>la</strong> scrittura di Artaud colpisce <strong>in</strong> partico<strong>la</strong>re il lettore: s<strong>in</strong> dal<strong>la</strong> sua produzione giovanile,<br />

egli sembra condurre un esercizio ambiguo di esposizione e sottrazione del<strong>la</strong> propria <strong>in</strong>timità, del<strong>la</strong><br />

propria vita profonda <strong>in</strong> un gioco destabilizzante che, mentre toglie validità ai contenuti espressi<br />

sp<strong>in</strong>gendoli all’autocontraddizione, suggerisce l’esigenza di attraversare quegli stessi contenuti, di<br />

perdersi nel<strong>la</strong> loro contraddittorietà per att<strong>in</strong>gere qualcosa che, travalicandoli, ne determ<strong>in</strong>a e <strong>la</strong><br />

consistenza e <strong>la</strong> vacuità. La manifestazione più ec<strong>la</strong>tante di tale ambiguità è forse il fatto che Artaud<br />

stesso, poco prima di morire, abbia concordato con Gallimard i term<strong>in</strong>i per <strong>la</strong> pubblicazione delle sue<br />

Opere complete, proprio lui che nel 1925 aveva scritto: “Cari amici, quel che avete preso per <strong>la</strong> mia<br />

opera era solo lo scarto di me stesso, raschiature dell’anima non accolte dall’uomo normale” (1).<br />

Artaud sembra dunque fare un doppio gioco teso a sp<strong>in</strong>gere il lettore al<strong>la</strong> impasse, costr<strong>in</strong>gendolo a farsi<br />

carico di una ponderosa <strong>in</strong>consistenza: quel<strong>la</strong> di un’opera che, nel darsi, si annul<strong>la</strong> come tale. Ma che<br />

significa ‘come tale’? Anzitutto come prodotto ultimativo, risultato concluso di una operatività f<strong>in</strong>alizzata a<br />

risolversi nel<strong>la</strong> stabilità di un significato espresso, fatto tra fatti il cui senso è garantito da una estr<strong>in</strong>seca<br />

referenzialità.<br />

Tra coloro che per primi sottol<strong>in</strong>earono questa caratteristica del<strong>la</strong> scrittura artaudiana, partico<strong>la</strong>re<br />

<strong>in</strong>teresse rivestono le riflessioni svolte da Jacques Derrida <strong>in</strong> un articolo del 1965 <strong>in</strong>tito<strong>la</strong>to La parole<br />

soufflée, nel quale viene avanzata una ipotesi assai efficace ai f<strong>in</strong>i di un approccio non più solo letterario<br />

al <strong>la</strong>voro di Artaud. L’ipotesi derridiana, <strong>in</strong> s<strong>in</strong>tesi, è che il testo di Artaud si neghi ad ogni forma di<br />

commento, sia esso critico o cl<strong>in</strong>ico, dando così luogo ad un corto circuito che non <strong>in</strong>terrompe<br />

semplicemente il flusso del<strong>la</strong> trasmissione comunicativa, ma boicotta <strong>la</strong> struttura bipo<strong>la</strong>re sul<strong>la</strong> quale si<br />

fonda <strong>la</strong> possibilità stessa del commento, ossia dell’<strong>in</strong>tera tradizione dei saperi occidentali.<br />

“Se Artaud resiste <strong>in</strong> modo assoluto – e, pensiamo, come non era mai successo prima di lui – alle esegesi<br />

cl<strong>in</strong>iche o critiche, è per quello che nel<strong>la</strong> sua avventura (e con tale paro<strong>la</strong> designiamo una totalità anteriore<br />

al<strong>la</strong> separazione del<strong>la</strong> vita e dell’opera) è <strong>la</strong> protesta stessa contro l’esemplificazione stessa. […] Artaud ha<br />

voluto distruggere una storia, quel<strong>la</strong> del<strong>la</strong> metafisica dualista che ispirava <strong>in</strong> modo più o meno sotterraneo i<br />

tentativi a cui abbiamo più sopra accennato […]: metafisica del commento, che autorizzava i commenti perché<br />

dom<strong>in</strong>ava già le opere commentate” (2).<br />

Così Derrida. In tale prospettiva si spiegherebbe però solo un <strong>la</strong>to del doppio gioco di Artaud: quello<br />

occlusivo, per il quale, nel fare, si nega al fatto di sussistere nel<strong>la</strong> propria validità separata – negazione<br />

pregna di effetti se, come suggerisce Derrida, essa pone <strong>in</strong> questione <strong>in</strong> ultima analisi <strong>la</strong> possibilità di<br />

sussistenza del<strong>la</strong> po<strong>la</strong>rità fatto/commento, accidente/necessità, segno/significato. Resta però da<br />

comprendere il <strong>la</strong>to complementare di tale occlusione di commento, il secondo <strong>la</strong>to del gioco, ossia <strong>la</strong><br />

provocazione esercitata dal<strong>la</strong> scrittura di Artaud nel darsi tuttavia <strong>in</strong> forma di opera, esponendosi a quel<br />

medesimo commento cui si nega. Solo cogliendo <strong>la</strong> duplicità del gesto di Artaud sarà possibile<br />

comprenderne il portato complessivo e l’<strong>in</strong>tento propositivo. Potremmo com<strong>in</strong>ciare dal<strong>la</strong> domanda più<br />

scontata: che cosa si sottrae nell’opera di Artaud, proprio mentre essa si dà <strong>in</strong> forma di ‘opera completa’?<br />

Ciò che oppone resistenza, diceva Derrida, nel<strong>la</strong> scrittura di Artaud è il suo prodursi come “avventura”<br />

complessiva, “totalità anteriore al<strong>la</strong> separazione del<strong>la</strong> vita e dell’opera”: rifiuto del pr<strong>in</strong>cipio di<br />

separazione soggiacente all’istanza dell’opera come fatto, del<strong>la</strong> scrittura come testo e del<strong>la</strong> comprensione<br />

come commento. L’<strong>in</strong>tera esperienza di Anton<strong>in</strong> Artaud si pone <strong>qui</strong>ndi come immane vicenda grafica, là<br />

dove vita e opera si diano <strong>in</strong> un <strong>in</strong>treccio non dipanabile e dove scrittura si dia come esercizio vivo di<br />

segni dotati di efficacia produttiva e performativa. E se fare vita e fare opera co<strong>in</strong>cidono nel senso grafico<br />

dell’avventura artaudiana, ciò spiega <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e perché quel<strong>la</strong> scrittura non potesse essere opera se non <strong>in</strong><br />

quanto operatività, <strong>in</strong>cisione di senso irriducibile alle tracce (o allo “scarto”) del suo operare.<br />

Scriverà <strong>in</strong>fatti Artaud nel<strong>la</strong> Prefazione al Teatro e il suo doppio:<br />

“Quando pronunciamo <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> vita, dobbiamo renderci conto che non si tratta del<strong>la</strong> vita quale <strong>la</strong> conosciamo<br />

attraverso l’aspetto esteriore dei fatti, ma del suo nucleo fragile e irre<strong>qui</strong>eto, <strong>in</strong>afferrabile dalle forme” (3).<br />

Quel che del<strong>la</strong> vita resta <strong>in</strong>afferrabile e <strong>in</strong>afferrato dalle forme è però anche ciò che solo nel prodursi di<br />

quelle forme si manifesta, disfacendosi nelle proprie tracce. Col che, f<strong>in</strong>almente, si può <strong>in</strong>iziare a<br />

<strong>in</strong>tendere quale sia l’efficacia, <strong>la</strong> riserva di fertilità che il doppio gioco artaudiano rive<strong>la</strong>.<br />

Potremmo dire: ciò che <strong>in</strong> quel<strong>la</strong> scrittura va <strong>in</strong>evitabilmente perso è il medesimo che ogni scrittura perde<br />

nel fissarsi nelle proprie forme significative; ma solo il palesarsi, l’esibirsi paradossale di quel<strong>la</strong> perdita<br />

31


consente di esporvisi, di assumer<strong>la</strong> consapevolmente e di abitar<strong>la</strong>. Ciò che va perduto è, <strong>in</strong> altri term<strong>in</strong>i,<br />

l’accadere dell’<strong>in</strong>cisione, il movimento del fissare <strong>in</strong> forme, l’orientamento del far segno, ciò che precede<br />

ogni segno e ogni significato perché ne è <strong>la</strong> tensione evenemenziale: <strong>in</strong>-tensione di senso che vige solo<br />

come anacronistica assenza <strong>in</strong> presenze venture.<br />

La scrittura satura, refrattaria al<strong>la</strong> l<strong>in</strong>earità del r<strong>in</strong>vio semantico praticata da Artaud non testimonia<br />

dunque di una “esistenza che rifiuta di significare”, di “un’arte che si è voluta senza opera”, di “un<br />

l<strong>in</strong>guaggio che si è voluto senza traccia, cioè senza differenza” (come avrà a concludere Derrida), se non<br />

nel<strong>la</strong> misura <strong>in</strong> cui si assuma <strong>la</strong> “differenza” <strong>in</strong> una prospettiva ancora stanziale, bipo<strong>la</strong>re e monoorientata<br />

– prospettiva questa, che pertiene em<strong>in</strong>entemente al<strong>la</strong> metafisica dualistica del commento. È<br />

piuttosto tale idea di differenza che Artaud vuole far saltare. Egli <strong>in</strong>fatti boicotta quell’<strong>in</strong>granaggio<br />

fondamentale che, stabiliti oggetti e significati come reciprocamente trascendenti, si <strong>in</strong>terroga poi sui<br />

modi del<strong>la</strong> loro connessione sensata istituendo, appunto, <strong>la</strong> pratica del commento.<br />

Più che una scrittura “senza traccia”, quel<strong>la</strong> di Artaud si rive<strong>la</strong> così una scrittura tesa a mostrare il<br />

precipizio di se stessa nelle sue stesse tracce, a suo modo esercitandosi come auto-bio-grafia. Come<br />

<strong>in</strong>tendere però tale espressione senza <strong>in</strong>correre nelle medesime banalità psicologistiche che hanno<br />

alimentato tutti i commenti di tipo ‘cl<strong>in</strong>ico’ ai quali l’opera di Artaud il folle è stata così spesso sottoposta?<br />

Scrive Carlo S<strong>in</strong>i:<br />

“Ogni filosofia è una autobiografia, non <strong>in</strong> un senso meramente psicologistico, ma nel senso per cui si può dire<br />

che <strong>in</strong> ogni sapere (saper fare, dire, scrivere) è compresa una genealogia, che è <strong>la</strong> autobiografia di quel<br />

sapere” (4).<br />

Ogni sapere è sempre una auto-bio-grafia <strong>in</strong> quanto, esercitandosi, testimonia di sé e del<strong>la</strong> vicenda del<br />

suo prodursi <strong>in</strong> segni che r<strong>in</strong>viano al proprio stesso tracciarsi – senza mai poterlo significare, ma sempre<br />

mostrandolo nel<strong>la</strong> sua congrua operatività. Ogni pratica (cioè ogni sapere <strong>in</strong> quanto “<strong>in</strong>treccio di<br />

pratiche”, come S<strong>in</strong>i direbbe) è dunque scrittura che produce se stessa come eredità, una eredità che si<br />

riscuote dissipandosi. La pratica filosofica è però quel<strong>la</strong> scrittura che <strong>in</strong>terroga <strong>la</strong> dissipazione e si nutre<br />

del<strong>la</strong> perdita, esponendosi al proprio stesso “scarto”.<br />

“Cari amici, quel che avete preso per <strong>la</strong> mia opera era solo lo scarto di me stesso”: il doppio gioco di<br />

Artaud rive<strong>la</strong> così una consapevolezza filosofica <strong>in</strong>sospettata e <strong>la</strong> sua opera, esponendosi come scarto e<br />

allo scarto di se stessa, non fa che reiterare il movimento produttivo di ogni scrittura, che circoscrive un<br />

mondo <strong>in</strong>-tagliandolo di senso.<br />

Visto sotto questa luce, il gesto grafico di Artaud fa tutt’uno con l’ampiezza del suo gesto teatrale,<br />

sussunto e contratto nel<strong>la</strong> nota espressione teatro del<strong>la</strong> crudeltà. Nel<strong>la</strong> ricerca di Artaud tale espressione<br />

costituisce un momento di svolta, all’<strong>in</strong>terno di un percorso che, a partire dal<strong>la</strong> sua concreta esperienza di<br />

attore e di regista, lo condurrà ad una fatale resa di conti con i fondamenti dei saperi occidentali. Il teatro<br />

del<strong>la</strong> crudeltà, <strong>in</strong>fatti, non è propriamente teatro sulle scene, ma è l’istanza di una <strong>in</strong>edita acrobazia che<br />

chiede di sostare operativamente proprio <strong>in</strong> quel luogo <strong>in</strong>afferrabile, quel “nucleo fragile e irre<strong>qui</strong>eto” che<br />

era stato <strong>in</strong>dicato come il dissipato di ogni scrittura. E se ogni scrittura non può che essere autobiografica<br />

iscrizione di sé, taratura del senso come esposizione di una anacronistica provenienza, allora quel sostare<br />

operativo si determ<strong>in</strong>a come rappresentazione di sé nel<strong>la</strong> pluriorientata e gratuita produzione di altro da<br />

sé. Ciò che Artaud chiama ‘teatro del<strong>la</strong> crudeltà’ è un esercizio autogenerativo e attore crudele è colui<br />

che, agendo, espone <strong>la</strong> realtà alle sue metamorfosi e il soggetto al<strong>la</strong> sua costitutiva soggezione.<br />

Crudeltà è dunque esercizio di <strong>in</strong>sistenza nel luogo utopico nel quale si compie <strong>la</strong> sottrazione produttiva,<br />

nonché l’esibizione riproduttiva di quel<strong>la</strong> sottrazione medesima: luogo che è propriamente un primum<br />

movens <strong>in</strong> quanto transito già sempre accaduto nel<strong>la</strong> emergenza grafica di pratiche di vita. Quel che <strong>in</strong><br />

ogni scrittura si sottrae è l’accadere dell’<strong>in</strong>cisione, avevamo detto; tuttavia solo sottraendosi l’<strong>in</strong>cisione<br />

accade, e accade <strong>in</strong> forma di spoglia <strong>in</strong>erte che, cadendo appunto, cede il passo a nuove scritture del<br />

medesimo <strong>in</strong>-scrivibile.<br />

Il teatro del<strong>la</strong> crudeltà è perciò <strong>la</strong> frequentazione rigorosa del transito <strong>in</strong>-scrivibile, verticalmente attivo<br />

all’<strong>in</strong>terno delle sue iscrizioni, solo <strong>in</strong> esse e per esse riattivabile (questo era il secondo <strong>la</strong>to del doppio<br />

gioco artaudiano). Ed è ovvio che tale frequentazione sfugga al pr<strong>in</strong>cipio del<strong>la</strong> differenza b<strong>in</strong>aria<br />

saturando il r<strong>in</strong>vio semantico. Non perché “rifiuti di significare” (il che co<strong>in</strong>ciderebbe con il paradossale<br />

rifiuto di accadere nell’unico modo <strong>in</strong> cui può farlo), ma perché abita <strong>la</strong> macu<strong>la</strong> di quel differire: punto<br />

osmotico vivente/vissuto nel quale non vi è differenza né r<strong>in</strong>vio, <strong>in</strong> quanto ogni differenza vi si <strong>in</strong>augura e<br />

ogni r<strong>in</strong>vio vi si artico<strong>la</strong>.<br />

Solo <strong>la</strong> comprensione di tale ‘<strong>in</strong>differenza’ consente di <strong>in</strong>tendere <strong>la</strong> scrittura del<strong>la</strong> crudeltà come teatro<br />

autobiografico e, ad un tempo, di accogliere <strong>la</strong> provocazione artaudiana ad <strong>in</strong>terrogare i suoi scarti<br />

reiterandone il gesto fondativo. Solo tale comprensione, forse, potrebbe consentire di transitare<br />

dall’<strong>in</strong>treccio di <strong>in</strong>consapevoli autobiografie al<strong>la</strong> scrittura di una consapevole ma imprevedibile<br />

autogenerazione (5).<br />

Flor<strong>in</strong>da Cambria<br />

32


Note.<br />

(1) A. Artaud, Il Pesa-Nervi, trad. it. <strong>in</strong> Al paese dei Tarahumara e altri scritti, a cura di H. J. Maxwell e C. Rugafiori,<br />

Adelphi, Mi<strong>la</strong>no 1966, p. 39.<br />

(2) J. Derrida, Artaud: <strong>la</strong> parole soufflée, trad. it. <strong>in</strong> La scrittura e <strong>la</strong> differenza, E<strong>in</strong>audi, Tor<strong>in</strong>o 1971, p. 226.<br />

(3) A. Artaud, Il teatro e il suo doppio, trad. it. a cura di G. R. Morteo e G. Neri, E<strong>in</strong>audi, Tor<strong>in</strong>o 1968, p. 133.<br />

(4) C. S<strong>in</strong>i, Idoli del<strong>la</strong> conoscenza, Cort<strong>in</strong>a, Mi<strong>la</strong>no 2000, p. 127.<br />

(5) Per un approfondimento del senso autogenerativo del teatro del<strong>la</strong> crudeltà mi permetto di r<strong>in</strong>viare al mio Far<br />

danzare l’anatomia. It<strong>in</strong>erari del corpo simbolico <strong>in</strong> Anton<strong>in</strong> Artaud, ETS, Pisa 2007.<br />

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APPUNTI A MARGINE DE L'ODISSEA, UNA VERSIONE TEATRALE DI DEREK WALCOTT<br />

…da lettore preferisco gli appunti di un critico ai suoi trattati.<br />

–W.H. AUDEN<br />

Intervistatore: Prima di questa Odissea aveva già scritto Omeros, come mai questo <strong>in</strong>teresse per<br />

Omero?<br />

Walcott: Omeros non è una riscrittura di Omero ma è solo vagamente ispirato a Omero… Greg Doran, il<br />

giovane direttore del<strong>la</strong> Royal Shakespeare Company, era <strong>in</strong>teressato a un adattamento teatrale<br />

dell’Odissea e mi ha chiesto di farlo. La prima reazione era stata di non accettare. Non me <strong>la</strong> sentivo di<br />

derubare un povero cantore cieco a cui non potevo nemmeno pagare i diritti. Poi, però, ho <strong>in</strong>iziato a<br />

<strong>la</strong>vorare sui s<strong>in</strong>goli versi, a condensare gli episodi <strong>in</strong> scene, e <strong>la</strong> cosa ha <strong>in</strong>iziato a <strong>in</strong>teressarmi.<br />

* * *<br />

Da un’<strong>in</strong>tervista a Radio 3, Siracusa, 13 luglio 2005<br />

“Un povero cantore cieco a cui non potevo nemmeno pagare i diritti”. Una battuta che contiene almeno<br />

una verità: il modo <strong>in</strong> cui Walcott concepisce <strong>la</strong> figura di Omero. Non il busto che fa da cariatide all’<strong>in</strong>tero<br />

edificio del<strong>la</strong> cultura occidentale, ma il povero cantore cieco, it<strong>in</strong>erante e bistrattato, costretto a chiedere<br />

l’elemos<strong>in</strong>a nelle corti <strong>in</strong> cui si esibiva.<br />

Diverse variazioni di questa figura le troviamo <strong>in</strong> Omeros: il mendicante scacciato dai grad<strong>in</strong>i di St.<br />

Mart<strong>in</strong>-<strong>in</strong>-the-Fields a Londra, un griot africano – il “cantore dagli occhi bianchi” <strong>in</strong>contrato da Achille al<strong>la</strong><br />

f<strong>in</strong>e del suo viaggio alluc<strong>in</strong>ato verso le orig<strong>in</strong>i – e il vecchio Seven Seas, che seduto tutto il giorno al No<br />

Pa<strong>in</strong> Café di Ma Kilman “a volte cantava […]// […] ma per lei le sue parole erano greco, o antico balbettio<br />

africano”. In questa Odissea compare nei panni di Bl<strong>in</strong>d Billy Blue, un bluesman nero che svolge <strong>la</strong><br />

funzione di coro e che riveste anche i ruoli di Femio e Demòdoco, due bardi ciechi come lui già presenti<br />

nel poema omerico.<br />

* * *<br />

L’Iliade e l’Odissea hanno preso <strong>la</strong> forma <strong>in</strong> cui oggi le conosciamo tra il 750 e il 650 a.C. (questa,<br />

almeno, <strong>la</strong> teoria più accreditata) grazie al <strong>la</strong>voro di un aedo cieco che <strong>la</strong> tradizione identifica con Omero.<br />

Gli eventi del<strong>la</strong> guerra di Troia def<strong>in</strong>ivano il limite del<strong>la</strong> memoria del popolo greco e le storie che li<br />

narravano erano state preservate oralmente da cantori illetterati che le avevano tramandate attraverso i<br />

“secoli bui” (circa 1100-800 a.C) durante i quali, <strong>in</strong> seguito all’improvvisa scomparsa del<strong>la</strong> civiltà<br />

micenea, l’arte del<strong>la</strong> scrittura era andata perduta. Una situazione molto simile a quel<strong>la</strong> che ha seguito <strong>la</strong><br />

deportazione dei neri dall’Africa alle Americhe, dove ciò che resta del<strong>la</strong> memoria storica e culturale di<br />

un’<strong>in</strong>tera razza è sopravvissuto grazie agli eredi dei griot africani che, come i bardi greci, improvvisavano<br />

su temi tradizionali e <strong>la</strong> cui arte è tuttora viva nei bluesmen e, <strong>in</strong> area caraibica, nei cantanti di Calipso.<br />

Omero e Billy Blue sono entrambi rapsodi (“cucitore di canti”), poiché raccolgono storie già esistenti e nel<br />

ri-raccontarle le rie<strong>la</strong>borano, <strong>in</strong>tegrandole con frammenti di altre storie.<br />

In questo senso, i poemi omerici sono più vic<strong>in</strong>i al<strong>la</strong> poesia orale africana di quanto lo siano all’Eneide,<br />

al<strong>la</strong> Div<strong>in</strong>a Commedia o al Paradiso Perduto, vertici epici di una cultura scritta di stampo europeo che<br />

vede <strong>in</strong> Omero <strong>la</strong> propria orig<strong>in</strong>e e il proprio modello. Walcott, ponendosi come erede di entrambe, ne<br />

opera una s<strong>in</strong>tesi. Nonostante sia un poeta saldamente ancorato al<strong>la</strong> scrittura, sia l’<strong>in</strong>glese <strong>in</strong> cui scrive<br />

sia gli elementi formali di cui si serve sono il risultato di una fusione dell’educazione coloniale – “scribale”<br />

e <strong>in</strong>glese – ricevuta nelle scuole caraibiche (a St. Lucia, <strong>la</strong> sua iso<strong>la</strong> natale, e <strong>in</strong> Giamaica) e delle culture<br />

creole e orali di quegli stessi luoghi.<br />

* * *<br />

Il tempo <strong>in</strong> cui <strong>la</strong> scrittura di Walcott accade non è quello l<strong>in</strong>eare del<strong>la</strong> storia – che separa tra prima e<br />

dopo, tra causa ed effetto – ma quello “simultaneo” del mito che, come il mare, non ha epoche. Un<br />

tempo <strong>in</strong> cui, come succede <strong>in</strong> Omeros, Walcott e Omero possono trovarsi sul<strong>la</strong> stessa barca al <strong>la</strong>rgo di<br />

St. Lucia e <strong>in</strong>tonare <strong>in</strong>sieme un “Calipso greco” <strong>in</strong> sua lode, o <strong>in</strong> cui, come <strong>in</strong> questa Odissea, <strong>la</strong> schiava<br />

Euriclea può par<strong>la</strong>re <strong>in</strong> un dialetto caraibico anche se l’azione cont<strong>in</strong>ua a svolgersi nell’antica Grecia.<br />

Questa concezione del tempo non si riflette solo sui soggetti delle sue opere, ma anche su suo stile di<br />

scrittura e sul<strong>la</strong> sua attitud<strong>in</strong>e verso <strong>la</strong> letteratura nel suo <strong>in</strong>sieme. Lontano da qualsiasi movimento<br />

letterario, da qualsiasi “ismo”, Walcott ha sempre perseguito una strada <strong>in</strong>dividuale, anche se non<br />

solitaria. I suoi compagni di viaggio sono stati numerosi: i “grandi morti” – i poeti che lo hanno preceduto<br />

e che ha amato – e alcuni dei vivi (anche se oggi non più), come il suo “scopritore” Robert Lowell o il suo<br />

amico Joseph Brodskij. Tutti abitatori di un pantheon poetico a cui ogni suo verso è consacrato e <strong>la</strong> cui<br />

<strong>in</strong>fluenza è stata sempre sentita come simultanea, poiché nel<strong>la</strong> l<strong>in</strong>gua (a differenza di ciò che accade nelle<br />

34


storie del<strong>la</strong> letteratura, divise <strong>in</strong> capitoli e <strong>in</strong> volumi) i poeti di ogni tempo sono simultaneamente presenti<br />

e, <strong>qui</strong>ndi, eternamente contemporanei.<br />

Conv<strong>in</strong>to dell’esistenza di un “genio comune” che <strong>in</strong> ogni generazione cerchi poeti attraverso cui<br />

esprimersi, Walcott non ha mai avuto il timore di imitare, di assorbire, di camm<strong>in</strong>are sulle orme dei padri.<br />

La sua idea di vocazione poetica è di tipo medievale, lontana dal culto del<strong>la</strong> personalità e dell’orig<strong>in</strong>alità, e<br />

ha come oggetto, prima di tutto, <strong>la</strong> perpetuazione di ciò che già esiste. Usando una sua metafora, si<br />

tratta di “aggiungere un mattone al<strong>la</strong> cattedrale”. Se Walcott è un <strong>in</strong>novatore lo è nell’unico modo <strong>in</strong> cui<br />

si possa realmente esserlo: senza volerlo. La sua orig<strong>in</strong>alità è il risultato di una doppia fedeltà, al genio<br />

poetico e al<strong>la</strong> realtà caraibica; una fedeltà giurata, per dir<strong>la</strong> con un verso di Mandel’stam, “con un voto<br />

così solenne da far salire le <strong>la</strong>crime agli occhi” e mantenuta senza mai scendere a compromessi.<br />

* * *<br />

Adattando l’Odissea per il teatro Walcott mantiene pressoché <strong>in</strong>alterati struttura e metro orig<strong>in</strong>ali. L’esito<br />

è una pièce piuttosto “decentrata" rispetto al<strong>la</strong> produzione teatrale contemporanea. Tre ore di spettacolo<br />

<strong>in</strong> esametri (per di più rimati) potrebbero facilmente spaventare più di uno spettatore e, sicuramente, più<br />

di un produttore. Eppure si tratta di un testo <strong>la</strong> cui freschezza è risanante.<br />

Credo che questo sia dovuto pr<strong>in</strong>cipalmente al fatto che per Walcott quel<strong>la</strong> storia, quel<strong>la</strong> struttura e quel<br />

metro sono elementi naturali del mondo <strong>in</strong> cui è cresciuto e ha vissuto. Per lui, l’Odissea è sia <strong>la</strong> grande<br />

epica che contiene <strong>la</strong> voce di Omero e di tutti quelli che dopo di lui l’hanno cantata o riadattata, sia <strong>la</strong><br />

storia di qualsiasi pescatore che percorrre il Mare dei Caraibi per tornare al<strong>la</strong> sua casa. Come leggiamo<br />

nel suo Omeros, il nome stesso del poeta greco è parte del paesaggio e del<strong>la</strong> l<strong>in</strong>gua locali: “[…] dissi<br />

‘Omeros’/ e O fu l’<strong>in</strong>vocazione del<strong>la</strong> conchiglia, mer/ sia madre che mare nel nostro patois delle Antille,/<br />

os, un osso grigio e l’onda bianca quando si frange/ e sparge il suo colletto sibi<strong>la</strong>nte su una costa<br />

merlettata./ Omeros era l’<strong>in</strong>cartocciarsi delle foglie secche e lo sciac<strong>qui</strong>o/ che echeggia da una grotta<br />

quando <strong>la</strong> marea è rifluita”.<br />

Il rispetto per <strong>la</strong> forma di un racconto non gli viene solo dallo studio del<strong>la</strong> letteratura ma anche, o<br />

soprattutto, dal<strong>la</strong> cultura popo<strong>la</strong>re caraibica, dalle fiabe che gli venivano raccontate da piccolo. Così è<br />

anche per il metro e per <strong>la</strong> rima, che non sono solo "una cosa <strong>in</strong>glese" ma anche quegli elementi sui<br />

quali, e grazie ai quali, i cantanti di Calipso compongono e improvvisano.<br />

L’esametro è <strong>qui</strong> usato non per, e con, puntiglio c<strong>la</strong>ssicistico ma, prima di tutto, perché è il metro del<br />

mare che, <strong>in</strong>curante di quanto succede (e si succede) sul<strong>la</strong> terra, cont<strong>in</strong>ua a battere sulle coste di St.<br />

Lucia e su quelle di Itaca con <strong>la</strong> stessa scansione con cui lo faceva ai tempi di Omero e che, come il cuore<br />

dell’uomo, non ha mai alterato il proprio ritmo per adeguarsi alle mode. Gli esametri di Walcott, come<br />

qualsiasi altro metro abbia mai adottato, non sono reperti da museo ma organismi viventi che, grazie a<br />

quel<strong>la</strong> straord<strong>in</strong>aria adattabilità che contraddist<strong>in</strong>gue <strong>la</strong> specie metrica, hanno saputo modificarsi<br />

dall’<strong>in</strong>terno <strong>in</strong> modo da poter accogliere e contribuire a creare quell’altrettanto straord<strong>in</strong>aria entità che è<br />

<strong>la</strong> sua l<strong>in</strong>gua.<br />

* * *<br />

Il teatro di Walcott è un teatro di paro<strong>la</strong>. Tutto ciò che ci serve vedere è contenuto nei dialoghi. In quello<br />

tra Odisseo e i mar<strong>in</strong>ai (Atto I, scena V), ad esempio, i ricordi del passato e le aspettative dell’imm<strong>in</strong>ente<br />

(o creduto tale) arrivo a Itaca sono espresse attraverso immag<strong>in</strong>i che a partire dal fondo del mare f<strong>in</strong>o<br />

al<strong>la</strong> volta celeste costruiscono <strong>la</strong> scenografia del viaggio notturno <strong>in</strong> nave. Come accadeva per il dramma<br />

elisabettiano, le sue pièce non hanno bisogno di partico<strong>la</strong>ri accorgimenti scenici. Una caratteristica,<br />

questa, che Walcott difende strenuamente anche come regista.<br />

Questo tipo di scrittura fa appello all’immag<strong>in</strong>azione di chi ascolta o legge. L’immag<strong>in</strong>azione poetica<br />

contemp<strong>la</strong> e trasforma. Trasforma gli eventi <strong>in</strong> storie, conferisce loro un senso. O meglio, “trasforma il<br />

lettore <strong>in</strong> poeta”, chiedendogli di partecipare al<strong>la</strong> creazione di una storia. A “raccontarci” l’Odissea non è<br />

solo <strong>la</strong> voce narrante, ma anche quel<strong>la</strong> di alcuni personaggi come Proteo, Femio, Nestore (<strong>in</strong> Walcott,<br />

riprendendo l’Ulisse dantesco), Mene<strong>la</strong>o e Tiresia. Nessuno di questi è però abile quanto Odisseo, che a<br />

ogni occasione racconta una storia diversa su se stesso, compresa una parte di quel<strong>la</strong> che identifichiamo<br />

con <strong>la</strong> vera Odissea.<br />

* * *<br />

Da dove viene a Odisseo questa capacità? Per Walcott, dal<strong>la</strong> schiava egiziana Euríclea. È lei – <strong>la</strong><br />

depositaria di una saggezza più antica di quel<strong>la</strong> dei filosofi greci (una saggezza “africana” e guaritrice che<br />

si esprime attraverso il l<strong>in</strong>guaggio poetico del mito e delle favole) – che con le sue storie ha <strong>formato</strong> le<br />

menti di Odisseo e di Telemaco, di cui anche è stata nutrice. Quanto questa educazione sia stata<br />

importante, lo vediamo durante <strong>la</strong> visita di Telemaco a Mene<strong>la</strong>o. Quando il re di Sparta gli mostra il vaso<br />

dip<strong>in</strong>to da cui scaturisce, tra <strong>la</strong> nebbia, <strong>la</strong> visione di Proteo - “un essere fluido, sfuggevole” – Telemaco lo<br />

riconosce perché quel<strong>la</strong> è una storia che Euríclea gli ha raccontato da bamb<strong>in</strong>o: TELEMACO Ma è <strong>la</strong> storia<br />

del<strong>la</strong> mia vecchia nutrice, grande Mene<strong>la</strong>o./ MENELAO Allora considerati per sempre <strong>in</strong> suo debito./ TELEMACO<br />

35


Perché? MENELAO I cancelli dell’immag<strong>in</strong>azione non si chiudono mai./ TELEMACO Neanche da adulti? MENELAO<br />

Cos’è l’uomo? Un bamb<strong>in</strong>o che dubita”.<br />

Eppure, un paio di scene prima era proprio Euríclea a essere il “bamb<strong>in</strong>o che dubita”. Di fronte allo<br />

stupore di Telemaco, sicuro di aver ricevuto una visita di Atena, Euríclea è scettica. Telemaco le ricorda<br />

che è lei ad avergli raccontato che Atena è egiziana e che gli dèi possono prendere forme naturali. Solo<br />

l’apparizione di Atena, nelle vesti del capitano Mentes, riporterà <strong>la</strong> fede che Euríclea aveva perso o che<br />

soltanto sonnecchiava come una brace sotto le ceneri di Troia. Telemaco si reca a Pilo e a Sparta perché<br />

crede che “il c<strong>in</strong>guettìo di una rond<strong>in</strong>e” (che <strong>in</strong> verità garrisce) sia il messaggio di una dea. Atena lo<br />

sprona a partire non al<strong>la</strong> ricerca di suo padre ma del<strong>la</strong> storia di suo padre. Quello di Telemaco è un atto di<br />

fede nelle storie che gli sono state raccontate. Come scriveva Italo Calv<strong>in</strong>o, <strong>la</strong> storia di cui Telemaco va <strong>in</strong><br />

cerca è l’Odissea.<br />

* * *<br />

“Nancy stories me tell you and Hodysseus”. In realtà è questo il primo tentativo di Euríclea per screditare<br />

i propri racconti. Nel suo dialetto caraibico (questa frase ne è un ottimo esempio: “me” al posto di “I”, il<br />

presente “tell” al posto del passato “told”, <strong>la</strong> “h” anteposta a Odysseus), nancy, che <strong>in</strong> <strong>in</strong>glese standard<br />

significherebbe “effem<strong>in</strong>ato”, è <strong>in</strong>vece una contrazione di Anancy (o Anansi), vale a dire del nome proprio<br />

di un ragno par<strong>la</strong>nte <strong>la</strong> cui presenza nel folklore dei Caraibi è tale da far sì che <strong>la</strong> locuzione Anansi stories<br />

(storie di Anansi) col tempo sia venuta a significare “favole” o “fiabe”, così come <strong>in</strong> <strong>in</strong>glese tutte le fiabe<br />

sono fairytales (racconti di fate).<br />

In orig<strong>in</strong>e un personaggio del<strong>la</strong> mitologia africana che con l’astuzia ha v<strong>in</strong>to al dio del cielo Niame tutte le<br />

storie, nel suo passaggio ai Caraibi (sulle navi dei negrieri, assieme agli schiavi) Anansi si è via via<br />

tras<strong>formato</strong> <strong>in</strong> un vero e proprio “trickster”, cioè una sorta di anti-eroe ribelle, astuto e <strong>in</strong>genuo allo<br />

stesso tempo, che con <strong>la</strong> sua buffoneria e irriverenza è capace di rovesciare l’ord<strong>in</strong>e sociale; uno spirito<br />

che non s’<strong>in</strong>carna solo <strong>in</strong> figure def<strong>in</strong>ite come Anansi (o, più vic<strong>in</strong>i a noi, Arlecch<strong>in</strong>o e Pulc<strong>in</strong>el<strong>la</strong>), ma che<br />

compare anche, con tratti non sempre univoci, nelle mitologie di tutti i popoli (per rimanere <strong>in</strong> Grecia, il<br />

dio Hermes), nelle avventure picaresche, nel carnevale e nei riti religiosi d’<strong>in</strong>iziazione, anticipando <strong>in</strong> certi<br />

casi <strong>la</strong> figura del salvatore, che guarisce perché ferito. Quanto di questo spirito sia presente nell’Odisseo<br />

di Walcott (che da quello di Omero eredita <strong>la</strong> “ferita” – <strong>la</strong> cicatrice che ha sul<strong>la</strong> coscia) lo si può vedere<br />

nell’ultima scena dove le angherie dei Proci ai suoi danni rievocano (o, volendo assecondare <strong>la</strong> f<strong>in</strong>zione,<br />

anticipano) <strong>la</strong> Passione, trasformando Odisseo <strong>in</strong> una prefigurazione del Cristo. O ancora, nell’<strong>in</strong>contro<br />

con il Ciclope-dittatore, durante il quale sarà proprio <strong>la</strong> sua buffoneria a salvargli <strong>la</strong> vita.<br />

Il motivo per cui le storie di Anansi sono diventate così popo<strong>la</strong>ri <strong>in</strong> un ambiente dom<strong>in</strong>ato dal<strong>la</strong> schiavitù è<br />

piuttosto evidente. I rapporti di potere tra padrone e schiavo sono impari. Solo l’astuzia può permettere a<br />

quest’ultimo di sopravvivere e, nel migliore dei casi, avere <strong>la</strong> meglio. L’astuzia di Anansi ha un parallelo<br />

greco nel<strong>la</strong> metis, una sorta di “prudenza accorta” che è anche una delle caratteristiche pr<strong>in</strong>cipali di<br />

Odisseo. Quando, nel<strong>la</strong> scena II dell’Atto II, Atena gli farà ascoltare il sussurro dei frangenti, questi gli<br />

ripeteranno il suo nome e alcuni degli epiteti che Omero, secondo l’uso epico, gli associa: Odisseo è<br />

polumechanos (dai molti espedienti), polut<strong>la</strong>s (che molto ha sofferto) e polumetis (dalle molte astuzie).<br />

* * *<br />

L’orig<strong>in</strong>e del<strong>la</strong> metis, come quel<strong>la</strong> di Anansi, è div<strong>in</strong>a. Come nome proprio, metis designava <strong>in</strong>fatti una<br />

div<strong>in</strong>ità femm<strong>in</strong>ile figlia di Oceano. Il ruolo di questa dea nel<strong>la</strong> mitologia greca è poco più che un<br />

cammeo: prima sposa di Zeus, Metis è messa <strong>in</strong> c<strong>in</strong>ta e poi <strong>in</strong>goiata dal marito prima di aver dato al<strong>la</strong><br />

luce <strong>la</strong> figlia Atena. F<strong>in</strong>e. Si direbbe un ruolo davvero marg<strong>in</strong>ale, se non fosse che con l’atto d’<strong>in</strong>goiarse<strong>la</strong><br />

il re degli dèi ne ac<strong>qui</strong>sisce per sempre le qualità e che sua figlia Atena, naturale erede di queste, causa<br />

un’aff<strong>in</strong>ità elettiva, ha sempre avuto Odisseo, come si suol dire, nel<strong>la</strong> manica. È lei che lo consiglia e lo<br />

protegge. Di tutti gli dèi dell’Olimpo, Atena è anche l’unica che Walcott mantiene. Zeus e Poseidone sono<br />

nom<strong>in</strong>ati ma rimangono sempre dietro le <strong>qui</strong>nte, <strong>in</strong>visibili.<br />

Metis è un tipo di astuzia che mette <strong>in</strong> gioco esperienza e capacità di prevedere, grazie a un’alta<br />

concentrazione su ciò che sta accadendo, gli sviluppi futuri di una data situazione; un’attesa vigile del<br />

“momento opportuno” (kairós) <strong>in</strong> cui prontezza nell’agire e agilità sono richieste. Metis è <strong>in</strong>oltre<br />

caratterizzata da Omero come molteplice, varia, rapida e ondeggiante perché queste sono le qualità del<br />

campo a cui metis si applica: il mondo fluido del movimento, le situazioni <strong>in</strong> costante cambiamento. Così<br />

è <strong>la</strong> realtà <strong>in</strong> cui Odisseo si muove, e così è, più che mai, quel<strong>la</strong> <strong>in</strong> cui oggi ci muoviamo. Una co<strong>in</strong>cidenza<br />

che Walcott non manca di sottol<strong>in</strong>eare <strong>in</strong> varie occasioni. Ad esempio, prima del naufragio causato<br />

dall’apertura dell’otre dei venti, Odisseo, vedendo che il suo giovane timoniere Elpenore governa <strong>la</strong> nave<br />

con troppa leggerezza, lo riprende: “Attento al<strong>la</strong> manovra. Una nube può <strong>in</strong>durirsi <strong>in</strong> uno scoglio”. O<br />

ancora, durante <strong>la</strong> già citata visita di Telemaco a Sparta, quando, sganciandosi da Omero, Walcott fa<br />

lottare Odisseo con Proteo – cosa che nell’orig<strong>in</strong>ale accade solo a Mene<strong>la</strong>o.<br />

36


* * *<br />

Per Odisseo, ogni approdo ce<strong>la</strong> un pericolo: un mostro pronto a ucciderlo o una n<strong>in</strong>fa pronta a fargli<br />

scordare <strong>la</strong> sua Itaca. Spesso le cose appaiono diverse da come sono: Circe, che trasforma gli uom<strong>in</strong>i <strong>in</strong><br />

maiali, diventa <strong>la</strong> sua guida nell’Ade, il canto sublime delle Sirene è “come una fune” che trasc<strong>in</strong>a verso <strong>la</strong><br />

morte. Per gli antichi greci, soltanto lo stesso agisce sullo stesso, così Odisseo, per far fronte a questi<br />

cont<strong>in</strong>ui mutamenti, è costretto a mutare <strong>in</strong> cont<strong>in</strong>uazione, a re<strong>in</strong>ventare <strong>la</strong> propria identità attraverso<br />

nuove storie su se stesso, f<strong>in</strong>ché dal Ciclope – il “Grande Occhio”, lo “Zero” al cui cenno “ogni uomo è<br />

ridotto a un niente” – diventerà un “Nessuno”. Da Circe, <strong>la</strong> maga, sarà un fiore magico a salvarlo; dal<br />

canto delle Sirene, <strong>la</strong> corda con cui si fa legare all’albero maestro.<br />

Questa sua versatilità è anche una forma di saggezza, che <strong>in</strong> greco era sophia ma che, a differenza di<br />

quanto accade oggi, aveva allora un significato molto pratico. In orig<strong>in</strong>e era riferita alle arti che<br />

richiedono destrezza manuale e, <strong>in</strong> partico<strong>la</strong>re, proprio a quel<strong>la</strong> del timoniere, <strong>la</strong> cui saggezza si<br />

manifesta “nell’abilità di compiere m<strong>in</strong>imi aggiustamenti con <strong>la</strong> barra del timone <strong>in</strong> accordo con le<br />

variazioni accidentali delle onde, del vento, del carico” (J. Hillman). Non è facile dare un senso agli<br />

accidenti, ai venti che fanno deviare dal<strong>la</strong> rotta e sembrano ritardare l’arrivo, ma forse soltanto<br />

<strong>in</strong>tegrandoli nel percorso si può giungere a dest<strong>in</strong>azione.<br />

Al<strong>la</strong> f<strong>in</strong>e, Odisseo troverà <strong>la</strong> via di casa proprio perché, grazie al<strong>la</strong> sua flessibilità, saprà assecondare gli<br />

imprevisti e <strong>in</strong> base a questi ridisegnare <strong>la</strong> sua rotta. Pensare di poter conoscere <strong>la</strong> meta e di calco<strong>la</strong>re <strong>la</strong><br />

rotta <strong>in</strong> anticipo è una presunzione umana, un atto di hybris che non può non <strong>in</strong>contrare il disfavore degli<br />

dèi. Un disfavore che quando si manifesta non è forse tanto per punire quanto per mandare un<br />

ammonimento e un segnale. L’<strong>in</strong>cidente che ci capita sembrerebbe così servire proprio a correggere<br />

l’errore e a portarci sul<strong>la</strong> rotta e al<strong>la</strong> meta giuste: quel<strong>la</strong> che non avremmo mai pensato di prendere,<br />

quel<strong>la</strong> dove non avremmo mai pensato di arrivare. Una “strada” <strong>la</strong> cui traiettoria, come ha scritto Adam<br />

Zagajewski <strong>in</strong> una poesia sul modo <strong>in</strong> cui il div<strong>in</strong>o opera, è “così tortuosa che è a ma<strong>la</strong>pena visibile”.<br />

* * *<br />

A metà degli anni Settanta, ne “La Goletta Flight”, Walcott faceva scrivere al suo protagonista, il poetamar<strong>in</strong>aio<br />

Shab<strong>in</strong>e, “Ho un solo tema:/ Il bompresso, <strong>la</strong> freccia, l’anelito, lo s<strong>la</strong>ncio del cuore–/ il volo<br />

verso un bersaglio di cui mai sapremo lo scopo,/ ricerca vana di quell’iso<strong>la</strong> che risana col suo porto/ e un<br />

orizzonte senza colpa, dove l’ombra del mandorlo/ non ferisce <strong>la</strong> sabbia”. A quasi una vent<strong>in</strong>a d’anni di<br />

distanza, ritroviamo Walcott alle prese con un altro mar<strong>in</strong>aio, Odisseo, che a “quell’iso<strong>la</strong> che risana col<br />

suo porto” arriva, ed è <strong>la</strong> stessa da cui è partito. Ma una volta arrivato non <strong>la</strong> riconosce. È Atena, una<br />

dea, a dovergli dire dove si trova. È lo stesso percorso circo<strong>la</strong>re che troviamo nel<strong>la</strong> chiusa dei Quattro<br />

Quartetti di Eliot: “Non cesseremo di esplorare/ E <strong>la</strong> f<strong>in</strong>e del<strong>la</strong> nostra esplorazione/ sarà arrivare dove<br />

siamo partiti/ e conoscere il posto per <strong>la</strong> prima volta”. Il luogo d’arrivo è e non è lo stesso da cui si è<br />

partiti.<br />

L’Odisseo di Walcott, come consiglia Kavafis, durante il viaggio tiene sempre Itaca a mente. Per lui, il<br />

vero pericolo non è essere ucciso (perdere <strong>la</strong> vita, fa sapere al Ciclope, non gli importa), ma “l’oblio di<br />

seta scar<strong>la</strong>tta” nel quale, dal<strong>la</strong> maga Circe, rischia di “annegare”. A ricordagli costantemente Itaca è <strong>la</strong><br />

nostalgia che ha nel cuore. E <strong>la</strong> nostalgia, come tutti gli affetti, è un legame. Odisseo è home-bound, cioè<br />

“diretto a casa”, ma anche, se si <strong>in</strong>tende bound non come aggettivo ma come passato del verbo to b<strong>in</strong>d,<br />

“legato” al<strong>la</strong> sua casa; o ancora, “dest<strong>in</strong>ato” al<strong>la</strong> sua casa, visto che to be bound to significa “essere<br />

dest<strong>in</strong>ato a” e che lo stesso verbo <strong>la</strong>t<strong>in</strong>o dest<strong>in</strong>o orig<strong>in</strong>ariamente significava “legare saldamente”,<br />

“fissare”.<br />

Nel suo cont<strong>in</strong>uo spostarsi per mare, come una spo<strong>la</strong>, Odisseo <strong>in</strong>treccia il filo dell’ordito che lo lega a<br />

Itaca con <strong>la</strong> trama di ciò che gli accade. Il risultato di questo <strong>la</strong>voro di tessitura è l’arazzo del<strong>la</strong> sua<br />

esistenza. Potremmo azzardare l’ipotesi che il dest<strong>in</strong>o di un uomo si compia quando questi, raccogliendo i<br />

“suggerimenti” div<strong>in</strong>i, riesca a riprodurre durante <strong>la</strong> sua vita il disegno, l’<strong>in</strong>treccio, già <strong>in</strong>tessuto per lui<br />

dal<strong>la</strong> div<strong>in</strong>ità. Ed è proprio questo disegno che l’Odisseo di Walcott sembra sempre <strong>in</strong>tento a scorgere e a<br />

tentare di ripetere. Al suo arrivo a Itaca, quando Penelope, ancora ignara di avere davanti a sé il marito e<br />

non capendo le sue parole, gli chiederà dov’è il filo dei suoi discorsi, Odisseo risponderà: “nell’arazzo del<strong>la</strong><br />

mia mente”. Un arazzo dal<strong>la</strong> trama complessa quanto quel<strong>la</strong> del<strong>la</strong> te<strong>la</strong> che Penelope (cercando di deferire<br />

il suo dest<strong>in</strong>o) <strong>in</strong>tesse di giorno e disfa di notte. Complessa, circo<strong>la</strong>re e <strong>in</strong>visibile quanto quel<strong>la</strong> del<strong>la</strong> te<strong>la</strong><br />

di un ragno; e quanto quel<strong>la</strong> <strong>in</strong>tessuta per lui dagli dèi – che è poi <strong>la</strong> trama dell’Odissea stessa.<br />

* * *<br />

La praticità del<strong>la</strong> saggezza di Odisseo è <strong>in</strong>tesa da Walcott anche come "buon senso". Nel<strong>la</strong> scena VIII<br />

dell’Atto I, possiamo confrontar<strong>la</strong> con quel<strong>la</strong> del filosofo Socrate Aristotele Lucrezio che, al contrario di<br />

Odisseo, non sa come muoversi nel mondo stravolto <strong>in</strong> cui si trova. Il monologo che il filosofo recita<br />

quando viene arrestato è forse uno dei momenti più toccanti del<strong>la</strong> pièce, come lo è l’<strong>in</strong>tera scena<br />

seguente – anche se a quel punto sappiamo che l’<strong>in</strong>telligenza prevarrà sul potere che costantemente <strong>la</strong><br />

umilia, sappiamo anche che l’umiliazione e i crim<strong>in</strong>i perpetrati restano e cont<strong>in</strong>ueranno a ripetersi.<br />

37


Nonostante Walcott non abbia mai vissuto direttamente sotto una dittatura, questo episodio è comunque<br />

ispirato a ricordi personali: l’esperienza del suo amico Joseph Brodskij e quel<strong>la</strong>, <strong>in</strong>crociata solo per un<br />

istante ma mai scordata, di Ghiannis Ritsos, esiliato durante <strong>la</strong> dittatura dei colonnelli evocata <strong>in</strong> questa<br />

scena.<br />

Il Filosofo e il Ciclope sono agli antipodi e, per questo, hanno qualcosa <strong>in</strong> comune. Entrambi sono esseri<br />

sbi<strong>la</strong>nciati. Uno dal<strong>la</strong> parte dell’<strong>in</strong>telletto, l’altro dal<strong>la</strong> parte del<strong>la</strong> bestialità. L’Odisseo di Walcott è l’uomo<br />

del mezzo, nel quale <strong>in</strong>telligenza e ist<strong>in</strong>to si compenetrano. Al<strong>la</strong> visione monocu<strong>la</strong>re del gigante che si è<br />

div<strong>in</strong>izzato da sé oppone quel<strong>la</strong> dell’uomo comune, che guarda con entrambi i suoi occhi. Al Ciclope che<br />

gli chiede a cosa serva averne due, Odisseo risponde: "e<strong>qui</strong>librio, proporzione, contrasto". Per fargli<br />

capire che questo è il pr<strong>in</strong>cipio su cui tutto si regge, gli porta degli esempi: paradiso, <strong>in</strong>ferno; bene, male;<br />

s<strong>in</strong>istra, destra. Potremmo aggiungere anche bianco e nero, visto che il mondo del Ciclope, nel quale il<br />

contrasto non è ammesso, è grigio.<br />

I due occhi servono anche uno per ridere e l’altro per piangere. Il mondo degli uom<strong>in</strong>i non è univoco. Una<br />

stessa cosa, <strong>in</strong> questo caso le <strong>la</strong>crime, può avere due significati opposti. Anche il Ciclope piange, ma le<br />

sue <strong>la</strong>crime sono solo quelle del riso. L’e<strong>qui</strong>librio dei due occhi è anche quello uomo-donna. Odisseo<br />

spiega al Ciclope di voler tornare a casa perché lì ha una moglie: “Come i miei occhi. Facciamo una<br />

coppia”. Al suo ritorno a Itaca, quando <strong>in</strong> preda all’ira vorrà impiccare <strong>la</strong> serva <strong>in</strong>fedele Me<strong>la</strong>ntó, <strong>in</strong> un<br />

altro dei casi <strong>in</strong> cui Walcott si stacca da Omero, sarà proprio Penelope, impedendoglielo, a ristabilire<br />

l’e<strong>qui</strong>librio.<br />

* * *<br />

Il pericolo per Odisseo non è solo di “scordare il ritorno”, ma anche di perdere <strong>la</strong> propria umanità. Se <strong>la</strong><br />

perdesse, il ritorno non avrebbe più senso, o meglio, non potrebbe compiersi. Odisseo è l’uomo che ha<br />

“molto sofferto”. Questa è una delle cose che, arrivato a Itaca, Walcott gli farà ricordare dal<strong>la</strong> “voce dei<br />

frangenti”. Se Odisseo avesse smesso di soffrire (di provare nostalgia, cioè “dolore per il ritorno”)<br />

avrebbe perso l’ago del<strong>la</strong> busso<strong>la</strong> che lo ha guidato verso casa. Questo è quanto rischia dal<strong>la</strong> n<strong>in</strong>fa<br />

Calipso. Così lo racconta ai cortigiani di Scherìa: “ODISSEO La dea gli offre <strong>la</strong> div<strong>in</strong>ità. Lui rifiuta./ PRIMO<br />

CORTIGIANO Non accetta l’immortalità? Dio! Perché non <strong>la</strong> vuole?/ ODISSEO Desidera il suo scoglio, troppo<br />

roccioso per i cavalli./ PRIMO CORTIGIANO Più dell’immortalità? ODISSEO Sembrava naturale. L’uomo ama, poi<br />

muore./ PRIMO CORTIGIANO Ma il suo nome, Odisseo, rivettato di stelle!/ ODISSEO Preferisce accendere le<br />

<strong>la</strong>mpade del<strong>la</strong> sua casa./ FEMIO E quel<strong>la</strong> casa sarà <strong>la</strong> <strong>la</strong>mpada che guida <strong>la</strong> sua zattera”.<br />

Nel<strong>la</strong> stessa scena, <strong>la</strong> sofferenza, storpiatrice di uom<strong>in</strong>i, è accomunata da Femio al<strong>la</strong> deformazione. Il<br />

cantore cieco, che "vede attraverso", sa che entrambe sono preziose perché sono ciò che dell’uomo<br />

sopravvive, parte del suo mistero, al quale, proprio per essere tali, se “ascoltate” gli permetteranno di<br />

riunirsi: “FEMIO Sopravvive chi è deviato. Ciò che è deforme è ciò che rimane./ ALCÍNOO Perché lo dici,<br />

Femio? Perché le tue pupille sono spente?/ FEMIO È così per le <strong>la</strong>crime. I torrenti tortuosi si uniscono ai<br />

loro fiumi”. E i fiumi al mare.<br />

Nel coro conclusivo, Odisseo è l’uomo “che il dolore non ha saputo annientare”. Odisseo è riuscito a<br />

resistere, non ha permesso al dolore (più propriamente rispetto all’orig<strong>in</strong>ale, al<strong>la</strong> “disperazione”) di<br />

annientare <strong>la</strong> sua umanità. Odisseo non è morto come uomo prima che il suo corpo fosse morto. Anche <strong>in</strong><br />

questo caso, come nel<strong>la</strong> Passione dell’ultima scena, abbiamo una sovrapposizione tra mondo ellenico e<br />

cristiano. Nel “Cantico di Frate Sole” di Francesco d’Assisi i beati che saranno “<strong>in</strong>coronati” dall’Altissimo<br />

sono quelli che sostengono “<strong>in</strong>firmitate et tribu<strong>la</strong>tione” e “ke’l sosterrano <strong>in</strong> pace”.<br />

* * *<br />

Seppure <strong>la</strong> trama del<strong>la</strong> pièce sia <strong>in</strong> gran parte identica a quel<strong>la</strong> omerica, i pochi cambiamenti apportati<br />

sono piuttosto rilevanti. Facendo naufragare <strong>la</strong> nave come conseguenza dell’apertura dell’otre dei venti,<br />

anziché del passaggio tra Scil<strong>la</strong> e Cariddi, Walcott risolve bril<strong>la</strong>ntemente un impasse scenico che <strong>la</strong><br />

riproduzione fedele dell’<strong>in</strong>treccio avrebbe creato e, allo stesso tempo, <strong>in</strong>troduce un elemento di sogno, o<br />

di follia, che <strong>in</strong> Omero non è presente.<br />

All’<strong>in</strong>izio dell’Atto II, tramite un f<strong>la</strong>sh-back, troviamo Odisseo su una zattera – quel<strong>la</strong> che lo porta a<br />

Scherìa, dove a noi sembrava fosse arrivato naufragando con <strong>la</strong> nave – ed è su questa che, con l’aiuto dei<br />

compagni morti emersi dal mare, passerà attraverso il canto delle Sirene per poi naufragare nuovamente,<br />

come <strong>in</strong> Omero accade al<strong>la</strong> nave, tra Scil<strong>la</strong> e Cariddi. Per tutta <strong>la</strong> scena, Odisseo non sa se stia sognando<br />

o se sia impazzito. Lo ripete più volte e, dopo il naufragio, sono Billy Blue e Euríclea, <strong>in</strong> una n<strong>in</strong>na nanna<br />

cantata sul suo corpo rannicchiato nel sonno, a chiederselo.<br />

Ma se tutto sia realmente accaduto o se sia stato un sogno o un’alluc<strong>in</strong>azione non fa molta differenza. Le<br />

tre cose forse non possono essere dist<strong>in</strong>te e sono simultaneamente vere. l’Odisseo di Walcott sa che i<br />

mostri che ha <strong>in</strong>contrato sono, <strong>in</strong> ogni caso, un prodotto del<strong>la</strong> sua immag<strong>in</strong>azione; che non è solo quel<strong>la</strong><br />

forza benevo<strong>la</strong> di cui Euríclea gli ha aperto i cancelli ma che, come tutte le cose che esistono davvero, ha<br />

un suo <strong>la</strong>to oscuro e proietta un’ombra. Odisseo sa di avere “stanze buie che non os[a] esplorare” e che<br />

“l’<strong>in</strong>ferno è l’ombra dell’immag<strong>in</strong>azione”, ma sa anche che non per questo è meno reale.<br />

Tra i mostri che Odisseo <strong>in</strong>contra, il Ciclope, <strong>in</strong> questo senso, è sicuramente il più emblematico. Il<br />

38


Polifemo di Walcott non è solo un dittatore moderno ma anche The Great Eye: il “Grande Occhio”<br />

orwelliano e, per l’omofonia tra “eye” e “I”, il “Grande Io”. Nel combattere il Ciclope, Odisseo sta anche<br />

combattendo il suo stesso ego. Le sue ultime parole saranno dedicate proprio a questo: “PENELOPE C’erano<br />

cose strane là fuori?/ ODISSEO Mostri. Dio abbia pietà di noi. PENELOPE Perché? ODISSEO Siamo noi a crearli”.<br />

Tornano al<strong>la</strong> mente, oltre a “Itaca” di Kavafis, alcuni versi di Lowell partico<strong>la</strong>rmente amati da Walcott:<br />

“Pity the monsters!/ Pity the monsters!/ Perhaps, one always took the wrong side–” (“Abbi pietà dei<br />

mostri!/ Abbi pietà dei mostri!/ Forse, ci si è sempre schierati dal<strong>la</strong> parte sbagliata”).<br />

* * *<br />

Pietà e pace sono le due parole che dom<strong>in</strong>ano il verso su cui ca<strong>la</strong> il sipario. In uno dei due cori<br />

precedenti, Antíclea ricorda a suo figlio che <strong>la</strong> pace a cui è <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e approdato gli era stata promessa e che<br />

se il suo cuore si è “gonfiato” non è stato “per il masso scagliato dal Ciclope” ma perché <strong>la</strong> profezia<br />

ricevuta negli <strong>in</strong>feri si potesse avverare. La promessa di Antíclea era anche una profezia e <strong>la</strong> profezia, per<br />

compiersi, ha avuto bisogno che il cuore di Odisseo si “gonfiasse”. A gonfiarlo è stata <strong>la</strong> nostalgia di casa;<br />

l’unica cosa, assieme alle istruzioni di Atena, a cui Odisseo abbia mai obbedito. Nel suo ruolo di “primo<br />

eroe scettico del<strong>la</strong> letteratura” (da <strong>qui</strong>, per Walcott, <strong>la</strong> sua modernità), Odisseo mette <strong>in</strong> discussione<br />

l’operato degli dèi, se ne le <strong>la</strong>menta, ma non arriva mai, come Ant<strong>in</strong>oo, a dire che gli dèi non esistono e a<br />

vantarsi per averli cacciati.<br />

La casa (nel senso di home, paro<strong>la</strong> di cui <strong>in</strong> italiano non esiste un e<strong>qui</strong>valente) è <strong>in</strong>nanzitutto un luogo<br />

dello spirito. Odisseo, come una tartaruga, o come un granchio – che “si sposta con i suoi appartamenti”<br />

–, <strong>la</strong> porta sempre con sé. Ma ogni cosa <strong>in</strong>visibile è <strong>in</strong> cont<strong>in</strong>ua ricerca di un luogo concreto <strong>in</strong> cui le sia<br />

possibile “<strong>in</strong>carnarsi” pienamente. Il momento <strong>in</strong> cui una realtà <strong>in</strong>visibile e un frammento di realtà visibile<br />

convergono (o rimano) è anche il momento <strong>in</strong> cui per entrambe <strong>la</strong> pace è raggiunta. Per Odisseo quel<br />

luogo è Itaca. L’iso<strong>la</strong> che gli dèi, durante le sue numerose disavventure, gli hanno costantemente rimesso<br />

nel cuore e al<strong>la</strong> quale, quando nel girare del tempo il momento decretato è giunto, “nel<strong>la</strong> loro pietà” gli<br />

hanno concesso di tornare.<br />

Matteo Campagnoli<br />

[Postfazione a Derek Walcott, Odissea: una versione teatrale, Crocetti, 2006. Per gentile concessione di Nico<strong>la</strong><br />

Crocetti]<br />

39


L’effetto Beckett<br />

40


BECKETT IN POESIA<br />

Le Poesie <strong>in</strong> <strong>in</strong>glese apparse ora <strong>in</strong> Italia (traduzione di J.R. Wilcock, E<strong>in</strong>audi, 1964) sembrano offrire<br />

l’occasione per un confronto e danno <strong>la</strong> possibilità di compiere alcune ricognizioni e di proporre alcune<br />

conclusioni che <strong>in</strong>teressano quel<strong>la</strong> che chiamiamo <strong>la</strong> “nostra poesia”, cioè <strong>la</strong> poesia di “oggi”. Mi limiterò<br />

ad alcuni exemp<strong>la</strong>, che tuttavia mi paiono sufficientemente <strong>in</strong>dicativi, senza pretendere di esaurire<br />

l’argomento del<strong>la</strong> poesia beckettiana.<br />

Prendiamo l’<strong>in</strong>izio, il “Puttanoroscopo”, certamente il più poundiano e joyciano <strong>in</strong>sieme, offre qualche<br />

spunto di rilievo:<br />

Cos’è questo?<br />

Un uovo?<br />

Per i fratelli Boot! Puzza di fresco.<br />

(quel “puzza di fresco”, mi pare, solo Beckett poteva iso<strong>la</strong>no <strong>in</strong> quel modo) e fornisce, nello stesso tempo,<br />

materiale al mio discorso:<br />

O Weulles risparmia il sangue di un franco<br />

che ha salito le amare scale<br />

(René du Perron...!)<br />

e concedimi <strong>la</strong> mia seconda<br />

ora <strong>in</strong>scrutabile senza stelle.<br />

Dando per scontato l’umorismo “nero” di Beckett, non mi pare che <strong>in</strong> quel verso f<strong>in</strong>ale ce ne sia molto,<br />

anche se si tratta di un “Puttanoroscopo” e quell’ora <strong>in</strong>scrutabile non può che mettere <strong>in</strong> sospetto. A che<br />

cosa si riferisce, che cosa significa? Del resto, già il titolo suonava come un campanello d’al<strong>la</strong>rme:<br />

l’oroscopo puttana, o l’oroscopo che non conta niente, ma però abbastanza per essere maledetto o<br />

<strong>in</strong>sultato, il gesto di sfregio, <strong>in</strong>somma, che ha un senso, ovviamente, solo <strong>in</strong> re<strong>la</strong>zione a qualcosa che<br />

conta, ancora: non l’oroscopo certamente, ma un certo tipo di idee che esso può rappresentare, al di là<br />

del<strong>la</strong> banale superstizione. Osserviamo quest’altro f<strong>in</strong>ale apocalittico:<br />

derisi da un tessuto che può non servire<br />

f<strong>in</strong>ché fame terra e cielo non saranno rifiuti.<br />

A parte l’ottimo rovesciamento di quel “non servire”, l’eccesso di demolizione f<strong>in</strong>ale sembra rive<strong>la</strong>re i<br />

s<strong>in</strong>tomi di un rifiuto dell’esistenza, un sentimento del<strong>la</strong> “nausea”, una conseguenza del<strong>la</strong> mistica del<br />

“nul<strong>la</strong>”.<br />

Ma occorrono altre prove e mi pare che si trov<strong>in</strong>o notando il frequente uso del<strong>la</strong> metafora (e di quale tipo<br />

di metafora!):<br />

e scivolo svogliato sotto le grida del<strong>la</strong><br />

staccionata<br />

<strong>in</strong>torno al<strong>la</strong> bandiera vistosa dura del<strong>la</strong><br />

staccionata<br />

verso un ovest nero<br />

soffocato di nuvole.<br />

Il che significa solo, a mio parere, trasporre cont<strong>in</strong>uamente l’esperienza da “fatto” esistenziale a<br />

riferimento metafisico, <strong>in</strong> re<strong>la</strong>zione con qualcosa d’altro che si rifiuta o si rimpiange. Soltanto con un tale<br />

atteggiamento di partenza un poeta può usare <strong>la</strong> metafora senza render<strong>la</strong> ambigua. [Che bisogno c’era di<br />

cont<strong>in</strong>uare, ad esempio, oltre l’ovest nero, che nel<strong>la</strong> sua realtà fissata <strong>in</strong> un istante preciso (il suo essere<br />

nero) poteva e doveva rimanere ambiguo, semantica mente meno decifrabile e per questo più<br />

significativo?]<br />

Non tutta <strong>la</strong> poesia di Beckett è così, certo, ma quello che mi pare importante è scoprire se <strong>la</strong> sua poesia<br />

(o anche <strong>la</strong> sua poesia) possa significare per noi l’<strong>in</strong>izio del<strong>la</strong> nostra storia o <strong>la</strong> f<strong>in</strong>e di un’altra di cui<br />

possiamo utilizzare solo certi elementi o certe rotture e aperture chiaramente <strong>in</strong>dividuabili. A questo<br />

scopo ho trovato utile confrontare le varianti presentate nel libretto tra <strong>la</strong> versione francese e quel<strong>la</strong><br />

<strong>in</strong>glese dell’ultima sezione, <strong>in</strong>tito<strong>la</strong>ta “Quattro poemi”:<br />

Variante I<br />

francese: verso le vecchie luci<br />

<strong>in</strong>glese: verso <strong>la</strong> città illum<strong>in</strong>ata<br />

41


Le vecchie “luci” appare certamente più beckettiano e distrugge l’anonimo e banale “città illunimata”, che<br />

è proprio il suo contrario: “vecchie luci” ha chiaramente un tono angosciato e “città illum<strong>in</strong>ata” una carica<br />

“magica” di scoperta felice e di rive<strong>la</strong>zione. In tutti e due i casi vi è trasposizione: per questo avrei<br />

preferito “verso le luci del<strong>la</strong> città” anche se “vecchie luci” riesce a rimanere “oggetto”, sia pure con una<br />

venatura di sentimentalismo già riconosciuta.<br />

Variante II<br />

francese: su me <strong>la</strong> vita che mi sfugge mi <strong>in</strong>segue<br />

e f<strong>in</strong>irà il giorno del suo <strong>in</strong>izio<br />

<strong>in</strong>glese: verso il suo <strong>in</strong>izio verso <strong>la</strong> sua f<strong>in</strong>e<br />

Ecco un caso di variante straord<strong>in</strong>ariamente azzeccata. “F<strong>in</strong>irà il giorno del suo <strong>in</strong>izio” <strong>la</strong>scia sì <strong>in</strong>travedere<br />

ancora <strong>la</strong> disperazione beckettiana ma <strong>la</strong> soverchia con il gioco di un’ambiguità veramente reale, aperta,<br />

cioè, a tutti i possibili. Qui sono tentato di dire che Beckett <strong>in</strong>segna, libero, per un istante.<br />

Variante III<br />

francese: caro istante ti vedo<br />

<strong>in</strong> questa tenda di bruma che <strong>in</strong>dietreggia<br />

dove non potrò più calpestare quelle lunghe soglie mobili<br />

<strong>in</strong>glese:(congiungendo i primi due versi)<br />

<strong>la</strong> mia pace è là nel<strong>la</strong> nebbia che <strong>in</strong>dietreggia<br />

Il salto al<strong>la</strong> metafora è così violento che ci si domanda se quel<strong>la</strong> “tenda di bruma”, oltre a essere<br />

sovraccarica di simbologia, riesce a diventare presenza reale: <strong>la</strong> risposta è <strong>in</strong>certa e complicata dal<br />

cambio di “my peace” con “cher <strong>in</strong>stant”.<br />

In questo caso “pace” ha un senso di “momento felice”, ma <strong>in</strong> tutti e due i casi (leggiamo anche il f<strong>in</strong>ale:<br />

e vivrò il tempo di una porta<br />

che si apre e si richiude)<br />

non si riesce ad allontanare una certa sensazione di banalità e <strong>in</strong>utilità, che il simbolo del “passaggio” (<strong>la</strong><br />

tenda) non riesce a cancel<strong>la</strong>re. Perché? Credo di rispondere più avanti con il significato di questo mio<br />

scritto.<br />

Variante IV<br />

francese: che farei senza questo silenzio fossa dei bisbìgli (o mormorii)<br />

<strong>in</strong>glese: senza questo silenzio dove i bisbìgli (o mormorii) muoiono<br />

e <strong>la</strong> poesia cont<strong>in</strong>ua così:<br />

ansimante furioso verso il soccorso verso l’amore...<br />

Mi domando, prima, se era meglio tradurre “bisbìgli” o “mormorii” che sono meno artico<strong>la</strong>ti, credo, più<br />

alluc<strong>in</strong>ati, forse più adatti a spegnersi <strong>in</strong> quel silenzio: “bisbìgli” può essere solo di parole e “mormorii”<br />

riferirsi anche a piccoli rumori, gutturali, animali, eccetera.<br />

A parte questa osservazione mi pare che <strong>la</strong> soluzione “<strong>in</strong>glese” sia preferibile perché più semplice e<br />

chiara. In entrambi i casi, soprattutto pensando al seguito, ritorna <strong>la</strong> sensazione di <strong>in</strong>utilità. La<br />

conv<strong>in</strong>zione che queste poesie non facciano parte del<strong>la</strong> nostra storia si fa più precisa: ecco un eccesso di<br />

“personalismo” nel senso del<strong>la</strong> protesta <strong>in</strong>dividuale verso il dest<strong>in</strong>o <strong>in</strong>fame, il crollo dei valori, <strong>la</strong> f<strong>in</strong>e di<br />

tutto ecc. ecc. Perché non <strong>in</strong>teressa?<br />

Perché non si trova una ragione che giustifichi il rifarsi a una idea del mondo nata e morta con<br />

l’idealismo. È falso, evidentemente, che non vi debba essere più niente di diverso e di nuovamente vitale<br />

e che, <strong>in</strong> conseguenza, tutto sia f<strong>in</strong>ito.<br />

Variante V<br />

francese: che farei come ieri come oggi<br />

guardando dal mio oblò se non sono solo<br />

a errare e girare lontano da ogni vita<br />

<strong>in</strong> uno spazio buratt<strong>in</strong>o<br />

senza voce tra le voci<br />

chiuse con me<br />

42


<strong>in</strong>glese: spiando dal<strong>la</strong> mia feritoia se c’è qualcun altro<br />

che erra e gira come me lontano da ogni vita<br />

<strong>in</strong> uno spazio convulso<br />

senza voce tra le voci<br />

che affol<strong>la</strong>no <strong>la</strong> mia reclusione<br />

Preferisco “oblò” a “feritoia” è di più esatta identificazione; è una variante di “precisazione”, mentre<br />

“buratt<strong>in</strong>o” al posto di “convulso” è molto grave e scopre il fondo del<strong>la</strong> poesia beckettiana, clownesca,<br />

appunto, ma solo <strong>in</strong> senso negativo: cioè non rive<strong>la</strong>to come un “fatto”, un momento dell’esistenza, ma<br />

accreditato di un giudizio def<strong>in</strong>itivo sulle cose e sugli uom<strong>in</strong>i, sull’esistenza.<br />

Unica nota positiva le “voci chiuse con me” al posto di quel<strong>la</strong> “reclusione” disastrosa. È vero, ognuno può<br />

avere delle “voci chiuse con sé” ma sarebbe soltanto stolto se si recludesse, volontariamente, <strong>in</strong> un<br />

momento <strong>in</strong> cui è necessario capire quanto più è possibile, e <strong>qui</strong>ndi vedere e toccare e sentire, vivere<br />

<strong>in</strong>somma.<br />

Variante VI<br />

francese: piangendo su quel<strong>la</strong> che credette di amarmi<br />

<strong>in</strong>glese … <strong>la</strong> prima e l’ultima ad amarmi<br />

In entrambi i casi rimane una vena di “crepusco<strong>la</strong>rismo”, ma occorre riconoscere che <strong>la</strong> variante francese<br />

ha più forza di rive<strong>la</strong>zione. Sottol<strong>in</strong>ea il gioco, non mai sopito, di Beckett, di illusione e abbaglio nel<br />

descrivere il mondo, perché non è più “quello”, quello, cioè, che ci hanno <strong>la</strong>sciato <strong>in</strong> eredità, con tutti gli<br />

e<strong>qui</strong>voci e le lus<strong>in</strong>ghe ditale eredità.<br />

Questo dell’abbaglio, del<strong>la</strong> visione <strong>in</strong>certa del<strong>la</strong> realtà, non è un punto a favore di Beckett nei suoi<br />

rapporti con il presente. È importante sottol<strong>in</strong>eare che lo sbaglio “ottico” beckettiano è una conseguenza<br />

del<strong>la</strong> sfiducia, del<strong>la</strong> delusione per un mondo reso irriconoscibile dal crollo di certi valori, mentre l’errore<br />

calco<strong>la</strong>to nel guardare il mondo, proprio del<strong>la</strong> nuova poesia, e <strong>la</strong> ricerca dell’ambiguo e del<br />

plurisignificante, è pienamente positivo, calco<strong>la</strong>to, appunto, <strong>in</strong> funzione di una più ampia visione e<br />

conseguente presa di possesso del reale. Di un appostamento molteplice, di una più felice e approfondita<br />

conoscenza. Si può notare, tra parentesi, quanto sia errato cont<strong>in</strong>uare a par<strong>la</strong>re di “crisi” <strong>in</strong> questo<br />

secondo caso, quando si tratta, chiaramente, di “costruzione”.<br />

Non sembra <strong>in</strong>utile, a questo punto, rifarsi per un momento al<strong>la</strong> prefazione, dove Wilcock dice: “Giocando<br />

con tedesca ponderosità sui contrasti di parole, diremo che <strong>la</strong>ddove l’Ottocento è pessimista<br />

affermazione, il Novecento è ottimista negazione. Che <strong>in</strong> Beckett diviene addirittura umoristica”.<br />

Non si può negare che ciò sia vero e che, soprattutto, possa valere per il primo Novecento, ma non si può<br />

nemmeno tacere che questo term<strong>in</strong>e (“Novecento”) <strong>in</strong> questo modo diventa soltanto cronologico, perché<br />

tra i due atteggiamenti sopra descritti l’opposizione è soltanto apparente.<br />

“Affermazione” e “Negazione”, ottimistica o pessimistica, sono le due facce di uno stesso atteggiamento e<br />

di una presa di posizione, <strong>in</strong> re<strong>la</strong>zione soltanto con <strong>la</strong> sua dialettica <strong>in</strong>terna, sul piano del l’essere, e<br />

<strong>qui</strong>ndi dell’esistere, <strong>in</strong> un determ<strong>in</strong>ato momento storico. In questo ambito nasce l’idea del nul<strong>la</strong> variante<br />

mistica dell’idea di sublime. In questo arco di pensiero è chiuso anche Beckett, non si può dubitarne, e<br />

riesce a liberarsene <strong>in</strong> rare aperture.<br />

Come questa, a mio parere:<br />

Sanies lì<br />

c’era un paese felice<br />

l’America Bar<br />

di me Mouffetard<br />

c’erano delle uova rosse lì<br />

ho una schifosa senti gall<strong>in</strong>oroide<br />

tornando dal gab<strong>in</strong>etto<br />

il valore <strong>la</strong> delizia il sorbetto<br />

mentre ricade nel peggio <strong>in</strong> Serena:<br />

sul seno del Regent’s Park il flogo<br />

crepita sotto il tuono<br />

bellezza scar<strong>la</strong>tta <strong>in</strong> questo mondo pesce morto al<strong>la</strong> deriva.<br />

Ecco le differenze fondamentali, che separano il mondo “vecchio”, Ottocento e primo Novecento, da<br />

quello “nuovo” (secondo Novecento e nuova poesia): nel secondo caso risulta chiaramente un<br />

atteggiamento di tipo “narrativo”, privo di giudizi def<strong>in</strong>itivi su cose e uom<strong>in</strong>i, nel primo caso è<br />

precostituito un giudizio, per il quale si cerca il famoso “corre<strong>la</strong>tivo oggettivo”.<br />

43


È soltanto nel secondo caso che si scopre un’apertura, l’atteggiamento libero di fronte al “vivere” e <strong>la</strong><br />

necessità del “narrare”, del momento e dell’oggetto, che ac<strong>qui</strong>sta un valore autonomo caricandosi<br />

d’ambiguità e <strong>qui</strong>ndi di significati autentici e non coatti.<br />

È sul piano dell’essere che <strong>la</strong> poesia deve giustificarsi. Scambiare una modificazione di questo piano, o un<br />

suo spostamento, con il nul<strong>la</strong>, è assolutamente imperdonabile (1).<br />

Antonio Porta<br />

[Questo articolo è apparso <strong>in</strong> «Malebolge. Rivista di letteratura» (anno I, numero 2, 1964, pp. 57-59). Lo riproponiamo<br />

per gentile concessione di Rosemary Porta.]<br />

Note.<br />

(1) Non vorrei che qualche male <strong>in</strong>tenzionato scambiasse queste affermazioni come una sorta di adesione al<br />

cosiddetto “nuovo umanesimo” che, come è noto, facendo un uso improprio di term<strong>in</strong>i propri, è diventato <strong>la</strong> bandiera<br />

dei rivoluzionari f<strong>in</strong>ti (sì, sono proprio di cera), ultima cartuccia del<strong>la</strong> conservazione a tutti i costi, e immag<strong>in</strong>e patetica<br />

dei rappresentanti di una cultura che, pur senza esistere, non vogliono vivere.<br />

44


IL SASSO E L’UOVO. BECKETT E ANTONIO PORTA.<br />

What’s that?<br />

An egg?<br />

By the brothers Boot it st<strong>in</strong>ks fresh.<br />

Whoroscope<br />

In due circostanze <strong>la</strong> fluttuante ma sostanzialmente fedele a se stessa l<strong>in</strong>ea di sviluppo dell’opera<br />

portiana ha costeggiato <strong>la</strong> formazione basaltica di Samuel Beckett, venendone deviata, e dovendosi così<br />

scavare altrove il suo camm<strong>in</strong>o. Due <strong>in</strong>contri non sembrerebbero un granché per stabilire un rapporto,<br />

meno che mai un condizionamento, specie quando, come <strong>in</strong> questo caso, consegnati a un breve scritto<br />

d’occasione e al<strong>la</strong> menzione all’<strong>in</strong>terno di una poesia. Il giudizio espresso da Porta, <strong>in</strong>oltre, è <strong>in</strong> entrambi i<br />

casi recisamente negativo. Porta è l’<strong>in</strong>esauribile provocatore di forme, l’aperto e generoso protagonista di<br />

un’attività, creativa e più <strong>la</strong>rgamente <strong>in</strong>tellettuale, <strong>in</strong>tesa come dispendio di energia psichica e fisica<br />

nell’opera, dapprima furibonda, e poi sempre più distesa <strong>in</strong> una sia pur problematica serenità, di<br />

attraversamento e manipo<strong>la</strong>zione dei l<strong>in</strong>guaggi, dei generi e delle maniere letterarie, per scuoterli tutti e<br />

farli comunicare con un «fondo», con una «realtà», che accomuni scrittori, lettori, non lettori. Poteva<br />

dunque un’<strong>in</strong>telligenza siffatta solidarizzare con il «terribile semplificatore», il «semplificatore dell’orrore»<br />

(1), al<strong>la</strong> ricerca per tutta <strong>la</strong> vita, furiosamente a sua volta, di un livello energetico più vic<strong>in</strong>o possibile allo<br />

zero, e di un l<strong>in</strong>guaggio, per giunta anche non verbale da un certo punto <strong>in</strong> poi, assottigliato e condotto<br />

quasi (ma quasi) all’evanescenza? Tuttavia, doverosamente registrata <strong>la</strong> profonda avversione, e proprio<br />

da quel<strong>la</strong> prendendo avvio, si può ipotizzare che non ci siano solo <strong>in</strong>differenza ed estraneità, e che quei<br />

due m<strong>in</strong>imi punti di <strong>in</strong>tersezione si possano vedere come affioramenti di una tessitura più complicata, e<br />

più nascosta. Intanto, a leggere bene, si constata come dagli accenni portiani si ricavi un’immag<strong>in</strong>e di<br />

Beckett. Un’immag<strong>in</strong>e uni<strong>la</strong>terale, per <strong>la</strong> mancanza di feed-back, un sommario profilo di Beckett<br />

osservato dal<strong>la</strong> lente di Porta, e dunque potentemente idios<strong>in</strong>cratico, tutto sottomesso all’<strong>in</strong>flessibile<br />

programma di ricerca e di azione del poeta lombardo. Forse quest’immag<strong>in</strong>e diventa un punto di<br />

riferimento, non palese, polemico e oppositivo quanto si vuole, per <strong>la</strong> costruzione del<strong>la</strong> propria identità,<br />

per tracciare <strong>la</strong> rotta: una sorta di grande barriera corall<strong>in</strong>a da cui tenersi a debita distanza. Un <strong>in</strong>dizio<br />

che sp<strong>in</strong>ge a cercare <strong>in</strong> questa direzione è che le due apparizioni beckettiane nel corpus di Porta si<br />

situano cronologicamente <strong>in</strong> passaggi cruciali, <strong>la</strong> prima nel 1965, quando anche le ultime poesie che<br />

entreranno nel<strong>la</strong> raccolta d’esordio I rapporti (<strong>in</strong> cui l’autore, per dir<strong>la</strong> con Giuliani, si confesserà<br />

togliendosi di mezzo) sono state scritte; l’altra nel 1978, anno cui bisogna datare, con l’uscita del Re del<br />

magazz<strong>in</strong>o, il cambio di direzione (non lo strappo) che Porta imprime al<strong>la</strong> sua scrittura. Forse si può<br />

provare a raccontare questa storia poco evidente, ripercorrere le tappe di un’ostilità che probabilmente<br />

affonda le radici <strong>in</strong> un fermento di problemi, ostacoli e blocchi comune; e che certo conduce a modi assai<br />

diversi di fronteggiarli.<br />

Nel 1965 Porta recensisce, sul secondo numero di «Malebolge», le beckettiane, giovanili, Poesie <strong>in</strong><br />

<strong>in</strong>glese, appena tradotte da Rodolfo Wilcock e pubblicate nel<strong>la</strong> «Collezione di poesia» E<strong>in</strong>audi (2). Si<br />

tratta, dichiaratamente, di una recensione militante, scritta soprattutto perché i testi «danno <strong>la</strong> possibilità<br />

di compiere alcune ricognizioni e di proporre alcune conclusioni che <strong>in</strong>teressano quel<strong>la</strong> che chiamiamo <strong>la</strong><br />

“nostra poesia”, cioè <strong>la</strong> poesia “di oggi”». Porta, che analizzando le varianti apportate da Beckett nelle<br />

versioni francesi di Quatres poèmes non si perita di entrare nell’offic<strong>in</strong>a e di suggerire spavaldamente<br />

soluzioni alternative, nelle sue tre dense pag<strong>in</strong>e eccepisce duramente a ciò che gli pare di scorgere nei<br />

versi letti. È un rifiuto chiaramente artico<strong>la</strong>to su alcuni punti critici. Per prima cosa Beckett sarebbe<br />

ancora legato a una temperie culturale primonovecentesca, segnata da un radicale pessimismo sulle<br />

possibilità del<strong>la</strong> conoscenza, comunque si decl<strong>in</strong>i, di giungere a un vero contatto con <strong>la</strong> realtà; ne<br />

conseguirebbe un atteggiamento di completa ripulsa di una serie di immag<strong>in</strong>i del mondo percepite come<br />

<strong>in</strong>autentiche, screziata però da un’<strong>in</strong>sopprimibile nostalgia per quanto si è perduto, ovvero il grande<br />

ord<strong>in</strong>e borghese ottocentesco. A proposito di Whoroscope <strong>la</strong> perplessità nasce f<strong>in</strong> dal titolo:<br />

l’oroscopo puttana, l’oroscopo che non conta niente, ma però abbastanza per essere maledetto o <strong>in</strong>sultato, il gesto di<br />

sfregio, <strong>in</strong>somma, che ha un senso, ovviamente, solo <strong>in</strong> re<strong>la</strong>zione a qualcosa che conta ancora: non l’oroscopo<br />

certamente, ma un certo tipo di idee che esso può rappresentare, al di là del<strong>la</strong> banale superstizione;<br />

di The Vulture si rileva «un eccesso di demolizione f<strong>in</strong>ale» che «sembra rive<strong>la</strong>re i s<strong>in</strong>tomi di un rifiuto<br />

dell’esistenza, un sentimento del<strong>la</strong> “nausea”, una conseguenza del<strong>la</strong> mistica del “nul<strong>la</strong>”»; e l’appariscente<br />

ancorché funereo (e <strong>in</strong> questo già profondamente diverso dal modello joyciano) utilizzo del<strong>la</strong> metafora<br />

viene degradato a escamotage che «traspone cont<strong>in</strong>uamente l’esperienza da “fatto” esistenziale a<br />

riferimento metafisico, <strong>in</strong> re<strong>la</strong>zione con qualcosa d’altro che si rifiuta o si rimpiange». Da ciò discende <strong>la</strong><br />

seconda imputazione presentata da Porta, vale a dire «un eccesso di “personalismo” nel senso del<strong>la</strong><br />

protesta <strong>in</strong>dividuale verso il dest<strong>in</strong>o <strong>in</strong>fame, il mondo dei valori, <strong>la</strong> f<strong>in</strong>e di tutto»; è dall’<strong>in</strong>ane rimpianto<br />

del vecchio soggetto espropriato delle sue alte prerogative che prenderebbe orig<strong>in</strong>e, nel<strong>la</strong> poesia<br />

45


eckettiana, «l’idea del nul<strong>la</strong> variante mistica dell’idea di sublime. In questo arco di pensiero è chiuso<br />

anche Beckett, non si può dubitarne, e riesce a liberarsene <strong>in</strong> rare aperture». È chiaro allora il motivo per<br />

cui al<strong>la</strong> nuova poesia <strong>la</strong> soluzione beckettiana non serva: essa mantiene, mimetizzati, troppi resti di quel<br />

«poeta-io» che si racconta sul<strong>la</strong> pag<strong>in</strong>a, tanto aborrito da Porta, e che per controbi<strong>la</strong>nciare le sp<strong>in</strong>te<br />

disgreganti <strong>in</strong> azione su di esso nel<strong>la</strong> realtà (politica e sociale) si <strong>in</strong>venta un nul<strong>la</strong> terrorizzante, ma anche<br />

conso<strong>la</strong>torio, <strong>in</strong> cui scomparire conservandosi: il poeta diventa un fantasma, puro spirito. La nuova<br />

poesia, al contrario (e Porta non può non pensare anche al<strong>la</strong> propria), approfitta del dissesto e crollo<br />

parziale di certi schemi d’<strong>in</strong>terpretazione del mondo, e del conseguente disord<strong>in</strong>e che dal piano<br />

gnoseologico si trasmette a quello percettivo (o viceversa), per mettere a punto strategie calco<strong>la</strong>te di<br />

«errore […] nel guardare il mondo», dove <strong>la</strong> «ricerca dell’ambiguo e del plurisignificante è pienamente<br />

positiva», e il disturbo è f<strong>in</strong>alizzato ad «una più ampia visione e conseguente presa di possesso del<br />

reale», ad «un appostamento molteplice» e una «più felice e approfondita conoscenza». La conclusione,<br />

perentoria, vorrebbe additare il più grande difetto del<strong>la</strong> poesia di Beckett, <strong>in</strong>tesa come exemplum di un<br />

passato da sganciare, e <strong>in</strong>dicare <strong>la</strong> strada ai poeti che veramente vogliano stare nel proprio tempo: «è sul<br />

piano dell’essere che <strong>la</strong> poesia deve giustificarsi. Scambiare una modificazione di questo piano, o un suo<br />

spostamento, con il nul<strong>la</strong>, è assolutamente imperdonabile».<br />

Ci sono già diversi motivi per tenere bene a mente queste pag<strong>in</strong>e di Porta, non foss’altro perché, nel<strong>la</strong><br />

loro foga un po’ didascalica, hanno il merito di esprimere chiaramente, su Beckett, un pensiero che<br />

all’<strong>in</strong>terno del Gruppo 63 era condiviso, come vedremo, anche da esponenti di formazione più solida e<br />

tradizionale. E altri se ne aggiungono a considerare le (sporadiche) annotazioni “positive” riservate dallo<br />

zelo portiano ai testi presi <strong>in</strong> esame. L’attenzione del recensore si appunta sul secondo dei Quatres<br />

poèmes, e su una modifica <strong>in</strong>tervenuta nel passaggio dall’<strong>in</strong>glese al francese:<br />

francese: su me <strong>la</strong> vita che mi sfugge m’<strong>in</strong>segue / e f<strong>in</strong>irà il giorno del suo <strong>in</strong>izio [;] <strong>in</strong>glese: verso il suo <strong>in</strong>izio, verso <strong>la</strong><br />

sua f<strong>in</strong>e. Ecco un caso di variante straord<strong>in</strong>ariamente azzeccata. «F<strong>in</strong>irà il giorno del suo <strong>in</strong>izio» <strong>la</strong>scia sì <strong>in</strong>travedere<br />

ancora <strong>la</strong> disperazione beckettiana ma <strong>la</strong> soverchia con il gioco di un’ambiguità veramente reale, aperta, cioè, a tutti i<br />

possibili. Qui sono tentato di dire che Beckett <strong>in</strong>segna, libero, per un istante (3).<br />

Dove, più ancora dell’idea, già esposta, del possibile contro il nul<strong>la</strong>, occorre rimarcare che<br />

l’apprezzamento di Porta si deve probabilmente ad una diversa configurazione geometrica sottesa alle<br />

due versioni: <strong>la</strong> co<strong>in</strong>cidenza di due punti nel<strong>la</strong> redazione <strong>in</strong>glese, una traiettoria circo<strong>la</strong>re su cui si effettua<br />

un movimento cont<strong>in</strong>uo, <strong>in</strong> quel<strong>la</strong> francese. Non sarà <strong>in</strong>oltre superfluo far notare che questa poesia,<br />

l’unica lodata senza riserve, prende <strong>in</strong>izio con un bivalente je suis, che vale <strong>in</strong>sieme per «seguo» e<br />

«sono», trasferendo così l’esistenza del soggetto <strong>in</strong> un moto, uno scorrimento (Gabriele Frasca ha<br />

tradotto appunto «scorro», comb<strong>in</strong>ando <strong>la</strong> sonorità di sono e il senso di seguo (4)), e term<strong>in</strong>a<br />

sull’immag<strong>in</strong>e di una porta: «et vivrai le temps d’une porte / <strong>qui</strong> s’ouvre et se referme» (pensiamo solo,<br />

nei Rapporti, ad Aprire, datata 1964: «Dietro <strong>la</strong> porta nul<strong>la</strong>…»; per Leo Pao<strong>la</strong>zzi, che lo ha assunto come<br />

nom de plume, Porta è sicuramente un nome par<strong>la</strong>nte). Solo una suggestione? Se sì, sarà una delle<br />

tante.<br />

Nel 1965 Porta <strong>in</strong>terviene anche al convegno del Gruppo 63 sul romanzo, rafforzando alcune direzioni<br />

salienti già formu<strong>la</strong>te nel<strong>la</strong> recensione, e opponendosi senza mezze misure alle tesi di uno dei pr<strong>in</strong>cipali<br />

esperti di narrativa dell’é<strong>qui</strong>pe sperimentale come Renato Barilli. Il terreno dello scontro è l’idea barilliana<br />

di normalizzazione e di estasi materiale, e forse, un po’ più <strong>in</strong> profondità, il disaccordo sul<strong>la</strong> maniera di<br />

<strong>in</strong>tendere i caratteri dell’esistenza <strong>in</strong>dividuale (il Dase<strong>in</strong>, secondo <strong>la</strong> term<strong>in</strong>ologia fenomenologica e<br />

<strong>la</strong>tamente heideggeriana cara a un’a<strong>la</strong> dell’avanguardia), fuori e dentro <strong>la</strong> costruzione romanzesca.<br />

Mentre Barilli, sul<strong>la</strong> scorta soprattutto del nouveau roman, sosteneva l’opportunità di strutturare i<br />

materiali l<strong>in</strong>guistici per <strong>la</strong> produzione di «epifanie» del<strong>la</strong> mera esistenza, ancora non gravata di senso<br />

determ<strong>in</strong>ato, da cui «spremere tutti i significati potenziali» (5), e <strong>qui</strong>ndi <strong>la</strong> necessità di mettere al centro<br />

dei romanzi il grigiore di una quotidianità fatta d’<strong>in</strong>ezie, Porta <strong>in</strong>sisteva su quanto fosse perniciosa quel<strong>la</strong><br />

tecnica, perché capace di «cancel<strong>la</strong>re <strong>la</strong> possibilità dell’istituzione di un rapporto soggetto – oggetto. […]<br />

Si rischia di non poter più credere al<strong>la</strong> possibilità di un soggetto progettante […] capace di impadronirsi<br />

dell’esserci, o capace di strutturare un nuovo modo di esserci» (6). Porta resp<strong>in</strong>ge il pericolo dell’<strong>in</strong>forme,<br />

che vede nel<strong>la</strong> proposta di Barilli, come aveva resp<strong>in</strong>to il nul<strong>la</strong> di Beckett, <strong>in</strong> nome del<strong>la</strong> conv<strong>in</strong>zione,<br />

viscerale, che sempre lo sp<strong>in</strong>ge e si manifesta <strong>in</strong> una quantità di maniere <strong>in</strong>stabili e contraddittorie, f<strong>in</strong>o a<br />

sfociare nell’impasse tragica: una concezione assolutamente affermativa del vivere e dello scrivere (il<br />

grande «Sì» che, già nel 1958, metteva capo a Europa cavalca un toro nero). Ma <strong>in</strong> questa occasione<br />

Porta non ha bisogno di prendere nuovamente le distanze da Beckett, perché, <strong>in</strong>credibilmente,<br />

nonostante diverse opere di quest’ultimo, prose, versi, pièces teatrali e radiofoniche, fossero state<br />

tradotte e circo<strong>la</strong>ssero <strong>in</strong> Italia, quasi nessuno lo nom<strong>in</strong>a (7). L’unico a far mostra di dolersene è, nel<br />

dibattito, Aldo Tagliaferri, allora impegnato <strong>in</strong> quello che sarebbe diventato Beckett e l’iperdeterm<strong>in</strong>azione<br />

letteraria (uscito <strong>in</strong> prima edizione nel 1967), che naturalmente giudica Beckett «un grande scrittore,<br />

<strong>in</strong>commensurabilmente superiore a tutti i romanzieri anglosassoni che sono stati <strong>qui</strong> citati» (tra i quali,<br />

sia detto per <strong>in</strong>ciso, ci sono anche Sal<strong>in</strong>ger e Pynchon) (8).<br />

46


Ma il 1967, se da una parte vede pubblicato il libro di Tagliaferri, prima, e fondamentale, monografia<br />

italiana su Beckett, è anche l’anno di L’azione e l’estasi di Barilli, <strong>in</strong> cui l’autore mostra di essere,<br />

sull’argomento beckettiano, <strong>in</strong> perfetta s<strong>in</strong>tonia con le tesi precedentemente esposte da Porta (<strong>in</strong>somma:<br />

l’uno contro l’altro, ma tutti contro Beckett). Il titolo del saggio dedicato al<strong>la</strong> questione, Nichilismo<br />

retorico di Beckett, par<strong>la</strong> da sé: il nichilismo sarebbe l’ideologia (<strong>in</strong>tendendo il term<strong>in</strong>e nel senso più<br />

generico di visione del mondo) che lo scrittore ir<strong>la</strong>ndese caccerebbe a forza nel<strong>la</strong> sua opera, e che ne<br />

salterebbe fuori ad apertura di libro, immutabile («il verbo beckettiano si svolge <strong>in</strong> tutta l<strong>in</strong>earità e<br />

univocità di toni»); profondamente permeato dal<strong>la</strong> lezione dei maestri modernisti e soprattutto di Joyce, il<br />

<strong>la</strong>voro di Beckett se ne allontanerebbe sul filo di due differenziali, ossia <strong>la</strong> suddetta radicalizzazione del<br />

nichilismo («un teorema di negatività generalizzata e onnivora») e <strong>la</strong> degradazione del personaggio a<br />

livello subumano. Ma Beckett non può fare da guida ai narratori più giovani (a dispetto delle dichiarazioni<br />

di costoro, evidentemente) perché essi sono impegnati nel potenziamento dell’ambiguità e nel<strong>la</strong><br />

generazione di possibili, e non hanno bisogno del nul<strong>la</strong> preconfezionato; e avendo tagliato i ponti con il<br />

modello «positivo» dell’uomo, non saprebbero che fare del modello «negativo», mero rovesciamento<br />

ironico del primo, e dunque ad esso legato <strong>in</strong>dissolubilmente. Le regressioni vengono ora usate «come<br />

neutre ipotesi di <strong>la</strong>voro per sperimentare nuove possibilità di vita e di conoscenza. I mostriciattoli di<br />

Günter Grass, i dementi di Robbe-Grillet, non cadranno mai nel compiaciuto proposito di disegnare <strong>in</strong><br />

negativo un’immag<strong>in</strong>e canonica dell’uomo». Beckett, lungi dall’aver apportato sensibili contributi al<br />

r<strong>in</strong>novamento del romanzo, «resta sostanzialmente un “iso<strong>la</strong>to” <strong>in</strong>tento a svolgere un suo personale<br />

contrappunto <strong>in</strong> marg<strong>in</strong>e al discorso del “grandi” primonovecenteschi, o esasperarne retoricamente<br />

alcune proprietà» (9).<br />

Certo è impressionante constatare come né Barilli né Porta vedessero che <strong>la</strong> dist<strong>in</strong>zione di Beckett dal<br />

magistero joyciano non era certo un capovolgimento, qualiscumque meccanico o dialettico, bensì un vero<br />

divorzio motivato dal<strong>la</strong> necessità acutamente avvertita (ne fa fede <strong>la</strong> celebre, ora più di allora, lettera del<br />

1937 ad Axel Kaun) di oltrepassare l’ottimismo mitologico di Joyce, che conduceva a quell’«apoteosi del<strong>la</strong><br />

paro<strong>la</strong>», vera teologia del verbo implicante, anzi generante, <strong>la</strong> concezione circo<strong>la</strong>re del tempo e l’eterno<br />

ritorno del medesimo, il re<strong>in</strong>cantamento del mondo e <strong>la</strong> possibilità di una nuova dizione, piena e<br />

<strong>in</strong>tegrale, di esso (10). Ed è <strong>in</strong>credibile che si sia potuto scambiare per iso<strong>la</strong>mento rancoroso, e vano<br />

tentativo di autosegregazione protettiva da parte del soggetto, uno dei più grandi gesti novecenteschi di<br />

co<strong>in</strong>volgimento, di richiesta di partecipazione, il che era proprio l’obiettivo dichiarato del movimento<br />

neoavanguardista (11). Ma sarebbe troppo facile, a bocce ferme, sti<strong>la</strong>re tabelle di errori e promulgare<br />

verdetti di condanna. Più <strong>in</strong>teressante, spero, è vedere come le conv<strong>in</strong>zioni sopra compendiate abbiano<br />

contribuito a dare una direzione all’opera portiana, e dove l’abbiano sp<strong>in</strong>ta.<br />

Esclusa, perché fra<strong>in</strong>tesa come si è visto, <strong>la</strong> via beckettiana, a com<strong>in</strong>ciare dai Rapporti Porta si sforza di<br />

ottenere effetti di contatto mettendo <strong>in</strong> parentesi il poeta-io, vale a dire il modo lirico anche nei suoi<br />

ripiegamenti sliricati, e cercando di far risuonare, nel vuoto di significato ottenuto tramite un compatto<br />

gruppo di procedimenti, <strong>la</strong> «privata, unica, voce» del soggetto, attività <strong>in</strong>alienabile di resistenza ai<br />

tentativi di espropriazione del<strong>la</strong> “civiltà” capitalistica. Il percorso del<strong>la</strong> raccolta è complesso, per<br />

l’eterogeneità dei materiali <strong>in</strong>globati (scritti <strong>in</strong> un arco di tempo piuttosto lungo) e per <strong>la</strong> ripartizione cui<br />

l’autore li sottopone; ma al<strong>la</strong> f<strong>in</strong>e il nucleo vitale-vocale, centro del soggetto progettante e dunque<br />

motore di quel possibile <strong>la</strong> cui importanza Porta non si stanca mai di sottol<strong>in</strong>eare, si rive<strong>la</strong> esposto a una<br />

rottura che fa col<strong>la</strong>ssare <strong>la</strong> sfera del possibile e distrugge lo stesso soggetto, smembrato e dissolto <strong>in</strong> un<br />

grande flusso materiale-sonoro, impersonale e primitivo, che co<strong>in</strong>cide con <strong>la</strong> Vita e con <strong>la</strong> Realtà allo<br />

stato selvaggio. Per aggirare questo blocco tragico, allora, Porta aumenterà l’astrazione e <strong>la</strong><br />

concettualizzazione del suo dettato <strong>in</strong> Cara (1969), <strong>in</strong> cui un sistema comb<strong>in</strong>atorio e permutativo <strong>la</strong>vora<br />

<strong>in</strong> regime di radicale sospensione del riferimento (donde <strong>la</strong> disposizione dei testi <strong>in</strong> «serie da verificare»);<br />

e cont<strong>in</strong>uerà a sperimentare nelle due raccolte successive, Metropolis e Week-end, <strong>in</strong> varie modalità,<br />

mettendo a punto figure-autoritratto come quelle del passeggero, del poeta servo e del nomade, sempre<br />

con forte tasso di complicazione e dissestamento l<strong>in</strong>guistici (12). F<strong>in</strong>o ai tardi anni Settanta <strong>in</strong> quanto<br />

Porta scrive non sembra esserci traccia alcuna del<strong>la</strong> presenza di Beckett (l’immersione nell’aleatorio e<br />

nell’ipotetico di Cara non ha niente a che vedere, neppure dal punto di vista di un’analogia ideale, con gli<br />

elenchi e gli schemi comb<strong>in</strong>atori di Watt, pubblicato del resto solo nel 1970). Nel 1978 esce il secondo<br />

romanzo di Porta, Il re del magazz<strong>in</strong>o, importante perché vi si riconosce l’avvio del movimento <strong>in</strong>terno<br />

più palese del<strong>la</strong> sua opera. Si tratta del<strong>la</strong> cosiddetta “svolta” verso <strong>la</strong> comunicatività e <strong>la</strong> chiarezza, <strong>la</strong><br />

l<strong>in</strong>earità stilistica, che di solito si data al 1980 di Passi passaggi. Il re del magazz<strong>in</strong>o, misto di prosa e<br />

versi, segna un risultato nuovo tanto nei confronti del precedente romanzo, Partita (13), al<strong>la</strong> cui<br />

destrutturazione narrativa e segmentazione <strong>in</strong> tableaux <strong>in</strong>formali mette a fronte una tenace fibra<br />

rappresentativa tessuta sul te<strong>la</strong>io di un espediente c<strong>la</strong>ssico come il manoscritto ritrovato (14), tanto<br />

rispetto a Week-end e ai suoi ascetici esercizi (si pensi solo a Rimario), con <strong>la</strong> costruzione dell’episto<strong>la</strong>rio<br />

poetico delle Brevi lettere e il def<strong>in</strong>itivo ritorno a una s<strong>in</strong>tassi poetica re<strong>la</strong>tivamente piana. Stefano Agosti,<br />

per spiegare il cambiamento, ha par<strong>la</strong>to dell’emersione di una «scena del<strong>la</strong> crudeltà» rimasta f<strong>in</strong>o a quel<br />

momento irrappresentabile (15); si potrebbe anche dire che il «grande caos» e l’«enigma», di cui Porta<br />

par<strong>la</strong>va all’epoca dei Rapporti, ora si <strong>la</strong>sci ammansire, e p<strong>la</strong>smare, dal<strong>la</strong> voce, e sia <strong>qui</strong>ndi possibile<br />

<strong>in</strong>sieme dirlo e <strong>in</strong> un certo modo ord<strong>in</strong>arlo; che <strong>la</strong> voce <strong>in</strong>somma riesca a mediare il grande soffio rovente<br />

47


del cosmo, <strong>la</strong>ddove un tempo falliva. Ed è rilevante che il “sollevamento” del<strong>la</strong> voce non riconduca, nelle<br />

<strong>in</strong>tenzioni dell’autore, alle gabbie del poeta-io, cioè del soggetto psicologico con le sue <strong>in</strong>crostazioni<br />

percettive e <strong>in</strong>tellettuali. In occasione di questo passaggio, l’ombra di Beckett torna a comparire. Questa<br />

è <strong>la</strong> Lettera n. 4 (16):<br />

Non sono un poeta-ciotolo come Beckett<br />

non <strong>in</strong>terrogo i cieli di cartapesta del teatro<br />

vi confesso che non so <strong>in</strong>terpretare le costel<strong>la</strong>zioni<br />

né stare lì a guardarle dal buco del cortile a meraviglia<br />

ma uso quelle delle parole a mosaico compongo e ricompongo<br />

per par<strong>la</strong>r<strong>la</strong> <strong>in</strong>sieme questa l<strong>in</strong>gua questi l<strong>in</strong>guaggi<br />

solleviamo<strong>la</strong> <strong>la</strong> l<strong>in</strong>gua a vedere che c’è sotto<br />

parliamo<strong>la</strong> <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> sve<strong>la</strong>ta con le radici senza pudore<br />

(questo biglietto vi consegno a futura memoria)<br />

In questi versi, che, con il loro empito a una l<strong>in</strong>gua <strong>in</strong>sieme del<strong>la</strong> poesia e del<strong>la</strong> comunità, perché<br />

semplice e nel<strong>la</strong> sua leggerezza rive<strong>la</strong>trice del proprio radicamento, contengono buona parte del<strong>la</strong> poetica<br />

portiana degli anni Ottanta, tre luoghi dell’opera di Beckett, <strong>in</strong>tenzionata così parte pro toto, sono<br />

condensati e nuovamente fatti oggetto di negazione. Utilizzando l’espressione «poeta-ciotolo» Porta<br />

allude ad una costante beckettiana assoluta, <strong>la</strong> tendenza dei suoi personaggi a pietrificarsi per arrestare<br />

def<strong>in</strong>itivamente lo scorrimento degli anche più tenui fluidi vitali, elim<strong>in</strong>ando il sentire e regredendo f<strong>in</strong>o<br />

al<strong>la</strong> materia <strong>in</strong>organica. In Watt, Arsène vagheggia di diventare una statua; <strong>in</strong> F<strong>in</strong>ale di partita Clov<br />

troverebbe pace venendo mutato <strong>in</strong> un «sassol<strong>in</strong>o nel<strong>la</strong> steppa»; Molloy succhia pietruzze, facendole<br />

circo<strong>la</strong>re fra mani, bocca e tasche <strong>in</strong> una grande macch<strong>in</strong>a schizofrenica, per p<strong>la</strong>care <strong>la</strong> fame e <strong>la</strong> sete<br />

(naturalmente senza mangiare); e avanti così f<strong>in</strong>o a Mal vu mal dit, con il suo «<strong>la</strong> voilà donc comme<br />

changée en pierre face à <strong>la</strong> nuit». Ma se quel<strong>la</strong> di Porta è una citazione precisa, allora potrebbe venire<br />

dall’ottavo dei Testi per nul<strong>la</strong> (17):<br />

Senza quale speranza, l’ho detto ora, quel<strong>la</strong> di vedermi vivo, e non solo <strong>in</strong> una testa immag<strong>in</strong>aria, un ciottolo votato<br />

al<strong>la</strong> sabbia, sotto un cielo mutevole, e che cambia un po’ di posto, ogni giorno, ogni notte, come se potesse essere<br />

d’aiuto, a diventare meno, sempre di meno, senza mai sparire.<br />

Con quell’<strong>in</strong>terrogare «i cieli di cartapesta del teatro» è probabile che Porta si riferisca ai non <strong>in</strong>frequenti<br />

passaggi di Aspettando Godot <strong>in</strong> cui V<strong>la</strong>dimiro e Estragone guardano il cielo notturno (18); mentre ci<br />

sono pochi dubbi che l’accenno all’<strong>in</strong>terpretazione delle stelle sia una rem<strong>in</strong>iscenza di Whoroscope, <strong>in</strong> cui<br />

Cartesio compi<strong>la</strong> oroscopi per riempire il tempo che lo separa dal<strong>la</strong> sua «second / starless <strong>in</strong>scrutable<br />

hour», dal momento del<strong>la</strong> sua morte.<br />

Sembra tutto chiaro. Il rapporto con Beckett serve anche <strong>in</strong> questo caso a disegnare uno schema<br />

contrastivo, l’affermazione contro <strong>la</strong> negazione, i mosaici di parole piene contro <strong>la</strong> pietra e <strong>la</strong> cartapesta.<br />

Ma le cose non sono così semplici, e diversi motivi si oppongono ad una lettura tanto pacifica.<br />

Innanzitutto i personaggi di Beckett sono quasi m<strong>in</strong>eralizzati, quasi morti; ma non <strong>in</strong>terrompono mai <strong>la</strong><br />

loro attività, ridotta a un «fremito fermo» ma sempre, tenacemente, presente. È uno dei marchi di<br />

fabbrica dello scrittore ir<strong>la</strong>ndese; si cont<strong>in</strong>ua <strong>in</strong>cessantemente a f<strong>in</strong>ire, <strong>la</strong> paro<strong>la</strong>, per dire <strong>la</strong> sua f<strong>in</strong>e, non<br />

smette mai di pronunciarsi, c’è sempre un «m<strong>in</strong>or m<strong>in</strong>imo», un «<strong>in</strong>annientabile m<strong>in</strong>imo» da raggiungere.<br />

Se tutta l’opera di Porta si può raccogliere nel motto «Sì. Ancora», un doppio, entusiastico assenso a<br />

tutto ciò che accade (19), non è possibile opporle direttamente l’esperienza beckettiana all’<strong>in</strong>segna di un<br />

tutto negativo «No, basta». Questa si dispiega <strong>in</strong>vece sotto l’impulso di qualcosa come un «No. Ancora»,<br />

o meglio di un paradossale «Basta. Ancora» <strong>in</strong> cui i due avverbi andrebbero pensati simultaneamente.<br />

Questa è una considerazione che Porta certamente non avrebbe condiviso, tuttavia resta da spiegare<br />

come mai egli abbia sentito così forte <strong>la</strong> necessità di mettere un’altra volta <strong>in</strong> evidenza, all’<strong>in</strong>terno di una<br />

dichiarazione di poetica <strong>in</strong> piena rego<strong>la</strong>, il suo rifiuto del grande negatore. A guardare meglio, <strong>in</strong>fatti, non<br />

è difficile scoprire una serie coesa di analogie tra i due scrittori, partendo proprio dal Re del magazz<strong>in</strong>o e<br />

dal suo protagonista, senza dubbio <strong>la</strong> figura più beckettiana, <strong>in</strong> un senso che vedremo subito, mai creata<br />

da Antonio Porta. Il romanzo, ambientato <strong>in</strong> Italia settentrionale, mette <strong>in</strong> scena <strong>la</strong> crisi catastrofica<br />

dell’Occidente capitalista, provocata dallo sfruttamento delle risorse e dalle specu<strong>la</strong>zioni f<strong>in</strong>anziarie, e<br />

costel<strong>la</strong>ta da violenze e rivolte popo<strong>la</strong>ri, e il conseguente stato di regressione e di anarchia. Il<br />

personaggio, colui che scrive il diario, si ritira <strong>in</strong> un vecchio capanno iso<strong>la</strong>to e vi conduce una vita sempre<br />

più stentata. Lo scorrere dei suoi ultimi giorni lo rende assai somigliante ai menomati di Beckett; sempre<br />

meno cibo, sempre meno acqua, calo drastico delle energie; progressiva riduzione del movimento, dalle<br />

lunghe passeggiate degli <strong>in</strong>izi f<strong>in</strong>o al<strong>la</strong> quasi totale immobilità, da sdraiato o da seduto, dei giorni<br />

postremi; rapido processo di ottundimento (20). Al trattamento del<strong>la</strong> figura umana si associa una<br />

semplificazione degli sfondi dell’azione (dal<strong>la</strong> città ai campi f<strong>in</strong>o al<strong>la</strong> reclusione nel «casotto» nel<strong>la</strong><br />

fattispecie del romanzo <strong>in</strong> questione), che potrà arrivare f<strong>in</strong>o all’azzeramento del «poema per il teatro» La<br />

festa del cavallo, ambientato <strong>in</strong> uno spazio desertico, anche <strong>qui</strong> dopo un’imprecisata catastrofe (forse<br />

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F<strong>in</strong>ale di partita non è troppo lontano). In entrambi i casi le prose beckettiane degli anni Sessanta,<br />

Comment c’est, ma soprattutto Imag<strong>in</strong>ation morte imag<strong>in</strong>ez, B<strong>in</strong>g, Sans offrono un term<strong>in</strong>e di paragone<br />

verosimile, per <strong>la</strong> fissazione delle posture e l’atonia (pur se scolpite lì con un’<strong>in</strong>comparabile economia di<br />

mezzi: «corps nu b<strong>la</strong>nc fixe seuls les yeux à pe<strong>in</strong>e.[…] Corps nu b<strong>la</strong>nc fixe hop fixe ailleurs» (21)), e per<br />

i soffocanti volumi <strong>in</strong> cui sono r<strong>in</strong>chiuse le «Teste morte». Il fatto è che nel “secondo” Porta assume<br />

un’importanza fondamentale, più di quanto accadesse nei libri precedenti (trionfi del<strong>la</strong> morte, ma <strong>in</strong> un<br />

senso diverso), il tema del<strong>la</strong> f<strong>in</strong>e, e più precisamente dei momenti che <strong>la</strong> precedono.<br />

Se è <strong>la</strong> f<strong>in</strong>e ad essere tematizzata, come potrà risuonare il «sì», e se l’esistenza è schiacciata sul<strong>la</strong> massa<br />

di un corpo pressoché catatonico e <strong>in</strong> punto di morte, come <strong>la</strong> si potrà accordare con l’«ancora»? E come<br />

<strong>in</strong>f<strong>in</strong>e il desiderio di mettere <strong>in</strong> comune <strong>la</strong> l<strong>in</strong>gua e di fare un’arte che parli a tutti potrà non essere<br />

vanificato dall’eclissi dell’essere par<strong>la</strong>nte (22)? Forse è perché <strong>la</strong> sua risposta fosse priva di ambiguità<br />

che Porta rimette <strong>in</strong> gioco Beckett, perché si capisca bene che <strong>la</strong>ddove sembra avvic<strong>in</strong>arglisi di più sta <strong>in</strong><br />

realtà prendendo una strada che lo porterà lontanissimo. In Beckett, ha spiegato Gilles Deleuze, si tende<br />

al<strong>la</strong> f<strong>in</strong>e per saturazione ed esaurimento di tutto il possibile; <strong>in</strong> Porta, dopo aver realizzato una porzione<br />

di possibilità, le possibilità proprie dell’esistenza di ciascuno, non si f<strong>in</strong>isce che per fare ritorno<br />

nell’apertura impregiudicata del possibile, che ne produce sempre di nuovo. La differenza concettuale fra<br />

Beckett e Porta è tutta <strong>qui</strong>. L’avvic<strong>in</strong>amento al<strong>la</strong> f<strong>in</strong>e del re del magazz<strong>in</strong>o è costel<strong>la</strong>to da alcune<br />

fantasticherie a questo riguardo molto significative. La perdita del<strong>la</strong> stazione eretta porta con sé <strong>in</strong>sistenti<br />

figure di sprofondamento, caratterizzate da un senso crescente di tran<strong>qui</strong>llità e armonia.<br />

«Mi metterò <strong>in</strong> parziale letargo: dormirò diciotto ore al giorno. Oppure mi farò ricoprire dal fogliame e lì giacerò 24 ore<br />

su 24, come un giorno ho immag<strong>in</strong>ato di poter fare. […] Desiderio di buio, di assenza»; e poco oltre: «prima le foglie e<br />

sopra le nevi. Aspettare <strong>la</strong> prima nevicata e subito stendermi sotto e poi tutte le altre, a strati. […] Sotto non va mai<br />

oltre lo zero. Andare <strong>in</strong> letargo può diventare lo scopo di vivere questi giorni» (23).<br />

Oppure può trattarsi di fantasie sul<strong>la</strong> trasformazione del corpo dopo <strong>la</strong> morte, ad opera di legioni di<br />

necrofori: il corpo seppellito dagli <strong>in</strong>setti diventa una sfera da cui questi traggono nutrimento. «A loro (gli<br />

<strong>in</strong>setti necrofori) consegnerò il mio corpo. Devo scegliere bene il luogo del<strong>la</strong> deposizione f<strong>in</strong>ale. Diventerò<br />

simile a una me<strong>la</strong>, a una pal<strong>la</strong> <strong>in</strong> forma di me<strong>la</strong>, di pera, e così sarò sepolto, sotterrato, nel terriccio<br />

morbido, e conservato come cibo.» A questo punto Porta <strong>in</strong>serisce nel libro alcune illustrazioni sulle<br />

tecniche dei necrofori, e poi affida al suo personaggio un commento: «vorrei anche sostituire <strong>la</strong> paro<strong>la</strong><br />

“carogna” che mi sembra vilipendiosa» (24). La f<strong>in</strong>e, <strong>in</strong>somma, diventa un tragitto di immersione e di<br />

passaggio verso un approdo ormai prevedibile: <strong>la</strong> r<strong>in</strong>ascita, <strong>la</strong> rigenerazione:<br />

Come un <strong>in</strong>setto giornaliero avverto le ore allungarsi a dismisura f<strong>in</strong>o a contenere tutta o quasi tutta <strong>la</strong> vita, f<strong>in</strong>o al<br />

punto <strong>in</strong> cui il presente basta a se stesso, non viene più contenuto da nul<strong>la</strong> e si arresta. Sdraiato sento il respiro alzare<br />

e abbassare il petto come <strong>in</strong> un movimento celeste. Anche <strong>la</strong> misura di questo respiro basta a se stessa. Fili di energia<br />

mi attraversano e quanti altri come me che stanno aspettando. Nessuno può togliermi o impedirmi il passaggio. Entro<br />

nel buco che sta sopra e com<strong>in</strong>cio a risalire il cunicolo. Oppure com<strong>in</strong>cio a ricoprirmi, che è lo stesso (25).<br />

La f<strong>in</strong>e è diventata il punto di partenza, o di transito, per una vera renovatio: «farò tutto nuovo». Ed è,<br />

nel<strong>la</strong> f<strong>in</strong>zione romanzesca, esattamente questa frase emblematica che conv<strong>in</strong>ce il “trascrittore” a<br />

trascrivere (26). La pal<strong>la</strong> <strong>in</strong> cui si trasforma il protagonista, raccoglimento <strong>in</strong> sé del<strong>la</strong> materia non più<br />

umana che prelude ad una nuova trasmissione, emanazione, non è certo il ciottolo beckettiano,<br />

nonostante entrambi abbiano forma sferoidale. È <strong>in</strong> Passi passaggi che se ne trova <strong>la</strong> def<strong>in</strong>izione, <strong>in</strong> un<br />

gruppo di versi perfettamente addentel<strong>la</strong>ti al brano <strong>in</strong> prosa appena citato dall’identità del tema:<br />

torno su a respirare e sento tutta <strong>la</strong> forza del<strong>la</strong> terra<br />

attira nel<strong>la</strong> morte dunque <strong>la</strong> risposta sembra che sia:<br />

NO<br />

<strong>in</strong>vece io ci credo che ci sarà una nuova nascita<br />

nuova e uguale a tutte le altre che cont<strong>in</strong>uano<br />

io sono un uovo <strong>la</strong>sciato cadere nel<strong>la</strong> notte<br />

e tu, chiunque tu sia ma sei donna o uomo, di certo<br />

mi hai fecondato. (27)<br />

Non un sasso, ma un uovo. La riserva figurale del<strong>la</strong> scrittura di Porta giunge a questo punto ad una<br />

sistemazione che durerà f<strong>in</strong>o al<strong>la</strong> prematura morte del poeta. Si tratta di una metaforica<br />

dell’avvolgimento e dell’<strong>in</strong>volucro, nel<strong>la</strong> quale ogni movimento è un ritorno, un rientrare nel guscio. Può<br />

sembrare assurdo fare un’affermazione simile su un’opera che, anche dopo essere uscita dai parossismi<br />

avanguardistici, è sempre rimasta giocata su forti immag<strong>in</strong>i di <strong>la</strong>cerazione e trauma. Tuttavia ogni<br />

distacco, ogni sortita, <strong>in</strong> Porta, abbandonano il precedente luogo stanziale per entrare <strong>in</strong> un altro luogo,<br />

da <strong>in</strong>tendere nel<strong>la</strong> sua essenza come luogo protetto, salvo: si passa da un guscio a un altro guscio, dal<br />

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quale <strong>in</strong>fallibilmente, per giunta, si farà ritorno nel primo. Perché i due gusci, <strong>in</strong> realtà, sono uno solo. Al<br />

paradigma del riparo sferoidale sono rego<strong>la</strong>rmente aggregati alcuni altri elementi. Se f<strong>in</strong>ire significa<br />

oltrepassare una soglia verso un altro <strong>in</strong>izio, diventa ovvio che tanta morte non confligga, e anzi si leghi<br />

immediatamente, con l’idea del nascere, dell’entrare nel mondo, e che <strong>qui</strong>ndi <strong>la</strong> poesia di Porta sia tuffata<br />

<strong>in</strong> uno spazio femm<strong>in</strong>ile e per di più materno (28); <strong>la</strong> cavità uter<strong>in</strong>a, o i suoi sostituti analogici, e il parto<br />

diventano riferimenti fondanti (29). La vis generativa <strong>in</strong>oltre, non limitata nei corpi umani, ha grana<br />

corpusco<strong>la</strong>re e satura tutto lo spazio; si viene ridotti <strong>in</strong> polvere, ma <strong>la</strong> polvere è ancora feconda, come<br />

fosse una nuvo<strong>la</strong> di m<strong>in</strong>uscoli semi <strong>in</strong> cerca di un terreno dove attecchire (30). Di nuovo una s<strong>in</strong>go<strong>la</strong>re<br />

corrispondenza, perché nel mondo di Beckett <strong>la</strong> polvere è presenza costante. Ma, che veli le cose o si<br />

sollevi momentaneamente <strong>in</strong> un turb<strong>in</strong>e, è polvere allegorica che par<strong>la</strong> del<strong>la</strong> ripetizione <strong>in</strong>sensata di<br />

nascite e morti, sotto il sole che splende sul niente di nuovo (31).<br />

Le immag<strong>in</strong>i di fecondità sono <strong>in</strong> naturale pendenza verso quelle di coito, godimento sessuale e<br />

concepimento, <strong>in</strong> una corrente fortemente libidica e senza e<strong>qui</strong>voci dest<strong>in</strong>ata al<strong>la</strong> procreazione. «E io ho<br />

molta fame / e voglio fare l’amore», si trova scritto <strong>in</strong> una poesia (32); e che l’amore debba essere<br />

genitale, e generante, lo conferma, fra tanti altri, una porzione importante dei materiali preparatori al<br />

romanzo cui l’autore <strong>la</strong>vorava quando morì. Si tratta di una scena assai studiata <strong>in</strong> cui l’io narrante (uno<br />

scrittore di nome Antonio, Emilio, o Leo, che riceve commissioni da uno stravagante personaggio<br />

chiamato Leonardo), osservando sua moglie che al<strong>la</strong>tta il figlioletto, decide che non deve dirle di un<br />

<strong>in</strong>contro sessuale avuto con una ragazza sconosciuta, e concluso con una fel<strong>la</strong>tio: «mi guarderebbe come<br />

se l’avessi derubata di qualcosa […]; il mio seme» (33). Il desiderio, che funziona da propulsore nel<br />

Porta degli anni Ottanta, non è lontano da quello schopenaueriano: desiderio del<strong>la</strong> Specie. È <strong>la</strong> Specie<br />

che, nell’<strong>in</strong>dividuo, dice «ancora», per sentirsi rispondere «sì». Ma questo desiderio f<strong>in</strong>alizzato al<br />

godimento e al<strong>la</strong> conservazione del<strong>la</strong> specie è uno degli oggetti di più forte d<strong>in</strong>iego da parte di Beckett. I<br />

suoi sciancati, f<strong>in</strong>ché riescono a par<strong>la</strong>re, pronunciano maledizioni verso i genitori, e propositi di sterm<strong>in</strong>io<br />

nei confronti dei bamb<strong>in</strong>i (34). Rimpiangono di non essere stati risparmiati dal<strong>la</strong> nascita, e si sforzano di<br />

diventare «ogni giorno un po’ più puri, un po’ più morti», dirigendosi «ansimando verso <strong>la</strong> grande apnea»<br />

(35). Come ha scritto Carlo Pasi, «è il corpo il nemico, il desiderio che oscuramente fluisce nel corpo e il<br />

pensiero non è <strong>in</strong> grado di contrastare» (36).<br />

A fronte di un <strong>in</strong>sieme così ben del<strong>in</strong>eato di temi comuni ossessivamente ripresi, cosa permette a Porta di<br />

non virare verso il peggio, e di abbracciare con gioia <strong>la</strong> logica del desiderio? È un v<strong>in</strong>colo che egli str<strong>in</strong>ge<br />

tra quel desiderio, l’immag<strong>in</strong>azione e il l<strong>in</strong>guaggio poetico. Da Passi passaggi (ma già dalle Lettere del<br />

1976) <strong>la</strong> poesia portiana si dice come canto, un canto creatore di immag<strong>in</strong>i e animato da un respiro<br />

sovra- e pre-<strong>in</strong>dividuale. Se è vero che sono sempre i corpi a occupare <strong>la</strong> scena, tali corpi sono <strong>in</strong>nervati,<br />

quasi model<strong>la</strong>ti dal<strong>la</strong> voce immag<strong>in</strong>ante che arriva a fare tutt’uno con essi. Credo si possa dire che l’<strong>in</strong>tero<br />

mondo, <strong>qui</strong>, sia immag<strong>in</strong>ato più e prima che percepito, e proprio l’immag<strong>in</strong>azione valga come pr<strong>in</strong>cipio<br />

organizzatore. Il canto è medium, atmosfera che unisce le <strong>in</strong>dividualità tra loro e con l’ambiente che le<br />

circonda. Il che assume subito un forte valore protettivo, di garanzia e fondamento delle attività e dei<br />

rapporti, un baluardo contro <strong>la</strong> tentazione del vuoto e dell’iso<strong>la</strong>mento: «ma questo solo conta che io ti<br />

parli / che io stia respirando / <strong>in</strong>sieme a voi tutti che non vedo / che ho chiamato, un giorno, /<br />

carissimi…» (37). È questa riserva che fornisce <strong>la</strong> fiducia nel<strong>la</strong> stabilità, sia pure provvisoria; <strong>la</strong> poesia<br />

diventa, spesso prendendo accenti heideggeriani, ciò che consente di avere un mondo, e di abitarlo; e di<br />

non essere mac<strong>in</strong>ati dal<strong>la</strong> terra nei suoi <strong>in</strong>differenti ritmi sempre identici (38); è <strong>qui</strong> che affonda <strong>la</strong><br />

sicurezza nel<strong>la</strong> giustizia dei cicli naturali, e il fervore al pensiero del<strong>la</strong> r<strong>in</strong>ascita. Ed è ancora <strong>la</strong> voce<br />

immag<strong>in</strong>ante, <strong>la</strong> voce del<strong>la</strong> poesia, a salvaguardare <strong>la</strong> comunità contro <strong>la</strong> chiusura del soggetto e<br />

l’ostacolo del<strong>la</strong> morte; l’io è un filtro o un recipiente <strong>in</strong> cui <strong>la</strong> poesia si versa prendendone<br />

temporaneamente <strong>la</strong> forma, ma quando il vaso si rovescerà, vuotandosi, essa tornerà a scorrere verso<br />

altri vasi. La f<strong>in</strong>e, allora, è il canto dell’io nel momento <strong>in</strong> cui deve <strong>in</strong>terrompere l’agire e il comunicare,<br />

per <strong>la</strong>sciare libera <strong>la</strong> corrente che aveva preso posto <strong>in</strong> lui: <strong>la</strong> f<strong>in</strong>e è un’aria, «è un vento che soffia via /<br />

<strong>la</strong> polvere di tutte le ossa» (39). Chi legge Porta sa bene che questi lunghi momenti estatici non formano<br />

una seque<strong>la</strong> <strong>in</strong><strong>in</strong>terrotta, ma al contrario si alternano <strong>in</strong> moti fortemente ondu<strong>la</strong>tori con precipizi di<br />

deso<strong>la</strong>zione, <strong>in</strong> cui il male e l’abbandono sembrano avere il sopravvento, e pers<strong>in</strong>o il canto pare sve<strong>la</strong>re<br />

un profilo malevolo, non essere nient’altro che un pessimo trucco. Il canto stesso, <strong>in</strong>oltre, sovente si deve<br />

<strong>in</strong>terrompere, dando luogo a vasti <strong>in</strong>tervalli di silenzio. Porta, <strong>in</strong>somma, non rifiuta affatto di confrontarsi<br />

col negativo, e di revocare <strong>in</strong> dubbio i mezzi scelti per affrontarlo. Tuttavia ogni volta trova il modo di<br />

rimettersi all’opera, di ricom<strong>in</strong>ciare, dando «per scontato il male» e cercando «il bene, disperata-mente»,<br />

come afferma nel<strong>la</strong> famosa poesia del Nuovo diario (1986) dedicata a Sangu<strong>in</strong>eti (40). Questo perché<br />

l’angoscia non è semplicemente un’affezione del soggetto, ma lo stato d’animo essenziale che permette<br />

all’uomo, se è disponibile a sperimentarlo f<strong>in</strong>o <strong>in</strong> fondo, di compiere l’esperienza fondamentale, che è<br />

sempre, heideggerianamente (e ho già detto come negli anni Ottanta certe dichiarazioni portiane<br />

assumano un <strong>in</strong>confondibile tono heideggeriano) esperienza dell’essere che si dirada per <strong>la</strong>sciar avvenire<br />

l’ente, del<strong>la</strong> Lichtung come spazio abitabile. Il sentimento fondante di questa “seconda” fase del<strong>la</strong> poesia<br />

di Porta è lo stupore che il mondo sia, stupore con<strong>qui</strong>stabile solo accettando <strong>la</strong> prova dell’angoscia (41).<br />

E l’<strong>in</strong>tervallo silenzioso, l’<strong>in</strong>terruzione, non è altro che un ritorno del canto nel<strong>la</strong> sua orig<strong>in</strong>e,<br />

dell’immag<strong>in</strong>ario nel<strong>la</strong> sua sorgente segreta; è proprio questo stacco, questa sorta di pausa <strong>in</strong> cui il<br />

50


mondo riprende il respiro che rende possibile, per gli uom<strong>in</strong>i, nonostante <strong>la</strong> morte, cont<strong>in</strong>uare ad abitare<br />

e progettare. La pausa, il silenzio, sono il momento del possibile puro, dell’immag<strong>in</strong>azione pura, dai quali<br />

si può ogni volta ricom<strong>in</strong>ciare: «lei, perdendo <strong>la</strong> memoria / del canto prepara l’avvento / ma ha perso<br />

anche l’ultima paro<strong>la</strong>, seguendo il ventre che cresce» (42).<br />

Non bisogna fare a Porta l’affronto di scambiarlo per uno sconsiderato verseggiatore neo-orfico tutto<br />

rapito <strong>in</strong> un piccolo delirio poetico di pioggia, sole, frutta e verdura (un “<strong>in</strong>namorato”, per <strong>in</strong>tenderci).<br />

Non bastasse <strong>la</strong> sua attività di critico e organizzatore culturale, tutta <strong>la</strong> sua opera letteraria restituisce<br />

l’immag<strong>in</strong>e di un uomo vigile, osservatore attento del<strong>la</strong> trasformazioni politico-economiche, e <strong>qui</strong>ndi<br />

psichiche, sociali e comportamentali, occorse nel<strong>la</strong> seconda metà del Novecento; l’annul<strong>la</strong>mento delle<br />

distanze, l’alleggerirsi progressivo delle identità, il dom<strong>in</strong>io sempre più brutale del<strong>la</strong> “ratio” capitalistica, <strong>la</strong><br />

lotta, condotta sul campo dei nuovi mezzi di comunicazione, tra omologazione e appiattimento <strong>in</strong><br />

immag<strong>in</strong>e evanescente e tentativi di riappropriamento. Il c<strong>in</strong>ema, <strong>la</strong> televisione, <strong>la</strong> musica pop, i<br />

videoclip, sono stati avidamente consumati da Porta, e rimesco<strong>la</strong>ti al<strong>la</strong> ricerca di qualcosa che gli servisse<br />

per il suo «progetto <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito»: «il poeta deve avere le antenne». E l’arte è stata pensata da lui anche<br />

come mezzo di resistenza, <strong>in</strong> grado di coadiuvare <strong>la</strong> lotta di coloro «che non sono disposti a essere<br />

trasformati <strong>in</strong> immag<strong>in</strong>e, a essere mistificati, ridotti a merce […]. Una moltitud<strong>in</strong>e di uom<strong>in</strong>i e di donne<br />

resiste nel proprio corpo, nel<strong>la</strong> propria identità» (43). Resistenza esercitata <strong>in</strong> due direzioni apparenti<br />

che al<strong>la</strong> f<strong>in</strong>e confluiscono sullo stesso punto, <strong>in</strong> uno schema che ormai ci è familiare. Da una parte sta <strong>la</strong><br />

calco<strong>la</strong>ta «<strong>in</strong>genuità» di chi guarda a «quanto ha di div<strong>in</strong>o» il l<strong>in</strong>guaggio, e usa questa garanzia come<br />

scudo contro <strong>la</strong> derealizzazione: «lì dove si forma il l<strong>in</strong>guaggio poetico […] re<strong>in</strong>venta il mondo non lo<br />

descrive, partendo da uno sguardo primordiale, <strong>in</strong>tatto, orig<strong>in</strong>ario, come quello del bamb<strong>in</strong>o che esce<br />

dal<strong>la</strong> vag<strong>in</strong>a, non dal teleschermo» (44). Dall’altra l’ugualmente calco<strong>la</strong>to sprofondamento <strong>in</strong> ciò che si<br />

vuole combattere, chiamato il «tempo postmoderno»: «<strong>la</strong> narrazione […] può e forse deve […] essere<br />

pensata come un grandioso naufragio nello spazio-tempo p<strong>la</strong>netario dove tutto si e<strong>qui</strong>vale» (45). A<br />

mettere <strong>in</strong> circolo le due vie sta l’idea che «solo tentando questo naufragio totale si può credere, sperare,<br />

di raggiungere <strong>la</strong> nuova iso<strong>la</strong> di Rob<strong>in</strong>son Crusoe e ricom<strong>in</strong>ciare da capo: dallo sguardo primordiale,<br />

elementare» (46); quello, si è visto, che re<strong>in</strong>venta il mondo, vale a dire lo immag<strong>in</strong>a e lo canta.<br />

I materiali preparatori di Los(t) Angeles <strong>in</strong>cludono un pezzo fondamentale per comprendere il<br />

meccanismo di formazione di questo modo di pensare, e di questa poetica. Si tratta di un brano che<br />

unisce <strong>la</strong> narrazione di un sogno e di un ricordo <strong>in</strong>fantili:<br />

Sto ripensando al<strong>la</strong> mia prima comunione, <strong>in</strong> piena guerra, <strong>la</strong> seconda guerra mondiale per me quel giorno di<br />

primavera che si riempiva di sangue […] con il capo ch<strong>in</strong>o nel<strong>la</strong> picco<strong>la</strong> chiesa, <strong>in</strong> raccoglimento precoce, vedevo il<br />

sangue scorrere ovunque, avvolgere il mondo. Il giorno prima avevano cantato una volta ancora gli argentei<br />

bombardieri che dal<strong>la</strong> costa, dove noi eravamo, si dirigevano a nord […]. Il mio corpo tornava quello del bamb<strong>in</strong>o di<br />

quel giorno, che proprio quel<strong>la</strong> matt<strong>in</strong>a, prima di andare <strong>in</strong> chiesa, aveva sognato di fare l’amore con sua madre, <strong>in</strong><br />

modo così chiaro e limpido che lo posso ancora descrivere come avessi sognato ieri. […] Di certo non mi sono<br />

confessato e ho preso <strong>la</strong> comunione così, come il corpo di mia madre nel grande, candido letto, tra le lenzuo<strong>la</strong> (47).<br />

Il sogno e il successivo divoramento simbolico del padre, entrambi da manuale di psicoanalisi freudiana,<br />

<strong>in</strong>teressano <strong>qui</strong> soprattutto per ciò che li accompagna. Ancora una volta si tratta di canto (a comporre <strong>la</strong><br />

consueta dorsale portiana di canto - madre - ritorno), ma <strong>qui</strong> non è l’airone («l’immag<strong>in</strong>e-canto»), il<br />

respiro, il «suono del contatto» a farsi sentire; bensì il ronzio dei bombardieri, che non può non<br />

richiamare al<strong>la</strong> mente i milioni di morti del<strong>la</strong> guerra. All’<strong>in</strong>izio del<strong>la</strong> poesia di Porta c’è <strong>la</strong> seconda guerra<br />

mondiale, e le d<strong>in</strong>amiche che questa ha tanto contribuito ad accelerare e a far esplodere, per creare quel<br />

mondo <strong>in</strong>ospitale, piatto e sempre più schizofrenico <strong>in</strong> cui ancora oggi si vive. Trasformare <strong>in</strong> canto il<br />

rombo degli aerei, l’esplosione delle bombe, è il gesto primitivo del<strong>la</strong> «coscienza bombardata» (48) di<br />

Porta, ed è, con tutte le precisazioni che il caso richiede, un gesto conso<strong>la</strong>torio, di compensazione<br />

immag<strong>in</strong>aria per conservare l’e<strong>qui</strong>librio psichico <strong>in</strong> uno stato di cose privo di stabilità e di misura. E se<br />

pensiamo a quanto hanno scritto Deleuze e Guattari sul «flux de connerie» che il capitalismo farebbe<br />

copiosamente scorrere sugli altri flussi che formano il socius, per impedire che le tendenze schizoidi e<br />

furiosamente deterritorializzanti che mette <strong>in</strong> moto raggiungano un livello assoluto <strong>in</strong>compatibile con <strong>la</strong><br />

logica del profitto, e come <strong>in</strong> questo flux si bagn<strong>in</strong>o anche, purtroppo, tante esperienze artistiche fissate<br />

sulle loro riterritorializzazioni neoarcaiche, allora il sospetto che <strong>la</strong> difesa portiana dell’immag<strong>in</strong>azione,<br />

dell’<strong>in</strong>nocenza, del<strong>la</strong> primordialità non sia <strong>la</strong> maniera migliore per tirarsi fuori dal<strong>la</strong> «coglionagg<strong>in</strong>e» di<br />

una gromma di concrezioni psichiche che proprio nell’immag<strong>in</strong>arsi altrove (facendo come se esistesse un<br />

<strong>qui</strong> non soggetto ai processi p<strong>la</strong>netari di schizofrenizzazione e perdita di mondo) trovano <strong>la</strong> loro ragione,<br />

si fa forte (49).<br />

L’immag<strong>in</strong>azione, diceva Beckett, bisogna immag<strong>in</strong>ar<strong>la</strong> morta; il possibile va esaurito totalmente, bisogna<br />

esaurire anche quel<strong>la</strong> porzione di possibile che non si effettua nell’avvenimento e nell’esistenza, <strong>la</strong> pura<br />

possibilità (50). È un <strong>la</strong>voro lungo, il <strong>la</strong>voro di una vita, da compiere lentamente e metodicamente, «so<br />

little by little all strange away». L’esito non è il banale nichilismo che Porta credeva di vedere (il terribile<br />

semplificatore, scriveva già Adorno, «non ammette di essere spiegato con criteri di semplificazione»<br />

51


(51)), ma il raggiungimento, nell’opera d’arte che si forma sempre all’<strong>in</strong>crocio di molti strati, ciascuno<br />

con le proprie regole di chiusura e organizzazione, di un marg<strong>in</strong>e estremo di contatto, di osmosi, con<br />

qualcosa di radicalmente destratificato. Disimmag<strong>in</strong>ata l’immag<strong>in</strong>e, disartico<strong>la</strong>ta e <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e abbandonata <strong>la</strong><br />

paro<strong>la</strong>, bloccata <strong>la</strong> possibilizzazione tramite l’affermazione – o negazione – simultanea di tutte le<br />

possibilità (è <strong>la</strong> famosa, massacrante permutazione beckettiana), a quel barlume percettivo residuale si<br />

fa sentire quello che ancora Deleuze e Guattari chiamano p<strong>la</strong>n de consistence, <strong>in</strong>tensivo, non <strong>formato</strong>,<br />

assolutamente disumano, e <strong>in</strong>sieme immanente a tutti gli strati (52). Le opere d’arte sono uno dei luoghi<br />

<strong>in</strong> cui queste percezioni estreme, ottenute a costo di un desertificante divenire-impercettibili, vengono<br />

“montate” <strong>in</strong> blocchi di «percetti» e «affetti» per essere ritrovate, riattivate, dai fruitori. Nessuna patria, o<br />

matria, conso<strong>la</strong>toria, nessuna stanzialità, nessuna custodia sferoidale che non vada fatta esplodere. Il<br />

pr<strong>in</strong>cipio dell’uovo, che ci costruisce un’identità lum<strong>in</strong>osa ma ormai irrimediabilmente posticcia, per<br />

nasconderci che non abbiamo più un’identità, ma solo una funzione, quel<strong>la</strong> di servire, a questo punto può<br />

solo essere dannoso (53). La letteratura, se davvero è <strong>la</strong> «creazione di una salute» (54), deve perforare<br />

le barriere illusionistiche dell’immag<strong>in</strong>ario e far sentire il mondo come è. Per riuscirci, cioè per arrivarci, a<br />

queste «cose troppo grandi, troppo forti», ma anche per sostenerne l’urto senza esserne completamente<br />

disfatti, bisogna prima di tutto imparare a ridere di tutte le pretese dell’“uomo”. Quel<strong>la</strong>, per esempio, di<br />

pensarsi il privilegiato ascoltatore del<strong>la</strong> voce silenziosa dell’Essere; o quel<strong>la</strong> di non essere tutto dest<strong>in</strong>ato<br />

al<strong>la</strong> morte (<strong>la</strong> canzonatura che sale da Mille P<strong>la</strong>teaux: «pour <strong>qui</strong> il se prend, l’homme?» – ma chi crede di<br />

essere, l’uomo?). Sono molti i contenuti e le immag<strong>in</strong>i su cui l’“uomo”, questa «forma d'espressione»,<br />

esercita il suo dom<strong>in</strong>io, e sono molti i posti di blocco dove non farsi <strong>in</strong>tercettare se se ne vuole uscire<br />

(55). Per riuscirci, sembra dire Beckett, a f<strong>in</strong>ire ancora, ad avere «ancora un secondo. Uno soltanto. Il<br />

tempo di aspirare questo vuoto. Assaporare <strong>la</strong> felicità» (56), bisogna diventare un sasso. Quasi un sasso.<br />

Ma chi crede di essere, l’uovo?<br />

Federico Francucci<br />

[Da Tegole dal cielo. L'"effetto Beckett" nel<strong>la</strong> cultura italiana, a cura di Gianfranco Alfano e Andrea Cortellessa (EDUP,<br />

2006).]<br />

Note.<br />

(1) Th. W. Adorno, Versuch, das Endspiel zu verstehen, <strong>in</strong> Noten zur Literatur, II, Frankfurt Ma<strong>in</strong>, Suhrkamp, 1961;<br />

trad. it. Tentativo di capire il «F<strong>in</strong>ale di partita», <strong>in</strong> Note per <strong>la</strong> letteratura I, 1943-1961, Tor<strong>in</strong>o, E<strong>in</strong>audi, 1979, p.<br />

275.<br />

(2) S. Beckett, Poesie <strong>in</strong> <strong>in</strong>glese, Tor<strong>in</strong>o, E<strong>in</strong>audi, 1964: si tratta del<strong>la</strong> traduzione di S. Beckett, English Poems,<br />

London, John Calder, 1961; <strong>la</strong> recensione di Porta s’<strong>in</strong>tito<strong>la</strong> Beckett <strong>in</strong> poesia ed è alle pp. 57-<strong>60</strong>.<br />

(3) Il testo <strong>in</strong>glese: «on me my life harryig flee<strong>in</strong>g / to its beg<strong>in</strong>n<strong>in</strong>g to its end»; il testo francese: «sur moi ma vie <strong>qui</strong><br />

me fui me poursuit / et f<strong>in</strong>irà le jour de son commencement»; Poesie <strong>in</strong> <strong>in</strong>glese, cit., p. 74.<br />

(4) S. Beckett, Le poesie, a c. di G. Frasca, Tor<strong>in</strong>o, E<strong>in</strong>audi, 1999, p. 107 e nota esplicativa pp. 287-288.<br />

(5) R. Barilli, Normalizzazione e abbassamento, <strong>in</strong> Gruppo 63. Il romanzo sperimentale, a c. di R, Barilli e A.<br />

Guglielmi, Mi<strong>la</strong>no, Feltr<strong>in</strong>elli, 1965, p. 20.<br />

(6) A Porta, [Intervento], <strong>in</strong> Gruppo 63, cit., pp. 66-67.<br />

(7) Nel 1965 il lettore italiano aveva accesso al<strong>la</strong> Trilogia, pubblicata da Sugar tra 1957 e 1958; al volume di Teatro<br />

e<strong>in</strong>audiano del 1961, comprendente tutte le pièces da Godot a Krapp; a Murphy, ancora per E<strong>in</strong>audi, tradotto dal<br />

francese nel 1962, e <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e oltre ai già ricordati versi <strong>in</strong>glesi a Come è, uscito da E<strong>in</strong>audi nel 1965. Erano stati<br />

rappresentati, <strong>in</strong> vari teatri italiani, Aspettando Godot (nel 1954), F<strong>in</strong>ale di partita (1958), L’ultimo nastro di Krapp<br />

(1961), Gioco (1964) e Giorni felici (1965); e sulle frequenze radiofoniche del<strong>la</strong> RAI erano stati trasmessi Ceneri, nel<br />

19<strong>60</strong>, e Tutti quelli che cadono nel 1961. Per notizie più dettagliate si veda S. Beckett, Teatro completo, a c. di P.<br />

Bert<strong>in</strong>etti, Tor<strong>in</strong>o, E<strong>in</strong>audi, 1994.<br />

(8) A. Tagliaferri, [Intervento], <strong>in</strong> Gruppo 63, cit., p. 66.<br />

(9) R. Barilli, Nichilismo retorico di Beckett., <strong>in</strong> Id., L’azione e l’estasi. Le neoavanguardie negli anni ‘<strong>60</strong>, Tor<strong>in</strong>o,<br />

testo&immag<strong>in</strong>e, 1999 [I ed. Mi<strong>la</strong>no, Feltr<strong>in</strong>elli, 1967], pp. 114, 115, 118. A Barilli rispose, e merita per questo<br />

gratitud<strong>in</strong>e, un altro amico-nemico come Angelo Guglielmi, che nel ‘68 recensì con dovizia il volume sul numero 7 di<br />

«Qu<strong>in</strong>dici». Si impone una citazione lunga, se non altro per r<strong>in</strong>francarci un po’: «Ecco, Beckett è <strong>la</strong> bestia nera del<br />

discorso di Barilli (nel senso di colui che m<strong>in</strong>accia sempre di sgambettarlo) come Robbe-Grillet ne era l’angelo<br />

illum<strong>in</strong>ante. Per Barilli Beckett è il grande negatore, è una specie di angelo del nul<strong>la</strong>, le sue illum<strong>in</strong>azioni sono <strong>in</strong>cendi<br />

che <strong>in</strong>ceneriscono, le sue immag<strong>in</strong>azioni sono pensieri di morte. Beckett costituisce <strong>la</strong> prospettiva negativa, è il profeta<br />

degli apocalittici, degli adoratori del<strong>la</strong> morte dell’arte, come Barilli li chiama, dei sacerdoti del<strong>la</strong> f<strong>in</strong>e del mondo. In<br />

questo senso ponendosi esattamente all’opposto di Robbe-Grillet che ridando spazio alle cose e ai suoi [sic] aspetti<br />

<strong>in</strong>eluttabili <strong>in</strong>troduce e <strong>in</strong>coraggia una prospettiva <strong>in</strong>tellettuale democratica e da tutti praticabile. Ecco <strong>qui</strong> che Barilli<br />

mentre crede di portare avanti un’analisi stilistica sviluppa <strong>in</strong>fatti una piatta analisi contenutistica. Inavvertitamente<br />

privilegia nel<strong>la</strong> sua considerazione gli aspetti aneddotici <strong>la</strong>sciandosi sfuggire le ragioni di struttura, le aperture dello<br />

stile. Contro <strong>la</strong> vetr<strong>in</strong>a di oggetti ben conservati che gli offre Robbe-Grillet sta <strong>la</strong> mostra degli sciancati con cui Beckett<br />

gli viene <strong>in</strong>contro. Così l’uno (il primo) è <strong>la</strong> vita, l’altro <strong>la</strong> spia del<strong>la</strong> f<strong>in</strong>e. Barilli cade nel<strong>la</strong> trappo<strong>la</strong> del<strong>la</strong> sua stessa<br />

virtù. La sua virtù è <strong>la</strong> vista corta, <strong>la</strong> sua propensione a tenere l’occhio strettamente <strong>in</strong>col<strong>la</strong>to all’oggetto e il suo rifiuto<br />

(davvero provvidenziale) di tenerlo fisso sull’<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito. Ma ogni virtù si paga. Il prezzo che Barilli versa è il non rendersi<br />

52


perfettamente conto che a partire da <strong>in</strong>gredienti e materiali corrotti e <strong>in</strong> disfacimento Beckett avvia un processo<br />

d’<strong>in</strong>venzione stilistica e strutturale tanto più gagliardamente vitale quanto più compromessi e m<strong>in</strong>ati sono i materiali di<br />

partenza. I personaggi di Beckett sono sostanzialmente dei picari. Il picaro è certamente sconfitto, è oggetto di<br />

ludibrio e vittima del<strong>la</strong> cattiva sorte ma tale che sceglie e vive l’abiezione come esperienza di allegria. Se ha ancora un<br />

senso dire che il romanzo è avventura allora l’unico grande narratore vivente è Beckett»; A. Guglielmi, Letteratura<br />

come libertà, «Qu<strong>in</strong>dici», n. 7, 1968, p. 2.<br />

(10) Aspetto, questo, che Tagliaferri aveva benissimo enucleato <strong>in</strong> quegli anni, sottol<strong>in</strong>eando come <strong>la</strong> diffidenza<br />

beckettiana per <strong>la</strong> paro<strong>la</strong>-entità autonoma comportasse <strong>la</strong> li<strong>qui</strong>dazione dei «grumi mimetici», ossia delle parolemondo,<br />

di Joyce; e che <strong>in</strong> seguito è stato l’oggetto di alcuni straord<strong>in</strong>ari saggi firmati da Gabriele Frasca (secondo cui<br />

Beckett è un campione, per precocità ed em<strong>in</strong>enza, delle estetiche post-joyciane). Lo stesso Tagliaferri rispondeva<br />

implicitamente al<strong>la</strong> teoria del romanzo come esplorazione progettante del possibile, e assestamento strutturale sul<br />

carattere aperto dell’esistenza, opponendole <strong>la</strong> tecnica negatrice, non <strong>in</strong>genua ma «metacritica», di Beckett, ossia<br />

«l’impegno di una cont<strong>in</strong>uazione direzionata dal<strong>la</strong> precisa funzione […] di negazione di tutti i valori ipostatici, di tutte le<br />

reificazioni che un’<strong>in</strong>tera millenaria tradizione occidentale ha raggrumato a coprire l’<strong>in</strong>sostenibilità del<strong>la</strong> nuda<br />

soggettività umana». Il rifugio metafisico <strong>in</strong> cui sembrava ai fenomenologi del Gruppo 63 r<strong>in</strong>cantucciarsi, <strong>in</strong> cerca di<br />

sicurezze, l’opera di Beckett, è vo<strong>la</strong>tilizzato da Tagliaferri che reimmette <strong>la</strong> posizione nichilista nel flusso di<br />

affermazioni e negazioni implicantesi vicendevolmente soltanto per andare oltre se stesse: «l’opera viene<br />

progressivamente risucchiata, affasc<strong>in</strong>ata dal<strong>la</strong> ipotesi del<strong>la</strong> propria assenza, di un tempo e di un luogo <strong>in</strong> cui ancora<br />

non era, e al contempo strumentalizza questa ipotesi potenzialmente num<strong>in</strong>osa col reggersi su di essa per cont<strong>in</strong>uare a<br />

sfuggirsi verso un tempo e un luogo <strong>in</strong> cui non sarà più. Questa speranza, potenzialmente altrettanto num<strong>in</strong>osa, può<br />

sussistere f<strong>in</strong> tanto che viene delusa, e <strong>la</strong> criticità di questa condizione è al centro del<strong>la</strong> poetica beckettiana»; A.<br />

Tagliaferri, Beckett e l’iperdeterm<strong>in</strong>azione letteraria, Mi<strong>la</strong>no, Feltr<strong>in</strong>elli, 1979 [I ed. Mi<strong>la</strong>no, Feltr<strong>in</strong>elli, 1967], pp. 34-<br />

35.<br />

(11) Ma anche <strong>in</strong> questo caso fa eccezione Tagliaferri, consapevole da subito che il non potersi fermare del vanilo<strong>qui</strong>o<br />

che attraversa i fantocci beckettiani, e <strong>la</strong> paralle<strong>la</strong> <strong>in</strong>arrestabilità del<strong>la</strong> negazione, <strong>in</strong>direttamente significavano <strong>la</strong> f<strong>in</strong>e<br />

del meccanismo tradizionale del<strong>la</strong> rappresentazione, e <strong>la</strong> convocazione del lettore nell’opera: «l’autore si è sbarazzato<br />

del<strong>la</strong> concezione tradizionalmente oggettiva del<strong>la</strong> fabu<strong>la</strong>zione: dal<strong>la</strong> tran<strong>qui</strong>l<strong>la</strong> frontalità implicita nell’uso seco<strong>la</strong>re delle<br />

regole aristoteliche, le rivoluzioni cosmologiche portano lo spettacolo fra gli spettatori negando loro <strong>la</strong> possibilità di<br />

assistervi con il distacco che permette l’identificazione e l’oggettivazione del nucleo immobile del<strong>la</strong> narrazione»<br />

(ibidem); e anche <strong>in</strong> questo caso Frasca, prolungando per tutt’altre vie le conclusioni di Tagliaferri, ha saputo<br />

mostrare, a partire dal<strong>la</strong> f<strong>in</strong>e degli anni Ottanta, come Beckett abbia costruito vere e proprie «macch<strong>in</strong>e per <strong>la</strong><br />

diretta», macch<strong>in</strong>e «per fare compagnia», vale a dire comunità. Mi riferisco <strong>in</strong> partico<strong>la</strong>r modo a Cascando, Napoli,<br />

Liguori, 1988, a Per <strong>in</strong>tradurre <strong>la</strong> compagnia, «il verri», n. 18, 2002, e al capitolo Congegni fonografici nel<strong>la</strong> Lettera<br />

che muore, Roma, Meltemi, 2004.<br />

(12) Questa fase dell’attività portiana, nonostante molto se ne sia scritto, e spesso ottimamente, attende ancora una<br />

sistemazione critica adeguata. Ho provato a seguire i tracciati del<strong>la</strong> voce, e a r<strong>in</strong>venire le giunture macrostrutturali<br />

del<strong>la</strong> prima silloge nel mio Un’<strong>in</strong>terpretazione dei Rapporti, <strong>in</strong> corso di pubblicazione su «Strumenti critici» n. 114,<br />

2006; e a dar conto dell’<strong>in</strong>treccio formale di una poesia di Cara <strong>in</strong> Per leggere Come se fosse un ritmo, «Strumenti<br />

critici», n. 108, 2005, pp. 319-338. Rimando a quei saggi anche per <strong>la</strong> bibliografia di riferimento.<br />

(13) A. Porta, Partita, Mi<strong>la</strong>no, Feltr<strong>in</strong>elli, 1967; ripubblicato da Mondadori con un’<strong>in</strong>troduzione dell’autore nel 1978.<br />

(14) Il personaggio cruciale, colui che, nel<strong>la</strong> f<strong>in</strong>zione narrativa, ha il compito di giustificar<strong>la</strong>, è dunque il mediatore, il<br />

trascrittore; il superstite che, <strong>in</strong> un tempo catastrofico, trova un fust<strong>in</strong>o zeppo di fogli scritti, accanto a un cadavere.<br />

Costui, all’<strong>in</strong>circa nell’ultimo mese di vita, ha tenuto un diario, <strong>in</strong>terval<strong>la</strong>ndo senza un ord<strong>in</strong>e preciso le annotazioni con<br />

trenta lettere <strong>in</strong> versi <strong>in</strong>dirizzate ai figli (le poesie contenute <strong>in</strong> verità sono 31, dato che del novero fa parte, non<br />

numerata, anche <strong>la</strong> Poesia dedicata a Scardanelli). Le lettere di questo libro, tutte scritte nel 1976, confluirono,<br />

assieme a quelle – del 1978 – presenti <strong>in</strong> Passi passaggi e ad alcune altre del 1980-81, nel volume L’aria del<strong>la</strong> f<strong>in</strong>e,<br />

Catania, Lunarionuovo, 1982.<br />

(15) S. Agosti, Porta e <strong>la</strong> scena del<strong>la</strong> crudeltà, <strong>in</strong> Id., Poesia italiana contemporanea, Mi<strong>la</strong>no, Bompiani, 1995.<br />

(16) A. Porta, Il re del magazz<strong>in</strong>o, Mi<strong>la</strong>no, Mondadori, 1978, p. 30. La somiglianza con <strong>la</strong> frase beckettiana sul<strong>la</strong><br />

necessità di «fare buchi nel l<strong>in</strong>guaggio» per vedere «cos’è nascosto dietro» è, credo, <strong>in</strong>gannevole. La lettera ad Axel<br />

Kaun, da cui l'ho prelevata, si legge <strong>in</strong> Disjecta: Miscel<strong>la</strong>neous Writ<strong>in</strong>gs and a Dramatic Fragment, edited by R. Cohn,<br />

London, Grove Press, 1984; trad. it. Disiecta: scritti sparsi e un frammento drammatico, a c. di A. Tagliaferri, Mi<strong>la</strong>no,<br />

EGEA , 1991.<br />

(17) S. Beckett, Nouvelles et Textes pour rien, Paris, Les Editions de M<strong>in</strong>uit, 1955, trad. it. Testi per nul<strong>la</strong>, <strong>in</strong> Id.,<br />

Primo amore. Novelle. Testi per nul<strong>la</strong>, Tor<strong>in</strong>o, E<strong>in</strong>audi, 1979, p. 139. Forse conta qualcosa anche che <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> galet,<br />

tradotta da Wilcock proprio con «ciotolo», comparisse già <strong>in</strong> quel<strong>la</strong> poesia francese elogiata da porta, al v. 2: «je suis<br />

ce cours de sable <strong>qui</strong> glisse / entre le galet et <strong>la</strong> dune».<br />

(18) «La luna com<strong>in</strong>cia a ca<strong>la</strong>re rapidamente. In un attimo si fa notte. La luna si alza sul fondo, sale alta nel cielo, si<br />

ferma, <strong>in</strong>onda <strong>la</strong> scena di un chiarore argentato. V<strong>la</strong>dimiro: – Mah! […] Che fai? – Estragone: – Quello che fai tu,<br />

guardo il faccione –»; S. Beckett, En attendant Godot, Paris, Les Editions de M<strong>in</strong>uit, 1952, trad. it. Aspettando Godot,<br />

<strong>in</strong> S. Beckett, Teatro completo, cit., p. 45.<br />

(19) Il «sì» è quello, già citato, che si trova al<strong>la</strong> f<strong>in</strong>e di Europa cavalca un toro nero, un sì joyciano (l’autore stesso<br />

certifica <strong>la</strong> discendenza: «è <strong>la</strong> citazione dell’ultima paro<strong>la</strong> di Ulysses») che, scrive Porta, «nonostante tutto non mi ha<br />

più abbandonato». «Ancora» viene da un altro f<strong>in</strong>ale, quello del<strong>la</strong> decima poesia di Passeggero, scritta nel 1975, solo<br />

un anno prima delle Brevi lettere 1976. La poesia è dedicata al fratello Mario, allora da poco scomparso, e gli ultimi<br />

due versi suonano: «appoggia una mano all’ombra si mette / seduto e dice: ancora». «Non mi sento di dire altro –<br />

sono parole portiane – se non far notare l’“ancora” f<strong>in</strong>ale, così vic<strong>in</strong>o a quel “Sì” di cui ho detto per Europa». Le<br />

citazioni vengono da A. Porta, Nel fare poesia, Mi<strong>la</strong>no, Mondadori, 1985, rispettivamente alle pp. 10, 73 e 69.<br />

(20) «Ma <strong>la</strong> difficoltà sta nel pr<strong>in</strong>cipio, nell’impossibilità di rizzarmi <strong>in</strong> piedi, da carponi come ero f<strong>in</strong>ito. Allora ho<br />

preferito cedere al<strong>la</strong> mancanza di forze (<strong>la</strong> fame ha <strong>la</strong> sua importanza ma anche <strong>la</strong> frana silenziosa dei desideri che si<br />

produce nel<strong>la</strong> separazione) e mi sono rimesso sup<strong>in</strong>o. In quel momento ho sentito con precisione che il mio sesso si<br />

stava conge<strong>la</strong>ndo»; A. Porta, Il re del magazz<strong>in</strong>o, cit., pp. 119-120.<br />

(21) S. Beckett, B<strong>in</strong>g, <strong>in</strong> Id., Têtes-mortes, Paris, Les Editions de M<strong>in</strong>uit, 1972, p. 61.<br />

53


(22) Quest’ultima difficoltà si riflette anche sul piano narratologico del romanzo, che ha bisogno, lo accennavo prima,<br />

di un mediatore, di una persona viva che riapra il diario e recapiti le lettere, e tale necessità trova un preciso riscontro<br />

nel tessuto narrativo: «lì accanto, dove starò» – e da morto, s’<strong>in</strong>tende – «appesa a un albero o <strong>in</strong>chiodata al tronco,<br />

immag<strong>in</strong>o una cassett<strong>in</strong>a postale che funzionerà al contrario: <strong>in</strong>vece di ricevere <strong>la</strong> posta serve a consegnar<strong>la</strong> a chi<br />

passa. Le mie lettere sono dest<strong>in</strong>ate a tutti coloro che vogliono leggerle e qualcuno dovrà provvedere a rifornire <strong>la</strong><br />

cassetta, ammesso che i passanti siano molti e che abbiano voglia di fermarsi sotto l’albero, ai suoi piedi, o accucciati<br />

lì su una radice, per voglia di leggermi o semplicemente di leggere, qualunque cosa» (Il re del magazz<strong>in</strong>o, cit., pp. 86-<br />

87; il corsivo è mio e spero di poterlo giustificare tra breve). Il personaggio di un romanzo, anche qualora, come nel<strong>la</strong><br />

f<strong>in</strong>zione del Re del magazz<strong>in</strong>o; sia il personaggio che scrive quanto noi leggiamo, ha bisogno di un’istanza autoriale<br />

che <strong>in</strong>venti (immag<strong>in</strong>i) <strong>la</strong> sua esperienza, e <strong>la</strong> <strong>in</strong>serisca <strong>in</strong> un mondo parimenti immag<strong>in</strong>ato. Beckett, scrivendo Watt,<br />

aveva messo <strong>in</strong> chiaro che le voci che si sentono negli organismi romanzeschi sono <strong>in</strong> realtà quasi sempre <strong>la</strong> voce<br />

dell’autore, ventriloquo dei suoi personaggi; e sabotato il canale tra istanza autoriale e personaggio mettendoli<br />

entrambi sul<strong>la</strong> pag<strong>in</strong>a e divertendosi ad ostaco<strong>la</strong>re il loro «monodialogo», per dir<strong>la</strong> con Manganelli. Anche Watt<br />

contemp<strong>la</strong> <strong>in</strong>fatti un mediatore o portavoce («mouthpiece»), di nome Sam, che riporta i discorsi dell’eroe eponimo. A<br />

scherno feroce dell’ideologia letteraria del<strong>la</strong> fedeltà al vero, per cui nel suo <strong>la</strong>voro di immag<strong>in</strong>azione l’autore non<br />

dovrebbe tradire <strong>la</strong> “realtà”, Beckett fa sì che Sam (o all’<strong>in</strong>verso) riferisca al<strong>la</strong> lettera le dichiarazioni di Watt anche<br />

quando costui è colto da tragicomici disturbi l<strong>in</strong>guistici e modifica <strong>in</strong> vari modi l’ord<strong>in</strong>e dei componenti delle parole e<br />

delle frasi. «Ettod ìa osac? Ettod ìa osac?». Mentre Porta assemb<strong>la</strong> una narrazione <strong>in</strong> cui afferma o racconta di voler<br />

uscire da certi meccanismi del<strong>la</strong> letteratura, e proprio raccontandolo ostaco<strong>la</strong> il suo <strong>in</strong>tento, dopo Watt Beckett, con <strong>la</strong><br />

grande <strong>in</strong>venzione del<strong>la</strong> voce <strong>in</strong>nom<strong>in</strong>abile, ricostruisce un flusso di attività mentale decontestualizzata e usa una<br />

prima persona grammaticale che vale come punto di entrata su quel flusso, <strong>in</strong> modo che ogni lettore possa farsene il<br />

supporto diretto: si veda ancora G. Frasca, Cascando, cit. Ricordo che il grande saggio di Foucault sul<strong>la</strong> figura<br />

dell’autore, del 1969, si appoggia, e pour cause, su una frase tolta dall’Innom<strong>in</strong>abile: «che importa chi par<strong>la</strong>, qualcuno<br />

ha detto che importa chi par<strong>la</strong>»; M. Foucault, Qu’est ce qu’un auteur?, <strong>in</strong> Dits et écrits I, 1954-1975, Paris, Gallimard,<br />

2001; trad. it. Che cos’è un autore?, <strong>in</strong> Scritti letterari, Mi<strong>la</strong>no, Feltr<strong>in</strong>elli, 1984 [I ed. 1974], p. 3.<br />

(23) Ivi, pp. 100-101<br />

(24) Ivi, p. 86.<br />

(25) Ivi, p. 152.<br />

(26) «Adesso che ho f<strong>in</strong>ito <strong>la</strong> trascrizione <strong>in</strong>tegrale con scrupolo da filologo, <strong>in</strong> omaggio ai vecchi maestri, non so<br />

ancora quanto gioverà al<strong>la</strong> mia vita avere attraversato <strong>la</strong> sua, lo sapranno i giorni futuri. C’è una picco<strong>la</strong> frase che mi<br />

aiuta e che voglio ripetere: farò tutto nuovo»; ivi, p. 8, a chiudere l’Informazione prelim<strong>in</strong>are.<br />

(27) A. Porta, Passi passaggi, Mi<strong>la</strong>no, Mondadori, 1980, p. 142. Il testo è l’ultimo del<strong>la</strong> raccolta, compreso nel<strong>la</strong><br />

sezioni di Brevi lettere 1978. La giuntura con Il re del magazz<strong>in</strong>o ne è ulteriormente rafforzata.<br />

(28) Nel Re del magazz<strong>in</strong>o si par<strong>la</strong> senza mezzi term<strong>in</strong>i di abolizione del padre, necessaria per uscire da un circolo<br />

vizioso, un cerchio che non protegge ma imprigiona e condanna a morte: «il Padre manda il Figlio al sacrificio. È <strong>la</strong><br />

morte del figlio che deve aprire il futuro, il farò tutto nuovo. […] Così una possibile successione diventa un cerchio che<br />

non si apre e nessun anello del<strong>la</strong> catena può spezzarsi, il futuro non com<strong>in</strong>cia, f<strong>in</strong>isce già prima e il frastuono del<strong>la</strong><br />

storia rischia di rimanere quello di un circuito chiuso. Per uscirne c’è una so<strong>la</strong> speranza: è il padre che deve<br />

cancel<strong>la</strong>rsi»: Il re de magazz<strong>in</strong>o, cit., p. 137. E <strong>in</strong> Airone: «non vi è traccia di maschio sul<strong>la</strong> terra» (<strong>in</strong> A. Porta, Il<br />

giard<strong>in</strong>iere contro il becch<strong>in</strong>o, Mi<strong>la</strong>no, Mondadori, 1988, p. 90. Questo titolo offre l’occasione per un altro piccolo<br />

contrappunto beckettiano: il giard<strong>in</strong>iere del signor Knott si chiama Graves).<br />

(29) Dal<strong>la</strong> medesima sezione di Airone: «sotto rimane nascosta / <strong>la</strong> p<strong>la</strong>centa che tutto contiene, / cunicoli di dove <strong>la</strong><br />

vita risale veloce / […]e <strong>la</strong> madre / risucchia tutto e tutto restituisce / <strong>in</strong> forma di albero, di foglie, di erbe, di muschio,<br />

/ di licheni, di anellidi, di bacche odorose, <strong>la</strong> mia bocca / si apre per accoglier<strong>la</strong>, <strong>la</strong> l<strong>in</strong>gua del<strong>la</strong> terra, / str<strong>in</strong>ger<strong>la</strong> tutta<br />

dentro di sé» (ibidem). Si potrebbero fare molti altri esempi; basti per ora il rimando a titoli come La posizione fetale,<br />

Poemetto con <strong>la</strong> madre, Partorire <strong>in</strong> chiesa.<br />

(30) «Oggi quando il merlo del<strong>la</strong> f<strong>in</strong>e chiocco<strong>la</strong> / ancora una volta il mio corpo si alleggerisce / così che il vento lo<br />

soffia e io sono / polvere cieca e feconda»; non stupirà nessuno che si tratti di un testo <strong>in</strong> mortem, dedicato a<br />

Tanizaki. A. Porta, Invasioni, Mi<strong>la</strong>no, Mondadori, 184, p. 45.<br />

(31) Penso ad esempio a That Time, con il suo muto ascoltatore di voci, e il <strong>la</strong>conico – stavolta davvero uno short<br />

statement – “discorso” del<strong>la</strong> polvere: «nessun rumore soltanto il vecchio respiro e i fogli voltati e poi di colpo questa<br />

polvere il posto di colpo pieno di polvere quando apristi gli occhi dal pavimento al soffitto niente solo polvere e non un<br />

rumore solo cos’è che disse andato e venuto fu questo che disse o qualcosa così venuto e andato venuto e andato<br />

nessuno venuto e andato <strong>in</strong> un momento andato <strong>in</strong> un momento»; S. Beckett, Quel<strong>la</strong> volta, <strong>in</strong> Id., Teatro completo,<br />

cit., p. 448.<br />

(32) È <strong>la</strong> sesta del<strong>la</strong> sezione Balene delf<strong>in</strong>i bamb<strong>in</strong>i <strong>in</strong> A. Porta, Invasioni, Mi<strong>la</strong>no, Mondadori, 1984, p. 21.<br />

(33) « – Noi abbiamo fatto l’amore – dice Elisabeth – pochi giorni dopo che mio figlio è nato, quando io scoppiavo di<br />

<strong>la</strong>tte. Mi sono sentita bruciare. – Guardo Elisabeth un po’ sorpreso, un po’ filisteo, ma sono conv<strong>in</strong>to che ha ragione<br />

quando par<strong>la</strong> apertamente. Temo solo che altri possano fra<strong>in</strong>tender<strong>la</strong> e <strong>in</strong>fatti <strong>la</strong> fra<strong>in</strong>tendono e le fanno proposte<br />

sessuali. Lei le accetta e le resp<strong>in</strong>ge, per scelta, per sentirsi libera. Penso che se Elisabeth sapesse del<strong>la</strong> geisha mi<br />

guarderebbe come se l’avessi derubata di qualcosa, di qualcosa di concreto che le appartiene di diritto: il mio seme»;<br />

A. Porta, Los(t) Angeles, Firenze, Vallecchi, 1996, p. 80.<br />

(34) «Maledetto progenitore!» grida per esempio Hamm a suo padre Nagg; più pacata a riguardo l’osservazione di<br />

Molloy: «Non ce l’ho troppo con mia madre, io. So che fece di tutto per non avermi, salvo evidentemente <strong>la</strong> cosa più<br />

importante. […] Ma l’<strong>in</strong>tenzione era buona e questo mi basta». «Vado a vedere», dice Clov dopo aver creduto di<br />

avvistare un bamb<strong>in</strong>o fuori dal rifugio, «prendo il ramp<strong>in</strong>o». «Lascia perdere», gli <strong>in</strong>tima Hamm, al che il servitore<br />

replica stupefatto: «<strong>la</strong>sciar perdere? Un procreatore <strong>in</strong> potenza?».<br />

(35) S. Beckett, Testi per nul<strong>la</strong>, cit., pp. 140 e 141.<br />

(36) Cont<strong>in</strong>ua Pasi: «il corpo è il <strong>la</strong>ccio che str<strong>in</strong>ge <strong>in</strong> un rapporto <strong>in</strong> cui fatalmente circo<strong>la</strong> <strong>la</strong> vita e <strong>la</strong> vita non è so<strong>la</strong>.<br />

L’<strong>in</strong>crocio di identità <strong>la</strong>cunose che <strong>la</strong> costituisce contrasta con <strong>la</strong> pulsione a scomparire, a tacere, ad appiattirsi nello<br />

stato tanto agognato del<strong>la</strong> “sup<strong>in</strong>azione cerebrale”, premessa al<strong>la</strong> distensione del<strong>la</strong> morte»; C. Pasi, La comunicazione<br />

crudele. Da Baude<strong>la</strong>ire a Beckett, Tor<strong>in</strong>o, Bor<strong>in</strong>ghieri, 1998, p. 304.<br />

(37) Sono versi importantissimi tratti dalle Brevi lettere 1978, <strong>in</strong> Passi passaggi, cit., p. 28.<br />

54


(38) Ancora dalle Brevi lettere 1978: «diciamo così: questa è <strong>la</strong> nostra terra questo / il luogo dove abitare e questo è<br />

il nostro nome / a ognuno il suo e per tutti: noi / […] <strong>qui</strong> i miei versi diventano semplici e chiari / spazio dove si<br />

<strong>in</strong>contrano i nostri progetti / per abitarci f<strong>in</strong>almente e dire: adesso / sappiamo cosa dire (tutto deve r<strong>in</strong>ascere)»; ivi, p.<br />

30.<br />

(39) Si veda <strong>in</strong> Passi passaggi <strong>la</strong> poesia La luna: «cresce un altro pensiero: <strong>la</strong> soffice cul<strong>la</strong> si trasforma <strong>in</strong> letto / e il<br />

letto <strong>in</strong> una picco<strong>la</strong> cassa di legno / e <strong>la</strong> cassetta di legno <strong>in</strong> polvere / e <strong>la</strong> polvere <strong>in</strong> respiro /(ma il respiro è già di un<br />

altro che cont<strong>in</strong>ua)»; e, <strong>in</strong> Yellow (Mi<strong>la</strong>no, Mondadori, 2002, p. 30) Prego che <strong>la</strong> poesia: «Prego che <strong>la</strong> poesia /forte e<br />

pietrificata / <strong>in</strong> passato e futuro / voglia sgorgare adesso li<strong>qui</strong>da / musica su da un pozzo <strong>in</strong>esauribile / (f<strong>in</strong> che l’uomo<br />

abita <strong>la</strong> terra) / e questo scorrere sorgivo e antico / passa dal filtro mio / ma è poi di tutti, / <strong>in</strong>sieme ci mettiamo <strong>in</strong><br />

ascolto». Che l’aria del<strong>la</strong> f<strong>in</strong>e, quel<strong>la</strong> che «si com<strong>in</strong>cia a sentire» nell’explicit del<strong>la</strong> ventiseiesima lettera del 1976, vada<br />

<strong>in</strong>tesa anche <strong>in</strong> senso propriamente musicale, è una supposizione confortata ulteriormente dal<strong>la</strong> lettura del<strong>la</strong> Festa del<br />

cavallo, <strong>in</strong> cui Glück e Monteverdi vengono evocati e più di una volta i personaggi, uom<strong>in</strong>i ridiventati bruti che<br />

sopravvivono <strong>in</strong> condizioni terribili, hanno degli a solo <strong>in</strong> strofette di versi brevi e cantabili: «il giorno più freddo<br />

dell’anno / il giorno che chiude il domani / amata <strong>qui</strong> accanto rimani / perché si prepara il mio danno / amata io sono<br />

<strong>in</strong> affanno / io sono <strong>in</strong> affanno / nel giorno che schiude il presente». La festa del cavallo, nel<strong>la</strong> sua durezza, è forse <strong>la</strong><br />

cosa portiana che più si avvic<strong>in</strong>a a Beckett. Basterà leggere quest’altra arietta: «ramo secco, ramo secco / il tuo seme<br />

sul<strong>la</strong> sabbia / neanche il vento lo raccoglie / si consuma nel<strong>la</strong> rabbia / nel<strong>la</strong> polvere ti soffia… / nel<strong>la</strong> polvere ti<br />

scaglia…». Ma anche <strong>in</strong> questo caso, e a prezzo di omicidi e cannibalismo, <strong>la</strong> vita sarà cont<strong>in</strong>uata, Musa, il personaggio<br />

femm<strong>in</strong>ile, <strong>in</strong>graviderà, e <strong>in</strong> una scena decisiva tutti potranno sentire il cuore del feto, che diventa il rumore più forte<br />

al cui ritmo tutto si adegua. Le citazioni vengono da A. Porta, La festa del cavallo, Mi<strong>la</strong>no, Corpo 10, 1986, pp. 10 e<br />

36.<br />

(40) A. Porta, Yellow, cit., p. 47.<br />

(41) «Unico fra tutti gli enti, l’uomo, chiamato dal<strong>la</strong> voce dell’essere, esperisce <strong>la</strong> meraviglia di tutte le meraviglie: che<br />

l’ente è. Chi dunque, nel<strong>la</strong> sua essenza, è chiamato nel<strong>la</strong> verità dell’essere, è perciò sempre disposto <strong>in</strong> uno stato<br />

d’animo <strong>in</strong> modo essenziale. Il chiaro coraggio per l’angoscia essenziale garantisce <strong>la</strong> misteriosa possibilità<br />

dell’esperienza dell’essere, perché vic<strong>in</strong>o all’angoscia essenziale e allo sgomento dell’abisso abita il timore. L’angoscia<br />

dirada (lichtet) e custodisce quel luogo abitato dall’uomo, entro il quale egli dimora stabilmente come a casa»; M.<br />

Heidegger, Nachwort zu «Was ist Metaphysik?», <strong>in</strong> Id., Wegmarken, Frankfurt Ma<strong>in</strong>, Klostermann, 1976; trad. it.<br />

Poscritto a «Che cos’è metafisica?», <strong>in</strong> Id., Segnavia, Mi<strong>la</strong>no, Adelphi, 1994 [I ed. 1987], p. 262.<br />

(42) A. Porta, Yellow, cit., p. 68. O anche: «Se ti prepari al<strong>la</strong> nascita / esci dal<strong>la</strong> dimensione del tempo / eppure,<br />

dicono, entri nel tempo. / ma c’è un tempo che non conosciamo 7 che non misuriamo mentre agisce / dentro e fuori di<br />

noi: <strong>la</strong> nascita / lo sve<strong>la</strong> e <strong>la</strong> morte non lo cancel<strong>la</strong>. / Anche il senza tempo ha un tempo / e ci sfugge e non va<br />

<strong>in</strong>seguito, / ritorna da solo quando il corpo / guizza fuori dall’utero e nasce / <strong>la</strong> voce»; ivi, p. 98.<br />

(43) A. Porta, Los(t) Angeles, cit., p. 73.<br />

(44) Ibidem.<br />

(45) Ivi, p. 76.<br />

(46) Ibidem.<br />

(47) Ivi, p. 71. Importantissimo che <strong>la</strong> rammemorazione si attivi al racconto, pressoché identico, di un’altra persona<br />

del<strong>la</strong> generazione del narratore – Antonio, Emilio o Leo, ricordiamocelo – e <strong>qui</strong>ndi testimoni un’esperienza comune,<br />

quel<strong>la</strong> di chi ha vissuto <strong>la</strong> seconda guerra mondiale da bamb<strong>in</strong>o.<br />

(48) Sono parole di Adorno nel saggio beckettiano già citato.<br />

(49) Mi riferisco naturalmente a G. Deleuze, F. Guattari, L’Anti-Oedipe. Capitalisme et Schizophrénie, Paris, Les<br />

Editions de M<strong>in</strong>uit, 1972, trad. it. L’anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia, Tor<strong>in</strong>o, E<strong>in</strong>audi, 1975; e al<strong>la</strong> riflessione<br />

condotta a partire da quelle pag<strong>in</strong>e da Gabriele Frasca nei capitoli ottavo e dodicesimo del suo La lettera che muore,<br />

cit.<br />

(50) Cfr. G. Deleuze, L’épuisé, <strong>in</strong> S. Beckett, Quad et autres pièces pour <strong>la</strong> télévision, suivi de L’épuisé par Gilles<br />

Deleuze, Paris, Les Editions de M<strong>in</strong>uit, 1992, trad. it. G. Deleuze, L’esausto, Napoli, Cronopio, 1999. E solo un<br />

esaurimento fisiologico può condurre a term<strong>in</strong>e l’esaurimento logico: «solo l’esausto può esaurire il possibile, perché<br />

ha r<strong>in</strong>unciato a ogni bisogno, preferenza, scopo o significazione. Solo l’esausto è abbastanza dis<strong>in</strong>teressato,<br />

scrupoloso. […] <strong>la</strong> comb<strong>in</strong>atoria esaurisce il proprio oggetto, ma perché il suo soggetto è egli stesso esaurito.<br />

L’esaustivo e l’esausto»; p. 27.<br />

(51) Th.W. Adorno, Tentativo di capire «F<strong>in</strong>ale di partita», cit., p. 275.<br />

(52) Penso allo stupendo terzo capitolo – La géologie de <strong>la</strong> morale (pour <strong>qui</strong> elle se prend, <strong>la</strong> terre?) – <strong>in</strong> G. Deleuze,<br />

F. Guattari, Mille P<strong>la</strong>teaux. Capitalisme et schizophrénie 2, Paris, Les Edition de M<strong>in</strong>uit, 1980, trad. it. Millepiani.<br />

Capitalismo e schizofrenia 2, Roma, Cooper Castelvecchi, 2003.<br />

(53) Il pr<strong>in</strong>cipio dell’uovo è il titolo di alcune formidabili pag<strong>in</strong>e di Peter Sloterdijk sui rapporti tra l’esistenza umana e<br />

lo spazio che <strong>la</strong> circonda e con cui deve <strong>in</strong>teragire. Ne riporto un passaggio: «Con <strong>la</strong> sua simmetria magica e <strong>la</strong> sua<br />

forma <strong>qui</strong>ntessenziale, l’uovo, dai giorni delle creazioni neolitiche dell’immag<strong>in</strong>e del mondo, era servito come simbolo<br />

primario del<strong>la</strong> creazione di cosmo a partire dal caos. Era possibile, grazie ad esso, presentare con un’evidenza che<br />

conserva qualcosa del pensiero elementare il fatto che le creazioni per nascita costituiscono sempre uno spettacolo <strong>in</strong><br />

due atti: dapprima <strong>la</strong> produzione dell’uovo da parte di una potenza materna, <strong>in</strong> seguito <strong>la</strong> liberazione del<strong>la</strong> creatura<br />

vivente per mezzo di se stessa, a partire dagli <strong>in</strong>volucri o gusci <strong>in</strong>iziali. L’uovo è così un simbolo che <strong>in</strong>segna, a partire<br />

da sé, a pensare <strong>in</strong>sieme <strong>la</strong> forma che protegge e <strong>la</strong> sua rottura. L’orig<strong>in</strong>e non sarebbe quel<strong>la</strong> che è se ciò che ne<br />

scaturisce non ac<strong>qui</strong>stasse <strong>la</strong> libertà. Ma perderebbe il suo potere d’orig<strong>in</strong>e se non potesse riassorbire ciò che è da lei<br />

scaturito; là dove l’Essere è esposto nel<strong>la</strong> scaturig<strong>in</strong>e [jaillissement], è <strong>in</strong> ultima istanza il legame con l’orig<strong>in</strong>e che<br />

annul<strong>la</strong> <strong>la</strong> libertà. Sotto il bisogno di forma parametafisica, i gusci <strong>in</strong>franti non possono dire l’ultima paro<strong>la</strong><br />

sull’autentica forma del tutto; e quanto deve sparire nel dettaglio è <strong>in</strong> questo modo ristabilito su <strong>la</strong>rga sca<strong>la</strong> sotto<br />

forma dell’<strong>in</strong>volucro globale che circonda il mondo e <strong>la</strong> vita, e che non si può perdere; le antiche volte celesti sono<br />

state stabilite come garanti cosmiche del fatto che l’esistenza umana iso<strong>la</strong>ta, anche dopo <strong>la</strong> sua uscita dagli <strong>in</strong>volucri e<br />

dalle caverne resta contenuta <strong>in</strong> vasi <strong>in</strong>distruttibili. […] Visto che il processo del<strong>la</strong> modernizzazione implica<br />

un’<strong>in</strong>iziazione dell’umanità all’esterno assoluto, una teoria del<strong>la</strong> modernizzazione essenziale può produrre formule<br />

credibili e utilizzabili da un punto di vista esistenziale solo se è un protocollo del<strong>la</strong> psicosi ontologica del processo.<br />

Come epoca dei sistematici spostamenti di frontiera, delle patologie collettive del guscio e degli sconvolgimenti<br />

55


epidemici degli <strong>in</strong>volucri, l’era contemporanea esige un’antropologia storica del<strong>la</strong> follia che progredisce»; P. Sloterdijk,<br />

Sphären I. B<strong>la</strong>sen, Frankfurt Ma<strong>in</strong>, Suhrkamp, 1998; non ho potuto vedere l’edizione tedesca, e cito traducendo dal<strong>la</strong><br />

versione francese, P. Sloterdijk, Sphères I. Bulles, Paris, Hachette, 2002, pp. 352-53 e 359. Come si vede, ciò che<br />

auspica Sloterdijk è un sostanzioso parergon di Capitalismo e schizofrenia.<br />

(54) G. Deleuze, La litterature et <strong>la</strong> vie, <strong>in</strong> Id., Critique et cl<strong>in</strong>ique, Paris, Les Editions de M<strong>in</strong>uit, 1993; trad. it. G.<br />

Deleuze, Critica e cl<strong>in</strong>ica, Mi<strong>la</strong>no, Cort<strong>in</strong>a, 1996, p. 17.<br />

(55) «La vergogna di essere uomo: c’è una ragione migliore per scrivere? […] Il mondo è l'<strong>in</strong>sieme dei s<strong>in</strong>tomi di una<br />

ma<strong>la</strong>ttia che co<strong>in</strong>cide con l'uomo. […] Quale salute può bastare a liberare <strong>la</strong> vita ovunque si trovi imprigionata<br />

dall’uomo e nell’uomo, dagli organismi e negli organismi, dai generi e nei generi?»; ivi, pp. 13 e 16.<br />

(56) S. Beckett, Mal vu mal dit, Paris, Les Editions de M<strong>in</strong>uit, 1981; trad. it. Mal visto mal detto, Tor<strong>in</strong>o, E<strong>in</strong>audi,<br />

1981, p. 82.<br />

56


L’ALDILÀ TRAVESTITO:<br />

IL FIN DE PARTIE BECKETTIANO E LE STORIE NATURALI DI EDOARDO SANGUINETI<br />

Prologo<br />

The trouble with tragedy is the fuss it makes<br />

About life and death and other tuppenny aches<br />

(S. Beckett, Long After Chamfort)<br />

(penso a una farsa tragica orgasmatica,<br />

a un tragico striptease ideologico: penso, vedi, all’osceno del<strong>la</strong> scena):<br />

(grande boudoir di ogni filosofia): ogni teatro è un teatro anatomico.<br />

(E. Sangu<strong>in</strong>eti)<br />

L’impraticabilità del tragico costituisce uno dei tratti <strong>in</strong>augurali o paradigmatici del<strong>la</strong> modernità (cfr.<br />

Ste<strong>in</strong>er 1965). Il poema e il teatro antico, l’epica cavalleresca, il dramma romantico ponevano<br />

analogamente al centro il dest<strong>in</strong>o tragico di un eroe unitario, <strong>in</strong>tatto dal dubbio sul suo compito<br />

<strong>in</strong>dividuale di formazione o collettivo di redenzione: Oreste, Enea, Ulisse, f<strong>in</strong>o a Faust. Viceversa, <strong>la</strong><br />

moltiplicazione dei punti di vista e delle prospettive gnoseologiche imposta dal re<strong>la</strong>tivismo e, di più, <strong>la</strong><br />

frantumazione stessa dell’io <strong>in</strong> corrispondenza del<strong>la</strong> nuova <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e psicoanalitica, conducono nel<br />

moderno al<strong>la</strong> dissoluzione dell’<strong>in</strong>tegrità, con conseguente morte irreversibile del personaggio a tutto<br />

tondo, rimpiazzato, nei diversi casi, dall’eroe problematico, dall’antieroe, dall’<strong>in</strong>etto. Restando <strong>in</strong> Italia,<br />

nel<strong>la</strong> vacanza di senso esistenziale e nel disagio <strong>in</strong>dividuale che ne deriva, si ripresenta il comico come<br />

possibilità privilegiata di rappresentazione, dall’umorismo (pirandelliano) al buffo (pa<strong>la</strong>zzeschiano) o,<br />

ancora avanti negli anni, al parodico (sangu<strong>in</strong>etiano o manganelliano) (1). La tragedia non è cioè<br />

deprivata del suo fondamento ontologico, ma solo del suo c<strong>la</strong>ssico v<strong>in</strong>colo formale: l’eroe tragico si<br />

traveste <strong>in</strong> comico mutando <strong>in</strong> virtù <strong>la</strong> “ferrata necessità” di aderire a una sorte beffardamente<br />

<strong>in</strong>control<strong>la</strong>bile, senza più contrasti velleitari o romantici. Fuori d’Italia Joyce, e poi Kafka e Beckett, ossia<br />

<strong>la</strong> deriva dell’identità nelle decl<strong>in</strong>azioni dell’impaludamento socio-antropologico, del<strong>la</strong> mutabilità<br />

angosciosa (l’uomo-scarafaggio) e del<strong>la</strong> paralisi vitale.<br />

Edoardo Sangu<strong>in</strong>eti riconosce <strong>in</strong> Beckett il riferimento, o uno dei riferimenti, del<strong>la</strong> moderna tragedia (ma,<br />

<strong>in</strong>vece, del<strong>la</strong> sua impossibilità) nel dialoghetto premesso ai Sei personaggi.com, uno dei suoi ultimi<br />

“travestimenti”, ossia riproduzioni contemporanee di un testo c<strong>la</strong>ssico e <strong>in</strong> altre parole ancora, quelle<br />

dell’autore, occasioni di travaso del milieu storico-culturale contemporaneo nell’orizzonte testuale del<strong>la</strong><br />

c<strong>la</strong>ssicità, con effetti di “devastazione sfigurante”:<br />

[…] <strong>la</strong> tragedia con <strong>la</strong> società borghese muore. La tragedia c’è con il re, con l’Ancien règime, con l’aristocrazia.<br />

Per essere tragici bisogna non avere niente da fare: allora si può <strong>in</strong>contrare il dest<strong>in</strong>o. Con il mondo borghese<br />

non a caso si passa dal<strong>la</strong> tragedia al dramma. […] La tragedia non può più esistere perché tutte le categorie di<br />

fatalità ad essa connesse non funzionano più. […]. Nelle grandi tragedie novecentesche – si tratti di Kafka o di<br />

Joyce o di Beckett – il tragico è legato al comico. È l’orribile del basso non dell’alto che <strong>in</strong>nesca il tragico.<br />

(Sangu<strong>in</strong>eti 2001, p. 11)<br />

Torna al<strong>la</strong> memoria <strong>la</strong> nota apposta da Sav<strong>in</strong>io (autore tutt’altro che sgradito a Sangu<strong>in</strong>eti, e non distante<br />

da alcune tematiche beckettiane) al<strong>la</strong> voce Dramma per <strong>la</strong> Nuova Enciclopedia, all’<strong>in</strong>domani del<strong>la</strong> seconda<br />

guerra mondiale:<br />

È da una ragione “cosmica” che viene <strong>la</strong> nostra impossibilità di dramma: dal<strong>la</strong> sparizione di Dio. Radice del<br />

dramma era il lunghissimo conflitto tra uomo e Dio (e suoi surrogati). Uomo contro uomo non fanno dramma,<br />

ma appena una rissa (Sav<strong>in</strong>io 1977, p. 127).<br />

Atto primo: denegazione<br />

Se gli esordi sangu<strong>in</strong>etiani (il ’62 di K. e altre cose, restando al teatro) di necessità si muovono entro un<br />

panorama ancora quasi del tutto <strong>in</strong>tatto dal<strong>la</strong> portata scard<strong>in</strong>ante del<strong>la</strong> drammaturgia beckettiana, nel<br />

decennio successivo <strong>la</strong> circo<strong>la</strong>zione di Beckett e <strong>la</strong> mess<strong>in</strong>scena delle sue opere non sono più affidate alle<br />

cure di compagnie semic<strong>la</strong>ndest<strong>in</strong>e, ma con<strong>qui</strong>stano i debiti spazi di riflessione (2):<br />

È evidente che all’altezza dei primi anni Settanta, nell’affrontare teatralmente una tematica come quel<strong>la</strong> del<br />

corpo, non potevo non considerare Beckett un punto di riferimento impresc<strong>in</strong>dibile. […] Non è però men vero<br />

che […] <strong>la</strong> direzione che poi, <strong>in</strong> prima persona, ho cercato di prendere era quel<strong>la</strong> di una perpetua frustrazione<br />

dell’andamento per così dire limpido del<strong>la</strong> narrazione che ancora <strong>la</strong> drammaturgia beckettiana rispetta. Quando<br />

par<strong>la</strong>vo di “materiali” per una messa <strong>in</strong> scena, avevo ben presente l’idea del<strong>la</strong> simultaneità.<br />

57


[…] nei quartetti e sestetti degli anni Sessanta <strong>in</strong> qualche modo esisteva pur sempre una sorta di prescrizione o<br />

di prestrutturazione dell’esecuzione, mentre con Storie naturali pensavo a materiali ancora più <strong>in</strong> disfacimento e<br />

<strong>in</strong> complicazione, totalmente affidati, per <strong>la</strong> loro orchestrazione, al regista e agli attori responsabili del<strong>la</strong> messa<br />

<strong>in</strong> scena.<br />

A par<strong>la</strong>re è Sangu<strong>in</strong>eti stesso, nel<strong>la</strong> r<strong>in</strong>novata edizione delle Storie naturali, “materiali per <strong>la</strong> scena”<br />

orig<strong>in</strong>ariamente dest<strong>in</strong>ati a un nuovo progetto teatrale ronconiano, all’<strong>in</strong>domani del rivoluzionario e<br />

pionieristico travestimento del Furioso (’69), e poi pubblicati <strong>in</strong> volume autonomo da Feltr<strong>in</strong>elli nel ’71. Il<br />

testo del<strong>la</strong> pr<strong>in</strong>ceps si correda f<strong>in</strong>almente di una nota esplicativa, affidata come spesso accade nel<strong>la</strong><br />

produzione sangu<strong>in</strong>etiana a una conversazione: quel<strong>la</strong> con C<strong>la</strong>udio Longhi, regista del<strong>la</strong> prima mise en<br />

scène <strong>in</strong>tegrale mai realizzata <strong>in</strong> Italia (3). In essa, tra le altre <strong>in</strong>dicazioni autoesegetiche, spicca quel<strong>la</strong><br />

appena riferita, <strong>in</strong> cui Sangu<strong>in</strong>eti resp<strong>in</strong>ge di fatto <strong>la</strong> possibilità di una s<strong>in</strong>onimia scenica tra <strong>la</strong><br />

drammaturgia beckettiana e <strong>la</strong> propria: al di là di un <strong>in</strong>evitabile parallelismo re<strong>la</strong>tivo al<strong>la</strong> (dis)funzione del<br />

corpo <strong>in</strong> entrambe, quel<strong>la</strong> manterrebbe un impianto autenticamente narrativo, <strong>la</strong>ddove all’ideale progetto<br />

sangu<strong>in</strong>etiano andrebbe ricondotto –iuxta <strong>in</strong>tentionem auctoris – l’esclusivo scard<strong>in</strong>amento di qualunque<br />

progettualità diegetica, entro uno spaziotempo r<strong>in</strong>novabile a ogni rappresentazione, e deprivato perciò di<br />

qualunque traccia di cont<strong>in</strong>uità o di unità drammatica (4). In partico<strong>la</strong>re per le Storie, Sangu<strong>in</strong>eti<br />

meditava una mess<strong>in</strong>scena tutta vocale, osando anche oltre <strong>la</strong> simultaneità già sperimentata nel Furioso<br />

(5). Il primitivo canovaccio del testo, una volta fallito il progetto di col<strong>la</strong>borazione con Ronconi per le<br />

difficoltà di natura pratica <strong>in</strong>tercorse, e reciso <strong>qui</strong>ndi ogni v<strong>in</strong>colo di tipo drammaturgico, si di<strong>la</strong>tò f<strong>in</strong>o a<br />

esplodere <strong>in</strong> <strong>la</strong>certi di senso da consegnarsi, nel caso, al<strong>la</strong> so<strong>la</strong> voce degli attori, e da recitare<br />

preferibilmente al buio, <strong>in</strong> modo che lo spettacolo potesse sostanziarsi di pura phoné (6):<br />

Per un verso […] puntavo, per via del<strong>la</strong> vocalità, a raggiungere una fisicità estrema, non cancel<strong>la</strong>ta, ma<br />

addirittura moltiplicata dal<strong>la</strong> carenza di un controllo visivo […]. Per un altro, bruciando completamente le<br />

possibilità di controllo da parte del fruitore attraverso <strong>la</strong> scelta del<strong>la</strong> simultaneità e del buio […] speravo di<br />

riuscire a mantenere vigile lo spettatore rispetto a tutte le decl<strong>in</strong>azioni possibili di quelle tematiche del corpo,<br />

dell’esperienza concreta del<strong>la</strong> fisicità, dell’erotismo, che sono al<strong>la</strong> base delle quattro storie (SN, 233).<br />

Atto secondo: rentrée<br />

Nel nome di Beckett si chiudeva a Bologna il 7 ottobre 2005 il convegno celebrativo dei settantac<strong>in</strong>que<br />

anni di Edoardo Sangu<strong>in</strong>eti, occasione <strong>in</strong> cui, tra l’altro, l’editore Manni presentava per il tramite di Anna<br />

Grazia d’Oria le Storie naturali ripubblicate con l’<strong>in</strong>troduzione di Niva Lorenz<strong>in</strong>i e <strong>la</strong> già ricordata<br />

conversazione dell’autore con C<strong>la</strong>udio Longhi. I due <strong>in</strong>terventi f<strong>in</strong>ali del convegno, affidati a Erm<strong>in</strong>io Risso<br />

e Luigi Weber – curatore il primo di alcune opere antologiche di Sangu<strong>in</strong>eti e recente <strong>in</strong>terprete il secondo<br />

del<strong>la</strong> poesia sangu<strong>in</strong>etiana sub specie parodiae –,(7) forzatamente ignari di quel<strong>la</strong> recente e ormai<br />

def<strong>in</strong>itiva dichiarazione autoriale, proponevano entrambi ipotesi genetiche p<strong>la</strong>usibili, <strong>in</strong>dugiando sul<br />

travaso dall’ir<strong>la</strong>ndese al nostro non solo di temi comuni ma anche di tasselli lessicali o tutt’altro che<br />

occasionali omaggi. Risso, <strong>in</strong> partico<strong>la</strong>re, si soffermava sul<strong>la</strong> reificazione sangu<strong>in</strong>etiana del mondo, ridotto<br />

a cumulo di oggetti, e sul<strong>la</strong> destrutturazione del corpo e <strong>la</strong> dispersione delle sue s<strong>in</strong>gole parti – attiva già<br />

dall’esordiale Labor<strong>in</strong>tus –, sia pur riannettendo <strong>la</strong> tematica a una doppia e fondata suggestione<br />

beckettiano-artaudiana. Weber, più puntuale nello spoglio delle rem<strong>in</strong>iscenze dirette, riproponeva<br />

all’attenzione, col<strong>la</strong>zionandole, le diffuse tracce dell’opera beckettiana nel Sangu<strong>in</strong>eti creativo, a dispetto<br />

del silenzio quasi assoluto (e s<strong>in</strong>tomatico) del critico. Così per <strong>la</strong> ricorrente aff<strong>in</strong>ità-identità letto-cul<strong>la</strong>bara,<br />

già allusa nel romanzo esordiale e pienamente realizzata all’altezza del secondo, e a stretto giro poi<br />

tematizzata nelle Storie naturali. Ancora dal Giuoco dell’oca (sezione 15) veniva tolta <strong>la</strong> riproposta del “ci<br />

manca poco”, topos traversante l’opera beckettiana almeno dal romanzo Malone muore f<strong>in</strong>o ad<br />

Aspettando Godot e all’ esergo di F<strong>in</strong>ale di partita <strong>in</strong> cui “tutto sta forse per f<strong>in</strong>ire”. Proprio dal<br />

protagonista di quest’ultima piéce Sangu<strong>in</strong>eti deriva <strong>la</strong> “voce” <strong>in</strong>augurale di A-Ronne:<br />

a: ah: hamm: anfang:<br />

<strong>in</strong>: <strong>in</strong> pr<strong>in</strong>cipio nel mio<br />

pr<strong>in</strong>cipio:<br />

Nel poema del ’74 su musiche di Berio il leitmotiv verbale è costituito dal recupero dell’eliotiano<br />

cortocircuito fra end e beg<strong>in</strong>n<strong>in</strong>g, affiorante più volte anche nel F<strong>in</strong>ale di Beckett: “<strong>la</strong> f<strong>in</strong> est dans le<br />

commencement et cependant on cont<strong>in</strong>ue” (8). Vada quest’ultima suggestione ad aggiungersi ai luoghi<br />

scandagliati da Weber e Risso, <strong>in</strong> attesa di un’eventuale <strong>in</strong>tegrazione dei due <strong>in</strong>terventi, al<strong>la</strong> luce del<strong>la</strong><br />

ormai esplicita e perciò impresc<strong>in</strong>dibile dichiarazione d’autore.<br />

Ascritto dunque al<strong>la</strong> <strong>in</strong>evitabile predilezione moderna per il comico –nell’accezione chiarita <strong>in</strong> premessa –<br />

il comune tono teatrale delle scritture sangu<strong>in</strong>etiana e beckettiana, e accettata <strong>in</strong> modo altrettanto<br />

cogente <strong>la</strong> def<strong>in</strong>itiva negazione di una derivabilità diretta dell’una dall’altra, è su due dei testi appena<br />

citati – le Storie naturali e F<strong>in</strong>ale di partita – che vanno a <strong>in</strong>sidiarsi i maggiori sospetti, se non di quel<strong>la</strong><br />

parente<strong>la</strong> genetica che l’<strong>in</strong>dicazione autoesplicativa di Sangu<strong>in</strong>eti dovrà <strong>in</strong>evitabilmente rassegnarci ad<br />

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escludere, di una effettiva <strong>in</strong>terdiscorsività di temi e di motivi, legittimata se non altro da una cronologia<br />

non ostile.<br />

Atto terzo: <strong>in</strong> medias res<br />

F<strong>in</strong> de partie è un serrato e paradossale scambio dialogico tra due personaggi menomati: il cieco e<br />

paralitico Hamm, il c<strong>la</strong>udicante Clov (cui si aggiungono Negg, il padre sordo di Hamm, e <strong>la</strong> madre Nell,<br />

dal<strong>la</strong> vista corta), costretti <strong>in</strong> uno spazio svuotato se non deserto, abitato esclusivamente da due bidoni e<br />

illum<strong>in</strong>ato da due f<strong>in</strong>estre “haut perchées, rideaux fermés” (9). Il testo uscì nelle Éditions de M<strong>in</strong>uit nel<br />

1957 e <strong>in</strong> <strong>in</strong>glese nell’anno successivo col titolo Endgame. In Italia <strong>la</strong> traduzione circo<strong>la</strong>nte già dal ’61 si<br />

deve a Carlo Fruttero, mentre <strong>la</strong> prima rappresentazione di un certo rilievo andava <strong>in</strong> scena nel ’63 al<br />

Teatro Ateneo di Roma (per <strong>la</strong> regia di Carlo Quartucci con Leo De Berard<strong>in</strong>is nel ruolo di Clov e Anna<br />

D’Offizi <strong>in</strong> quello di Nell) (10).<br />

Le Storie naturali, mai rappresentate <strong>in</strong> Italia <strong>in</strong> versione <strong>in</strong>tegrale prima dello spettacolo di Longhi (11)<br />

si artico<strong>la</strong>no <strong>in</strong> quattro quadri, e prevedono di solito due personaggi gravitanti attorno a un letto, cui si<br />

aggiungono via via degli altri personaggi (o meglio voci, per <strong>la</strong> quasi totale assenza di una<br />

caratterizzazione che non sia <strong>la</strong> mera opposizione uomo-donna) (12), con l’eccezione del secondo<br />

quadro, dove oltre al letto l’ambientazione prevede un cam<strong>in</strong>o acceso.<br />

In uno scenario analogamente desertificato, è il dialogo tra i personaggi a sopravvivere come residuale<br />

possibilità comunicativa, sia pur attraverso i modi privilegiati dell’assurdo e del nonsense (<strong>la</strong> barzelletta<br />

del sarto nel F<strong>in</strong>ale di Beckett, i tipi comici e i tic verbali dei quattro quadri di Sangu<strong>in</strong>eti, dal<strong>la</strong> neranegra<br />

al <strong>la</strong>dro alle formiche, al motivo occasionale del “berliccare”, al<strong>la</strong> diffusa ossessione del toccare).<br />

Il primo tratto comune ai due testi è dunque l’impostazione dialogica, prevalentemente bipartita. Inoltre,<br />

<strong>in</strong> entrambi i casi, i temi del<strong>la</strong> conversazione si mostrano solo all’apparenza destrutturati. In realtà è<br />

nell’argomentare scientemente dissolto che si <strong>in</strong>nervano i motivi di un collo<strong>qui</strong>o <strong>in</strong> entrambi i testi<br />

assoluto, svolto <strong>in</strong> uno spaziotempo imprecisato.<br />

Parrebbe di leggere le Operette morali di un Leopardi post-atomico, <strong>in</strong> cui si sia <strong>in</strong>verata l’apocalittica<br />

profezia del “mondo senza gente” <strong>in</strong>scenata nel dialogo favoloso tra il Folletto e lo Gnomo. E<br />

l’accostamento di Beckett-Sangu<strong>in</strong>eti via Leopardi non parrà del tutto <strong>in</strong>fondato, dove si rifletta <strong>in</strong><br />

partico<strong>la</strong>re sul<strong>la</strong> novità e l’impresc<strong>in</strong>dibilità del punto di vista sensistico e materialistico leopardiano nel<strong>la</strong><br />

concezione del<strong>la</strong> vita e, di più, dell’ “oltre” (13). I personaggi di Beckett e Sangu<strong>in</strong>eti a cui niente accade<br />

perché nul<strong>la</strong> può ancora accadere sono, proprio come nelle Operette morali, solitamente due, anche se<br />

ormai essi non si fronteggiano più su visioni esistenziali contrapposte ma piuttosto sprolo<strong>qui</strong>ano sul nul<strong>la</strong>,<br />

realizzando <strong>in</strong> pieno quel<strong>la</strong> paralisi dell’azione che all’<strong>in</strong>terno del corpus leopardiano com<strong>in</strong>ciavano<br />

variamente a sperimentare il Colombo o l’Is<strong>la</strong>ndese, personaggi bloccati nel<strong>la</strong> coazione a ripetere (il vano<br />

sforzo di sostituire al<strong>la</strong> noia <strong>la</strong> varietà), e <strong>in</strong>variabilmente poi riportarli all’unica possibilità di esperienza,<br />

scandita dal tedio e conclusa dal<strong>la</strong> morte. Così, all’espediente retorico del<strong>la</strong> domanda <strong>in</strong>evasa (“a chi<br />

piace o a chi giova cotesta vita <strong>in</strong>felicissima dell’universo, conservata con danno e con morte di tutte le<br />

cose che lo compongono”: l’Is<strong>la</strong>ndese al<strong>la</strong> Natura, nell’operetta leopardiana) si rifanno <strong>in</strong> modo aff<strong>in</strong>e<br />

Beckett e Sangu<strong>in</strong>eti, entrambi prodighi di <strong>in</strong>terrogativi vanamente ripetuti e dest<strong>in</strong>ati analogamente a<br />

rimanere privi di risposta. Innanzitutto il martel<strong>la</strong>nte “che ore sono”, comune a entrambi, che <strong>in</strong> un<br />

mondo svuotato di ogni possibilità vitale così come di ogni referente materiale, suona come visibile<br />

paradosso.<br />

Ancora sul<strong>la</strong> scorta del<strong>la</strong> rappresentazione “f<strong>in</strong>ale” operettistica, lo spazio entro il quale i personaggi o le<br />

voci di Beckett e Sangu<strong>in</strong>eti similmente si confrontano appare poi uno spazio ultimo e def<strong>in</strong>itivo. Vi<br />

prevalgono il buio, le allusioni sepolcrali:<br />

Hamm: […] Mets moi dans mon cercueil.<br />

Clov: Il n’y a plus de cercueils.<br />

Hamm: Alors que ça f<strong>in</strong>isse! […] D’obscurité! (FP, 127).<br />

U1: Vuoi dire –vuoi dire che lì – ci sta quello che ci è morto, per noi? – Che ci stiamo noi come morti, <strong>in</strong>somma?<br />

U2: Sì, un po’ – ecco – è un po’ come un loculo, dentro un cimitero.<br />

U: Ecco, per esempio – il letto. – Io ci vedo come una grossa cosa confusa, soltanto lì da quel<strong>la</strong> parte, ormai. –<br />

Che non è più un letto vero, per me.<br />

D: Già – e che cosa è, allora?<br />

U: Oh, puoi <strong>in</strong>dov<strong>in</strong>arlo da so<strong>la</strong>, sai. – Può essere una bara, per me – ecco, soltanto una grossa bara può essere<br />

– a due piazze.<br />

[…]<br />

– E poi, me lo devi ammettere, tante volte tu arrivi <strong>qui</strong> che è già tutto buio, lo sai.<br />

R2: –magari, un po’ al<strong>la</strong> volta, si scalda – con <strong>la</strong> sua mano lì morta – lui, lì che è morto. […]<br />

R1: […] Che cosa ti importa, poi, chi tocca? – Una che è viva? Uno che è morto? Uno che dorme? – Una che sta<br />

<strong>qui</strong>, dunque, che sta <strong>qui</strong>, nel buio […] (SN, 36 79, 198).<br />

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E se l’e<strong>qui</strong>valenza – peraltro automatica – tra oscurità e morte, dalle esemplificazioni addotte parrebbe<br />

più <strong>in</strong>sistita nel secondo testo, l’ambientazione c<strong>la</strong>ustrofobica di tutta <strong>la</strong> pièce beckettiana restituisce<br />

l’allusione oltremondana <strong>in</strong> modo altrettanto conv<strong>in</strong>cente (14). Inoltre, è rovesciando <strong>la</strong> prospettiva<br />

dell’<strong>in</strong>chiesta che si realizza <strong>la</strong> paradossale domanda dei morti sul<strong>la</strong> consistenza vitale: così nel coro delle<br />

mummie di Ruysch <strong>in</strong> Leopardi, e nel F<strong>in</strong>ale beckettiano, <strong>in</strong> cui i genitori di Hamm manifestano sensazioni<br />

fisiche (il prurito, <strong>la</strong> fame) e a un certo punto provano a baciarsi, mentre <strong>la</strong> loro condizione appare<br />

<strong>in</strong>trappo<strong>la</strong>ta <strong>in</strong> una forma e ultima vuota, deprivata di ogni ulteriore possibilità di senso:<br />

Nagg: Tu ne veux pas ton biscuit? […] je croyais que tu al<strong>la</strong>is me <strong>la</strong>isser.<br />

Nell: je vais te <strong>la</strong>isser.<br />

Nagg: Tu peux me grater d’abord? (FP, 34).<br />

La paralisi che è il motivo dom<strong>in</strong>ante del testo beckettiano contagia così anche questi due personaggi<br />

comprimari, relegati nel loro spazio “sanza speme”, come i dannati danteschi (Salvadori Lonergan 2003).<br />

La loro <strong>in</strong>esausta quanto irrealizzabile vitalità residua, opposta al<strong>la</strong> fissità del<strong>la</strong> condizione scenica, pare<br />

r<strong>in</strong>viare però, piuttosto, alle presenze genitoriali di un’altra opera novecentesca fortemente <strong>in</strong>fluenzata<br />

dal materialismo oltremondano di Leopardi, <strong>in</strong>vece che dallo spiritualismo e f<strong>in</strong>alismo dantesco: le<br />

sagome dip<strong>in</strong>te di papà e mamma Goerz nell’Alcesti di Samuele di Sav<strong>in</strong>io (con una possibile derivabilità<br />

sia pur <strong>in</strong>diretta che sarebbe utile approfondire), analogamente imprigionate entro un <strong>in</strong>sensato orizzonte<br />

di vitalismo, da <strong>in</strong>tendersi <strong>in</strong> senso c<strong>in</strong>ico e borghese, come, nello specifico, all’<strong>in</strong>terno del<strong>la</strong><br />

conversazione tra i due personaggi sul<strong>la</strong> fortuna <strong>in</strong>attesa capitata al figlio, di una “collocazione” def<strong>in</strong>itiva<br />

e duratura come quel<strong>la</strong> di “morto” (cfr. Policastro 2005, pp. 71-86). In un aldilà che non è più popo<strong>la</strong>to<br />

da eroi ed ero<strong>in</strong>e ma da uom<strong>in</strong>i che scontano <strong>la</strong> condizione di “stati vivi”, il motivo sav<strong>in</strong>iano<br />

dell’”imparare a morire” potrebbe poi aver ispirato, sempre attraverso il comune tramite leopardiano, <strong>la</strong><br />

condizione di stasi mortale o di paralisi vitale beckettiana, da cui i personaggi faticano ad uscire<br />

negandosi l’azione e permanendo nel ricordo.<br />

Aff<strong>in</strong>e a quello, il motivo del<strong>la</strong> morte <strong>in</strong>dolore, ancora dal Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie<br />

di Leopardi, chissà con quanta consapevolezza trasmigra nel <strong>qui</strong>eto scivo<strong>la</strong>re verso <strong>la</strong> morte del<br />

personaggio di Nell <strong>in</strong> Beckett, o nelle prove di morte del terzo quadro delle Storie naturali:<br />

R1: […] come ti sta freddo, lì, anche?<br />

R2: Ah, è un pezzo di ghiaccio, ecco – un pezzo di ghiaccio.<br />

R1: Gli è come scappata via, <strong>la</strong> sua vita.<br />

R2: Oh, ma se ti scappa lì, <strong>la</strong> tua voglia, guarda – è poi <strong>la</strong> vita, sempre, che ti scappa via, tutta (SN, 194).<br />

Resta costante <strong>in</strong> Sangu<strong>in</strong>eti l’<strong>in</strong>terrogarsi su dati corporei, <strong>in</strong> un contesto depauperato di qualunque altro<br />

motivo esperienziale e, <strong>in</strong>sieme, segnato da una sorta di i<strong>la</strong>rotragica ossessione del “dopo”:<br />

R1: è una storia di gusti – che ognuno ci va con il suo passo, lì al<strong>la</strong> morte. – Sai, il problema è chi rimane, come<br />

si dice. – Non dico mica il dispiacere, lì il rimpianto, sai – le cose così, del funerale. – Penso proprio al<strong>la</strong><br />

faccenda pratica, io. – Quello che si è <strong>in</strong>ventato che uno se li brucia, i morti – te lo immag<strong>in</strong>i, per esempio? […]<br />

– ma quello che gli è venuta l’idea, poi, che uno se li nasconde, giù, dentro <strong>la</strong> terra – e poi, avanti, con i<br />

cimiteri, con le croci – con i fiori–<br />

Ne consegue un aldilà deprivato tanto di una possibilità – sia pur paradossale – di esperienza vitale,<br />

quanto di una decodifica onirica, per il senso ultimo che si denega, avvolgendosi su se stesso come nel<br />

sogno dantesco di chi “sognando desideri sognare”:<br />

[…] ti aiuta un po’ il buio, se vuoi – perché è come un sogno tutto vuoto – fatto di niente, proprio. – È un sogno<br />

dove devi abolirti lì tutto […] dentro il buio. […] – Allora , è un po’ come il teatro, se vuoi – che ci sono quelli<br />

che te li vedi – che par<strong>la</strong>no – che si muovono, che si agitano – che poi le luci si spengono, al<strong>la</strong> f<strong>in</strong>e – e quelli se<br />

ne vanno, tutti via – e ci resta come il silenzio, soltanto – e il buio, il vuoto – e tutto è come cancel<strong>la</strong>to – perchè<br />

era tutto falso, tutto f<strong>in</strong>to – perchè era come il sogno di un sogno, soltanto, se vuoi – che è tutta una cosa che<br />

non è niente – che non era niente, mai-niente (SN, 215).<br />

È l’aldilà-aldiqua tutto novecentesco dove il corpo, anziché dormire del sonno eternamente giusto,<br />

permane <strong>in</strong> uno stato di perenne torpore. Sonno e morte, però, più che contendersi uno statuto<br />

ontologico paritario, come <strong>in</strong> Leopardi, divengono proprio <strong>in</strong>dist<strong>in</strong>guibili:<br />

UL: […] Mi sveglio a pezzi, ecco – un po’ al<strong>la</strong> volta. –Prima si sveglia un pezzo, poi un altro, poi un altro – e<br />

avanti. Prima che mi sveglio tutto, io, ci ho già dei pezzi che mi dormono, a me, di nuovo. – Capito? – E poi,<br />

arriva così presto, sempre, <strong>la</strong> notte! (SN, 180).<br />

In Beckett una possibile via d’uscita dal dormiveglia esistenziale potrebbe darsi nel<strong>la</strong> forma di una<br />

def<strong>in</strong>itiva deprivazione del desiderio attraverso <strong>la</strong> progressiva muti<strong>la</strong>zione, compiutamente realizzata ad<br />

esempio dal Molloy dell’omonimo romanzo. Ma il paradosso del desiderio superstite all’abdicazione delle<br />

<strong>60</strong>


illusioni, vivo nel<strong>la</strong> memoria beckettiana attraverso l’<strong>in</strong>sistito recupero del canto leopardiano A se stesso,<br />

passato dal saggio su Proust al<strong>la</strong> trilogia e al “sogno” di Be<strong>la</strong>cqua, si supera solo riproponendo <strong>in</strong> modo<br />

demistificante il paradosso stesso: <strong>la</strong> mortalità <strong>in</strong> vita sul<strong>la</strong> paradossale vitalità del<strong>la</strong> vita ossimoricamente<br />

mortale: “non che <strong>la</strong> speme, il desiderio è spento”, come Beckett non cessa di ricordare, richiamandosi,<br />

al<strong>la</strong> f<strong>in</strong>e, non più a Leopardi ma propriamente “a se stesso” (15).<br />

Lo stesso dialogo f<strong>in</strong>isce col deprivarsi dei suoi connotati comunicativi, soffrendo <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> del<strong>la</strong> stessa<br />

destrutturazione e impossibilità al movimento dei corpi menomati dei personaggi, tanto <strong>in</strong> Beckett che <strong>in</strong><br />

Sangu<strong>in</strong>eti, entrambi sensibili alle esigenze del suono più che alle richieste di senso, con una identica<br />

attenzione alle espressioni musicali. Se F<strong>in</strong> de partie si artico<strong>la</strong> attorno ai due temi del “far<strong>la</strong> f<strong>in</strong>ita”<br />

(Hamm) e del “bisogna partire” (Clov), <strong>in</strong> Sangu<strong>in</strong>eti è però <strong>la</strong> dissonanza a dom<strong>in</strong>are una polifonia per<br />

altri versi comunque scandita dai leitmotive dei “berliccamenti” e “toccamenti” (e tra l’altro al<strong>la</strong> paro<strong>la</strong><br />

che stenta, m<strong>in</strong>acciata dall’afasia, Sangu<strong>in</strong>eti preferisce piuttosto quel<strong>la</strong> debordante, <strong>in</strong> una sorta di<br />

iperl<strong>in</strong>guaggio che <strong>in</strong>zeppa il discorso di tutto ciò che vi sarebbe <strong>in</strong>necessario: <strong>la</strong> ridondanza pronom<strong>in</strong>ale,<br />

i tic l<strong>in</strong>guistici). Così il dialogo beckettiano come possibilità di <strong>in</strong>contro tra alterità, sia pur solo nei term<strong>in</strong>i<br />

sadomasochistici del servo e del padrone, <strong>in</strong>dispensabili l’uno all’altro (donde <strong>la</strong> m<strong>in</strong>accia mai attuata da<br />

Clov di <strong>la</strong>sciare Hamm) si riduce <strong>in</strong> Sangu<strong>in</strong>eti all’unica opposizione possibile, quel<strong>la</strong> dei sessi, solo<br />

veicolo di avvic<strong>in</strong>amento reciproco essendo il corpo.<br />

Non a caso resiste solo <strong>in</strong> Beckett <strong>la</strong> richiesta del div<strong>in</strong>o, sia pur nel<strong>la</strong> forma rovesciata del<strong>la</strong> sua<br />

negazione, con dei precedenti che vanno dalle Confessiones ai Karamazov (16), passando per <strong>la</strong><br />

preghiera negativa e terribilmente b<strong>la</strong>sfema dall’abbozzo leopardiano ad Arimane, trasposto nel F<strong>in</strong>ale di<br />

Beckett forse per pura suggestione dell’<strong>in</strong>terprete:<br />

Hamm: […] Prions Dieu.<br />

Clov: Ancore?<br />

Nagg: Ma dragée!<br />

Hamm: Dieu d’abord! […] Vous y êtes?<br />

[…]<br />

Nagg: […] Notre Père <strong>qui</strong> êtes aux…<br />

Hamm: Silence! En silence! Un peu de tenue! Allons-y […]. Alors?<br />

Clov: […] Je t’en fous! Et toi?<br />

Hamm: Bernique! (A Nagg) Et toi?<br />

Nagg: Attends […]. Macache!<br />

Hamm: Le salud! Il n’existe pas! (FP, 75-76)<br />

Non così <strong>in</strong> Sangu<strong>in</strong>eti, dove il div<strong>in</strong>o <strong>la</strong>scia ben <strong>la</strong>bile traccia di sé, e l’unica forma di ascesi sperimentata<br />

è una sorta di anti-catabasi o discesa al rovescio nel<strong>la</strong> cappa fumosa del cam<strong>in</strong>o <strong>in</strong> cui i personaggi<br />

tentano di <strong>in</strong>teragire, naturalmente attraverso il mero contatto corporeo. Nessuna traccia di num<strong>in</strong>oso,<br />

nemmeno puramente residuale:<br />

U: Oh, ma ti sento un po’ lontana, te. – Cosa ti succede, adesso?<br />

D: Mi succede che salgo su – no? - dentro l’imbuto. Ci provo. Magari, mi ritrovo l’angelo mio, così.<br />

U: Sei matta? – Vieni giù subito! – Che angelo che ti vuoi cercare, tu? –Sarà magari una specie di assass<strong>in</strong>o,<br />

<strong>in</strong>vece, quello – altro che un angelo! – sarà lì con il coltello, che ti aspetta (SN, 99).<br />

Epilogo: l’autore, nuovamente<br />

Hamm: […] Puisque ça se joue comme ça…[…] jouons ça comme ça… et n’en parlons plus… ne parlons plus (FP,<br />

112).<br />

VU: – Sognavo che dormivo, pensa. – Che dormivo sopra un letto, lungo disteso – con le formiche. – È il sogno<br />

del<strong>la</strong> mia vita, un po’. – Ma mica le formiche, sai. – Là il resto, soltanto – il letto, e dormire (SN, 222).<br />

La f<strong>in</strong>e provvisoria, analogamente sospesa, <strong>la</strong>scia aperta <strong>la</strong> possibilità che si ricom<strong>in</strong>ci o si prosegua<br />

all’<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito: “mai come <strong>in</strong> teatro”, per Sangu<strong>in</strong>eti, “si è davanti al grande fiume eracliteo” (SN, p. 239).<br />

Gilda Policastro<br />

[Da Tegole dal cielo. L'"effetto Beckett" nel<strong>la</strong> cultura italiana, a cura di Gianfranco Alfano e Andrea Cortellessa (EDUP,<br />

2006).]<br />

Note.<br />

(1) Per le ragioni dell’annessione dei due scrittori a un orizzonte parodico analogamente e propriamente moderno, si<br />

rimanda a Policastro 2005.<br />

61


(2) Cfr. Cascetta 2000 e <strong>la</strong> ricca appendice a Cascetta 1997, <strong>in</strong> cui peraltro si rimanda all’<strong>in</strong>teresse beckettiano del<br />

gruppo neoavanguardista dei Magazz<strong>in</strong>i, attivo dal 1972, con cui Sangu<strong>in</strong>eti realizzò <strong>la</strong> prima mess<strong>in</strong>scena di<br />

Commedia dell’Inferno, nell’89 per <strong>la</strong> regia di Federico Tiezzi. Quest’ultimo era stato autore, solo due anni prima, del<strong>la</strong><br />

trasposizione teatrale del “romanzo” di Beckett Come è, tradotto già nel ’65 per E<strong>in</strong>audi da Franco Quadri (esegeta,<br />

tra l’altro, del Furioso di Sangu<strong>in</strong>eti-Ronconi <strong>in</strong> Quadri 1973). Al<strong>la</strong> luce di questi s<strong>in</strong>go<strong>la</strong>ri <strong>in</strong>trecci, <strong>la</strong> possibilità che<br />

l’idea beckettiana di teatro si sia precocemente <strong>in</strong>tersecata con quel<strong>la</strong> di Sangu<strong>in</strong>eti, al di qua di una derivabilità<br />

diretta, non pare del tutto peregr<strong>in</strong>a.<br />

(3) Sangu<strong>in</strong>eti 2005, pp. 234-5, d’ora <strong>in</strong> avanti sig<strong>la</strong>to a testa SN.<br />

(4) Di avviso contrario è A. Cascetta <strong>in</strong> Il tragico e l’umorismo cit., pp. 95-96: “[…] le unità c<strong>la</strong>ssiche di tempo, luogo<br />

e azione [<strong>in</strong> F<strong>in</strong> de partie] sono apparentemente salvate ma <strong>in</strong> una struttura <strong>in</strong> cui sono a rischio i contenuti che le<br />

giustificano: <strong>la</strong> situazione rappresentata è al limite <strong>in</strong>fatti del<strong>la</strong> non azione, del non-tempo, del non-luogo”.<br />

(5) Per <strong>la</strong> prima mess<strong>in</strong>scena del Furioso (al Festival dei Due Mondi di Spoleto), Sangu<strong>in</strong>eti immag<strong>in</strong>ò una di<strong>la</strong>tazione<br />

ad libitum dello spazio scenico, con i s<strong>in</strong>goli momenti rappresentati <strong>in</strong> simultanea, e gli spettatori forzatamente attori<br />

it<strong>in</strong>eranti. Per <strong>la</strong> versione televisiva Sangu<strong>in</strong>eti avrebbe gradito una messa <strong>in</strong> onda <strong>in</strong> contemporanea su più canali<br />

delle diverse sequenze, ma l’adattamento fu poi trasmesso <strong>in</strong> c<strong>in</strong>que puntate consecutive per le cure del solo Ronconi<br />

nel ’75. Sull’episodio cfr. SN, p. 236.<br />

(6) Un primo elemento di <strong>in</strong>terdiscorsività tutto da approfondire potrebbe dunque già risiedere nell’ossessione vocale,<br />

addirittura tematizzata nel beckettiano Ultimo nastro di Krapp (1958).<br />

(7) Vedi almeno Sangu<strong>in</strong>eti 2000 e Sangu<strong>in</strong>eti 2004; dello stesso Risso si annuncia a breve <strong>la</strong> prima edizione<br />

commentata del testo di Labor<strong>in</strong>tus. Si segna<strong>la</strong>. Weber 2004.<br />

(8) Così, citando cursoriamente, almeno <strong>in</strong> Stracciafoglio 19 (“faticando f<strong>in</strong>o all’item conclusivo, a fare f<strong>in</strong>e,<br />

f<strong>in</strong>almente): […] e <strong>in</strong> Rebus 18 (“<strong>la</strong> mia/cont<strong>in</strong>uazione è <strong>la</strong> mia f<strong>in</strong>e”), oltre che già nel titolo del poema A- Ronne: “A-<br />

Ronne: come dire A-Zeta, Alfa-Omega. Ronne è una delle tre abbreviazioni poste un tempo al<strong>la</strong> f<strong>in</strong>e delle tavole<br />

dell’alfabeto, dopo <strong>la</strong> Zeta. Esso sono: Et, Con e Ron (quest’ultime due sono una trasformazione di cum e del<strong>la</strong><br />

des<strong>in</strong>enza <strong>la</strong>t<strong>in</strong>a orum). Le designazioni fiorent<strong>in</strong>e, utilizzate da Sangu<strong>in</strong>eti a conclusione del<strong>la</strong> poesia, erano Ette,<br />

Conne, Ronne. A-Ronne è diviso <strong>in</strong> tre brevi strofe: il tema del<strong>la</strong> prima strofe è l’Inizio, il tema del<strong>la</strong> seconda è il Mezzo<br />

e quello del<strong>la</strong> terza è <strong>la</strong> F<strong>in</strong>e” (cfr. 1991, p. 817). Quanto a Beckett, il motivo si nutre <strong>qui</strong> per lo più di suggestioni<br />

bibliche e scritturali, dal Genesi all’Apocalissi, ma appare diffusissimo <strong>in</strong> tutta l’opera nel<strong>la</strong> sua decl<strong>in</strong>azione<br />

esistenziale, <strong>in</strong> partico<strong>la</strong>re nei romanzi e segnatamente nel f<strong>in</strong>ale dell’Innom<strong>in</strong>abile: “[...] è <strong>la</strong> sua storia che bisogna<br />

raccontare, ma lui non ha storia, non è stato dentro <strong>la</strong> storia, <strong>la</strong> cosa non è sicura, è nel<strong>la</strong> sua storia personale,<br />

<strong>in</strong>immag<strong>in</strong>abile, <strong>in</strong>dicibile, non importa, bisogna tentare, tra le mie vecchie storie che non so da dove vengano, di<br />

trovare <strong>la</strong> sua, ci dev’essere, dev’essere stata <strong>la</strong> mia, prima di essere <strong>la</strong> sua, <strong>la</strong> riconoscerò, f<strong>in</strong>irò per riconoscer<strong>la</strong>, <strong>la</strong><br />

storia del silenzio che lui non ha mai <strong>la</strong>sciato, che io non avrei mai dovuto <strong>la</strong>sciare, che non ritroverò forse mai più, che<br />

forse ritroverò, e allora sarà lui, sarò io, sarà il luogo, il silenzio, <strong>la</strong> f<strong>in</strong>e, il com<strong>in</strong>ciamento, il ricom<strong>in</strong>ciamento, come<br />

dirlo, sono parole, non ho che quelle, e pure scarse, si fanno rare [...]” (Cfr. Beckett 1996, p. 463).<br />

(9) Beckett 1957, citato d’ora <strong>in</strong>nanzi con <strong>la</strong> sig<strong>la</strong> FP.<br />

(10) Per una storia del testo, nel<strong>la</strong> sua complessa e<strong>la</strong>borazione, e del<strong>la</strong> sua fortuna si veda ancora Cascetta 1997, pp.<br />

77-98 e 384.<br />

(11) Per una più dettagliata notizia dello spettacolo si veda Policastro 2005b.<br />

(12) Opposizione tematizzata già nel beckettiano P<strong>la</strong>y del 1963, <strong>la</strong> cui ambientazione oltremondana è suggerita da<br />

diversi elementi, come <strong>la</strong> collocazione dei personaggi sul palcoscenico, a imitazione dei dannati fuoriuscenti dal <strong>la</strong>go<br />

ghiacciato di Cocito.<br />

(13) Vero è che se le letture leopardiane di Beckett sono state tutte rilevate e accertate, più complesso si rive<strong>la</strong> il<br />

rapporto di Sangu<strong>in</strong>eti con Leopardi, def<strong>in</strong>ito <strong>in</strong> sede critica, al<strong>la</strong> stregua peraltro del ben più amato Dante, poeta “di<br />

buona razza reazionaria”, e associato sprezzantemente a un orizzonte di senso ancora troppo marcato dal<strong>la</strong><br />

comunicabilità dell’esperienza per dirsi realmente moderno. Orizzonte che il Sangu<strong>in</strong>eti autore si propone<br />

evidentemente di “sabotare” s<strong>in</strong> dal primo verso di Labor<strong>in</strong>tus, come ribadito <strong>in</strong> una recente occasione orale.<br />

Nell’ambito dell’<strong>in</strong>contro con gli studenti del corso di Letteratura italiana moderna e contemporanea dell’Università di<br />

Roma “La Sapienza” (30 maggio 2006), sul<strong>la</strong> poesia dei “Novissimi”, Sangu<strong>in</strong>eti chiariva <strong>in</strong>fatti <strong>la</strong> propria posizione<br />

esordiale proprio attraverso un riferimento all’operazione ancora c<strong>la</strong>ssica di costruzione leopardiana dell’orizzonte<br />

poetico, a esemplificazione del<strong>la</strong> quale l’autore ricordava l’<strong>in</strong>cipit dell’Inf<strong>in</strong>ito, <strong>in</strong> cui ogni paro<strong>la</strong> rimanderebbe a un<br />

referente ben identificato. Del tutto antitetica l’operazione di totale scard<strong>in</strong>amento del senso compiuta da Labor<strong>in</strong>tus,<br />

s<strong>in</strong> dal primo, volutamente <strong>in</strong>decifrabile verso (“composte terre <strong>in</strong> strutturali complessioni sono Palus Putred<strong>in</strong>is”, cfr.<br />

Sangu<strong>in</strong>eti 2004, p. 13).<br />

(14) A supporto di questa idea, <strong>la</strong> <strong>in</strong>terpretazione del<strong>la</strong> topologia di F<strong>in</strong>ale di partita come spazio non solo asfittico, ma<br />

per di più assoluto e totalizzante. Il “rifugio” di Hamm e Clov rimanderebbe così ad una situazione di “sopravvivenza<br />

al<strong>la</strong> f<strong>in</strong>e di (guerra nucleare, catastrofe, distruzione del mondo)”, ma anche, secondo una tipologia drammatica<br />

risalente al<strong>la</strong> cultura medievale – di cui l’opera beckettiana com’è noto si sostanzia col tramite dantesco – all’<strong>in</strong>tera<br />

struttura del cosmo, con un’unica possibilità di doppia apertura a imitazione delle “due po<strong>la</strong>rità (Paradiso e Inferno),<br />

fra le quali è iscritto tutto il cosmo”. Così per Allegri 2004, p. 169. Sul<strong>la</strong> cospicua presenza di Dante (anzi, di “Danti”)<br />

<strong>in</strong> Beckett, vedi il ricchissimo regesto <strong>in</strong>tertestuale (<strong>in</strong> un senso molto opportunamente chiarito, di discussione<br />

dell’autorità, attraverso un orizzonte che superi <strong>la</strong> mera testualità per farsi discorso sulle cose) <strong>in</strong> Caselli 2005.<br />

(15) Sul<strong>la</strong> questione <strong>in</strong>terviene Caselli 1997, che <strong>in</strong>quadra opportunamente il problema del<strong>la</strong> presenza di Leopardi <strong>in</strong><br />

Beckett entro l’orizzonte teorico del<strong>la</strong> parodia <strong>in</strong>tesa come riscrittura demistificante. Caselli connota il procedimento<br />

beckettiano di citazione come <strong>in</strong>tratestuale più che <strong>in</strong>tertestuale, appoggiandosi al<strong>la</strong> nota dicotomia di Segre. Sul<strong>la</strong><br />

citazione di A se stesso, peraltro, si soffermava già Restivo 1991, pp. 121-132.<br />

(16) Si pensi per il romanzo dostoevskjano all’<strong>in</strong>terrogazione sul<strong>la</strong> <strong>la</strong>titanza div<strong>in</strong>a rispetto al godimento sadico delle<br />

torture sui bamb<strong>in</strong>i, all’<strong>in</strong>terno del trattato sull’ateismo di Ivan, nel libro V del<strong>la</strong> seconda parte del romanzo. Sul senso<br />

del male <strong>in</strong> Beckett, vedi ancora Cascetta 1997, p. 88: “il male, <strong>in</strong> tutte le sue forme, percorre il testo: è il male fisico,<br />

connesso ai disagi dei corpi menomati dei quattro personaggi; è il male morale nel<strong>la</strong> forma del<strong>la</strong> sofferenza ora<br />

evocata dal racconto di Hamm ora affiorante come un leit motiv nel dialogo fra i due”.<br />

62


Bibliografia.<br />

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annotata da BERTINETTI P., tr. di FRUTTERO C., E<strong>in</strong>audi-Gallimard, Tor<strong>in</strong>o, 1994, citato a testo con <strong>la</strong> sig<strong>la</strong> FP.<br />

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63


FUOCHI TEORICI<br />

64


L’AUTOSUFFICIENZA DELLA LINGUA ITALIANA (CON TITOLETTI IN BERGAMASC)<br />

Introdusiù<br />

Lo dirò senza tanti fronzoli. Ciò che salva e salverà ancora per diverse generazioni questo paese è <strong>la</strong><br />

l<strong>in</strong>gua italiana. Ciò che ci salva da duemi<strong>la</strong> anni di corruzione e di malgoverno, di tentativi ora falliti ora<br />

portati a term<strong>in</strong>i di sperperare il patrimonio delle civiltà etrusche e <strong>la</strong>t<strong>in</strong>e, di cancel<strong>la</strong>re, di revisionare, di<br />

<strong>in</strong>cendiare, di obliare, sono da oltre duemi<strong>la</strong> anni boicottati dal<strong>la</strong> straord<strong>in</strong>aria bellezza e <strong>in</strong>gegneria del<strong>la</strong><br />

l<strong>in</strong>gua italiana, che è somma mai pari agli elementi che <strong>la</strong> compongono. È <strong>la</strong> l<strong>in</strong>gua italiana che ci ha dato<br />

capo<strong>la</strong>vori straord<strong>in</strong>ari per noi che viviamo <strong>in</strong> questa parte di mondo e per tutti gli altri popoli. Non mi<br />

sono mai reputato un nazionalista ma devo ammettere che chi leggerà queste poche righe ne ricaverà,<br />

probabilmente, un’idea differente. Si sopravvive anche alle dicotomie.<br />

Breve stòria<br />

L’Italia ha generato – e cont<strong>in</strong>ua a generare – il più vasto patrimonio letterario e artistico presente nel<br />

genere umano. Spesso si elogiano – giustamente – capo<strong>la</strong>vori dell’<strong>in</strong>gegno di matrice tedesca, <strong>in</strong>glese,<br />

giapponese, statunitense, o<strong>la</strong>ndese; ma questi sono tutti paesi <strong>la</strong> cui storia è breve quanto <strong>la</strong> r<strong>in</strong>ascita<br />

del<strong>la</strong> l<strong>in</strong>gua italiana che ha partorito Dante Alighieri. Nel tredicesimo secolo chi abitava – e come – <strong>la</strong><br />

Germania, il Regno Unito, il Giappone, il Nord America, le terre sommerse dal mare del Nord?<br />

Certamente ci sono paesi splendenti come l’Egitto che ha una storia di tremi<strong>la</strong>c<strong>in</strong>quecento anni, <strong>la</strong> C<strong>in</strong>a di<br />

duemi<strong>la</strong> anni, l’India di duemi<strong>la</strong>trecento anni, ma nessuno di questi enormi mondi ha una ricchezza<br />

r<strong>in</strong>novata nel tempo come quel<strong>la</strong> che oggi abbiamo l’immeritato dovere e piacere di contemp<strong>la</strong>re. Per noi<br />

che oggi veleggiamo nelle anguste acque del<strong>la</strong> poesia <strong>la</strong> scelta e l’abbondanza sono davvero<br />

imbarazzanti: dal De rerum natura di Lucrezio alle poesie d’amore di Gaio Valerio Catullo e Sesto<br />

Properzio – che molti hanno riscoperto grazie a Pound –, da Virgilio a Dante, dal Canzoniere di Lorenzo<br />

De’ Medici – quanti non sanno che è stato un ottimo poeta – dall’Amorum libri di Matteo Maria Boiardo<br />

alle Laudi di Jacopone da Todi, dall’Or<strong>la</strong>ndo Furioso di Ludovico Ariosto alle Rime di Giovan Battista<br />

Mar<strong>in</strong>o, dal Metastasio al Giorno del Giuseppe Par<strong>in</strong>i, da Le ultime lettere di Jacopo Ortis di Ugo Foscolo a<br />

Carlo Porta, da Giacomo Leopardi – quanti “leopard<strong>in</strong>i”, senza a, che ci sono <strong>in</strong> giro oggi – al Giuseppe<br />

Gioach<strong>in</strong>o Belli, e poi <strong>la</strong> densissima modernità del Carducci, e del Pascoli e del D’Annunzio e del Montale<br />

eccetera… chi legge conosce meglio di chi scrive. La storia di questo paese e delle l<strong>in</strong>gue italiane – dal<br />

<strong>la</strong>t<strong>in</strong>o ai dialetti all’italiano figlio del<strong>la</strong> televisione e del<strong>la</strong> sco<strong>la</strong>rizzazione diffusa – è talmente ricca che ha<br />

condotto ad un fioritura di stili, di forme, di modalità di scrittura che nessun altro paese possiede.<br />

Parentes pulèmica-pulìtica<br />

(Oggi essere buoni <strong>in</strong>tellettuali – e buoni poeti – vuol dire aderire al miscuglio progressista del nascente<br />

at<strong>la</strong>ntide Ds, che io ammetto di osservare con <strong>la</strong> bocca sghemba, <strong>in</strong>toniamo l’<strong>in</strong>ternazionale socialista nel<br />

buon nome dell’amore e dell’amicizia che lega tutti i popoli e ogni forma di nazionalismo ci sembra oramai<br />

arcaica come <strong>la</strong> visione del poeta vate al<strong>la</strong> D’Annunzio e al<strong>la</strong> Neruda. Ebbene, il Fratus si getta <strong>in</strong> una<br />

spropositata dichiarazione di passione ne riguardi dell’Italia, paese culturalmente – e poeticamente –<br />

“autosufficiente”)<br />

Ura mà spieghe<br />

Alcuni dei lettori sanno che per anni mi sono occupato di teatro e nello specifico di nuova drammaturgia.<br />

Non è un caso che abbia curato diversi volumi sul nuovo teatro italiano e col<strong>la</strong>borato per anni a Outis, il<br />

Centro Nazionale di Drammaturgia Contemporanea di Mi<strong>la</strong>no, ed oggi diriga una stagione al Teatro<br />

Fondamenta Nuove di Venezia. Viaggiando e vedendo spettacoli ho potuto constatare quello che poi ho<br />

potuto sentire <strong>in</strong> sede europea, ovvero che il teatro e <strong>la</strong> drammaturgia italiana contemporanea offrono <strong>la</strong><br />

maggiore ricchezza di stili e di l<strong>in</strong>gue oggi presenti a livello mondiale. Le grandi differenze formali del<br />

nostro teatro, dal<strong>la</strong> rappresentazione di un testo secondo una consolidata maniera italiana al teatro di<br />

maggiore ricerca formale, dall’uso degli spazi anomali – post<strong>in</strong>dustriali o postclericali o semplicemente<br />

caduti <strong>in</strong> disuso, a pezzi – all’evoluzione tutta <strong>in</strong>terna al<strong>la</strong> tradizione italiana del teatro di narrazione che<br />

vede certamente un grande <strong>in</strong>novatore e anticipatore <strong>in</strong> San Francesco – per chi non crede consiglio Lu<br />

Santo Jullàre Francesco di Dario Fo – dal teatro <strong>in</strong> versi alle fanta e multi l<strong>in</strong>gue utilizzate a teatro, sia il<br />

mess<strong>in</strong>ese, il cosent<strong>in</strong>o, il napoletano, il romano, l’abruzzese, il toscano, il cesenate, il bolognese, il<br />

mi<strong>la</strong>nese, il genovese, il piemontese. Ho scritto diversi articoli <strong>in</strong> questi anni sul<strong>la</strong> varietà e <strong>la</strong> ricchezza di<br />

forme e l<strong>in</strong>gue del teatro italiano, del<strong>la</strong> nuova drammaturgia italiana. Insomma vedi Giovanni Testori,<br />

vedi Franco Scaldati, vedi Raffaello Bald<strong>in</strong>i, vedi Edoardo Sangu<strong>in</strong>eti, vedi En z o Moscato. Non a caso<br />

autori di teatro <strong>in</strong> versi, di drammaturgia, di materiale organizzato per andare <strong>in</strong> scena a teatro, al di là<br />

del<strong>la</strong> forma che <strong>la</strong> scato<strong>la</strong> teatro potesse prendere. Ecco perché sono così tanto – <strong>in</strong> questo saggetto –<br />

orgoglioso del<strong>la</strong> mia identità l<strong>in</strong>guistica. Essere un poeta che tenta di dom<strong>in</strong>are e <strong>la</strong>vora, come uno<br />

scultore <strong>in</strong> mezzo alle polveri e alle schegge del<strong>la</strong> materia l<strong>in</strong>gua italiana è davvero un onore, un piacere,<br />

una “maraviglia” senza f<strong>in</strong>e.<br />

65


El teater italian<br />

Quanto scrivo ha l’obiettivo – così ho stabilito con uno dei triunviri che governano l’«Ulisse» – di rendere<br />

conto del<strong>la</strong> varianza del<strong>la</strong> drammaturgia italiana versificata. Ora molte volte mi sono trovato a dibattere –<br />

<strong>in</strong>utilmente – su cosa sia o non sia il teatro <strong>in</strong> versi. Utilizzo, <strong>in</strong> questa sede, dunque <strong>la</strong> maglia più <strong>la</strong>rga,<br />

di modo da pescare tutti quei soggetti che hanno semplicemente scritto per il teatro o del<strong>la</strong> poesia che<br />

poi ha raggiunto il teatro <strong>in</strong> versi. Una grande dist<strong>in</strong>zione va fatta. È <strong>in</strong>fatti ampia <strong>la</strong> popo<strong>la</strong>zione di autori<br />

che possiamo riscontrare. Nel punto precedente ho abbozzato un rapido conto, ma si possono aggiungere<br />

Antonio Porta, Giovanni Raboni, Mario Luzi, Pier Paolo Pasol<strong>in</strong>i, Mariange<strong>la</strong> Gualtieri, Nevio Spadoni,<br />

Antonio Tarant<strong>in</strong>o, Maura Del Serra, il dimenticato Fabio Doplicher – a cui dedico queste righe –, Carmelo<br />

Bene, ma più <strong>in</strong>dietro si può dire anche di Raffaele Viviani, cantante e attore delle orig<strong>in</strong>i napoletane, f<strong>in</strong>o<br />

ai più giovani e a noi prossimi Edy Quaggio, Chiara Guarducci, l’attrice mi<strong>la</strong>nese Federica Fracassi. Ora<br />

quello che conta non è tanto fare <strong>la</strong> conta di chi c’è e di chi manca, piuttosto tentare di capire come si è<br />

caratterizzato questo <strong>la</strong>voro, ovvero, dato che il punto di partenza è – come nelle raffigurazioni del<strong>la</strong><br />

prospettiva di Paolo Uccello o di Piero del<strong>la</strong> Francesca – capire da poeti come il teatro <strong>in</strong> versi possa<br />

essere poetico, ovvero utile al<strong>la</strong> poesia, ovvero, se non si tratti soltanto di una organizzazione spaziale e<br />

vocale del testo che potrebbe benissimo essere stampato <strong>in</strong> prosa. E quest’ultimo è un punto importante,<br />

anzi, è il punto fondamentale. Parto proprio da questo.<br />

El respir<br />

Quando si <strong>in</strong>com<strong>in</strong>cia a par<strong>la</strong>re di teatro <strong>in</strong> versi o di teatro versificato bisogna partire da un punto di<br />

pratica, che poi è <strong>la</strong> stessa orig<strong>in</strong>e da cui partire per valutare una drammaturgia: il respiro dell’attore.<br />

Molto spesso ad un autore che non è stato attore o che ha scarsa pratica del mestiere viene mossa <strong>la</strong><br />

c<strong>la</strong>ssica critica che <strong>la</strong> sua è una scrittura più che una partitura per attore (ora semplifico perché il discorso<br />

sarebbe ricchissimo di implicazioni e complesso). Ovvero spesso gli autori teatrali scrivono più per <strong>la</strong><br />

carta che non per <strong>la</strong> scena, tant’è che <strong>la</strong> miglior pratica anglosassone permette all’autore di <strong>la</strong>vorare a<br />

contatto con <strong>la</strong> compagnia ed il regista mentre <strong>in</strong> Italia i teatranti <strong>la</strong>sciano l’autore fuori dal teatro e a<br />

distanza di sicurezza. Il poeta è una monade non control<strong>la</strong>bile e soprattutto ha una esperienza per quanto<br />

moderata di sé stesso e del<strong>la</strong> propria voce. Molti poeti di fatti recitano, per sé e ad alta voce ciò che<br />

scrivono, è uno degli esercizi di verifica del valore – del<strong>la</strong> maturità – ac<strong>qui</strong>sito da ciò che si è scritto.<br />

Questo, a mio parere, avvantaggia i poeti nello scrivere qualcosa di recitabile, di funzionale al<strong>la</strong><br />

respirazione che poi è gemel<strong>la</strong> di quello dell’attore – <strong>in</strong>vero come è gemel<strong>la</strong> di quel<strong>la</strong> del falegname, del<br />

carpentiere, del macel<strong>la</strong>io, del Presidente degli <strong>in</strong>dustriali. – Non è un caso che molti ottimi drammaturghi<br />

modifich<strong>in</strong>o i testi anche al<strong>la</strong> trentesima replica del<strong>la</strong> messa <strong>in</strong> scena. Ciò che resiste sul<strong>la</strong> pag<strong>in</strong>a può<br />

<strong>in</strong>vece fallire <strong>in</strong> scena, e viceversa. Questa è una rego<strong>la</strong>, non strettamente necessaria ma spesso<br />

verificata.<br />

Esemp<br />

Tenuto conto del legame fra scrittura e respiro <strong>la</strong> drammaturgia contemporanea offre molti testi <strong>in</strong> prosa,<br />

di gran lunga <strong>la</strong> maggioranza, e alcuni testi <strong>in</strong> versi. A questo punto vanno divisi quei testi scritti da poeti<br />

che <strong>in</strong>tendono scrivere per il teatro ma al contempo proseguono l’offic<strong>in</strong>a di scrittura poetica – poiché ci<br />

sono poeti che <strong>in</strong>vece scrivono <strong>in</strong> prosa e mettono da parte <strong>la</strong> poesia – dai testi scritti da drammaturghi<br />

che versificano soltanto per semplificare <strong>la</strong> rappresentazione del respiro di ogni s<strong>in</strong>go<strong>la</strong> battuta. Parto da<br />

questi ultimi che mi rappresentano una prassi maggiormente presente a livello <strong>in</strong>ternazionale. Penso al<br />

teatro di Thomas Bernhard e di He<strong>in</strong>er Müller (però non ho mai verificato gli orig<strong>in</strong>ali <strong>in</strong> l<strong>in</strong>gua tedesca),<br />

ad alcuni testi del teatro di Rodrigo Garcia (Note di cuc<strong>in</strong>a) e di Jon Fosse, ai primi testi di Antonio<br />

Tarant<strong>in</strong>o (Stabat Mater, Passione secondo Giovanni, Vespro del<strong>la</strong> Beata Verg<strong>in</strong>e), a porzioni del<br />

testamento di Sarah Kane, Psicosi delle 4 e 48, scritto poche ore prima di togliersi <strong>la</strong> vita. Ma anche il<br />

teatro dell’ultimo Mario Luzi (La Passione) e di Giovanni Raboni (Rappresentazione del<strong>la</strong> croce) sono tutti<br />

esempi di scrittura <strong>in</strong> versi rego<strong>la</strong>ta non da un ricerca formale quanto, soprattutto, da una esigenza di<br />

ord<strong>in</strong>e tecnico, di ord<strong>in</strong>e mentale: vado a capo perché è f<strong>in</strong>ita <strong>la</strong> battuta, per evidenziare e iso<strong>la</strong>re.<br />

Sappiamo benissimo quanto questo sia un meccanismo vigente nel<strong>la</strong> poesia contemporanea dom<strong>in</strong>ata dal<br />

verso libero. Ma <strong>qui</strong> il meccanismo è portato alle estreme conseguenze, tanto, dico io, che se i testi<br />

fossero scritti <strong>in</strong> prosa sarebbe teatralmente lo stesso.<br />

Romans an vers<br />

Un genere partico<strong>la</strong>re che segue con attenzione è quello del romanzo <strong>in</strong> versi. Anche i romanzi <strong>in</strong> versi<br />

possono rientrare <strong>in</strong> questa casistica semplificata, come l’ultima opera di Dario Voltol<strong>in</strong>i, Le scimmie sono<br />

<strong>in</strong>avvertitamente uscite dal<strong>la</strong> gabbia, oppure La maschera di scimmia dell’australiana Dorothy Porter – le<br />

scimmie portano al romanzo <strong>in</strong> versi? – o ancora il romanzo che più mi ha conv<strong>in</strong>to del<strong>la</strong> Isabel<strong>la</strong><br />

Santacroce, Lovers.<br />

Molto più complesse mi paiono le evoluzioni che costruiscono romanzi <strong>in</strong> versi o poemi del calibro dei<br />

mastodontici Omeros di Derek Walcott – non a caso <strong>in</strong>teso come uno dei capo<strong>la</strong>vori del<strong>la</strong> poesia moderna<br />

–, Freddy Nettuno di Les Murray, Canto general di Pablo Neruda, Paterson di William Carlos Williams –<br />

che misce<strong>la</strong> <strong>in</strong>cisi e racconti <strong>in</strong> prosa al<strong>la</strong> poesia – e l’ottocentesco (e da me amatissimo) C<strong>la</strong>rel di<br />

Hermann Melville. Fra l’altro tutti figli, volenti o non volenti, dei capo<strong>la</strong>vori del<strong>la</strong> letteratura c<strong>la</strong>ssica<br />

66


(Omero, Virgilio, Lucrezio) e del<strong>la</strong> letteratura medioevale italiana. Come lo sono anche poemi mondo<br />

quali Foglie d’erba di Walt Whitman e Cantos di Pound, su cui, come sappiamo, è decisiva anche l’eredità<br />

degli studi di Fenellosa e del<strong>la</strong> letteratura c<strong>in</strong>ese.<br />

Dopo Eliot<br />

A mio parere esiste però un filo rosso – o blu, o verde, o nero o bianco… – che porta al<strong>la</strong> drammaturgia <strong>in</strong><br />

versi, al tentativo <strong>qui</strong>ndi fare del<strong>la</strong> poesia a teatro o del teatro l<strong>in</strong>guisticamente più alto. Come sappiamo<br />

nel corso del<strong>la</strong> modernità uno degli esempi più noti è il teatro del poeta Thomas Stearns Eliot. Un teatro<br />

devo ammettere molto sopravvalutato. Anzi, come ha sapientemente notato uno dei suoi traduttori e<br />

studiosi italiani, è certamente vero che il miglior teatro di Eliot lo si <strong>in</strong>contri nel<strong>la</strong> sua poesia e non nel suo<br />

teatro borioso e noiosissimo. Assass<strong>in</strong>io al<strong>la</strong> cattedrale è davvero un esempio accademico di uno dei<br />

discorsi che ho <strong>in</strong>tessuto <strong>in</strong> precedenza. Ovvero ci sono testi che scritti possono piacere ma <strong>in</strong> scena<br />

uccidono il teatro. Soprattutto uccidono lo spettatore. Magari l’attore ma per lui o lei si tratta di <strong>la</strong>voro (ce<br />

ne sono di operai e commesse che muoiono un pezzo al giorno…). Sacrificato il teatro di Eliot, ci<br />

avvic<strong>in</strong>iamo all’Italia con le avventure di Mario Luzi (Felicità turbate, ma anche il Viaggio terrestre e<br />

celeste di Simone Mart<strong>in</strong>i) e di Sangu<strong>in</strong>eti, che di teatro ne hanno scritto e praticato parecchio, così come<br />

Doplicher, Scabia, Scaldati, ovvero autori – a mio parere i meno – che proseguono <strong>la</strong> battaglia sul ritmo,<br />

sullo scavo del verso e dell’espressione. È il caso di Pasol<strong>in</strong>i, di cui si par<strong>la</strong> (ma ne par<strong>la</strong>va lo stesso poeta<br />

friu<strong>la</strong>no nel suo celebre Manifesto per un Nuovo Teatro) spesso del<strong>la</strong> difficoltà di mettere <strong>in</strong> scena le sue<br />

tragedie proprio perché è un teatro dell’immobilità, del<strong>la</strong> paro<strong>la</strong>, dove l’azione è ridotta al m<strong>in</strong>imo; oppure<br />

è il caso di Nevio Spadoni, del<strong>la</strong> sua per<strong>la</strong> <strong>in</strong> dialetto romagnolo L’iso<strong>la</strong> di Alc<strong>in</strong>a <strong>in</strong> scena da diversi anni<br />

ad opera del Teatro delle Albe di Ravenna; è il caso del napoletano En z o Moscato che dal 1988 scrive e<br />

porta <strong>in</strong> scena testi <strong>in</strong> versi di grande complessità quali Partitura e <strong>la</strong> Quadrilogia di Santarcangelo; è il<br />

caso dei siciliani Scaldati e N<strong>in</strong>o Gennaro, anche se l’opera teatrale di quest’ultimo talvolta è versificata<br />

nel<strong>la</strong> maniera del primo caso, <strong>qui</strong>ndi secondo semplificazione. Giovanni Testori è poi un caso non facile da<br />

qualificare, poiché ha scritto talvolta andando a capo ogni paro<strong>la</strong> come nel<strong>la</strong> seconda trilogia, quel<strong>la</strong><br />

composta fra il 1978 ed il 1981 (Conversazione con <strong>la</strong> morte, Interrogatorio a Maria, Factum Est),<br />

talvolta <strong>in</strong> modo maggiormente complesso come nel romanzo sdisOrè è nei Tre Lai.<br />

Üna parentes d’amor<br />

Non perdo però l’occasione di ribadire che le poesie d’amore scritte da Testori a cavallo del ’70 sono tra le<br />

più belle del<strong>la</strong> modernità italiana ed europea.<br />

Poetc savi<br />

Ci sono anche poeti che non tormentano troppo l’anima dei lettori. Ovvero poeti che se scrivono poesia<br />

fanno quel che sanno fare e che se si dedicano al teatro decidono di aderire al<strong>la</strong> moda corrente del<strong>la</strong><br />

prosa per il teatro. È il caso di Robert Lowell (si ricordi <strong>la</strong> sua traduzione e riscrittura del Prometeo<br />

<strong>in</strong>catenato), Derek Walcott (<strong>in</strong> Italia sono arrivati Ti-Jean e i suoi fratelli, Sogno sul Monte del<strong>la</strong> Scimmia<br />

– ancora!).<br />

E alüra?!<br />

In def<strong>in</strong>itiva. Siamo contenti o no del teatro <strong>in</strong> versi che abbiamo <strong>in</strong> Italia? Offre opere dal<strong>la</strong> grana<br />

qualitativamente soddisfacente e stimo<strong>la</strong>nte? A mio parere sì, certo va tenuto conto l’esigenza pratica che<br />

il teatro rec<strong>la</strong>ma, sebbene un’opera poi possa benissimo tramandarsi nei secoli anche se non va <strong>in</strong> scena<br />

ma resta un’opera di carta dal valore <strong>in</strong>estimabile.<br />

Nòta <strong>in</strong>fond: chiedo scusa ai bergamaschi doc che potranno certamente recrim<strong>in</strong>are sul mio pessimo<br />

memoriale di dialetto. Sono vent’anni che abito <strong>in</strong> Piemonte e <strong>la</strong> mancanza di pratica ha certamente<br />

fiaccato <strong>la</strong> mia conoscenza.<br />

Tiziano Fratus<br />

67


IL POETA E IL CORO DEL SILENZIO<br />

La poesia è assoluta e <strong>in</strong>ospitale. Non c’è posto per <strong>la</strong> voce, né per il poeta, che viene sfrattato dal<strong>la</strong> sua<br />

stessa poesia. Il lettore di poesia, con l’atto stesso del<strong>la</strong> sua lettura, è come se dicesse: “Tu, poeta, non<br />

c’entri. No, non c’entri nemmeno con le tue poesie. Sta’ zitto: faccio da solo. Leggo da solo. Va’ via.<br />

Lasciami solo con <strong>la</strong> poesia. Non mi importa se l’hai scritta tu. Me <strong>la</strong> leggo da me.” È un atteggiamento<br />

legittimo, un’estetica del<strong>la</strong> lettura, una concezione del<strong>la</strong> poesia che anch’io pratico, come lettore<br />

silenzioso e solitario delle poesie altrui.<br />

Ma se le cose stanno così, che cosa si mette <strong>in</strong> scena, allora, quando si legge poesia <strong>in</strong> pubblico? Cosa si<br />

vuole quando si <strong>in</strong>vita un poeta a leggere i propri versi? Si vuole che egli sia assoluto, <strong>in</strong>ospitale e<br />

<strong>in</strong>ospitato.<br />

L’attore, <strong>la</strong> statua e l’esibizionista<br />

Al poeta non è consentita l’<strong>in</strong>corporazione dell’alterità, l’ospitalità dell’altro. Pensate <strong>in</strong>vece a ciò che<br />

avviene comunemente a teatro: l’attore attua <strong>la</strong> personificazione di un altro, <strong>in</strong>corpora il personaggio, si<br />

<strong>la</strong>scia possedere idealmente, e fisicamente, dal<strong>la</strong> personalità altrui: <strong>la</strong> ospita dentro di sé. Cambia voce e<br />

andatura, si trucca, si mette un costume. Al poeta è consentito soltanto porgere parole, e casomai<br />

<strong>in</strong>corporare un’unica porzione di mondo: quel<strong>la</strong> che co<strong>in</strong>cide con i suoi contorni personali. Il proprio<br />

corpo, <strong>la</strong> propria voce, le proprie parole, e basta. Il resto è espulso. Il poeta deve andare <strong>in</strong> scena vestito<br />

soltanto di se stesso. È un poemoforo puro, e anche un egoforo, non un eteroforo com’è l’attore.<br />

A ben guardare, però, le cose non stanno esattamente così. Il poeta va <strong>in</strong> scena senza costumi, senza<br />

avvalersi di scenografie o strumenti o trucchi, senza “teatro” (e senza il suo doppio!, vale a dire senza ciò<br />

che da Artaud <strong>in</strong> poi è considerato essenziale e irr<strong>in</strong>unciabile per il teatro: il grande apparato tecnico che,<br />

da semplice scenografia, si fa sostanza scenica protagonista al pari del<strong>la</strong> paro<strong>la</strong> e degli attori). Ma è come<br />

se il poeta avesse <strong>in</strong>corporato o assorbito lo sfondo, come se fosse <strong>la</strong> scenografia di se stesso. Mi viene <strong>in</strong><br />

mente un’antica statuetta egizia: è un ippopotamo, sul<strong>la</strong> sua pelle sono disegnate le canne del Nilo:<br />

quel<strong>la</strong> statuetta è contemporaneamente (mi viene da dire “conspazialmente”) se stessa e scenografia di<br />

se stessa. Oltre all’attore, dunque, per comprendere che cos’è un poeta che legge i suoi versi <strong>in</strong> pubblico,<br />

c’è quest’altra figura che bisogna tenere presente sottol<strong>in</strong>eando analogie e contrasti con il poeta <strong>in</strong> scena:<br />

<strong>la</strong> statua. Pensiamo a un monumento che raffigura un eroe del Risorgimento, al centro di una piazza: che<br />

cosa lo contraddist<strong>in</strong>gue? La mancanza di tutto il suo contorno ambientale e storico. È immerso <strong>in</strong> un<br />

altro tempo, <strong>in</strong> un altro spazio. Il monumento a Garibaldi è vestito come nel 18<strong>60</strong>, il suo cavallo ha i<br />

f<strong>in</strong>imenti d’epoca, il condottiero ord<strong>in</strong>a <strong>la</strong> carica ma <strong>in</strong>torno a lui non c’è nessuna truppa, di fronte a lui<br />

non si vede nessun esercito nemico da assaltare; <strong>in</strong> piazza circo<strong>la</strong>no le automobili e s<strong>qui</strong>l<strong>la</strong>no i telefoni<br />

cellu<strong>la</strong>ri. È una figura paradossale, un alieno, una presenza transtemporale e transpaziale. Anche il poeta<br />

che va <strong>in</strong> scena ha una qualche aff<strong>in</strong>ità con <strong>la</strong> figura del<strong>la</strong> statua: generalmente non si mette il costume<br />

da scena, va vestito così com’è (conosciamo qualche eccezione, nelle performance di Hugo Ball al Cabaret<br />

Voltaire, per menzionare soltanto un esempio). Che cosa significa, questo? A differenza del<strong>la</strong> statua, il<br />

poeta non viene da un’altra epoca. Eppure, come <strong>la</strong> statua, non si adatta all’immersione ambientale del<strong>la</strong><br />

scena, non predispone un costume e una scenografia per <strong>la</strong> scena. Dunque il poeta <strong>in</strong> scena impersona <strong>la</strong><br />

sua provenienza da un’alterità, <strong>la</strong> sua, che non è il passato storico o il mondo ideale e fantastico del<strong>la</strong><br />

mitologia (come <strong>la</strong> statua di un dio greco). Da dove viene, allora? Dal presente. La semplice apparizione<br />

del poeta <strong>in</strong> scena rende tutto il presente paradossale. Il poeta che non si mette il costume da scena,<br />

porta sul<strong>la</strong> scena <strong>la</strong> sua irruzione aliena, come una statua che è venuta a farci visita scontornata dal suo<br />

ambiente e dal<strong>la</strong> sua epoca. È una visita transtemporale e transpaziale di una figura ritagliata da un altro<br />

mondo. Per una pura co<strong>in</strong>cidenza, il poeta vive nel presente. La comparsa del poeta <strong>in</strong> scena spacca <strong>la</strong><br />

realtà <strong>in</strong> due, mostra <strong>la</strong> sua venuta da un altro tempo, che apparentemente co<strong>in</strong>cide con il nostro tempo.<br />

Un’altra figura che vale <strong>la</strong> pena di paragonare col poeta che legge <strong>in</strong> pubblico è quel<strong>la</strong> dell’esibizionista.<br />

L’esibizionista è una specie di teatro ambu<strong>la</strong>nte, che apre il sipario dell’impermeabile per mostrarsi allo<br />

spettatore-vittima. L’esibizionista si porta addosso tutto il teatro, mentre il poeta entra <strong>in</strong> scena<br />

assolutamente privo di qualunque elemento scenico, senza scenografia né costume. È per così dire polpa<br />

esibizionistica pura.<br />

La persecuzione delle parole<br />

Cosa c’è, <strong>in</strong> scena nelle letture di poesia? Non semplicemente un corpo, ma una persona, qualcuno<br />

vestito “come nel<strong>la</strong> vita”.<br />

68


E cosa si chiede al poeta <strong>in</strong> scena? Di mostrare <strong>la</strong> persecuzione che perpetra verso se stesso. Una sorta di<br />

iperautologia: il poeta mette <strong>in</strong> scena l’essere perseguitato dalle sue stesse parole. Proprio così: l’essere<br />

perseguitato (che esprimo con l’<strong>in</strong>tensificazione data dal prefisso iper-) dalle sue stesse (-auto-) parole (logia).<br />

Un essere umano attraversato da parole che lo perseguitano: questo, secondo me, è il poeta <strong>in</strong> scena.<br />

Perché dico, con un’espressione che può suonare un po’ enfatica, che le sue parole lo perseguitano?<br />

Perché sono parole che il poeta aveva scritto, aveva esteriorizzato, aveva espulso da se stesso, se ne era<br />

liberato e disfatto: ma ecco che queste parole tornano presso di lui, dentro di lui, lo riattraversano e lo<br />

fanno vibrare; fanno vibrare il suo corpo, le sue corde vocali; non solo: strutturano anche il suo assetto,<br />

<strong>la</strong> sua postura fisica. Pensate ancora, per contrasto, all’attore: l’attore imita <strong>la</strong> produzione l<strong>in</strong>guistica<br />

immediata degli esseri umani, fa f<strong>in</strong>ta di improvvisare con naturalezza <strong>la</strong> battuta che <strong>in</strong> realtà ha<br />

imparato a memoria, e gran parte del<strong>la</strong> sua bravura consiste nel far credere agli spettatori che, <strong>in</strong> quel<br />

momento, lui stia semplicemente par<strong>la</strong>ndo. Invece il poeta <strong>in</strong> scena tiene <strong>in</strong> mano <strong>la</strong> carta, ostenta il libro<br />

che lui stesso ha scritto, non f<strong>in</strong>ge di improvvisare: mostra il libro, o <strong>la</strong> carta, i fogli sparsi, le pag<strong>in</strong>e,<br />

<strong>in</strong>somma tutti quei posti dove stanno le parole che aveva espulso da sé, e che ora <strong>in</strong>vece lo perseguitano<br />

reimmettendosi <strong>in</strong> circolo dentro di lui, riattraversando <strong>la</strong> sua persona e facendo<strong>la</strong> vibrare.<br />

In questa logica, è chiaro che non sono persecutorie, tanto per fare un esempio, le parole<br />

dell’improvvisazione poetica orale pubblica (come le gare di improvvisazione <strong>in</strong> ottava rima degli<br />

stornel<strong>la</strong>tori, oppure dei rapper che si sfidano a free style). Quelle parole sono cairologiche, appartengono<br />

all’occasione, mettono <strong>in</strong> scena una sorgività momentanea, legata <strong>in</strong>dissolubilmente a quell’istante e quel<br />

luogo (poi ci sarebbe da dire che <strong>in</strong> quei casi il poeta improvvisatore mette <strong>in</strong> scena l’essere perseguitato<br />

da una forma metrica o retorica, se improvvisa <strong>in</strong> endecasil<strong>la</strong>bi, <strong>in</strong> rima, ecc., ma questo è un altro<br />

discorso). Il poeta improvvisatore fa sgorgare sorgivamente quelle parole, come il jazzista che si avvale<br />

di un sapere tecnico compositivo estemporaneo e di tanta esperienza pratica.<br />

Per proseguire il paragone con <strong>la</strong> musica, nelle letture di poesia, <strong>in</strong> scena è visibile non una semplice<br />

esecuzione, <strong>la</strong> lettura di uno spartito, bensì che cosa succede a una persona attraversata dalle parole che<br />

lo perseguitano, cioè riattraversata vocalmente (vibratilmente) dalle sue stesse parole, di cui si era<br />

liberato esteriorizzandole con <strong>la</strong> scrittura. Arriva qualcuno sul<strong>la</strong> scena, e <strong>in</strong>cappa nei suoi stessi scritti: ce<br />

li legge, vale a dire che ci fa vedere che effetti fisici hanno quegli scritti sul<strong>la</strong> sua persona. Naturalmente<br />

sono effetti diversissimi, dal<strong>la</strong> lettura sommessa a quel<strong>la</strong> esorbitante: <strong>in</strong> Italia, per esempio, Stefano<br />

Rasp<strong>in</strong>i grida a perdifiato, Milo De Angelis sussurra; si vedono persone esagitate, altre persone composte,<br />

che quasi si sottraggono al<strong>la</strong> loro stessa voce, sottraggono voce al<strong>la</strong> poesia o, al contrario, <strong>la</strong> sfondano<br />

sovraccaricando<strong>la</strong> di voce: <strong>la</strong> mettono <strong>in</strong> scena, per quanto possibile, al di qua o al di là del<strong>la</strong> voce, nel<br />

bisbiglio e nell’urlo. A volte sembra addirittura di assistere a forme di autolesionismo dei poeti nei<br />

confronti di se stessi, autolesionismo <strong>in</strong>flitto attraverso le loro parole: attraverso <strong>la</strong> sostanza fisica, vocale<br />

delle parole, ancor più che dal loro significato, parole che <strong>in</strong>fliggono disagio, imbarazzo, o esaltazione<br />

maniacale nel poeta che ha permesso alle sue parole di riattraversarlo fisicamente, danneggiandolo.<br />

Il conferenziere e il leader politico<br />

Un’altra figura piuttosto ovvia con cui confrontare il poeta che legge <strong>in</strong> scena è il conferenziere. Chi ha<br />

scritto <strong>la</strong> conferenza che tiene <strong>in</strong> mano il conferenziere? Si <strong>in</strong>s<strong>in</strong>ua il sospetto che sia opera di un ghostwriter,<br />

il braccio destro dell’uomo politico, l’assistente dell’amm<strong>in</strong>istratore delegato dell’azienda. Una<br />

fortunata idea novecentesca ha predicato che il poeta condivida con il conferenziere un rapporto apocrifo<br />

verso il testo: il poeta patisce il l<strong>in</strong>guaggio che è il suo ghost-writer. La scrittura stessa è l’autore<br />

fantasma che ha scritto le parole del poeta. O, <strong>in</strong> una prospettiva più esistenziale, è semplicemente il se<br />

stesso passato, l’autore ormai trapassato, sorpassato dal tempo, che ha scritto quel testo un anno o un<br />

m<strong>in</strong>uto prima…<br />

Il conferenziere esegue uno spartito verbale, si <strong>in</strong>fiamma, poi con sapiente noncuranza porge una battuta<br />

di cui ha già col<strong>la</strong>udato l’effetto comico, cambia registri vocali come un consumato attore. Che cosa<br />

succede sul<strong>la</strong> scena del conferenziere, del leader politico che fa un discorso? Un testo scritto sul<strong>la</strong> carta<br />

crea imprevedibili effetti su una persona che lo legge. Molti poeti spesso <strong>la</strong>vorano “a togliere” quando<br />

leggono <strong>in</strong> pubblico, porgono una paro<strong>la</strong> monocorde, depressa, che causa nel<strong>la</strong> persona che <strong>la</strong> legge una<br />

improvvisa e <strong>in</strong>spiegabile serietà, un rispetto quasi luttuoso. Si legge con compunzione, con sommesso<br />

decoro. Qualcosa sembra essere morto, c’è un corpo sacro (il testo?, il poeta?, il pubblico?), da rispettare<br />

come un cadavere. Naturalmente si tratta di scelte estetiche, e, di fatto, stili registici che variano da<br />

poeta a poeta, ma penso di essere abbastanza obiettivo se dico che <strong>la</strong> tendenza maggioritaria delle<br />

letture di poesia del<strong>la</strong> nostra epoca è quel<strong>la</strong> seriosa, anaffettiva, che presenta <strong>in</strong>negabili analogie con il<br />

tono di un discorso funebre. Di chi si celebra <strong>la</strong> morte? Del<strong>la</strong> scrittura? Del pubblico <strong>in</strong>erte? Del poeta<br />

stesso costretto dal<strong>la</strong> scrittura al<strong>la</strong> compunzione? La poesia è sadica, ci mette <strong>in</strong> riga, ci fa leggere rigidi e<br />

disumani, atoni e sussiegosi?<br />

Il leader politico vuole persuadere e rego<strong>la</strong>re il pubblico sul<strong>la</strong> sua stessa temperatura emotiva. Mette <strong>in</strong><br />

scena un climax, un aumento di eccitazione causata dal<strong>la</strong> lettura di un testo. Il suo scopo è far sì che gli<br />

ascoltatori condividano non soltanto il contenuto di ciò che dice, ma l’emozione che gli fa raggiungere ciò<br />

69


che sta dicendo, l’esaltazione provocata dal testo che sta pronunciando. Che movimento politico, che<br />

partito fonda <strong>la</strong> mozione degli affetti del<strong>la</strong> poesia letta <strong>in</strong> pubblico?<br />

Il cantante rock e <strong>la</strong> creazione del noi<br />

Per comprendere che cos’è un poeta che legge <strong>in</strong> scena, oltre alle figure dell’attore, del<strong>la</strong> statua,<br />

dell’esibizionista e del conferenziere o leader politico, bisogna confrontarlo anche con <strong>la</strong> figura del<br />

cantante durante il concerto rock o pop. Il cantante rock o pop si avvale di un dispositivo, <strong>la</strong> canzone, che<br />

tende al<strong>la</strong> creazione di un coro. La forma strofa-ritornello, <strong>in</strong>fatti, tende a <strong>in</strong>segnare una melodia anche a<br />

chi ascolta <strong>la</strong> canzone per <strong>la</strong> prima volta. Al<strong>la</strong> seconda o terza ricomparsa del ritornello, l’ascoltatore è già<br />

<strong>in</strong> grado di cantare <strong>in</strong>sieme al cantante (non importa anche se non canta fisicamente, giacché è <strong>in</strong> grado<br />

di riconoscere mentalmente <strong>la</strong> melodia e le parole, col<strong>la</strong>bora <strong>in</strong> spirito all’esecuzione dell’opera). È<br />

significativo, da questo punto di vista, che gli anglofoni chiam<strong>in</strong>o il ritornello chorus: il ritornello crea un<br />

coro, vale a dire una comunità che pensa e par<strong>la</strong> e si esprime con tutta se stessa (<strong>la</strong> totalità, il “tutto se<br />

stesso” dell’espressione è simboleggiata e realizzata dal<strong>la</strong> musica, per cui un pensiero si esteriorizza non<br />

solo con una frase pronunciata ad alta voce, ma anche con il canto, occupando un maggiore<br />

co<strong>in</strong>volgimento, un’attività espressiva più ampia del pensiero e del<strong>la</strong> paro<strong>la</strong> par<strong>la</strong>ta; e questo accade <strong>in</strong><br />

misura ancora maggiore quando al canto si aggiunge contemporaneamente il ballo, il movimento ritmico<br />

che asseconda <strong>la</strong> musica mentre si canta: <strong>in</strong> questo modo, cantando e bal<strong>la</strong>ndo, si significa che ci si sta<br />

esprimendo con “tutti se stessi”): La comunità degli spettatori di un concerto si esprime con tutta se<br />

stessa all’unisono: l’estetica rock e pop, attraverso <strong>la</strong> forma-canzone, ha come scopo <strong>la</strong> creazione di un<br />

noi, una comunità concorde che canta <strong>in</strong> coro, che canta <strong>in</strong> chorus il ritornello.<br />

Il poeta che legge <strong>in</strong> scena è una s<strong>in</strong>go<strong>la</strong>rità assoluta che non <strong>in</strong>tende creare nessun noi. Gli ascoltatori<br />

non lo stanno a sentire per condividere all’unisono le sue parole, per essere co<strong>in</strong>volti con tutti se stessi,<br />

con tutto il pensiero, addirittura recitando assieme al poeta, cantando <strong>in</strong> coro le sue stesse parole, <strong>la</strong><br />

melodia che <strong>in</strong>segna se stessa ritornando nel ritornello, bal<strong>la</strong>ndo al ritmo cadenzato dal<strong>la</strong> sua metrica…<br />

Per quanto ne sa il poeta, il suo pubblico silenzioso potrebbe essere distratto, pensare ad altro mentre lui<br />

legge, non comprendere <strong>la</strong> sua l<strong>in</strong>gua.<br />

Il coro del silenzio<br />

Il coro degli spettatori esprime un silenzio. Il silenzio non è vuoto, ma è l’accompagnamento dell’ascolto.<br />

Accompagnamento <strong>in</strong> senso attivo, musicale. Quando uno strumento accompagna l’assolo di un altro<br />

strumento, predispone l’alveo armonico per <strong>la</strong> melodia, e con l’esecuzione di diversi accompagnamenti,<br />

contrappunto, discanto, stonatura, eccetera, è <strong>in</strong> grado di cambiare completamente il senso dell’assolo.<br />

Suonando l’accompagnamento, si manifesta come m<strong>in</strong>imo un’attenzione verso l’assolo, lo si segue,<br />

sebbene a modo proprio, senza l’unisono del coro unanime.<br />

Gli ascoltatori suonano il tacet dello spartito, ma il loro mutismo è significativo, perché non è<br />

semplicemente il mutismo delle cose <strong>in</strong>erti, ma di esseri che potrebbero fare baccano, distrarsi, par<strong>la</strong>re<br />

per conto proprio, contrastare <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> del poeta con un’altra paro<strong>la</strong>. Non è esatto dunque dire che il<br />

poeta non crei un noi: crea il coro del silenzio, il chorus dell’ascolto, il ritornello del tacet musicale, il noi<br />

di una comunità che esegue all’unisono il ritornello dell’ascolto silenzioso. O forse crea il voi del pubblico<br />

separato da lui. Se riteniamo che crei un noi, cioè che il silenzio del pubblico sia all’unisono con <strong>la</strong> paro<strong>la</strong><br />

del poeta, allora <strong>in</strong>tendiamo che <strong>la</strong> sostanza del<strong>la</strong> sua paro<strong>la</strong> sia <strong>in</strong> realtà il silenzio, e che il pubblico stia<br />

cantando <strong>in</strong> coro <strong>la</strong> verità del<strong>la</strong> paro<strong>la</strong> che sta leggendo il poeta, il suo nucleo silenzioso, <strong>la</strong> consistenza<br />

taciturna del<strong>la</strong> poesia. Se <strong>in</strong>vece cogliamo l’aspetto contrastivo del silenzio degli ascoltatori, il loro<br />

costituirsi <strong>in</strong> voi opposto al poeta, ne sottol<strong>in</strong>eiamo il carattere di separatezza, di ostile differenziazione:<br />

gli ascoltatori fanno un coro a parte, il coro dei taciturni, contro il poeta che par<strong>la</strong> da solo <strong>in</strong>erpicandosi<br />

per il suo sentiero di parole senza essere seguito da nessuno. “Mentre tu parli, noi stiamo dal<strong>la</strong> parte del<br />

silenzio. Ci mettiamo <strong>in</strong> scena di fronte a te stizzosamente zitti, enigmatici, come sf<strong>in</strong>gi senza<br />

espressione, senza parole. Ecco <strong>la</strong> nostra paro<strong>la</strong>, <strong>la</strong> nostra poesia, che leggiamo silenziosamente per te, e<br />

che tu riesci ad ascoltare soltanto leggendo, conficcato nel<strong>la</strong> tua dimensione verbosa”.<br />

Tiziano Scarpa<br />

70


LA POESIA IN SCENA<br />

71


Compagnie, registi e attori<br />

72


Teatro delle Ariette<br />

73


TEATRO E POESIA<br />

Teatro e poesia sono entrati nel<strong>la</strong> mia vita attraverso le persone, come elementi concreti e materiali,<br />

terrestri. I libri e <strong>la</strong> letteratura (altri elementi concreti e materiali, ma di natura aerea) sono arrivati dopo.<br />

Teatro e poesia sono sempre esistiti nel<strong>la</strong> mia vita da che ne ho ricordo, <strong>qui</strong>ndi mi precedono, esistono<br />

prima di me e <strong>in</strong> un certo senso sono io che entro nel loro esistere come si entra <strong>in</strong> una dimensione<br />

paralle<strong>la</strong>.<br />

Ricordo le fi<strong>la</strong>strocche dell’<strong>in</strong>fanzia, le favole <strong>in</strong> rima che mia mamma cantava e che par<strong>la</strong>vano di capretti,<br />

di lupi e di pr<strong>in</strong>cipi, di penne di uccelli grifoni e di fratelli assass<strong>in</strong>i, di f<strong>la</strong>uti par<strong>la</strong>nti e di streghe.<br />

Ricordo <strong>la</strong> messa, tutte le domeniche e nelle feste speciali, Natale, <strong>la</strong> settimana di Pasqua. La<br />

celebrazione del rito, i gesti e le parole, <strong>la</strong> musica e il canto e io chierichetto, con <strong>la</strong> tunica bianca sopra i<br />

vestiti che allungavo al prete l’acqua e il v<strong>in</strong>o, mi <strong>in</strong>g<strong>in</strong>occhiavo e suonavo campanelle. Preghiere lunghe,<br />

ritmate, cantilene, <strong>in</strong>tonazioni e silenzi.<br />

La messa è il rito frontale, l’officiante si rivolge direttamente al partecipante, è lì soltanto per lui, non<br />

esiste una quarta parete, <strong>la</strong> stessa frontalità delle fi<strong>la</strong>strocche <strong>in</strong>fantili.<br />

Quello che comunemente si chiama teatro di prosa è per me teatro del<strong>la</strong> chiacchiera, teatro borghese,<br />

ridico<strong>la</strong> imitazione del<strong>la</strong> realtà.<br />

Tutto il teatro è teatro di poesia perché teatro e poesia sono <strong>in</strong>timamente connessi, forse sono addirittura<br />

<strong>la</strong> stessa cosa.<br />

Il teatro non è imitazione del<strong>la</strong> realtà, ma realtà trasfigurata ed è soltanto <strong>in</strong> questa dimensione che noi<br />

possiamo credere al<strong>la</strong> verità dell’evento teatrale, così come <strong>la</strong> poesia non è imitazione del l<strong>in</strong>guaggio, ma<br />

trasfigurazione dello stesso: sve<strong>la</strong>mento del<strong>la</strong> realtà <strong>in</strong> una dimensione paralle<strong>la</strong>.<br />

È così difficile oggi usare certe parole senza essere fra<strong>in</strong>tesi o par<strong>la</strong>re di certe cose senza essere<br />

considerati pesanti. Per questo voglio dire che al<strong>la</strong> base di tutto, del rito, del teatro e del<strong>la</strong> poesia sta il<br />

gioco, <strong>la</strong> dimensione <strong>in</strong>fantile del<strong>la</strong> conoscenza attraverso il gioco e le sue regole. Gioco è il term<strong>in</strong>e usato<br />

<strong>in</strong> tante l<strong>in</strong>gue per <strong>in</strong>dicare l’azione teatrale o <strong>la</strong> pratica musicale.<br />

So che leggendo “fi<strong>la</strong>strocche <strong>in</strong>fantili” si disegna un sorriso sulle <strong>la</strong>bbra del lettore e <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> “messa”<br />

glielo fa cancel<strong>la</strong>re, ma per me bamb<strong>in</strong>o il gioco del<strong>la</strong> messa era un gioco golosissimo, divertente,<br />

misterioso e affasc<strong>in</strong>ante, di oggetti chiusi a chiave dietro porte dorate, di candele accese, di parole che a<br />

casa non sentivo mai pronunciare e che avevano spesso suoni e significati misteriosi.<br />

Credo che tutto il mio teatro sia nato lì, lì e nelle fi<strong>la</strong>strocche <strong>in</strong> rima cantate di fianco al letto nei miei<br />

giorni di ma<strong>la</strong>ttia e di febbre. Per questo non riesco a immag<strong>in</strong>are un teatro che non sia frontale, un<br />

teatro senza quarta parete, un teatro dello e per lo spettatore, un teatro di poesia, perché <strong>la</strong> prima<br />

poesia che ho conosciuto era voce, suono e perché <strong>la</strong> poesia é frontale, dal cuore del poeta al cuore<br />

dell’ascoltatore-lettore, senza mediazione, senza pudore.<br />

Al di là di queste considerazioni però, ricordo ancora molto bene come è approdata al nostro teatro <strong>la</strong><br />

poesia che viene tecnicamente def<strong>in</strong>ita poesia, che è stampata sui libri e venduta nello scaffale poesia.<br />

Anche questa volta è arrivata come voce.<br />

Era <strong>la</strong> notte del capodanno tra il ‘99 e il 2000, a casa nostra alle Ariette.<br />

Avevamo organizzato una cena di sostegno all’autof<strong>in</strong>anziamento del<strong>la</strong> costruzione del Deposito Attrezzi<br />

(l’edificio rurale per il teatro che abbiamo costruito <strong>in</strong> mezzo ai campi del<strong>la</strong> nostra azienda agrico<strong>la</strong>).<br />

C’erano diversi amici e tra questi Giancarlo Sissa che avevamo conosciuto alcuni anni prima all’osteria del<br />

Montes<strong>in</strong>o a Bologna nelle serate di poesia e teatro. Al Montes<strong>in</strong>o lo avevamo ascoltato leggere le sue<br />

poesie ed eravamo rimasti colpiti dal<strong>la</strong> frontalità del suo scrivere e del suo dire.<br />

Giancarlo <strong>in</strong> quel capodanno aveva portato un regalo per noi. Dopo <strong>la</strong> cena, i br<strong>in</strong>disi, i canti e i balli fuori<br />

sul ghiaccio <strong>in</strong>torno al vecchione che bruciava, siamo rientrati <strong>in</strong> casa attorno al tavolo. Giancarlo ha<br />

tirato fuori un libro e ne ha letto un pezzo per noi, questo era il suo regalo: <strong>la</strong> lettura, <strong>la</strong> dedica e il libro.<br />

Il libro era “Non c’è paradiso” di André Frenaud, il pezzo era “Contad<strong>in</strong>i”. Ero commosso, ascoltavo <strong>la</strong><br />

poesia e mi sentivo <strong>in</strong>timamente vic<strong>in</strong>o alle parole che Giancarlo mi rega<strong>la</strong>va.<br />

Quando nel luglio del 2000, a Volterra, abbiamo debuttato con “Teatro da mangiare?” quelle parole erano<br />

lì, lette da Maurizio seduto <strong>in</strong> un angolo come quando mia nonna diceva il rosario, mentre io e Pao<strong>la</strong><br />

tagliavamo e “smazzavamo” le tagliatelle.<br />

È questa <strong>la</strong> poesia che mi commuove, <strong>la</strong> poesia che è voce e corpo, è suono e senso.<br />

Poesia che non è letteratura, per un teatro che non è chiacchiera.<br />

Stefano Pas<strong>qui</strong>ni<br />

Teatro delle Ariette<br />

74


LA POESIA A TEATRO<br />

Conosco il Teatro delle Ariette da anni. I primi <strong>in</strong>contri, <strong>in</strong>formali e amicali, con Stefano Pas<strong>qui</strong>ni, Pao<strong>la</strong><br />

Berselli e Maurizio Ferraresi risalgono al tempo <strong>in</strong> cui presso l’osteria del Montes<strong>in</strong>o, a Bologna, si<br />

organizzavano letture di poesie e “performance” teatrali cui partecipavo attivamente con altri amici poeti.<br />

In partico<strong>la</strong>re una sera, era forse il 1997, ci fu modo di “esibirci” assieme – o almeno nell’ambito dello<br />

stesso appuntamento -. Stefano Pas<strong>qui</strong>ni e Pao<strong>la</strong> Berselli portarono fra i tavoli dell’osteria un loro<br />

spettacolo che prevedeva <strong>la</strong> trasposizione di alcune canzoni di Tom Waits – opportunamente tradotte da<br />

Stefano – <strong>in</strong> ambito bolognese e a raccontare una storia d’amore, di bar, di periferie padane anche<br />

fortemente caratterizzate. A seguire io e un altro poeta leggemmo le nostre poesie. Il nesso fra le due<br />

cose, benchè non concordato, emerse con una certa evidenza: il <strong>la</strong>voro sul<strong>la</strong> paro<strong>la</strong> (del<strong>la</strong> canzone, del<strong>la</strong><br />

traduzione, del testo poetico), sul ritmo e sul<strong>la</strong> musica <strong>qui</strong>ndi ( del<strong>la</strong> chitarra e del canto, del<strong>la</strong> dizione <strong>in</strong><br />

cerca d’una sua efficacia non artefatta, non spiccatamente attoriale), sui movimenti del<strong>la</strong> voce <strong>in</strong> scena -<br />

esposta, nuda <strong>in</strong> uno spazio tanto ristretto come quello di un’osteria <strong>in</strong> cui il pubblico premeva i fianchi di<br />

attori e poeti - , par<strong>la</strong>vano del<strong>la</strong> comune <strong>in</strong>tenzione di raccontare “<strong>in</strong> presenza”, di condividere mani e<br />

fiato. La cosa che mi colpì, fra le altre, con partico<strong>la</strong>re evidenza fu l’estrema perizia tecnica delle versioni<br />

dall’americano all’italiano e, addirittura – <strong>in</strong> certi passaggi – al dialetto bolognese, il dialogo <strong>in</strong>somma<br />

tutt’altro che artificioso e anzi piuttosto “esperienziale” fra l<strong>in</strong>gue, s<strong>la</strong>ng, <strong>in</strong>tonazioni. L’effetto, voluto, era<br />

fra il drammatico e il comico con accenti di s<strong>in</strong>cera commozione e discreta i<strong>la</strong>rità dal<strong>la</strong> parte del pubblico.<br />

L’alternarsi delle emozioni corrispondeva <strong>in</strong> modo ritmicamente esatto al<strong>la</strong> voce che raccontava, cantava,<br />

leggeva e su questo si <strong>in</strong>nestavano i gesti del<strong>la</strong> presenza scenica. Complice qualche bicchiere di v<strong>in</strong>o<br />

<strong>in</strong>iziammo a par<strong>la</strong>rci, a dirci. Interessante sembrava il confrontare punti di vista diversi ma adiacenti, <strong>la</strong><br />

paro<strong>la</strong> per certi versi più statica del<strong>la</strong> poesia e il gesto del<strong>la</strong> voce teatrale, l’uno curioso dell’altro, l’uno<br />

testimone dell’altro.<br />

Qualche tempo dopo il Teatro delle Ariette prese parte, assieme ad altre persone <strong>in</strong>teressate, a un<br />

<strong>la</strong>boratorio sperimentale di scrittura autobiografica che – con un pedagogista e un altro poeta – avevamo<br />

organizzato sempre <strong>in</strong> osteria. Quattro o c<strong>in</strong>que <strong>in</strong>contri – non ricordo esattamente – durante i quali<br />

tentare un altro tipo di dialogo, quello eventualmente possibile fra parti di sé più o meno sparse nel<br />

tempo e quell’io tessitore (per usare le parole del pensiero autobiografico) che può decidere di ricucirne –<br />

sve<strong>la</strong>ndo<strong>la</strong> – <strong>la</strong> trama. Fu questa l’occasione per verificare una volta di più l’altissima qualità del<strong>la</strong><br />

scrittura di Stefano, Pao<strong>la</strong> e Maurizio (alcuni dei testi da loro “prodotti” <strong>in</strong> quell’ambito confluirono poi, fra<br />

l’altro, <strong>in</strong> uno spettacolo importante e fondante come “Teatro da mangiare?”). Dico questo senza alcuna<br />

personale presunzione – chi può giudicare nel<strong>la</strong> sostanza una materia tanto compromessa (dal<strong>la</strong> vita<br />

stessa) e delicata come <strong>la</strong> scrittura autobiografica? – e senza preoccupazioni di carattere critico o<br />

letterario. La qualità del<strong>la</strong> scrittura – <strong>in</strong>dividuale, certo, ma per qualche <strong>in</strong>spiegabile motivo anche<br />

collettiva – dei componenti il Teatro delle Ariette, si trattasse di versi, di frammenti, di prose, di lettere o<br />

racconti, si trovava ad essere puntualmente – e come per magia – arricchita d’un ritmo diverso, d’una<br />

densità partico<strong>la</strong>re. In quei testi si percepiva il calore dei corpi che li avevano scritti, <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> scritta era<br />

impastata del fiato e del<strong>la</strong> voce, <strong>la</strong> voce veniva dal corpo certo, e restituiva il corpo del<strong>la</strong> voce, ma ancora<br />

una volta senza artificio, quasi senza sforzo e, col senno di poi lo posso dire, <strong>in</strong> virtù d’una tanto<br />

<strong>in</strong>consueta quanto mirabile co<strong>in</strong>cidenza fra l’essere e il rappresentarsi, senza f<strong>in</strong>zione. Avveniva, <strong>in</strong><br />

sostanza (cioè nel<strong>la</strong> realtà immediata dei fatti) ciò che ogni artista – sia attore, pittore, scrittore e via<br />

dicendo – spera – o dovrebbe sperare – gli capiti prima o poi nel suo percorso, vale a dire il verificarsi<br />

dell’assoluta co<strong>in</strong>cidenza fra ciò che è (compresi delirio, sogno, follia) e ciò che fa (o restituisce al<br />

mondo). La tecnica – attoriale, di scrittura o altro – passa <strong>qui</strong> <strong>in</strong> secondo piano, anzi scompare, <strong>in</strong> quanto<br />

viene assorbita dal<strong>la</strong> forza e dall’autenticità del gesto umano, vitale, artistico.<br />

Anche ragionando di questo Stefano Pas<strong>qui</strong>ni e Pao<strong>la</strong> Berselli mi proposero di seguire nel tempo,<br />

accompagnandoli <strong>in</strong> tournée, due spettacoli (ma par<strong>la</strong>re di “spettacoli” quando si tratta del Teatro delle<br />

Ariette appare davvero riduttivo!) <strong>in</strong> partico<strong>la</strong>re: il già citato “Teatro da mangiare?” e “L’estate.f<strong>in</strong>e”,<br />

due vertici del<strong>la</strong> loro progettualità artistica e teatrale e, per certi versi, i due estremi di un percorso<br />

umano radicale, tanto nelle sue scelte esistenziali quanto nei suoi esiti. A Volterra prima e a<br />

Sant’Arcangelo poi – <strong>in</strong> momenti anche distanti temporalmente – il mio compito fu quello di osservare e<br />

scrivere (descrivere?) quanto accadeva, dal mio punto di vista di spettatore e poeta, durante lo<br />

svolgimento di quello che vorrei def<strong>in</strong>ire il rito. Gli esiti di quest’opera d’osservazione sono raccolti e<br />

testimoniati <strong>in</strong> due specifiche pubblicazioni a cura del Teatro delle Ariette e par<strong>la</strong>rne ora richiederebbe<br />

troppo spazio. Quello che importa dire <strong>qui</strong> <strong>in</strong>vece è che questo esperimento ha <strong>in</strong>dotto, strada facendo,<br />

Stefano Pas<strong>qui</strong>ni a decidere di <strong>in</strong>globare nell’ambito del <strong>la</strong>voro più espressamente teatrale <strong>la</strong> figura, <strong>in</strong><br />

certo senso ibrida, d’un attore-poeta che prende parte all’azione, che condivide ogni momento del rito,<br />

che come gli altri protagonisti del Teatro delle Ariette dà carne allo spirito dell’evento teatrale.<br />

Per oltre un anno abbiamo <strong>la</strong>vorato all’idea di “Bestie”, raccogliendo materiali, testi poetici, testi e<br />

frammenti di prosa, brani musicali, immag<strong>in</strong>i, vedendo film, confrontando conoscenze, proponendo e<br />

75


sviscerando impressioni, turbamenti, perplessità. Durante <strong>in</strong>contri almeno settimanali abbiamo letto<br />

visionato e studiato tutto quanto ci sembrava att<strong>in</strong>ente. Abbiamo passato serate <strong>in</strong>tere a leggerci e<br />

rileggerci reciprocamente – nel ritmo <strong>in</strong>cessante e duro del <strong>la</strong>voro e dell’amicizia – pag<strong>in</strong>e e pag<strong>in</strong>e di<br />

autori centrali per <strong>la</strong> storia del pensiero, del<strong>la</strong> letteratura e del teatro, ma anche pag<strong>in</strong>e nostre o, ancora,<br />

depliant <strong>in</strong>formativi (ad esempio su come vengono trattati gli animali negli allevamenti <strong>in</strong>dustriali o nei<br />

macelli) e testi riconosciuti come sacri da religioni diverse e anche molto distanti fra loro. Quello che<br />

accadeva ogni volta – durante questo severo e attento <strong>la</strong>voro di documentazione, riflessione e scelta –<br />

era che <strong>la</strong> poesia, nel<strong>la</strong> lettura reciproca e condivisa, attraversava i corpi, le febbri, le emozioni, <strong>la</strong><br />

sensibilità e le perplessità di ognuno di noi, accendendosi negli entusiasmi, arrochendosi nelle <strong>in</strong>evitabili<br />

stanchezze, suonando improvvisa o depositandosi nelle voci che <strong>la</strong> tentavano, nelle mani che <strong>la</strong><br />

contavano e sfogliavano sul tavolo, negli sguardi che si riflettevano fra vetri d’occhiali e bottiglie.<br />

E ancora dopo, durante settimane di prove <strong>in</strong> teatro, <strong>la</strong> poesia ha dichiarato <strong>in</strong> noi le sue istanze, i suoi<br />

sussulti, le sue abissali <strong>in</strong>genuità, le sue lum<strong>in</strong>ose <strong>in</strong>certezze, le sue ipotesi oscil<strong>la</strong>nti <strong>in</strong> riva al f<strong>in</strong>imondo,<br />

il suo respiro di diluvio, conso<strong>la</strong>ndoci talvolta, più spesso ferendoci col morso del<strong>la</strong> volpe. Strada facendo<br />

molto è stato accantonato o tra<strong>la</strong>sciato, molto è stato scelto e preferito, qualcosa è stato feticisticamente<br />

conservato <strong>in</strong>tatto, altro è stato stravolto, assorbito, metabolizzato. Poesia, testo, musica, danza, gesto,<br />

g<strong>in</strong>nastica, pronuncia si sono abbracciate e s<strong>la</strong>cciate reciprocamente più volte, contratte e distese<br />

ritmicamente, spremute, smussate o enfatizzate reciprocamente. Ogni cosa però ha <strong>la</strong>sciato traccia,<br />

nell’abisso d’una danza silenziosa l’eco del brano musicale abbandonato ha fatto bril<strong>la</strong>re <strong>la</strong> sua assenza (e<br />

m’è capitato di sentire, f<strong>in</strong>ito lo spettacolo, un ignaro spettatore canticchiare fra sé e sé,<br />

<strong>in</strong>spiegabilmente, magicamente, proprio <strong>la</strong> canzone sacrificata al<strong>la</strong> nostalgia dell’attimo!), <strong>la</strong> paro<strong>la</strong><br />

scomparsa cont<strong>in</strong>ua a risuonare da qualche parte, il gesto attenuato porta con sé <strong>la</strong> sua carica di violenza<br />

prediluviana. Il percorso è testimone di sé stesso e del<strong>la</strong> propria storia, l’aria è gravida di presenze.<br />

Nel teatro <strong>la</strong> poesia diventa compiutamente ciò che si tende troppo spesso a non considerare, vale a dire<br />

un comportamento, a più livelli: non è solo il testo cui affidare <strong>la</strong> sorte del<strong>la</strong> dimensione emozionale del<br />

pensiero o il tentativo del<strong>la</strong> lotta, non è solo il gesto del<strong>la</strong> voce che si tenta nelle d<strong>in</strong>amiche del<strong>la</strong> storia o<br />

<strong>la</strong> testimonianza e l’esercizio di stile, non è più <strong>la</strong> scelta defi<strong>la</strong>ta e solitaria o esibita e ridondante, non è<br />

più solo l’oasi e l’esilio o l’<strong>in</strong>fanzia del<strong>la</strong> specie, non è più il materiale antologicamente canonizzato. La<br />

vita si apre al<strong>la</strong> possibilità del<strong>la</strong> trasformazione, reagisce al depotenziamento museale del l<strong>in</strong>guaggio,<br />

reagisce al processo di cret<strong>in</strong>izzazione <strong>in</strong> atto da decenni <strong>in</strong> Occidente, <strong>la</strong> poesia può f<strong>in</strong>almente sem<strong>in</strong>arsi<br />

nel<strong>la</strong> l<strong>in</strong>gua p<strong>la</strong>usibile del teatro perché il teatro propone con evidenza l’esposizione dello spirito dialogico<br />

e plurale del<strong>la</strong> poesia, perché i versi non sono sentimento ma esperienza e nel teatro <strong>la</strong> poesia esce di<br />

casa, riprende a respirare senza affanno, a vivere e si <strong>la</strong>scia tirare i capelli nel gioco e quando è stanca si<br />

chiude o si addormenta come i fiori. La poesia è lo sguardo reciproco fra l’uomo e il mistero immemoriale<br />

che lo abita e agisce, <strong>in</strong> “Bestie”, ad esempio, trema e vibra nei nervi degli animali <strong>in</strong> scena … il cartell<strong>in</strong>o<br />

POETA sul tavolo dell’attore ride <strong>in</strong> faccia a chi lo legge, sottol<strong>in</strong>ea una differenza altrimenti non<br />

percepibile, preoccupa, suscita sorrisi, è il mal<strong>in</strong>teso primo, attribuisce un significato che distrae. La<br />

poesia nel teatro è il pane che si può condividere nel comportamento che detta il riconoscersi, è<br />

l’esperienza quotidiana del sacro, il teatro sembra saperlo più del<strong>la</strong> vita.<br />

Nell’evoluzione di “Bestie” (“È f<strong>in</strong>ito il tempo delle <strong>la</strong>crime”) c’è l’idea d’un accampamento nomade,<br />

un’<strong>in</strong>tenzione di circo filosofico, davanti al<strong>la</strong> roulotte “Confessati con il poeta” <strong>la</strong> gente fa <strong>la</strong> fi<strong>la</strong> per<br />

entrare – qualcuno mi chiede se sono un cartomante, rispondo se è da un cartomante che <strong>in</strong> genere ci si<br />

confessa -, contro ogni previsione, contro ogni logica, si aspettano grandi cose, rive<strong>la</strong>zioni, risposte – è<br />

questo che accade quando ci si confessa? -, il tempo del<strong>la</strong> clessidra è silenzioso, qualche volta <strong>la</strong> pioggia<br />

batte sul<strong>la</strong> <strong>la</strong>miera del tetto. Spesso mi abbracciano prima d’uscire – cos’hanno trovato? -. Fuori ci sono<br />

tigelle e sa<strong>la</strong>me, <strong>in</strong>izia lo zapateado del F<strong>la</strong>menco, il v<strong>in</strong>o bianco riflesso nello sguardo del<strong>la</strong> volpe, del<br />

teatro, del<strong>la</strong> poesia.<br />

Giancarlo Sissa<br />

76


Teatro Valdoca<br />

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QUANDO IL LABBRO MI SANGUINAVA DI LINGUAGGIO<br />

Il teatro di poesia è assai raro. Secondo me è <strong>la</strong> miglior cosa che, come spettatore e come attore, possa<br />

capitare a teatro.<br />

C’è anche un teatro di poesia per immag<strong>in</strong>i, che non usa <strong>la</strong> paro<strong>la</strong>, ma <strong>qui</strong> vorrei scantonare tutta dal<strong>la</strong><br />

parte delle parole perché su questo fronte si sta perdendo pericolosamente terreno, mentre ritengo che <strong>la</strong><br />

paro<strong>la</strong> sul<strong>la</strong> scena sia sovrana. E questa paro<strong>la</strong>, <strong>in</strong> teatro, oggi, può essere solo verticale, vertig<strong>in</strong>osa,<br />

necessaria. Poesia, <strong>in</strong>somma. (su questo si veda il testo che segue)<br />

Il teatro, come tutto l’arte del resto, sta venendo meno al suo potere esortativo, rive<strong>la</strong>tore, <strong>in</strong>cendiario:<br />

educativo, nel senso di ‘condurre fuori dall’ord<strong>in</strong>ario’, fuori anche dall’ord<strong>in</strong>arietà del<strong>la</strong> l<strong>in</strong>gua corrente.<br />

Non è più un capogiro di forze, e dunque apertura all’<strong>in</strong>atteso, ma l’esatto contrario: <strong>la</strong> realizzazione di un<br />

progetto, (che quanto più è fedele alle premesse tanto più rassicura committenti e f<strong>in</strong>anziatori ecc.).<br />

Il teatro di poesia non è solo un teatro che usa <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> poetica; diciamo che questo è condizione<br />

necessaria ma non sufficiente, e anzi tanto teatro <strong>in</strong> versi è davvero pedante, greve, didascalico, molto<br />

barboso, <strong>in</strong>somma lontano dal<strong>la</strong> forza e vitalità del<strong>la</strong> poesia. Molti versi memorabili cadono a volte sulle<br />

tavole del palcoscenico privi di vera vita, letterari, fiacchi, scritti.<br />

Il teatro di poesia ha lo stesso compito del<strong>la</strong> poesia: “distruggere <strong>la</strong> letteratura ed espandere lo spirito”.<br />

In questo compito, per <strong>la</strong> mia esperienza, nul<strong>la</strong> è più d<strong>in</strong>amitardo e fecondo del teatro e del<strong>la</strong> poesia<br />

messi <strong>in</strong>sieme e dunque del verso pronunciato <strong>in</strong> scena. Ma, come dicevo, accade raramente che <strong>la</strong> cosa<br />

funzioni, forse perché sono molto partico<strong>la</strong>ri le condizioni che portano all’accensione del<strong>la</strong> miccia. Ne<br />

segnalo solo alcune, (quelle che più si rifanno al<strong>la</strong> mia esperienza): un regista e un poeta che co<strong>in</strong>cidano<br />

nel<strong>la</strong> stessa figura o che siano stretti da un sodalizio simpatetico; un regista che formi i propri attori e li<br />

guidi al<strong>la</strong> scoperta delle loro energie profonde (prima che <strong>la</strong> tecnica, da so<strong>la</strong>, faccia un’<strong>in</strong>crosto<br />

imperforabile); un poeta disposto a rischiare <strong>la</strong> faccia <strong>in</strong> una scrittura al presente, disposto cioè ad<br />

entrare nel capogiro delle forze del<strong>la</strong> scena. Cioè un poeta che partecipi all’<strong>in</strong>tero percorso, dalle prove al<br />

debutto, e che serva dal vivo <strong>la</strong> scena.<br />

Io credo sia molto difficile dire ‘che cosa è’ il teatro di poesia, perché non stiamo par<strong>la</strong>ndo di un genere<br />

quanto piuttosto di ‘forze’, di captazione di forze, di rito, forse, e comunque di qualcosa che scavalca <strong>la</strong><br />

razionalità e <strong>in</strong>veste lo spettatore <strong>in</strong> tutto il suo essere presente: corpo, mente, <strong>in</strong>tuito, spirito, ecc.<br />

(l’eccetera <strong>in</strong> questo caso non è trascurabile, perché <strong>in</strong>tende tutto il resto di cui non sappiamo). Il<br />

risultato non è dunque <strong>in</strong>trattenimento o <strong>in</strong>segnamento o narrazione o altro. Il risultato non è qualcosa<br />

che si porta a casa ma piuttosto qualcosa che si <strong>la</strong>scia lì, che si depone, di cui ci si libera. È forse<br />

qualcosa che succede fra spettatori e attori, e a ciascuno con se stesso: un’avventura del<strong>la</strong> conoscenza,<br />

qualcosa <strong>in</strong>somma che si sve<strong>la</strong>, o che si rive<strong>la</strong>, e rive<strong>la</strong>ndosi spa<strong>la</strong>nca e rifà contatto fra <strong>la</strong> nostra visione<br />

dell’umano e del sovra umano, del temporale e dell’<strong>in</strong>temporale. Vorrei dire, come spettatrice, che<br />

quando nel teatro di poesia il rito è compiuto esattamente (cioè quando il teatro diventa di poesia),<br />

ognuno sente di farne parte, quasi di fare cuore comune, per un tempo assai breve ma decisivo, un<br />

tempo quasi sottratto al tempo.<br />

Se il rito era cerimonia che caricava i simboli, il rito del teatro di poesia carica le parole e dunque anche il<br />

silenzio <strong>in</strong> cui esse precipitano. Perché quando si dà teatro di poesia io credo che <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> torni a<br />

precipitare verticalmente, proprio come quando è stata scritta dal poeta. La paro<strong>la</strong> precipita e riguadagna<br />

<strong>la</strong> sua fragranza di nascita, quel<strong>la</strong> capacità di avvenire sempre ora.<br />

(Mi rendo conto che ciò che tento di descrivere non è altro che lo shock estetico che si prova davanti<br />

all’opera d’arte, di qualunque arte si tratti. Ma il teatro ha <strong>in</strong> più quell’essere <strong>in</strong>sieme fra vivi e questo<br />

forse lo ritualizza di più).<br />

Accanto al<strong>la</strong> figura del poeta/drammaturgo, sta quel<strong>la</strong> del regista, cioè colui che, usando <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> e tutti<br />

gli altri elementi (corpi degli attori, luci, scene, suono, ecc.) darà vita a quel<strong>la</strong> che è stata def<strong>in</strong>ita come<br />

‘scrittura scenica’. Il regista, nel caso del teatro di poesia, ha un ruolo centrale: <strong>in</strong>nanzi tutto crea una<br />

sorta di rec<strong>in</strong>to magnetico per <strong>la</strong> paro<strong>la</strong>. È il regista a far sì che anche il tempo di prova sia tempo di<br />

quel<strong>la</strong> accoglienza propria dell’arte nel suo farsi, cioè un tempo di rive<strong>la</strong>zione, se posso usare questo<br />

term<strong>in</strong>e, e non <strong>la</strong> messa <strong>in</strong> opera di un progetto.<br />

Credo che <strong>la</strong> qualità del tempo di prova sia <strong>in</strong> sostanza ciò che fa <strong>la</strong> differenza.<br />

È sempre il regista che guida ed esorta il poeta, che sceglie gli attori e li educa o rieduca alle forze del<strong>la</strong><br />

scena, e che poi vigi<strong>la</strong> sul<strong>la</strong> vivezza del testo. Come un rabdomante <strong>in</strong>somma, il regista guida tutte le<br />

figure che entrano a far parte dell’allestimento e ne fa <strong>in</strong> qualche modo corpo compatto, comunità.<br />

Io ho avuto <strong>la</strong> fortuna di <strong>la</strong>vorare con Cesare Ronconi che è il regista che prediligo e che mi ha chiamata<br />

al<strong>la</strong> paro<strong>la</strong>, che mi ha esortata a scrivere per <strong>la</strong> scena e che lo ha sempre reso possibile.<br />

78


I miei testi sono nati quasi tutti dentro le prove di Ronconi con i suoi attori e non so immag<strong>in</strong>are una<br />

scrittura a tavol<strong>in</strong>o, al di fuori di quel capogiro di forze. Penso che davanti alle sue opere sia molto<br />

appropriato par<strong>la</strong>re di teatro di poesia. Altri nomi che con certezza mi sento di fare sono quelli di Carmelo<br />

Bene, Danio Manfred<strong>in</strong>i, Enzo Moscato. Ma anche l’Alessandro Berti di Scancrer. Non ho mai visto<br />

spettacoli di Novar<strong>in</strong>a, ma il suo pensiero sul teatro mi fa aggiungere <strong>qui</strong> il suo nome.<br />

Alcune riflessioni sul<strong>la</strong> l<strong>in</strong>gua poetica come unica l<strong>in</strong>gua all’altezza del teatro.<br />

Non possiamo quasi più usare certe parole, le più necessarie, direi, quelle che riguardano l’area<br />

semantica che più ci rende umani, le parole dell’amore, del dolore, ad esempio, del<strong>la</strong> pietà o del sacro. È<br />

difficile anche pensare a tutto ciò, perché <strong>la</strong> ridicolezza a cui sono arrivate oggi certe parole, ci impedisce<br />

di accoglierle nelle nostre teste, di ragionare semplicemente con quelle. Siamo costretti ad un<br />

<strong>in</strong>tellettualismo esagerato, per evitare <strong>la</strong> banalità e per nascondere il terrore di dire il già detto.<br />

Il nemico, quello che altre volte ho chiamato <strong>la</strong> Signoria Attuale, e che ha ora <strong>in</strong>numerevoli e sfuggenti<br />

facce, il nemico, <strong>in</strong>somma, si è impossessato delle nostre parole, le ha ridicolizzate, le ha usate e le usa<br />

per vendere merci, per mentire, per accattare voti e potere, per fare <strong>la</strong> guerra, per impoverire, per<br />

<strong>in</strong>gannare.<br />

A me <strong>la</strong> bellezza degli uom<strong>in</strong>i è arrivata soprattutto attraverso delle parole. Quasi ogni giorno sono stata<br />

cresciuta, guidata, <strong>in</strong>coraggiata, sono stata abbellita da delle parole. Dalle parole di alcuni, che poi ho<br />

riconosciuto come maestri, a volte miei compagni, a volte più vecchi di me, spesso vissuti <strong>in</strong> altri secoli,<br />

ma tutti con <strong>la</strong> straord<strong>in</strong>aria proprietà di essere sempre miei coetanei, “coetanei che mi hanno<br />

preceduta”.<br />

La mia qualità sottile, se così posso chiamar<strong>la</strong>, si è raff<strong>in</strong>ata e vitalizzata nell’ascolto delle parole dei<br />

maestri. E potrei al<strong>la</strong>rgare il discorso a tutta <strong>la</strong> letteratura sacra del mondo, cioè alle presunte parole<br />

degli Dei.<br />

Insomma, io credo che <strong>la</strong> battaglia che tocca a questo tempo e a questo pezzo di mondo, a chi vuole<br />

avere cura del<strong>la</strong> bellezza, sia da fare sul fronte del<strong>la</strong> l<strong>in</strong>gua, e <strong>in</strong>tendo proprio <strong>la</strong> l<strong>in</strong>gua par<strong>la</strong>ta e scritta,<br />

cioè le parole. E chi non crede al<strong>la</strong> forza delle parole dovrebbe forse smettere di leggere e scrivere e forse<br />

anche di par<strong>la</strong>re.<br />

Quel<strong>la</strong> del teatro è sempre stata un’arte dotata di paro<strong>la</strong>, cioè un’arte che ha <strong>la</strong> possibilità di tenere <strong>la</strong><br />

paro<strong>la</strong> al proprio centro. Il teatro è sempre stato un luogo di consegna di parole, <strong>in</strong>castonate dentro tutta<br />

<strong>la</strong> scrittura scenica, certo, e capaci, con quel<strong>la</strong>, di arrivare al capogiro, di condurre nei pressi di una<br />

rive<strong>la</strong>zione.<br />

Io credo sia di una necessità estrema sperico<strong>la</strong>rsi <strong>in</strong> questa rifondazione del<strong>la</strong> l<strong>in</strong>gua anche attraverso il<br />

teatro, rischiare l’osso del collo, cioè <strong>la</strong> propria cara reputazione, <strong>in</strong> questo tentativo di consegna di parole<br />

salutari, che diano una salute immediata, una immediata aggiunta di più vita. E non potrà essere, quel<strong>la</strong><br />

del teatro, una l<strong>in</strong>gua prosaica.<br />

Penso che <strong>la</strong> poesia sia l’unica l<strong>in</strong>gua all’altezza del teatro. Non il poetico. Non <strong>la</strong> poesia piegata e limata<br />

per <strong>la</strong> narrazione (che spesso è stata <strong>la</strong> solfa più lontana dal<strong>la</strong> vivezza del teatro). Non il verso cólto e<br />

<strong>in</strong>timidatorio e irraggiungibile (altra solfa). Intendo proprio <strong>la</strong> precipitazione poetica nel<strong>la</strong> sua dettatura<br />

urgente, libera dal servire un progetto con trame e personaggi, e <strong>in</strong>fluenzata e impastata da e con tutti<br />

gli altri elementi del<strong>la</strong> scrittura scenica.<br />

Penso che <strong>la</strong> poesia sia l’unica l<strong>in</strong>gua all’altezza del teatro per vari motivi:<br />

1/ se il nemico si è impossessato delle nostre parole, lo ha fatto nei modi del<strong>la</strong> l<strong>in</strong>gua par<strong>la</strong>ta e del<strong>la</strong><br />

prosa. Bisognerà allora saltare di <strong>la</strong>to e riprendere <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> condensata e verticale del<strong>la</strong> poesia che è<br />

ancora terra senza menzogna.<br />

2/ nel<strong>la</strong> scrittura poetica l’io è <strong>in</strong> qualche modo abolito. La sua condizione di l<strong>in</strong>gua ispirata ci fa supporre<br />

che lo spirito, il soffio, arrivi attraverso di lei al l<strong>in</strong>guaggio. Perché ciò avvenga occorre dunque una<br />

dimissione, dentro <strong>la</strong> l<strong>in</strong>gua, dell’io che <strong>la</strong> scrive. Questa abolizione dell’io, o questa strana condizione di<br />

un io che c’è ma deve sottrarsi, <strong>la</strong> rende <strong>in</strong> perfetta s<strong>in</strong>tonia col teatro, o forse col mio modo di pensare il<br />

teatro. Mi sembra che l’attore abbia lo stesso problema di chi scrive, mi sembra che si dia grande teatro lì<br />

dove l’attore riesce a dimettersi da “io”. E anche il regista. Ed anche lo spettatore, il quale riuscirà a<br />

commuoversi o ad avvertire i s<strong>in</strong>tomi di una rive<strong>la</strong>zione che lo riguarda, solo se saprà andare al di sotto<br />

di “io”, lì dove qualcosa è ancora <strong>in</strong>dist<strong>in</strong>to e somigliante a tutto, lì dove il nome di chiunque è identico al<br />

mio, “prima di essere chiamato ”.<br />

3/ <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> poetica è dotata di ” risonanza ”, cioè rimanda ad altra grandezza, chiama <strong>in</strong> causa ciò che<br />

79


non si consuma, ciò che non appartiene solo allo spazio e al tempo. La poesia è, come dice Petrarca,<br />

sempre sacra scrittura. La rive<strong>la</strong>zione è <strong>in</strong> qualche modo sua provenienza e sua meta, e dunque il teatro<br />

e il rito del teatro sembrano essere il perfetto luogo <strong>in</strong> cui ciò può accadere.<br />

4/ <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> poetica non par<strong>la</strong> solo al<strong>la</strong> ragione, ma nel suo essere melodia e ritmo e pausa e<br />

cortocircuito, par<strong>la</strong> a qualcosa che non è solo l’<strong>in</strong>telligenza, che sta fuori dal pensare, tocca parti molli<br />

profonde e <strong>in</strong>crosti duri, par<strong>la</strong> ai viscere, agli <strong>in</strong>test<strong>in</strong>i, al cuore. Questo avviene soprattutto nell’oralità,<br />

cioè quando <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> poetica viene pronunciata, <strong>in</strong>carnata, battuta ritmicamente da una voce, respirata<br />

da un corpo presente e vivo. Anche il teatro si rivolge a queste parti non ragionanti, anch’esso nel<strong>la</strong> sua<br />

forma migliore tocca <strong>in</strong> profondità, non si rivolge solo al<strong>la</strong> nostra comprensione razionale.<br />

Se credo che le parole, ora, ci siano più che mai necessarie, credo anche si debba dire basta con i<br />

c<strong>la</strong>ssici, basta con i maestri.<br />

Smettiamo di stare aggrappati a loro come orfani a padri presunti. I maestri debbono essere dentro di noi<br />

digeriti, trasformati <strong>in</strong> poltiglia e <strong>in</strong> nuova energia. Se <strong>la</strong> loro lezione non fa nascere <strong>la</strong> nostra, resteremo<br />

per sempre allievi, e ai nostri allievi non consegneremo altro che parole di morti. Ora tocca a noi.<br />

Il presente ci sta riducendo al silenzio. Per questo citiamo e citiamo, per questo rifacciamo i c<strong>la</strong>ssici come<br />

se quello fosse il teatro vero. Si è come <strong>in</strong>ceppato il meccanismo pensante: pare non ci siano più menti <strong>in</strong><br />

grado di leggere il presente e dare ad esso espressione.<br />

La forza di questa fortezza d<strong>in</strong>amitarda che è il teatro, una delle sue d<strong>in</strong>amiche profonde, sta anche nel<strong>la</strong><br />

capacità di fare da specchio al fondo magmatico di chi lo guarda ora: ciò sarà fatto meglio con <strong>la</strong> l<strong>in</strong>gua di<br />

ora.<br />

I c<strong>la</strong>ssici e <strong>la</strong> loro lezione meravigliosa, servono come <strong>in</strong>dicatori d’altezza: <strong>la</strong> meta a cui tendere è quel<strong>la</strong>,<br />

quel<strong>la</strong> passione, quel<strong>la</strong> sapienza, è quel<strong>la</strong> qualità, quel<strong>la</strong> libertà, quel<strong>la</strong> maestria. Servono a farci<br />

coraggio, a dirci che è possibile ora, anche per noi, è possibile avere quel<strong>la</strong> loro <strong>in</strong>tensità, quel<strong>la</strong> loro<br />

chiaroveggenza. È possibile vivere il presente con l’<strong>in</strong>tensità con cui loro hanno vissuto il loro.<br />

Noi dobbiamo diventare loro, essere loro. È anche per devozione ai miei maestri, per onorarli, che ho<br />

tentato e tento di pronunciare, di balbettare una mia paro<strong>la</strong>. Di scriver<strong>la</strong> sul<strong>la</strong> scena. Ho desiderato<br />

moltissimo dire anch’io, al mio tempo, a quelli vivi con me ora, dire parole così vitalizzanti e dunque mi<br />

sono messa ad attenderle, quelle parole.<br />

Ho avuto il desiderio e l’ambizione di essere io, anche io a pronunciarle. Ma non era solo desiderio ed<br />

ambizione, era ed è anche quel<strong>la</strong> che posso chiamare <strong>la</strong> mia legge, il mio essere fatta così, cioè <strong>la</strong> mia<br />

tensione tipica, somatica, a voler essere anch’io parte del<strong>la</strong> bellezza del mondo. Tutto ciò è per fortuna<br />

accaduto dentro il teatro, cioè <strong>in</strong>sieme ad altri compagni molto amati e molto stimati, primo fra tutti il<br />

mio regista che di certo ha avuto un ruolo maieutico nel<strong>la</strong> nascita del<strong>la</strong> mia scrittura. Tutto ciò è nato<br />

all’<strong>in</strong>terno di una tribù che ha amato <strong>in</strong> anticipo le mie parole e le ha attese con una certezza dettata<br />

forse dal<strong>la</strong> necessità e urgenza. Tutto quello che ho scritto per Cesare e per le attrici e attori del<strong>la</strong><br />

Valdoca, non sarebbe forse mai nato senza questa nicchia o cul<strong>la</strong>, senza questo lembo di terra feconda al<br />

riparo dalle tempeste furibonde del presente.<br />

Ma appena si com<strong>in</strong>cia a scrivere si è dentro <strong>la</strong> scrittura, sullo stesso piano di tutti gli altri che nei millenni<br />

lo hanno fatto. Quando si com<strong>in</strong>cia a scrivere si sa, si sente, che ‘<strong>la</strong> carta è stanca’ e che non si può<br />

ripetere <strong>in</strong> peggio ciò che è già stato detto da altri meravigliosamente. Ma non si può neppure cont<strong>in</strong>uare<br />

a tacere. Fra questi due “ non ” sta anche l’accettazione a priori di un fallimento quasi certo. In questo si<br />

r<strong>in</strong>nova lo spirito tragico di chi si batteva contro un nemico sicuramente più forte.<br />

Mariange<strong>la</strong> Gualtieri<br />

Teatro Valdoca<br />

80


POSSIBILITÀ È UNA PAROLA PLURALE<br />

RIFLESSIONI SUL TEATRO DI POESIA INTORNO AL LAVORO DEL TEATRO VALDOCA.<br />

La poesia, o meglio: molta del<strong>la</strong> poesia scritta da Mariange<strong>la</strong> Gualtieri è <strong>in</strong>sc<strong>in</strong>dibile, come l’autrice stessa<br />

ha fatto notare, dal suo legame con il teatro, <strong>in</strong>teso come l’appropriato contesto e modo <strong>in</strong> cui quel<strong>la</strong><br />

poesia possa essere pronunciata. Non che con questo si pensi che quel<strong>la</strong> stessa poesia, letta unicamente<br />

“sul<strong>la</strong> carta” non regga, non sia autonoma, tutt’altro; è possibile leggere e amare certi poemetti senza<br />

aver partecipato del<strong>la</strong> loro “messa <strong>in</strong> scena” (term<strong>in</strong>e forse <strong>in</strong>adeguato per questo genere di opere). In<br />

che senso allora questa unità? Questa unità <strong>la</strong> si può capire solo dopo aver preso parte a uno spettacolo<br />

del<strong>la</strong> Valdoca. Non si tratta so<strong>la</strong>mente del fatto che certi testi siano stati scritti appositamente per certi<br />

attori (e dunque voci, corpi, storie partico<strong>la</strong>ri e uniche), come ad esempio il “Monologo del non so”<br />

all’<strong>in</strong>terno di Parsifal, <strong>in</strong>carnato da Danio Manfred<strong>in</strong>i. Non si tratta solo di un’orig<strong>in</strong>e comune, dettata dal<strong>la</strong><br />

presenza di certi esseri umani <strong>in</strong>vece che di altri. Certo, questo è <strong>in</strong>fluente, e probabilmente non<br />

avremmo mai avuto “Chioma” per come <strong>la</strong> conosciamo, se non ci fosse stata l’occasione terrestre<br />

dell’<strong>in</strong>contro tra Gabriel<strong>la</strong> Rusticali, Cesare Ronconi e Mariange<strong>la</strong> Gualtieri. Il legame però è molto più<br />

profondo, e credo che possa essere percepibile e riscontrabile più fortemente <strong>in</strong> ciò che crea, che realizza,<br />

che permette, nel momento <strong>in</strong> cui ha <strong>in</strong>izio lo spettacolo e le persone sono sedute <strong>in</strong> sa<strong>la</strong>. Tutto si gonfia<br />

di un silenzio profondissimo, denso, <strong>in</strong>tenso, e si spa<strong>la</strong>nca lo spazio al<strong>la</strong> meraviglia; una meraviglia che<br />

non riguarda so<strong>la</strong>mente <strong>la</strong> testa, <strong>la</strong> comprensione di ciò che accade, <strong>la</strong> vic<strong>in</strong>anza o meno ai versi che<br />

vengono pronunciati. Stiamo – tutti: attori, regista, drammaturga, pubblico – dentro un unico evento,<br />

sul<strong>la</strong> soglia di una grande possibilità. La visionarietà e <strong>la</strong> poetica del teatro Valdoca portano sì i segni<br />

chiari del<strong>la</strong> scrittura del<strong>la</strong> Gualtieri, ma sono tutte profondamente pervase di un mistero, di un’evocazione<br />

che è data anche e <strong>in</strong> medesima parte dalle azioni, dal sudore dei corpi, dalle voci, dal<strong>la</strong> visione<br />

complessiva di ciò che accade. È per questo che non è solo il fatto che il teatro sia stato per <strong>la</strong> Gualtieri<br />

l’occasione per comporre <strong>la</strong> maggior parte dei suoi <strong>la</strong>vori, ma è proprio <strong>la</strong> riuscita corale del<strong>la</strong> sua<br />

scrittura a essere testimone e testimonianza del<strong>la</strong> potenza che certi versi possono avere. Penso sia stato<br />

il lento emergere di questa consapevolezza, di questa presa di coscienza (che è venuta <strong>in</strong> me a gal<strong>la</strong> da<br />

so<strong>la</strong> e senza alcuna volizione o analisi partico<strong>la</strong>re) a pormi tra quelli che ritengono che il teatro di poesia<br />

sia una delle più profonde e anche salubri voci del<strong>la</strong> contemporaneità. Sebbene <strong>in</strong> Italia siano pochissimi<br />

a praticare questo genere di arte, tanto che occorrerebbe forse un pensiero e uno spazio appositi per<br />

comprenderlo meglio.<br />

Man mano che mi appassionavo al teatro, che scoprivo autori e spettacoli, che conoscevo spazi e<br />

l<strong>in</strong>guaggi, si faceva sempre più forte <strong>in</strong> me un orientamento quasi naturale, che mi portava e mi porta a<br />

cercare i <strong>la</strong>vori che più mi riguardano. Mi riguardano naturalmente <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i di sensibilità, di vic<strong>in</strong>anza,<br />

di scambio umano… non sono certo <strong>la</strong> prima o <strong>la</strong> so<strong>la</strong> a sostenere che sono le opere d’arte che si mettono<br />

<strong>in</strong> camm<strong>in</strong>o verso di noi e non il contrario. E <strong>in</strong> questi anni me ne sono venute <strong>in</strong>contro molte, alcune<br />

delle quali mi hanno appunto mostrato come le più grandi sommosse e rivoluzioni venissero proprio da<br />

questo connubio tra uno spazio, dei corpi e <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> poetica. Non si tratta di performances, di read<strong>in</strong>g o<br />

di esperimenti <strong>in</strong> cui <strong>la</strong> poesia si <strong>in</strong>castra come sottotesto o <strong>in</strong> cui altre arti entrano come appoggi (<strong>la</strong><br />

musica, <strong>la</strong> videoarte, l’<strong>in</strong>stal<strong>la</strong>zione, <strong>la</strong> danza ecc). Sto par<strong>la</strong>ndo dell’e<strong>qui</strong>librio perfetto e delicatissimo <strong>in</strong><br />

cui il corpo e <strong>la</strong> voce raccolti <strong>in</strong> uno spazio danno ancora e di nuovo spazio a una paro<strong>la</strong> ulteriormente<br />

spa<strong>la</strong>ncante, <strong>in</strong> un vortice profondissimo e quasi destabilizzante.<br />

Nessuna storia davvero raccontata, nessuna logica apparente, eppure il senso di un dest<strong>in</strong>o che si<br />

compie, <strong>la</strong> misteriosa comunione di un gruppo di persone, che <strong>la</strong>scia supporre o presagire <strong>la</strong> o le<br />

possibilità di una diversa modalità di vita, <strong>in</strong> cui <strong>la</strong> natura e <strong>la</strong> società non sono due cose diverse o<br />

oggettive (differenziazione che ha portato <strong>la</strong> nostra civiltà al disastro attuale), ma una sorgente comune<br />

<strong>in</strong> cui gioia e dolore e ogni altro accadimento si manifestano senza forzature.<br />

Questo è possibile, nel teatro di poesia, nel momento <strong>in</strong> cui non solo vi sia un poeta ad occuparsi del<strong>la</strong><br />

drammaturgia, ma quando <strong>la</strong> coesione e <strong>la</strong> poesia si manifestano <strong>in</strong> ogni aspetto del<strong>la</strong> creazione: dunque<br />

anche al regista e agli attori sono richiesti un ascolto assoluto e una capacità di accogliere quel<strong>la</strong> poesia<br />

di paro<strong>la</strong>, ritraducendo<strong>la</strong> <strong>in</strong> una poesia del gesto e anche pers<strong>in</strong>o dello sguardo (che diventa <strong>qui</strong> un<br />

effettivo e pieno sentire, contraddicendo McLuhan).<br />

Ovviamente è difficile trovare spettacoli <strong>in</strong> grado di reggere <strong>la</strong> fatica del peso di tale e<strong>qui</strong>librio, <strong>in</strong> cui il<br />

primo e<strong>qui</strong>librio necessario pare essere quello tra gli esseri umani che vanno a fare parte di un progetto,<br />

e che lo compongono con <strong>la</strong> loro personale visione del mondo, col loro modo di stare al mondo e di<br />

concepire l’arte. Forse è per questa ragione che non è facile trovare spettacoli orientati <strong>in</strong> questa<br />

direzione che non siano forzati, volenterosi, pedanti. Credo però che sia una ricerca che valga <strong>la</strong> pena di<br />

essere tentata, <strong>in</strong>nanzi tutto per permettere questo <strong>la</strong>voro corale (che è qualcosa che, quando avviene,<br />

può portare solo del bene), ma anche per poter porgere a un pubblico ormai sempre più esiguo e<br />

violentato e anestetizzato da <strong>in</strong>trattenimenti di ogni tipo, una riflessione, un ripensamento profondo.<br />

Questo compito, da sempre assegnato a filosofi e poeti, potrebbe trovare nuove vie, <strong>in</strong> qualcosa che oltre<br />

ad essere pensiero e paro<strong>la</strong> sia anche prassi, pratica, f<strong>in</strong>o a divenire (ritornare) rito. È più difficile<br />

scriverne, così, a freddo, cercando di spiegare, di raccontare cosa accade, che prenderne parte e vivere<br />

questo tipo di esperienza. Penso ad esempio all’ultimo <strong>la</strong>voro del<strong>la</strong> Valdoca, <strong>la</strong> trilogia di cui ho già avuto<br />

81


occasione di par<strong>la</strong>re (www.daemonmagaz<strong>in</strong>e.it), a quanto il pubblico ne sia rimasto colpito e <strong>in</strong> quante<br />

poche occasioni abbia avuto modo di assistervi. Certamente il discorso sul mondo teatrale <strong>in</strong> generale,<br />

che è fatto di tante cose come ogni <strong>in</strong>dustria, va dist<strong>in</strong>to da una riflessione puramente poetica sul <strong>la</strong>voro<br />

di certi gruppi (sto riflettendo <strong>qui</strong> <strong>in</strong> partico<strong>la</strong>re sul<strong>la</strong> Valdoca, perché è l’esempio più cont<strong>in</strong>uativo nel<br />

tempo di questo tipo di ricerca); eppure non si può non considerare anche l’aspetto di possibilità di<br />

esistenza di certe realtà. Esattamente come accade per i poeti, al<strong>la</strong> mercè dell’<strong>in</strong>tricato mondo editoriale,<br />

anche gli artisti teatrali sono legati alle d<strong>in</strong>amiche complesse del<strong>la</strong> promozione, del market<strong>in</strong>g, del<strong>la</strong><br />

vendita… e <strong>in</strong> modo ancora più forte, poiché l’allestimento di uno spettacolo è sicuramente più<br />

impegnativo, <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i di costi materiali e persone co<strong>in</strong>volte, che <strong>la</strong> creazione di un libro. Ed è per questo<br />

che è così difficile seguire il proprio percorso di ricerca, riuscendo a sopravvivere senza ammiccare a ciò<br />

che pare essere richiesto da un mercato poco coraggioso. Lo spiraglio di speranza è che il mercato non<br />

co<strong>in</strong>cide col pubblico, che anzi spesso riesce a stupire nel<strong>la</strong> sua capacità di accogliere e comprendere i<br />

<strong>la</strong>vori più onesti e densi (ma anche più legati all’osare). Mi auguro che questo possa essere un auspicio e<br />

un <strong>in</strong>vito: che si cont<strong>in</strong>ui a pensare, a tentare <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> più autentica, che si cont<strong>in</strong>ui a <strong>la</strong>vorare cercando<br />

nuove possibilità di assemblea, senza che questo sia rimesso a una forma di resistenza e sacrificio<br />

strettamente personali.<br />

Azzurra D’Agost<strong>in</strong>o<br />

82


Lenz Rifrazioni<br />

83


IL TEATRO È POESIA – O NON È<br />

Perché il bello è niente.<br />

Dal<strong>la</strong> Prima, dal<strong>la</strong> Quarta, dall’Ottava. Parti di queste elegie du<strong>in</strong>esi formano il canto unico di questa<br />

messa <strong>in</strong> scena del<strong>la</strong> paro<strong>la</strong> estatica. L’angelo tremendo poiché estraneo al<strong>la</strong> natura umana - così<br />

distante dall’angelo cristiano – del<strong>la</strong> prima elegia segna <strong>la</strong> diversità del<strong>la</strong> condizione umana. È coscienza<br />

totale, non partecipa allo spegnersi del<strong>la</strong> vita, non muore. È energia pura, moto perpetuo, <strong>la</strong> sua<br />

metamorfosi dal visibile al non visibile è già compiuta.<br />

La condizione dell’attore può <strong>la</strong>mbire quel<strong>la</strong> dell’Angelo.<br />

Il pensiero del<strong>la</strong> Quarta è l’impossibilità di darci per <strong>in</strong>tero all’Altro – o cosa o persona – nell’assoluto<br />

conoscere, amare, fare. La coscienza nemica ce lo impedisce e restiamo come spettatori di fronte allo<br />

spettacolo del nostro cuore. Spettacolo triste, falso, vigliacco. Il poeta preferisce, allora, <strong>la</strong> Marionetta<br />

che, rimasta so<strong>la</strong>, attende l’Angelo che ne muoverà i fili. Il Marionetten-Theater di Kleist ancora abita <strong>in</strong><br />

noi, come il Pr<strong>in</strong>z von Homburg, come il Guiskard, come <strong>la</strong> Kätchen von Heilbronn, come <strong>la</strong> Mar<strong>qui</strong>se von<br />

O …, così come aveva abitato <strong>in</strong> Rilke: “In Kleist divampa un cuore <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito, splendente e allo stesso<br />

tempo quasi soffocato dal<strong>la</strong> tempesta del<strong>la</strong> sua vita”.<br />

La condizione dell’attore – via dal<strong>la</strong> coscienza – può sedere a <strong>la</strong>to dell’<strong>in</strong>animato.<br />

Le bestie – dell’ottava - sono, rispetto al<strong>la</strong> coscienza umana, all’altro <strong>la</strong>to del luogo angelico. Non sanno<br />

del<strong>la</strong> morte, non percepiscono alcun conf<strong>in</strong>e, di fronte hanno solo Dio e vanno <strong>in</strong> eterno come scorrono i<br />

fiumi.<br />

La condizione dell’attore – via dal<strong>la</strong> percezione del futuro – può avvic<strong>in</strong>arci a quel<strong>la</strong> del bamb<strong>in</strong>o per il<br />

quale l’accadere è puro e a quel<strong>la</strong> del<strong>la</strong> nobile bestia che nessun segno può delimitare.<br />

FALSO MOVIMENTO.<br />

È dall’<strong>in</strong>izio che abbiamo praticato quell’atto dell’avanzare nell’ost<strong>in</strong>azione visionaria di cui par<strong>la</strong> Luciana<br />

Rogoz<strong>in</strong>ki a proposito de “Cop<strong>la</strong>s a lo div<strong>in</strong>o” di Juan de <strong>la</strong> Cruz. Quel balbettante salire verso l’alto – “…<br />

Venisse,/ venisse un uomo, /venisse un uomo al mondo, oggi, con /<strong>la</strong> barba di luce dei patriarchi:<br />

dovrebbe, /se di questo tempo /par<strong>la</strong>sse, do-/vrebbe /solo balbettare e balbettare, /cont<strong>in</strong>ua-, cont<strong>in</strong>ua-<br />

/mentete. . . nur <strong>la</strong>llen und <strong>la</strong>llen, /immer-, immer-/zuzu.” (già ci era al fianco Ce<strong>la</strong>n al tempo del<strong>la</strong><br />

“Morte di Empedocle” nel 1990) – verso quell’aspra con<strong>qui</strong>sta che solo “en escuro” può raggiungere, nel<strong>la</strong><br />

furia del<strong>la</strong> conoscenza, <strong>la</strong> preda. Del suo <strong>in</strong>tervento ho apprezzato <strong>in</strong> partico<strong>la</strong>re l’enunciazione dell’attesa<br />

– etica ed estetica – del<strong>la</strong> prossima arte nuova: il suo primo desiderio: Fioritura <strong>in</strong> nome di Nessuno e, il<br />

secondo desiderio: Attitud<strong>in</strong>e (o avvento?) del fulm<strong>in</strong>e Nero. Immediatamente mi è apparsa l’immag<strong>in</strong>e di<br />

due orizzonti da cui salivano due albe, l’alba di Nessuno – “… Un Niente /eravamo, siamo, /restiamo, <strong>in</strong><br />

fiore: /<strong>la</strong> rosa del Niente, di /Nessuno.” – e l’alba del fulm<strong>in</strong>e Nero, l’esperienza pratica del<strong>la</strong> luce che<br />

viene dal buio, dal di dentro, sí come uno iato che divide i contrari ma anche come <strong>la</strong> cesura che sta tra<br />

<strong>la</strong> vita e <strong>la</strong> morte.<br />

DALL’ HYPERION DI HÖLDERLIN (trad.F.Pititto)<br />

Se anche mi trasformassi <strong>in</strong> pianta,<br />

sarebbe il danno così grande? Io sarò.<br />

Sarò; non <strong>in</strong>dago su cosa diventerò.<br />

Essere, vivere è sufficiente. È l’onore degli dèi.<br />

Le nature vivono l’una con l’altra, come amanti.<br />

Le stelle hanno scelto <strong>la</strong> durata, non conoscono vecchiaia.<br />

Alza gli occhi verso il mondo!<br />

Ma ora devo tacere. Potessi io vederti nel<strong>la</strong> tua futura bellezza!<br />

-<br />

Difenderci dal<strong>la</strong> mosche sarà <strong>la</strong> nostra futura occupazione.<br />

Rosicchiare le cose del mondo, come bamb<strong>in</strong>i.<br />

Invecchiare tra i vecchi è <strong>la</strong> cosa peggiore.<br />

Partono dal cuore e tornano al cuore, le vene.<br />

Forse l’esperienza primaria del<strong>la</strong> paura dovrebbe ritornare all’uomo, all’attore parafulm<strong>in</strong>e, all’eroe<br />

mancante nell’epoca dei superuom<strong>in</strong>i virtuali.<br />

L’uomo dovrebbe ritornare ad essere uguale a zero e, come scrive Hölderl<strong>in</strong>, nell’<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ita debolezza<br />

trovare <strong>la</strong> sua massima potenza.<br />

Se è nel<strong>la</strong> decomposizione/trasformazione/trasfigurazione che l’opera d’arte percorre un vero camm<strong>in</strong>o di<br />

luce e conoscenza, chi meglio dell’uomo, e <strong>qui</strong>ndi del<strong>la</strong> forma artistica che non può presc<strong>in</strong>dere dal<strong>la</strong> sua<br />

84


presenza – il teatro -, può riaffermare il primato dell’essere sull’apparire? Certo non tutto il teatro ma il<br />

teatro del falso movimento.<br />

La nostra esperienza artistica ci ha disegnato una mappa che è fatta di tanti percorsi scuri e oscuri ma<br />

dove abbiamo <strong>in</strong>contrato <strong>la</strong> vera bellezza lì c’era l’impronta di un passo <strong>in</strong>certo, c<strong>la</strong>udicante, <strong>in</strong>sicuro. Un<br />

balbettío. Fosse una “Veduta” scritta nel<strong>la</strong> notte scura di Hölderl<strong>in</strong> o un “carne, dura marcia carne –“ di<br />

una lum<strong>in</strong>osa attrice sensibile.<br />

CONTEMPORANEITA’.<br />

Certo con i c<strong>la</strong>ssici non si <strong>in</strong>ventano nuove trame, <strong>in</strong>trecci, sviluppi, plot e così via ma quale storia non è<br />

già stata scritta? E quale opera c<strong>la</strong>ssica non necessita di essere tradotta <strong>in</strong> nuova poesia? E, <strong>in</strong> primo<br />

luogo, è il teatro che abbisogna di testi che, antichi o moderni o contemporanei, possano di nuovo ridargli<br />

senso <strong>in</strong> un mondo <strong>in</strong> cui <strong>la</strong> complessità è forse più decifrabile con una lirica hölderl<strong>in</strong>iana che attraverso<br />

un coup de théatre.<br />

NOTE PER UNA MISE EN PAROLE DELLA PAROLA. RILKE_BACCHINI.<br />

Con <strong>la</strong> l<strong>in</strong>gua di Orfeo Rilke va “là dietro” dove “tutto torna <strong>in</strong> ord<strong>in</strong>e”. Anche <strong>la</strong> tarda poesia rilkiana è<br />

arte astratta. Perché è evidente, una paro<strong>la</strong> che voglia essere <strong>la</strong> voce stessa delle cose, entrare nei loro<br />

solchi per estrarne il rumore primordiale, non può usare le vie usate del significato. Partecipe del<strong>la</strong> natura<br />

di Dioniso, Orfeo par<strong>la</strong> un l<strong>in</strong>guaggio oscuro; non canta soprapponendo al reale forme puramente<br />

apoll<strong>in</strong>ee. Dopo aver creato lo spazio dell’ascolto, traduce <strong>in</strong> poesia umana <strong>la</strong> voce delle cose che là ha<br />

risuonato. Il l<strong>in</strong>guaggio dei Sonetti è arte astratta non perché trasponga e riproduca il disgregarsi delle<br />

forme del<strong>la</strong> realtà contemporanea, ma perché scende a profondità dell’essere dove le voci sono limpide e<br />

oscure al contempo. (dall’<strong>in</strong>troduzione a “Poesie”, edizione E<strong>in</strong>audi-Gallimard)<br />

Anche <strong>la</strong> poesia di Bacch<strong>in</strong>i va talvolta “là dietro” dove “tutto torna <strong>in</strong> ord<strong>in</strong>e”, dietro lo specchio<br />

dell’illusione ad “ascoltare” <strong>la</strong> verità vera, l’unica realtà. L’occhio del poeta sente, l’orecchio vede nel<br />

luogo del pensiero <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito e del<strong>la</strong> conoscenza “ – e <strong>la</strong> vita che si cerca/è solo <strong>la</strong> musica/I grandi cori<br />

s<strong>in</strong>fonici, e il risalire di un viol<strong>in</strong>o/e <strong>la</strong> memoria senza f<strong>in</strong>e antica dei suoni.” Solo <strong>la</strong> musica, nemmeno <strong>la</strong><br />

“parafrasi del<strong>la</strong> musica” del<strong>la</strong> pittura di Paul Klee, può dimostrare l’unità del terribile e del bello <strong>in</strong> un<br />

unico volto div<strong>in</strong>o. … - Ra<strong>in</strong>er Maria Rilke e Pier Luigi Bacch<strong>in</strong>i, frammenti di opere allo specchio <strong>in</strong> una<br />

mise en parole dentro il corpo dell’attrice che si fa figura, geometria, costel<strong>la</strong>zione, albero e fiore, gusto e<br />

profumo, eco e segno di un’unica passione poetica ed estetica del<strong>la</strong> vita e del<strong>la</strong> morte. Mito e Natura,<br />

entrambi al<strong>la</strong> ricerca costante del cont<strong>in</strong>uo mutare del reale, il movimento circo<strong>la</strong>re degli esseri viventi, <strong>la</strong><br />

“selva oscura” che circonda <strong>la</strong> conoscenza degli uom<strong>in</strong>i. I due poeti, “contemporanei a loro stessi”,<br />

entrano nel “doppio regno” del<strong>la</strong> vita e del<strong>la</strong> morte <strong>in</strong> un flusso dionisiaco di creazione poetica che tutto<br />

comprende e tutto avvolge, compresi i due cantori: “– oggi arderai/senza paura, arderai, divampando il<br />

passato.”<br />

PIER LUIGI BACCHINI.<br />

"Nel corso di questi undici anni, ho tradotto <strong>in</strong> diversi “moti” di rappresentazione scenica, le opere di Pier<br />

Luigi Bacch<strong>in</strong>i. Ho praticato differenti “moti” di creazione sonora e corporea dei versi bacch<strong>in</strong>iani: per<br />

attrice e autore, per quartetto d’attrici con autore, per musicista attore e autore. Ciascuna “mise en<br />

parole” ha stabilito con il luogo dell’accadimento una re<strong>la</strong>zione di dissolvenza <strong>in</strong>crociata tra i corpi, le voci,<br />

i suoni e il paesaggio poetico.<br />

Ho proposto a Bacch<strong>in</strong>i <strong>la</strong> def<strong>in</strong>izione di un testo scenico che non comprendesse soltanto <strong>la</strong> sua scrittura<br />

ma anche frammenti poetici di alcuni autori a lui cari. Yeats, Elliot, Benn, Pound e Pascoli. Il senso del<br />

valore e del<strong>la</strong> musicalità del<strong>la</strong> paro<strong>la</strong> <strong>in</strong> Yeats, <strong>la</strong> poesia aristocratica ed evocativa di Eliot, <strong>la</strong> srego<strong>la</strong>tezza<br />

e <strong>la</strong> precisione di Pound, l’immobilismo di Benn, <strong>la</strong> sperimentazione poetica di Pascoli e le <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ite<br />

germ<strong>in</strong>azioni e fioriture di Bacch<strong>in</strong>i, contribuiscono a comporre <strong>la</strong> drammaturgia di questi Haiku<br />

sull’acqua. Ho immag<strong>in</strong>ato un concerto di voci sull’acqua e il poeta a scandire il tempo con gli aiku, al<br />

crepuscolo quando il sole partecipa all’evento. La poesia di Bacch<strong>in</strong>i è talmente compenetrata nell’essenza<br />

del nostro teatro poetico da diventarne <strong>la</strong> più pura espressione. Nei suoi versi <strong>la</strong> natura e <strong>la</strong> scienza<br />

sorgono, muoiono e risorgono, gli dèi sono presenti nelle più piccole molecole umane e i teatri sono<br />

paesaggi viventi <strong>in</strong> cui si alternano nascite, morti e proiezioni div<strong>in</strong>e."<br />

“Un tempo il poeta era là per nom<strong>in</strong>are le cose: come per <strong>la</strong> prima volta, ci dicevano da bamb<strong>in</strong>i, come<br />

nel giorno del<strong>la</strong> Creazione. Oggi egli sembra là per accomiatarsi da loro, per ricordarle agli uom<strong>in</strong>i,<br />

teneramente, dolorosamente, prima che siano est<strong>in</strong>te. Per scrivere i loro nomi sull’acqua: forse su quel<strong>la</strong><br />

stessa onda levata che fra poco le avrà travolte.<br />

Un parco ombroso, il verde specchio di un <strong>la</strong>go corso da bei germani dorati, nel cuore del<strong>la</strong> città, del<strong>la</strong><br />

tormenta di cemento armato. Come non pensare guardandolo: l’ultimo <strong>la</strong>go, l’ultimo parco ombroso?<br />

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Chi oggi non è conscio di questo, non è poeta d’oggi.”<br />

Ancora Crist<strong>in</strong>a Campo per dire del nostro tempo, ancora lei per dire del<strong>la</strong> Fiaba e del<strong>la</strong> Poesia.<br />

“L’attenzione è il solo camm<strong>in</strong>o verso l’<strong>in</strong>esprimibile, <strong>la</strong> so<strong>la</strong> strada al mistero. Infatti è solidamente<br />

ancorata nel reale e, soltanto per allusioni ce<strong>la</strong>te nel reale, si manifesta il mistero. I simboli delle sacre<br />

scritture, dei miti, delle fiabe, che per millenni hanno nutrito e consacrato <strong>la</strong> vita, si vestono delle forme<br />

più concrete di questa terra: dal Cespuglio Ardente al Grillo Par<strong>la</strong>nte, dal Pomo del<strong>la</strong> Conoscenza alle<br />

Zucche di Cenerento<strong>la</strong>.<br />

Davanti al<strong>la</strong> realtà l’immag<strong>in</strong>azione <strong>in</strong>dietreggia. L’attenzione <strong>la</strong> penetra <strong>in</strong>vece, direttamente e come<br />

simbolo – … Essa è dunque, al<strong>la</strong> f<strong>in</strong>e, <strong>la</strong> forma più legittima, assoluta d’immag<strong>in</strong>azione.”<br />

Nom<strong>in</strong>are e leggere su molteplici piani <strong>la</strong> realtà delle cose. Pier Luigi Bacch<strong>in</strong>i ha scritto una fiaba “Il<br />

bamb<strong>in</strong>o solo”, l’ha scritta per <strong>la</strong> nona edizione del festival “Natura Dèi Teatri”.<br />

È <strong>la</strong> prima fiaba, richiesta o stimo<strong>la</strong>ta, poiché già <strong>la</strong>tente, sperimentale, nuova e perciò misteriosa. “La<br />

scrivo pensando al teatro, a come verrà detta, al suono del<strong>la</strong> voce che racconta”: anche questa<br />

attenzione fa parte del compito poetante.<br />

RISCRIVERE IN VERSI. GOETHE.<br />

Ho imparato a leggere il tedesco da Barbara Bacchi nostra autentica germanista e a riascoltarne il suono<br />

applicando all’istante una selezione estetico-musicale che si materializza poi nel<strong>la</strong> nostra forma poetica<br />

teatrale. Nelle traduzioni di Hölderl<strong>in</strong> e Kleist ho osato più del concesso per rimanere fedele al<strong>la</strong> sonorità<br />

del<strong>la</strong> l<strong>in</strong>gua orig<strong>in</strong>ale anche a costo di rendere fragile il senso del<strong>la</strong> paro<strong>la</strong> scelta. Fedeltà al suono o, nel<br />

caso del Faust, al ritmo dell’opera orig<strong>in</strong>aria, al<strong>la</strong> durezza e secchezza del verso goethiano.<br />

«DEDICA” che apre il “Faust-E<strong>in</strong>e Tragödie:<br />

“Voi di nuovo <strong>qui</strong>, figure mosse<br />

che un giorno al mio occhio siete apparse.<br />

Cerco io, forse adesso, di dirvi “Halt”?<br />

Sarà il cuore mio come i sogni di una volta?<br />

Siete tutte strette a me! Va bene, così sia il potere vostro,<br />

come dai vapori e dal<strong>la</strong> nebbie a me venite.<br />

Il mio petto si commuove<br />

per il soffio e <strong>la</strong> magia, da una nuvo<strong>la</strong> voi salite.<br />

Con voi l’immag<strong>in</strong>e sale del sereno giorno,<br />

e di più di un’ombra cara;<br />

come una vecchia, scomparsa saga<br />

il primo amore torna e l’amicizia risale su;<br />

il dolore si fa nuovo, il <strong>la</strong>mento ricom<strong>in</strong>cia<br />

del<strong>la</strong> vita il <strong>la</strong>bir<strong>in</strong>to<br />

e conta i buoni che sono via per sempre.<br />

Non ascolteranno più i canti che verranno,<br />

le anime, a loro che ho cantato;<br />

disperso è il gruppo,<br />

spento, ach! Il primo contro-suono.<br />

Il mio dolore di<strong>la</strong>ga verso una massa senza nome,<br />

il suo app<strong>la</strong>uso fa paura al cuore mio,<br />

e quelli che al mio canto erano felici,<br />

sparsi sono per il mondo, se sono ancora vivi.<br />

E a me prende una gran voglia<br />

mai provata, verso questo “Geisterreich”, il regno senza corpi<br />

questo mondo senza parole e senza suoni.<br />

Il mio canto - pianissimo - è come un’arpa dal vento mossa,<br />

ecco! Uno scroscio mi prende, <strong>la</strong>crimano <strong>la</strong>crime,<br />

il duro cuore è leggero e molle;<br />

quel che ho, ormai lontano vedo<br />

e quel che più non ho tocco adesso con <strong>la</strong> mia mano”.<br />

RISCRIVERE IN CORPO. JUAN DE LA CRUZ.<br />

Corpo nello spazio vuoto delimitato da tre pareti, una porta, una f<strong>in</strong>estra. Spazio dotato di due angoli, a<br />

destra e a s<strong>in</strong>istra. A destra l’angolo scuro e a s<strong>in</strong>istra l’angolo chiaro.<br />

Il corpo-che-<strong>in</strong>dossa-se-stesso è spazio nello spazio. I vuoti del corpo si riempiono di parole, il vuoto dello<br />

spazio fisico accoglie il pieno del corpo <strong>in</strong> movimento. L’attrice produce forma, performa secondo un<br />

camm<strong>in</strong>o di conoscenza, esplorando terra e muri per percorsi perimetrali e diagonali. Salite ai muri, corse<br />

86


da e verso <strong>la</strong> luce seguendo tempi e movimenti dell’estasi poetica. I rumori del corpo e del respiro<br />

per/formano a loro volta una partitura che si apre al canto mistico del<strong>la</strong> paro<strong>la</strong>. Lo spazio è <strong>in</strong> penombra,<br />

come un dio scuro. L’atleta dell’amore div<strong>in</strong>o scivo<strong>la</strong> sicura nel<strong>la</strong> sua notte scura.<br />

“ – senza altra luce e guida/tranne quel<strong>la</strong> che nel cuore ardeva.”<br />

RISCRIVERE IN IMMAGINE. JUAN DE LA CRUZ.<br />

La Fabbrica nel<strong>la</strong> costruzione retorica e poetica di Calderón - <strong>la</strong> fábrica gal<strong>la</strong>rda del universo – e il Nero<br />

che scolora i percorsi dell’eros mistico di Juan de <strong>la</strong> Cruz nello scuro e nell’oscuro dell’ascesi conoscitiva.<br />

Un corpo femm<strong>in</strong>ile penetra lo spazio del<strong>la</strong> grande sa<strong>la</strong> di Lenz Teatro pregna dei segni del<strong>la</strong> creazione<br />

artistica. Ancora il rallentamento artificioso scambia i b<strong>in</strong>ari del<strong>la</strong> s<strong>in</strong>cronia paro<strong>la</strong>-musica-movimento<br />

abbandonando alle scìe lum<strong>in</strong>ose il campo del già vissuto ma ancora ancorato al presente. Il film è muto<br />

e musiche nate altrove ne riempiono il vuoto virtuale al<strong>la</strong>cciandosi al corpo <strong>in</strong> abbraccio d’amoroso<br />

tempo.<br />

Francesco Pititto<br />

Lenz Rifrazioni<br />

87


Teatro i<br />

88


OGGI<br />

(ovvero del<strong>la</strong> poesia che può salvare il teatro)<br />

Carmelo Bene all’<strong>in</strong>izio degli anni ‘80 riempiva il Pa<strong>la</strong>lido di Mi<strong>la</strong>no. La gente accorreva a vedere il suo<br />

recital di poesia. Serate di poesia sold out. Concerti di poesia. 5.000 persone. 2.000 rimaste fuori. La<br />

necessità di aggiungere una replica <strong>in</strong> più alle due repliche <strong>in</strong> programma. Ho visto un frammento di<br />

registrazione di una di quelle serate <strong>in</strong> occasione di Walkie- Talkie, un convegno ideato dal mio gruppo di<br />

<strong>la</strong>voro, Teatro i, per poter esplorare l’<strong>in</strong>contro tra testo e scena. Avevamo dedicato tre giorni a teatro e<br />

poesia e, lungi dal trovare risposte univoche alle questioni sollevate, il confronto aveva sollecitato e<br />

radicalizzato domande aperte, grazie alle testimonianze di artisti e poeti che da anni <strong>la</strong>vorano <strong>in</strong>sieme<br />

nell’<strong>in</strong>terazione fra i due territori <strong>in</strong> cont<strong>in</strong>uo dialogo. Carmelo Bene era per molti l’<strong>in</strong>izio, o meglio<br />

“all’<strong>in</strong>izio era Carmelo Bene” come si potrebbe dire <strong>in</strong> tono più evangelico: l’unione dissacrante tra teatro<br />

e poesia, il portatore ma<strong>la</strong>to del verbo, il fool, il de-pensante.<br />

Non ero so<strong>la</strong>, dicevo, a guardare quel<strong>la</strong> registrazione, quei pochi secondi usciti miracolosamente <strong>in</strong>denni<br />

dagli archivi Rai: un boato, poi un om<strong>in</strong>o bianco, <strong>la</strong> camicia da dandy, le maniche a sbuffo. C.B. che si<br />

pavoneggiava sul palco vuoto come <strong>in</strong> un’arena, g<strong>la</strong>diatore solo davanti a una fol<strong>la</strong> acc<strong>la</strong>mante. 5.000<br />

persone. Il mio cuore ha com<strong>in</strong>ciato a battere forte. Le <strong>la</strong>crime scendevano senza che potessi frenarle,<br />

un’emozione fisica che mi era quasi sconosciuta e mi sono accorta che non ero l’unica a piangere. Un<br />

pensiero che con me anche gli altri pensavano, che partiva dal<strong>la</strong> mente e di<strong>la</strong>niava il cuore. In un attimo<br />

abbiamo avuto tutti <strong>la</strong> stessa tragica consapevolezza: il tempo di Carmelo era f<strong>in</strong>ito. Oggi quel<strong>la</strong><br />

situazione sarebbe impossibile. Sono bastati vent’anni e quel tempo si è perso, per sempre <strong>in</strong>ghiottito da<br />

reality e vel<strong>in</strong>e. Quel paese non esiste più. Sconfitto. Irrimediabilmente. Oggi il teatro deve essere<br />

spettacolo, divertimentificio. Oggi <strong>in</strong> teatro non c’è spazio per <strong>la</strong> poesia. Ovunque io mi volti nel mio<br />

paese non trovo spazio per <strong>la</strong> poesia.<br />

Quest’articolo sarà bacchettone e conservatore. Mi sento così, profondamente reazionaria, davanti a un<br />

di<strong>la</strong>gante nul<strong>la</strong> che pervade <strong>la</strong> cultura, un nul<strong>la</strong> che ci fanno passare come pop, come gusto del<strong>la</strong> gente, e<br />

<strong>in</strong> nome di questo fantomatico gusto del<strong>la</strong> gente, <strong>in</strong> nome di questa demagogia da quattro soldi,<br />

l’asticcio<strong>la</strong> si abbassa e si abbassa, il livello precipita giù e più giù senza vergogna, sempre <strong>in</strong> nome del<strong>la</strong><br />

gente, come se <strong>la</strong> gente non avesse nul<strong>la</strong> a che fare con <strong>la</strong> cultura, come se <strong>la</strong> gente non meritasse <strong>la</strong><br />

poesia. E <strong>la</strong> gente, cioè <strong>in</strong> fondo noi, nel<strong>la</strong> maggior parte dei casi si è adeguata a questo stato di cose, a<br />

questa mancanza di <strong>in</strong>teresse, a questo amore per il pettegolezzo, a questa ignoranza del talento, a<br />

questa mollezza che fa si che si cre<strong>in</strong>o i più falsi miti e le più false menzogne, e tra le altre che chiunque,<br />

senza studiare e fare sforzi, possa raggiungere una posizione <strong>in</strong> nome del<strong>la</strong> so<strong>la</strong> dote veramente<br />

necessaria oggi, <strong>la</strong> furbizia, che ha spazzato via tutto il resto e cioè <strong>la</strong> curiosità, <strong>la</strong> passione, lo studio, <strong>la</strong><br />

conoscenza.<br />

Il livello è così basso che è quasi impensabile oggi credere che <strong>la</strong> persona del<strong>la</strong> strada sappia che cos’è <strong>la</strong><br />

poesia, o il teatro: che sappia ad esempio qualche poesia a memoria o che conosca i versi di qualche<br />

poeta vivente o che abbia visto uno spettacolo a teatro una volta nel<strong>la</strong> vita ricordandosi il nome<br />

dell’autore o del regista. La madre di Carmelo Bene, come lui stesso raccontava, pur essendo molto più<br />

popo<strong>la</strong>na e ignorante del<strong>la</strong> maggior parte dei piccoloborghesi ben pensanti che siamo noi, conosceva<br />

molte poesie a memoria. Anche mia nonna e mio nonno conoscevano Leopardi. Sono loro che mi hanno<br />

<strong>in</strong>segnato “L’<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito” e “Il passero solitario”. Le avevano imparate a scuo<strong>la</strong>, alle elementari come alcuni<br />

canti de “La Div<strong>in</strong>a Commedia” e le citavano così, come <strong>in</strong> Toscana è d’abitud<strong>in</strong>e per alcuni vecchi par<strong>la</strong>rsi<br />

<strong>in</strong> ottava. D’estate andavamo al mare nelle Marche e non mancava anno che non si facesse una visita a<br />

Recanati. Sembravamo i pellegr<strong>in</strong>i di Giacomo Leopardi, a vedere <strong>la</strong> sua casa, <strong>la</strong> sua biblioteca e l’<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito<br />

di fronte alle sue f<strong>in</strong>estre. Era <strong>la</strong> poesia un bene del<strong>la</strong> gente, un bene popo<strong>la</strong>re, un canto. E soprattutto<br />

un’esperienza.<br />

Anche oggi abbiamo divulgatori eccellenti del nostro bagaglio poetico, da Benigni a Sermonti, e almeno lì<br />

uno spiraglio si apre, ma mi pare che molto si sia perso. Il teatro è un’esperienza molto partico<strong>la</strong>re <strong>in</strong> cui<br />

attore e spettatore hanno ruoli ben dist<strong>in</strong>ti e precisi. In Giappone il pubblico ha una reverenza quasi<br />

religiosa nei confronti degli attori del teatro No o del Kabuki. Si riconosce all’attore un ruolo elevato nel<strong>la</strong><br />

società. L’attore è un medium, un sacerdote, che grazie a una preparazione tecnica e spirituale di decenni<br />

può giungere a vedere là dove gli altri non vedono e tramite <strong>la</strong> sua visione a illum<strong>in</strong>are <strong>la</strong> coscienza dei<br />

popoli. Lo stesso per il poeta. Nel<strong>la</strong> nostra società l’unico paragone esperienziale di questo tipo che ho<br />

nel<strong>la</strong> mente è legato al<strong>la</strong> musica rock e ai concerti, e poi al calcio e agli stadi. Non riesco a pensare al<br />

teatro e al<strong>la</strong> poesia oggi come a esperienze popo<strong>la</strong>ri, come a esperienze di massa e dunque mi pare che<br />

<strong>la</strong> gente non le percepisca come beni spirituali, ma eventualmente come beni di consumo da aggiungere<br />

agli altri nel carrello del<strong>la</strong> spesa. Eventi nel migliore dei casi <strong>in</strong> cui non si può non esserci (penso a certi<br />

libri e spettacoli che puntano sul co<strong>in</strong>volgimento di personaggi mediatici riconoscibili per attirare il<br />

pubblico). Mi pare ad esempio che al<strong>la</strong> gente comune il teatro e <strong>la</strong> poesia <strong>in</strong>teress<strong>in</strong>o eventualmente<br />

come palcoscenici <strong>in</strong> cui mostrarsi. Mi pare che cont<strong>in</strong>ui a sfuggire che il teatro e <strong>la</strong> poesia, come <strong>la</strong><br />

matematica, <strong>la</strong> fisica, <strong>la</strong> chimica, l’economia sono ambiti che richiedono l<strong>in</strong>guaggi, talenti e tecniche<br />

89


specifiche. Ma dopotutto, mi dico, viviamo <strong>in</strong> un paese dove tutti sono poeti e scrittori, dove i best sellers<br />

li scrivono i calciatori e dove fare l’attore significa per lo più avere un book da mostrare a qualcuno che<br />

conta per arrivare il più presto possibile a un passaggio televisivo di fronte al grande pubblico.<br />

Di tecnica ci sarebbe da dire, eccome! Ci sarebbe da dire che addirittura le scuole di teatro faticano a<br />

<strong>la</strong>vorare sul verso, sul suono, sul<strong>la</strong> forma. Se le poesie non si studiano a memoria da piccoli, allora anche<br />

noi, “giovani attori” non abbiamo <strong>in</strong> memoria quel ritmo, quegli accenti, quelle scansioni, quelle cesure.<br />

La l<strong>in</strong>gua è fiacca e peggiorata. Chiunque oggi può fare l’attore. In un paese dove i politici sono le vere<br />

star, che vanno <strong>in</strong> televisione dopo essere passati dal truccatore, non è necessario aprire <strong>la</strong> bocca e farne<br />

uscire suoni udibili o scanditi o conoscere le differenze tra gli accenti: tutti possono fare gli attori. Perché<br />

<strong>in</strong> Italia l’attore è il cialtrone, è il pallista, è il bono.<br />

Fare lo spettatore <strong>in</strong>vece <strong>in</strong>teressa a pochi, è abbastanza fuori moda. Perché <strong>la</strong> partecipazione a un<br />

evento teatrale o <strong>la</strong> lettura di una poesia non si risolvono <strong>in</strong> un puro elemento voyeristico e distratto, ma<br />

richiedono un’attività. Essere parte di un’esperienza come quel<strong>la</strong> teatrale e poetica richiede un’attività<br />

cerebrale ed emozionale. Fare lo spettatore è una picco<strong>la</strong> fatica. E questa pigrizia del pubblico ha<br />

modificato anche le proposte artistiche <strong>in</strong> circo<strong>la</strong>zione. Si rischia meno, si cerca di omologare e di<br />

accontentare. Oggi il teatro nel<strong>la</strong> maggior parte dei casi è: una storia semplice con lieto f<strong>in</strong>e; una storia<br />

<strong>in</strong> cui lo spettatore si può immedesimare; una storia che fa ridere… molto e che fa scordare <strong>la</strong> giornata<br />

difficile; una storia scritta <strong>in</strong> prosa con parole comprensibili e quotidiane con dialoghi prevalentemente<br />

secchi, botta e risposta. I tempi li dettano il c<strong>in</strong>ema d’azione, il videoclip, <strong>la</strong> televisione. Uno spettacolo<br />

deve durare circa 50 m<strong>in</strong>uti, altrimenti diventa noioso. Chiunque è <strong>in</strong> grado di scrivere seguendo queste<br />

poche regole. E dunque siamo tutti poeti, siamo tutti scrittori.<br />

Ecco che emerge a poco a poco, con rabbia, quello che penso davvero quando penso al teatro e al<strong>la</strong><br />

poesia, quel poco che vorrei gridare tutti i giorni. Sono tempi così bui che non sento l’esigenza di elenchi<br />

storici o di analisi formali, ma di un’analisi del<strong>la</strong> necessità e dell’essenza di queste due arti. Credo che<br />

l’unione dirompente di teatro e poesia stia nel<strong>la</strong> loro <strong>in</strong>attualità e nel<strong>la</strong> potenza def<strong>la</strong>grante che potrebbe<br />

avere se se ne avesse <strong>la</strong> piena coscienza. Una potenza etica, politica che il mondo chiede a gran voce.<br />

Siamo molto più conservatori di un tempo. Pochi gesti di rottura. Poche provocazioni. Poche pernacchie.<br />

Tutto ci scorre addosso. Comunichiamo cont<strong>in</strong>uamente, ma cosa vogliamo dire?<br />

Il teatro e <strong>la</strong> poesia, soprattutto nel<strong>la</strong> loro possibile <strong>in</strong>terazione, dovrebbero aiutarci a portare al<strong>la</strong> luce <strong>la</strong><br />

nostra op<strong>in</strong>ione sul mondo. Dovrebbero metterci <strong>in</strong> ascolto e <strong>in</strong> azione.<br />

Penso al teatro come a una potenza grande, primigenia, politica.<br />

Penso al<strong>la</strong> poesia come a una potenza grande, primigenia, <strong>in</strong>teriore.<br />

Il teatro e <strong>la</strong> poesia sono ossessioni formali. Sono figli partoriti dal<strong>la</strong> musica. Per par<strong>la</strong>rci di noi, anche di<br />

noi cosiddetti artisti che non sempre abbiamo il coraggio del<strong>la</strong> poesia.<br />

Sono un’attrice, faccio teatro e conosco il teatro, i teatri. Oggi sento il teatro snaturato e defraudato, <strong>la</strong><br />

sua portata politica crol<strong>la</strong>ta, con pochi desideri. Vedo il teatro ridotto sempre più spesso a chiacchiera, a<br />

sistema, a rout<strong>in</strong>e, a occupazione culturale che aiuta il pubblico a omologare <strong>la</strong> propria op<strong>in</strong>ione, anziché<br />

a potenziarne le differenze. Anche <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> “differenza” così come <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> “esperienza” dà fastidio.<br />

Sono parole ormai <strong>in</strong>dicibili.<br />

Solo da lettrice frequento <strong>la</strong> poesia. E mi ritengo fortunata perché conosco diversi poeti: le loro parole mi<br />

hanno illum<strong>in</strong>ato il camm<strong>in</strong>o. E loro, i poeti, persone fragili, buffe, animali, <strong>in</strong>fanti sono giganti quando<br />

con il coraggio che pochi teatri mi sembrano avere, ci donano il loro pensiero e ne fanno universi. Sento<br />

<strong>in</strong> loro <strong>la</strong> natura, <strong>la</strong> schiettezza, <strong>la</strong> politica, il gioco, l’ossessione tecnica e <strong>la</strong> ricerca del<strong>la</strong> forma.<br />

Se è vero che <strong>la</strong> poesia non è necessaria, se è vero che <strong>la</strong> poesia è difficile, se è vero che <strong>la</strong> poesia è<br />

verticale e profonda, se è vero che <strong>la</strong> poesia è suono e ritmo, se è vero che <strong>la</strong> poesia manda <strong>in</strong> corto<br />

circuito le divisioni fra le arti, se è vero che <strong>la</strong> poesia è vita e morte, se è vero che <strong>la</strong> poesia è lo sguardo<br />

di un bamb<strong>in</strong>o, se è vero che <strong>la</strong> poesia par<strong>la</strong> chiaro e provoca, se è vero che <strong>la</strong> poesia non ha paura di<br />

mettere il dito nel<strong>la</strong> piaga, se è vero che <strong>la</strong> poesia è contemp<strong>la</strong>zione e corsa… allora <strong>la</strong> poesia <strong>in</strong>segna al<br />

teatro. Allora il teatro dovrebbe essere <strong>la</strong> poesia. Allora il teatro ha bisogno di poesia. Per recuperare <strong>la</strong><br />

sua portata politica. Per attivare lo spettatore all’esperienza. Per riaprire solchi sopiti di ricerca, di<br />

mistero, di conoscenza. Per sconfiggere quel<strong>la</strong> violenza morbida, senza nome, subdo<strong>la</strong> e sotterranea che<br />

ci sta a poco a poco addormentando.<br />

Che rapporti, che nascite, che utopie possono crearsi dall’<strong>in</strong>contro di questi due mondi!<br />

Federica Fracassi<br />

Teatro i<br />

90


I LINGUAGGI DELLA MISURA. UN COLLOQUIO SUL TEATRO DI POESIA CON L’ATTORE E<br />

REGISTA ALESSANDRO BERTI<br />

Che cosa chiede <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> poetica al corpo, al<strong>la</strong> voce e allo spazio, quando entra <strong>in</strong> teatro?<br />

Dal mio punto di vista dipende molto da che tipo di paro<strong>la</strong> poetica viene usata. La maggior parte del<strong>la</strong><br />

poesia è meglio legger<strong>la</strong>, <strong>in</strong> silenzio. Poi c'è una parte che si può leggere a voce alta, non solo senza<br />

tradire quel<strong>la</strong> paro<strong>la</strong> ma esaltando<strong>la</strong> (se si sa come legger<strong>la</strong>, ovviamente). Solo una piccolissima parte<br />

del<strong>la</strong> paro<strong>la</strong> poetica che io ho <strong>in</strong>contrato negli anni mi ha fatto dire: ecco qualcosa che potrebbe essere<br />

portato <strong>in</strong> scena. Ovviamente questo è un giudizio molto personale, dipende dal<strong>la</strong> mia educazione<br />

teatrale, del tutto occidentale, shakespeariana e stanis<strong>la</strong>vskijana, una formazione che mi ha <strong>in</strong>segnato a<br />

mettere <strong>in</strong> scena solo i testi che, tra le righe, contengono una azione, o almeno una re<strong>la</strong>zione. Spesso il<br />

fatto che un testo sia teatrale non significa che abbia una scrittura viva, che corrisponda a quello che ho<br />

appena detto. È per questo che è com<strong>in</strong>ciata <strong>la</strong> mia curiosità per <strong>la</strong> poesia.<br />

Non sono pochi a sostenere che il teatro <strong>in</strong> Italia stia vivendo un periodo di grande difficoltà. I<br />

poeti <strong>la</strong>mentano <strong>la</strong> codardia del sistema editoriale. Potrebbe il teatro di poesia essere un modo<br />

di accogliere e dunque superare queste due diverse crisi?<br />

Non saprei. Posso par<strong>la</strong>re del teatro, che conosco meglio. Il teatro ha perso quasi tutto lo spazio di<br />

attenzione che ancora aveva quando io ho com<strong>in</strong>ciato, <strong>qui</strong>ndici anni fa. Qualche grande spettacolo e una<br />

schiera di narratori non possono prendere il posto di qualcosa che non c'è più: una cont<strong>in</strong>uità,<br />

un'abitud<strong>in</strong>e, una cultura condivisa, una ritualità. Il problema di un rapporto con i poeti mi sembra che<br />

sarebbe un problema di 'saperi'. Mi pare che ci siano pochi teatranti <strong>in</strong> grado di mettere <strong>in</strong> scena una<br />

l<strong>in</strong>gua poetica vera. E anche di poeti veri e con una scrittura adatta al<strong>la</strong> scena non me ne vengono <strong>in</strong><br />

mente molti. Poi è chiaro che io sono contento se succedono cose anche caotiche ma vive, appassionate,<br />

perché siamo <strong>in</strong> un momento di tale aridità che bisogna prima di tutto <strong>in</strong>seguire <strong>la</strong> vitalità delle cose, non<br />

il proprio gusto.<br />

Rendere un volume di poesia uno spettacolo, con solo poche aggiunte drammaturgiche e senza<br />

che sia un read<strong>in</strong>g o una performance: questo il progetto che stai curando, sui versi di C<strong>la</strong>udio<br />

Damiani. Come procedi a svilupparlo?<br />

Senza nessuna aggiunta testuale, questa è <strong>la</strong> sfida. Le poesie di Damiani sono brevi, dunque<br />

apparentemente costruire una drammaturgia coerente è difficile. Ma, soprattutto <strong>in</strong> EROI, il suo secondo<br />

libro, i rimandi da una poesia all'altra sono tantissimi e possono dar vita a un m<strong>in</strong>imo di coerenza<br />

drammaturgica, fondamentale per una messa <strong>in</strong> scena. Il grosso del <strong>la</strong>voro è con gli attori, che ho scelto<br />

piuttosto digiuni di poesia, e di teatro di paro<strong>la</strong> <strong>in</strong> generale, per provare a partire con loro da zero, dai<br />

legami che <strong>la</strong> poesia di Damiani ha con <strong>la</strong> vita, con i sentimenti umani, che poi dobbiamo tradurre <strong>in</strong><br />

qualcosa di tecnico, di pratico, com'è il teatro. Ci sarà un bamb<strong>in</strong>o piccolo, di c<strong>in</strong>que anni, <strong>in</strong> scena con<br />

noi, un cane, degli alberi e lo spettacolo sarà fatto al tramonto, su una coll<strong>in</strong>a, si spaccherà <strong>la</strong> legna, si<br />

farà il bucato. Sarà uno spettacolo fortemente aristocratico <strong>in</strong> questo momento, un angolo di pace che<br />

proviamo a prenderci, un gesto di leggerezza e di rivolta sorridente.<br />

In cosa ti colpisce, un poeta?<br />

Mi colpisce sempre, <strong>in</strong>variabilmente, l'unione tra <strong>la</strong> sua umanità, evidente, trasudante, e <strong>la</strong> capacità di<br />

dare voce a questa umanità.<br />

La lettura di una poesia è un momento privato, un grande movimento <strong>in</strong>teriore; sembra essere<br />

però addirittura rivoluzione quando viene vissuto collettivamente, non solo attraverso un<br />

corpo e una voce che sporcano e segnano di vita <strong>la</strong> pag<strong>in</strong>a, ma anche attraverso il silenzio<br />

concentrato di una sa<strong>la</strong> di ascoltanti davvero rapiti dal momento. È un atto di creazione, che<br />

ricrea il mondo, che ipotizza una diversa possibilità di comunione e di vita corale. Sono cose<br />

che non capitano spesso, ma <strong>in</strong>credibilmente potenti, quando si manifestano. Il teatro di<br />

poesia secondo me può questo. Tu cosa ne pensi?<br />

Penso che sarebbe bello che capitassero più spesso. E penso che perché ci siano tutti gli <strong>in</strong>gredienti che<br />

dici tu ci vuole il concorso di molte forze, perché si crei un circolo virtuoso. Il teatro è un'arte collettiva. Il<br />

ruolo di un organizzatore o di un produttore è tanto importante quanto quello dell'artista, perché di<br />

persone che amano esperienze come quelle che descrivi tu ce ne sono ma non arrivano quasi mai a<br />

varcare <strong>la</strong> soglia dei pochi luoghi e momenti dove cose del genere accadono. È questo che <strong>in</strong>tendo<br />

quando parlo di smantel<strong>la</strong>mento del teatro come <strong>in</strong>sieme di saperi. Ci sono pochi organizzatori capaci e<br />

coraggiosi, ad esempio. Oppure, per fare un esempio che mi riguarda: io potrei fare benissimo il piano<br />

92


luci per i miei spettacoli, senza bisogno di un tecnico. Ma voglio avere un tecnico luci, capisci? Perché lui<br />

quel<strong>la</strong> cosa <strong>la</strong> sa fare comunque meglio di me, e se avessi il denaro vorrei uno scenografo, un costumista<br />

ecc. Io ho scelto il teatro anche per questa idea di <strong>la</strong>voro d'e<strong>qui</strong>pe, che però, per motivi economici, e<br />

anche culturali, sta scomparendo. Così siamo <strong>in</strong>vasi da dilettanti, da gente che si improvvisa a fare quello<br />

che fa, e si vede. In questa fase magari non si vede ancora tanto perché anche il pubblico ormai è<br />

abituato ai reality show e al<strong>la</strong> mancanza di professionalità data per scontata ma tra qualche tempo,<br />

quando passerà <strong>la</strong> moda di tutto questo, si riapriranno scuole <strong>in</strong> cui di nuovo si imparerà a fare qualcosa<br />

come si deve. Forse ti aspettavi una risposta diversa ma io non so affiancare al<strong>la</strong> tua immag<strong>in</strong>e altro che<br />

un gruppo di persone capaci di fare quello che stanno facendo e motivate a farlo. Qualcosa che oggi<br />

succede raramente.<br />

Secondo te gli artisti hanno un compito? E che responsabilità comporta?<br />

Ti confesserò che non ci ho mai pensato tanto. Forse perché l'ho sempre vissuto molto praticamente tutto<br />

questo: <strong>in</strong>segnando teatro, <strong>in</strong>contrando il pubblico, scrivendo spettacoli che facessero ragionare,<br />

arrabbiare anche. Non saprei, penso che ognuno <strong>la</strong> veda a suo modo. In questo momento, se dovessi dire<br />

quale è il compito degli artisti, direi che è quello di stare calmi. Cioè di non farsi prendere da questa foga,<br />

da questa fretta di farce<strong>la</strong>, di essere famosi, di godere dei privilegi di casta ecc. Perché se esisterà ancora<br />

qualcosa che potremo chiamare arte, sarà qualcosa che nascerà dal<strong>la</strong> <strong>qui</strong>ete, anche nel mezzo del<strong>la</strong><br />

storia, anche nell'occhio del ciclone, ma comunque <strong>in</strong> uno spazio da cui lo sguardo di qualcuno,<br />

<strong>in</strong>disturbato e forte, riesca a guardare ciò che accade, e a par<strong>la</strong>rne. In questo senso mi sembra che, mai<br />

come oggi, per essere artisti veri bisogna essere anche persone forti.<br />

Un poeta ha detto che <strong>la</strong> carta è stanca. Secondo te è così?<br />

Sì, è così, ma è <strong>in</strong> buona compagnia.<br />

E a te cosa stanca?, <strong>in</strong> teatro, nel<strong>la</strong> letteratura…<br />

La fretta, come ti dicevo, poi anche il non comprendere l'umanità di chi sta scrivendo, par<strong>la</strong>ndo, anche il<br />

gioco delle op<strong>in</strong>ioni mi stanca molto, perché il mondo ci sta cambiando sotto i piedi mentre noi ne<br />

discutiamo al bar...<br />

Ha senso secondo te fare queste dist<strong>in</strong>zioni “poesia”, “teatro di poesia”, “teatro”…? Cosa<br />

hanno <strong>in</strong> comune? E cosa li separa?<br />

Il teatro è azione, paro<strong>la</strong> che m<strong>in</strong>accia una azione, che par<strong>la</strong> a qualcuno di preciso, qualcuno che si ha<br />

davanti, è corpo che fa, e qualche volta fa mentre par<strong>la</strong>, o par<strong>la</strong> per non fare, e usa una paro<strong>la</strong> carica di<br />

qualcos'altro, che sprizza vita, violenza, tenerezza, una paro<strong>la</strong> collo<strong>qui</strong>ale ma fortemente allusiva, come<br />

era <strong>la</strong> l<strong>in</strong>gua f<strong>in</strong>o a pochi anni fa, quando bastava uno sguardo, un modo di accentare una paro<strong>la</strong> perché<br />

chi avevi davanti capisse...Oggi servono tante parole per tutto questo, e forse è per questo che il teatro è<br />

<strong>in</strong> crisi, mentre, per dire, il romanzo no. La poesia condivide col teatro questa cosa importante: <strong>la</strong><br />

necessità, l'amore direi, per l'economia di parole, per l'evocatività dei vocaboli e dei versi. Ma deve<br />

ottenere questo effetto senza <strong>la</strong> presenza reale di un corpo, solo attraverso le parole sul<strong>la</strong> pag<strong>in</strong>a. Poi, <strong>in</strong><br />

alcuni casi, come <strong>in</strong> Damiani, poesia e teatro si avvic<strong>in</strong>ano, perché C<strong>la</strong>udio scrive sempre <strong>in</strong> prima<br />

persona, usa una l<strong>in</strong>gua collo<strong>qui</strong>ale, sono brandelli di discorso quelli che emergono al<strong>la</strong> sua coscienza e<br />

che diventano poesie. Però, sì, direi che poesia e teatro sono entrambi l<strong>in</strong>guaggi s<strong>in</strong>tetici, che richiedono<br />

misura. In questo senso sono due l<strong>in</strong>guaggi aristocratici, monastici, da artigiani <strong>in</strong>trattabili.<br />

Nel<strong>la</strong> tua vita hai vissuto facendo teatro. Il teatro, come <strong>la</strong> poesia, come l’arte <strong>in</strong> genere, sono<br />

a tuo avviso necessari? C’è chi dice che sia un bisogno, chi un dovere, chi un privilegio. Sono<br />

privilegiati i poeti che conosci? Sono necessari, gli artisti?<br />

Anche a questo ti confesso di non pensare mai. Per me è necessario che l'essere umano stia sul sentiero<br />

del<strong>la</strong> propria umanità, un sentiero tutto curve e paesaggi diversi. La bellezza è un bisogno dell'essere<br />

umano, uno dei panorami di cui ha bisogno. Come l'amore, <strong>la</strong> libertà, il riposo. A partire da questi bisogni<br />

gli uom<strong>in</strong>i, secondo me smarrendosi dal loro sentiero, costruiscono istituzioni, corporazioni, poteri,<br />

privilegi. Non amo <strong>la</strong> corporazione degli artisti come non amo nessun'altra corporazione. Io non ho mai<br />

avuto problemi a vivere di teatro, problemi con me stesso <strong>in</strong>tendo. Ora ci sono scenari economici che<br />

rendono molto difficile cont<strong>in</strong>uare a vivere del teatro per come lo <strong>in</strong>terpreto io, e forse c'è anche una<br />

certa stanchezza <strong>in</strong> me nel momento <strong>in</strong> cui sempre di più un regista teatrale deve essere promotore di se<br />

stesso e sempre meno artista. In questi anni sto scrivendo, molto di più di quanto faccia teatro, perché <strong>la</strong><br />

scrittura mi sembra che mi metta più alle strette, dia pane ai denti del<strong>la</strong> mia <strong>in</strong>transigenza. E poi a dir <strong>la</strong><br />

verità io scrivo da quando ho dodici anni, <strong>qui</strong>ndi <strong>la</strong> scrittura mi ha sempre accompagnato e ora si sta<br />

facendo più vic<strong>in</strong>a, come se f<strong>in</strong>almente, nell'iso<strong>la</strong>mento degli ultimi anni, nel<strong>la</strong> dim<strong>in</strong>uzione dei ritmi di<br />

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<strong>la</strong>voro, riuscisse a trovare uno spazio per par<strong>la</strong>rmi, <strong>in</strong>somma qualcosa di <strong>in</strong>timo e bello, anche se<br />

faticoso, perché per uno che per <strong>qui</strong>ndici anni è saltato sulle assi del palco come un matto trovarsi ore al<br />

tavolo a scrivere è dura...Comunque vedremo, come non ho avuto problemi a vivere di teatro, non ne<br />

avrei a vivere di scrittura. Il problema vero è che qua, oggi, se si vuole <strong>la</strong>vorare con serietà e pazienza, si<br />

rischia di non vivere più né dell'uno né dell'altra.<br />

La poesia dice eternamente il suo tempo. Secondo te, cosa ci dice quel<strong>la</strong> del nostro tempo?<br />

Non <strong>la</strong> conosco abbastanza per esprimere un giudizio. In generale mi piace <strong>la</strong> poesia più semplice, <strong>in</strong> ogni<br />

tempo. Semplice, economica, essenziale. Questo tipo di poesia mi par<strong>la</strong>. Non mi piace <strong>la</strong> poesia troppo<br />

ellittica, come certe volte è <strong>la</strong> poesia contemporanea, perché non ho bisogno di ulteriore confusione, ho<br />

bisogno di qualcosa di forte e semplice. Ho bisogno di una voce oltre che un cervello.<br />

Un poeta su cui ti piacerebbe <strong>la</strong>vorare<br />

C<strong>la</strong>udio Damiani è davvero l'unico poeta contemporaneo che conosca <strong>la</strong> cui scrittura io possa trasporre <strong>in</strong><br />

teatro.<br />

Scrivi poesia?<br />

In questo momento no. Negli anni scorsi, sì, ho scritto poesia, e anche tre cose che poi sono andate <strong>in</strong><br />

scena, a Santarcangelo, a Volterra e a Mi<strong>la</strong>no. Quasi dieci anni fa già. Ma era una specie di poesia usa-egetta,<br />

per così dire, cioè erano esperimenti folli, <strong>in</strong> cui per un mese si provava con <strong>la</strong> compagnia e io ogni<br />

matt<strong>in</strong>a scrivevo qualcosa, pensando all'attore che poi doveva <strong>in</strong>terpretarlo. Ho ricordi bellissimi di quegli<br />

anni, che sono stati un apprendistato eccezionale, una bottega drammaturgica unica. Anche <strong>la</strong> scrittura<br />

che usciva da questo stato di pressione non era cattiva, con alcuni difetti tipici del<strong>la</strong> fretta ma direi<br />

onesta. Ora sto scrivendo prosa, una prosa che però mi sembra contenga tutto il <strong>la</strong>voro di questi anni tra<br />

teatro e poesia.<br />

Notizia.<br />

Alessandro Berti, dopo <strong>la</strong> scuo<strong>la</strong> del Teatro di Genova, nel 1995 ha fondato con Miche<strong>la</strong> Lucenti L'Impasto<br />

Comunità Teatrale, per cui ha scritto e diretto tutti gli spettacoli tra cui ricordiamo: Skankrèr, Home<br />

Balòm (1996), Terra di Burro (1997), Il mondo dei figli (1999), Trionfo Anonimo (2000), L'Agenda di<br />

Seattle (2001), Il Quartiere (2002). Nel 2002 ha v<strong>in</strong>to il premio Gherardo Gherardi col suo Teatro In Versi<br />

(Rivedere le stelle, La Riga, Simurgh-Poema delle Moltitud<strong>in</strong>i). Dal 2002 al 2004 ha vissuto e <strong>la</strong>vorato <strong>in</strong><br />

Friuli, impegnato nel<strong>la</strong> realizzazione di una Scuo<strong>la</strong> Popo<strong>la</strong>re di Teatro e del progetto tematico legato al<strong>la</strong><br />

psichiatria Arte/Società/Follia. Il suo ultimo <strong>la</strong>voro, Conf<strong>in</strong>e, ha debuttato allo scorso festival di<br />

Santarcangelo. Attualmente vive a Roma e sta allestendo uno spettacolo sui versi del poeta romano<br />

C<strong>la</strong>udio Damiani<br />

(A cura di Azzurra D’Agost<strong>in</strong>o)<br />

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LUNGO LA VERTEBRATA COSTA DEL CUORE.<br />

UN PERCORSO VENTENNALE TRA POESIA E TEATRO<br />

Ho sempre creduto nel<strong>la</strong> potenza del<strong>la</strong> paro<strong>la</strong> poetica nel suo essere pronunciata, detta, “cantata” e<br />

dunque ascoltata, proiettata - attraverso il suo manifestarsi <strong>in</strong> quanto suono, sonorità - nelle profondità<br />

ce<strong>la</strong>te dell’animo umano, pronto a vibrare nell’apparato sensibile-sentimentale mediante una suprema<br />

stimo<strong>la</strong>zione dell’<strong>in</strong>telletto. Su questa base ho avviato, ormai venti anni fa, un Progetto Poesia ovvero<br />

un progetto di ricerca di carattere teatrale sul<strong>la</strong> poesia contemporanea artico<strong>la</strong>to per grandi sessioni<br />

tematiche che ne hanno rego<strong>la</strong>to <strong>la</strong> messa <strong>in</strong> scena e <strong>la</strong> riflessione: scrittura poetica, forma poetica e<br />

forma musicale.<br />

Il progetto, tutt’ora <strong>in</strong> corso, si propone di <strong>in</strong>dagare il rapporto tra verso poetico nel<strong>la</strong> sua fondante<br />

dimensione scritta, formale e verso nel<strong>la</strong> sua espressiva dimensione orale, sonora: l’agire dell’attore, che<br />

di questo processo creativo si fa centro d’azione per mezzo del corpo/pathos e del<strong>la</strong> bocca/manteia,<br />

impresc<strong>in</strong>dibilmente si colloca all’<strong>in</strong>terno del codice che governa <strong>la</strong> pur mutevole rappresentazione<br />

teatrale. Inizialmente questo confronto ebbe una partico<strong>la</strong>re rilevanza all’<strong>in</strong>terno del monumentale<br />

progetto che Lenz Rifrazioni dedicò al<strong>la</strong> figura del grande poeta tedesco Friedrich Hölderl<strong>in</strong>: il discorso<br />

sul<strong>la</strong> necessità del rappresentare mi portò a considerare <strong>la</strong> scrittura poetica come orig<strong>in</strong>e e premessa<br />

del<strong>la</strong> forma tragica.<br />

In ANCHE SE ABITO UNO SCOGLIO (1993), uno dei primi <strong>la</strong>vori da me scritto e rappresentato a Lenz<br />

Teatro, il materiale drammaturgico che costituisce <strong>la</strong> struttura del testo ha come riferimento pr<strong>in</strong>cipale i<br />

frammenti poetici di P<strong>in</strong>daro, autore di cui Hölderl<strong>in</strong> tradusse una parte del<strong>la</strong> produzione lirica maggiore.<br />

L’e<strong>la</strong>borazione si compone <strong>in</strong> una successione di tre passaggi che artico<strong>la</strong>no l’andamento drammaturgico<br />

<strong>in</strong> una forma tripartita (A-B-A1), <strong>la</strong> cui tessitura <strong>in</strong>terna ripropone l’alternarsi di versi di P<strong>in</strong>daro, di<br />

Hölderl<strong>in</strong> e miei: “il valore dei canti del<strong>la</strong> gloria si fa eterno”, “poeticamente abita l’uomo” e <strong>la</strong> domanda,<br />

più volte ripetuta, “a chi possono ancora cantare i poeti?” <strong>in</strong>dicano nel passare dei tempi e delle culture <strong>la</strong><br />

modificazione profonda del<strong>la</strong> funzione del poeta, e <strong>la</strong> progressiva perdita del rapporto tra il poeta e il suo<br />

luogo di appartenenza artistica e sociale. Il distacco che nello scorrere dei tre “passaggi” si rende<br />

elemento consapevole e visibile, diventa attraverso l’esperienza tragica dell’atto teatrale <strong>la</strong> ragione stessa<br />

del<strong>la</strong> propria identità poetica. Il luogo <strong>in</strong> cui matura questo processo conoscitivo ha <strong>la</strong> misura del m<strong>in</strong>imo,<br />

del piccolo, dell’<strong>in</strong>significante, e <strong>la</strong> riconoscibilità di un <strong>in</strong>terno quotidiano e domestico. “Vi prego di<br />

leggere questo foglio soltanto con animo ben disposto”, così si apre il primo passaggio; un’umile richiesta<br />

di attenzione rivolta ad un pubblico che non si cerca nel presente, ma ad una collettività perduta. I pochi<br />

sguardi di oggi appaiono <strong>in</strong>discreti, colpevoli di un voyeurismo che non rispetta <strong>la</strong> solitud<strong>in</strong>e dell’”ultimo<br />

gesto”.<br />

Se <strong>la</strong> ripetizione del<strong>la</strong> domanda “a chi possono ancora cantare i poeti?” costituisce <strong>la</strong> questione centrale di<br />

“Anche se abito uno scoglio”, <strong>in</strong> INFELICE NEL DESIDERIO IO STO (1994) l’ossessione del poeta<br />

contemporaneo porta questo <strong>in</strong>terrogativo al suo limite estremo: “È ancora il tempo del canto?”.<br />

Un’<strong>in</strong>tuizione: solo l’agire teatrale, l’atto drammatico ricrea <strong>la</strong> possibilità del canto poetico, ristabilendo<br />

una condizione comunicativa che permette di restituire significato al<strong>la</strong> perdita del<strong>la</strong> forma poetica.<br />

L’irruzione dei versi di Archiloco all’<strong>in</strong>terno del<strong>la</strong> scrittura s-formata di questo testo costr<strong>in</strong>ge l’attore <strong>in</strong><br />

una situazione di conflitto, di opposizione <strong>in</strong>conciliabile tra <strong>la</strong> forza orig<strong>in</strong>aria del verso – <strong>la</strong> sonorità creata<br />

dal<strong>la</strong> ferrea ritmica del trimetro giambico – e <strong>la</strong> conseguente <strong>in</strong>dicibilità del frammento contemporaneo.<br />

Nell’agire scenico l’attore tenta di risanare questa <strong>la</strong>cerazione rendendosi “mezzo” del sentimento, corpo<br />

e voce del<strong>la</strong> poesia.<br />

In VIDER (1995) - letteralmente svuotare - nel vuoto segnato da un conf<strong>in</strong>e di pietre bianche si dà forma<br />

ad un <strong>in</strong>consueto fluire di parole. Nell’assenza totale del<strong>la</strong> forma verbale di questa versificazione poetica,<br />

l’unica possibilità dell’agire teatrale è il dire, l’atto del<strong>la</strong> paro<strong>la</strong> a farsi suono <strong>in</strong> tempo. Anche Vider<br />

costr<strong>in</strong>ge l’attore a par<strong>la</strong>re le parole del<strong>la</strong> poesia <strong>in</strong> un ritmo arcaico, con <strong>la</strong> ripresa ritmica del trimetro<br />

giambico - <strong>in</strong> un movimento <strong>in</strong>arrestabile del corpo. “Il poema si afferma al marg<strong>in</strong>e di se stesso; per<br />

poter sussistere esso <strong>in</strong>cessantemente si evoca e si riconduce dal suo Ormai-non-più al suo Pur-sempre.<br />

Ma questo Pur-sempre non può non essere un par<strong>la</strong>re” (Paul Ce<strong>la</strong>n).<br />

Dopo i due allestimenti sui lirici greci P<strong>in</strong>daro e Archiloco, e <strong>la</strong> messa <strong>in</strong> scena di Vider, <strong>la</strong> ricerca è<br />

approdata al<strong>la</strong> forma madrigalistica, segnando l’<strong>in</strong>izio di una ricerca approfondita su alcune forme<br />

poetiche chiuse e non. La prima realizzazione del progetto ha portato al<strong>la</strong> mise en espace di MADRIGALE<br />

(1996), opera poetica e visiva suddivisa <strong>in</strong> tre parti.<br />

Il luogo di azione di Madrigale è uno spazio artistico e sonoro creato dalle artiste Giuliana Di Bennardo e<br />

Ghis<strong>la</strong><strong>in</strong>e de Montaudou<strong>in</strong>, e dalle compositrici Patrizia Mattioli e Car<strong>la</strong> Delfrate. A dare forma ai versi del<br />

testo poetico, attraverso l’atto p<strong>la</strong>stico e compositivo, sono le artiste stesse, soggetti estremi di una<br />

paro<strong>la</strong> autentica, di una verità poetica. L’e<strong>la</strong>borazione teatrale procede per <strong>in</strong>nesti, il gesto artistico e <strong>la</strong><br />

paro<strong>la</strong> non si sommano, non si sovrappongono, ma si uniscono per produrre nuovo senso, una nuova<br />

natura. L’estraneità dell’artista alle tecniche espressive del l<strong>in</strong>guaggio teatrale fa risorgere il segno<br />

poetico nel<strong>la</strong> sua pienezza, un segno che sfugge l’artificio e diffida del<strong>la</strong> f<strong>in</strong>zione. Per l’artista il teatro è<br />

un luogo straniero, un paesaggio chiuso nel tempo f<strong>in</strong>ito del<strong>la</strong> rappresentazione, lontano da quello <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito<br />

dell’opera d’arte; ma <strong>in</strong> questo luogo l’artista può vedersi <strong>in</strong> atto, può fermare l’azione creativa,<br />

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trattener<strong>la</strong>, ripeter<strong>la</strong>, modificar<strong>la</strong>. Un processo di r<strong>in</strong>ascita che trova ritmo nel<strong>la</strong> forma antica del<br />

madrigale, nel<strong>la</strong> brevità del canto amoroso. Attraverso lo sguardo <strong>in</strong>nocente e pieno dell’artista il teatro<br />

allontana da sé <strong>la</strong> m<strong>in</strong>accia dell’e<strong>qui</strong>librio l<strong>in</strong>guistico e ritrova <strong>la</strong> bellezza dell’<strong>in</strong>izio.<br />

La poesia è connessa al<strong>la</strong> lettura, al testo, al culto del<strong>la</strong> testualità, <strong>la</strong> poesia è una forma visibile, sono<br />

parole stampate davanti agli occhi, nel madrigale si vede <strong>la</strong> forma, si vedono le terz<strong>in</strong>e e <strong>la</strong> quart<strong>in</strong>a: ma<br />

<strong>la</strong> poesia è dest<strong>in</strong>ata all’orecchio, si trasmette nell’oralità e nel<strong>la</strong> memoria. Il teatro può essere una forma<br />

del<strong>la</strong> poesia, il non-luogo di un suono senza patria.<br />

Una significativa parentesi di <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e poetica è costituita da ROSENSTRAHL (1997) -letteralmente<br />

Lampo di Rosa - un testo scritto e realizzato a Monaco di Baviera <strong>la</strong> cui scrittura si re<strong>la</strong>zionava con una<br />

coreografia realizzata dal danzatore/coreografo tedesco Ludger Orlok. La struttura del testo, scritta<br />

orig<strong>in</strong>almente <strong>in</strong> italiano e tedesco, è quel<strong>la</strong> del collo<strong>qui</strong>o nel senso heideggeriano del term<strong>in</strong>e, ovvero “<strong>la</strong><br />

possibilità del par<strong>la</strong>re e dell’ascoltare”. Nel<strong>la</strong> tripartizione che reca a titolo tre domande – Wo die Rose?,<br />

Wo das Wort?, Wo der Name? – si evidenzia una genealogia poetica che attraverso tre citazioni <strong>in</strong>dica un<br />

def<strong>in</strong>ito ambito estetico: sono <strong>in</strong>fatti le citazioni di frammenti di Ce<strong>la</strong>n, Rilke e Hölderl<strong>in</strong> a disegnare il<br />

percorso tratteggiato dal <strong>la</strong>mpo di rosa. Scrittura per <strong>la</strong> voce e scrittura per il movimento disegnano<br />

l’impossibile luogo di un dialogo, <strong>qui</strong> affidato a coppie di danzatori e attori avidi di un possibile contatto<br />

fisico che permetta all’esperire artistico una via di accesso per <strong>la</strong> conoscenza dell’Altro da Sé.<br />

I sonetti shakespeariani dom<strong>in</strong>io del passato, aleggiano rivali e contendono al<strong>la</strong> poesia contemporanea <strong>la</strong><br />

felicità del<strong>la</strong> forma. Nel<strong>la</strong> cont<strong>in</strong>ua ricerca del suono orig<strong>in</strong>ario dopo aver smarrito <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> poetica,<br />

nell’impossibilità di afferrar<strong>la</strong> e arrestar<strong>la</strong>, SONETTO (1998) tenta, attraverso una metamorfosi del corpo<br />

testuale <strong>in</strong> corpo voce dell’attore, un percorso a ritroso: non più versi per comporre un sonetto nel<strong>la</strong><br />

c<strong>la</strong>ssica costruzione shakespeariana (tre quart<strong>in</strong>e e un distico f<strong>in</strong>ale), ma un’<strong>in</strong>tera forma di sonetto per<br />

costruire un solo verso. L’eccesso momentaneo del verso poetico nel<strong>la</strong> rappresentazione teatrale dunque<br />

è il motivo dom<strong>in</strong>ante del<strong>la</strong> scrittura poetica, compiuta attraverso una reale esperienza estetica <strong>in</strong>tesa<br />

come esperienza di sensibilità. Nel<strong>la</strong> rappresentazione, a qualunque livello, viene <strong>in</strong> luce, cioè si mostra,<br />

ciò che è. La rappresentazione è un evento di cui l’artista, l’esecutore, l’<strong>in</strong>terprete e lo spettatore sono<br />

partecipi. L’opera, evento teatrale compreso, è più vera del<strong>la</strong> realtà proprio <strong>in</strong> quanto è Gebilde, formaimmag<strong>in</strong>e,<br />

struttura compiuta e conchiusa, liberata dal<strong>la</strong> casualità e dall’<strong>in</strong>def<strong>in</strong>itezza che caratterizza<br />

l’esperienza quotidiana. La rivendicazione del<strong>la</strong> valenza di verità dell’esperienza estetica e dell’opera<br />

d’arte è fatta <strong>in</strong> nome dell’esperienza, non <strong>in</strong>tesa so<strong>la</strong>mente come approccio empirico, bensì nel senso di<br />

Erfahrung: è un esperire di verità che modifica effettivamente chi <strong>la</strong> fa. Sonetto si ispira a tre possibili<br />

vedute pittoriche di Friedrich, Hopper, Kle<strong>in</strong> che del<strong>in</strong>eano le situazioni di attesa, immobilità, salto. Il<br />

testo par<strong>la</strong> una l<strong>in</strong>gua sporca, rotta, compresa tra <strong>la</strong> sonorità dell’<strong>in</strong>glese e il tedesco del<strong>la</strong> traduzione di<br />

Paul Ce<strong>la</strong>n.<br />

Dopo l’atto estremo del salto, sospensione conclusiva di Sonetto <strong>la</strong> ricerca sul<strong>la</strong> forma è proseguita con<br />

POEMETTO (1999), una nuova, rigogliosa composizione poetica ispirata al<strong>la</strong> celebre opera<br />

shakespeariana Venus and Adonis. Incastonati nel parco metaforico del Venere e Adone, gli attori si<br />

muovono subendo <strong>la</strong> costrizione dello spazio scenico, brulicanti animali sotterranei governati nelle azioni<br />

dal meccanismo narrativo del poema shakespeariano. Nelle viscere del<strong>la</strong> terra come nelle viscere del<br />

proprio ventre, gli imenotteri poetanti sono al<strong>la</strong> ricerca de “<strong>la</strong> ciba paro<strong>la</strong>” nutrimento primario<br />

dell’esperienza estetica, osservati dall’alto da spettatori etologi. L’orig<strong>in</strong>e del verso è ora da ricercarsi<br />

seduti al<strong>la</strong> mensa del tempo e sul<strong>la</strong> bestia morta del proprio cuore: gli attori commensali di questa<br />

cerimonia r<strong>in</strong>novano <strong>in</strong><strong>in</strong>terrottamente l’atto estetico del<strong>la</strong> paro<strong>la</strong> poetica, residuo pulsante di versi<br />

<strong>in</strong>geriti, deglutiti e risputati. Rappresentazione di un rito antropofagico che <strong>in</strong>duce l’attore a misurarsi con<br />

<strong>la</strong> verità irrazionale dello stato animale, Poemetto <strong>in</strong>daga <strong>la</strong> forma del<strong>la</strong> narrazione <strong>in</strong> versi affidandosi al<br />

paesaggio shakespeariano di Venus and Adonais sottratto del suo riferimento mitologico.<br />

Con <strong>la</strong> messa <strong>in</strong> azione di GOLDBERG (2001) <strong>in</strong>sieme a Lenz Rifrazioni ho dato <strong>in</strong>izio ad un <strong>in</strong>teressante<br />

progetto di ricerca che sposta l’<strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e dal testo letterario e dal re<strong>la</strong>tivo autore ad un’opera di carattere<br />

musicale e al musicista che <strong>la</strong> ha composta. Goldberg si presenta come mobilità sonora di una sequenza<br />

<strong>in</strong> vari-azioni testuali strutturate secondo <strong>la</strong> celebre partitura di Johann Sebastian Bach. Nell’imporsi<br />

come visione di materia sonora, Goldberg sfugge alle regole del codice teatrale per piegarsi all’azione<br />

del<strong>la</strong> cont<strong>in</strong>uità vocale avvalendosi del<strong>la</strong> scrittura poetica come prassi compositiva ed esecutiva propria<br />

del<strong>la</strong> scrittura musicale. Il luogo del<strong>la</strong> poesia si misura con l’atopia dell'udibile che sempre è. Cr<strong>in</strong>ale del<strong>la</strong><br />

"montagna oro" (sono i versi con cui si chiudeva il precedente <strong>la</strong>voro poetico dedicato ad Archiloco e<br />

Hölderl<strong>in</strong>) Goldberg corre nell’oscurità abbac<strong>in</strong>ante del<strong>la</strong> conoscenza e canta le possibili variazioni del<br />

respiro che batte e del cuore che ansima. Nello spazio bianco dal riverbero abbagliante si r<strong>in</strong>nova <strong>la</strong><br />

vic<strong>in</strong>anza dello spettatore con le voci del<strong>la</strong> poesia, trasparenza occultante dell’estasi fonetica, ricerca<br />

dell’essente nel<strong>la</strong> dimensione temporale di ogni accadimento musicale. Goldberg dunque segna <strong>la</strong><br />

cont<strong>in</strong>uità dell’<strong>in</strong>novazione l<strong>in</strong>guistica del percorso <strong>in</strong>trapreso con <strong>la</strong> riflessione sulle grandi opere di poeti<br />

come Shakespeare, Hölderl<strong>in</strong>, Rilke e Ce<strong>la</strong>n.<br />

Ulteriore sosta nell’artico<strong>la</strong>to camm<strong>in</strong>o del progetto è QUARTETTO - Strategia del<strong>la</strong> passione.<br />

Strutturato secondo una sequenza di tre moviment-azioni poetiche legate al quartetto come organico<br />

compositivo ed esecutivo e ad alcune forme musicali come <strong>la</strong> variazione Quartetto muove le proprie<br />

parole, i propri gesti, i propri versi, secondo il fraseggio di quattro canti tra loro strutturati. Il testo, tra<br />

s<strong>in</strong>uose discont<strong>in</strong>uità e tortuose cont<strong>in</strong>uità, disegna <strong>la</strong> propria tessitura nelle oscil<strong>la</strong>zioni e nei frequenti<br />

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passaggi da voce a voce, da movimenti musicali a d<strong>in</strong>amiche gestuali: proprio come <strong>in</strong> un quartetto<br />

d’archi, le quattro voci, nel loro autonomo andamento formale, ne ridisegnano <strong>la</strong> sua unità strutturale e<br />

stilistica. I Adagio – primo movimento del<strong>la</strong> trilogia che compone QUARTETTO - muove il proprio canto<br />

dal lembo di terra già stratificata di parole, fruttificata di suoni, maturata nel<strong>la</strong> corteccia del tempo e<br />

contrappunta al tema del secondo movimento del quartetto “L’Imperatore” di F. J. Haydn: <strong>la</strong><br />

trasformazione di sonorità paesaggistiche <strong>in</strong> partiture ritmiche e timbriche impregna il giard<strong>in</strong>o poetico<br />

dell’azione poetante per giungere allo spazio del<strong>la</strong> paro<strong>la</strong> <strong>in</strong>terna, umida, del<strong>la</strong> fertilità poetica.<br />

II Andante e III Allegro volgono rispettivamente il loro canto alle acque del dentro giù, del corpobocca,<br />

sbocco naturale dell’umano ri-dire e all’aria del su, all’aria-cibo - nutrimento <strong>in</strong>dispensabile del<br />

paradisiaco sonare -. Il percorso del<strong>la</strong> paro<strong>la</strong> poetica cantante - dall’immaco<strong>la</strong>ta concezione, al<strong>la</strong><br />

gestazione, al<strong>la</strong> nascita - disegna il passionale it<strong>in</strong>erario delle geografie sentimentali degli attori non<br />

professionisti di questa azione poetante, unici possibili portatori del<strong>la</strong> santa <strong>in</strong>nocenza di ogni <strong>in</strong>dicibile.<br />

Costruita <strong>in</strong>vece sull’architettura formale del<strong>la</strong> celebre pag<strong>in</strong>a musicale bachiana “Herz und Mund und Tat<br />

und Leben”, CANTATA - liturgia del<strong>la</strong> passione rappresenta un ulteriore luogo di sosta del<strong>la</strong> paro<strong>la</strong><br />

poetante nel regno seducente e sfuggente dell’artificio teatrale.<br />

Nell’artico<strong>la</strong>ta successione di cori, arie, corali e recitativi, Cantata si compie nel solco del<strong>la</strong> terra feconda<br />

del<strong>la</strong> paro<strong>la</strong> sonante, nell’andare e tornare perpetuo e costante dell’attore al<strong>la</strong> prova con <strong>la</strong> verità del<strong>la</strong><br />

Poesia, f<strong>in</strong>o al suo uscirne dall’arato solco: è il momento del sublime delirare, canto supremo necessario<br />

al nutrimento primario del<strong>la</strong> poesia. Poesia come Liturgia. “Liturgia -come poesia- è splendore gratuito,<br />

spreco delicato, più necessario dell’utile. Essa è rego<strong>la</strong>ta da armoniose forme e ritmi che, ispirati al<strong>la</strong><br />

creazione, <strong>la</strong> superano nell’estasi”. Le parole di Crist<strong>in</strong>a Campo <strong>in</strong>corniciano questa cerimonia del<strong>la</strong><br />

paro<strong>la</strong>. Nel compimento liturgico dell’atto poetante emerge prepotente il disegno occultato di it<strong>in</strong>erari<br />

passionali che solcano gole avide, corpi sospesi e spigo<strong>la</strong>ti al<strong>la</strong> potenza squassante dell’attimo, paro<strong>la</strong><br />

orante che dimora l’attesa di un pieno risonante. ”Lode davvero tr<strong>in</strong>itaria, nel<strong>la</strong> quale il corpo è fatto<br />

sentimento, il cuore pensiero e l’<strong>in</strong>telletto azione”.<br />

Tutti i testi poetici f<strong>in</strong> <strong>qui</strong> del<strong>in</strong>eati e descritti nel<strong>la</strong> loro re<strong>la</strong>zione con <strong>la</strong> scena sono stati raccolti e<br />

pubblicati nel volume Lungo <strong>la</strong> vertebrata costa del cuore per i Quaderni del Battello Ebbro con una<br />

nota <strong>in</strong>troduttiva del grande poeta Pierluigi Bacch<strong>in</strong>i.<br />

In B - sette profili per un’architettutra sentimentale è il primo <strong>la</strong>voro del Progetto teatrale e<br />

musicale dedicato sempre a J. S. Bach, ma <strong>in</strong> partico<strong>la</strong>re al<strong>la</strong> celebre “Arte del<strong>la</strong> Fuga”: un percorso di<br />

ricerca volto ad <strong>in</strong>dagare <strong>in</strong> maniera approfondita l’artico<strong>la</strong>ta re<strong>la</strong>zione tra scrittura poetica, scrittura<br />

scenica e scrittura musicale.<br />

Come nel<strong>la</strong> celebre composizione bachiana l’ultima fuga - <strong>in</strong>compiuta - si costruisce sulle quattro note che<br />

costituiscono il nome Bach (nel<strong>la</strong> notazione tedesca il nome delle note è dato <strong>in</strong> lettere), anche il<br />

compimento formale del progetto scenico si attuerà <strong>in</strong> quattro dist<strong>in</strong>ti momenti teatrali, In B, In A, In C<br />

e In H.<br />

Dal topos al typos.<br />

La prima azione di In B - sette profili per un’architettutra sentimentale muove il corpo e <strong>la</strong> voce<br />

dell’attore secondo il modello di alcuni contrappunti che costituiscono l”Arte del<strong>la</strong> Fuga”. Il movimento<br />

dell’attore nello spazio scenico e nel luogo del testo compie un percorso di l<strong>in</strong>ee, sussulti e stasi come<br />

fosse il tracciato di un sismografo che registra violenti e spasmodici movimenti tellurici di un rosso topos<br />

sentimentale. La diafonìa, letteralmente <strong>la</strong> voce traverso, risponde del<strong>la</strong> rappresentazione grafica di un<br />

andamento fenomenico per cedere progressivamente all’arresto del<strong>la</strong> l<strong>in</strong>gua, ad una sorta di<br />

momentanea glossoplegìa, fondamento e misura <strong>in</strong>dispensabile per <strong>la</strong> costruzione dell’edificio<br />

sentimentale che accoglierà l’istante poetico.<br />

La seconda azione, In B - quattro contrappunti di un’architettura sentimentale, si costruisce<br />

secondo il modello di quattro voci che contrappuntano il movimento vocale al movimento spaziale proprio<br />

come l’<strong>in</strong>cedere del primo contrapunctus bachiano. La circo<strong>la</strong>rità compiuta dal<strong>la</strong> voce poetante del canto<br />

fermo <strong>in</strong> canto chiude il movimento ortogonale di altezze melodiche differenti: maschile, femm<strong>in</strong>ile e<br />

bianca. Il rigido contrappunto formale delle quattro voci restituisce non-mediato il canto viandante del<strong>la</strong><br />

poesia e del bàttuto core: “e ch’io cerc’anche’l canto altrove pur che’l cor mai voc’est<strong>in</strong>...gu...a”.<br />

In A - Vor de<strong>in</strong>en Thron tret’ ich (Davanti al tuo trono io sto): il percorso testuale di quest’ulteriore<br />

azione poetica si compie nell’ulteriore progressione di neo-scritture maturata nell’ambito di un percorso<br />

<strong>la</strong>boratoriale per giovani attori: una sorta di aumentazione didattica del verso secondo uno schema di<br />

carattere contrappuntistico. Protagonista di questa paro<strong>la</strong> “per aumentazione” rimane <strong>la</strong> domanda<br />

fondamentale sul<strong>la</strong> necessità del “canto” e del<strong>la</strong> sua vita, co<strong>in</strong>cidente con il mistero dell’arte e del<strong>la</strong> vita<br />

stessa. É dunque ancora una volta nell’acerbo corpo e nel<strong>la</strong> fragile bocca dell’attore “fuori forma” che <strong>la</strong><br />

poesia tenta il suo possibile cantarsi: tra sosta e camm<strong>in</strong>o, tra ristoro e <strong>in</strong>saziabilità.<br />

Dopo le due precedenti ricognizioni sull’Arte del<strong>la</strong> Fuga – che hanno prodotto i due eventi performativi “<strong>in</strong><br />

B – sette profili per un’architettura sentimentale”, “<strong>in</strong> A – Davanti al tuo trono io sono”, è<br />

seguito un altro momento di riflessione sul<strong>la</strong> conduzione del corpo poetico <strong>in</strong> scena e di una matematica<br />

del cuore attraverso “<strong>in</strong> C – elogio del<strong>la</strong> misura”. Il progetto prosegue con l’eventuale realizzazione di<br />

un’ulteriore tappa: “<strong>in</strong> H – titolo da def<strong>in</strong>ire”.<br />

Ultimo “approdo” scenico e poetico realizzato recentemente, ma ancora <strong>in</strong> corso d’opera – non è ultimata<br />

<strong>in</strong>fatti <strong>la</strong> scrittura del<strong>la</strong> terza parte e del<strong>la</strong> sua realizzazione scenica – è il confronto con <strong>la</strong> figura mitica e<br />

97


potente di Tristano, “abile cantore del core piangente e sapiente costruttore di versi, tra arma ed arpa ,<br />

tra canto e pianto”.<br />

Di questo Tristano contemporaneo, cantore per eccellenza - il cui testo si ispira al leggendario mito di<br />

Tristano di Gottfried von Strassburg - è stata riscritta l’assenza del gesto eroico cavalleresco per <strong>la</strong>sciare<br />

il posto al solo canto poetico, <strong>qui</strong> espresso come manifestazione vivente del canto del<strong>la</strong> contemporaneità,<br />

vale a dire del<strong>la</strong> Poesia come Necessità e Verità artistica dell’uomo.<br />

Una sorta di “a solo” cantato che si è realizzato nel primo Tristano. Canto al<strong>la</strong> Catena attraverso una<br />

serie di scritture liriche metamorfosate <strong>in</strong> canti: nel mare dell’anima l’<strong>in</strong>arrestabile navigazione del poeta<br />

approda al lido degli oscuri moti umani cantandone il mistero per poi salpare verso altre coste ignote,<br />

nel<strong>la</strong> perpetua necessità di poter sve<strong>la</strong>re il miracolo del<strong>la</strong> poesia. La potenza del<strong>la</strong> paro<strong>la</strong> poetica espressa<br />

attraverso <strong>la</strong> voce, il verso cantato e il corpo attivo e re-attivo dell’attore - dunque <strong>la</strong> dimensione oralesonora<br />

del verso detto ed ascoltato - apre ad un ventaglio di ulteriori possibilità di significati testuali<br />

altrimenti limitati e parziali se affrontati nel<strong>la</strong> comune scrittura e nel<strong>la</strong> lettura personale ed <strong>in</strong>dividuale.<br />

Scrittura che vede un suo semplificarsi, un suo estendersi e dipanarsi <strong>in</strong> Tristano. Canto al<strong>la</strong> Soglia: i<br />

pochi frammenti dialogici edificano, <strong>in</strong> un’azione di sprofondamento verso l’enigma dell’orig<strong>in</strong>e del canto<br />

poetico, l’<strong>in</strong>arrestabilità del moto del core che accompagna il poeta nelle ignote coste dell’anima. La<br />

richiesta di un approdo momentaneo, di una breve sosta per conoscere il mistero del<strong>la</strong> poesia - custodito<br />

nello scrigno del<strong>la</strong> sua stessa forra toracica -, fornisce al poeta <strong>la</strong> chiave di accesso al canto del giù,<br />

effimero suono che subito fugge e di nuovo si ce<strong>la</strong> nelle pieghe arroccate del ventre che sente.<br />

Adriano Engelbrecht<br />

98


LA TRILOGIA DI PASOLINI<br />

Tanto più grande il POEMA<br />

Tanto più grande il poeta…<br />

Non al contrario.<br />

E sei già un grande poeta, se chiedi con chi perderti. L’arte come opera che ti impedisca di <strong>in</strong>superbire.<br />

Ti dico che L’ARTE è LAMENTO<br />

Qualcosa per qualcuno, ma nul<strong>la</strong> per tutti<br />

Perché già per il solo sperare tu sei nel FUTURO<br />

C’è sempre qualcuno che ci sorpassa… perché anche l’amore non è che una parte del<strong>la</strong> nostra certezza…<br />

Armonia atonale …<br />

V<strong>la</strong>dimir Ho<strong>la</strong>n<br />

Una trilogia che racconta il nostro <strong>in</strong>contro con l’artista Pier Paolo Pasol<strong>in</strong>i e il suo Teatro, un viaggio con<br />

tre stazioni nel forse vano tentativo di conoscere l’uomo poeta, l’uomo regista, l’uomo <strong>in</strong>tellettuale,<br />

l’uomo Pier Paolo Pasol<strong>in</strong>i.<br />

Un viaggio importante <strong>in</strong>iziato tre anni fa, e che per <strong>in</strong>teri tre anni ci ha <strong>in</strong>segnato ogni giorno, nel<br />

tentativo di una comunione da condividere non solo tra di noi, ma con tutti quelli che hanno creduto <strong>in</strong><br />

questo progetto (produttori, distributori, amici) e non per ultimi gli spettatori che ci hanno seguito e <strong>in</strong><br />

qualche modo ci hanno aiutato nel<strong>la</strong> nostra ricerca e nello sforzo di avvic<strong>in</strong>arli ad un teatro che a prima<br />

lettura può sembrare ostico, e non per tutti; il loro esserci ci ha dato una speranza, e le forze di andare<br />

avanti. Un teatro che ci ha stimo<strong>la</strong>ti a cercare, risposte a domande più grandi di noi. Le risposte non sono<br />

arrivate, ma il <strong>la</strong>voro ci ha resi vivi, e ci ha conv<strong>in</strong>ti che il teatro di paro<strong>la</strong> è vivo come non mai,<br />

soprattutto <strong>in</strong> questa parentesi storica del<strong>la</strong> nostra Repubblica, del<strong>la</strong> storia del nostro paese che si<br />

affaccia a questo millennio, dove il torpore <strong>in</strong>tellettuale e politico dissem<strong>in</strong>a cadaveri ovunque. Oggi <strong>la</strong><br />

paro<strong>la</strong> non ha più coscienza. La paro<strong>la</strong> non ha un’anima. La paro<strong>la</strong> è vuota di tutto, <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> è menzogna.<br />

Ma è molto lontana da quel<strong>la</strong> menzogna necessaria, come ci suggerisce il poeta, per avvic<strong>in</strong>arci,<br />

accostarci ad una qualche verità. La paro<strong>la</strong> è conso<strong>la</strong>toria, ed è nel<strong>la</strong> conso<strong>la</strong>zione che il tutto si ferma…<br />

Nessuno più si chiede perché vivere… no, si vive e BASTA!! CHE PAURA! CHE VUOTO! In questo vuoto <strong>la</strong><br />

paro<strong>la</strong> di Pier Paolo Pasol<strong>in</strong>i torna a sgorgare nelle nostre vene, <strong>in</strong>cidersi sul nostro corpo, a farci credere<br />

ancora <strong>in</strong> una possibilità. Utopia NECESSARIA al<strong>la</strong> nostra voglia di vivere <strong>la</strong> vita dei teatranti. Viaggiatori,<br />

vettori di paro<strong>la</strong> e di idee da condividere con tutti quelli che hanno ancora voglia di ascoltare<br />

ATTIVAMENTE – SENZA SUBIRE.<br />

PILADE – PORCILE – BESTIA DA STILE : queste le mete scelte. Questi i luoghi di memoria visitati. Queste<br />

le tappe per provare a crescere, soprattutto per provare a migliorare.<br />

Pi<strong>la</strong>de, un’assemblea <strong>in</strong>tellettuale dove il pubblico partecipa ad una riunione, che spezza le parole e i<br />

corpi, e divide il pane del sapere con tutti gli ospiti. Qui <strong>la</strong> forma teatrale scelta è qualcosa che si avvic<strong>in</strong>a<br />

all’ essenza di un oratorio, e <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> diventa tutto, LA PAROLA è IL TEATRO, circoncisa nell’ascolto dei<br />

corpi di tutti gli spettatori disposti <strong>in</strong> un cerchio, attorno ad un tavolo altare, ma anche tavolo di<br />

un’osteria. Il cibo è <strong>la</strong> paro<strong>la</strong>. Il rapporto tra gli attori, l’autore, e gli spettatori è diretto, essenziale. La<br />

veglia è ascolto.<br />

In Porcile <strong>la</strong> regia si impone per tracciare una geometria dittatoriale, che gli attori dovranno percorrere e<br />

ripercorrere <strong>in</strong> una partitura di lucida e accecante borghesia. La paro<strong>la</strong> di Pier Paolo Pasol<strong>in</strong>i attacca sotto<br />

forma di teatro borghese, <strong>la</strong> borghesia stessa. Sceglie uno stile più riconoscibile, una storia raccontata<br />

con più semplicità, solo perché <strong>la</strong> borghesia possa rispecchiarsi, e riconoscersi nel<strong>la</strong> propria<br />

MOSTRUOSITÀ. Gli attori danno anima e corpo a dei disegni caricaturali. MASCHERE DI MOSTRUOSA<br />

UMANITÀ . CANCRO che contam<strong>in</strong>a ogni cosa. Pasol<strong>in</strong>i sa che questo Virus va colpito dall’<strong>in</strong>terno,<br />

combattuto all’<strong>in</strong>terno del pa<strong>la</strong>zzo, bisogna entrare nel ventre… Il corpo viene mangiato, per poi essere<br />

mangiato a sua volta. Il corpo del figlio. Il cannibalismo visto come arma di salvezza.<br />

Qui <strong>la</strong> regia cerca di imporsi, per cercare paletti, ostacoli da abbattere, forme e stili, contro una<br />

naturalezza quasi improvvisata dei due ragazzi – lì c’è <strong>la</strong> vita – il resto sono cadaveri, carogne putride e<br />

<strong>in</strong>fettate dal potere. Il rapporto con il pubblico per questa seconda stazione, è più c<strong>la</strong>ssico, poiché è <strong>in</strong><br />

questa c<strong>la</strong>ssicità che si crea <strong>la</strong> “lontananza” e <strong>qui</strong>ndi quel ghiaccio che conge<strong>la</strong> <strong>la</strong> discussione e <strong>la</strong> voglia<br />

di mettersi <strong>in</strong> discussione. In Porcile non c’è una comunione. Il rito è spiato e non condiviso.<br />

In Bestia da stile <strong>la</strong> regia è condivisa. La regia è <strong>la</strong> comunione necessaria al<strong>la</strong> ricerca. Il testo come<br />

esperimento è una opera D’ARTE. Poiché un’ autobiografia è <strong>la</strong> s<strong>in</strong>tesi artistica di un percorso di vita e<br />

come tale non può essere rappresentata, e nemmeno giudicata. Le domande poste sono di tutti, e tutti<br />

sentiamo <strong>la</strong> necessità di cercare e cercare, e ancora cercare, una risposta. Queste nostre domande sono<br />

da condividere con il pubblico:<br />

Perché BESTIA DA STILE?<br />

COSA VUOL DIRE RAPPRESENATRE una biografia, un percorso teatrale scritto per appunti?<br />

Appunti per un Inno … di che Inno si par<strong>la</strong>?<br />

È un funerale ad un autore, ad un’idea di teatro?<br />

99


È il funerale del<strong>la</strong> poesia. Cos’ è <strong>la</strong> poesia/ Cos’è il gesto poetico?<br />

POESIA – versi –<br />

I versi sono vettori di parole, di un’<strong>in</strong>timità – i versi non possono essere rappresentati. La paro<strong>la</strong> deve<br />

nascere, ogni volta come se venisse al<strong>la</strong> luce per <strong>la</strong> prima volta o come se fosse detta per <strong>la</strong> prima volta.<br />

L’ESSENZA.<br />

E <strong>la</strong> difficoltà di fare teatro, questo teatro, è sotto gli occhi di tutti. E i versi, come ci suggerisce <strong>la</strong> paro<strong>la</strong><br />

stessa, devono andare verso chi ascolta. Ecco un teatro da ascoltare, forse <strong>qui</strong> c’è <strong>la</strong> formu<strong>la</strong>. Una pura<br />

confessione. La regia è di tutti poiché <strong>in</strong> tutti noi c’è questo mettersi nudi, per provare ad arrivare allo<br />

scheletro, r<strong>in</strong>unciando agli orpelli, alle sovrastrutture.<br />

Un teatro fuori dal sipario per provare ad essere condiviso assieme agli ospiti che verranno ad ascoltarci.<br />

Un funerale del<strong>la</strong> poesia, che vede nel<strong>la</strong> poesia stessa, e nel<strong>la</strong> caverna dietro il sipario, una possibilità di<br />

resurrezione. Quel<strong>la</strong> resurrezione che non è solo dello spirito, ma è nell’uomo e nel suo struggente<br />

esserci. Sempre.<br />

UNA MESSA <strong>la</strong>ica – UN CONCERTO al<strong>la</strong> luce del giorno – Teatro non teatro –Gli attori sono chiamati ad<br />

essere paro<strong>la</strong> - piena. In una totale nudità registica – Il concetto dell’attore/autore non è solo un<br />

concetto, ma è un’idea di teatro – L’attore <strong>in</strong> questo testo, ancora più che negli altri, è chiamato ad<br />

essere regista di se stesso e autore dell’<strong>in</strong>tera opera.<br />

Il testo di Pier Paolo Pasol<strong>in</strong>i è un’opera d’arte che rompe ogni rego<strong>la</strong> e convenzione, ogni forma e stile,<br />

anzi è un viaggio negli stili per trovare l’essenza, <strong>la</strong> nudità del corpo e del<strong>la</strong> paro<strong>la</strong>. Uno sguardo non è<br />

sufficiente per raccontare “Bestia da stile”, occorre che lo sguardo sia di tutti coloro che raccontano,<br />

poiché solo così può avvenire una comunione culturale con gli spettatori.<br />

A volte nell’ossessione di cercare, <strong>la</strong> paura di trovare il nul<strong>la</strong> è tanta, ma proprio questa paura può<br />

aiutarci, forse è <strong>la</strong> paura che bisogna accettare, forse è <strong>la</strong> sconfitta, poiché nel<strong>la</strong> sconfitta non vi è <strong>la</strong><br />

morte, <strong>la</strong> sconfitta ci da ancora una possibilità. Ogni volta che c’è una sconfitta c’è una r<strong>in</strong>ascita.<br />

“Bestia da stile “ ancora vita e poesia .<br />

Ancora una r<strong>in</strong>ascita, un nuovo <strong>in</strong>contro, un INNAMORAMENTO. Un nuovo amore da vivere, da<br />

raccontare, da nutrire. Una nuova strada da seguire, un pensiero, un’idea, un appunto…<br />

Per un Inno al teatro di paro<strong>la</strong>. SACRO – Rito – Poetico.<br />

Ogni spettacolo ha una sua forma e una sua vita, ma nel proporre allo spettatore l’<strong>in</strong>tera trilogia, ci può<br />

essere quell’autentico scambio culturale tra l’autore, gli attori, e gli spettatori, tanto caro a Pier Paolo<br />

Pasol<strong>in</strong>i. Necessario e difficile, ma come dice Pasol<strong>in</strong>i è nel<strong>la</strong> grande difficoltà che c’è <strong>la</strong> vera Democrazia.<br />

Antonio Latel<strong>la</strong><br />

Presentiamo <strong>in</strong> appendice, per gentile concessione di Antonio Latel<strong>la</strong>, le note di regia del<strong>la</strong><br />

Trilogia Pasol<strong>in</strong>i.<br />

PILADE<br />

Una sconvolgente ed <strong>in</strong>term<strong>in</strong>abile maratona di versi che tolgono il fiato.<br />

Una marcia di l<strong>in</strong>eare musicalità con un timbro e un ritmo ossessivo, cadenzato dal susseguirsi delle<br />

parole, pari allo stillicidio di una goccia che con vibrante ossessività va a rompersi sul<strong>la</strong> pelle dei tamburi.<br />

Una rivoluzione di parole che creano una crepa <strong>in</strong> tutto ciò che non muta, nel<strong>la</strong> storia che si ripete con <strong>la</strong><br />

vergogna prevedibile del potere politico.<br />

Una poetica corsa al<strong>la</strong> ricerca di una luce da contrapporre al<strong>la</strong> luce accecante del<strong>la</strong> ragione. Il grande<br />

teatro di Pier Paolo Pasol<strong>in</strong>i è il teatro di paro<strong>la</strong>.<br />

La paro<strong>la</strong> diventa tutto: armi, architettura; diventa essa stessa lo spazio teatrale, il luogo scenico del<strong>la</strong><br />

mente dove gli uom<strong>in</strong>i si fermano ad ascoltare e a riflettere; dove il testo, gli attori, l’autore, il pubblico,<br />

sono messi al<strong>la</strong> pari; partecipano ad un grande abbraccio culturale, aff<strong>in</strong>ché il rito possa essere ancora<br />

una volta compiuto. Come dice Pasol<strong>in</strong>i nel suo Manifesto teatrale: “Il teatro di paro<strong>la</strong> non ha alcun<br />

<strong>in</strong>teresse spettaco<strong>la</strong>re, mondano, ecc., il suo unico <strong>in</strong>teresse è l’<strong>in</strong>teresse culturale, comune all’autore,<br />

agli attori e agli spettatori”. Il suo teatro non è e non sarà mai il teatro del chiacchiericcio, dell’urlo senza<br />

ragione d’essere. Una sfida avv<strong>in</strong>cente che i sei giovani attori che mi accompagnano <strong>in</strong> questo viaggio,<br />

accettano di affrontare con una totale adesione, aff<strong>in</strong>ché le loro anime possano essere paro<strong>la</strong>, e nel<strong>la</strong> loro<br />

mente il battito del cuore sia così forte da tentare <strong>la</strong> strada del<strong>la</strong> non ragione contro <strong>la</strong> ragione (come<br />

fanno i poeti, i folli, gli assass<strong>in</strong>i).<br />

Antonio Latel<strong>la</strong><br />

100


NUOVO TEATRO NUOVO<br />

<strong>in</strong> col<strong>la</strong>borazione con<br />

Teatro Out Off<br />

presenta<br />

PILADE<br />

di Pier Paolo Pasol<strong>in</strong>i<br />

con<br />

Marco Foschi, Pi<strong>la</strong>de<br />

Annibale Pavone, Coro<br />

Giuseppe papa, Contad<strong>in</strong>o<br />

Enrico Roccaforte, Ragazzo<br />

C<strong>in</strong>zia Spanò, Elettra<br />

Rosario Tedesco, Oreste<br />

costumi<br />

Crist<strong>in</strong>a Da Rold<br />

luci<br />

Alessandro Canali<br />

scenotecnica<br />

Alberto Bartol<strong>in</strong>i<br />

Sergio Cang<strong>in</strong>i<br />

tecnico luci<br />

Monica Gor<strong>la</strong><br />

assistenti<br />

C<strong>la</strong>udio Angelici<br />

Laura Giovann<strong>in</strong>i<br />

regia<br />

Antonio Latel<strong>la</strong><br />

***<br />

PORCILE<br />

Ancora una volta subisco l’<strong>in</strong>canto del<strong>la</strong> paro<strong>la</strong> di Pier Paolo Pasol<strong>in</strong>i unica e potente. Necessaria.<br />

Porcile è il secondo appuntamento con Pasol<strong>in</strong>i. L’anello che simbolicamente va ad unire o a far da ponte;<br />

tra il primo testo affrontato Pi<strong>la</strong>de e quello con cui chiuderemo il nostro percorso Bestia da stile.<br />

Testi potenti, vibranti, poiché <strong>in</strong> ogni verso c’è Pier Paolo Pasol<strong>in</strong>i, quasi come se fossero un<br />

autobiografia, illum<strong>in</strong>ante e allo stesso accecante, per <strong>la</strong> cruda verità tramutata <strong>in</strong> poetica…va<strong>la</strong>nghe di<br />

versi che tolgono il fiato.<br />

Un viaggio com<strong>in</strong>ciato da un anno, con i miei amici di sempre – con cui condivido le scelte degli autori e<br />

dei testi aff<strong>in</strong>chè ci sia adesione totale che ci co<strong>in</strong>volge <strong>in</strong> tutte le ore e <strong>in</strong> tutti i giorni.<br />

Così <strong>la</strong> ricerca si trasforma <strong>in</strong> discussione quotidiana, assemblea culturale dove l’<strong>in</strong>contro e lo scontro,<br />

diventano <strong>la</strong> forza motrice per <strong>la</strong> nostra crescita, forse come “artisti” o forse meglio come artigiani; ma<br />

sicuramente come uom<strong>in</strong>i sempre e costantemente <strong>in</strong> cerca.<br />

Con Porcile Pasol<strong>in</strong>i ci spiazza, ci diverte, ed <strong>in</strong> qualche modo ci fa tornare alle orig<strong>in</strong>i del teatro fatto per<br />

un pubblico borghese.<br />

In questo testo il poeta volutamente abbandona <strong>la</strong> potenza evocativa dei suoi versi, per accettare <strong>la</strong> sfida<br />

di un teatro dai dialoghi brevi, dal<strong>la</strong> scansione delle scene, dal tratteggio dei personaggi, appartenenti al<br />

teatro borghese.<br />

Quel teatro da lui stesso messo al<strong>la</strong> berl<strong>in</strong>a, <strong>qui</strong> chirurgicamente esplorato, <strong>in</strong>gigantito, per cercarne il<br />

male, il virus che lo ha <strong>in</strong>fettato e lo corrode dall’<strong>in</strong>terno, lo rende mostro accecato dal potere – <strong>la</strong> grande<br />

famiglia che con ost<strong>in</strong>azione, e con l’<strong>in</strong>ganno cont<strong>in</strong>ua a dom<strong>in</strong>are su tutto e su tutti.<br />

Ma <strong>la</strong> rivolta non si è fermata, con questo testo Pasol<strong>in</strong>i non ur<strong>la</strong> le sue parole fuori dalle mura del grande<br />

teatro; ma le sussurra dall’<strong>in</strong>terno, va dritto al cuore, al centro del<strong>la</strong> tavo<strong>la</strong> del<strong>la</strong> imponente casa<br />

borghese.<br />

Tutto ciò è quel che accade a Julian, il nostro eroe, protagonista di Porcile. Non basta più ur<strong>la</strong>re sotto le<br />

mura di Berl<strong>in</strong>o, con cartelli che sono solo parole scritte ma presto dimenticate, o assolutamente<br />

101


fuorvianti, tipo “ABBASSO DIO” … per risolvere il problema bisogna per esempio per prima cosa accettare<br />

ciò che si è, <strong>la</strong> nostra nascita. Figli di: “operai, contad<strong>in</strong>i, borghesi” non dimenticare <strong>la</strong> radice perché è<br />

quel<strong>la</strong> che ci ha fatto essere, e se <strong>la</strong> radice è marcia è da lì che bisogna com<strong>in</strong>ciare.<br />

Julian prova tutti i modi per farsi sentire, e <strong>la</strong> vera rivoluzione si fa con il silenzio – IL DIGIUNO TOTALE<br />

DELLE PAROLE.<br />

Il silenzio destabilizza, fa perdere il controllo, rende impotenti i potenti, poiché non sanno come, cosa,<br />

che colpire.<br />

Al<strong>la</strong> f<strong>in</strong>e il silenzio si trasforma <strong>in</strong> verbo, <strong>in</strong> carne, per essere divorato ed andare ad annidarsi nel corpo<br />

ma<strong>la</strong>to di chi ci ha dato <strong>la</strong> vita e che ci vuole vedere crescere già morti.<br />

N.T.N. Nuovo Teatro Nuovo<br />

Teatro Stabile di Innovazione<br />

<strong>in</strong> col<strong>la</strong>borazione con<br />

Festival di Salisburgo/Young Directors Project<br />

presenta<br />

PORCILE<br />

di Pier Paolo Pasol<strong>in</strong>i<br />

con<br />

Julian<br />

Annibale Pavone<br />

Ida<br />

Stefania Troise<br />

Padre<br />

Marco Foschi<br />

Madre<br />

C<strong>in</strong>zia Spanò<br />

Hans Guenther<br />

Mauro Pescio<br />

Herdhitze<br />

Rosario Tedesco<br />

C<strong>la</strong>uberg (ex D<strong>in</strong>g)<br />

Giuseppe Lan<strong>in</strong>o<br />

Servo<br />

Enrico Roccaforte<br />

Antonio Latel<strong>la</strong><br />

Sp<strong>in</strong>oza<br />

Rosario Tedesco, Marco Foschi, C<strong>in</strong>zia Spanò, Mauro Pescio, Stefania Troise, Giovanni Prisco, Giuseppe Lan<strong>in</strong>o,<br />

Giuseppe Papa<br />

Wolfram<br />

Giovanni Prisco<br />

Maracchione<br />

Giuseppe Papa<br />

Scene<br />

Me<strong>la</strong> dell’Erba<br />

Costumi<br />

Crist<strong>in</strong>a Da Rold<br />

Suono<br />

Franco Visioli<br />

Disegno luci<br />

102


Giorgio Cervesi Ripa<br />

Realizzazione scene<br />

Clelio Alf<strong>in</strong>ito<br />

Costumista realizzatrice<br />

Gabriel<strong>la</strong> Campagna<br />

Regista assistente<br />

Tommaso Tuzzoli<br />

Regia<br />

Antonio Latel<strong>la</strong><br />

Debutto<br />

Festival di Salisburgo Young Directors Project Teatro Republic 8 agosto 2003<br />

***<br />

BESTIA DA STILE<br />

Tanto più grande il POEMA<br />

Tanto più grande il poeta…<br />

Non al contrario.<br />

E sei già un grande poeta, se chiedi con chi perderti. L’arte come opera che ti impedisca di <strong>in</strong>superbire.<br />

Ti dico che L’ARTE è LAMENTO<br />

Qualcosa per qualcuno, ma nul<strong>la</strong> per tutti<br />

Perché già per il solo sperare tu sei nel FUTURO<br />

C’è sempre qualcuno che ci sorpassa… perché anche l’amore non è che una parte del<strong>la</strong> nostra certezza…<br />

Armonia atonale …<br />

V<strong>la</strong>dimir Ho<strong>la</strong>n<br />

“Bestia da stile” un testo non testo. Un’opera teatrale che attraversando frantuma tutte le regole e le<br />

forme di scrittura teatrale.<br />

Una sorta di biografia, di testamento, dove lo stesso Pier Paolo Pasol<strong>in</strong>i, si schiera <strong>in</strong> prima l<strong>in</strong>ea,<br />

raccontando una storia e rive<strong>la</strong>ndosi <strong>in</strong> questa non storia abitata da un universo di morti, che vide, nel<strong>la</strong><br />

primavera di Praga, <strong>la</strong> f<strong>in</strong>e del Comunismo.<br />

Non ci sono personaggi ma solo fantasmi, e <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> prende forma solo attraverso i ricordi e <strong>la</strong> morte.<br />

I versi sono vettori di parole, di un’<strong>in</strong>timità – i versi non possono essere riprodotti, possono essere solo<br />

ripetuti a tutti coloro che con <strong>la</strong> propria presenza celebrano il rito teatrale: attori e spettatori.<br />

La paro<strong>la</strong> deve nascere, venire al<strong>la</strong> luce, e ogni volta deve essere detta per <strong>la</strong> prima volta. L’ESSENZA.<br />

La difficoltà di fare teatro, questo teatro, è sotto gli occhi di tutti.<br />

I versi, come ci suggerisce <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> stessa, devono andare verso chi ascolta. Un teatro da ascoltare,<br />

forse <strong>qui</strong> c’è <strong>la</strong> formu<strong>la</strong>. Una pura confessione.<br />

La regia è condivisa con i miei amici-attori. La regia è <strong>la</strong> comunione necessaria al<strong>la</strong> ricerca. La regia è di<br />

tutti poiché <strong>in</strong> tutti noi c’è questo mettersi nudi, per provare ad arrivare allo scheletro, r<strong>in</strong>unciando agli<br />

orpelli, alle sovrastrutture.<br />

Un teatro fuori dal sipario per provare ad essere condiviso assieme agli ospiti che verranno ad ascoltarci.<br />

Un funerale del<strong>la</strong> poesia, che vede nel<strong>la</strong> poesia stessa, e nel<strong>la</strong> caverna dietro il sipario, una possibilità di<br />

resurrezione. Quel<strong>la</strong> resurrezione che non è solo dello spirito, ma è nell’uomo e nel suo struggente<br />

esserci. Sempre.<br />

UNA MESSA <strong>la</strong>ica – UN CONCERTO al<strong>la</strong> luce del giorno – Teatro non teatro –Gli attori chiamati ad essere<br />

paro<strong>la</strong> - piena. In una totale nudità registica – Il concetto dell’attore/autore non è solo un concetto, ma è<br />

un’idea di teatro.<br />

Il testo di Pier Paolo Pasol<strong>in</strong>i è un’opera d’arte che rompe ogni rego<strong>la</strong> e convenzione, ogni forma e stile,<br />

anzi è un viaggio negli stili per trovare l’essenza, <strong>la</strong> nudità del corpo nel<strong>la</strong> paro<strong>la</strong> stessa.<br />

Un unico sguardo non è sufficiente per raccontare “Bestia da stile”, occorre che lo sguardo sia di tutti<br />

coloro che raccontano, poiché solo così può avvenire una comunione culturale con gli spettatori.<br />

A volte nell’ossessione di cercare, <strong>la</strong> paura di trovare il nul<strong>la</strong> è tanta, ma proprio questa paura ci aiuta ad<br />

accettare <strong>la</strong> sconfitta, poiché nel<strong>la</strong> sconfitta non vi è <strong>la</strong> morte, <strong>la</strong> sconfitta è l’ altra possibilità. Ogni volta<br />

che c’è una sconfitta c’è una r<strong>in</strong>ascita.<br />

“Bestia da stile” ancora vita e poesia .<br />

103


Ancora una r<strong>in</strong>ascita, un nuovo <strong>in</strong>contro, un INNAMORAMENTO.<br />

Un nuovo amore da vivere, da raccontare, da nutrire. Una nuova strada da seguire, un pensiero, un’idea,<br />

un appunto…<br />

Per un Inno al teatro di paro<strong>la</strong>. SACRO – Rito - Poetico. Necessario e difficile, il solo ad essere, come<br />

afferma lo stesso Pasol<strong>in</strong>i, teatro democratico.<br />

Nuovo Teatro Nuovo Teatro Stabile di Innovazione / Teatro Stabile dell’Umbria / La Biennale di Venezia<br />

presentano<br />

Bestia da Stile<br />

di<br />

Pier Paolo Pasol<strong>in</strong>i<br />

Antonio Latel<strong>la</strong><br />

Jan Marco Foschi<br />

Sorel<strong>la</strong> Stefania Troise<br />

Madre C<strong>in</strong>zia Spanò<br />

Padre Rosario Tedesco<br />

Karel Enrico Roccaforte<br />

Novomesky Annibale Pavone<br />

Ragazzo Partigiano Giuseppe Lan<strong>in</strong>o<br />

Il Capitale Rosario Tedesco<br />

La Rivoluzione Giuseppe Massa<br />

Coro Marco Caccio<strong>la</strong>, Giuseppe Lan<strong>in</strong>o, Marco Mart<strong>in</strong>i,Giuseppe Massa, Giuseppe Papa, Annibale Pavone, Mauro<br />

Pescio, Giovanni Prisco, Enrico Roccaforte, Rosario Tedesco, C<strong>in</strong>zia Spanò, Stefania Troise<br />

Costumi Crist<strong>in</strong>a Da Rold<br />

Disegno luci Giorgio Cervesi Ripa<br />

Suono Franco Visioli<br />

Realizzazioni sceniche Clelio Alf<strong>in</strong>ito<br />

Sarta di compagnia Gabriel<strong>la</strong> Campagna<br />

Foto di scena Alessandro Giuliano<br />

Ufficio Stampa Roberta Rem<br />

Regista assistente Tommaso Tuzzoli<br />

Regia di gruppo a cura di Antonio Latel<strong>la</strong><br />

debutto Biennale di Venezia – 36. Festival Internazionale del Teatro –<br />

Teatro Piccolo Arsenale - 22 settembre 2004<br />

104


DOVE SI TROVA IL TEATRO DI POESIA?<br />

Che cosa è il teatro di poesia?<br />

Esiste, è qualcosa di def<strong>in</strong>ito o def<strong>in</strong>ibile, o è piuttosto una def<strong>in</strong>izione che si presta a mille significati, che<br />

può essere maneggiata e modificata da chiunque assumendo facce diverse?<br />

Guardo <strong>in</strong>dietro, <strong>in</strong> questi anni di vita che ho alle spalle, e mi dico: quando ho assistito ad un teatro di<br />

poesia? Ne ho conoscenza? Che ricordo ne ho? Ho poi provato, <strong>in</strong> qualche modo, a praticarlo?<br />

Vediamo un po’, posso fare due cose:<br />

<strong>la</strong> prima è dare un significato preciso al<strong>la</strong> def<strong>in</strong>izione di partenza, “teatro di poesia”, e poi,<br />

analiticamente, stabilire quali spettacoli, o attori, o meglio quali momenti teatrali che io abbia visto nel<strong>la</strong><br />

mia vita rientr<strong>in</strong>o nei term<strong>in</strong>i del<strong>la</strong> def<strong>in</strong>izione <strong>in</strong>iziale.<br />

Oppure posso procedere al contrario: senza dare alcun significato preciso al<strong>la</strong> def<strong>in</strong>izione di partenza,<br />

<strong>la</strong>scio che il mio ist<strong>in</strong>to porti davanti agli occhi del<strong>la</strong> memoria tutto quello che associa alle parole “teatro<br />

di poesia” e, una volta che il mio ist<strong>in</strong>to ha dato le sue risposte, confrontandole tra loro def<strong>in</strong>isco che cosa<br />

è il “teatro di poesia”.<br />

Se i miei ricordi sco<strong>la</strong>stici non mi <strong>in</strong>gannano, si tratta di arrivarci per deduzione o per <strong>in</strong>duzione, ecco,<br />

qualcosa del genere.<br />

Voglio com<strong>in</strong>ciare dal secondo procedimento (quello che come si vedrà pone i problemi maggiori)<br />

chiedendomi:<br />

quando nel<strong>la</strong> mia vita ho visto, <strong>in</strong>contrato, conosciuto, esperito, un “teatro di poesia”?<br />

Ed ecco, senza aver dato nessuna def<strong>in</strong>izione prelim<strong>in</strong>are di “teatro di poesia”, cosa <strong>la</strong> mia memoria<br />

associa a quelle parole:<br />

ricordo il momento dell’”Amleto” di Nekrosius, <strong>in</strong> cui il grosso pezzo di ghiaccio, simbolo dello spettacolo,<br />

si scioglie.<br />

Ricordo, ancora con Nekrosius, ma nel suo “Faust”, una scena sconvolgente <strong>in</strong> cui Faust viene irretito<br />

dentro un elettroencefalogramma lum<strong>in</strong>escente di corde danzanti, che, al ritmo s<strong>in</strong>copato di femm<strong>in</strong>ili<br />

fonemi, lo costr<strong>in</strong>gono a rendere l’anima.<br />

Ricordo Pippo Delbono che legge un foglietto, e poi ur<strong>la</strong>, ripete parole, tutto esplode, e mi pare che tutti<br />

nel pubblico siano presi da brividi violenti.<br />

Ricordo Danio Manfred<strong>in</strong>i che, al<strong>la</strong> f<strong>in</strong>e de “La notte poco prima del<strong>la</strong> foresta” di Koltès, si libera <strong>in</strong> una<br />

danza, ed io vedo dist<strong>in</strong>tamente che a muoversi sul<strong>la</strong> scena c’è un angelo e non più un uomo, e tutte le<br />

cord<strong>in</strong>ate spazio-temporali vacil<strong>la</strong>no, e di nuovo scendono <strong>la</strong>crime, e <strong>la</strong> bocca si apre.<br />

Ne “La scimia” di Emma Dante, ricordo solo un momento, ma fulm<strong>in</strong>ante: quando <strong>la</strong> scimmia, appunto,<br />

appare per un attimo crocifissa e penzo<strong>la</strong>nte, prima di sparire <strong>in</strong> un gioco di luce, ed io sento, ecco sì,<br />

una possibile visione di Dio.<br />

Mi fermo (è già un cas<strong>in</strong>o..), e mi dico: perché ho associato questi ricordi alle parole di partenza “Teatro<br />

di poesia”? Cosa hanno <strong>in</strong> comune questi momenti? A quale (discutibilissima) def<strong>in</strong>izione di “Teatro di<br />

poesia” giungerei basandomi su queste associazioni ist<strong>in</strong>tive?<br />

Scelgo una paro<strong>la</strong> chiave per ogni ricordo, ed ecco che cosa ne esce:<br />

Si scioglie/ rende l’anima/ brividi violenti/ un angelo/ visione di Dio.<br />

Oh mamma.<br />

Siamo caduti nel misticismo..<br />

Eppure sì, c’è qualcosa che mi corrisponde <strong>in</strong> questo gioco.<br />

E <strong>la</strong> def<strong>in</strong>izione <strong>in</strong>dotta suonerebbe, diciamo, più o meno così:<br />

def<strong>in</strong>isco teatro di poesia, quel teatro che, attraverso immag<strong>in</strong>i, azioni, parole, situazioni, arriva a<br />

generare uno “spostamento”, una “caduta”, un passaggio dall’ord<strong>in</strong>aria realtà (del<strong>la</strong> ragione) ad una altra<br />

realtà, fatta di sensazioni, visioni, violente scosse, cadute, rimembranze.<br />

Per essere ancora più radicale (ed onesto), dovrei dire: def<strong>in</strong>isco “Teatro di poesia” quel teatro che ci<br />

ricorda, anche solo per un attimo, che “<strong>la</strong> realtà” non è quel<strong>la</strong> del<strong>la</strong> ragione e del<strong>la</strong> mente lucida, bensì<br />

un’altra più profonda ed <strong>in</strong>def<strong>in</strong>ibile, nel<strong>la</strong> quale non possiamo che perderci, abbandonarci, che porta<br />

dritta verso il sacro, <strong>la</strong> morte, Dio, lo stato animale, l’<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito, il mistero, <strong>la</strong> perdita dell’”io”, l’assoluto.<br />

Kantor diceva: <strong>la</strong> mia def<strong>in</strong>izione di teatro è una def<strong>in</strong>izione poetica e mistica, il mio è un teatro nel quale<br />

<strong>la</strong> Realtà si trova cont<strong>in</strong>uamente messa <strong>in</strong> crisi, su un Conf<strong>in</strong>e tra due mondi, quello dei vivi e quello dei<br />

non-vivi, e su questo Conf<strong>in</strong>e <strong>la</strong> Realtà è <strong>in</strong> perenne confronto con le Troupe del Circo del<strong>la</strong> Morte.<br />

Ma giunti a questo punto…<br />

Giunti a questo punto direi di abbandonare, sul più bello, l’analisi <strong>in</strong>duttiva (ahimè dove non ci ha<br />

portato..) per passare al<strong>la</strong> più rassicurante analisi deduttiva, e poi fare un confronto.<br />

Ricom<strong>in</strong>cio <strong>qui</strong>ndi da capo, dando però questa volta una def<strong>in</strong>izione di partenza, possibilmente sensata, di<br />

cosa sia, esattamente, il “Teatro di poesia”. E cercando di essere semplice.<br />

Ecco, facciamo così:<br />

“Teatro di poesia” è quel teatro che mette <strong>in</strong> scena, anziché un testo <strong>in</strong> prosa, un testo <strong>in</strong> versi.<br />

Più semplice di così!<br />

Ma…e l’annoso problema delle traduzioni? E Shakespeare? E i tragici greci? O, per dirne uno di oggi,<br />

He<strong>in</strong>er Müller?<br />

105


Sono o non sono ”teatro di poesia”? Se i versi sono <strong>la</strong> discrim<strong>in</strong>ante…<strong>la</strong> def<strong>in</strong>izione è piuttosto <strong>la</strong>bile e<br />

mobile..<br />

Hmmm..<br />

Proviamo allora così:<br />

“Teatro di poesia” è quel teatro che mette <strong>in</strong> scena, anziché un testo scritto e pensato per il teatro, un<br />

testo poetico (ma non necessariamente <strong>in</strong> versi) scritto e pensato per <strong>la</strong> lettura o tutt’al più per <strong>la</strong><br />

“dec<strong>la</strong>mazione”, e cioè per <strong>la</strong> lettura ad alta voce.<br />

Sì, forse va meglio.. ma è <strong>in</strong>teressante?<br />

Diciamo che mi piacerebbe arrivare ad una s<strong>in</strong>tesi tra le due def<strong>in</strong>izioni (quel<strong>la</strong> <strong>in</strong>duttiva e quel<strong>la</strong><br />

deduttiva), per provare a giungere a qualcosa che sia personale, e anche che mi corrisponda se guardo a<br />

quelle poche cose che ho provato a fare nel mio <strong>la</strong>voro.<br />

E allora, proviamo così:<br />

def<strong>in</strong>isco teatro di poesia, quel teatro che utilizza testi poetici (non scritti per il teatro) come uno dei<br />

mezzi per ottenere “uno spostamento”, per generare un corto circuito, per far <strong>in</strong>tuire uno stato di realtà<br />

“altro” da quello ord<strong>in</strong>ario, per mettere per un momento <strong>in</strong> crisi le certezze (o le <strong>in</strong>certezze) del<strong>la</strong> ragione,<br />

e far <strong>in</strong>tuire uno sfondo mistico-poetico percepito semplicemente come “qualcos’altro”.<br />

Ecco.<br />

In teatro, mi trovo a pensare al<strong>la</strong> poesia come ad un mezzo.<br />

Un mezzo che aiuta a portare “da qualche altra parte”.<br />

Insieme all’azione, al<strong>la</strong> eventuale trama, al<strong>la</strong> recitazione, alle immag<strong>in</strong>i, alle luci, al<strong>la</strong> musica..<br />

Ma non def<strong>in</strong>irei, ad esempio, “teatro di poesia” un teatro <strong>in</strong> cui uno o più attori sono <strong>in</strong> piedi a leggio, e<br />

dec<strong>la</strong>mano versi o poemi. Per quanto possa essere, ovviamente, meraviglioso.<br />

Penso <strong>in</strong>vece a quando <strong>la</strong> poesia, il verso, <strong>la</strong> visione letteraria, attraverso <strong>la</strong> loro “messa <strong>in</strong> scena” si<br />

fanno tramite verso un altrove, verso un altro stato.<br />

Nel mio breve percorso registico, <strong>in</strong> due occasioni ho provato ad utilizzare <strong>la</strong> poesia <strong>in</strong> teatro.<br />

La prima volta, <strong>in</strong> uno spettacolo che si chiama “Morte per acqua”, sono partito da “The waste <strong>la</strong>nd” di T.<br />

S. Eliot. I personaggi messi <strong>in</strong> scena erano immag<strong>in</strong>ati nell’attimo di una mitica, archetipica, universale<br />

“morte per acqua”(con tanto di catastrofe ambientale e dati scientifici al<strong>la</strong>rmanti), e gli squarci poetici (e<br />

profetici) di Eliot erano visti come rimembranze di episodi delle loro vite, che prendevano forma nel<strong>la</strong><br />

memoria (e <strong>qui</strong>ndi <strong>in</strong> scena ) nell’attimo di<strong>la</strong>tato del<strong>la</strong> F<strong>in</strong>e.<br />

In un altro spettacolo, “Fuoco!”, ho <strong>in</strong>nestato <strong>in</strong> un racconto di H. Müller, “Ouverture russa”, un<br />

montaggio di poemi di V. Majakowskij (La nuvo<strong>la</strong> <strong>in</strong> calzoni, Amo, Guerra e universo, Lettera al<br />

compagno Kastrov, A voi!). La storia raccontata da H. Müller narra di un comandante dell’Armata Rossa,<br />

che nell’ottobre del 41, condanna a morte un proprio soldato colpevole di essersi sparato ad una mano<br />

per evitare <strong>la</strong> battaglia con le truppe tedesche.<br />

Ma quando il soldato condannato, nell’ultima ora prima delle sua fuci<strong>la</strong>zione, si trova a ricordare e<br />

rivivere gli episodi più importanti del<strong>la</strong> propria vita, ecco che, <strong>in</strong> scena, sono i poemi di Majakowskij a<br />

dare voce a questi ricordi, sebbene il soldato non possa essere evidentemente Majakowskij, non foss’altro<br />

perchè nel 1941 il poeta russo era morto da tempo.<br />

In entrambi i casi, ho evidentemente “tradito” <strong>la</strong> fonte poetica, certamente <strong>la</strong> ho utilizzata, montando<strong>la</strong> <strong>in</strong><br />

una costruzione teatrale lontanissima dal contesto orig<strong>in</strong>ario, cercando <strong>in</strong> compenso di cavarne al meglio<br />

<strong>la</strong> potenzialità teatrale e immag<strong>in</strong>ifica.<br />

Mi sono messo a metà tra <strong>la</strong> vita e <strong>la</strong> morte, tra <strong>la</strong> storia e <strong>la</strong> fantasia, tra l’attimo concreto e l’eterno, e<br />

<strong>in</strong> quello spazio senza nome mi sono affidato al<strong>la</strong> poesia per cont<strong>in</strong>uare a “dire”.<br />

Non sta ovviamente a me stabilire se e quanto ci sono riuscito, ma posso senz’altro dire che <strong>la</strong> maggior<br />

parte del pubblico ha dimostrato, pur nell’ovvia difficoltà <strong>in</strong>iziale, di appassionarsi al<strong>la</strong> poesia e di<br />

abbandonarvisi.<br />

La paro<strong>la</strong> poetica, il verso, si portano dentro per natura una destrutturazione ed una potenzialità<br />

“mistiche”, hanno <strong>in</strong> sé <strong>la</strong> naturale disposizione a disattivare certi meccanismi di percezione per attivarne<br />

altri, più complessi e profondi.<br />

Portano, <strong>in</strong>somma, di per sé “da un’altra parte”.<br />

In ciò generano anche, ovviamente, una resistenza ed un <strong>in</strong>iziale rifiuto.<br />

Ecco perché <strong>la</strong> poesia <strong>in</strong> teatro mi affasc<strong>in</strong>a tanto.<br />

Ecco perché mi trovo spesso a legger<strong>la</strong>, ed ecco perché quando <strong>la</strong> riconosco, da spettatore, un brivido di<br />

riconoscenza e gratitud<strong>in</strong>e profonda mi prende verso coloro che hanno saputo creare, come si dice, “un<br />

attimo di poesia”, un attimo cioè che mi ha saputo portare “da un’altra parte”, <strong>la</strong>ddove <strong>la</strong> sensazione di<br />

“esistere” si fa <strong>in</strong>tensa, violenta, magica, spaventosa.<br />

È rimasto, oggi, solo il teatro a poter svolgere questa funzione (parlo del teatro come sede,<br />

comprendendo <strong>qui</strong>ndi anche <strong>la</strong> danza e <strong>la</strong> lirica).<br />

Tutti gli altri media fanno esattamente l’opposto.<br />

Ci ricordano che non c’è nient’altro, oltre all’evidente. Che tutto è chiaro e delimitato.<br />

Cosa possiamo fare? Niente, se non rimuovere <strong>la</strong> morte (e tutte le domande che <strong>la</strong> morte pone) e nel<br />

frattempo godere, “ammazzare il tempo”, provare a v<strong>in</strong>cere, “diventare qualcuno”, uccidere.<br />

Poi morire, certo.<br />

Non c’è fede <strong>in</strong> nul<strong>la</strong>, solo una atrofizzata, puzzolente pratica religiosa che si spaccia per fede.<br />

106


Non c’è Sacro, non c’è mistero, non c’è magia, non c’è, oltre al<strong>la</strong> faccia offesa del<strong>la</strong> Terra, nient’altro.<br />

Come se sapere che siamo <strong>in</strong> una delle <strong>in</strong>numerevoli ga<strong>la</strong>ssie <strong>in</strong> esplosione dentro un <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito spaziotempo,<br />

togliesse diritto ad ogni domanda, ad ogni dubbio, ad ogni mistero.<br />

È tutto chiaro.<br />

È solo per contrappormi a questa terrificante visione, che è quel<strong>la</strong> del nostro tempo, che credo<br />

nell’importanza di un teatro di poesia.<br />

Che nel mio piccolissimo cerco di praticarlo, ossia di <strong>in</strong>seguirlo.<br />

Che r<strong>in</strong>grazio e amo, davvero, coloro che riescono a realizzarlo.<br />

Paolo Mazzarelli<br />

107


GLI AUTORI<br />

108


Il teatro dei poeti<br />

109


IL REPARTO<br />

No… non è vero che parlo troppo.<br />

Invece si potrebbe dire<br />

che sciupo il tempo <strong>in</strong> piccoli silenzi che non servono.<br />

Ma non servono a chi?<br />

A mia madre che una volta per tutte vorrebbe capire come sono fatto?<br />

È…<br />

… che sono fatto troppo male.<br />

E lo sanno benissimo gli <strong>in</strong>fermieri che mi trasportano da un reparto all’altro<br />

(dal<strong>la</strong> cuc<strong>in</strong>a all’astanteria).<br />

Lo sa<br />

quel<strong>la</strong> donna bellissima che si taglia le unghie con una trousse giocattolo<br />

e che si pett<strong>in</strong>a con un oggetto quasi <strong>in</strong>sensato (una specie di mezzaluna).<br />

*<br />

Non odio nessuno<br />

<strong>qui</strong>.<br />

Nemmeno <strong>la</strong> Caposa<strong>la</strong><br />

che è spietata con noi<br />

e ci leva gli oggetti di mano anche se è chiaro che lei<br />

ad esempio<br />

con quel<strong>la</strong> specie di mezzaluna non saprebbe farci niente.<br />

Io comunque <strong>la</strong> guardo negli occhi con le pupille ferme e tonde<br />

poi le tocco una gota con due dita come volessi darle un buffetto<br />

e le dico:<br />

– Pensa che sia <strong>in</strong>grassato?<br />

Mi guardi bene. Non abbia fretta di rispondere.<br />

Il peso è un’op<strong>in</strong>ione di una certa coerenza<br />

e le bi<strong>la</strong>nce sono strumenti <strong>in</strong>certi e quasi trepidanti.<br />

Hanno senz’altro un cuore troppo delicato.<br />

E poi…<br />

non ti guardano mai negli occhi.<br />

*<br />

La Caposa<strong>la</strong> mi sorride o non mi sorride?<br />

Direi…<br />

che non lo sa nessuno.<br />

E certe cose è meglio che rimangano un segreto<br />

perché tutti d’un tratto sarebbero gelosi e <strong>in</strong>somma…<br />

si sentirebbero esclusi da questa vita che non può uscire dalle f<strong>in</strong>estre<br />

ma che si apposta dietro le tende per guardare fuori<br />

e magari<br />

si accontenta di immag<strong>in</strong>are il giard<strong>in</strong>iere che <strong>in</strong>vece di tagliare i fiori morti<br />

muove le forbici a caso.<br />

*<br />

È un posto dove non ci sono bamb<strong>in</strong>i.<br />

E anche <strong>la</strong> donna che si taglia le unghie non è più giovanissima.<br />

Anzi è una donna anziana e le unghie se le taglia un po’ male.<br />

(Sarà che non si piega bene<br />

o…<br />

non ci vede abbastanza).<br />

110


Potrei aiutar<strong>la</strong> ma credo che lei non vorrebbe.<br />

Non mi conosce affatto eppure pensa<br />

che f<strong>in</strong>irei per perdere<br />

quasi subito <strong>la</strong> pazienza.<br />

(E<br />

con le forbici <strong>in</strong> mano uno diventa pericoloso<br />

non è vero?)<br />

No<br />

non è vero<br />

perché io sono il più buono del mondo<br />

e a mia sorel<strong>la</strong> Elvira non ho mai torto un capello.<br />

Nemmeno quando lei mi faceva i dispetti più disumani.<br />

Dispetti crudelissimi e <strong>in</strong>immag<strong>in</strong>abili<br />

dispetti così grandi che non se ne può par<strong>la</strong>re.<br />

Dispetti che più di una volta hanno oscurato il sole<br />

e fatto cadere <strong>la</strong> luna <strong>in</strong> un tranello assolutamente perfetto.<br />

Se fosse <strong>qui</strong> mio padre potrebbe testimoniare.<br />

Se non fosse stato r<strong>in</strong>chiuso da mia madre<br />

<strong>in</strong> quel<strong>la</strong> madia troppo picco<strong>la</strong>.<br />

E se lei non lo avesse fatto impazzire con certe abitud<strong>in</strong>i irritanti<br />

come quel<strong>la</strong> di dargli le spalle a letto<br />

e di sprofondarsi malvagiamente <strong>in</strong> un libro di ricette<br />

o nell’Enciclopedia Medica<br />

quando lui<br />

voleva semplicemente grattarle <strong>la</strong> schiena.<br />

*<br />

Se fossi pazzo mi piacerebbe essere una specie di div<strong>in</strong>ità<br />

non so se equestre o campestre.<br />

Insomma mi piacerebbe andare a cavallo (e par<strong>la</strong>rci di tutto<br />

col cavallo).<br />

Poi smonterei di sel<strong>la</strong> davanti al giard<strong>in</strong>iere e lo prenderei<br />

per un orecchio<br />

perché io<br />

(gli direi tra le <strong>la</strong>crime di rabbia)<br />

non li sopporto i <strong>la</strong>vori fatti male.<br />

*<br />

Mia madre non è degna di me.<br />

Come le dico sempre<br />

lei dovrebbe pulire bene dove camm<strong>in</strong>o.<br />

Posso <strong>in</strong>ciampare <strong>in</strong> un granello di polvere e fare un volo stratosferico.<br />

E <strong>la</strong> testa?<br />

Si può sapere dove <strong>la</strong> batto?<br />

Si può negare che il mondo fuori dal<strong>la</strong> f<strong>in</strong>estra è solo un percorso a ostacoli?<br />

… <strong>in</strong> fondo il mio piccolo padre stava bene nel<strong>la</strong> sua madia.<br />

E <strong>in</strong> ogni caso sarebbe stato pronto al Secondo Diluvio Universale<br />

(se fosse com<strong>in</strong>ciato).<br />

Certo mia madre <strong>la</strong>sciava sempre tutti i rub<strong>in</strong>etti aperti<br />

(come per darne notizia).<br />

Ma lui diceva<br />

forse con una punta di ironia (ironia del<strong>la</strong> sorte)<br />

che <strong>in</strong> casa nostra gli scarichi funzionavano straord<strong>in</strong>ariamente bene.<br />

111


Notizia.<br />

Roberto Amato è nato nel 1953 a Viareggio, dove vive e <strong>la</strong>vora. Sue poesie sono uscite su «Nuovi<br />

Argomenti» e «Paragone». Nel 2003 ha v<strong>in</strong>to il Premio Viareggio-Répaci per <strong>la</strong> sezione Poesia con Le<br />

cuc<strong>in</strong>e celesti (Diabasis, Reggio Emilia, 2003). Nel 2006 è uscita sempre per Diabasis L'agenzia di viaggi.<br />

112


RILKE_BACCHINI<br />

[FRAMMENTI POETICI DA “I SONETTI A ORFEO”<br />

DI RAINER MARIA RILKE<br />

Parte prima: II-V-IX-XV-XVI-XXII-XVI<br />

Parte seconda: I-IV-XXVII-XXVIII-XXIX<br />

E DA “CONTEMPLAZIONI MECCANICHE E PNEUMATICHE”<br />

DI PIER LUIGI BACCHINI<br />

*<br />

TRADUZIONE E MISE EN PAROLE<br />

FRANCESCO PITITTO<br />

*<br />

LA TRADUZIONE DEL SONETTO XXVIII E’ DI GIAIME PINTOR]<br />

DAI SONETTI A ORFEO<br />

PARTE PRIMA – II<br />

E quasi una ragazza era e nata<br />

Da questa gioia di canto e lira<br />

E splendente nel<strong>la</strong> veste trasparente del<strong>la</strong> Primavera.<br />

E un letto ha fatto nel mio orecchio.<br />

E <strong>in</strong> me ha dormito. E tutto era il suo dormire:<br />

L’albero che io guardavo, questa<br />

Palpabile distanza, questo sensibile prato,<br />

E ogni meraviglia che mi ha preso.<br />

Lei dormiva il mondo. Dio del canto, come<br />

L’hai creata ancora prima d’aver<strong>la</strong> svegliata?<br />

Lei, lei è nata e dorme.<br />

Dove è <strong>la</strong> sua morte? Oh, questo tuo motivo<br />

Non cadrà nel nul<strong>la</strong>, eh, e il tuo Lied sarà compiuto?<br />

E a me dove batte? Una ragazza -<br />

PARTE PRIMA – V<br />

Non edificate <strong>la</strong>pidi. Lasciate che <strong>la</strong> rosa<br />

So<strong>la</strong> ogni anno fiorisca <strong>in</strong> suo onore.<br />

Perché Orfeo è. La sua metamorfosi<br />

Nell’una e nell’altra. Non cerchiamo<br />

Altri nomi. Nel tutto<br />

È Orfeo, va e viene.<br />

Non è bello abbastanza, se oltre il tempo di una rosa<br />

Un giorno rimane?<br />

O come deve svanire per farsi capire!<br />

E nello sparire prova terrore<br />

Ma <strong>la</strong> sua paro<strong>la</strong> l’esser <strong>qui</strong> non comprende,<br />

egli già è là dove voi non lo seguite.<br />

La grata del<strong>la</strong> lira non trattiene <strong>la</strong> mano.<br />

E nel suo obbedire lui già sta oltre.<br />

113


PARTE PRIMA – IX<br />

Solo quello che <strong>la</strong> lira alzava,<br />

anche tra ombre,<br />

un canto <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito<br />

può avere <strong>in</strong> presagio.<br />

Solo chi con i morti il papavero<br />

Gustava, il loro,<br />

il più lieve dei toni<br />

non perderà domani.<br />

Se anche il riflesso nello stagno<br />

Spesso ci confonde:<br />

Wisse das Bild. Sappi <strong>la</strong> Figura.<br />

Solo nel Doppelbereich – il doppio regno tra morte e vita –<br />

Si fanno le voci<br />

Dolci e per sempre.<br />

PARTE PRIMA – XV<br />

Aspettate … un sapore … buono è e vo<strong>la</strong> via.<br />

… musica breve, piedi pestati, un sussurro -:<br />

ragazze, voi calde, ragazze, voi mute,<br />

danzate il sapore del frutto morsicato!<br />

Danzate l’arancia. Chi può scordar<strong>la</strong>,<br />

come lei, sommersa da sé, al<strong>la</strong> dolcezza<br />

resiste. Lei è stata vostra.<br />

Lei a voi con delizia si è data.<br />

Danzate<strong>la</strong> l’arancia. I più caldi campi<br />

Fate roventi voi, che diventi rossa<br />

Nei cieli del<strong>la</strong> patria! Ardenti, divampate<br />

Profumi su profumi. Str<strong>in</strong>getevi<br />

Al<strong>la</strong> scorza, che pura resp<strong>in</strong>ge,<br />

al succo, che <strong>la</strong> riempie di gioia.<br />

PARTE PRIMA – XVI<br />

Tu, mio amico, tu sei solo, perché …<br />

Noi con parole e segni<br />

Facciamo nostro il mondo,<br />

forse <strong>la</strong> sua più delicata, pericolosa parte.<br />

Chi segna con un dito un odore?<br />

Ma le forze, che ci m<strong>in</strong>acciano,<br />

tu le senti … Tu sai dei morti<br />

e ti spaventi di fronte al<strong>la</strong> magia.<br />

Vedi, il nostro compito è unire<br />

Parti e frammenti come fossero il Tutto.<br />

Difficile è darti aiuto. Prima di tutto: non piantare me<br />

Nel tuo cuore. Io crescerei troppo veloce.<br />

Ma al mio Signore <strong>la</strong> mano io guiderò e gli dirò:<br />

Qui. Questo è Esaù nel<strong>la</strong> sua pelle.<br />

114


PARTE PRIMA – XXII<br />

Noi siamo <strong>la</strong> forza che sp<strong>in</strong>ge.<br />

Ma <strong>la</strong> corsa del tempo,<br />

vedete, è solo un piccolo passo<br />

nell’eterno restare.<br />

Tutto ciò che affretta<br />

Sarà presto svanito;<br />

solo ciò che rimane<br />

ci <strong>in</strong>izia allo stare.<br />

Figli, il vostro coraggio<br />

Non gettatelo nel sentire veloce,<br />

e neanche nel provare a vo<strong>la</strong>re.<br />

Tutto è fermo:<br />

scuro e chiaro,<br />

fiore e libro.<br />

PARTE PRIMA – XXVI<br />

Ma tu, dio, tu, f<strong>in</strong>o al limite ancora <strong>in</strong>tonavi,<br />

Quando lo stormo delle pazze Menadi si scagliava,<br />

Tu le loro ur<strong>la</strong> coprivi con ord<strong>in</strong>e, tu il più bello,<br />

Dalle forze del<strong>la</strong> distruzione s’alzava <strong>la</strong> tua Musica a costruire.<br />

Nessuna tra loro, <strong>la</strong> tua Testa e <strong>la</strong> tua Lira hanno colpito.<br />

Anche se cadevano e <strong>in</strong>furiavano, e tutte le appuntite<br />

Pietre che <strong>la</strong>nciavano al tuo cuore,<br />

Leggere ti sfioravano e dolci erano all’orecchio.<br />

Al<strong>la</strong> f<strong>in</strong>e ti fecero a pezzi, sfiancate dal<strong>la</strong> vendetta<br />

Mentre il tuo <strong>la</strong>mento ancora nei leoni e nelle rocce si adagiava<br />

E negli alberi e negli uccelli. Là canti tu ancora.<br />

O tu perduto dio! Tu <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ita traccia!<br />

Solo perché te l’odio furioso <strong>in</strong> pezzi ha sparso,<br />

Siamo noi quelli che ascoltano ancora e una bocca del<strong>la</strong> Natura.<br />

DA CONTEMPLAZIONI MECCANICHE E PNEUMATICHE<br />

GIARDINO RINCHIUSO<br />

Tutte queste foglie. E l’albero di sambuco ricco di sensi.<br />

Piovaschi.<br />

Quando il sambuco si bagna, profuma <strong>in</strong>tensamente.<br />

Primordiali verdi. Oh, nel<strong>la</strong> mia vita<br />

Ho conosciuto donne e uom<strong>in</strong>i<br />

Ma anche dèi.<br />

Ho par<strong>la</strong>to<br />

E mi rispondevano. E’ difficile: se par<strong>la</strong>no<br />

Sembra sempre che dicano altro.<br />

Intermediari?<br />

Alcuni<br />

Par<strong>la</strong>vano attraverso foglie rosse<br />

Nascoste da altre foglie<br />

Con nervature molto evidenti. Senza nome. Foglie<br />

Assai vaste,<br />

bacate, orride. Toccavano terra.<br />

115


E’ difficile amarli.<br />

Talvolta dànno sensazioni felici, anche sensuali.<br />

Certi massi, riversi, avevano un pube verde,<br />

di musco. Statue. Fantasticato molto, con <strong>in</strong>terferenze culturali<br />

di dèi pagani e un poco d’Oriente.<br />

Non si sa, non ci si può credere.<br />

Ma li ho pensati spesso, anche nelle zone aride,<br />

o sopra le distese d’acqua.<br />

IV. PRIMO QUARTO<br />

Nel<strong>la</strong> mia vita ho par<strong>la</strong>to con vecchi<br />

Vissuti <strong>in</strong> altre lune. E camm<strong>in</strong>o col bastone<br />

Appartenuto a un altro.<br />

Quest’uomo che mi camm<strong>in</strong>a al fianco con il suo bastone,<br />

e mi trasmette esuberanze,<br />

era selvaggio, e mi ha portato un tavol<strong>in</strong>o tondo<br />

per rendermi più agevole <strong>la</strong> scrittura.<br />

Non sapeva che questa antichità di parole<br />

Si scrive sopra l’erba, e morendo ogni volta,<br />

come amando.<br />

Ora benché vitale e amante di cibi<br />

E d’irruenze amorose<br />

E ricco d’ire (e acuto<br />

Come questa punta), è silenzioso<br />

Nel<strong>la</strong> sua tomba.<br />

RADIOGRAFIA<br />

Ho guardato il mio spirito<br />

Come una nube, era<br />

Nelle profondità del corpo.<br />

Seghettato<br />

Il tubo spettrale<br />

Con <strong>la</strong> sacca dello stomaco, e il tenero cardias<br />

Dolorosamente corroso.<br />

Colpa di attese, e di quelle parole<br />

Che mi sono state scagliate contro<br />

Come cani da morso.<br />

GIORNI<br />

Ma poi i fiori morivano – il vaso trasparente delle z<strong>in</strong>nie<br />

Mostrava i gambi, i loro poveri peli,<br />

macchie, e al<strong>la</strong> sommità uno, ancora vio<strong>la</strong>ceo,<br />

con orli giallognoli, d’autunno; ma gli altri<br />

ormai senza colore, nel rattrappirsi delle corolle.<br />

Ecchimosi<br />

E quel grosso bitorzolo senza petali.<br />

La nudità mostrata,<br />

e le foglie con le sembianze del<strong>la</strong> disperazione.<br />

Le z<strong>in</strong>nie, ornamento degli angoli.<br />

IL VOLO DELLE PARCHE<br />

O gradita, scaltra, barbara cornacchia<br />

Vecchia voce di carnivora<br />

Occupante i territori dei colombi<br />

E dei falchi<br />

116


Sui ca<strong>la</strong>nchi –<br />

E r<strong>in</strong>graziate col gracchiante nord<br />

Le più fertili terre.<br />

Il vostro è un grido dirupato,<br />

con notti spaventose,<br />

con solitud<strong>in</strong>i d’echi,<br />

con scricchiolii di rocce.<br />

O antiche, è il canto ritardato<br />

Dei freddi avi rettili, tanto che il ramarro<br />

Fa capol<strong>in</strong>o. Chissà perché<br />

Mi piace guardarti, o uccello delle nevi<br />

Sporche di sangue – dall’oleoso volo.<br />

Forse perché selvaggiamente imiti <strong>la</strong> paro<strong>la</strong>,<br />

sacra al poeta e alle comari.<br />

URNA DI VETRO<br />

Ho provato a seppellirmi, per un poco,<br />

dietro <strong>la</strong> porta, seduto tra le ante<br />

del<strong>la</strong> picco<strong>la</strong> busso<strong>la</strong>. –<br />

tutta <strong>la</strong> botanica del creato<br />

di là dai vetri, è ridotta a un vialetto<br />

con una quercia, i cedri,<br />

e due emerocallidi.<br />

I godimenti di una volta,<br />

quando l’organismo era me stesso<br />

secondo il desiderio – tutta <strong>la</strong> materia, credo,<br />

vibri così, trascorsa dal<strong>la</strong> vita,<br />

anche gli antri aridi dei vulcani, quando fuoriescono<br />

le <strong>la</strong>ve che si consolidano, e che s’imponga sempre <strong>la</strong> giov<strong>in</strong>ezza<br />

per i canalicoli sem<strong>in</strong>ali.<br />

Come può darsi<br />

Che uno come me, senza castità,<br />

possa un giorno salire s<strong>in</strong>o a un eremo,<br />

distaccarsi <strong>in</strong> preghiera, esa<strong>la</strong>rsi di sera<br />

se non nel maggio, trasc<strong>in</strong>ando con sé un’<strong>in</strong>tera foresta<br />

e <strong>la</strong> vo<strong>la</strong>tile polvere dei suoi profumi,<br />

che apre le bocche dappertutto<br />

per nutrimento, per amore?<br />

Questa è un’urna di vetro – ma all’esterno<br />

Le generazioni metodiche delle ombre<br />

Si spostano, e un tepore penetra il legno,<br />

dà sussulti, scotimenti, moti<br />

d’atomi:<br />

e anche le parole sono fiato, soglia dell’audiogramma,<br />

energia-materia<br />

che rientra nell’eterno.<br />

DAI SONETTI A ORFEO<br />

PARTE SECONDA – I<br />

Respirare, tu <strong>in</strong>visibile Poesia!<br />

Sempre attorno<br />

117


Al proprio centro scambievole spazio. Contrappeso<br />

In quel che <strong>in</strong> me ritmicamente accade.<br />

Unica onda, di cui<br />

Poco a poco il Mare io sono;<br />

Sobrio tu tra tutti i possibili Mari, -<br />

Spazio con<strong>qui</strong>stato.<br />

Quanti di quei punti negli spazi erano<br />

Già <strong>in</strong> me. Più di un vento<br />

È come mio figlio.<br />

Riconosci tu me, Aria, tu, ancora piena di quelli che furono i miei luoghi?<br />

Tu, un tempo liscia crosta,<br />

Rotondità e foglio delle mie Parole.<br />

PARTE SECONDA – IV<br />

O questa è <strong>la</strong> Bestia, che non c’è.<br />

Di lei niente si sapeva ed ebbe ugualmente<br />

- il suo passeggiare, il suo portamento, il suo collo,<br />

f<strong>in</strong>o al<strong>la</strong> luce silenziosa del suo sguardo – amanti.<br />

Eppure era niente. Ma poiché l’amavano, diventò<br />

Una pura Bestia. Le <strong>la</strong>sciarono sempre spazio.<br />

E <strong>in</strong> quello spazio, chiaro<br />

Leggera alzò <strong>la</strong> testa e non ebbe nemmeno bisogno<br />

Di essere. L’allevarono con germogli,<br />

Sempre solo con <strong>la</strong> possibilità, di essere.<br />

E questa dette una tale forza al<strong>la</strong> Bestia,<br />

Che da lei un cornofronte spuntò. Un corno.<br />

Tutta bianca verso una giovane verg<strong>in</strong>e venne<br />

E fu nell’argenteo specchio e <strong>in</strong> lei.<br />

PARTE SECONDA – XXVII<br />

Esiste davvero il Tempo, il devastante?<br />

Quando, sull’immobile montagna, distruggerà <strong>la</strong> fortezza?<br />

Questo cuore, che senza f<strong>in</strong>e agli dèi appartiene,<br />

quando lo violerà il demiurgo?<br />

Siamo noi paurosamente fragili<br />

Come il dest<strong>in</strong>o ci vuol far credere?<br />

E l’<strong>in</strong>fanzia, profonda promessa,<br />

alle radici, poi tace?<br />

Ach, lo spirito dell’Attimo,<br />

passa attraverso chi bene l’accoglie<br />

come fosse fumo.<br />

Ma noi, noi, che andiamo senza sosta<br />

Anche noi, come le forze senza tempo,<br />

siamo <strong>in</strong> uso al div<strong>in</strong>o.<br />

PARTE SECONDA – XXVIII<br />

(traduzione di Giaime P<strong>in</strong>tor)<br />

O vieni e va’. Quasi bamb<strong>in</strong>a avanza<br />

Per un momento <strong>la</strong> figura al gesto<br />

Di quelle immag<strong>in</strong>i astrali di danza<br />

118


In cui talvolta <strong>la</strong> natura arresta<br />

Il suo sordo <strong>la</strong>voro. Solo un tempo<br />

La ridestò <strong>la</strong> musica d’Orfeo.<br />

Tu aprivi allora le docili membra<br />

Turbata appena se al tuo fianco un vero<br />

Albero si muoveva ad ascoltare.<br />

Sapevi il luogo dove coi suoi canti<br />

La lira si levò - : l’orma terrena.<br />

Per quello osasti i tuoi passi tentare<br />

Sperando un giorno dell’amico il viso<br />

Volgere, e il piede, a una festa serena.<br />

PARTE SECONDA – XXIX<br />

Amico silenzioso delle molte lontananze, senti<br />

Come il tuo respiro al<strong>la</strong>rga gli spazi.<br />

Nel<strong>la</strong> trave del<strong>la</strong> campana scura<br />

Lascia il tuo suonare. Ora, quel che consuma te,<br />

diventerà una forza con questo nutrimento.<br />

Va nel<strong>la</strong> metamorfosi fuori e dentro.<br />

Qual è <strong>la</strong> tua più sofferta esperienza?<br />

E’ il tuo bere amaro, diventa v<strong>in</strong>o.<br />

Sii <strong>in</strong> questa notte dell’eccesso<br />

Forza magica dove <strong>in</strong>crociano i tuoi sensi,<br />

senso del loro curioso <strong>in</strong>contrarsi.<br />

E quando te il mondo dimentica,<br />

al<strong>la</strong> terra silenziosa dille: Ich r<strong>in</strong>ne, io scorro.<br />

All’acqua rapida par<strong>la</strong>le: Ich b<strong>in</strong>, io sono.<br />

[Presentiamo il testo dello spettacolo di Lenz Rifrazioni Rilke_Bacch<strong>in</strong>i, andato <strong>in</strong> scena Venerdì 22 giugno 2007<br />

presso il Pa<strong>la</strong>zzotto Eucherio San Vitale nell’ambito di ParmaPoesia. La mise en parole Rilke_Bacch<strong>in</strong>i, basata sul<br />

<strong>la</strong>voro poetico de I sonetti di Orfeo di Ra<strong>in</strong>er Maria Rilke, poeta austro-tedesco considerato uno dei più importanti poeti<br />

di l<strong>in</strong>gua tedesca del XX secolo e di Contemp<strong>la</strong>zioni meccaniche e pneumatiche di Pier Luigi Bacch<strong>in</strong>i, autore<br />

parmigiano tra le esperienze più significative ed orig<strong>in</strong>ali nell’ambito del<strong>la</strong> poesia italiana è stata curata da Francesco<br />

Pititto (con l’istal<strong>la</strong>zione di Maria Federica Maestri) per l’<strong>in</strong>terpretazione avvolgente del<strong>la</strong> performer Elisa<br />

Or<strong>la</strong>nd<strong>in</strong>i.]<br />

Rilke_Bacch<strong>in</strong>i: UNDICI ANNI DI CORPO POETICO.<br />

Nel corso degli ultimi dieci anni abbiamo tradotto <strong>in</strong> diverse modalità di rappresentazione scenica le opere<br />

poetiche di Pier Luigi Bacch<strong>in</strong>i. Abbiamo praticato differenti modi di creazione sonora e corporea dei versi<br />

bacch<strong>in</strong>iani: per attrice e autore, per quartetto d’attrici con autore, per musicista attore e autore, per<br />

attrici e voce off, per attrice so<strong>la</strong>. Ciascuna mise en parole ha stabilito con il luogo dell’accadimento (mise<br />

en site) una re<strong>la</strong>zione di dissolvenza <strong>in</strong>crociata tra i corpi, le voci, i suoni e il paesaggio poetico.<br />

L’appuntamento annuale è stato realizzato selezionando le sue opere secondo una drammaturgia dei<br />

corpi che, di volta <strong>in</strong> volta, sono diventati <strong>in</strong> situ <strong>la</strong> sua poesia.<br />

Nei suoi versi <strong>la</strong> natura e <strong>la</strong> scienza sorgono, muoiono e risorgono, gli dèi sono presenti nelle più piccole<br />

molecole umane e i teatri sono paesaggi viventi <strong>in</strong> cui si alternano nascite, morti e proiezioni div<strong>in</strong>e.<br />

Francesco Pititto<br />

119


PIER LUIGI BACCHINI E LENZ RIFRAZIONI<br />

1996<br />

Mise en parole da “Visi e foglie” e “I versi del<strong>la</strong> morte” con P.L.Bacch<strong>in</strong>i e Elisa Or<strong>la</strong>nd<strong>in</strong>i.<br />

Cas<strong>in</strong>o dei Boschi di Carrega (Cas<strong>in</strong>o di Caccia di Maria Luigia), Sa<strong>la</strong> Baganza, Parma.<br />

Lenz Teatro, Parma.<br />

1997<br />

Mise en parole da “Distanze fioriture” e ‘Frammenti dal romanzo <strong>in</strong>edito.”<br />

Con P.L.Bacch<strong>in</strong>i, Pierluigi Feliciati.<br />

Vil<strong>la</strong> Madonna degli Angeli, Collecchiello, Parma.<br />

1998<br />

Mise en parole “Frammenti poetici”.<br />

Con P.L.Bacch<strong>in</strong>i, Antonio Riccardi, Elisa Or<strong>la</strong>nd<strong>in</strong>i.<br />

Vil<strong>la</strong> Gambara-Thovazzi, Fel<strong>in</strong>o, Parma.<br />

1999<br />

Mise en parole “Aiku”.<br />

Con P.L.Bacch<strong>in</strong>i.<br />

Chiesa di Corniana, Corniana, Parma.<br />

2000<br />

Mise en parole “Quartetto d’attrici” con P.L.Bacch<strong>in</strong>i, Elisa Or<strong>la</strong>nd<strong>in</strong>i, Sandra Sonc<strong>in</strong>i, Barbara Voghera,<br />

Sara Monferd<strong>in</strong>i.<br />

Cortile delle Carrozze, Cas<strong>in</strong>o dei Boschi, Sa<strong>la</strong> Baganza, Parma.<br />

2001<br />

Mise en parole “Pier Luigi Bacch<strong>in</strong>i – Per attore, vio<strong>la</strong> e viol<strong>in</strong>o”.<br />

Con P.L.Bacch<strong>in</strong>i e Adriano Elgelbrecht.<br />

Chiesa di San Genesio, San Secondo, Parma.<br />

2002<br />

Mise en parole “Aiku sull’acqua”.- da Eliot, Yeats, Pound, Benn, Bacch<strong>in</strong>i, Pascoli.<br />

Con P.L.Bacch<strong>in</strong>i, Elisa Or<strong>la</strong>nd<strong>in</strong>i, Sandra Sonc<strong>in</strong>i, Laura Tanzi.<br />

Oasi Lipu “Il cavaliere d’Italia, Torrile, Parma.<br />

2003<br />

Mise en parole “Aiku sull’acqua”.- da Eliot, Yeats, Pound, Benn, Bacch<strong>in</strong>i, Pascoli.<br />

Con Elisa Or<strong>la</strong>nd<strong>in</strong>i, Sandra Sonc<strong>in</strong>i.<br />

Terme Berzieri, Salsomaggiore, Parma.<br />

2004<br />

Mise en site “Il Bamb<strong>in</strong>o solo”.- Adattamento drammaturgico del<strong>la</strong> prima fiaba di Pier Luigi Bacch<strong>in</strong>i<br />

scritta per Lenz Rifrazioni.<br />

Rocca Sanvitale di Sa<strong>la</strong> Baganza, Parma.<br />

2005<br />

Traduzione scenica de “Il Bamb<strong>in</strong>o solo”.- Adattamento drammaturgico del<strong>la</strong> prima fiaba di Pier Luigi<br />

Bacch<strong>in</strong>i scritta per Lenz Rifrazioni.<br />

Lenz Teatro, Parma.<br />

2006<br />

Mise en parole “RILKE_BACCHINI”.- da “I sonetti ad Orfeo” e “Contemp<strong>la</strong>zioni meccaniche e<br />

pneumatiche”.<br />

Con Elisa Or<strong>la</strong>nd<strong>in</strong>i.<br />

Chiesa Madonna degli Angeli di S.Secondo, Parma.<br />

2007<br />

Mise en parole “RILKE_BACCHINI”.- da “I sonetti ad Orfeo” e “Contemp<strong>la</strong>zioni meccaniche e<br />

pneumatiche”.<br />

Con Elisa Or<strong>la</strong>nd<strong>in</strong>i.<br />

Pa<strong>la</strong>zzetto Eucherio San Vitale, Parco Ducale, Parma.<br />

Notizia.<br />

Pier Luigi Bacch<strong>in</strong>i è nato a Parma nel 1927 dove ha risieduto f<strong>in</strong>o al 1994. Ora abita nei pressi di<br />

Medesano, <strong>in</strong> prov<strong>in</strong>cia di Parma. Ha pubblicato i libri di poesia: Dal Silenzio d’un nul<strong>la</strong> (A. Schwarz,<br />

Mi<strong>la</strong>no, 1954), Canti familiari (De Luca, Roma, 1968), Distanze fioriture (La Pilotta, Parma, 1981), Visi e<br />

Foglie (Garzanti, 1993, “Premio Viareggio”), Scritture vegetali (Mondadori, 1999, “Premio S. Pellegr<strong>in</strong>o”<br />

2000), Cerchi d’acqua - Haiku (Garzanti, Mi<strong>la</strong>no, 2003, “Gli elefanti”), Contemp<strong>la</strong>zioni meccaniche e<br />

pneumatiche (Mondadori, 2005). Suoi versi sono stati editi nell’ “Almanacco dello Specchio” e <strong>in</strong> varie<br />

riviste e quotidiani tra cui “Paragone”, “Nuovi Argomenti” e il “Corriere del<strong>la</strong> Sera”oltre che ne “La<br />

giovane poesia di Enrico Fal<strong>qui</strong> (Colombo, 1956) e <strong>in</strong> altre antologie (Garzanti, E<strong>in</strong>audi, Crocetti).<br />

120


DECOMPOSIZIONI ESEMPLARI<br />

(La notte <strong>in</strong> cui Giordano Bruno apparve a Shakespeare)<br />

L’O<strong>MB</strong>RELLAIO E IL PARASOLE<br />

Stanotte<br />

una cometa nera elude<br />

<strong>la</strong> traccia dell’ellissi,<br />

sfiora<br />

l’arcobaleno che circonda il viso e il viso<br />

com’è bianco!<br />

Una luce brucia e non fa luce<br />

Timida con le <strong>la</strong>bbra appese a una bocca<br />

<strong>in</strong>visibile<br />

completamente al buio<br />

rispondi alle ombre<br />

che bussano al<strong>la</strong> porta:<br />

«Non c’è nessuno <strong>in</strong> casa»<br />

È andata via <strong>la</strong> luce<br />

non si apre <strong>la</strong> porta<br />

Coricata nel letto<br />

ti attraversa un vuoto<br />

molto più grande:<br />

«Non sai chi ti protegge»<br />

Stanotte<br />

a torso nudo l’ombra di una donna<br />

emerge coperta dall’ombra di un uomo<br />

che <strong>la</strong> <strong>in</strong>segue<br />

nascosto dall’ombra<br />

degli alberi<br />

nel<strong>la</strong> casa sepolta<br />

dal<strong>la</strong> rottura dei monti<br />

I monti<br />

salgono stanotte verso<br />

una luce che non<br />

si può vedere<br />

Questi sono i fatti<br />

CENA<br />

SHAKESPEARE: Bruno? Giordano...no<strong>la</strong>no...?<br />

BRUNO: chi?<br />

SHAKESPEARE: Par<strong>la</strong>vano <strong>la</strong>t<strong>in</strong>o?<br />

BRUNO: Sì<br />

SHAKESPEARE: Ga<strong>la</strong>ntuom<strong>in</strong>i?<br />

BRUNO: Sì<br />

SHAKESPEARE: Di buona reputazione?<br />

BRUNO: Sì<br />

SHAKESPEARE: Dotti?<br />

BRUNO: Competenti.<br />

SHAKESPEARE: Ben creati, cortesi, civili?<br />

BRUNO: Così così.<br />

SHAKESPEARE: Dottori?<br />

BRUNO: Messer sì, padre sì, madonna sì, madesì, di Oxford!<br />

SHAKESPEARE: Qualificati?<br />

BRUNO: Come no? Vestiti <strong>in</strong> lungo, di velluto, catene d’oro, dodici anelli ai diti.<br />

121


SHAKESPEARE: E il greco? Sapevano di greco?<br />

BRUNO: E di birra, eziandio.<br />

SHAKESPEARE: Tira via «eziandio», obsoleta antiquata dizione. Come erano fatti?<br />

BRUNO: Uno sembrava un conte di stal<strong>la</strong> e l’altro un governatore saraceno.<br />

SHAKESPEARE: Quanti erano?<br />

BRUNO: Sette.<br />

SHAKESPEARE: E come erano disposti?<br />

BRUNO: Dopo aver fatto saluti e resaluti. Florio al<strong>la</strong> mia destra, al suo fianco <strong>la</strong> moglie.<br />

SHAKESPEARE: E io, io dov’ero?<br />

BRUNO: Tu, Shakespeare? Eri <strong>qui</strong> di fianco a me. Al<strong>la</strong> tua s<strong>in</strong>istra Numidio e dopo di lui Torquato.<br />

SHAKESPEARE: E tu dov’eri, Giordano?<br />

BRUNO: Eravamo <strong>in</strong> due. Due, il numero misterioso. Due le coord<strong>in</strong>azioni: f<strong>in</strong>ito-<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito, curvo-retto,<br />

destro-s<strong>in</strong>istro. Due i numeri: pari-maschio, dispari-femm<strong>in</strong>ile, due i cupidi: superiore-<strong>in</strong>feriore, div<strong>in</strong>ovolgare.<br />

Due gli atti del<strong>la</strong> vita: cognizione-affetto, vero-non vero, bene-male. Due i moti: retto-circo<strong>la</strong>re,<br />

tendenza al<strong>la</strong> conservazione-conservazione. Poi ancora: il caldo e il freddo, <strong>la</strong> materia e <strong>la</strong> forma, il raro e<br />

il denso, il semplice e il misto.<br />

SHAKESPEARE: Le bestie dell’arca... a due a due. Nolite fieri; cavallo e mulo. Immag<strong>in</strong>i dell’uomo:<br />

barbagianni <strong>in</strong> cielo; scimmie <strong>in</strong> terra. Le piramidi una e due. Dove sono scritti tutti i nomi del due. E che<br />

cosa ti hanno chiesto, no<strong>la</strong>no?<br />

BRUNO: Intelligis, dom<strong>in</strong>e, quae diximus?<br />

SHAKESPEARE: Tu cosa hai risposto?<br />

BRUNO: No.<br />

IL VENDITORE DI TAPPETI<br />

VENDITORE: Si rega<strong>la</strong>. Abbiamo due importanti tappeti di 131 x 207 e 311 x 270. Fateli vedere. Due<br />

pezzi notevoli da un milione di nodi al metro quadro. Entrano <strong>in</strong> gara a partire da 22,7 lire al<strong>la</strong> coppia di<br />

nodi. Il prezzo è di.... Non ve lo dico. Il loro valore è mille volte superiore e poi li recapitiamo a casa. È<br />

quello che occorre a qualunque ragazza, da cima a fondo. Comprate, comprate, comprate, giovani, non<br />

fate piangere le vostre belle.<br />

Comprate da me. Guardateli, annodati a mano da abili adolescenti. Due antichi Ctesifonte autentici. Fateli<br />

vedere. E non veniteci a dire che sono consumati, pieni di scalcagnate, colpi di tacco e bruciature. Li<br />

abbiamo ac<strong>qui</strong>stati <strong>in</strong> una importante moschea. Sono logorati dalle g<strong>in</strong>occhia, dalle genuflessioni, dalle<br />

<strong>la</strong>mpade.<br />

La moschea si trova sui monti Altai. E non veniteci a dire che non ci sono figure. Le figure ci sono ma<br />

bisogna saperle immag<strong>in</strong>are. Aspettiamo un <strong>in</strong>tenditore. Sono tappeti per contemp<strong>la</strong>tori. Direte:<br />

«contemp<strong>la</strong>tori di che cosa?».<br />

Contemp<strong>la</strong>tori scalcagnati, pestati con i piedi, torturati con le cicche. Da chi? Chi lo sa.<br />

Le figure sono stilizzate. Fateli vedere, fateli vedere.<br />

BRUNO: Una donna astuta si mise a giacere nuda su questi tappeti di fronte a uno schiavo nero. Lo<br />

schiavo stava <strong>in</strong> piedi con una verga d’argento <strong>in</strong> mano. Ma avvolta nel tappeto <strong>la</strong> bel<strong>la</strong> donna nuda che<br />

si è addormentata e <strong>la</strong> bel<strong>la</strong> donna si è svegliata a mille chilometri di distanza, <strong>in</strong> un pa<strong>la</strong>zzo sconosciuto,<br />

a letto con il suo amante.<br />

SHAKESPEARE: Un negro?<br />

BRUNO: Se ti piace. Non è proprio un negro, diciamo un moro. La gente girava nel pa<strong>la</strong>zzo sconosciuto.<br />

SHAKESPEARE: Dove?<br />

BRUNO: A Venezia. E <strong>la</strong> gente gridava: «Senatore!».<br />

SHAKESPEARE: «Senatore!».<br />

BRUNO: Un ariete nero monta <strong>la</strong> tua pecora bianca.<br />

SHAKESPEARE: Poi il moro non ha una verga d’argento.<br />

BRUNO: Cos’ha?<br />

SHAKESPEARE: È avvolto <strong>in</strong> candido mantello. Nel<strong>la</strong> prima conformazione dell’Ariete un uomo nero, di<br />

statura possente, con gli occhi ardenti, dal volto sereno, avvolto da un bianco mantello.<br />

VENDITORE: Per carità evitatemi questo strazio! Dite il vostro discorso, vi prego, come ve l’ho detto io;<br />

non come se vi danzasse sul<strong>la</strong> l<strong>in</strong>gua. Se non me lo ur<strong>la</strong>te come fa un banditore da piazza, tanto mi<br />

varrebbe affidare i miei tappeti a un attore moderno. E falciatemi l’aria con <strong>la</strong> mano, così. Vi ricordo che<br />

<strong>la</strong> situazione è brutale, violenta. Qu<strong>in</strong>di calma. E <strong>la</strong> ragazza è sbalordita. Non spaventata. Sbalordita.<br />

SHAKESPEARE: Non voglio uccider<strong>la</strong> senza preparazione.<br />

BRUNO: Come?<br />

SHAKESPEARE: Come?<br />

BRUNO: Vuoi uccider<strong>la</strong> nel<strong>la</strong> sicurezza dei nervi? Nel<strong>la</strong> fede bronzea? Nel cas<strong>in</strong>o? Nel combattimento?<br />

Nel<strong>la</strong> tromba di bronzo?<br />

SHAKESPEARE: Il negro nel cas<strong>in</strong>o?<br />

BRUNO: Il negro che sta premendo<strong>la</strong> col piede.<br />

122


SHAKESPEARE: Negro che sta premendo<strong>la</strong> col piede.<br />

BRUNO: Inaudito.<br />

SHAKESPEARE: Negro <strong>in</strong>audito.<br />

BRUNO: Incostante.<br />

SHAKESPEARE: Negro <strong>in</strong>costante.<br />

BRUNO: Non riposto.<br />

SHAKESPEARE: Negro non riposto.<br />

BRUNO: Incantato.<br />

SHAKESPEARE: Negro <strong>in</strong>cantato.<br />

VENDITORE: Torniamo per favore a ripetere. Da «uccidere»; che l’assass<strong>in</strong>io, pur senza l<strong>in</strong>gua com’è,<br />

par<strong>la</strong> di suo con voce di prodigio.<br />

SHAKESPEARE: Ho detto «uccidere»? Vorrei uccidere il corpo ma non vorrei uccidere l’anima.<br />

BRUNO: Dì un numero.<br />

SHAKESPEARE: Nove.<br />

BRUNO: Nove. Un enunco si chiude gli occhi davanti a un letto sudicio.<br />

SHAKESPEARE: Va bene. Recito ad occhi chiusi. Non voglio ridurre ad un assass<strong>in</strong>io il compimento di un<br />

sacrificio.<br />

BRUNO: Cosa vuoi ottenere?<br />

SHAKESPEARE: Voglio essere sicuro di modificare le circostanze e le cose.<br />

BRUNO: Perché?<br />

SHAKESPEARE: Perché <strong>la</strong> certezza mi strazia. Perché te l’ho dato io e tu a chi l’hai dato? A chi? Perché<br />

gliel’ho veduto <strong>in</strong> mano. Perché l’ho visto io.<br />

Una sibil<strong>la</strong>. C’è una virtù magica <strong>in</strong>tessuta. Un sibil<strong>la</strong> ha contato duecento volte il corso del sole e lo ha<br />

ricamato mormorando vatic<strong>in</strong>i.<br />

I bachi. I bachi che hanno fatto <strong>la</strong> seta erano stati consacrati. I colori. I colori sono stati estratti da una<br />

materia che gli artisti trovano nel cuore delle mummie. Verg<strong>in</strong>i. Una maga che riusciva a leggere i<br />

pensieri. Quasi. Una z<strong>in</strong>gara l’ha consegnato a mia madre. È desiderabile chi lo tiene. Mio padre, f<strong>in</strong>ché<br />

lei lo teneva, era soggiogato. Se lo avesse perduto o dato a degli altri, gli occhi di mio padre l’avrebbero<br />

fissata con odio. Avrebbe cercato altri amori. Me l’ha dato morendo. Per darlo a mia moglie, se l’avessi<br />

avuta. Tenetelo caro come i vostri occhi.<br />

BRUNO: Cosa c’è scritto?<br />

VENDITORE: Fate vedere, fate vedere...<br />

SHAKESPEARE: Sorveglia a primavera <strong>la</strong> nascita di un fiore.<br />

BRUNO: Obliquo.<br />

SHAKESPEARE: Fiore obliquo, <strong>la</strong>scivo.<br />

BRUNO: Infernale.<br />

SHAKESPEARE: Fiore <strong>in</strong>fernale, fugastro.<br />

BRUNO: Tremulo.<br />

SHAKESPEARE: Fiore tremulo, forcuto.<br />

BRUNO: Assalito.<br />

SHAKESPEARE: Fiore assalito, dannato.<br />

BRUNO: Amaro.<br />

SHAKESPEARE: Fiore amaro, sgualcito.<br />

VENDITORE: Vo<strong>la</strong>. Le immag<strong>in</strong>i si dispongono <strong>in</strong> gerarchia secondo i colori.<br />

SHAKESPEARE: Giallo. A questa altezza/circa/a questa altezza/una l<strong>in</strong>ea fredda immag<strong>in</strong>aria determ<strong>in</strong>a<br />

uno spazio/ dest<strong>in</strong>ato a contenere/il giallo.<br />

BRUNO: Dì un numero.<br />

SHAKESPEARE: Sette.<br />

BRUNO: Un uomo <strong>in</strong> abito giallo da pontefice che due uom<strong>in</strong>i precedono, nudo, con dei vestiti rossi o di<br />

giallo-oro, ha un corvo sul petto e sotto i piedi un cane d’oro.<br />

SHAKESPEARE: Ma giallo non apre gli occhi/giallo/non apre il colore degli occhi/ questo tappeto/dest<strong>in</strong>ato<br />

a con tenere/il giallo/è vuoto e immag<strong>in</strong>ario/il suo colore è verde.<br />

BRUNO: Dì un numero.<br />

SHAKESPEARE: Sette.<br />

BRUNO: Un fanciullo cavalca un ariete verde le cui corna afferra con <strong>la</strong> s<strong>in</strong>istra e con <strong>la</strong> destra porta un<br />

pappagallo.<br />

SHAKESPEARE: Anche verde non apre gli occhi! Verde non apre il colore degli occhi. Questo<br />

tappeto/dest<strong>in</strong>ato a con tenere/il verde/è vuoto e immag<strong>in</strong>ario/il suo colore è blu.<br />

BRUNO: Dì un numero.<br />

SHAKESPEARE: Sette.<br />

BRUNO: Un fanciullo e una fanciul<strong>la</strong> lottano nudi e uno lega strettamente l’altra che ha <strong>in</strong> mano del bisso<br />

blu. Lui ha <strong>in</strong> mano una catena d’oro.<br />

SHAKESPEARE: Il suo colore è/non è importante determ<strong>in</strong>are un tappeto dentro una forma cieca/e<br />

immag<strong>in</strong>aria con i colori simili ai colori del tappeto/questo tappeto si sente che un nodo<br />

<strong>in</strong>feriore/dest<strong>in</strong>ato a contenere un suono che non si sente/il suo colore è a questa altezza circa/sotto le<br />

123


dita si sente che cambia <strong>in</strong>teriormente i suoi colori geometrici/ azzurro giallo rosso verde arancio<br />

vio<strong>la</strong>/non sono azzurro giallo rosso verde arancio vio<strong>la</strong>/ che sono senza colore <strong>in</strong> fondo al buio non aprono<br />

il colore/degli occhi/<strong>la</strong> loro forma è vasta e immag<strong>in</strong>aria/ è verde azzurra rossa arancio e vio<strong>la</strong>/ il suo<br />

colore è dolce e genitale/ dest<strong>in</strong>ato a contenere il colore.<br />

BRUNO: Dì un numero.<br />

SHAKESPEARE: Sette.<br />

BRUNO: Un cocchiere sopra un carro che due cervi trasc<strong>in</strong>ano, l’uno che porta <strong>in</strong> mano un pesce l’altro<br />

una falce curva.<br />

SHAKESPEARE: Sono i giard<strong>in</strong>ieri?<br />

BRUNO: Sono gli elementi che stanno accanto che precedono gli elementi che stanno fermi. Poi ci sono<br />

gli elementi che si presentano o che stanno al posto di quelli che si presentano e seguono l’elemento che<br />

sta fermo o che è posto <strong>in</strong> luogo di quello che sta fermo.<br />

VENDITORE: Ultimi secondi. Si tratta solo di tappeti. Potete arroto<strong>la</strong>re <strong>la</strong> vostra amante nuda dentro al<br />

tappeto come <strong>in</strong> un tessuto di fiori. La sua ombra si al<strong>la</strong>ccerà alle vostre gambe. Fate vedere.<br />

DESDEMONA: Venite a letto signore?<br />

SHAKESPEARE: Avete recitato le vostre preghiere.<br />

PRIMO INTERMEZZO<br />

- Ha preso una camera <strong>in</strong> affitto?<br />

- Certamente... no..<br />

- Una pensionc<strong>in</strong>a?<br />

- E come fanno i gentiluom<strong>in</strong>i?<br />

- Stanno <strong>in</strong> casa degli altri.<br />

- E stava <strong>in</strong> casa di chi?<br />

- Di Michele di Castelnau di Mauvisiere. Il gentiluomo.<br />

- E il Mauvisiere?<br />

- Zona d’ombra.<br />

- Mauvissiero, signor del<strong>la</strong> malviciera.<br />

- Caste<strong>in</strong>uovo.<br />

- Si fermò due anni e mezzo.<br />

- Zona d’ombra.<br />

- Poi l’accompagna a Paris.<br />

- Paris non c’entra.<br />

- Come è messo il Castelnuovo?<br />

- Amico di Maria Stuarda.<br />

- Par<strong>la</strong> piano.<br />

- Amico di Maria Stuarda.<br />

- E dove sta il No<strong>la</strong>no?<br />

- A casa del Greville.<br />

- Fulke Greville?<br />

- Folco.<br />

- Posta dove?<br />

- Pare <strong>in</strong> Withehall o lì vic<strong>in</strong>o.<br />

- E sai chi c’è nei d<strong>in</strong>torni?<br />

- Florio.<br />

- Florio? Chi? Giovanni?<br />

- Giovanni Florio.<br />

- Il rifugiato valdese?<br />

- Valdese, di Siena e poi...<br />

- Zona d’ombra.<br />

- Che è poi lo stesso Florio che frequenta Ben Jonson.<br />

- Era cognato di Samuel Daniel.<br />

- Frequentava Shakespeare?<br />

- Li frequentava tutti e due.<br />

- Shakespeare?<br />

- E il no<strong>la</strong>no.<br />

- Insieme?<br />

- Certamente sì.<br />

- E Matteo?<br />

- Matteo Gw<strong>in</strong>ne?<br />

124


- Sì, quello che traduce Montagnie.<br />

- Amico.<br />

- Anche lui amico?<br />

- Amico stretto del No<strong>la</strong>no.<br />

- E l’altro dello stesso cognome? Come si chiama?<br />

- Brown.<br />

- Brown. Bruno.<br />

- Tommaso?<br />

- Tommaso è il traduttore.<br />

- Allora Antonio.<br />

- Il visconte Montagnie.<br />

- Antonio Brown, visconte Montagnie.<br />

- È probabile.<br />

- Perché?<br />

- Molto amico di Florio.<br />

- Par<strong>la</strong> piano.<br />

- Molto amico di Florio.<br />

Par<strong>la</strong> piano. Sono nomi importanti. Non dobbiamo comprometterli.<br />

- Zona d’ombra.<br />

LA MAGIA DEI DISPERATI<br />

PRIMA STREGA: Venitemi ora <strong>in</strong> aiuto, sortilegi e <strong>in</strong>cantesimi; e voi spiriti a<strong>la</strong>ti che mi fornite<br />

ammonimenti e segni dei casi futuri, O voi, pronti al mio soccorso, sotto gli ord<strong>in</strong>i del potente monarca<br />

del Settentrione mostratevi ed aiutatemi <strong>in</strong> questa impresa. Su, dunque, spiriti miei famigliari evocati<br />

dalle potenti regioni di sottoterra, aiutatemi ancora una volta. Non tenetemi sospesa! Non rimanete <strong>in</strong><br />

silenzio. Io vi ho nutrito col mio sangue. Mi taglierò un braccio, una mano, il membro che volete. Ve lo<br />

darò <strong>in</strong> caparra. Vi pagherò col mio corpo. Non volete il corpo? Non volete il sangue? Prendetevi <strong>la</strong> mia<br />

anima.<br />

SHAKESPEARE: Misteriose e tenebrose signore del<strong>la</strong> mezzanotte, che cosa fate?<br />

LE STREGHE: Un’opera senza nome.<br />

SHAKESPEARE: Scatenate i venti per dar battaglia alle chiese.<br />

BRUNO: Toro che si oppone.<br />

SHAKESPEARE: Travolgete le onde spumeggianti che <strong>in</strong>go<strong>in</strong>o i naviganti.<br />

BRUNO: Uomo, busto di uomo.<br />

SHAKESPEARE: Stendete a terra il grano ancora verde.<br />

BRUNO: Femm<strong>in</strong>a dubbiosa.<br />

SHAKESPEARE: Schiantate gli alberi.<br />

BRUNO: Lupo sul cadavere.<br />

SHAKESPEARE: Fate crol<strong>la</strong>re i castelli sulle teste dei guardiani.<br />

BRUNO: Gall<strong>in</strong>a <strong>in</strong>chiodata sulle uova.<br />

SHAKESPEARE: Fate ch<strong>in</strong>are il capo dei pa<strong>la</strong>zzi e delle piramidi sulle fondamenta, ma datemi una<br />

risposta.<br />

BRUNO: Sepolcro.<br />

SHAKESPEARE: Confondete <strong>la</strong> germ<strong>in</strong>azione per saziare <strong>la</strong> distruzione f<strong>in</strong>o al<strong>la</strong> nausea.<br />

BRUNO: Fanciullo che gioca.<br />

SHAKESPEARE: Ma datemi una risposta. Voglio una risposta.<br />

LE STREGHE: Da noi o da qualcuno che ci comanda?<br />

SHAKESPEARE: Chiama<strong>la</strong>, famme<strong>la</strong> vedere.<br />

LE STREGHE: Circe!<br />

BRUNO: Questa volta appare con testa di maiale.<br />

SHAKESPEARE: Chi è?<br />

BRUNO: È un demone sotterraneo, acquatico, fangoso, completamente privo di ragione.<br />

SHAKESPEARE: Come si chiama?<br />

BRUNO: SHAKESPEARE:<br />

1 che ha gli occhi piccoli avaro<br />

2 orecchi acuti barbaro<br />

3 fauci grandissime curioso<br />

4 con le narici nell’immondizia duro<br />

5 dai denti che danneggiano erroneo<br />

6 strettissima fronte fetido<br />

7 cervello grassocci goloso<br />

8 coda tagliata che si accorcia acca<strong>la</strong>ppiato<br />

125


9 ventre riempito di ventre castrato<br />

10 che non perde i denti libid<strong>in</strong>oso<br />

11 ossa senza midollo molesto<br />

12 che non cambia il pelo nolente<br />

13 famigliare ai pidocchi ozioso<br />

14 si accoppia con voce s<strong>in</strong>go<strong>la</strong>re pert<strong>in</strong>ace<br />

15 meglio <strong>la</strong> sua femm<strong>in</strong>a querulo<br />

16 crudelmente si <strong>in</strong>furia pieno d’estro rustico<br />

17 più fecondo di tutti gli animali stolto<br />

18 cambia cibo turgido<br />

19 che si adatta vile<br />

20 cambia pascolo lunatico<br />

21 mangiaghiande aurico<strong>la</strong>to<br />

22 che si roto<strong>la</strong> nel fango zotico<br />

23 totale brutalità non buono se non morto<br />

BRUNO: E i? i?<br />

SHAKESPEARE: Immemore, <strong>in</strong>fondente, <strong>in</strong>caprettato.<br />

BRUNO: Componi <strong>la</strong> tua <strong>in</strong>vocazione!<br />

SHAKESPEARE: Essere barbaro dagli occhi piccoli <strong>in</strong>grati, barbaro dagli orecchi acuti, immondi, dalle<br />

curiose fauci grandissime, che <strong>in</strong>fili duro le narici nelle immondizie, essere erroneo dai denti che<br />

danneggiano <strong>in</strong>costanti, che hai fetida <strong>la</strong> strettissima fronte impaziente, sopra il goloso grassoccio<br />

cervello <strong>in</strong>discreto, essere acca<strong>la</strong>ppiato dal<strong>la</strong> coda tagliata che si accorcia <strong>in</strong>civile, castrato ventre<br />

<strong>in</strong>caprettato riempito di ventre libid<strong>in</strong>oso, molesta le tue ossa senza midollo, <strong>in</strong>fauste! Nolente che non<br />

cambia il pelo <strong>in</strong>etto, ozioso, famigliare ai pidocchi, <strong>in</strong>iquo che ti accoppi pert<strong>in</strong>ace, <strong>in</strong>umano, meglio <strong>la</strong><br />

tua femm<strong>in</strong>a queru<strong>la</strong>, rustica crudelmente si <strong>in</strong>furia piena d’estro, <strong>in</strong>verecondo stolto che fecondi più degli<br />

animali <strong>in</strong><strong>qui</strong>eti e cambi cibo <strong>in</strong>sano, turgido, vile <strong>in</strong>temperato che si adatta, e lunatico cambi pascoli<br />

ignobili, aurico<strong>la</strong>to mangiaghiande <strong>in</strong>colto, zotico che ti rotoli nel fango <strong>in</strong>ospitale, immemore del<strong>la</strong> totale<br />

brutalità, se sei morto, sei buono.<br />

BRUNO: Ascolta, non dire nul<strong>la</strong>.<br />

PORCO: (par<strong>la</strong> a Shakespeare senza audio)……………………?<br />

SHAKESPEARE: (che ha sentito le parole del porco). Ti r<strong>in</strong>grazio dei tuoi avvertimenti. (A Bruno). Ha<br />

toccato <strong>la</strong> mia paura.<br />

BRUNO: Cosa ha detto?<br />

SHAKESPEARE: Dopo. Mandane un altro più potente. (Vede l’immag<strong>in</strong>e) Fanciullo <strong>in</strong>sangu<strong>in</strong>ato.<br />

BRUNO: Demone che abita le rov<strong>in</strong>e e le carceri. Comprendi il l<strong>in</strong>guaggio artico<strong>la</strong>to<br />

FANCIULLO: (par<strong>la</strong> senza audio)………?<br />

SHAKESPEARE: Se avessi tre orecchi lo ascolterei con tutti e tre. Ti r<strong>in</strong>grazio. Posso dormire a dispetto<br />

del tuono.<br />

BRUNO: Che cosa ha detto?<br />

SHAKESPEARE: Dopo. Mandane un altro più potente. (Vede l’immag<strong>in</strong>e) Fanciullo <strong>in</strong>coronato con ramo<br />

d’albero <strong>in</strong> mano.<br />

BRUNO: Demone che abita l’aria. Demone terribile, può condurre <strong>in</strong> errore gli stessi umani tramite<br />

l’immag<strong>in</strong>azione e promesse <strong>in</strong>gannevoli.<br />

FANCIULLO INCORONATO: (par<strong>la</strong> senza audio)....?<br />

BRUNO: Che cosa ha detto?<br />

SHAKESPEARE: Dopo. Vivrò tutta <strong>in</strong>tera <strong>la</strong> lunghezza naturale del<strong>la</strong> vita. Ancora una cosa, se <strong>la</strong> loro arte<br />

può dire tanto, mandane uno più potente. Che rumore è questo? (Vede l’immag<strong>in</strong>e). Re con specchio <strong>in</strong><br />

mano.<br />

BRUNO: Sono i demoni che abitano l’etere sopra l’aria. Benefici e splendenti.<br />

SHAKESPEARE: Notte nefasta! Che tu sia maledetta nel calendario.<br />

BRUNO: Cos’hanno detto?<br />

SHAKESPEARE: Dopo...<br />

SECONDO INTERMEZZO<br />

- Gridavano «oares».<br />

- I dest gondolieri.<br />

- Dove?<br />

- Da Lord Buckhurst.<br />

- Quello che ha arrestato Maria Stuarda?<br />

- Lui, proprio lui.<br />

- E ha condannato a morte Essex?<br />

- Un bel tipo, il cancelliere di Oxford.<br />

126


- Non tirarlo <strong>in</strong> ballo.<br />

- Perché?<br />

- Perché non c’entra niente e potremmo avere delle grane.<br />

- Zona d’ombra.<br />

- Cantavano.<br />

- Cosa cantavano?<br />

- Deh! dove senza me dolce mia vita/rimasta sei sì giovane e sì bel<strong>la</strong>.<br />

- Ariosto, ottavo, settantasei.<br />

- Adagio.<br />

- Che adagio?<br />

- Fest<strong>in</strong>a lente, ti prego spende bradéos, come diceva Augusto.<br />

- Corri adagio?<br />

- Zona d’ombra.<br />

- A <strong>la</strong> buazza ne gittarono là.<br />

- Chi?<br />

- Il no<strong>la</strong>no.<br />

- Cosa ha detto?<br />

- «Mi par vedere un porco passaggio». Ecco cosa ha detto.<br />

- Dove?<br />

- Nell’aria calig<strong>in</strong>oso.<br />

- Aria è maschile.<br />

- Il aria. Uno aria.<br />

- Zona d’ombra.<br />

LEZIONE D’ANATOMIA CELESTE<br />

SHAKESPEARE: Si amma<strong>la</strong> <strong>la</strong> fortuna. Per colpa mia, si amma<strong>la</strong>. Mi dicono per colpa delle stelle, <strong>la</strong> luna,<br />

il sole, sono un disgraziato per necessità, stupido per impulso celeste. Furfante, <strong>la</strong>dro e traditore per il<br />

predom<strong>in</strong>io di una sfera. Ubriaco, bugiardo e adultero per obbedienza all’<strong>in</strong> flusso p<strong>la</strong>netario. Perverso a<br />

causa di sollecitazioni div<strong>in</strong>e. Sono puttaniere? Una stel<strong>la</strong> ha <strong>la</strong> colpa! Mio padre se l’<strong>in</strong>tese con mia<br />

madre sotto <strong>la</strong> coda di un drago. Io sono nato sotto l’orsa maggiore, per questo sono brutale e<br />

sporcaccione. E sono quello che sono, anche se <strong>la</strong> verg<strong>in</strong>e stel<strong>la</strong> del firmamento avesse bril<strong>la</strong>to <strong>in</strong> alto<br />

nel<strong>la</strong> mia bastai tardi/fica/azione. Bastardificazione.<br />

Le eclissi presagiscono dissonanze.<br />

BRUNO: L’ombra si <strong>in</strong>s<strong>in</strong>ua nel<strong>la</strong> faccia del sole.<br />

SHAKESPEARE: L’astrologo ci piglia.<br />

BRUNO: Si snatura il rapporto padre e figlio.<br />

SHAKESPEARE: L’astrologo ci piglia.<br />

BRUNO: Rottura di antica amicizia, morte, carestia.<br />

SHAKESPEARE: L’astrologo ci piglia.<br />

BRUNO: Diffidenze irragionevoli. Esilio di amici.<br />

SHAKESPEARE: L’astrologo ci piglia.<br />

BRUNO: Infrazioni, delitti, rapporti coniugali avvelenati.<br />

SHAKESPEARE: Cosa succede stanotte.<br />

VOCE: Si solleva su due piedi un ariete<br />

si solleva<br />

sotto il letto<br />

con <strong>la</strong> fronte con furore batte l’armento<br />

e il toro è rannicchiato nell’ombra.<br />

BRUNO:<br />

(con) <strong>la</strong> sega uccide le pecore che porta<br />

(con) <strong>la</strong> pioggia prepara l’altare sottratto<br />

(con) l’unc<strong>in</strong>o costruisce <strong>in</strong> acqua <strong>in</strong>digesto<br />

(con) il fieno immo<strong>la</strong> il fanciullo scrupoloso<br />

(con) <strong>la</strong> l<strong>in</strong>gua circoncide impedito<br />

vibrante<br />

cometa battezza immondo<br />

arcobaleno apre il capo fragile<br />

dell’uomo davanti<br />

agli altari<br />

127


torre giunonica ve<strong>la</strong> il capo del<strong>la</strong> mendicante<br />

donna davanti<br />

agli dei<br />

nube sovrastante augure multiforme<br />

fume che sale nell’orgia che sta davanti<br />

SHAKESPEARE: con <strong>la</strong> sega uccide le pecore che porta, prepara l’altare con <strong>la</strong> pioggia sottratta,<br />

costruisce <strong>in</strong> acqua l’unc<strong>in</strong>o <strong>in</strong>digesto, col fieno scrupoloso immo<strong>la</strong>, il fanciullo impedito <strong>la</strong> l<strong>in</strong>gua vibrante<br />

circoncide, <strong>la</strong> cometa battezza l’immondo arcobaleno, apre il capo dell’uomo davanti agli altari, fragile<br />

torre giunonica, un mendicante ve<strong>la</strong> il capo del<strong>la</strong> donna davanti agli dèi, <strong>la</strong> multiforme nube sovrastante<br />

l’augure, fanno che sale nell’orgia che sta davanti.<br />

Nell’orgia contro il sole che sta davanti, fermo, sale il sole, multiforme sovrastante <strong>la</strong> nube.<br />

BRUNO: Com<strong>in</strong>cia a mettergli a nudo il petto.<br />

SHAKESPEARE: Il petto?<br />

BRUNO: Il petto <strong>in</strong>erte<br />

Il petto <strong>in</strong>degno<br />

Il petto vestito<br />

Il petto <strong>in</strong>etto<br />

Il petto che sta disteso<br />

SHAKESPEARE: Vic<strong>in</strong>issimo al cuore.<br />

BRUNO: Ristagna le sue ferite che non perda sangue.<br />

SHAKESPEARE: Il sangue.<br />

BRUNO: Il sangue <strong>in</strong> dodici segni<br />

il sangue nel cubo geometrico<br />

il sangue nei mondi <strong>in</strong>numerevoli<br />

il sangue dalle idee<br />

il sangue <strong>in</strong> nove elementi.<br />

SHAKESPEARE: Vic<strong>in</strong>issimo al cuore.<br />

BRUNO: Preparati a tagliare <strong>la</strong> carne.<br />

SHAKESPEARE: La carne.<br />

BRUNO: La carne nel<strong>la</strong> chiave e nelle ombre<br />

<strong>la</strong> carne <strong>in</strong> due ragioni contrarie<br />

<strong>la</strong> carne nel<strong>la</strong> ragione del<strong>la</strong> natura<br />

<strong>la</strong> carne il male come nul<strong>la</strong>.<br />

SHAKESPEARE: C’è qualcos’altro?<br />

BRUNO: Non versare sangue, e non tagliare né più né meno di una libbra di carne.<br />

SHAKESPEARE: Dove?<br />

BRUNO: Nel<strong>la</strong> testugg<strong>in</strong>e<br />

nel<strong>la</strong> balestra<br />

nel<strong>la</strong> bandiera<br />

nel<strong>la</strong> scudo<br />

nel<strong>la</strong> mac<strong>in</strong>a da mul<strong>in</strong>o.<br />

Inerte <strong>in</strong> dodici segni del<strong>la</strong> balestra l’ariete capo del gregge si solleva su due piedi <strong>in</strong>degno nel cubo<br />

geometrico del<strong>la</strong> testugg<strong>in</strong>e il toro eccitato fuori di sé si vendica, nei mondi <strong>in</strong>numerevoli, i due gemelli<br />

ca<strong>la</strong>no nel mare <strong>in</strong>etto il cancro figlio delle acque chiare si avvic<strong>in</strong>a a ritroso il leone che disteso <strong>in</strong> nove<br />

elementi e sembra che <strong>la</strong> sua ombra lo <strong>in</strong>segua <strong>la</strong> verg<strong>in</strong>e si imbatte nell’uomo-bi<strong>la</strong>ncia seduto sui piatti<br />

<strong>in</strong> due ragioni contrarie brucia <strong>la</strong> punta adunca dello scorpione, noi temiamo <strong>la</strong> notte, ricorriamo ad arti<br />

magiche, mentre si avvic<strong>in</strong>a l’uomo-sagittario che ferisce il capricorno con un dardo e il capricorno<br />

s’<strong>in</strong>abissa, preda dei pesci, che abitano le acque, una libbra di cielo, preparati a tagliare, senza una stel<strong>la</strong><br />

di luce.<br />

TERZO INTERMEZZO<br />

- Quel Sidney deve essere un bel tipo.<br />

- Giovane.<br />

- Anche lui par<strong>la</strong> italiano.<br />

- Ha studiato a Padova.<br />

- Bologna <strong>la</strong> grassa, ma Padova <strong>la</strong> passa.<br />

- E il no<strong>la</strong>no?<br />

- Non fa altro che dedicargli libri.<br />

- Amico di Greville?<br />

- Amico di tutti e due.<br />

- Perchè Greville non ne par<strong>la</strong>?<br />

128


- Zona d’ombra.<br />

- Colloca le stelle nelle loro immag<strong>in</strong>i, lui, Chi? Il no<strong>la</strong>no. E l’altro?<br />

- Colloca nel<strong>la</strong> l<strong>in</strong>gua <strong>la</strong> voce degli dei, chi? Il cosiddetto Shakespeare.<br />

- È questo il punto.<br />

- Che punto?<br />

- D’<strong>in</strong>contro fra il no<strong>la</strong>no e Shakespeare.<br />

- Zona d’ombra.<br />

Correvano tutti dietro a quel Laski.<br />

- A<strong>la</strong>sco. Alberto A<strong>la</strong>sco?<br />

- Il pr<strong>in</strong>cipe po<strong>la</strong>cco.<br />

- A Oxford?<br />

- Banchetti, spettacoli e dispute.<br />

- Con Sidney.<br />

- Con Florio.<br />

- Col no<strong>la</strong>no.<br />

- E quello stronzo di George Abbot ha detto: «quell’omiciattolo italiano»...<br />

- Philoteus Jordanus Brunus No<strong>la</strong>nus?<br />

- .. «ha un nome più lungo del suo corpo».<br />

- Si rimboccò le maniche come un giocatore.<br />

- Il mago!<br />

- Centrum.<br />

- Circulum.<br />

- Circonferenchia.<br />

- Circonferenchia?<br />

- Proprio così, lui dice così.<br />

- Zona d’ombra.<br />

- La situazione precipita.<br />

- Il no<strong>la</strong>no non se ne accorge.<br />

- Cosa gli salta <strong>in</strong> testa di presentare un libro al Papa?<br />

- Zona d’ombra.<br />

- Quello stupido di Gianbattista Ciotto.<br />

- Il libraio?<br />

- È il libraio che gli trasmette l’<strong>in</strong>vio di Moncenigo.<br />

- Traditore.<br />

- Il no<strong>la</strong>no voleva mettersi <strong>in</strong> contatto con il papa.<br />

- Chi lo dice?<br />

- Moncenigo.<br />

- Achi?<br />

- All’<strong>in</strong><strong>qui</strong>sizione.<br />

- E lui, cosa dice?<br />

- Zona d’ombra.<br />

QUANDO SIAMO NELLA TAVERNA<br />

BRUNO: Nel<strong>la</strong> terza conformazione dei gemelli un buffone con un f<strong>la</strong>uto nel<strong>la</strong> destra, nel<strong>la</strong> s<strong>in</strong>istra un<br />

passero e vic<strong>in</strong>o a quello un uomo adirato che afferra il bastone.<br />

SHAKESPEARE: Dove mi metto a sedere? Dove c’è posto?<br />

BRUNO: Lei conosce il suo grado? Secondo il suo grado appunto.<br />

SHAKESPEARE: Qui?<br />

BRUNO: Il posto d’onore.<br />

SHAKESPEARE: Allora <strong>qui</strong>.<br />

BRUNO: Anche quello è il posto d’onore.<br />

SHAKESPEARE: Si vede che mi si è attaccato al sedere, il posto d’onore.<br />

BRUNO: Consideri che i <strong>la</strong>ti del<strong>la</strong> tavo<strong>la</strong> sono al completo. Qualsiasi disposizione lei prenda è chiaro che i<br />

<strong>la</strong>ti del<strong>la</strong> tavo<strong>la</strong> sono diversi. Se si siede <strong>qui</strong>, i <strong>la</strong>ti del<strong>la</strong> tavo<strong>la</strong> sono lì e lì e lei è sempre al posto d’onore.<br />

SHAKESPEARE: Badi che lei ha il viso sporco.<br />

BRUNO: Di cosa?<br />

SHAKESPEARE: Sembra sangue. Ha <strong>la</strong>vorato <strong>in</strong> cuc<strong>in</strong>a?<br />

BRUNO: Ho degli improvvisi colpi di emorragia. Dal<strong>la</strong> bocca e dal naso.<br />

SHAKESPEARE: Mi sembra il sangue di un altro.<br />

BRUNO: Può essere.<br />

Il cuoco si è tagliato una mano. Un cameriere è stato accoltel<strong>la</strong>to e <strong>la</strong> cuoca giace con <strong>la</strong> go<strong>la</strong> squarciata.<br />

129


Gli ho fatto io il servizio. Benvenuto!<br />

SHAKESPEARE: Non so come spiegarmi. Ho una certa angoscia. Se non avessi una certa angoscia starei<br />

benissimo, tran<strong>qui</strong>llo, perfetto.<br />

BRUNO: Come?<br />

SHAKESPEARE: Come il marmo.<br />

BRUNO: Intero.<br />

SHAKESPEARE: Come <strong>la</strong> roccia.<br />

BRUNO: Salda.<br />

SHAKESPEARE: Come l’aria.<br />

BRUNO: Diffusa.<br />

SHAKESPEARE: Invece io come le sembro?<br />

BRUNO: Come? Compresso, poi c<strong>la</strong>ustrale, poi conf<strong>in</strong>ato e dopo <strong>in</strong>catenato, esposto a dubbi e timori<br />

<strong>in</strong>solenti.<br />

SHAKESPEARE: Non potrebbe andarsene via?<br />

BRUNO: Non mi sembra <strong>in</strong> vena di allegria. Ha <strong>in</strong>vitato qualcuno a cena?<br />

SHAKESPEARE: Una mia amica.<br />

BRUNO: Certo che per mangiare si sta meglio a casa pro pria. Se si mangia fuori <strong>la</strong> salsa da usare è <strong>la</strong><br />

cortesia, se no l’appuntamento è squallido. Aspettiamo?<br />

SHAKESPEARE: La tavo<strong>la</strong> è al completo.<br />

BRUNO: Questo posto è riservato.<br />

SHAKESPEARE: A chi?<br />

BRUNO: È il posto dell’assente.<br />

SHAKESPEARE: La vuole smettere di agitarmi <strong>in</strong> faccia i suoi capelli <strong>in</strong>sangu<strong>in</strong>ati.<br />

BRUNO: Non si sente bene?<br />

SHAKESPEARE: Cosa le <strong>in</strong>teressa?<br />

BRUNO: Sta spesso così? Le accade dal<strong>la</strong> gioventù? Mi faccia sentire il polso. Credo che sia un accesso<br />

momentaneo. Le dovrebbe passare <strong>in</strong> un attimo. Secondo me, se lei sta rigido con le braccia alzate fra<br />

poco starà benissimo. La vostra amica, quando viene, farà bene a non farci caso.<br />

SHAKESPEARE: Perché mi voltate le spalle?<br />

BRUNO: Per non farci caso. Simulo <strong>in</strong>differenza. Per non offendere e prolungare lo stato di delirio. Siete<br />

un uomo?<br />

SHAKESPEARE: Sono un uomo audace. Oso guardare il piatto che mi ha messo davanti con tutte le ditate<br />

di sangue.<br />

BRUNO: Che storie! Sono crisi di parossismo. Sussulti. Siete a cena. Siete un uomo. Non siete accanto al<br />

fuoco, d’<strong>in</strong>verno, come una donnetta, che ascolta sua nonna. Si può sapere perché fate quel<strong>la</strong> smorfia<br />

state guardando solo una seggio<strong>la</strong>.<br />

SHAKESPEARE: Perché mi fa dei cenni con <strong>la</strong> testa?<br />

BRUNO: Il menù. Facevo segno se voleva ord<strong>in</strong>are.<br />

SHAKESPEARE: Anche il menù è tutto sporco di sangue. È sicuro di farce<strong>la</strong> con queste emottisi mi sembra<br />

che le sangu<strong>in</strong>i anche il naso.<br />

BRUNO: Facciamo un br<strong>in</strong>disi?<br />

SHAKESPEARE: Come si sente le ossa?<br />

BRUNO: Senza midollo.<br />

SHAKESPEARE: Il sangue?<br />

BRUNO: Freddo.<br />

SHAKESPEARE: La virtù visiva degli occhi?<br />

BRUNO: Completamente sbarrata.<br />

SHAKESPEARE: Ho <strong>in</strong>vitato una amica <strong>in</strong> un ristorante col cameriere cieco che perde sangue. Buon locale.<br />

Si sta bene, ma guarda il piacere del<strong>la</strong> serata.<br />

BRUNO: Nel<strong>la</strong> terza conformazione del<strong>la</strong> Verg<strong>in</strong>e, un vecchio si appoggia a due bastoni con i capelli<br />

composti davanti al<strong>la</strong> fronte con <strong>la</strong> barba sparsa, vestito di colore nero.<br />

SHAKESPEARE: Digli che si avvic<strong>in</strong>i. Cosa c’è di più terribile del vecchio con <strong>la</strong> barba sparsa?<br />

BRUNO: Un orso.<br />

SHAKESPEARE: Irsuto.<br />

BRUNO: Un r<strong>in</strong>oceronte.<br />

SHAKESPEARE: Armato.<br />

BRUNO: Una tigre.<br />

SHAKESPEARE: Ircana. Provati ad avvic<strong>in</strong>arti dotto una di queste forme. Assumi qualunque forma.<br />

Ritorna <strong>in</strong> vita o va via.<br />

BRUNO: L’allegria se n’è andata. Vi succedono spesso questi vaneggiamenti?<br />

SHAKESPEARE: Ho delle agitazioni. Ma lei come fa a con temp<strong>la</strong>re queste visioni e conservare <strong>la</strong> sua aria<br />

tran<strong>qui</strong>l<strong>la</strong>?<br />

BRUNO: Che visioni?<br />

SHAKESPEARE: La tua.<br />

BRUNO: Buonanotte signore e ci venga a trovare presto. Buonanotte. Torni <strong>in</strong> buona salute. Buonanotte.<br />

130


SHAKESPEARE: La mia cortese buonanotte a tutti.<br />

BRUNO: Le chiamo un taxi?<br />

SHAKESPEARE: Supplemento servizio notturno. Si è saputo che delle pietre si sono mosse e degli alberi si<br />

sono messi a par<strong>la</strong>re. Le gazze, i corvi sono sospetti. Anche i pavoni. A che punto è <strong>la</strong> notte?<br />

BRUNO: Quasi alle prese col matt<strong>in</strong>o, per decidere chi sia dei due.<br />

SHAKESPEARE: Come?<br />

BRUNO: Devono decidere chi sia dei due.<br />

[Opera tratta da Corrado Costa, Cose che sono parole che restano, antologia di testi a cura di Aldo Tagliaferro<br />

(Biblioteca Panizzi – Edizioni Diabasis, Reggio Emilia 1995). Per gentile concessione.]<br />

A delucidazione riportiamo <strong>la</strong> nota posta del curatore:<br />

Tra i testi teatrali di Costa abbiamo scelto questo, del 1988, realizzato sul<strong>la</strong> scena <strong>in</strong> varie località (tra<br />

l’altro al Teatro S.Gem<strong>in</strong>iano di Modena e al Teatro Piccolo Orologio di Reggio Emilia), ma rimasto f<strong>in</strong>ora<br />

<strong>in</strong>edito. Partendo dall’ipotesi, venti<strong>la</strong>ta da Frances A. Yates, secondo <strong>la</strong> quale Giordano Bruno avrebbe<br />

potuto <strong>in</strong>contrare il giovane Shakespeare <strong>in</strong> Inghilterra nel 1583, e prendendo numerosi spunti dal De<br />

umbris idearum, testo bruniano eretico per eccellenza, Costa del<strong>in</strong>eò una <strong>in</strong>sistente sticomitia,<br />

liricamente suggestiva ma teatralmente tenue. Consapevole di questa debolezza, decise di e<strong>la</strong>borare il<br />

progetto accogliendo i suggerimenti di Silvio Pan<strong>in</strong>i e Paolo Pagliani, del gruppo teatrale Ko<strong>in</strong>é, che poi<br />

realizzarono l’opera sul palcoscenico.<br />

Il testo ac<strong>qui</strong>stò maggior efficacia scenica anche grazie all’adozione di un <strong>in</strong>sieme di ben sette video (al<strong>la</strong><br />

cui realizzazione l’autore col<strong>la</strong>borò attivamente) dest<strong>in</strong>ati ad agire come una specie di duplicazione muta<br />

dell’azione scenica. Anche <strong>in</strong> Decomposizioni esemp<strong>la</strong>ri, costruito <strong>in</strong> torno all’abb<strong>in</strong>amento immag<strong>in</strong>ario<br />

tra il «mago ermetico» (F.Yates) no<strong>la</strong>no e il poeta <strong>in</strong>glese ricorrendo a un ricco <strong>in</strong>tarsio di citazioni, è<br />

centrale <strong>la</strong> questione del doppio, o meglio dello sdoppiamento e del<strong>la</strong> ricongiunzione nell’unità. Il testo è<br />

bruniano soprattutto <strong>in</strong> quanto gioco di immag<strong>in</strong>i opposte e confluenti, secondo una tecnica comb<strong>in</strong>atoria,<br />

nell’unità dello spettacolo.<br />

In una <strong>in</strong>tervista concessa a Luisa Gabbi per <strong>la</strong> «Gazzetta di Reggio» del 3 aprile 1988 Costa ha voluto<br />

chiarire: «Il Teatro di Bruno è Teatro del Sole, da <strong>in</strong>tendere all’<strong>in</strong>terno del suo sistema eliocentrico: egli<br />

ritiene che <strong>la</strong> fonte pr<strong>in</strong>cipale del<strong>la</strong> luce proietti sul mondo delle ombre. Per risalire dalle ombre al<strong>la</strong> luce<br />

si dovrebbe percorrere un camm<strong>in</strong>o che porta dalle ombre alle immag<strong>in</strong>i, dalle immag<strong>in</strong>i alle idee, da<br />

queste al simbolo, <strong>in</strong>di al Dio unico. L’unico modo possibile di avvic<strong>in</strong>arsi alle idee è il teatro.»]<br />

Notizia.<br />

CORRADO COSTA, nato ne! 1929 a Mul<strong>in</strong>o di Bazzano (Parma), visse a Reggio Emilia, dove esercitò <strong>la</strong><br />

professione di avvocato e morì nel 1991. Fece parte del Gruppo 63 e col<strong>la</strong>borò, anche come disegnatore e<br />

grafico, a molte riviste letterarie, italiane e straniere. Dopo Pseusdobaude<strong>la</strong>ire (1964), <strong>la</strong> sua prima opera<br />

poetica, raccolse saltuariamente parte del<strong>la</strong> propria produzione poetica, narrativa e critica (ricordiamo i<br />

saggi di Inferno provvisorio, del 1971), ma <strong>la</strong>sciò molti testi di varia natura dissem<strong>in</strong>ati <strong>in</strong> p<strong>la</strong>quettes e<br />

riviste; fu anche autore di testi teatrali. Frequentò una <strong>la</strong>rga cerchia di poeti (tra i quali Emilio Vil<strong>la</strong>,<br />

Adriano Spato<strong>la</strong>, Giulia Nicco<strong>la</strong>i, Nanni Balestr<strong>in</strong>i, Franco Cavallo e Franco Beltrametti) e di artisti visivi<br />

(tra i quali C<strong>la</strong>udio Parmiggiani, Giovanni Rub<strong>in</strong>o e William Xerra) e spesso col<strong>la</strong>borò con questi amici,<br />

scrivendo testi per cataloghi di mostre d’arte o per raccolte poetiche a quattro mani (tra le quali<br />

ricordiamo Il Mignottauro, con Emilio Vil<strong>la</strong>, del 1970).<br />

Dall’amicizia con il poeta americano Paul Vangelisti nacquero <strong>la</strong> pubblicazione di The Complete Films (Los<br />

Angeles 1983) e <strong>la</strong> traduzione <strong>in</strong> <strong>in</strong>glese di Le nostre posizioni, del 1972.<br />

131


Quando oggi ho accompagnato Giovanni<br />

al<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong> materna, lui voleva farmi vedere<br />

i giocattoli, voleva dirmi delle cose<br />

che c'erano nel<strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse, e io vedevo,<br />

mentre li guardavamo, come erano poveri i giocattoli<br />

e come erano sporchi anche,<br />

e poi lui voleva che io lo prendessi <strong>in</strong> braccio<br />

e guardammo i pesci che avevano appiccicato<br />

sopra dei fogli (e vidi che i pesci<br />

erano delle foglie molto belle di una pianta strana<br />

di cui non so il nome, e sembravano proprio veri)<br />

e guardavo il foglio di Giovanni molto semplice e spoglio<br />

e mi piaceva molto, con solo due pesci<br />

che scendevano giù verso il basso del foglio<br />

e chiesi a lui quale era il suo, e lui mi <strong>in</strong>dicava<br />

sempre il disegno di qualcun altro.<br />

Io dovevo andare al <strong>la</strong>voro, così lo deposi<br />

e lui s'avvic<strong>in</strong>ò a un tavol<strong>in</strong>o dove <strong>la</strong> maestra tirava fuori<br />

dei puzzle, e lui disse subito: "Io voglio questo!"<br />

(con una prontezza che io non avevo mai avuto).<br />

La maestra glielo diede e lui com<strong>in</strong>ciò a sparpagliarlo<br />

poi tutto solo com<strong>in</strong>ciò a mettere i pezzi,<br />

e stava ch<strong>in</strong>o con <strong>la</strong> testa, e non mi guardava ora,<br />

e io potevo andare, ma mi veniva da piangere<br />

perché pensavo che o lui non sentiva quello che io sentivo,<br />

o se lo sentiva lo nascondeva,<br />

e, sapendo che io dovevo andare via, non alzava il capo<br />

verso di me (che l'avevo chiamato al<strong>la</strong> vita<br />

e l'avevo messo di fronte a questo strano gioco)<br />

ma rimaneva solo<br />

con il capo leggermente <strong>in</strong>cl<strong>in</strong>ato<br />

<strong>in</strong>tento nel suo gioco.<br />

*<br />

Quando mi rividero gli alberi piansero.<br />

Non dovete piangere, dissi loro,<br />

possiamo essere <strong>in</strong>differenti, cont<strong>in</strong>uare a esistere<br />

senza pensare a niente,<br />

posso essere accanto a voi e guardarvi esistere<br />

senza pensare a quello che è morto.<br />

Posso stare fermo, sotto le vostre fronde<br />

completamente immobile.<br />

Posso guardarvi nel<strong>la</strong> vostra bellezza di visi <strong>qui</strong>eti,<br />

come quando guardo Domitil<strong>la</strong>, quando <strong>la</strong> prendo <strong>in</strong> braccio<br />

e sento <strong>la</strong> sua guancia tenera accanto al<strong>la</strong> mia,<br />

sento <strong>la</strong> sua bellezza <strong>in</strong>tera adiacente a me<br />

di bamb<strong>in</strong>a già grande, di ragazza,<br />

di donna anziana, di anima perfettamente <strong>in</strong>tera<br />

che non muore più.<br />

*<br />

Perché tu a un certo punto mi hai cercato,<br />

hai detto: dov'è il mio amore?<br />

Dov'è colui che mi ha amato?<br />

Colui che mi ha risvegliato<br />

mentre dormivo nell'erba.<br />

Io dormivo sotto <strong>la</strong> terra<br />

e lui mi ha richiamato.<br />

Ero nel suono del<strong>la</strong> fonte<br />

e lui mi ha ascoltato.<br />

Mi ha cercato, è venuto sulle mie tracce<br />

e mi ha catturato.<br />

Io camm<strong>in</strong>avo e non lo sentivo<br />

132


ma lui era dietro di me<br />

che mi seguiva.<br />

*<br />

Sono steso sul letto<br />

e tu mi accarezzi,<br />

tu mi <strong>la</strong>vi come un eroe morto<br />

e mi cospargi d'olio.<br />

Piangi sopra di me,<br />

nei tuoi occhi non sai tenere le <strong>la</strong>crime,<br />

escono le <strong>la</strong>crime dalle tue ciglia<br />

e un s<strong>in</strong>ghiozzo ti scuote il petto.<br />

Perché piangi? Non piangere,<br />

io non sono morto.<br />

Sto camm<strong>in</strong>ando su una strad<strong>in</strong>a bianca<br />

contornata di alberetti giovani,<br />

sento le foglie che sfiorano le mie tempie,<br />

sento <strong>la</strong> brezza che mi accarezza.<br />

*<br />

Cielo, metto l'orecchio a terra<br />

e ti sento. Come eri azzurro oggi.<br />

Sento i tuoi silenzi e i tuoi moti<br />

e il tuo muoverti come un bimbo<br />

nel<strong>la</strong> pancia del<strong>la</strong> mamma.<br />

*<br />

C'è qualcosa, sì, che non vediamo,<br />

ma sta ferma e respira<br />

come un animale che dorme.<br />

C'è qualcosa che sta immobile<br />

al di là del visibile,<br />

che non vediamo ma sentiamo.<br />

*<br />

I tuoi giorni, tesoro mio<br />

lontano da me,<br />

e quelli con me,<br />

i tuoi giorni che si svolgono,<br />

e che si apriranno, sempre di più<br />

come si apre un cielo nuvoloso,<br />

e viene l'azzurro, il sole riscalda <strong>la</strong> terra<br />

e <strong>la</strong> conso<strong>la</strong>.<br />

*<br />

Oggi mi sono svegliato e ti ho baciato e baciato,<br />

ti prendevo i ciuffi dell'erba e te li stropicciavo,<br />

i p<strong>in</strong>i li scuotevo, e mi riaddormentavo,<br />

i miei bamb<strong>in</strong>i correvano sulle tue coll<strong>in</strong>e<br />

e volevamo stare <strong>in</strong> te.<br />

Anche quando chiuderemo gli occhi<br />

vogliamo seguirti dove ci porterai<br />

seguendo i tuoi pensieri.<br />

Intanto veniva sera <strong>in</strong>torno alle tue rive<br />

e tu ci sussurravi:<br />

“Intanto ora dormite, poi vedremo...”<br />

133


*<br />

Chi passeggia sopra di me?<br />

L'erba mi cresce accanto,<br />

gli uccelli sui rami cantano,<br />

<strong>la</strong> loro voce mi calma.<br />

Ma tu perché non ci sei?<br />

Perché ci sono tutti<br />

e manchi solo tu?<br />

E come farò a superare <strong>la</strong> tua mancanza,<br />

come farò a cont<strong>in</strong>uare<br />

ascoltando il suono degli uccelli<br />

come un carillon<br />

o l'erba crescere<br />

come un tic tac?<br />

*<br />

Non svegliate il <strong>la</strong>ghetto che dorme,<br />

pioppi, con le fogliol<strong>in</strong>e dei rami,<br />

vento, non soffiare così forte,<br />

freddo, non essere così rigido,<br />

vedi che non ha coperte!<br />

Nuvole, trattenete l'acqua<br />

passando sopra di lui,<br />

stelle, luccicate pure,<br />

guardatelo ma non svegliatelo.<br />

Non svegliatelo, non lo svegliate,<br />

è solo, non ha nessuno;<br />

solo le mucche che vengono ogni tanto a bere,<br />

solo i pioppi che frusciano sempre,<br />

solo i pesci silenziosi,<br />

solo le nuvole lente,<br />

solo il mio tesoro, che lo tiene nel<strong>la</strong> sua mente<br />

come <strong>in</strong> una cul<strong>la</strong>, e non lo dimentica.<br />

*<br />

Camm<strong>in</strong>are sul<strong>la</strong> tua via,<br />

o sei tu, sentiero, che camm<strong>in</strong>i dentro di me,<br />

o sei tu <strong>la</strong> creatura<br />

e io un camm<strong>in</strong>o, una via.<br />

Perché tu, come sei <strong>in</strong>tero,<br />

come sei fatto bene, e <strong>formato</strong><br />

<strong>in</strong> tutte le tue parti.<br />

E quando ti <strong>in</strong>contro, mi sembri vivo<br />

ché ti fai <strong>in</strong>contro a me, felice,<br />

o quando ti batte <strong>la</strong> pioggia, e stai immoto<br />

come le mucche, senza cercare un riparo,<br />

e già chiacchiera l'acqua<br />

e diventi un ruscello.<br />

*<br />

Tu mi hai dato tutto poco a poco<br />

perché io lo capissi,<br />

perché io capissi piano piano.<br />

Mi hai fatto tanta paura,<br />

ma adesso non ho paura.<br />

Questa strada è piena di fiori,<br />

vorrei fermarmi a raccoglierne ognuno.<br />

Gli uccelli cantano, vorrei accarezzarli,<br />

vorrei fermarmi questa notte con loro.<br />

Vorrei sedermi qua e so<strong>la</strong>mente respirare,<br />

respirare come questi fiori, questi steli,<br />

come l'aria che posa <strong>qui</strong>eta su loro.<br />

134


*<br />

Camm<strong>in</strong>are fra i tuoi fiori<br />

addormentarmi sul<strong>la</strong> tua erba<br />

toccare gli steli e tenermeli accanto<br />

per tutta <strong>la</strong> notte.<br />

Raccontarti storie<br />

di eroi antichi.<br />

Tenerti per mano e camm<strong>in</strong>are, camm<strong>in</strong>are<br />

f<strong>in</strong>o al matt<strong>in</strong>o.<br />

*<br />

Vorrei restare <strong>qui</strong> tra le lucertol<strong>in</strong>e.<br />

Voi tornate a casa,<br />

io vorrei restare <strong>qui</strong>.<br />

Non vorrei, ora che il sole sta tramontando,<br />

come sempre, alzarmi e tornare;<br />

Non vorrei, come sempre, restare un poco <strong>la</strong> sera,<br />

vedere appena <strong>la</strong> sera com<strong>in</strong>ciare a scendere<br />

con i suoi piedi timidi<br />

e poi, prima che sia buio, affrettarmi a tornare<br />

rifacendo a ritroso <strong>la</strong> strada,<br />

percorrendo <strong>la</strong> strad<strong>in</strong>a <strong>in</strong> senso contrario.<br />

Quando <strong>la</strong> sera scende<br />

il buio aumenta sempre di più<br />

ed ecco diciamo: ora dobbiamo andare<br />

per avere lume lungo <strong>la</strong> strada.<br />

Io, ora, vorrei restare,<br />

non voglio avere lume<br />

perché non voglio tornare<br />

lungo <strong>la</strong> strada.<br />

Quando noi torniamo<br />

le mucche sono ancora a bere,<br />

voglio vedere dove vanno a dormire.<br />

Quando torniamo c'è ancora luce<br />

e i cavalli pasco<strong>la</strong>no sparsi,<br />

vorrei sapere che cosa fanno dopo,<br />

se si riuniscono tutti <strong>in</strong>sieme<br />

oppure si raggruppano per famiglie,<br />

vorrei sapere se le mamme, quando viene <strong>la</strong> notte<br />

cercano i loro figli.<br />

[Da Eroi (Fazi, 2000)]<br />

Notizia.<br />

C<strong>la</strong>udio Damiani è nato nel 1957 a San Giovanni Rotondo. Vive a Roma dall'<strong>in</strong>fanzia.<br />

Ha pubblicato le raccolte poetiche Fraturno (Abete, 1987), La mia casa (Pegaso, 1994, Premio Dario<br />

Bellezza), La m<strong>in</strong>iera (Fazi, 1997, Premio Metauro), Eroi (Fazi, 2000, Premio Aleramo, Premio Montale,<br />

Premio Frascati), e Attorno al fuoco (Avagliano, 2006, f<strong>in</strong>alista Premio Viareggio). Sue poesie sono<br />

apparse su varie antologie italiane e straniere. Ha curato i volumi: Almanacco di Primavera. Arte e poesia<br />

(L'Attico Editore, 1992); Orazio, Arte poetica, con <strong>in</strong>terventi di autori contemporanei (Fazi, 1995); Le più<br />

belle poesie di Trilussa (Mondadori, 2000). È stato tra i fondatori del<strong>la</strong> <strong>rivista</strong> letteraria “Braci” (1980-84).<br />

135


Accademia di Belle Arti di Urb<strong>in</strong>o – scuo<strong>la</strong> di Scenografia<br />

DIALOGO DELLA VECCHIA GIOVENTÙ<br />

di Gianni D’Elia<br />

AUCTOR<br />

Sono l’autore<br />

di questa scena <strong>in</strong> versi,<br />

che torna dopo anni<br />

sui suoi giorni dispersi...<br />

Mi chiedo che cosa voglia<br />

dire tutto questo;<br />

e, chiedendomelo, lo chiedo<br />

anche a voi; del resto,<br />

<strong>la</strong> gioventù e <strong>la</strong> poesia,<br />

con <strong>la</strong> politica, erano cose<br />

d’una generazione mitica, no?<br />

perché <strong>la</strong> gioventù fu<br />

canzone beat, tutt’al più,<br />

senza poesia esplicita,<br />

e <strong>la</strong> politica fu<br />

ideologia, non poesia...<br />

Comunque, è bene che<br />

ci si sia ravveduti<br />

dall’errore, per cui fummo<br />

muti, se non <strong>in</strong> parole<br />

d’ord<strong>in</strong>e, per scoprire<br />

poi le parole<br />

che danzano <strong>la</strong> scoperta<br />

del dolore, le parole<br />

vic<strong>in</strong>e al<strong>la</strong> carne,<br />

senza ideologia che non sia<br />

<strong>la</strong> critica dell’ideologia...<br />

Bene, che il peccato<br />

o il <strong>la</strong>ico errore, sia<br />

<strong>la</strong> vera pena, è qualcosa<br />

che conviene e non conviene;<br />

d’accordo, gioventù è non sapere<br />

quel che poi viene;<br />

ma, del resto, <strong>la</strong> mancanza,<br />

non è forse, quaggiù, a oltranza,<br />

il futuro dei più?<br />

Ora, grazie a Francesco, l’amico<br />

Calcagn<strong>in</strong>i, il regista,<br />

e agli studenti di Urb<strong>in</strong>o,<br />

che agiranno questo testo,<br />

pensato due decenni fa,<br />

riportandolo, come si dice,<br />

<strong>in</strong> questo contesto<br />

nostrano, italiano, che tanto<br />

ancora sperare e<br />

ancora disperare ci fa.,.<br />

136


SPEAKER<br />

La scena si svolge <strong>in</strong> un suo stretto cerchio, nello spazio che va da una sera a un’alba, da una stanza a<br />

una strada, a un mare.<br />

Ciò che par<strong>la</strong> ha il nome di chi par<strong>la</strong>: un giovane, una vecchia, un coro che rappresenta <strong>la</strong> coscienza<br />

culturale e tragica del<strong>la</strong> Città.<br />

Il coro è, <strong>in</strong> realtà, una voce senza nome del nostro presente;<br />

poiché, perso il nome, ci si ost<strong>in</strong>a ad avere una voce puramente dis<strong>in</strong>teressata e <strong>in</strong>fedele nel domandare.<br />

L’epoca è <strong>la</strong> contemporanea nostra, un po’ stracciona, ma tragica e banale nello spreco affluente. Infatti,<br />

col filosofo, è ridetto: “A questa civiltà livel<strong>la</strong>trice è legata una grande perdita. Storia è il racconto dei<br />

mezzi, delle vie che conducono al<strong>la</strong> omogeneità”.<br />

PARODO<br />

E noi, <strong>qui</strong>, chi ci ripagherà d’essere<br />

irrimediabilmente vivi?<br />

Tu che vai per mare sopra un treno,<br />

ed io che resto <strong>qui</strong>, sul mare?<br />

Ma dove resto? E dove vai<br />

nelle tue ossa aguzze come baci,<br />

nelle sere che non portano niente<br />

se non il chiarore di un ricordo?<br />

Noi non siamo nati per vivere<br />

dentro una città che spera ancora<br />

nel<strong>la</strong> sua vita di mercati e sputi...<br />

Ne volevamo un’altra, ecco l’errore...<br />

Anche il mare fa le sue pozzanghere.<br />

E barche di fumo sono le nuvole,<br />

Ma tu ricordati <strong>la</strong> pelle screpo<strong>la</strong>ta<br />

dei mosconi e l’odore di luce dei treni.<br />

Ora sappiamo che nessuna città<br />

potrà mai contenere <strong>la</strong> vita.<br />

E ce ne andiamo amici o restiamo<br />

ovunque l’erba sappia di seme e di sole.<br />

PRIMO STASIMO<br />

CORO<br />

Tu sei quell’ombra! Senza sapere<br />

hai già compiuto tutto ciò che un uomo<br />

giovane deve compiere, come oggetto<br />

di storia, come figlio. Hai già creduto<br />

nell’azione e nel<strong>la</strong> noia, da cui viene<br />

ogni fare degli uom<strong>in</strong>i nel tempo.<br />

Hai anche amato e odiato, come dicono<br />

nei libri. Uccidere; sposare; cieco.<br />

Ricordi? Da allora non puoi che dire<br />

tutto il presente, tutto il dolore passato.<br />

Sei cieco. Dove sei? Sei solo<br />

un’ombra che chiede, che domanda.<br />

Ricordi? Da allora non puoi fare altro<br />

che domandare. Ma non sai cosa. Lo vedi,<br />

da allora tutto ciò che hai fatto<br />

è andato male. Tu torni, torni<br />

da una guerra, che non c’era, e chiedi<br />

ora a me di una casa, di una casa<br />

mai vista… almeno mi chiedessi<br />

di una strada, che porta al<strong>la</strong> città,<br />

137


tra i colli, le frasche, i vigneti…<br />

cose, non fantasmi, potrei dirti:<br />

NON POSSO RISPONDERTI. BASTA.<br />

Ma così, cosi… tu sei folle<br />

non voglio neppure ascoltarti.<br />

GIOVANE<br />

Non è detto che ciò che non si vede<br />

non sia. Anzi! Ciò che non s’è mai visto<br />

arriva e parte. Come quel<strong>la</strong> barca,<br />

che ora beccheggia <strong>la</strong>ggiù e si porta<br />

via dal<strong>la</strong> scena; come questa, che passa<br />

<strong>qui</strong> davanti, col pesce ammucchiato<br />

sul<strong>la</strong> poppa, i mastelli, le reti e gli uom<strong>in</strong>i<br />

giovani e vecchi, che scartano i granchi dal<strong>la</strong> pesca,<br />

a torso nudo, coi neri gambali, e sciacquano<br />

<strong>in</strong> alici nei secchi, le pongono <strong>in</strong> cassette<br />

e un ragazzo, il più secco, immerge quel telo<br />

dentro una pento<strong>la</strong>ccia, e con quello le copre…<br />

E tutti dov’erano prima di adesso?<br />

Erano forse una <strong>qui</strong>nta, che si sposta,<br />

da una scena all’altra, che nello stesso<br />

tempo è una scena che manca? O che<br />

mi manca? Una scena a cui viene, a cui va<br />

<strong>la</strong> vita, dove non sei che un guardone, un cieco?<br />

CORO<br />

Dentro <strong>la</strong> città, come l‘erba<br />

non richiesta, che cresce ai marg<strong>in</strong>i,<br />

tu devi vivere. Nessuno<br />

ti aspettava. Qualcuno<br />

ti aspettava, le sue viscere.<br />

GIOVANE<br />

Io mi ricordo un tempo <strong>in</strong> cui tutto,<br />

prima del suo <strong>in</strong>izio, poteva essere.<br />

Era un tempo arbitrario. Gli animali<br />

com<strong>in</strong>ciavano a pensare. Avevano<br />

bisogno di ciò che cercavano,<br />

ma non cercavano, se non trovando,<br />

ciò di cui avevano bisogno. Poi<br />

si operò <strong>la</strong> riduzione<br />

dal pensare al far di conto. Amare<br />

allora fu solo raggiungere<br />

<strong>la</strong> distanza tra l’uomo e il mondo.<br />

La terra non fu che un fondo<br />

senza fondo, un magazzeno<br />

l’uomo. Un arto che arraffava. Morte<br />

fu creduto tutto ciò che stava fuori.<br />

Gegen=contro. Contro. E oggi<br />

<strong>la</strong> vita più non ci appare<br />

che un’immag<strong>in</strong>e che <strong>in</strong>siste. Oggi<br />

che si uccide a distanza, oggi<br />

che il mondo è una pall<strong>in</strong>a<br />

nelle dita di un mondo<br />

che c’è cresciuto sopra, prepotente<br />

e mesch<strong>in</strong>o come un uomo che smangia,<br />

oggi sono dovuto nascere. E solo<br />

l’idea del<strong>la</strong> morte mi aiuta a morire...<br />

Ma tu, perché mi tormenti? Mi dici<br />

138


sei vivo!, come <strong>la</strong> più grande<br />

delle condanne. Tu lo sai<br />

io canto e non ti temo. Da quando<br />

sono cieco ho scoperto <strong>la</strong> paro<strong>la</strong>.<br />

Prima di partire l’ho usata male,<br />

ma ora, che sono <strong>in</strong> camm<strong>in</strong>o<br />

non parlo più, io dico.<br />

Conosco già le tue obiezioni.<br />

Voce di un coro che non riconosco,<br />

voce di un coro di morti, perché<br />

<strong>la</strong> città che ti manda è f<strong>in</strong>ita.<br />

Dopo questa città cosa c’è?<br />

Dopo <strong>la</strong> tragedia che f<strong>in</strong>gi?<br />

Essere nati è tutto il sogno?<br />

Non saprai mai rispondermi. A te<br />

che dici “non si può mutare<br />

<strong>la</strong> vita se non si cambia il mondo”,<br />

io con <strong>la</strong> storia a te più non rispondo:<br />

non sono comunista io sono vivo.<br />

SECONDO STASIMO<br />

GIOVANE<br />

E tu chi sei? Sei nuova? Perché non mi guardi?<br />

E te ne stai lì accucciata come una bestio<strong>la</strong>,<br />

non parli, soffi solo dal naso, sembra quasi che<br />

tu voglia scusarti di essere<br />

<strong>qui</strong> <strong>in</strong> carne e ossa - poca carne<br />

<strong>in</strong>torno ai tuoi...<br />

Perché mi fa così male <strong>la</strong> tua presenza,<br />

che non chiede niente a nessuno, se non di essere<br />

<strong>la</strong>sciata vivere, <strong>in</strong> questo luogo che credevo<br />

solo mio <strong>in</strong> questa stagione, <strong>in</strong> queste<br />

prime ore dell’alba, quando i bagn<strong>in</strong>i<br />

rastrel<strong>la</strong>no le sabbie su tutta <strong>la</strong> costa<br />

di questa parte di terra, sul<strong>la</strong> quale<br />

non siamo che un punto sopra un punto<br />

che gira nel vuoto?<br />

Perché non riesco a sopportarti neanche<br />

<strong>in</strong> questi luoghi, dove i ragazzi e le ragazze<br />

vengono a baciarsi , d’<strong>in</strong>verno e d’estate,<br />

<strong>in</strong> modi cosi diversi... scassando capanni, per esempio,<br />

oppure str<strong>in</strong>gendosi sull’erbetta, che ci cresce<br />

davanti, come per miracolo, spuntando dal<strong>la</strong> sabbia,<br />

formando tappet<strong>in</strong>i arrugg<strong>in</strong>iti e smeraldi,<br />

quasi scendiletti…<br />

Perché <strong>la</strong> tua vista, <strong>in</strong>vece di chetarmi,<br />

di farmi ragionare e almeno guardare<br />

quest’alba sotto monte, coi suoi colori<br />

verdi e bianchi, il blu che si dimena<br />

tra gli scogli, i pochi pescatori di renico<strong>la</strong><br />

e di granchi, <strong>la</strong>ggiù, nel<strong>la</strong> bassa, che s’aggirano<br />

come mendicanti tra odori che posso<br />

solo immag<strong>in</strong>are (perché ci sono odori<br />

per cui vale <strong>la</strong> pena di vivere) - perché<br />

<strong>la</strong> tua vista è questo tormento, questo<br />

odio, questa paura, questo racconto ritmato<br />

dai treni <strong>qui</strong> dietro, che rompono l’aria<br />

fischiando canzoni disgraziate - e non c’è gente<br />

più di disgraziata dei treni che vanno...<br />

139


Perché sei venuta proprio oggi, tra questi<br />

casotti di cemento pitturati d’azzurr<strong>in</strong>o<br />

e rosa, tra queste erbacce che fanno fiori<br />

piccoli così belli, tra queste <strong>la</strong>tte, sacchetti,<br />

ogni forma di p<strong>la</strong>stiche, perché proprio <strong>qui</strong>,<br />

seduta, sul cemento, con <strong>la</strong> schiena rivolta<br />

ai b<strong>in</strong>ari - che s’<strong>in</strong>travvedono tra <strong>la</strong> rete<br />

smagliata e i ciuffi di tamerici e pitosfori -<br />

proprio <strong>qui</strong> dove venivo io, dove ora vengo?<br />

Sapessi cosa mi è successo... <strong>in</strong> una so<strong>la</strong><br />

notte... non te ne staresti lì a guardarmi<br />

coi tuoi occhi grandi e morbidi, color di <strong>la</strong>na<br />

grigia, coi tuoi stracci, le tue rughe, - quasi<br />

altre due pelli sopra <strong>la</strong> tua pel<strong>la</strong>ccia scura -<br />

coi tuoi capelli e tutto quello che SEI<br />

non te ne staresti solo a guardarmi... se tu<br />

sapessi... mi daresti almeno un pezzo<br />

di quel limone che succhi - ché ho<br />

tutta <strong>la</strong> bocca impastata dal v<strong>in</strong>o, dalle <strong>la</strong>crime -<br />

ed io v<strong>in</strong>cerei lo schifo e il ribrezzo<br />

che mi fai usurpando questo luogo, succhierei...<br />

Ma, già, tu non sai... cosa vuoi che ti racconti,<br />

lì, coi tuoi stracci... forse sei anche sorda<br />

o muta, oppure s<strong>la</strong>va, straniera... Come potresti<br />

capirmi? Cosa... ma... forse… forse un modo<br />

ci sarebbe. Guarda! Sì, potresti guardare<br />

quello che accade davanti a chi par<strong>la</strong>,<br />

come <strong>in</strong> un bianco, perduto teatro di Greci...<br />

Intanto io parlerò solo per chi non può<br />

o non sa guardare, ma vuole ascoltare<br />

le cose che vedi <strong>in</strong> questa l<strong>in</strong>gua. Guarda,<br />

già i pescatori se ne vanno con le loro<br />

pale e cartocci di vermi lunghi e rosati,<br />

il sole è più alto, arrivano <strong>la</strong> colonie...<br />

CORO<br />

Ecco, un’ombra di irresistibile tristezza,<br />

dove s’annida l’ansia, come un <strong>in</strong>test<strong>in</strong>o<br />

immateriale, di un altro, che preme e duole…<br />

È con quest’ombra vic<strong>in</strong>o, che cerca<br />

un passaggio, una tregua, o il suo corpo<br />

che <strong>la</strong> manda nel mondo (ma non per gioco),<br />

è con quest’ombra, ragazzo, che ti misuri<br />

E non per scelta, ma per forza,<br />

È lei che ti muove <strong>la</strong> bocca, ti costr<strong>in</strong>ge<br />

a dire del<strong>la</strong> sua presenza (quanto<br />

simile all’aria, al vento!) nei giorni<br />

di sole o di pioggia, sopra una terra<br />

non più necessaria a questo mondo,<br />

che <strong>la</strong> ricopre, che <strong>la</strong> espelle da sé,<br />

come per una segreta consacrazione<br />

a far morire tutto quello che c’è.<br />

E il suo divieto a farsi amare<br />

è qualcosa che trasmette ai feti<br />

come il sangue delle madri (qualcosa<br />

che si taglia, <strong>qui</strong>ndi, e che cont<strong>in</strong>ua,<br />

da so<strong>la</strong>, quando si entra nell’aria,<br />

def<strong>in</strong>itivamente, e <strong>la</strong> si occupa).<br />

La vita poi dove si vive con lei<br />

Somiglia ai versi che non si scrivono<br />

mai, se non nei pochi giorni che contano.<br />

140


E sono lemmi <strong>in</strong> cui si par<strong>la</strong> dei propri<br />

sentimenti, come degli anni che ci volevano<br />

avere, quando si davano i primi baci.<br />

Conoscerai così <strong>la</strong> menzogna dell’amore.<br />

L’<strong>in</strong>famia è questa: accorgersi.<br />

TERZO STASIMO<br />

CORO<br />

Non avrai altro Coro all’<strong>in</strong>fuori di me.<br />

Non c’è un’altra voce. E anche <strong>la</strong> tua<br />

è <strong>la</strong> mia voce che non vuoi. Io sono<br />

<strong>la</strong> so<strong>la</strong> voce che esiste. Perché<br />

mi dirai? Il vecchio Coro par<strong>la</strong>va,<br />

ricordi?, di figli e di padri e <strong>la</strong> sua voce<br />

era rotta dal pianto delle madri. Poi<br />

le cose sono cambiate. Le parole anche.<br />

Ora io parlo soltanto di me e gli uom<strong>in</strong>i<br />

mi pensano perché mi consumano. Ogni<br />

giorno ne nascono nuovi ed io<br />

li accolgo dicendogli: TU SEI ME.<br />

GIOVANE<br />

Che strano! Io occupo un posto non mio!<br />

Sono diventato tutti e sono sempre<br />

più solo! Qui, dove sono, già vivo<br />

nel futuro. Perché non c’è più<br />

futuro. Tutto è già accaduto.<br />

Le cose ci sono, ma non ci sono più.<br />

Gli alberi ci sono, ma non ci sono più.<br />

I corpi ci sono, ma non ci sono più.<br />

Parole ce ne sono, ma non ci sono più.<br />

E via di passo...<br />

(rivolto al<strong>la</strong> vecchia)<br />

E tu, perché non dici niente? perché<br />

non mi guardi? Sei nuova? Mi fai<br />

forse più pena che rabbia...<br />

La vedi<br />

<strong>la</strong> cioto<strong>la</strong> azzurra del mare, <strong>la</strong> bevi<br />

con gli occhi? Oh, essere il mare nel mare.<br />

VECCHIA (tra sé)<br />

Povero stupido! Cosa ti credi? Ce ne sono<br />

tanti come te. Passano <strong>qui</strong>, <strong>in</strong> questi luoghi,<br />

o <strong>in</strong> altri, tutti giovani come te, e vogliono<br />

qualcosa, che io parli con loro. Ma sono<br />

tutti arrivati troppo tardi! Avete fatto<br />

per anni tutto quello che avete voluto<br />

ed ora vorreste rifarlo nello stesso modo!<br />

Ma io non mi presto a questo gioco.<br />

Ascolto. Io ascolto e <strong>in</strong>tendo tutto<br />

quello che dite. Ma siete arrivati tardi!<br />

Sono diventata vecchia, vivo di morsi,<br />

e quando cantavo nessuno mi ha ascoltato. Ora<br />

venite <strong>qui</strong> come cani bastonati, ubriachi,<br />

e solo il v<strong>in</strong>o riesce a farvi piangere.<br />

Vi sedete, guardate il mare e par<strong>la</strong>te<br />

par<strong>la</strong>te, recitate vecchie strofe, lo scrivete<br />

anche! Qualcosa vi brucia, ma cosa?<br />

141


Siete costretti a vivere <strong>la</strong> gioventù<br />

con <strong>la</strong> poesia, ma quel<strong>la</strong> non l’avete<br />

vissuta. La vostra gioventù non vide<br />

<strong>la</strong> poesia né <strong>la</strong> gioventù: ed ora è<br />

<strong>la</strong> poesia che <strong>la</strong> guarda, come un ricordo,<br />

un rimpianto, una corol<strong>la</strong> da aprire,<br />

che non vide sbocciare. Ma che poesia<br />

sarà mai questa? Di cosa? Voi mentite.<br />

Tirate fuori <strong>la</strong> politica e le date<br />

tutte le colpe. È stata lei! È stata<br />

lei a impedirci di vedere<br />

che c’erano anche le strade, l’erba<br />

e <strong>la</strong> pioggia, che c’erano anche le bestie,<br />

il mare, l’amore... Ma voi mentite<br />

perché siete nati ora. E vi vorreste<br />

già morti...<br />

GIOVANE<br />

Guarda, vecchia che non parli, guarda...<br />

oh, le cose, nel sole, le cose che non sono<br />

più, nel sole, sbucato da azzurre asole,<br />

le cose, i capanni, i mosconi rossi<br />

e scrostati, nell'erba, sul terrapieno,<br />

<strong>la</strong>sciati a bruciare, e tutta <strong>la</strong> sabbia<br />

calda come un panno <strong>in</strong> mille pieghe, e,<br />

dentro, conchiglie, legnetti, i rifiuti<br />

più amari del mondo, con <strong>la</strong> poesia...<br />

È <strong>in</strong> questa forma che avviene<br />

<strong>la</strong> grande parata dei giorni. I giorni<br />

lucidi come grappoli dopo <strong>la</strong> grand<strong>in</strong>e.<br />

I figli passano da queste parti e i giorni<br />

li scacciano. - E <strong>in</strong> questa grande parata<br />

le cose irretire e morire. I miei passi<br />

asciutti più farsi. E <strong>la</strong> scena cambiare...<br />

Vecchia mia, cosa vuoi sapere, le matt<strong>in</strong>e?<br />

Matt<strong>in</strong>e come queste, quando ci si alza<br />

dal sonno, come morti <strong>in</strong> un vivo?<br />

Accosto un corpo di madre. La gamba<br />

al primo piede poggiato, che fa male,<br />

il giallo e il bagno, <strong>la</strong> prima paro<strong>la</strong>,<br />

sempre diversa, e se sei solo non parli,<br />

non parli, e <strong>la</strong> voce f<strong>in</strong>ge una paro<strong>la</strong><br />

per sentirsi. - Al punto che se restassi<br />

solo <strong>in</strong> una stanza senza specchi<br />

potrei sentirmi un'ombra, se nessuno<br />

mi vedesse <strong>in</strong> questi giorni sarei morto,<br />

e non ci sono ruscelli da amare come Narcisi.<br />

Perché tu lo sai, vecchia, che esistere<br />

vuol dire essere visti, che essere reali<br />

è solo essere visti agire...<br />

ESODO<br />

VECCHIA<br />

Non posso più rispondere. Domanda.<br />

Sono arrivata. Me ne vado. Senza<br />

par<strong>la</strong>re, nel silenzio. Le teorie<br />

sfi<strong>la</strong>no come l'auto sulle strade,<br />

a luglio, vanno i caselli a <strong>in</strong>tasare,<br />

142


a migliaia, con gli uom<strong>in</strong>i e le donne<br />

<strong>in</strong>tenti, dentro, ai loro figli, ai bagagli...<br />

L'errore è stato quello di legare<br />

<strong>la</strong> disperazione al<strong>la</strong> storia, credendo<br />

di risolvere il tempo nell'esistere<br />

e nel porre un solo verso. Ma ora i vecchi<br />

segni, alitando sopra un vetro, escono<br />

di nuovo. Ma per quello che non sono<br />

appaiono. Non hanno fondamento.<br />

Come i corpi. E come i corpi sono<br />

di ragazze e di ragazzi o donne che<br />

<strong>in</strong> questi luoghi passano: vacanze<br />

accanto alberghi <strong>in</strong> costruzione, sterri,<br />

tavo<strong>la</strong>cce, rifiuti e bidoni, <strong>la</strong>tte,<br />

strappate carte e gazzette, calc<strong>in</strong>acci,<br />

ovunque l’erba si ripari e fugga...<br />

Tutte uguali, le cose, par<strong>la</strong>no ora<br />

nel l<strong>in</strong>guaggio dei segnali, dal<strong>la</strong> rugg<strong>in</strong>e.<br />

Bisognerà anche noi <strong>la</strong> parte imparare,<br />

scordare il tutto, il ricatto. Pensare<br />

ad una nuova casa che non c’è, alle<br />

remote punte tre: <strong>la</strong> l<strong>in</strong>gua, il cuore,<br />

il sesso. Sciogliere lo sguardo dal<strong>la</strong> scena.<br />

E non sarà sapere più, ma esserci.<br />

[1979] [1994] [2001]<br />

Notizia.<br />

Gianni D’Elia, libero docente e traduttore, vive a Pesaro, dove è nato neI 1953. Ha pubblicato le raccolte<br />

di poesie “Non per chi va” (Savelli 1980; Marcos y Marcos, 2000), “Febbraio” (Il <strong>la</strong>voro editoriale, 1985),<br />

“Segreta” (E<strong>in</strong>audi, 1989) “Notte privata” (E<strong>in</strong>audi, 1993) “Congedo del<strong>la</strong> vecchia Olivetti” (E<strong>in</strong>audi,<br />

1996) “Guerra di Maggio” (San Marco Giust<strong>in</strong>iani, 2000), “Sul<strong>la</strong> riva dell’epoca” (E<strong>in</strong>audi, 2000), “Bassa<br />

stagione” (E<strong>in</strong>audi, 2003), “Coro del<strong>la</strong> cometa” (<strong>LietoColle</strong>, 2004) e “Trovatori” (E<strong>in</strong>audi, 2007). Ha<br />

fondato <strong>la</strong> <strong>rivista</strong> “Lengua”. “Gli anni giovani” (Transeuropa, 1995) riunisce una sua trilogia narrativa.<br />

Per E<strong>in</strong>audi nel<strong>la</strong> col<strong>la</strong>na “Scrittori tradotti da scrittori” sono uscite le sue versioni di Gide, “I nutrimenti<br />

terrestri” (1994) e di Baude<strong>la</strong>ire, “Lo Spleen di Parigi” (1997).<br />

143


VIA SERIVED NON ESISTE<br />

Buona sera. Prima di <strong>in</strong>iziare con lo spettacolo, vorrei dire due parole su… Philip Dick, anche se può<br />

sembrare noioso, Philip Dick è negro. È nato nel ventotto è morto nell’ottanta due. due otto otto due. Due<br />

più otto dieci otto più due, dieci. Uno più zero, zero, zero più uno, uno, uno più uno, due. Otto.<br />

Ma per me è importante. Oltretutto molti di voi se sono <strong>qui</strong> è perché <strong>in</strong> qualche modo ne sanno già<br />

qualcosa, forse molto, e forse più di me su Philip dick. Philip K<strong>in</strong>dred Dick. Io pensavo fosse negro. È<br />

stata una delusione vedere <strong>la</strong> sua prima foto. Mi tornava tutto, che fosse un negro. Ho letto i suoi primi<br />

quattro libri che lui era negro. È rimasto un negro.<br />

Avevo sette anni, da piccolo. Mi piaceva <strong>la</strong> fantascienza. Ma non leggevo molto a sette anni, <strong>qui</strong>ndi non<br />

l’ho letto.<br />

DOVREBBE ESSERCI QUALCOSA CHE SPARA COME UN RIFLETTORE PER UN'INTERVISTA TELEVISIVA<br />

NOTTURNO ESTERNO. DOVREBBE AVERE LA LUCE SULLA FACCIA COME UNO CHE VIENE SORPRESO<br />

MENTRE VA DA QUALCHE PARETE, E GLI CHIEDONO STE COSE DU DICK. LUI SOSTANZIALMENTE<br />

VORREBBE SCAPPARE, PERÒ NON SCAPPA. NON SCAPPA E PARLA. MA È SEMPRE SUL PUNTO DI<br />

ANDARSENE. DEVE ESSERE EVIDENTE CHE CI SI STA ARRAMPICANDO SUGLI SPECCHI. ...LUCE.<br />

- Volevo farti qualche domanda, su Philip, come vedi tu...<br />

- Ah, tu lo chiami Philip, mi stanno sul cazzo quelli che fanno così.<br />

- Ssi, come vedi tu l’<strong>in</strong>tersezione tra <strong>la</strong> letteratura e <strong>la</strong> vita dell’autore? La morte del<strong>la</strong> sorel<strong>la</strong><br />

gemel<strong>la</strong>.<br />

- Non me ne può fregar de meno. A diciott’anni ho <strong>in</strong>iziato a scrivere il mio primo romanzo, non<br />

sapevo scrivere, non sapevo leggere, ovvio che sapevo leggere a diciott’anni, non leggevo un cazzo però.<br />

E allora ho pensato visto che vado male a g<strong>in</strong>nastica perché non provo a scrivere un romanzo - visto che<br />

sono un genio. Guarda come fanno gli altri e poi o impari. Ho letto ottocento pag<strong>in</strong>e di Bukowski <strong>in</strong> due<br />

giorni e poi sapevo scrivere.<br />

- Il rapporto con dio, o <strong>la</strong> div<strong>in</strong>ità <strong>in</strong> generale?<br />

- Anche <strong>la</strong> div<strong>in</strong>ità, quelli che dicono <strong>la</strong> div<strong>in</strong>ità mi stanno sul cazzo. È un concetto o un nome.<br />

Questo lo so dall’università. - prima di andare a dormire, anzi, dentro il lettuccio caldo, mani giunte e<br />

padre nostro. Che sei nei cieli. Sia santificato il tuo nome. Venga il tuo regno. Sia fatta <strong>la</strong> tua volontà.<br />

Sperando che co<strong>in</strong>cida con <strong>la</strong> mia.<br />

ADESSO CI VORREBBE DELLA MUSICA: (VORREI CHE FOSSE MOLTO EVIDENTE CHE LA SITUAZIONE È<br />

COMPLETAMENTE UN'ALTRA, MI PIACEREBBE CHE CI FOSSE QUALCOSA DI KITCH, IN UN CERTO SENSO,<br />

UN’ATMOSFERA UN PO' INCREDIBILE. PIÙ GRANDE DI LUI MI VIENE DA DIRE. PIÙ GRANDE DI LUI.<br />

LASCIAMO CHE CI SI PERDA DENTRO COME UN BISCOTTO AL PLASMON IN UN TAZZONE DI<br />

CAFFELATTE. PER RENDERE L'IDEA.)<br />

Oggi, cercavo un posto. Non ho <strong>la</strong> più pallida idea di dove sia, sto posto.<br />

Ci sono stato di recente ma venivo tutto da un’altra parte. Mi ricordo che c’erano dei giard<strong>in</strong>i, ma non ne<br />

sono proprio certo. Il tipo con <strong>la</strong> moglie – il tipo con <strong>la</strong> moglie voi non lo conoscete -ha detto che sono<br />

troppo avanti, di tornare tutto <strong>in</strong>dietro e girare dopo due semafori ma non quelli piccoli, quelli grandi., Gli<br />

<strong>in</strong>croci con le vie grandi. Via Serived 43/a . Attraversare <strong>la</strong> città. Tanto oggi ho tempo. Faccio il gioco<br />

dell’<strong>in</strong>tuito. Incrocio una strada e chiedo al<strong>la</strong> parte s<strong>in</strong>istra del cervello: destra o s<strong>in</strong>istra? lei espande, ho<br />

tempo.<br />

Tanto quel<strong>la</strong> di via Serived non credo che mi aspetti con impazienza. L’altra settimana quando sono<br />

andato per conto del<strong>la</strong> ditta a comunicarle lo sfratto, non ha fatto una piega. Proprio niente di niente,<br />

cristo. Io quelle che non reagiscono neanche se gli dici che c’hanno uno scorpione tra i capelli non le<br />

reggo. Sembrava scema. Forse è scema.<br />

SÌ, ANDIAMO ALLA GRANDE. VORREI CHE LUI ADESSO DICESSE QUALCOSA DI SPIRITUALE:<br />

((PAUSA DI RIFLESSIONE, LUCE DA INTERVISTA E BREVE STOP DELLA MUSICA))<br />

“Credo che <strong>la</strong> vita,<br />

per quanto vasta e smarrita<br />

sia di forma circo<strong>la</strong>re<br />

144


e che possieda un centro”<br />

((musica))<br />

Comunque sia: Oggi c’è lo sgombero esecutivo, <strong>qui</strong>ndi me <strong>la</strong> prendo, me <strong>la</strong> carico sul camion <strong>in</strong>sieme a<br />

tutti i suoi santi e i suoi cristi - <strong>la</strong> notifica le è arrivata da un pezzo. Non paghi. Te ne vai. Non te ne vai?<br />

Ti portiamo via noi. È <strong>la</strong> legge. La legge del<strong>la</strong> Casamia Associati spa. Ma con questo io non c’entro, io<br />

guido solo il loro camion. Non sono un socio. Sono un dipendente. Con quel<strong>la</strong> di via Serived di mio non<br />

c’ho proprio niente. Spero solo non mi pianga davanti. Le <strong>la</strong>crime non le reggo. Non mi piace vedere le<br />

<strong>la</strong>crime che scendono giù per <strong>la</strong> faccia gli occhi che si arrossano e tutto il resto. Per non par<strong>la</strong>re del<br />

sentire quelli che tirano su col naso. Francamente è’ una cosa schifosa. Solo i bamb<strong>in</strong>i hanno diritto di<br />

farlo senza vergogna, i bamb<strong>in</strong>i possono, perché i bamb<strong>in</strong>i sono al di sopra di tutto, anche dello schifo:<br />

non c’è modo che un bamb<strong>in</strong>o perda <strong>la</strong> sua dignità. Ma se quel<strong>la</strong> piange sì che è uno schifo; mi tocca<br />

caricarme<strong>la</strong> sul camion , tutta moccicosa, coi capelli che si disfano, <strong>la</strong> vestaglia scomposta, le calze<br />

smagliate. E tutta quel<strong>la</strong> gente <strong>in</strong>torno che si commuove. Manco fosse al<strong>la</strong> televisione,<br />

“pover<strong>in</strong>a, <strong>la</strong> mette sul camion!”. Facile commuoversi per le disgrazie di cui non siamo i responsabili.<br />

Tutta quel<strong>la</strong> gente col sorriso perplesso <strong>in</strong>oltrerà istanza di proroga, “una settimana, un mese. Lasciate<strong>la</strong><br />

stare <strong>in</strong>fami, cani da guardia, li troverà i soldi, datele il tempo. Datele il tempo.”<br />

- Ma come? – vorrei sapere, come li troverà i soldi? Me li date voi, al suo posto? Questi benedetti<br />

soldi? Sono almeno dieci mesi che questa non paga l’affitto ( non che il fatto mi sorprenda, a volte<br />

anch’io ho tardato qualche mese),non è questione di bontà o cattiveria. È <strong>la</strong> ditta. Ha le sue regole. Sopra<br />

o sotto i <strong>qui</strong>ndicimi<strong>la</strong>, c’è il cambiamentoepocale. Puoi stare anche per vent’anni ad un pelo dei<br />

<strong>qui</strong>ndicimi<strong>la</strong>, capisci, puoi stare pure a quattordicimi<strong>la</strong> e novecento per dieci anni, ma se sfori sui <strong>qui</strong>ndici,<br />

non c’è nessuno che ti possa salvare. La ditta lo vede subito. E procede di conseguenza. Io sono il braccio<br />

del<strong>la</strong> legge. In un certo senso, e <strong>la</strong> signora di via Serived lo sa benissimo anche lei. Perciò lei non<br />

piangerà, salirà sul camion senza versare <strong>la</strong>crime, con dignità ed onore. Speriamo. Spero di non dover<br />

usare le maniere forti. Odio quando devo menare. Oltretutto per conto del<strong>la</strong> ditta. È <strong>la</strong> ditta che mena,<br />

ma i segni vio<strong>la</strong> delle dita sono i miei e non mi piace, non mi piace affatto.In certi casi non hai scelta, ma<br />

il più delle volte, con un po’ di sensibilità te <strong>la</strong> cavi al<strong>la</strong> grande. Lo devi sentire, con chi hai a che fare. Per<br />

esempio questa di via Serived è una strana, non so se capisce tutto. L’altra volta c’ha messo un tempo<br />

per capire che ero del<strong>la</strong> Casamia associati spa, che non volevo stuprar<strong>la</strong> o altro , e che non volevo<br />

baciare Gesù. Ha tentato ripetutamente di farmi baciare Gesù. Non par<strong>la</strong>va, ma teneva quel Cristo <strong>in</strong><br />

mano, lo baciava e poi me lo porgeva perché facessi lo stesso anch’io. Ma io non volevo baciarlo. Ma non<br />

volevo offender<strong>la</strong>. Cazzo, mi dispiaceva che pensasse che non volevo baciarle Gesù solo perché aveva<br />

sforato nei <strong>qui</strong>ndicimi<strong>la</strong>.<br />

(didascalia muta : L’affermazione che segue avrà <strong>la</strong> tempestività di uno spot sublim<strong>in</strong>ale. Non deve quasi<br />

percepirsi che non c’entra con <strong>la</strong> storia, fal<strong>la</strong> scivo<strong>la</strong>re)<br />

Mi piace il buddismo anche lo yogurt müller, perché sembra bianco e puro. E <strong>in</strong>vece è buono.-<br />

- Così l’ho baciato. Ho baciato Gesù. Però subito dopo le ho detto ben chiaro cosa l’aspettava; le ho<br />

detto che se non avesse saldato il debito, sarei dovuto tornare a caricare tutto sul furgone, anche il Gesù,<br />

e che l’avrei fatto senza guardare <strong>in</strong> faccia nessuno. Lei ascoltava, deve essere proprio un po’ svitata,<br />

senza guardarmi, e al<strong>la</strong> f<strong>in</strong>e s’è messa a pett<strong>in</strong>arsi i capelli con una vecchia spazzo<strong>la</strong> di seto<strong>la</strong>, come una<br />

bamb<strong>in</strong>a di quattro anni . Anche se <strong>in</strong> realtà è vecchia almeno quanto <strong>la</strong> spazzo<strong>la</strong>.<br />

(come prima, questa didascalia resta <strong>in</strong> ombra, ciò che dico s’<strong>in</strong>tende a nostro uso e consumo, il pubblico<br />

non sente, non sa nul<strong>la</strong>: le <strong>in</strong>dicazioni d’ord<strong>in</strong>anza sono occulte: riaccendete <strong>la</strong> luce da <strong>in</strong>tervista,<br />

fermate <strong>la</strong> musica, come per un <strong>in</strong>cidente! Inserite <strong>la</strong> prossima battuta e ripartite, come se non fosse mai<br />

stato)<br />

(SORRIDENDO MOLTO):<br />

“ Una volta ho viaggiato fuori dal corpo!”<br />

(MUSICA E LUCE, COME PRIMA)<br />

145


- Poco fa <strong>in</strong> galleria c’è stato un <strong>in</strong>cidente, a giudicare dal<strong>la</strong> macch<strong>in</strong>a deve esserci morto qualcuno.<br />

L’uomo con <strong>la</strong> moglie a cui ho chiesto l’<strong>in</strong>formazione su via Serived era <strong>in</strong>certo, sull’<strong>in</strong>cidente, prima ha<br />

detto che era morto il guidatore, poi ha raccontato tutto più velocemente, una seconda volta, come per<br />

riassumere i fatti, ma sta volta a morire era stato quello di fianco. Un uomo giovane. Non so perché c’ho<br />

fatto caso, avrei voluto chiedergli spiegazioni, chiedergli che si decidesse a dirmi chi dei due, secondo <strong>la</strong><br />

sua versione dei fatti, secondo il suo punto di vista, era morto. Ma dietro c’era uno stronzo che suonava,<br />

e l’<strong>in</strong>formazione su via Serived me l’aveva data, perciò ho <strong>la</strong>sciato stare. Mi piacciono gli <strong>in</strong>cidenti<br />

stradali, perché spezzano i circoli viziosi del pensiero, ti spostano tutto d’un colpo al di fuori del tuo<br />

universo del<strong>la</strong> mente. un <strong>in</strong>cidente è uno squarcio del<strong>la</strong> realtà, <strong>la</strong> f<strong>in</strong>e, subito dopo, di tutte le cose che<br />

poco prima ti sembravano importanti. Non c’è più niente. Sei su un altro ord<strong>in</strong>e di grandezza. Forse<br />

quando te <strong>la</strong> vedi chiaramente lì, davanti al<strong>la</strong> faccia, <strong>la</strong> morte, ti passano tutti i dubbi, diventi liscio come<br />

un tavolo da biliardo, e anche <strong>la</strong> mente per un attimo, fa silenzio. Vede, e basta. Dal<strong>la</strong> prospettiva<br />

migliore possibile e cioè dal<strong>la</strong> prospettiva di uno che con tutto questa roba ‘sta per non c’entrare più<br />

niente. Dannarsi non serve, non c’è una cosa che aggiunga senso o che lo tolga, a questo stare <strong>qui</strong>, con<br />

le gambe un po’ al<strong>la</strong>rgate e i piedi sul<strong>la</strong> terra con l’idea che, perché ci sei, ci puoi fare qualcosa. Qualsiasi<br />

cosa sia.<br />

Didascalia per chi ci crede:<br />

“VIA SERIVED NON ESISTE, NEANCHE QUELLA DONNA, NIENTE ESISTE, FATTI E PERSONAGGI SONO<br />

PURAMENTE INVENTATI, LA STORIA È UN FALSO CHE NESSUNO HA MAI VISSUTO NE’ SCRITTO, LA<br />

PAZZIA, LA CASA VUOTA, FALSO, FALSO DIO, FALSO HITLER, FALSO GESÙ, DICIAMO LA VERITÀ,<br />

DICIAMO LORO CHE NON DEVONO CREDERE PER FORZA A TUTTO QUESTO CHE BISOGNA PIUTTOSTO<br />

SVUOTARE I PORTACENERI, RIVOLTARE IL POLIPO E PERCUOTERLO PERCUOTERLO, CONTRO UNA<br />

ROCCIA, LO SO, PARE BRUTTO DIRLO, MA È L'UNICO MODO PER MANGIARLO.<br />

DISPIACE PER IL POLIPO.”.<br />

((LUCE INTERVISTA))<br />

- Dom. Riesci a farlo- sostanze psicotrope?,<br />

- Risp. Se torni a casa ubriaco. Come al solito ho letto un manuale di un certo Monroe, anche quello<br />

prestato, come il libro di Bukowsky, devi praticamente allungare una mano e accedere <strong>la</strong> luce senza<br />

muovere un dito. Sono f<strong>in</strong>ito <strong>in</strong> una stanza, c’era un uomo dietro una scrivania, un militare r<strong>in</strong>cagnato.<br />

“Che cazzo ci fai <strong>qui</strong>?”, mi son cagato sotto ed eccomi nel mio letto. Tutte palle.<br />

- Dom. tutte palle? F<strong>in</strong>o a dove? F<strong>in</strong>o a dove devi risalire per trovare qualcosa di vero, qualcosa di cui<br />

non si può assolutamente dubitare?<br />

- Risp. F<strong>in</strong>o a <strong>qui</strong>, devi risalire f<strong>in</strong>o a <strong>qui</strong>, f<strong>in</strong>o ad adesso.sul<strong>la</strong> stampa ma anche su rai tre.il romanzo del<br />

secolo. I nazisti hanno v<strong>in</strong>to <strong>la</strong> guerra figata.<br />

Idea geniale.compro subito. Dopo molti anni però.pausa.silenzio.hanno v<strong>in</strong>to <strong>la</strong> guerra? Syd barret è<br />

vivo.elvis è vivo.adolf è vivo.p<strong>in</strong>ochet è vivo. Voi siete tutti morti. Io sono vivo. Io sono morto voi siete<br />

vivi.<br />

SILENZIO.<br />

Dick si drogava. Dick era pazzo, era uno psicopatico si mangiava le scatolette dei cani, è una cosa questa<br />

delle scatolette, che mi è rimasta <strong>in</strong> testa, e poi <strong>in</strong> <strong>in</strong>glese dick vuol dire cazzo, e anche sua moglie lo ha<br />

<strong>la</strong>sciato.<br />

((MUSICA))<br />

“Non c’è più niente. Sono su un altro ord<strong>in</strong>e di grandezza La casa è vuota. È vuota e senza speranza.<br />

Mastico di tutto. Puttana, sono perso. Non trovo un buco, aspetto… e se non succede niente aspetto. non<br />

si può vedere dio tutti i giorni. E quando non si vede dio <strong>la</strong> vita è piuttosto <strong>in</strong>concludente, diciamo noiosa.<br />

Diciamo un’escrescenza <strong>in</strong>utile, a volte decisamente misera e sudicia, <strong>la</strong>vabo, cose sporche, reali, scarpe,<br />

polpastrelli rosa, ragni e soffitto. Una merda. Di gatto. A volte ho il dubbio che tutta questa luce addosso<br />

non serva a nessuno, che non sia divertente né altro. La luce di per se stessa, è solo il s<strong>in</strong>tomo di un<br />

qualche grave s<strong>qui</strong>librio. Se scrivo sto meglio, anche se scrivere non cancel<strong>la</strong> <strong>la</strong> realtà dei fatti. I piedi<br />

puzzano se non li <strong>la</strong>vi a dovere e, con dovizia di partico<strong>la</strong>ri, neanche le mutande scherzano. Non so, se<br />

146


potessi scegliere, se a vessi una qualche voce <strong>in</strong> capitolo, se sceglierei di r<strong>in</strong>ascere uomo. Non sono<br />

sicuro che tutto questo arare il fondo <strong>in</strong> def<strong>in</strong>itiva giustifichi l’impresa. Costa tutto molto caro. La fantasia,<br />

i gatti che par<strong>la</strong>no, le pastiglie, il telefono, l’amore, puttana, e tutti i soldi a tutti quelli. Il fatto è che le<br />

regole del gioco mi si disfano <strong>in</strong> mano, per esempio, ho l’impressione che gli altri sentano <strong>in</strong> modo<br />

diverso. Più stereofonico. Più orchestrato. Mentre a me il suono mi pare che arrivi tutto da una parte, per<br />

esempio , a destra, e poi di colpo, tutto dall’altro orecchio. Passo dai bassi All’eco degli acuti, ma non c’è<br />

verso di mettere <strong>in</strong>sieme tutto. Non c’è orchestrazione nel<strong>la</strong> mia testa. e allora che farci. Sono uno di<br />

quelli a cui probabilmente manca qualche prote<strong>in</strong>a strana e che per semplici ragioni chimiche, crede di<br />

stare <strong>in</strong> un modo, mentre basterebbero due o tre cc di questa fantomatica prote<strong>in</strong>a per ricondurmi sul<br />

piano dell’esistenza piana. Solo che <strong>la</strong> scienza procede con lentezza, e per ora non si sa molto del<strong>la</strong> mia<br />

prote<strong>in</strong>a. Mi è arrivata una lettera, senza mittente, l’ho aperta e dentro c’era un biglietto con su scritto a<br />

caratteri <strong>in</strong>fantili, ma stampatello, TE LA DEVI CAVARE DA SOLO. Non so a chi sia potuto venire da<br />

scrivermi questo. Non so se era buona o cattiva l’<strong>in</strong>tenzione di chi scriveva. Ma questo biglietto per me è<br />

un buon suggerimento. È una risposta. Una delle poche risposte che qualcuno, da qualche parte, ha<br />

pensato di darmi. Lo r<strong>in</strong>grazio.<br />

((PAUSA PROTRATTA IL PIÙ A LUNGO POSSIBILE…))<br />

Cioè era uno sfigato totale, uno che sdelirava un giorno su due, è chiaro che se sdeliri qualcosa di buono<br />

nel<strong>la</strong> merda viene fuori, eh però gli è costato caro eh. Chi ce lo fa fare di sdelirare che poi si di dice<br />

delirare<br />

- Cosa ti comanda?<br />

- Comandare è sbagliato, starci dentro è giusto. Cronaca del dopo bomba. Copert<strong>in</strong>a bianca,<br />

e<strong>in</strong>audi.<br />

((pausa)) ((musica))<br />

Elegìa:<br />

“Dovessi scegliere contro cosa consumare le parole<br />

e con esse <strong>la</strong> vita, contro cosa spezzare i remi<br />

del<strong>la</strong> mia barca, per andare avanti e non sentirmi<br />

perduto. Sceglierei le cose ardenti, che bruciano<br />

o cuociono, le cose che scottano sul<strong>la</strong> pelle,<br />

tutto quello che non si dimentica voltando gli occhi”.<br />

Credo che <strong>la</strong> vita<br />

Per quanto vasta e smarrita<br />

Sia di forma circo<strong>la</strong>re<br />

E che possieda un centro.<br />

Tutte le cosmogonie e tutte le filosofie metafisiche<br />

e i pensieri attorno al<strong>la</strong> genesi del mondo<br />

par<strong>la</strong>no di qualcosa che assomiglia a un cerchio<br />

con dentro, nel migliore dei casi,<br />

parecchi altri cerchi e via dicendo<br />

f<strong>in</strong>o a dio, o comunque a qualcosa<br />

che lo rappresenta.<br />

Anch’io, nel mio piccolo, mi sono fatta un’idea<br />

dell’esistenza. Mi sembra che non ci sia<br />

alcun senso supplementare<br />

e che se esiste una possibilità<br />

147


se esiste<br />

di trovare qualcosa che ci risponda<br />

qualcosa che non ci <strong>la</strong>sci del tutto <strong>in</strong>erti<br />

sul<strong>la</strong> faccia del<strong>la</strong> terra, a zoppicare per niente<br />

<strong>in</strong> mezzo a cose che il più delle volte<br />

a loro volta<br />

non hanno senso -<br />

se esiste una possibilità, dicevo, questa possibilità<br />

probabilmente<br />

risiede nel coraggio di toccare tutto,<br />

come le scimmie<br />

di scuotere baciare succhiare calpestare<br />

amare uccidere partorire e mordere<br />

tutto quello che si può<br />

prima che sia troppo tardi per farlo.<br />

Per tardi <strong>in</strong>tendo soprattutto<br />

il nostro tempo <strong>in</strong>terno, che a volte all’improvviso<br />

smette di battere, e ci <strong>la</strong>scia senza voglie<br />

e senza sorrisi.<br />

Così.<br />

Senza motivo.<br />

Una volta amavo una poesia di Dy<strong>la</strong>n Thomas che diceva<br />

Infuria <strong>in</strong>furia contro l’<strong>in</strong>cedere del<strong>la</strong> notte<br />

o qualcosa del genere<br />

Infuria <strong>in</strong>furia <strong>in</strong> italiano non rende l’idea, ma <strong>in</strong> <strong>in</strong>glese<br />

(non ricordo <strong>la</strong> paro<strong>la</strong>), esprimeva uno sforzo sovrumano<br />

e ripetuto, contro qualcosa di cieco,<br />

che schiaccia . Io credo che <strong>la</strong> vita sia decisamente<br />

<strong>in</strong> questo <strong>in</strong>furiare<br />

e <strong>in</strong>furiare, e che l’atto di questa furia<br />

sia creativo – e non (come alcuni pensano)<br />

un atto di devastazione – anche se spesso,<br />

per errore o <strong>in</strong>esperienza, ho anche devastato.<br />

Ma <strong>la</strong> maturità, <strong>la</strong> giusta maturità,<br />

ci <strong>in</strong>segna a dist<strong>in</strong>guere tra i funghi buoni<br />

quelli alluc<strong>in</strong>ogeni<br />

e quelli velenosi<br />

e ci <strong>in</strong>segna a scegliere – ciascuno per suo conto<br />

e secondo <strong>la</strong> propria coscienza<br />

o <strong>in</strong>cl<strong>in</strong>azione,<br />

a quale fungo sia bene<br />

raccomandarsi.<br />

C’era un uomo che stava sempre seduto<br />

sul<strong>la</strong> sponda di un grosso fiume di città<br />

a guardare <strong>la</strong> gente che passava<br />

e a chiedersi dove<br />

e perché.<br />

In questo stare a guardare<br />

senza <strong>in</strong>terrompere<br />

l’uomo<br />

trovava <strong>la</strong> sua pace e <strong>la</strong> misura<br />

del<strong>la</strong> sua esistenza.<br />

dato che non sapeva dove andare<br />

né perché, preferiva guardare.<br />

Ed io guardavo lui guardare<br />

e quel<strong>la</strong> gente e non mi facevo le sue stesse domande<br />

ma domande del tutto diverse<br />

che riguardavano più lui<br />

che i passanti, ma comunque è uguale.<br />

importante è <strong>la</strong> poesia che trasuda<br />

dallo sforzo di vivere<br />

148


anche se questo sforzo è solo lo sforzo<br />

di uno che preferisce non fare nul<strong>la</strong>.<br />

E pensa di r<strong>in</strong>contrare qualcuno dopo molto tempo<br />

Uno che non vedevi più da molto tempo<br />

Una persona<br />

Che l’ultima volta non par<strong>la</strong>va <strong>la</strong> tua stessa l<strong>in</strong>gua, ed ora,<br />

dopo tutto questo tempo<br />

<strong>in</strong> cui tu non hai potuto <strong>in</strong>contrar<strong>la</strong><br />

o non hai voluto chissà<br />

comunque ora <strong>la</strong> <strong>in</strong>contri che par<strong>la</strong> come te<br />

par<strong>la</strong> <strong>la</strong> tua stessa l<strong>in</strong>gua correntemente senza accento<br />

ed esprime concetti lucidi con facilità e naturalezza.<br />

Tu sei a disagio<br />

Naturale<br />

Sai che prima gli hai fatto un qualche torto<br />

Prima, quando non capivi che tutti quei suoi concetti<br />

Stavano nel<strong>la</strong> sua testa già allora, solo che non ti arrivavano<br />

Non potevano<br />

erano bei pensieri, forse pers<strong>in</strong>o più sottili dei tuoi,<br />

più orig<strong>in</strong>ali, più <strong>in</strong>ventivi dei tuoi,<br />

ma se ne stavano sdraiati dentro<br />

non uscivano per via del<strong>la</strong> porta<br />

non c’era porta per quel<strong>la</strong> l<strong>in</strong>gua, <strong>la</strong> tua.<br />

Oh! Adesso sì che ti par<strong>la</strong>! - par<strong>la</strong> eccome, ma senza mai accennare al passato hai notato?<br />

Come se non ci fosse cont<strong>in</strong>uità tra quel tempo e questo, come se quel tempo<br />

che lui ti par<strong>la</strong>va <strong>in</strong> un’altra l<strong>in</strong>gua - <strong>la</strong> sua vecchia l<strong>in</strong>gua, che lui adesso non ricorda<br />

e non par<strong>la</strong> più, quel tempo – appartenesse ora a un altro. Non a lui.<br />

Al<strong>la</strong> memoria di un altro. In un certo senso. Perciò di questo non si par<strong>la</strong>.<br />

Ora. Di come ti vedeva lui, da là, da quel<strong>la</strong> sua l<strong>in</strong>gua di prima,<br />

da quel punto di vista muto , su di te, di come ti vedeva quando non ti capiva<br />

mentre par<strong>la</strong>vi, ma ti seguiva sil<strong>la</strong>ba a sil<strong>la</strong>ba, bov<strong>in</strong>amente, con lo sguardo,<br />

con stupore, come se fosse un miracolo che tu par<strong>la</strong>ssi così speditamente una l<strong>in</strong>gua<br />

di cui lui non conosceva neppure l’alfabeto<br />

un miracolo che tu compivi – naturalmente, per tua elezione,<br />

un genio, diceva tra sé, un genio, o poco meno mentre adesso,<br />

adesso<br />

che questa l<strong>in</strong>gua <strong>la</strong> conosce è difficile<br />

ben difficile dico<br />

che lui possa pensare ancora di te<br />

che sei un genio<br />

o roba del genere<br />

difficile che se qualcuno capisce ciò che dici<br />

veramente<br />

possa anche dire di te che sei un genio<br />

potrà forse capitare, ma è difficile,<br />

tanto vale non sforzarsi no<br />

tanto mistero, tanto esotismo<br />

fottuti<br />

tanta speranza di salvezza<br />

che lui aveva riposta <strong>in</strong> te e tu<br />

<strong>in</strong> lui, tutta quel<strong>la</strong> voglia<br />

quel furore di capire<br />

di spremere e poi succhiare<br />

e poi ancora spremere<br />

e via dicendo<br />

se ne sono andate,<br />

state lì – nudi come vermi,<br />

con le vostre parole ferme come bocce,<br />

con le stesse parole<br />

per dire le stesse cose,<br />

una banalità totale –<br />

una noia mortale,<br />

149


pestilenziale,<br />

abissale,<br />

ancestrale<br />

eccetera<br />

che se lui dirà – pera – tu vedrai<br />

una pera, e se lo vorrai potrai<br />

agevolmente<br />

senza alcuna fatica<br />

<strong>in</strong>durlo a pensare, a concepire e forse addirittura<br />

visualizzare<br />

una me<strong>la</strong>.<br />

Ananas.<br />

Tacch<strong>in</strong>o.<br />

Tubo con tacch<strong>in</strong>o.<br />

Sopra il tacch<strong>in</strong>o un altro tubo.<br />

E sopra il tubo<br />

Un cristo <strong>in</strong> croce lo vedi<br />

Lo vedi ?L’hai visto <strong>la</strong>ssù?<br />

E poi altri due tacch<strong>in</strong>i<br />

Uno sull’altro<br />

E poi tubi e tubi<br />

Su e su<br />

F<strong>in</strong>o al penultimo tacch<strong>in</strong>o<br />

Che se guardi bene<br />

Sta su una zampa so<strong>la</strong> sarà ma<strong>la</strong>to non so<br />

O qualcosa gli dice<br />

Che sta perdendo il suo e<strong>qui</strong>librio<br />

Ma di <strong>la</strong>ssù<br />

Lo vedi<br />

F<strong>in</strong>o all’ultimo tubo<br />

L’ultimo<br />

Perché dopo non ce n’è<br />

Non ce ne sono più.<br />

Più niente.<br />

Né di tubi. Né di tacch<strong>in</strong>i.<br />

Tutto f<strong>in</strong>ito ti dico.<br />

Ti dico.<br />

Chissenefrega.<br />

Chissenefrega di questo.<br />

Non avete più misteri tu e il tuo amico.<br />

Non c’è più un mistero. Le vostre parole<br />

Le tue e le sue, sono così piccolo ora,<br />

sono ridotte di portata, sono sassol<strong>in</strong>i <strong>in</strong> bocca,<br />

potete sputarle, scambiarvele di bocca,<br />

giocare con <strong>la</strong> l<strong>in</strong>gua a farle scivo<strong>la</strong>re dentro e fuori ma non sarà lo stesso<br />

come prima<br />

mai più vi dico<br />

andate<br />

andatevene via<br />

<strong>la</strong>sciatevi.<br />

Non avete più segreti né scoperte<br />

Non avete niente da darvi perciò voltatevi<br />

Le schiene e provate<br />

Sforzatevi adesso<br />

Di – dimenticare<br />

Dimenticatevi di voi<br />

Dell’altro<br />

Scordate le parole<br />

Ogni s<strong>in</strong>go<strong>la</strong> paro<strong>la</strong><br />

Ogni nome<br />

Ogni def<strong>in</strong>izione – e camm<strong>in</strong>ate (camm<strong>in</strong>are facilita spesso le grandi imprese)<br />

E forse dopo<br />

150


Dopo aver molto dimenticato<br />

E molto camm<strong>in</strong>ato<br />

Un giorno<br />

Quando non ci saranno più parole uguali fra voi<br />

Un giorno vi r<strong>in</strong>contrerete.<br />

IL PUBBLICO DEVE CREDERE CHE LUI ABBIA DETTO QUALCOSA. SAREBBE BELLO SE SE NE ANDASSE<br />

CON LA CONVINZIONE CHE LUI ABBIA DETTO QUALCOSA, ANCHE SE ALLA FINE, DISCUTENDO NEL<br />

FOIER, CIASCUNO AVRÀ LA SUA VERSIONE DEI FATTI, TANTO CAPITEREBBE COMUNQUE COSÌ, QUINDI<br />

TANTO VALE PREVEDERLO.<br />

Luce.<br />

Ba<strong>la</strong>nce.<br />

Sorriso,<br />

Ci guardano,<br />

Siamo <strong>in</strong> scena!<br />

((APPLAUSI)).<br />

FINE<br />

Notizia.<br />

Valent<strong>in</strong>a Diana è nata a Tor<strong>in</strong>o nel 1968. Nel 1992 consegue il diploma di attrice presso <strong>la</strong> Scuo<strong>la</strong> d’Arte<br />

Drammatica Paolo Grassi di Mi<strong>la</strong>no e <strong>la</strong>vora con diversi registi (Remondi e Caporossi, Baliani, Manfré, De<br />

Capitani, Barberio Corsetti, Kahn, Santagata, Vacis). Nel 1994 partecipa al corso di perfezionamento Le<br />

l<strong>in</strong>gue del teatro, che le permetterà di <strong>la</strong>vorare con Denise Marleau, Barbara Nativi e Thierry Salmon. Con<br />

l’associazione teatrale OzooNo di Tor<strong>in</strong>o, progetta e scrive, <strong>in</strong>sieme a Carlo Gabard<strong>in</strong>i e Lorenzo Fontana,<br />

<strong>la</strong> sit-com teatrale <strong>in</strong> sei puntate Laundrette Soap, cura l’adattamento drammaturgico di Baby Doll di<br />

T.Williams, scrive i testi 56-32-104 e Via Serived non esiste, liberamente ispirato a P.K.Dick.<br />

La sua prima raccolta è Tre ore di notte e un pezzo del matt<strong>in</strong>o di Valent<strong>in</strong>a Diana (Edizioni Tor<strong>in</strong>o Poesia,<br />

2007).<br />

151


TRISTANO<br />

Canto al<strong>la</strong> catena<br />

I.<br />

siede<br />

volge le spalle a sud<br />

poi che tornasti a<strong>la</strong> su terra vermiglia<br />

e sp<strong>in</strong>a lungo’l dorsato sentiero srocciato<br />

varcò <strong>la</strong> cantura del gallo l’aere tersato<br />

sì ch’ora s’<strong>in</strong>fiora’l pianto fermo <strong>in</strong> canto<br />

no<br />

no non son morto<br />

e pur son bruciato<br />

che’l fuoco m’h’arroventato e poi<br />

e poi nera <strong>la</strong> curva coll<strong>in</strong>a di brace<br />

ma tenace radice<br />

profonda’l germoglio occultato<br />

e fioriture tarde per<br />

dir de li sonanti frutti<br />

da bacche <strong>in</strong> peta<strong>la</strong>te <strong>in</strong> bocca<br />

a <strong>la</strong> soglia de <strong>la</strong> terra<br />

sorgiva da occhio vettato il <strong>la</strong>crimato goccìo<br />

irrìga e fecond’ora l’ampia terra sconso<strong>la</strong>ta<br />

poi che è tempo di disarsare’l core<br />

*<br />

II.<br />

s’alza<br />

il pensiero suo ondeggia <strong>in</strong> un porto mai sicuro<br />

scurito e accigliato punta dritto a l’ombra del faro<br />

sempre che <strong>la</strong> <strong>la</strong>mpara getti reti salde<br />

chè senza pesca anche’l core non si ciba<br />

*<br />

III.<br />

camm<strong>in</strong>a <strong>in</strong>dietro<br />

s’avvic<strong>in</strong>a al cuore<br />

Tristano!<br />

Tristano!<br />

Re mare <strong>in</strong> me mare<br />

tra vie crostate e rott’<strong>in</strong>crespate<br />

sì ch’anche le bocche<br />

salpate da ugole strette<br />

<strong>in</strong> tuon<strong>in</strong>o limpidi li sprofondi canti<br />

- pur che mai ceda <strong>la</strong> tes’amàrra<br />

al mirar di scogliate coste<br />

gl’amarantati lidi aspri<br />

di g<strong>in</strong>epri macu<strong>la</strong>ti<br />

e d’olivastri<br />

152


Tristano!<br />

*<br />

IV.<br />

chi mi par<strong>la</strong>?<br />

chi me par<strong>la</strong>?<br />

scricchio<strong>la</strong>’l ramo che pieg’al vento<br />

<strong>la</strong> curva fronda de l’olivastro<br />

è cant’anche questo come gemma<br />

che s’<strong>in</strong>castona’l costato<br />

che voce più non ho<br />

per il tutto <strong>qui</strong><br />

sotto’l core<br />

che pianto più non ho<br />

e sgorgo<br />

s’arso s’è l’occhio<br />

che non ho canto tanto<br />

quanto’l lupo al troppo su de <strong>la</strong> volta<br />

che me fuori strasc<strong>in</strong>o<br />

dal Re c<strong>in</strong>to d’arco canto<br />

e dardo <strong>la</strong>bbro<br />

e pur s’ode’l più giù d’<strong>in</strong>ima mea<br />

com<strong>in</strong>cia splendidamente un bel canto molto triste<br />

dice spesso<br />

pianto non più poi che gl’orci<br />

custodi’l varco del rec<strong>in</strong>to già son colmi<br />

e altri pronti qua ora non ho<br />

e pur piango sai<br />

piango ancora’l mondo perché più<br />

ridere’l mondo io non so<br />

che sembra mondo questo <strong>la</strong> terra<br />

più non promessa sì che<br />

una<br />

e poi<br />

altre<br />

salse gocce me <strong>in</strong>cavano<br />

me da occhio tristato verso’l giù<br />

giù lungo de lo sterno<br />

e al moto di core sbalzato e spazzito<br />

imploro beatitud<strong>in</strong>e terrestre<br />

*<br />

V.<br />

come bestia scalcata<br />

e <strong>in</strong> corteo offerta<br />

sviscerare<br />

le ventraglie<br />

appesantite<br />

mantecare’l core<br />

tra coste<br />

e budel<strong>la</strong> tra<br />

pietre<br />

e braci<br />

e baci<br />

153


offre il cor ai convenuti<br />

ah potenza di rosa disarmata<br />

ch’enigmi ancor’ora’l canto del giù<br />

ah durezza di pietra<br />

ch’<strong>in</strong>chiodi‘l canto’l pa<strong>la</strong>to<br />

ah secchezza d’alveo<br />

ch’<strong>in</strong>crespi’l <strong>la</strong>bbr’ora ammutato<br />

me senti?<br />

me senti?<br />

*<br />

VI.<br />

ondeggiando senza sosta<br />

con voce sonante e chiara<br />

li petri s’<strong>in</strong>erpicano<br />

verso un raro terso<br />

dove di roccia splende<br />

audace’l pensiero<br />

rischiara Re <strong>la</strong> rossa<br />

nebulosa del core<br />

<strong>in</strong> verbata carne che<br />

tellurica sp<strong>in</strong>ta sempre scuote a l’<strong>in</strong>abissato ventre<br />

sempre lì appena un poco più sotto’l core<br />

dove’l pane s’<strong>in</strong>zuppa<br />

e’l calice sbieca’l<strong>la</strong> bocca<br />

<strong>in</strong>èrpicati al su de <strong>la</strong> forra toracica<br />

così ch’ora salpi’l canto menarca<br />

come segue <strong>la</strong> po<strong>la</strong>re del core<br />

questo curvo cielo <strong>in</strong>costel<strong>la</strong>to e<br />

generoso di lontane lumescenze<br />

che paion’a me fiaccol’amorose<br />

su mare già scurito<br />

qual’ombra dimora nel sempre sotto<br />

di s’carcassata mia cavità toracica<br />

gret’essicato di sempre muti <strong>la</strong>trati<br />

di sempre sgu<strong>in</strong>zagliati ardori<br />

per <strong>la</strong>nda sbusso<strong>la</strong>ta<br />

Oh!<br />

sai tu<br />

dove sono<br />

l’ore del tempo<br />

quando il core sbalza?<br />

dove sono<br />

l’ore quando ?<br />

dove sono ?<br />

mi c<strong>la</strong>udica il moto<br />

poi che sentito è questo sb<strong>in</strong>ariato adagio sentimentale<br />

senz’arpa<br />

e fiati<br />

e cant’alti<br />

e cos’<strong>in</strong> me silente scorg’ora <strong>in</strong>nanzi<br />

le fa<strong>la</strong>ngi di mie mani<br />

term<strong>in</strong>azioni periferiche di supremi tatti<br />

d’un solfeggio affettivo<br />

154


*<br />

VII.<br />

nel<strong>la</strong> terra del pianto<br />

nel<strong>la</strong> terra del canto<br />

passando da una costa all’altra<br />

poi ch’io son lo spacco<br />

che <strong>la</strong> pietra mut’<strong>in</strong> canto<br />

chied’io<br />

dov’ora sono l’ore del tempo<br />

se’l cor’ <strong>in</strong>chioda’l sasso’l moto<br />

poi ch’io son lo spacco<br />

che <strong>la</strong> pietra mut’<strong>in</strong> canto<br />

chied’io<br />

dov’ora sono l’ore del tempo<br />

se’l cor’ <strong>in</strong>chioda’l sasso’l moto<br />

poi ch’io non più camm<strong>in</strong>o<br />

ne l’ora certa<br />

chied’io<br />

dov’ora sono i miei piedi<br />

poi ch’ormai uscito sono dal ritmo<br />

e sento pianto nel me giù<br />

lo sento lo spacco che crepa Oh<br />

se lo sento<br />

sempre lo sento <strong>in</strong>cr<strong>in</strong>are’l boccale gaudente<br />

dei rotti canti<br />

tu?<br />

tu <strong>la</strong> tocchi <strong>la</strong> mia contrattura?<br />

tu?<br />

tu lo camm<strong>in</strong>i’l c<strong>la</strong>udico mio passo piegato al tempo?<br />

lo senti lo spasmo che spiazza me’l greto<br />

e pietratamente lo acceca al buio?<br />

*<br />

VIII.<br />

arbusto dell’<strong>in</strong>cidenza sentimentale<br />

il coll<strong>in</strong>are camm<strong>in</strong>o<br />

siede<br />

bisogna aver pazienza per<br />

scorgere <strong>la</strong> cica<strong>la</strong> sul tronco degl’olivastri<br />

aritmia di me o core<br />

stretto <strong>in</strong> magred<strong>in</strong>e<br />

non ancora ora canuta certo<br />

di poch’<strong>in</strong> poco<br />

si sospende’l tempo di vita<br />

e scorre l’arresto<br />

bizzarro ne l’arco sconosciuto del vuoto presente<br />

poi che tornai a <strong>la</strong> terra vermiglia<br />

salpando’l caicco su l’onda folle<br />

che grave misura del cor le miglia<br />

di spaccat’<strong>in</strong>aridite mie zolle<br />

155


si guarda tutt’attorno<br />

e se mi dolgo è per il tutto troppo<br />

che più dentro me non sta<br />

Notizia.<br />

Adriano Engelbrecht è nato <strong>in</strong> Germania nel 1967 e risiede a Parma.<br />

Si è diplomato <strong>in</strong> viol<strong>in</strong>o presso il Conservatorio di Musica "Arrigo Boito" di Parma con il prof. Luigi Mazza<br />

del Nuovo Quartetto Italiano e <strong>la</strong>ureato <strong>in</strong> Filosofia presso l'Università degli Studi di Parma con una tesi <strong>in</strong><br />

Filosofia del<strong>la</strong> Musica.<br />

Ha studiato quartetto con Elisa Pegreffi del celebre Quartetto Italiano e ha tenuto numerosi concerti con<br />

differenti formazioni cameristiche e orchestrali tra cui Trio Musiques organizzando con quest’ultimo<br />

diverse rassegne musicali. Spal<strong>la</strong> dei secondi viol<strong>in</strong>i con l’orchestra musicale da camera “Il divertimento<br />

musicale” diretto dal M° Car<strong>la</strong> Delfrate, ha suonato anche con il viol<strong>in</strong>ista Fabio Biondi <strong>in</strong> prestigiose<br />

tournèe tra cui il concerto tenuto al Mozarteum di Salisburgo e Vienna.<br />

Come solista ha eseguito <strong>in</strong> prima esecuzione assoluta brani del repertorio contemporaneo appositamente<br />

scritti per lui: “Dance for a Tube Station” di Patrizia Mattioli (Monaco di Baviera, Londra e Parma) e<br />

“Neuma” di Car<strong>la</strong> Delfrate (Parma, Monaco). Come voce recitante ha tenuto <strong>la</strong> prima esecuzione assoluta<br />

di “Blu Ipazia” del<strong>la</strong> compositrice Simona Simon<strong>in</strong>i e “Psycho Memory” del<strong>la</strong> compositrice Miche<strong>la</strong> Grandi.<br />

Ha col<strong>la</strong>borato con Lenz Rifrazioni, Laboratorio di Ricerca e Formazione Teatrale di Parma, <strong>in</strong> qualità di<br />

attore, compositore, regista, drammaturgo.<br />

Ha tenuto numerosi <strong>la</strong>boratori di teatro, teatro danza e poesia rivolti alle scuole elementari, medie<br />

<strong>in</strong>feriori e superiori e anche corsi di formazione per docenti e corsi di formazione professionale.<br />

Ha <strong>la</strong>vorato <strong>in</strong> Germania tenendo workshops per attori e danzatori (Berl<strong>in</strong>o) mentre nel 1997 ha preso<br />

parte come autore e <strong>in</strong>terprete allo spettacolo “Rosenstrahl” del coreografo Ludger Orlok: da quest’anno<br />

tiene rego<strong>la</strong>rmente, come docente, <strong>la</strong>boratori di formazione teatrale <strong>in</strong> differenti situazioni istituzionali.<br />

Nel 1999 ha firmato <strong>la</strong> regia di “Riccardo II” di Shakespeare mentre nel 2000 ha pubblicato il cd<br />

“Cathar<strong>in</strong>a von Siena” di cui ha composto le musiche; sempre dal 2000 ha composte le musiche orig<strong>in</strong>ali<br />

di diversi spettacoli tra cui “Hamlet”, “Faust” e “La vita è sogno”.<br />

Numerosi suoi <strong>la</strong>vori poetici sono stati rappresentati a Lenz Teatro e <strong>in</strong> diversi e prestigiosi festival (tra<br />

cui ParmaPoesia, Ricercare a Reggio Emilia e Parole Migranti - Bolzano Poesia) nell'ambito di un lungo e<br />

artico<strong>la</strong>to Progetto sul<strong>la</strong> Poesia Contemporanea.<br />

Ha pubblicato con diverse case editrici tra cui Cultura Duemi<strong>la</strong> Editrice, Guaraldi Editore, Book Editore, I<br />

Quaderni del Battello Ebbro: proprio con quest’ultima ha recentemente pubblicato il volume Lungo <strong>la</strong><br />

vertebrata costa del cuore, che raccoglie una serie di <strong>la</strong>vori poetici scritti per il teatro e successivamente<br />

messi <strong>in</strong> scena <strong>in</strong> qualità di regista e <strong>in</strong>terprete.<br />

Dal 2006 è stato nom<strong>in</strong>ato direttore artistico del Palio Poetico Musicale di Tizzano Val Parma.<br />

156


ANTONIO LATELLA SU PASOLINI<br />

[Presentiamo <strong>qui</strong> alcuni frammenti del <strong>la</strong>voro di drammaturgia scenica operato da Antonio Latel<strong>la</strong> sul<br />

testo di Pier Paolo Pasol<strong>in</strong>i per lo spettacolo "Bestia da Stile", che ha debuttato il 22 settembre 2004 al<strong>la</strong><br />

Biennale di Venezia – 36. Festival Internazionale del Teatro – Teatro Piccolo Arsenale.]<br />

Ascoltate ora<br />

Ascoltate ora<br />

questi “appunti per un <strong>in</strong>no”<br />

Mi rivolgo a tis,<br />

né mancano fraschette di vischio amore per L<strong>in</strong>neo o Gallileo,<br />

io dico che ce ne sarà ancora,<br />

e qualcuno santo starà <strong>in</strong>tento nel<strong>la</strong> luce del vigneto su paletti di ontano(?), non di cemento!<br />

A preparare le fondamenta di una Maestà o un altare a Zagreus figlio di Semele<br />

Che dico ci sarà tis<br />

un ragazzo alto un metro e ottanta, già con gli occhiali – e coi capelli corti –<br />

“uom<strong>in</strong>i siate non fascisti”.<br />

Egli leggerà Erodoto e tizio e caio<br />

a un cantare di rane giù dal C. verso gli edifici razionali di T.<br />

che dico rane … e chiurli, pavane, fagiani io penso proveniente da V.,<br />

con fratelli maggiori comunisti<br />

Κόρη, ∆ελιά δεινά, libid<strong>in</strong>is exspers –<br />

lui, segaiolo che se lo mena,<br />

lui umanistico che sa,<br />

lui dell’alternativa bianca<br />

che imita i vo<strong>la</strong>nt<strong>in</strong>aggi degli altri estremisti,<br />

un poeta che pronuncia frasi di destra<br />

da un – estrema – s<strong>in</strong>istra – <strong>in</strong>def<strong>in</strong>ita –<br />

piangendo stati d’animo che ci sono <strong>in</strong>spiegabili<br />

δακρύων δακρύων δακρύων<br />

<strong>in</strong> realtà i paletti di ontano (?) di vischio e le fraschette<br />

tis tis tis<br />

picco<strong>la</strong> – borghesia – paesana.<br />

Bene chi ti fa torto Atena?<br />

τις άδικει<br />

Bene.<br />

Carità abbi<strong>la</strong> e non essere clericale<br />

Si, “Muss. Rov<strong>in</strong>ato per sbaglio”: credici pure.<br />

Anche se “cocci ed errori tuoi ti circonderanno”.<br />

E dimenticavo<br />

Leggi pure Confucio, i vecchi pensionati a T. ti capiranno, tu di V., va bene, loro del F.<br />

Ma i piccoli Dei c<strong>in</strong>esi (o attici) le raganelle le stoppie mosse dal vento<br />

Qui si par<strong>la</strong> di gestualità.<br />

Anch’io sono gestuale non lo vedi?<br />

Faccio anch’io ora il gesto di scrivere poesia<br />

tanto forse per onorare l’onestà <strong>la</strong>boriosa, <strong>in</strong> pagis.<br />

Per te.<br />

E aggiungiamo pure le cicale, il cui fr<strong>in</strong>ire riempie il pomeriggio non lontano dai bastioni di Atene.<br />

Sappi amare il ceppo.<br />

Amare il festone di vite.<br />

Amare <strong>la</strong> nuca dei tuoi coetanei:<br />

tosata.<br />

Amare <strong>la</strong> l<strong>in</strong>ea tra campi e paese col fienile,<br />

e il brolo col suo odore acido di letame.<br />

Ubi amor ibi oculus est.<br />

Amare molto πολύ ciò che muore.<br />

Dunque, col corpo di un sognatore si fa sia un fallo sia un grembo.<br />

Nelle Gates of the dream leggerai che per fare un mondo nuovo<br />

il sognatore rosso non deve solo sc<strong>in</strong>dersi dal mondo:<br />

ma anche sc<strong>in</strong>dersi <strong>in</strong> essere e mondo,<br />

157


figlio e madre.<br />

L’anticomunismo è bile<br />

contro chi osa contravvenire il primordiale stato di sonno;<br />

è bile<br />

contro i giovani maschi che si <strong>in</strong>contrano nel deserto e da lì vengono a fondare Roma.<br />

Maledetti cazzi protetti da Mercurio, che non amano <strong>la</strong> Pasqua.<br />

Ti ho f<strong>in</strong> <strong>qui</strong> detto ciò che è male.<br />

Il Negativo. L’Eccesso. Che tu devi evitare.<br />

“Uom<strong>in</strong>i siate non fascisti!” .<br />

Ora, mi resta da dirti ciò che va bene,<br />

per gaiezza.<br />

Acciocché tu rappresenti nel Padre che rivivi<br />

una Nuova Destra.<br />

Una Destra sublime.<br />

*<br />

Appendici a "Bestia da stile"<br />

Le frasi <strong>in</strong>terval<strong>la</strong>te appartengono ai frammenti I, IV e V del<strong>la</strong> prima appendice che<br />

corrispondono alle pag<strong>in</strong>e 14 e 15 del copione. I frammenti citati nell’edizione Mondadori<br />

vanno da pag<strong>in</strong>e 834-843<br />

Jan: Versi senza metrica<br />

Coro (Stefania): Fare il gesto di scrivere poesia<br />

Jan: Intonati da una voce che mente onestamente<br />

Coro (C<strong>in</strong>zia): Anziché scrivere poesia<br />

Jan: Vengono dest<strong>in</strong>ati<br />

Coro (Rosario): La ricerca è sospesa stravolta<br />

Jan: A rendere riconoscibile l’irriconoscibile<br />

Coro (Enrico): Sei poeta di teatro<br />

Jan: Liberi versi non liberi<br />

Coro (Giuseppe Massa): Devi recitare f<strong>in</strong>o al<strong>la</strong> f<strong>in</strong>e<br />

Jan: Ornano qualcosa che non può essere che disadorno<br />

Coro (Mauro): I poeti appartengono sempre ad un’altra civiltà<br />

Jan: Se <strong>la</strong> coscienza del<strong>la</strong> l<strong>in</strong>gua<br />

Coro (Annibale): Piantare i ciliegi per il piacere di piangerli quando fioriscono<br />

Jan: Tiene il posto del<strong>la</strong> sua necessità<br />

Coro (Peppe): E dopo quando com<strong>in</strong>ciano a sfiorire<br />

Jan: Istituisce nuove forme<br />

Coro (Giovanni): Piangere come un poeta povero<br />

Jan: Lasciare che essa si illuda<br />

Coro (Marco Mart<strong>in</strong>i):Considerare <strong>la</strong> morte di un <strong>in</strong>dividuo è <strong>in</strong>tollerabile<br />

Jan: E aspettare che ciò che vuole si esprima<br />

158


Coro (Giuseppe Lan<strong>in</strong>o): La morte di un <strong>in</strong>dividuo è identica al<strong>la</strong> morte di tutta l’umanità<br />

Coro (Marco Caccio<strong>la</strong>): Poeta.<br />

Dall’episodio III del<strong>la</strong> prima stesura; seconda appendice pubblicazione Mondadori<br />

corrispondente alle pag<strong>in</strong>e 857-861. Rispetto al testo orig<strong>in</strong>ale sono stati apportati dei tagli.<br />

Poeta: Ho visto un re antico,<br />

uomo-dio, che non doveva essere visto<br />

né mangiare né bere. Un giorno uno dei figli<br />

di dodici anni l’aveva visto, bere. E lui,<br />

aveva fatto venire i servi, l’aveva fatto vestire<br />

coi panni del<strong>la</strong> festa, l’aveva fatto squartare<br />

e aveva mandato <strong>in</strong> giro i pezzi del corpic<strong>in</strong>o,<br />

sotto le querce, e i p<strong>la</strong>tani, e le tremule, e i tigli,<br />

i sambuchi, i v<strong>in</strong>castri, tra i suoi radi sudditi,<br />

tutti uguali nel<strong>la</strong> democrazia selvaggia.<br />

Quel re coi suoi sudditi<br />

non erano mai certi che dopo<br />

l’<strong>in</strong>verno tornasse primavera.<br />

Era mai possibile che le foglie morte e perdute,<br />

quelle stesse foglie, tornassero piano piano<br />

a spuntare dai rami?... E che dal<strong>la</strong> terra<br />

denudata, rispuntasse l’erba? L’erba dimenticata?<br />

Come cani, con teste prematuramente umane,<br />

poveri, guardavano storditi ciò che succedeva<br />

dopo l’<strong>in</strong>verno, <strong>in</strong>capaci di credere…<br />

Ci furono le prime sem<strong>in</strong>agioni.<br />

Il Re del<strong>la</strong> pioggia nel<strong>la</strong> selva boema<br />

non poteva deperire, bisognava ucciderlo<br />

prima che perdesse le forze, e facesse ricrescere le foglie.<br />

Se ne <strong>in</strong>caricavano i figli – come oggi.<br />

Poi…poi…<br />

Adone si chiamò Cristo. Discese agli <strong>in</strong>feri<br />

E resuscitò. La croce era un albero,<br />

e un albero era una dea,<br />

e questa dea era <strong>la</strong> madre.<br />

I figli nati dalle madri<br />

fanno festa oggi al paese.<br />

Uccidono scherzando e cantando il padre<br />

Perché mi guardi <strong>in</strong> quel modo?<br />

Sorel<strong>la</strong>: Ti guardo come una bamb<strong>in</strong>a quando ascolta una fiaba.<br />

Poeta: Aspetta! Ma possibile<br />

che tu mi stia sempre ad ascoltare?<br />

Possibile che sia sempre io l’ammirato?<br />

Sorel<strong>la</strong>: Chi sono io? Una povera ragazza,<br />

che ha il solo dono di essere tua sorel<strong>la</strong>,<br />

che non sa niente: cosa vuoi che dica?<br />

Cosa vuoi che faccia oltre che ascoltare?<br />

Poeta: Ma io sono stanco di farmi adorare da te!<br />

Sorel<strong>la</strong>: Va bene, <strong>la</strong> smetterò di adorarti.<br />

Ti disobbedirò, e ti farò arrabbiare.<br />

Sono capace, se lo voglio!<br />

Poeta: Ecco lo vedi?, ora<br />

accettando subito di disobbedirmi,<br />

mi hai obbedito.<br />

159


Sorel<strong>la</strong>: E allora cosa debbo fare?<br />

Poeta: Disobbedirmi quando devi obbedirmi<br />

E obbedirmi quando devi disobbedirmi.<br />

Sorel<strong>la</strong> : Ma anche così, lo farò per obbedienza.<br />

Poeta: Va bene! Ma io non me ne devo accorgere!<br />

Sorel<strong>la</strong>: E perché tutto questo? È un nuovo gioco?<br />

Poeta: Perché… Chi è, fra noi due, l’amato?<br />

Sorel<strong>la</strong>: Tu! Io sono stata sempre <strong>la</strong> tua ancel<strong>la</strong>,<br />

quando tu eri re-soldato,<br />

quando tu eri generale-cavallo,<br />

quando tu eri cavaliere.<br />

Poeta: Ma adesso non siamo più bamb<strong>in</strong>i.<br />

Coro (Rosario): Cosa si poteva fare mezzo secolo fa<br />

nelle sere del<strong>la</strong> campagna boema?<br />

Coro (Annibale): Si uccideva scherzando e cantando il padre.<br />

[Giovanni:<br />

“L’Auciello grifone”<br />

(favo<strong>la</strong> popo<strong>la</strong>re detta nel dialetto di Sessa Aurunca)<br />

(Peppe cont<strong>in</strong>ua l’arpeggio)]<br />

Sorel<strong>la</strong>: Eccoli: hanno fatto il giro per il giard<strong>in</strong>o<br />

e ora rientrano <strong>in</strong> casa.<br />

Poeta: Bel quadro famigliare!<br />

Sorel<strong>la</strong>: Si è bello lo difendo.<br />

Essi sono nostra madre e nostro padre.<br />

Frammento III prima appendice nel copione è a pag<strong>in</strong>a 50, nell’edizione Mondadori<br />

a pag<strong>in</strong>a 838<br />

Jan: Provo un sentimento di profondo e disperato rancore, di delusione tanto silenziosa quanto def<strong>in</strong>itiva,<br />

di umiliazione che non degrada soltanto me vecchio, ma degrada, di riflesso, tutta <strong>la</strong> mia gioventù.<br />

Questo rancore, questa delusione, questa umiliazione derivano dal fatto che io non sono vissuto come<br />

Aliosa, benché avessi potuto esserne capace. I sentimenti così forti, puri, violenti che mi agitavano da<br />

giovane nei confronti degli altri, non ho saputo spenderli senza <strong>in</strong>teresse, come Aliosa; e non ho saputo<br />

tenerli segreti, rive<strong>la</strong>ndoli solo a quelli che ne erano veramente <strong>in</strong>teressati. Non ho saputo così, perdermi<br />

<strong>in</strong> silenzio, nel piccolo posto <strong>in</strong> una qualunque città, che <strong>la</strong> vita mi aveva riservato. Ho voluto <strong>in</strong>vestire<br />

questi miei sentimenti con <strong>in</strong>teresse e <strong>in</strong> un più vasto giro di persone. L’ho voluto per <strong>in</strong>genuità. Ho<br />

creduto che i miei sentimenti, facendo questo, si sarebbero ancor più nobilitati e soprattutto,<br />

s<strong>in</strong>ceramente, <strong>in</strong>granditi. Invece si sono fatti <strong>in</strong>f<strong>in</strong>itamente piccoli e mesch<strong>in</strong>i. E il mio rancore, <strong>la</strong> mia<br />

delusione, <strong>la</strong> mia umiliazione sono dovuti a ciò che ha reso appunto i miei sentimenti piccoli e mesch<strong>in</strong>i:<br />

<strong>la</strong> letteratura.<br />

Si girano tutti verso il sipario.<br />

Rosario veste Marco da “Morto di paglia”.<br />

Frammento VI prima appendice nel copione è a pag<strong>in</strong>a 50-51, nell’edizione Mondadori va da<br />

pag<strong>in</strong>a 844 a 853. rispetto al testo orig<strong>in</strong>ale vi sono parecchi tagli l’ultima zona, quel<strong>la</strong> dei<br />

comandamenti, è <strong>in</strong>tegrale.<br />

Jan: Ascoltate ora questi appunti per un <strong>in</strong>no…<br />

1<strong>60</strong>


I Non nom<strong>in</strong>are il nome di Dio <strong>in</strong>vano (ma comunque spesso).<br />

II Dieci millenni ci dicono: gli uom<strong>in</strong>i hanno gens e rampolli. (Niente pillo<strong>la</strong>.)<br />

III Ci sono distretti. Evita litigi. (Gira armato.)<br />

IV Senza grano non mangerai, né alleverai bachi, esempio dell’Imperatore fu l’arare.(Tu fotografa.)<br />

V E poi non sprecare. (Investi.)<br />

VI Dieci millenni dicono: addestrare gli studiosi…bovem epiphyatum<br />

balteatum…ornatum. (Cornutum.)<br />

VII Non occorrono aggeggi (onora gli artigiani). (Una idea per i s<strong>in</strong>dacati.)<br />

VIII Difendi il Codice vigente – senza emendarlo, mi raccomando, dai residui di quello napoleonico.<br />

IX Lega e nutri <strong>la</strong> vacca smarrita (purché sia una vacca).<br />

X La paro<strong>la</strong> paterna è compassione;<br />

filiale <strong>la</strong> devozione;<br />

<strong>la</strong> fraterna mutualità;<br />

del tosatèl <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> è rispetto.<br />

Nel tuo fascismo privo di violenza, di ignoranza,<br />

di volgarità, di bigotteria,<br />

Destra sublime,<br />

che è <strong>in</strong> tutti noi,<br />

“rapporto di <strong>in</strong>timità col Potere”<br />

Hic<br />

des<strong>in</strong>it cantus.<br />

Prenditi tu sulle spalle tutto questo.<br />

Sulle mie è <strong>in</strong>degno, nessuno né<br />

capirebbe <strong>la</strong> purezza, e un anziano è sensibile ai giudizi sociali, tanto più quanto meno gliene importa<br />

(“Sono Dei per gaiezza”). Deve aver rispetto come un tosatél<br />

del<strong>la</strong><br />

propria<br />

figura<br />

pubblica: deve<br />

accettare il gioco che mai<br />

ha accettato. Prendi questo fardello,<br />

ragazzo che mi odii,<br />

e portalo tu. È meraviglio.<br />

Io potrò così andare avanti, alleggerito,<br />

scegliendo def<strong>in</strong>itivamente<br />

<strong>la</strong> vita, <strong>la</strong> gioventù.<br />

161


Da I PASTORI DI DOLLY (operetta filosofica <strong>in</strong> dieci scene)<br />

SCENA PRIMA<br />

Matt<strong>in</strong>a. Scimmione <strong>la</strong>vora nel giard<strong>in</strong>o. In lontananza il giard<strong>in</strong>o si perde nei campi. A s<strong>in</strong>istra una casa<br />

con <strong>la</strong> porta aperta, da cui sono visibili dei libri, una sedia al<strong>la</strong> Voltaire e uno schermo a un tempo opaco<br />

e trasparente sullo sfondo. Sopra <strong>la</strong> porta, al secondo piano <strong>la</strong> f<strong>in</strong>estra dell’appartamento del vic<strong>in</strong>o, Ivan<br />

lvanovič il Serpente.<br />

SCIMMIONE<br />

Ora rastrellerò il giard<strong>in</strong>etto,<br />

l’aria sa di foglie umide.<br />

Cadute, per tanti anni vo<strong>la</strong>te giù.<br />

Autunno del ventesimo secolo.<br />

Falciatura.<br />

Pecore p<strong>in</strong>gui pasco<strong>la</strong>no nei campi.<br />

Ma <strong>la</strong> più bel<strong>la</strong> è <strong>la</strong> mia,<br />

meravigliosa senza pecca.<br />

Poeta, passa a cantare <strong>la</strong> creatura del<strong>la</strong> scimmia!<br />

In lontananza suona un’armonica.<br />

Su Dolly! Esci <strong>in</strong> fretta,<br />

<strong>la</strong> natura fruscia tutt’<strong>in</strong>torno!<br />

UNA VOCE (quel<strong>la</strong> del SERPENTE)<br />

Su Dolly, esci, frutto di mani <strong>in</strong>gegnose.<br />

DOLLY (una bambo<strong>la</strong> Barbie svestita, risplende dal tramezzo opaco-trasparente, come sotto <strong>la</strong> doccia)<br />

Ora term<strong>in</strong>o il mio make-up, f<strong>in</strong>isco i miei corn-f<strong>la</strong>kes ed esco.<br />

lo parlo con l’accento del<strong>la</strong> volontà nel<strong>la</strong> vostra l<strong>in</strong>gua di turbamenti,<br />

sentimentalità, cadute,<br />

Tss! Hanno acceso il tra<strong>in</strong>er.<br />

Corro per sciogliere un po’ le giunture.<br />

Cont<strong>in</strong>uate pure a borbottare,<br />

f<strong>in</strong>ché <strong>la</strong> bufera non vi rovescerà.<br />

Esce dal<strong>la</strong> doccia, passa per le aiuole, calpesta i fiori (o dei cartell<strong>in</strong>i con <strong>la</strong> scritta “fiori”) e sparisce.<br />

Compare il vic<strong>in</strong>o-giard<strong>in</strong>iere, IVAN IVANOVIČ IL SERPENTE. Le grida alle spalle:<br />

Bellezza! Sta’ <strong>in</strong> guardia!<br />

lo posso metterti <strong>la</strong> museruo<strong>la</strong>.<br />

Noi sappiamo come domare le bufere<br />

Non siamo nati ieri!<br />

(Allo Scimmione)<br />

Però, bel<strong>la</strong> schifezza hai creato, mon cher,<br />

non hai voluto consigli, mascalzone.<br />

Se avessi chiesto prima al<strong>la</strong> Banca dello Sperma!<br />

Artigiano presuntuoso,<br />

tu sei uno zero - né verme, né re.<br />

SCIMMIONE<br />

Vattene, satanasso.<br />

Discorrere con un mediocre mi tedia.<br />

lo sono colmo di nobIli sentimenti.<br />

Pascetevi, mie dolly,<br />

nel<strong>la</strong> valle celeste!<br />

SCENA SECONDA<br />

I campi che si stendono oltre il giard<strong>in</strong>o.<br />

PASTORE<br />

Il mio compito è stupendo.<br />

162


Pascolo l’agnello e a Pasqua me lo mangio.<br />

Trema, vello grave, come le nuvole.<br />

Compare JEAN. Si guarda <strong>in</strong>torno con estatico <strong>in</strong>tenerimento. PASTORE, a quanto pare, non gli presta<br />

alcuna attenzione.<br />

JEAN<br />

Il Pastore ora mi dirà come vivere, per comprendere me stesso.<br />

La sua anima è pura come il cielo. (S’<strong>in</strong>ch<strong>in</strong>a e si gira di scatto di faccia verso PASTORE):<br />

Sei puro?<br />

PASTORE: Perché, non mi <strong>la</strong>vo forse? Noi non siamo impudichi.<br />

Però, ben detto! (tra sé, con soddisfazione).<br />

Se mi è concesso esprimermi così, Vostra Eccellenza, avete una vespa sul colletto.<br />

E io <strong>in</strong>vece sudo senza re<strong>qui</strong>e,<br />

e mosche, vespe non mi fanno paura.<br />

(<strong>in</strong> tono edificante, dopo una pausa)<br />

Il sudore discende dai tempi antichi.<br />

JEAN<br />

Impara, pastore, lottare con le mosche è lottare con <strong>la</strong> mal<strong>in</strong>conia. Tu non sai cos’è <strong>la</strong> mal<strong>in</strong>conia...<br />

PASTORE<br />

La mal<strong>in</strong>conia è un fenomeno spiacevole.<br />

È quando <strong>la</strong> pancia ti fa male<br />

o quando Laura non accorre<br />

al richiamo del corno.<br />

Nel mio gregge c’è una pecorel<strong>la</strong>-cattivel<strong>la</strong>-salterel<strong>la</strong> che si chiama così.<br />

J EAN<br />

Oh, beata semplicità! Che saggezza!<br />

PASTORE<br />

lo, signore, da dieci anni servo nell’esercito dei pastori. Prima ero attaché culturale. Ma mi sono<br />

riconvertito. Bisogna pur guadagnarsi da vivere. La cultura, si sa....<br />

SCENA TERZA<br />

SCIMMIONE (siede sul<strong>la</strong> sedia al<strong>la</strong> Voltaire e guarda al<strong>la</strong> televisione una scena con le ultime frasi del<strong>la</strong><br />

discussione tra Jean e Pastore. Quando il dialogo term<strong>in</strong>a, compaiono sullo schermo immag<strong>in</strong>i di pastori).<br />

Fa lo sciocco per mestiere<br />

vuoi far vedere a tutti il suo sedere,<br />

anche se nessuno l’ha chiesto,<br />

un Hammurabi nel<strong>la</strong> sua testa.<br />

Leggi non si fan per sé,<br />

per non avere più bebè:<br />

negli asili più un posto libero non resta<br />

colpa dell’amante del<strong>la</strong> protestai<br />

(Spegne il televisore. Batte le mani.)<br />

Su, Doll<strong>in</strong>a, è ora di mettersi al <strong>la</strong>voro. Oggi leggeremo <strong>la</strong> storia di Gianna <strong>la</strong> presuntuosa. Gianna non<br />

ascolta i più anziani, pensa di poter salvare il mondo e <strong>in</strong>vece meglio farebbe a non immischiarsi. Anch’io<br />

ero fatto così. È un’opera assolutamente istruttiva. Ecco, ho fatto venire anche un maestro per te — ora<br />

farete un po’ di musica <strong>in</strong>sieme. lo mi sono fermato ai Led Zeppel<strong>in</strong>.<br />

(Il maestro prende <strong>la</strong> chitarra e <strong>in</strong>izia a suonare).<br />

DOLLY (piroetta sui patt<strong>in</strong>i a rotelle con le cuffie <strong>in</strong> testa, si muove a tempo di danza)<br />

Nooo, pap<strong>in</strong>o, ma a che serve tutto questo? Una tale noia. Meglio andare <strong>in</strong> discoteca. Lì è grande.<br />

Semplicemente fantastico.<br />

SCIMMIONE<br />

Sì?! Ma non hai guardato le riviste su cui è apparso il mio articolo “Le sostanze psicotrope e <strong>la</strong> perdita<br />

del<strong>la</strong> memoria”?<br />

163


DOLLY<br />

Pap<strong>in</strong>o, ma <strong>la</strong> memoria non è più di moda! Che tristezza ricordarsi qualcosa di concreto e per giunta<br />

pensare che sia soltanto tuo, che agli altri non sia mai successo nul<strong>la</strong> di simile. Conservare provviste<br />

andate a male e mostrarle sottobanco a pochi eletti. I ricordi possono essere ricordi di quello che ancora<br />

non è stato, ricordi allegri colorati e saporiti, che si possono vendere come tutto il resto. E tu puoi<br />

provare, se ne hai voglia, <strong>la</strong> stessa esperienza di un altro. Occorre soltanto saper fare <strong>la</strong> propria<br />

ord<strong>in</strong>azione. “Ecumenismo”, si chiama, o anzi meglio: “Cosmizzazione”.<br />

SCIMMIONE<br />

Ma <strong>la</strong> memoria è <strong>la</strong> tua esperienza personale, ciò che ti dist<strong>in</strong>gue da! La tua vita <strong>in</strong>teriore. Tu parli come<br />

una barbara! Sii te stessa!<br />

DOLLY<br />

Pap<strong>in</strong>o, sei edificante come un dissidente. lo non voglio essere prigioniera di una me stessa <strong>in</strong>ventata. lo<br />

viaggio. Ma devo conservarmi <strong>in</strong> forma perché, forse, sono degna dell’immortalità (Scivo<strong>la</strong> via sui<br />

patt<strong>in</strong>i).<br />

SCIMMIONE<br />

Gabriele, lei è <strong>qui</strong> per <strong>la</strong> parte musicale, no? Beh, mi scriva un pezzo techno e che si sentano queste<br />

parole: “E-e, l’uomo dalle sostanze psicotropè non deve dipenderè. Eee!”<br />

Bal<strong>la</strong>no. E bal<strong>la</strong>ndo escono di scena.<br />

SCENA QUARTA<br />

Dolly entra leggera nel<strong>la</strong> stanza. È pett<strong>in</strong>ata <strong>in</strong> modo apparescente e <strong>in</strong> preda a romantiche fantasie.<br />

Canticchia un hit. Accende il televisore. Canale musi cale, danno <strong>la</strong> stessa canzone con cui si è chiusa <strong>la</strong><br />

scena III. Dolly accompagna <strong>la</strong> canzone al<strong>la</strong> tele… Zapp<strong>in</strong>g. In primo piano appare Jean. Par<strong>la</strong> del<strong>la</strong><br />

semplicità. Di nuovo zapp<strong>in</strong>g, canale musicale, trasmissione... <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e si ferma su Jean. Ascolta,<br />

cont<strong>in</strong>uando a canticchiare e accennando a passi di danza.<br />

JEAN<br />

L’uomo non vuole conoscere se stesso. La sua vita è una foresta fitta, talvolta impenetrabile. Ma l’uomo<br />

camm<strong>in</strong>a sempre lungo lo stesso sentiero, dal baracch<strong>in</strong>o del<strong>la</strong> birra f<strong>in</strong>o al<strong>la</strong> fermata dell’autobus, dove<br />

lo aspetta immancabilmente il solito autista che, senza fare troppe domande, lo porta f<strong>in</strong>o al punto A. Lì<br />

riluce <strong>la</strong> piazza pr<strong>in</strong>cipale, i ribelli, com’è giusto, <strong>la</strong>nguono <strong>in</strong> carcere. Noi passiamo tutto il tempo a<br />

punirci, a strapparci da... .Dolly cambia canale, musica, ad esempio Britney Spears, Dolly canticchia. Di<br />

nuovo Jean: Oh, io non ho mai voluto sposarmi, non avevo abbastanza fede nelle marce domenicali f<strong>in</strong>o<br />

al<strong>la</strong> chiesa, nei pranzi coi parenti davanti al televisore o agli abbracci durante i concerti rock. Sì, sono<br />

d’accordo: questo mondo trabocca d’odio e <strong>in</strong>giustizia e <strong>qui</strong>ndi ciascun uomo onesto che <strong>la</strong>vora e rispetta<br />

le tradizioni non è affatto un noioso filisteo, bensì un’<strong>in</strong>dispensabile parte dell’edificio comune, quel<strong>la</strong><br />

trave tolta <strong>la</strong> quale tutto va a rotoli... Ma proprio questo ci fa comodo: pensare che tutto andrà a rotoli...<br />

La necessità del timore sociale, del timore tribale meglio d’ogni altra cosa ci esenta dal<strong>la</strong> scelta del<strong>la</strong><br />

libertà.<br />

DOLLY<br />

Sì, anch’io spesso penso: <strong>la</strong> libertà, ecco ciò che alcuni non sopportano. Tutto per loro deve fare il suo<br />

corso, senza strani espi... espre... esprementi. Canta.<br />

JEAN (prosegue sul sotto fondo del<strong>la</strong> canzone)<br />

Sì, <strong>in</strong>sisto: noi viviamo negli escrementi del<strong>la</strong> nostra civiltà che è soprattutto paura e mancanza di<br />

fantasia, ma ritorneremo f<strong>in</strong>almente al nostro migliore, fermo “io”. Oggi noi possiamo model<strong>la</strong>re <strong>la</strong> nostra<br />

<strong>in</strong>teriorità, così come <strong>la</strong> nostra esteriorità, possiamo imparare a memoria <strong>la</strong> mappa genetica come le<br />

tabell<strong>in</strong>e, ma questo non significa che conosciamo tutto di noi stessi. Occorre tornare <strong>in</strong>dietro, cancel<strong>la</strong>re<br />

le vecchie esperienze, dimenticare tutto come dopo un sonno profondo, liberarci dai condizionamenti...<br />

DOLLY (ripete per qualche volta)<br />

Dimenticare tutto come dopo un sonno profondo, liberarci dai condizionamenti...<br />

164


SCENA SESTA<br />

Il giard<strong>in</strong>o e, al di là, i campi. Scimmione osserva con un cannocchiale <strong>la</strong> campagna dove Jean sta<br />

conversando con Pastore.<br />

DOLLY<br />

Fammi vedere chi c’è là dentro.<br />

SCIMMIONE<br />

L’obbiettivo è troppo <strong>in</strong>stabile per diventare bersaglio.<br />

DOLLY<br />

Ma è lui!<br />

SCIMMIONE<br />

Lui?<br />

DOLLY<br />

E lui il mio maestro, il mio vero istruttore. E mi piace così tanto.<br />

SCIMMIONE<br />

Come può piacerti già così tanto? Lo vedi per <strong>la</strong> prima volta...<br />

DOLLY<br />

No, io lo conosco di già, lo conoscevo perfettamente, pap<strong>in</strong>o, ancora prima di conoscerlo.<br />

SCIMMIONE<br />

Ma come fai a conoscerlo? È solo un fantoccio borioso, una nullità, un pasticcione come ce ne sono pochi,<br />

un raccoglitore di erbari.<br />

DOLLY<br />

No, lei si sbaglia. L’ho visto al<strong>la</strong> televisione, è meraviglioso. Pap<strong>in</strong>o, mi dica subito, come si fa ad andare<br />

là?<br />

SCIMMIONE<br />

Ci arriverai, se così vuole il tuo dest<strong>in</strong>o.<br />

La sorte siede <strong>in</strong> trono,<br />

e noi vi cadiamo giù.<br />

Vo<strong>la</strong>, vo<strong>la</strong>, Gagar<strong>in</strong><br />

farfal<strong>la</strong> color limone<br />

La sorte fa lo sgambetto<br />

e decide con le bombe.<br />

Un tempo ero un signore<br />

ma mi sono sciolto <strong>in</strong> compassione.<br />

SCENA SETTIMA<br />

Dolly e Scimmione entrano nell’ombra e <strong>la</strong> luce si staglia su Jean e Pastore.<br />

J EAN<br />

Egregio, possiamo forse scambiarci i ruoli?<br />

io pascolerò il gregge,<br />

e tu i miei scompag<strong>in</strong>ati pensieri.<br />

A lungo ho guardato negli occhi <strong>la</strong> natura.<br />

Ma aspetto, assorto nei miei sogni,<br />

che anche lei guardi me.<br />

PASTORE<br />

La natura è una caldaia splendente<br />

Al<strong>la</strong> quale, riflettendoci,<br />

ci avvic<strong>in</strong>iamo,<br />

e cadiamo <strong>in</strong> lei. Uccell<strong>in</strong>i vivi,<br />

ammaliati dal<strong>la</strong> natura.<br />

El<strong>la</strong> ci mangia, cieca e senz’occhi, e noi<br />

165


presso di lei cerchiamo dimora, senza capire il dolore.<br />

JEAN<br />

E io, pastore, ho sete di sangue.<br />

O piuttosto, di cambiamenti.<br />

La libertà, ecco dove <strong>la</strong>nguono le mie ricerche! Con lei cambierà tutto! El<strong>la</strong> è lieve e, a un tempo,<br />

imperiosa. Profonda, <strong>qui</strong>eta e colma di fuoco.<br />

PASTORE<br />

E io l’ho vista. In lei non v’è nul<strong>la</strong> di quel che pensate.<br />

Io l’ho vista.<br />

J EAN<br />

Chi?<br />

PASTORE<br />

La libertà.<br />

J EA N<br />

Quando?<br />

PASTORE<br />

Ma sì, una dec<strong>in</strong>a d’anni fa.<br />

J EAN<br />

Ma dove, dove?<br />

PASTORE<br />

Non posso dirlo con precisione, Vostra Signoria. So solo che l’hanno creata poi non è più servita a<br />

nessuno. Mi avevano <strong>in</strong>vitato al<strong>la</strong> presentazione.<br />

JEAN<br />

Secondo me dici cose confuse, scemo.<br />

PASTORE<br />

Gioca, gioca, non fai cadere l’oca dal <strong>qui</strong>nto piano, piripiripiri, piano.<br />

J EA N<br />

Sei impazzito?<br />

PASTORE<br />

Ma no. È <strong>la</strong> nostra tradizione.<br />

J EA N<br />

Che razza di stupida tradizione?<br />

PASTORE<br />

Te l’avevo detto, signore, tu non capisci il popolo.<br />

Oh! La mia pecorel<strong>la</strong> smarrita è ritornata, guarda!<br />

(DoIly corre per il campo)<br />

DOLLY<br />

Pap<strong>in</strong>o non mi ha dato il permesso, ma non ne potevo più.<br />

PASTORE<br />

Come, signor<strong>in</strong>a, scusi?<br />

DOLLY<br />

Loro fanno un sacco di cose <strong>in</strong>utili, pap<strong>in</strong>o beve, è così <strong>in</strong>sano, <strong>in</strong> discoteca praticamente non mi <strong>la</strong>scia<br />

andare, nelle stanze c’è puzza di fumo e io ho i miei piani di bellezza e salute. Lei giustappunto (rivolta a<br />

Jean) par<strong>la</strong>va del<strong>la</strong> natura... da oggi ho appeso i poster con <strong>la</strong> sua faccia. Sono una sua fan.<br />

J EAN<br />

Allora amiamoci, come le caprette!<br />

166


DOLLY<br />

E come fanno ad amarsi?<br />

J EAN<br />

Così, ecco: il capretto s’avvic<strong>in</strong>a da dietro al<strong>la</strong> capretta e le <strong>in</strong>fi<strong>la</strong> il perno che lei non ha e poi <strong>in</strong>sieme si<br />

dondo<strong>la</strong>no sul perno. Dai, dondoliamoci!<br />

DOLLY<br />

Noi fans non possiamo sottrarci alle richieste del nostro idolo. E per di più è divertente. E lui (<strong>in</strong>dica<br />

Pastore) <strong>la</strong>sciamolo cantare o suonare lo zufolo!<br />

PASTORE<br />

Ahi, signore, non mettete <strong>in</strong> una situazione imbarazzante <strong>la</strong> signor<strong>in</strong>a...<br />

J EAN<br />

Su, suona, suona, non hai sentito che cosa ti hanno detto? (A Dolly) E tu, su, mettiti <strong>in</strong> posizione!<br />

Dall’altra parte del campo Scimmione osserva:<br />

Ecco, privano dell’<strong>in</strong>nocenza mia figlia e non posso farci nul<strong>la</strong>. O, sacro divenire, dove ci trasc<strong>in</strong>i, a quale<br />

meta sproni chi ti segue?<br />

(Si copre il volto con le mani).<br />

[Da “I pastori di Dolly (operetta filosofica <strong>in</strong> dieci scene)” (Onyx/Teatro 2004)]<br />

Notizia.<br />

Nata a Len<strong>in</strong>grado, Alexandra Petrova ha vissuto a lungo <strong>in</strong> Israele e dal 1999 risiede <strong>in</strong> Italia. Oltre a<br />

numerose col<strong>la</strong>borazioni con varie e qualificate riviste italiane e straniere, ha pubblicato nel 1994 <strong>la</strong><br />

raccolta poetica L<strong>in</strong>ia otriva (Punto di distacco) e nel 2000 il libro di prose e poesie Vib na djitelstvo<br />

(Permesso di vivere o Permesso di soggiorno, o anche Vedute sull'esistenza), "short list" del "Premio<br />

Andrej Belyj" delle edizioni NLO.<br />

È del 2003 l'operetta filosofica <strong>in</strong> dieci scene I pastori di Dolly. Oltre che <strong>in</strong> italiano (una trent<strong>in</strong>a di poesie<br />

sono uscite sul<strong>la</strong> <strong>rivista</strong> Poesia nel numero di dicembre 2002 che le ha anche dedicato <strong>la</strong> copert<strong>in</strong>a; nel<br />

2003 numerose sue poesie sono state tradotte nell'antologia La nuova poesia russa), i suoi testi sono<br />

stati tradotti <strong>in</strong> ebraico, <strong>in</strong>glese, slovacco, portoghese e c<strong>in</strong>ese.<br />

Altri fuochi, <strong>la</strong> sua ultima raccolta di poesie, è stata pubblicata da Crocetti nel 2005.<br />

167


Antigone. Monologo, due frammenti<br />

1.<br />

Se mi dicono «Donna, questa è legge»,<br />

rispondo: Dio è una legge migliore.<br />

Se il tiranno non vuole e non protegge<br />

il dovere che spetta a tutti i morti<br />

e nega il torto e vuole che io neghi<br />

anche i pensieri fraterni di Antigone –<br />

io so che sono – già – <strong>la</strong> figlia di<br />

chi non doveva nascere e ha sposato<br />

<strong>la</strong> madre che ha creato lui e me<br />

e i miei fratelli: faccio schifo – e adesso<br />

che cosa posso volere per me?<br />

se è già abbastanza non morire <strong>in</strong> cul<strong>la</strong> –<br />

o farmi cieca, come fu mio padre –<br />

se sono <strong>la</strong> sorel<strong>la</strong> di chi può<br />

(no, no! non può!) fare di meglio e altro?<br />

Se Creonte impedisce a me di fare<br />

quello che anche un bamb<strong>in</strong>o sa donare<br />

a una rond<strong>in</strong>e morta, a una lucerto<strong>la</strong><br />

che prima ha ucciso, forse, e poi si pente<br />

(non sente! – prima) (era il suo gioco, certo) –<br />

ho solo un’<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ita normalissima<br />

pietà umana di loro. Pietà. Umana.<br />

2<br />

[l’attrice <strong>in</strong>terpreta sia Antigone sia Creonte: o muovendosi di un passo e tornando <strong>in</strong>dietro, a seconda<br />

del personaggio, o girandosi a destra e s<strong>in</strong>istra]<br />

CREONTE Non sono più io l’uomo, sei tu l’uomo,<br />

se io non ti punisco. E lo farò.<br />

ANTIGONE Mi hai già presa. Mi vuoi morta? O di più?<br />

CREONTE Non voglio niente, io. Ho questo e ho tutto.<br />

ANTIGONE Che cosa aspetti, allora? Non mi piaci.<br />

Ma sei tiranno, e per te questo è molto:<br />

ciò che è permesso è solo ciò che ord<strong>in</strong>i.<br />

CREONTE Non lo sapevo. Gli altri non lo dicono.<br />

Già, non sei come gli altri. E hai vergogna?<br />

ANTIGONE No. È una vergogna seppellire i morti?<br />

è una vergogna onorare un fratello?<br />

CREONTE L’altro, che è morto, era tuo fratello?<br />

ANTIGONE Sì, figlio degli stessi genitori.<br />

CREONTE Non sai che il tuo amore è una bestemmia?<br />

ANTIGONE Il morto non <strong>la</strong> pensa come te.<br />

CREONTE Certo: perché lo esalti come l’altro.<br />

ANTIGONE Non è morto un mio schiavo, ma un fratello.<br />

CREONTE Ma a me ha devastato questa terra,<br />

che l’altro amava. E tu non sei più onesta.<br />

ANTIGONE La mia pietà non è una cosa facile.<br />

CREONTE Un nemico si odia sempre. Taci.<br />

ANTIGONE Io sono nata per l’amore, e basta.<br />

CREONTE Hai detto amore? E ama! Ama quegli altri,<br />

i morti divorati dal<strong>la</strong> terra.<br />

Non te lo vieto e non te lo permetto.<br />

Ti faccio andare dove non c’è anima<br />

viva, ti chiudo viva <strong>in</strong> una grotta<br />

e ti do pane e acqua, che ti basti<br />

a rimanere <strong>in</strong> vita. Voglio questo.<br />

168


E <strong>in</strong>vocherai <strong>la</strong> morte e i morti, e forse<br />

non morirai – o capirai davvero<br />

che il tuo amore è l’ombra dell’amore.<br />

Se muori, io sono puro e non ti ho uccisa;<br />

se vivi, sei già tolta dal<strong>la</strong> terra.<br />

F<strong>in</strong>ché vivo, non obbedisco a donne:<br />

non sono donna di nessuna donna.<br />

[N. d. A. Il monologo di Antigone, <strong>in</strong> c<strong>in</strong>que parti, rie<strong>la</strong>bora sia il testo di Sofocle sia – nel<strong>la</strong> sezione<br />

f<strong>in</strong>ale, pubblicata sul sito www.<strong>la</strong>poesiaelospirito.wordpress.com nel febbraio 2007, <strong>la</strong> meditazione di<br />

María Zambrano (<strong>in</strong> All’ombra del dio sconosciuto. Antigone, Eloisa, Diotima, a c. di Elena Laurenzi,<br />

Pratiche, Parma 1997); vi si aggiungono e alternano sezioni orig<strong>in</strong>ali.]<br />

Notizia.<br />

La bio- è tutta spostata sul<strong>la</strong> -grafìa dei libri firmati da Massimo Sannelli (nato nel 1973, vive a Genova).<br />

Gli ultimi sono "Venti sonetti" (La Camera Verde, 2006); "Lo schermo" (Feaci, 2006); "Philologia Pauli. Il<br />

corpo e le ceneri di Pasol<strong>in</strong>i" (Fara, 2006); "Nome, nome" (Inedition, 2007); "Huit poèmes" (trad. di A.<br />

Raos e E. Suchère: Contrat Ma<strong>in</strong>t, 2007); "Amanuense" (Cantarena, 2007); "<strong>in</strong>versiOn" (trad. di C.<br />

Da<strong>in</strong>o: Dusie, 2007) e <strong>la</strong> traduzione di "Su un Io Colonna" di Emily Dick<strong>in</strong>son (La Camera Verde, 2007).<br />

Di prossima pubblicazione traduzioni da Susana Gardner e da c<strong>la</strong>ssici <strong>in</strong>diani, più <strong>la</strong> raccolta delle<br />

<strong>in</strong>terviste ("Al popolo futuro. Dialoghi", Cantarena, 2007). Vive a Genova.<br />

169


Da SALOMÈ<br />

PERSONAGGI:<br />

ERODE ANTIPA: tetrarca di Galilea e Perea, figlio di Erode il Vecchio.<br />

ERODIADE: nipote e moglie di Erode Antipa.<br />

SALOMÈ : figlia di primo letto di Erodiade, figliastra di Erode Antipa.<br />

JOCHANAAN: Giovanni detto il Battista.<br />

ABILA: consigliere di Erode Antipa.<br />

LIDDA: educatrice di Salomè.<br />

PETRA: responsabile di tutto il personale domestico.<br />

DANIÈL: coppiere di Erode Antipa.<br />

SEFORA: assistente personale di Salomè.<br />

MELCHISEDECH: tito<strong>la</strong>re del circo degli animali.<br />

GIARDINIERE<br />

PRIMA GUARDIA<br />

SECONDA GUARDIA<br />

PRIMA BALLERINA<br />

SECONDA BALLERINA<br />

PRIMO MUSICISTA<br />

SECONDO MUSICISTA<br />

MIMO<br />

NANO<br />

In a m<strong>in</strong>ute there is time<br />

For decisions and revisions which a m<strong>in</strong>ute will reverse.<br />

T.S. Eliot, The Love Song Of J. Alfred Prufrock<br />

Personaggi e situazioni delle pag<strong>in</strong>e che seguono, fatta eccezione per Salomè, Erode, Erodiade,<br />

Jochanaan, sono puramente immag<strong>in</strong>ari. Resta ferma l’ambientazione, il pa<strong>la</strong>zzo di Erode a Macheronte,<br />

e qualche spunto riguardante Jochanaan.<br />

Un r<strong>in</strong>graziamento alle rime e al ritmo di Frate Cipol<strong>la</strong>, Petrol<strong>in</strong>i e Pagliarani.<br />

*<br />

dall’ATTO II<br />

SCENA 2.<br />

Sa<strong>la</strong> di servizio. Molto disord<strong>in</strong>e. Strumenti musicali, sedie, cusc<strong>in</strong>i e un grande tavolo. Petra accompagna<br />

nel<strong>la</strong> sa<strong>la</strong> i musicisti e le danzatrici. Alcune cameriere portano dei vassoi.<br />

PETRA: Ecco. C’è tutto il necessario e anche di più.<br />

Meglio mangiare prima, stasera c’è aria di tirare tardi.<br />

PRIMA BALLERINA: È vero che è il suo compleanno?<br />

Petra annuisce.<br />

SECONDA BALLERINA: Buono per un compenso extra.<br />

PRIMO MUSICISTA: E noi abbiamo fatto tanta strada.<br />

PRIMA BALLERINA: E che vita che ci tocca.<br />

Mai nessuna sicurezza<br />

di tornare a casa tutti <strong>in</strong>teri.<br />

PETRA: Pagamento anticipato, ci pensa Abi<strong>la</strong>.<br />

170


Sarà <strong>qui</strong> tra poco. Di più non so dirvi.<br />

Ma ora accomodatevi.<br />

I musicisti si siedono a terra sopra dei grandi cusc<strong>in</strong>i mentre le baller<strong>in</strong>e osservano con attenzione il cibo<br />

portato dalle serve. Capannello <strong>in</strong>torno al tavolo. Due musicisti e due baller<strong>in</strong>e cont<strong>in</strong>uano a par<strong>la</strong>re con<br />

Petra.<br />

SECONDA BALLERINA: Io non voglio mangiare.<br />

Non mangio mai prima di esibirmi.<br />

Io voglio soldi, voglio anche<br />

una bel<strong>la</strong> mancia. Ho preparato<br />

qualcosa di speciale per Erode.<br />

SECONDO MUSICISTA: Hai fatto bene.<br />

Gli piacciono tanto le sorprese.<br />

PRIMA BALLERINA: C’è anche <strong>la</strong> moglie?<br />

SECONDA BALLERINA: Erode ha sposato sua nipote.<br />

PRIMA BALLERINA: Sua nipote?<br />

SECONDA BALLERINA: Certo. Non lo sapevi?<br />

PRIMA BALLERINA: Non mi dire. No, non lo sapevo.<br />

SECONDA BALLERINA: C’è chi ha pensato a diffondere <strong>la</strong> notizia.<br />

Mi hanno detto che l’hanno preso.<br />

Mi hanno detto che quello lì f<strong>in</strong>isce male.<br />

PETRA: Non ancora.<br />

SECONDA BALLERINA: Che ne sai tu che stai sempre chiusa <strong>qui</strong> dentro?<br />

Fa schifo, è sporco e puzza come bestia.<br />

PRIMA BALLERINA: Con un bel bagno torna nuovo.<br />

SECONDA BALLERINA: Che ci fai con uno così?<br />

Un morto di fame che muore di fame. E tu con lui.<br />

PRIMA BALLERINA: Ma è un profeta!<br />

Non ho mai visto come è fatto un profeta.<br />

PRIMO E SECONDO MUSICISTA: Un profeta, un profeta!<br />

Uom<strong>in</strong>i, donne: leggete Isaia!<br />

PETRA: Attenti alle battute.<br />

Ci sono orecchie attente tutt’<strong>in</strong>torno.<br />

Oggi poi non è giorno.<br />

SECONDA BALLERINA: Andava <strong>in</strong> giro a dire<br />

che Erode e sua nipote fanno cose.<br />

La seconda baller<strong>in</strong>a scoppia a ridere.<br />

PRIMA BALLERINA: Fanno cose?<br />

SECONDA BALLERINA: Non stai attenta. Ti ho appena detto<br />

che lei è <strong>la</strong> nipote.<br />

PRIMO MUSICISTA: Erode ha capito tutto del<strong>la</strong> vita.<br />

SECONDO MUSICISTA: Tutti dovremmo imparare da Erode.<br />

171


PRIMO MUSICISTA [con <strong>la</strong> bocca piena di cibo] :<br />

Br<strong>in</strong>diamo a Erode, che se <strong>la</strong> fa con <strong>la</strong> nipote!<br />

SECONDO MUSICISTA : Salute a Erode che ha tanta salute!<br />

SECONDA BALLERINA: Comunque è lei che se l’è preso.<br />

È lei che ha mosso tutto, sottosotto.<br />

PRIMA BALLERINA: Lei? Ma non era già sposata con Filippo?<br />

SECONDA BALLERINA: Sì, ma l’ha <strong>la</strong>sciato. Troppo poco ambizioso.<br />

Il fratello <strong>in</strong>vece è meglio!<br />

PRIMA BALLERINA: Filippo è il fratello di Erode?<br />

SECONDA BALLERINA: Fratel<strong>la</strong>stro. È tutta un’altra cosa!<br />

La seconda baller<strong>in</strong>a scoppia a ridere.<br />

PRIMA BALLERINA: Povero Filippo.<br />

PRIMO MUSICISTA: Filippo, povero Filippo!<br />

Tua moglie preferisce quello di tuo fratello.<br />

SECONDO MUSICISTA: Facciamo un br<strong>in</strong>disi al povero Filippo!<br />

Il secondo musicista versa del v<strong>in</strong>o nei bicchieri.<br />

SECONDA BALLERINA: E <strong>la</strong> figlia? Chissà se assomiglia<br />

a Filippo, chissà di chi è figlia!<br />

PRIMA BALLERINA: Povera bamb<strong>in</strong>a.<br />

SECONDO MUSICISTA: Povera bamb<strong>in</strong>a! È nata dal<strong>la</strong> madre!<br />

PRIMO MUSICISTA: Povera picco<strong>la</strong> Salomè!<br />

Un po’ a me un po’ a te.<br />

Un po’ al<strong>la</strong> mamma, un po’ ad Erode.<br />

Non <strong>la</strong> prendete certo con <strong>la</strong> frode.<br />

SECONDO MUSICISTA: Un br<strong>in</strong>disi al<strong>la</strong> picco<strong>la</strong> Salomè!<br />

Il primo musicista versa da bere nei bicchieri.<br />

PRIMO MUSICISTA: È bell<strong>in</strong>a bell<strong>in</strong>a?<br />

PETRA: È solo una ragazz<strong>in</strong>a.<br />

In quel momento si avvic<strong>in</strong>a il mimo con un bicchiere di v<strong>in</strong>o <strong>in</strong> mano.<br />

MIMO: A Erode piacciono le bimbe,<br />

le bumbe<br />

<strong>la</strong> bambe,<br />

soprattutto gli piacciono<br />

le gambe.<br />

Al<strong>la</strong> serva delle serve<br />

Erode non piace:<br />

è una serva vecchia e verace.<br />

PETRA: È una ragazz<strong>in</strong>a sveglia. Attenti a voi.<br />

Il mimo f<strong>in</strong>ge costernazione.<br />

MIMO: Sai che paura.<br />

172


SECONDO MUSICISTA: Portiamo<strong>la</strong> via.<br />

SECONDA BALLERINA: No, che mi rov<strong>in</strong>a <strong>la</strong> piazza.<br />

E smettete<strong>la</strong> di <strong>in</strong>gozzarvi, poi mi toccano i rutti.<br />

SECONDO MUSICISTA: Ma noi siamo artisti. Dobbiamo sudare.<br />

PRIMO MUSICISTA: Sudare per guadagnare.<br />

SECONDO MUSICISTA: Che è quel<strong>la</strong> faccia, serva? Che cosa ti assil<strong>la</strong>?<br />

SECONDA BALLERINA: È preoccupata. Non l’avete capito?<br />

PRIMA BALLERINA: Per cosa, per chi?<br />

SECONDA BALLERINA: Per il morto di fame. Lo Straccione del Fiume.<br />

PRIMA BALLERINA: Perché, dov’è?<br />

SECONDA BALLERINA: Sarà già morto di botte.<br />

PETRA: È vivo. È vivo.<br />

SECONDA BALLERINA: E tu l’hai visto?<br />

Petra annuisce.<br />

SECONDA BALLERINA: Dicono che Erode se <strong>la</strong> fa sotto.<br />

Perché Erode è solo un gran fifone.<br />

SECONDO MUSICISTA: Gente, ascoltate il profeta!<br />

Non fate i fessi, aggiornatevi.<br />

PRIMO MUSICISTA: Erode è un fifone.<br />

Erode farà uscire il profeta di prigione.<br />

SECONDA BALLERINA: E <strong>la</strong> moglie dove <strong>la</strong> metti?<br />

È lei che lo ha fatto arrestare.<br />

PRIMA BALLERINA: Davvero? Gli faranno male?<br />

PRIMO MUSICISTA: Se gli faranno male noi lo vorremo vedere!<br />

Noi lo vogliamo sapere. Ce lo devono portare.<br />

PRIMA BALLERINA: Vorrei tanto vederlo. Vorrei tanto conoscerlo.<br />

Tutti ne par<strong>la</strong>no.<br />

SECONDA BALLERINA: Guarda che è un pazzo.<br />

È stato da solo nel deserto.<br />

SECONDO MUSICISTA: Attenta che ti salta addosso!<br />

PRIMO MUSICISTA: Ti salta addosso e ti lecca come un gatto.<br />

SECONDA BALLERINA: Quello, una donna non sa nemmeno<br />

come è fatta.<br />

PRIMA BALLERINA: Vorrei par<strong>la</strong>rci.<br />

PRIMO MUSICISTA: Non ha soldi per pagarti!<br />

PRIMA BALLERINA: Ma io non voglio essere pagata.<br />

Non voglio farci niente.<br />

PRIMO MUSICISTA: Magari lui vuole comb<strong>in</strong>are qualcos<strong>in</strong>a<br />

173


prima di morire. Amen!<br />

SECONDO MUSICISTA: Amen!<br />

PETRA: Ecco Abi<strong>la</strong>.<br />

SECODNO MUSICISTA: Soldi! Soldi!<br />

PRIMO MUSICISTA: Arrivano i soldi!<br />

SECONDA BALLERINA: Soldi sonanti!<br />

PRIMA BALLERINA: Chi è Abi<strong>la</strong>?<br />

Tutti sbuffano.<br />

PETRA: Il consigliere di Erode.<br />

PRIMA BALLERINA: Posso chiedergli di vedere il profeta?<br />

PETRA: Ti consiglierei di no.<br />

SECONDA BALLERINA [a Petra]: La mia amica è un po’ stupida.<br />

Ma non lo fa apposta.<br />

[...]<br />

Arriva Abi<strong>la</strong> seguito da due assistenti. Ha l’aria di avere una certa fretta.<br />

ABILA: Buona sera a tutti e ben arrivati.<br />

Vedo che avete già <strong>in</strong>iziato a servirvi,<br />

spero tutto sia di vostro gradimento.<br />

NANO: La carne era cotta male, se proprio devo dire.<br />

Abi<strong>la</strong> <strong>la</strong>ncia uno sguardo sul cibo poi si avvic<strong>in</strong>a ai musicisti.<br />

ABILA: Oggi come sapete è un giorno speciale.<br />

Abbiamo dovuto cambiare <strong>la</strong> scaletta.<br />

Siamo <strong>in</strong> ritardo sui tempi.<br />

Spero che il resto sia ottimo, come credo.<br />

Abi<strong>la</strong> butta un occhio sui v<strong>in</strong>i.<br />

NANO: Tutto questo non rientra nel pagamento?<br />

ABILA: Il cibo è offerto da Erode.<br />

Non è compreso nel compenso.<br />

Uno dei due accompagnatori di Abi<strong>la</strong> si avvic<strong>in</strong>a al tavolo e <strong>in</strong>izia a spiluccare qualcosa. L’altro gli resta<br />

attaccato alle costole.<br />

NANO: Generoso quanto ti pare,<br />

ma stasera noi dovremo <strong>la</strong>vorare più ore.<br />

ABILA: All’alba è previsto un grande evento.<br />

Kefa di Gerusalemme ha costruito un pa<strong>la</strong>zzo.<br />

Si tratta solo del<strong>la</strong> facciata. È ovvio.<br />

La stanno montando <strong>in</strong> giard<strong>in</strong>o.<br />

All’alba il sole sorgerà dentro <strong>la</strong> grande f<strong>in</strong>estra centrale.<br />

Una copia perfetta del<strong>la</strong> stanza personale di Erode.<br />

Il mimo f<strong>in</strong>ge ammirazione e sorpresa.<br />

MIMO: Dobbiamo pagare o lo spettacolo è gratis?<br />

174


SECONDO MUSICISTA: Se tiriamo f<strong>in</strong>o all’alba, dovete pagarci extra.<br />

ABILA: Chi è il capo, tra di voi?<br />

NANO: Nessuno. Non abbiamo capo, siamo artisti.<br />

ABILA: Insomma, chi è il vostro portavoce,<br />

con chi devo discutere di soldi?<br />

NANO: Io sono il nano, ho <strong>la</strong> paga da nano.<br />

Lei è <strong>la</strong> baller<strong>in</strong>a ma non str<strong>in</strong>ge <strong>la</strong> mano.<br />

Lui è il mimo, non par<strong>la</strong> e va lontano.<br />

Siamo tutti uguali, siamo artisti!<br />

Credete che siamo tutti uguali?<br />

ABILA: Non rendetemi le cose difficili.<br />

Vi prego, Signori, veniamoci <strong>in</strong>contro.<br />

MIMO: Par<strong>la</strong> con il nano.<br />

SECONDA BALLERINA: Già, par<strong>la</strong> con il nano. Lui è il più cattivo.<br />

ABILA [rivolto al nano]: Allora, vogliamo discutere di affari?<br />

NANO: In questo caso, se gli altri non hanno obiezioni.<br />

Ma non <strong>qui</strong>. Mettiamoci comodi.<br />

ABILA: Benissimo.<br />

Il nano e Abi<strong>la</strong> si appartano <strong>in</strong>torno ad un tavolo, non troppo lontano.<br />

SECONDA BALLERINA: Fa sempre così.<br />

MIMO: E meno male.<br />

PRIMO MUSICISTA: È anche vero che si prende<br />

una bel<strong>la</strong> percentuale.<br />

SECONDA BALLERINA: È il migliore a contrattare.<br />

MIMO: Non ha niente da perdere.<br />

La gente ha paura dei nani.<br />

SECONDA BALLERINA: La gente, non Abi<strong>la</strong>.<br />

Quello ha il sangue freddo e tanto veleno <strong>in</strong> corpo.<br />

MIMO: Non mi pare così furbo.<br />

SECONDA BALLERINA: Perché è versatile.<br />

Con noi si mostra ragionevole<br />

ma tiene <strong>in</strong> mano tutta <strong>la</strong> baracca.<br />

È lui che lo muove come un pupazzo.<br />

MIMO: Non è che ci vuole molto.<br />

Erode ha bisogno di un tutore,<br />

da solo non saprebbe come fare.<br />

SECONDA BALLERINA: Abi<strong>la</strong> si è fatto <strong>la</strong> gavetta con il Vecchio.<br />

Ci ha fatto il callo al comando.<br />

MIMO: Abi<strong>la</strong> è un sole al tramonto.<br />

Una barca a picco.<br />

Erodiade gli fa un baffo.<br />

175


SECONDA BALLERINA: Quei due sono <strong>in</strong> società.<br />

Hanno un fiuto eccezionale per le congiure.<br />

MIMO: Sono fatti l’uno per l’altra.<br />

SECONDA BALLERINA: Quelli non perdono <strong>la</strong> testa.<br />

MIMO: Tutti <strong>la</strong> perdono, prima o poi.<br />

SECONDA BALLERINA: Io non mi <strong>la</strong>scio confondere.<br />

MIMO: Tutto cambia a colpi di scena. Ci fanno concorrenza.<br />

SECONDA BALLERINA: Sì, ma <strong>qui</strong> se f<strong>in</strong>isce male<br />

f<strong>in</strong>isce male davvero.<br />

MIMO: Sangue chiama sangue.<br />

SECONDA BALLERINA: Il sangue chiama.<br />

Carnale, seducente come una puttana.<br />

È gente che non ha niente da perdere.<br />

Cadono <strong>in</strong> piedi.<br />

Sono quelli che hanno tutto da perdere,<br />

a perdere tutto.<br />

Ma se ora <strong>la</strong> posta <strong>in</strong> gioco<br />

è potere per potere,<br />

può davvero f<strong>in</strong>ire molto male.<br />

MIMO: Come ti sei fatta seria!<br />

SECONDA BALLERINA: Ho il problema del<strong>la</strong> preveggenza.<br />

MIMO: Uh. Sta per accadere qualcosa? Che cosa, che cosa?<br />

Dacci un’anticipazione!<br />

Il mimo sghignazza.<br />

SECONDA BALLERINA: Qualcosa di terribile.<br />

MIMO: Cosa?<br />

SECONDA BALLERINA: Questa volta non mi piace.<br />

MIMO: Un complotto?<br />

SECONDA BALLERINA: Voglio rimanerne fuori. Non voglio sapere.<br />

MIMO: Voi donne pensate tutte di essere sensitive.<br />

SECONDA BALLERINA: Lasciacelo credere.<br />

MIMO: Tutte veggenti, molta concorrenza.<br />

Che si sente, una voce? Tante voci?<br />

Il mimo fa delle smorfie con <strong>la</strong> faccia.<br />

SECONDA BALLERINA: È <strong>in</strong>def<strong>in</strong>ito. È veloce.<br />

Non diresti che è un suono preciso,<br />

ma qualcosa come un fischio, un rumore.<br />

MIMO: Ma così tutto può essere tutto.<br />

Anche il mio rutto è significativo.<br />

SECONDA BALLERINA: È veloce, passa, lo afferro.<br />

Lo sento venire dal<strong>la</strong> terra nelle ossa.<br />

176


MIMO: Come un reumatismo.<br />

*<br />

dall’ATTO III<br />

SCENA 2.<br />

[…]<br />

Grande sa<strong>la</strong> del banchetto. Vociare confuso e suoni di accordatura di strumenti. I musicisti si sistemano<br />

su un palco a s<strong>in</strong>istra del<strong>la</strong> sa<strong>la</strong>.<br />

La scena centrale è libera.<br />

Gli ospiti sono sdraiati sui divani o seduti sui cusc<strong>in</strong>i tutt’ <strong>in</strong>torno.<br />

Erode è seduto su una poltrona sormontata da un baldacch<strong>in</strong>o con veli e pendagli. La scimmietta è legata<br />

ad una colonna del baldacch<strong>in</strong>o. Erodiade siede al<strong>la</strong> s<strong>in</strong>istra, Abi<strong>la</strong> al<strong>la</strong> destra. Salomè è sdraiata su un<br />

tricl<strong>in</strong>io vic<strong>in</strong>o a Erodiade.<br />

Melchisedech <strong>in</strong>troduce <strong>la</strong> sfi<strong>la</strong>ta. Tutti gli animali sono accompagnati da vallette.<br />

Gli animali più piccoli sono portati <strong>in</strong> teche di vetro, su cusc<strong>in</strong>i imbottiti, al gu<strong>in</strong>zaglio o <strong>in</strong>torno al collo.<br />

MELCHISEDECH: Vezzose donne,<br />

<strong>in</strong>creduli signori,<br />

buonasera!<br />

Io sono Melchisedech,<br />

non vengo per servirvi<br />

vengo solo per stupirvi!<br />

Ho girato il mondo<br />

<strong>in</strong> lungo e <strong>in</strong> tondo.<br />

Ho visto tutte le stranezze del creato<br />

e non mi sono mai meravigliato!<br />

Ho visto i denti dei draghi verdi<br />

gli unicorni <strong>in</strong> volo<br />

le squame delle sirene<br />

le pennuzze dell’araba fenice.<br />

Ho visto le b<strong>la</strong>tte bianche<br />

le polente secche<br />

le streghe bis<strong>la</strong>cche.<br />

Ho visto dividersi i mari<br />

i capelli cadere,<br />

ho visto vo<strong>la</strong>re i ca<strong>la</strong>mari!<br />

Ho visto l’albero dell’oro<br />

e il Mare dei guai,<br />

ho visto ombrelli senza ombrel<strong>la</strong>i.<br />

Ho visto <strong>la</strong> peste, <strong>la</strong> tigna, <strong>la</strong> scabbia<br />

ho visto sofisti contare <strong>la</strong> sabbia.<br />

Ho visto le Amazzoni<br />

ammazzare per noia.<br />

Ho visto il pesce <strong>in</strong> sa<strong>la</strong>moia!<br />

Ho visto il Leviatano da vic<strong>in</strong>o:<br />

ha le scaglie di parmigiano.<br />

Ho visto l’acqua andare <strong>in</strong> salita<br />

senza fare alcuna fatica.<br />

177


Signore e signori,<br />

per far<strong>la</strong> breve:<br />

ho visto tutto quello<br />

che c’era da vedere.<br />

Aprite i vostri occhi!<br />

Ecco a voi animali rari<br />

portati da belle fanciulle<br />

del Paese di Figulle!<br />

Entrano le ragazze e accompagnano gli animali. Fanno un piccolo <strong>in</strong>ch<strong>in</strong>o al pubblico e proseguono <strong>la</strong><br />

sfi<strong>la</strong>ta.<br />

MELCHISEDECH: Una scimmia del Congo!<br />

Una formica velenosa<br />

dell’iso<strong>la</strong> di Formosa!<br />

Una taranto<strong>la</strong> di Taranto!<br />

Una zebra alb<strong>in</strong>a!<br />

Un airone par<strong>la</strong>nte!<br />

Un leone sdentato!<br />

Un babbu<strong>in</strong>o addormentato!<br />

Grandi risa e app<strong>la</strong>usi al passaggio del babbu<strong>in</strong>o sdraiato sopra un cusc<strong>in</strong>o.<br />

Un c<strong>in</strong>ghiale pett<strong>in</strong>ato!<br />

Un elefante senza zanne dalle Indie!<br />

Un boa <strong>in</strong>namorato!<br />

Ancora app<strong>la</strong>usi al passaggio del boa avv<strong>in</strong>ghiato al collo del<strong>la</strong> valletta.<br />

Uno scorpione egiziano!<br />

Un pappagallo poliglotta!<br />

Un coccodrillo di terra!<br />

Una pecorel<strong>la</strong> ancora verg<strong>in</strong>e!<br />

Risa e app<strong>la</strong>usi al passaggio del<strong>la</strong> pecorel<strong>la</strong>. Qualcuno del pubblico ur<strong>la</strong> e fischia.<br />

Un toro senza corna da Siviglia!<br />

La pantegana più obesa di Roma!<br />

Una famiglia di piccioni viaggiatori!<br />

App<strong>la</strong>usi al passaggio dei piccioni portati su un trespolo.<br />

Un orso dimagrito!<br />

Uno sciame di lucciole spente!<br />

Una tartaruga a ruote!<br />

Ancora app<strong>la</strong>usi al<strong>la</strong> tartaruga che avanza su un carretto.<br />

Melchisedech prende tempo.<br />

178


MELCHISEDECH: Signore e signori, attenzione!<br />

Sto per mostrarvi l’attrazione<br />

del momento!<br />

Lo squalo rosso vegetariano!<br />

Una valletta sp<strong>in</strong>ge una vasca di vetro, dentro c’è uno squalo rosso che mangia delle alghe.<br />

App<strong>la</strong>usi, fischi, ur<strong>la</strong>, il pubblico batte con le mani sui tavol<strong>in</strong>i. Erode ride a crepapelle.<br />

Dopo <strong>la</strong> sfi<strong>la</strong>ta degli animali, entrano i giocolieri, gli acrobati e mangiafuoco.<br />

Erode accarezza <strong>la</strong> scimmietta.<br />

[…]<br />

SCENA 4<br />

Giard<strong>in</strong>o. Non lontano dal pa<strong>la</strong>zzo f<strong>in</strong>to fatto costruire da Kefa, Salomè e Sefora sotto una palma. Tuoni e<br />

<strong>la</strong>mpi nel cielo.<br />

SALOMÈ: Hai fatto un bel <strong>la</strong>voro.<br />

Sefora restituisce il coltello a Salomè. Salomè lo pulisce sullo scialle.<br />

SEFORA: Poi l’ho trasc<strong>in</strong>ata.<br />

SALOMÈ: Hai una bel<strong>la</strong> forza.<br />

SEFORA: Quando serve.<br />

Salomè le palpa il muscolo del braccio.<br />

SEFORA: Robusta, robusta.<br />

SALOMÈ: L’ha già trovata?<br />

SEFORA: La troverà presto.<br />

L’ho <strong>la</strong>sciata davanti al bagno.<br />

SALOMÈ: Staremo a vedere <strong>la</strong> f<strong>in</strong>e. Anche se piove.<br />

Salomè si sdraia sopra uno dei divani sotto le palme. Fa cenno a Sefora di <strong>la</strong>sciar<strong>la</strong> so<strong>la</strong>. Salomè si<br />

addormenta.<br />

Ho sognato<br />

stavamo a vedere <strong>la</strong> f<strong>in</strong>e,<br />

stavamo a vedere le stelle<br />

dietro il temporale.<br />

Ho sognato una schiena bianca<br />

piume, un pavone.<br />

Poi ho sognato il sangue dal naso<br />

i piedi mozzati con un morso, con un bacio.<br />

C’erano le carovane.<br />

Venivano, andavano lontano.<br />

Le carovane portavano pentole di rame.<br />

C’era un fuoco di notte, <strong>in</strong>torno al<strong>la</strong> brace<br />

IL SOGNO DI SALOMÈ<br />

179


un vecchio dormiva, sembrava felice.<br />

Ho sognato i cavalli,<br />

le balle di fieno arroto<strong>la</strong>te nel campo.<br />

Era estate.<br />

Io stavo a guardare<br />

mi cadevano denti, mi toccavo i capelli<br />

non c’era più niente.<br />

La casa crol<strong>la</strong>va, <strong>la</strong> torre crol<strong>la</strong>va.<br />

Non c’era rumore.<br />

Mia madre dormiva<br />

sotto le macerie.<br />

Sul<strong>la</strong> strada le donne scalze<br />

smontavano le tende.<br />

Guardavo che andavano via<br />

perché sapevano dei miei piedi.<br />

Ho sognato che vendevo quell’oro<br />

al mercato.<br />

Non sapevo di averlo, lo vendevo per poco.<br />

Così anch’io andavo con le carovane<br />

lontano<br />

lontano.<br />

SCENA 5<br />

Terrazza che dà sul giard<strong>in</strong>o.<br />

Rumori di tuoni sempre più vic<strong>in</strong>i. Lampi attraversano il cielo.<br />

La scena è vuota.<br />

Erodiade irrompe sul<strong>la</strong> terrazza con un urlo animale.<br />

Ha le mani <strong>in</strong>sangu<strong>in</strong>ate. Ranto<strong>la</strong>.<br />

ERODIADE:<br />

Un fischio nelle orecchie.<br />

Ho perso qualcosa.<br />

Non so cosa.<br />

Non ricordo.<br />

Sta riversa davanti al<strong>la</strong> porta.<br />

La bocca aperta.<br />

Fissa il soffitto.<br />

Le prendo <strong>la</strong> mano.<br />

Le str<strong>in</strong>go il polso.<br />

È così fredda.<br />

È così fredda<br />

<strong>la</strong> mia scimmia.<br />

È legata a catena.<br />

Non si muove.<br />

Mandate un fabbro.<br />

Mandate un giudice.<br />

Bisognerà dire.<br />

Bisognerà pulire.<br />

Non c’è nessuno.<br />

Dormono.<br />

Sudano.<br />

Sono tutti sudati.<br />

180


Si sono feriti.<br />

C’è v<strong>in</strong>o a terra c’è sangue.<br />

Ci sono macchie.<br />

Ho le mani addormentate.<br />

Mandate qualcuno<br />

a svegliarli.<br />

Li ho legati tutti.<br />

Li ho messi uno sull’altro.<br />

Un mucchio <strong>in</strong>dist<strong>in</strong>to.<br />

Dormono.<br />

*<br />

Hanno freddo?<br />

Mandate qualcuno<br />

per accendere il fuoco.<br />

Nascondiamo le prove.<br />

Dove possiamo nasconderci?<br />

Non si può più stare <strong>qui</strong>.<br />

Ho una scimmia legata a catena<br />

una figlia.<br />

Io non ho mai detto amore mio.<br />

Si sono sbagliati.<br />

Stanno dormendo.<br />

Stanno sognando tutto.<br />

Lei non è riversa <strong>in</strong> bagno.<br />

Lui ha <strong>la</strong> testa sul collo.<br />

È solo una voce.<br />

Un pettegolezzo.<br />

Io non l’ho mai detto,<br />

nemmeno all’orecchio.<br />

Fate stare zitta questa scimmia.<br />

Si strappa i capelli.<br />

Ur<strong>la</strong>.<br />

Mi farà impazzire.<br />

Non capisco più se è morta<br />

se ho dimenticato di liberar<strong>la</strong>.<br />

SCENA 6<br />

Cortile <strong>in</strong>terno. Tuoni, <strong>la</strong>mpi.<br />

Petra è seduta sui grad<strong>in</strong>i. Tiene <strong>la</strong> testa tra le mani.<br />

PETRA: Molta speranza di riuscire, molto dolore.<br />

Rega<strong>la</strong>re <strong>la</strong> speranza.<br />

Metter<strong>la</strong> nelle mani di qualcuno.<br />

Liberarsene.<br />

La speranza dei disperati gli dà forza.<br />

Gli viene voglia di morire <strong>in</strong> nome di.<br />

Di par<strong>la</strong>re <strong>in</strong> nome di.<br />

Di nascondersi dietro un nome<br />

che non è il suo.<br />

Si carica il mondo sulle spalle<br />

181


eppoi vuole schiantarsi.<br />

Siamo tutti stanchi.<br />

Tutto fatto.<br />

Tutto f<strong>in</strong>ito.<br />

Tutto <strong>la</strong>sciato pieno di e<strong>qui</strong>voci.<br />

La tentazione di dubitare<br />

di chi si fa morire.<br />

Chi bisognerà seguire?<br />

Chi deve ancora arrivare?<br />

Stavolta, quel<strong>la</strong>, un’altra.<br />

Il pastore disteso sull’erba<br />

racconta le storie<br />

per non dimenticarle.<br />

Il cane abbaia.<br />

Rimette <strong>in</strong> ord<strong>in</strong>e il gregge.<br />

Arriva <strong>la</strong> tosatura.<br />

Arriva <strong>la</strong> mungitura.<br />

Il pastore prende <strong>la</strong> pecora più picco<strong>la</strong>.<br />

Quel<strong>la</strong> che piange nel sonno come un bamb<strong>in</strong>o.<br />

È festa.<br />

È un sacrificio<br />

<strong>in</strong> nome di<br />

Mangiate <strong>in</strong> pace <strong>la</strong> vostra carne, il vostro sangue.<br />

Qualcuno domani dovrà pure pulire tutto questo.<br />

Esplode il temporale.<br />

Vento e grand<strong>in</strong>e fanno crol<strong>la</strong>re il pa<strong>la</strong>zzo f<strong>in</strong>to.<br />

[Testi tratti da Salomè, No Reply, 2005, per gentile concessione dell’autrice. Un’<strong>in</strong>teressante <strong>in</strong>tervista a<br />

Sara Ventroni - a cui vogliamo senz’altro rimandare - è apparsa su<br />

http://www.sparajurij.com/tapes/maledizioni/<strong>in</strong>tervista_ventroni.html.)]<br />

Notizia.<br />

Sara Ventroni è nata a Roma nel 1974. Ha pubblicato su numerose riviste e giornali («Nuovi Argomenti»,<br />

«l’immag<strong>in</strong>azione», «Accattone», eccetera); col<strong>la</strong>bora a «Liberazione» e al «Foglio». Come performer ha<br />

partecipato ai maggiori festival nazionali e <strong>in</strong>ternazionali di letteratura, e ha v<strong>in</strong>to il primo poetry s<strong>la</strong>m<br />

italiano. Suoi testi sono stati tradotti <strong>in</strong> spagnolo da Isabel Miguel, <strong>in</strong> <strong>in</strong>glese da Alistair Elliot, <strong>in</strong> francese<br />

da Dom<strong>in</strong>ique Garand e <strong>in</strong> croato da Snjez ana Husic. Per RAI Radio Tre ha raccontato le vite di Jim<br />

Morrison e David Bowie (Storyville). Per No Reply ha pubblicato nel 2005 l’opera teatrale Salomè. La sua<br />

ultima pubblicazione <strong>in</strong> versi è Nel Gasometro (Le Lettere, 2006).<br />

182


I tradotti<br />

183


LEAR<br />

Scende dal trono. Grande gli sembra d’essere.<br />

Come il proprio monumento, così si è posto<br />

Sta sul<strong>la</strong> terra che spoglia e cava<br />

Ruota sotto il monumento di carne, che precipita.<br />

E <strong>la</strong> pioggia lo <strong>la</strong>va e lui osserva: non è uno spasso.<br />

Strepita, disteso su cadaveri. Non una bara vuota.<br />

Sulle ciarle del folle (carne si fa carogna)<br />

Risate di locomotive. Ma lui non sente più.<br />

*<br />

PESCE MORTO CON VENTRE D’ARGENTO<br />

In fol<strong>la</strong> <strong>in</strong>torno al cadavere carbonizzato, che<br />

Nel fiume masticafuoco abortisce nel mare<br />

Flotta di carne, imputridente al fumo.<br />

Al timone Amleto, figlio di buona famiglia<br />

Per <strong>la</strong> carne bruciata non ha naso.<br />

*<br />

PROIEZIONE 1975<br />

Dov’è il domani che vedemmo ieri<br />

Canta <strong>la</strong> notte <strong>in</strong>tera il primo uccello<br />

Ammantel<strong>la</strong>to, <strong>in</strong> rosso, va il matt<strong>in</strong>o<br />

Nel<strong>la</strong> rugiada e bril<strong>la</strong> come sangue<br />

Leggo cose che ho scritto tre, c<strong>in</strong>que, vent’anni fa come il testo di un autore morto <strong>in</strong> un tempo <strong>in</strong> cui <strong>la</strong><br />

morte entrava ancora nel verso. Gli assass<strong>in</strong>i hanno cessato di scandire il tempo alle loro vittime. Mi<br />

ricordo del mio primo tentativo di scrivere un <strong>la</strong>voro teatrale. Testo andato perduto nel<strong>la</strong> confusione del<br />

dopoguerra. Com<strong>in</strong>ciava così, che il (giovane) eroe stava davanti allo specchio e cercava d’<strong>in</strong>dov<strong>in</strong>are che<br />

percorsi avrebbero fatto i vermi nel<strong>la</strong> sua carne. Al<strong>la</strong> f<strong>in</strong>e era <strong>in</strong> cant<strong>in</strong>a e faceva a fette suo padre. In<br />

questo secolo di Oreste e Elettra che sta montando, Edipo sarà una commedia.<br />

*<br />

SAPONE A BAYREUTH<br />

Da bamb<strong>in</strong>o sentivo dire gli adulti:<br />

Nei campi di concentramento con gli ebrei<br />

Fanno sapone. Da allora non ho più potuto<br />

Fare amicizia col sapone e detesto l’odore di sapone.<br />

Adesso abito, poiché metto <strong>in</strong> scena il TRISTANO<br />

In un edificio nuovo nel<strong>la</strong> città di Bayreuth.<br />

L’appartamento è pulito come mai ne ho visti<br />

Tutto al suo posto: I coltelli, I cucchiai Le forchette<br />

Le pendole Le padelle I piatti Le tazze Il letto matrimoniale.<br />

La doccia, MADE IN GERMANY, risveglierebbe i morti.<br />

Alle pareti kitsch di fiori e di Alpi.<br />

Qui c’è ord<strong>in</strong>e, anche il verde dietro <strong>la</strong> casa<br />

In ord<strong>in</strong>e, <strong>la</strong> via silenziosa, l’HYPOBANK di fronte.<br />

Quando per <strong>la</strong> prima volta apro <strong>la</strong> f<strong>in</strong>estra: odore di sapone.<br />

La casa il giard<strong>in</strong>o <strong>la</strong> città di Bayreuth sanno di sapone.<br />

per Daniel Barenboim<br />

184


Ora lo so, dico al silenzio<br />

Cosa significa abitare all’<strong>in</strong>ferno e<br />

Non essere morti o assass<strong>in</strong>i. Qui<br />

È nata AUSCHWITZ nell’odor di sapone.<br />

15.8.1992, quando a Bayreuth fu vietata una dimostrazione per Rudolf Hess.<br />

*<br />

MÜLLER ALLO HESSISCHER HOF<br />

Al ristorante dell’albergo l’<strong>in</strong>nocenza dei ricchi<br />

Lo sguardo disteso sul<strong>la</strong> fame del mondo<br />

io casco fra due sedie Il mio sogno<br />

La go<strong>la</strong> rugosa al<strong>la</strong> vedova del tavolo accanto<br />

Tagliar<strong>la</strong> col coltello del cameriere<br />

Che sta tagliando per lei il lombo d’agnello Ma io<br />

Non taglierò nemmeno questa go<strong>la</strong><br />

Per tutta <strong>la</strong> vita non farò mai una cosa del genere<br />

Non sono Gesù Che porta <strong>la</strong> spada Io<br />

Le spade le sogno Sapendo che più a lungo di me<br />

Durerà lo sfruttamento cui partecipo<br />

Più a lungo di me <strong>la</strong> fame che mi nutre<br />

E i poeti lo so mentono troppo<br />

Villon poteva ancora b<strong>la</strong>terare<br />

Contro nobili e clero non aveva né letto né sedia<br />

E conosceva le carceri da dentro<br />

Brecht mandò Ruth Ber<strong>la</strong>u <strong>in</strong> Spagna e scrisse<br />

In Danimarca I FUCILI DELLA SIGNORA CARRAR<br />

Gorkij viaggiando per Mosca su un tiro a due<br />

Odiava <strong>la</strong> povertà PERCHÉ UMILIA Ma perché<br />

solo i poveri Majakovskij si era già ridotto<br />

Al silenzio col revolver<br />

Le menzogne dei poeti sono consunte<br />

Dagli orrori del secolo Agli sportelli del<strong>la</strong> Banca Mondiale<br />

Il sangue seccato odora di trucco freddo<br />

L’orrore del potere è <strong>la</strong> sua cecità<br />

Il barbone che dorme fuori dall’ESSO SNACK & SHOP<br />

Smentisce <strong>la</strong> lirica del<strong>la</strong> rivoluzione<br />

Gli passo davanti <strong>in</strong> taxi Me lo posso permettere<br />

Benn aveva un bel dire Con le sue poesie<br />

Non ha guadagnato un soldo e sarebbe<br />

Crepato senza le ma<strong>la</strong>ttie veneree e del<strong>la</strong> pelle (1)<br />

La notte <strong>in</strong> albergo <strong>la</strong> mia ribalta<br />

Non è più <strong>in</strong> funzione Insensati<br />

Arrivano i testi <strong>la</strong> l<strong>in</strong>gua si rifiuta al B<strong>la</strong>nkvers (2)<br />

Allo specchio vanno <strong>in</strong> pezzi le maschere Non<br />

Un attore che mi accetti il testo Io sono il dramma<br />

MÜLLER LEI NON È UN OGGETTO POETICO<br />

SCRIVA PROSA La mia vergogna ha bisogno del<strong>la</strong> mia poesia<br />

Francoforte, 3.10.1992<br />

(1) Benn era medico specialista di queste ma<strong>la</strong>ttie.<br />

(2) Il B<strong>la</strong>nkvers è il verso del teatro c<strong>la</strong>ssico tedesco, simile al nostro endecasil<strong>la</strong>bo<br />

185


*<br />

TRISTANO 1993<br />

Ieri mio figlio aveva un’aria strana<br />

Una notizia orribile lunga un <strong>in</strong>tero spot<br />

Negli occhi di mio figlio io<br />

Che ho visto troppo ho letto <strong>la</strong> domanda<br />

Compensa ancora il mondo <strong>la</strong> fatica di vivere?<br />

Un istante una notizia orribile<br />

Lungo un <strong>in</strong>tero spot io ero <strong>in</strong> dubbio<br />

Devo augurargli una lunga vita<br />

O per amore una precoce morte<br />

1993<br />

*<br />

IBSEN OVVERO LA MORTE COME E<strong>MB</strong>RIONE ATTRAVERSANDO UNA CITTÀ STRANIERA<br />

Nel<strong>la</strong> mensa del Berl<strong>in</strong>er Ensemble<br />

Che dal<strong>la</strong> caduta del muro si chiama CASINO<br />

Nel teatro dopo Brecht una conversazione su Ibsen<br />

Lento rientro a casa attraverso <strong>la</strong> città straniera<br />

In cui ho vissuto c<strong>in</strong>quant’anni<br />

Ibsen r<strong>in</strong>chiuso nel suo staterello<br />

Con l’esplosivo nel suo cervello troppo gravato<br />

col suo amore proibito E da ogni parte<br />

app<strong>la</strong>udito a morte Che gli <strong>la</strong>scia il tempo<br />

per un’opera tarda con moto ondoso e va<strong>la</strong>nghe<br />

1.12.1994<br />

*<br />

MORTE IN TEATRO<br />

Teatro vuoto. Sul<strong>la</strong> scena muore<br />

Un attore tutto a rego<strong>la</strong> d’arte<br />

Pugnale nel<strong>la</strong> nuca. Si è sfogato l’ardore<br />

In un ultimo a solo, che domanda l’app<strong>la</strong>uso<br />

E niente mani. In un palco, vuoto<br />

Come il teatro, un abito è rimasto.<br />

E <strong>la</strong> seta sussurra ciò che l’attore grida.<br />

La seta si fa rossa e greve l’abito<br />

Del sangue del<strong>la</strong> recita, che fugge nel<strong>la</strong> morte.<br />

Luce dei <strong>la</strong>mpadari che <strong>la</strong> scena sbianca<br />

L’abito ch’è rimasto beve svuota le vene<br />

Al moribondo, simile ancora solo a se stesso<br />

Non più piacere o spavento di cambiare<br />

Il suo sangue una macchia che non torna<br />

9.12.94<br />

per Fritz Marquardt<br />

186


*<br />

SGUARDO ESTRANEO: CONGEDO DA BERLINO<br />

Dal<strong>la</strong> mia cel<strong>la</strong> davanti al foglio vuoto<br />

In testa un dramma per nessun pubblico<br />

Son sordi i v<strong>in</strong>citori muti i v<strong>in</strong>ti<br />

Sguardo straniero su città straniera<br />

Giallogrigie le nubi passano al<strong>la</strong> f<strong>in</strong>estra<br />

Biancogrigi i piccioni cagano su Berl<strong>in</strong>o<br />

14.2.1994<br />

*<br />

APPUNTO 409<br />

Il cielo promette una bel<strong>la</strong> giornata Incom<strong>in</strong>cia<br />

Con <strong>la</strong> lettura del giornale nel bar dell’albergo<br />

Un sopravvissuto descrive un bagno di sangue<br />

GIACEVO SOTTO NEMMENOIOSO QUANTI MORTI<br />

CON LA PAURA CHE UNO FOSSE VIVO E SI AGITASSE<br />

O PRENDESSE A GRIDARE DA SOPRA DI ME SPARAVANO<br />

SU TUTTO CIÒ CHE SI MUOVEVA O MANDAVA UN SUONO<br />

PER FORTUNA ERANO TUTTI MORTI<br />

La fortuna deve fare il passo secondo <strong>la</strong> gamba<br />

Vivere perché tutti sono morti un sogno dell’umanità<br />

Tempo vuoto Un giorno mi getta nel seguente<br />

Axel Manthey (1) è morto Si dovrebbero scrivere commedie<br />

Vivere <strong>in</strong> questa torbida pappa umana<br />

Con idioti felici davanti al video<br />

Stanotte <strong>in</strong> sogno ero Atteone<br />

Sette donne mi davano <strong>la</strong> caccia<br />

Condotte da un’attrice<br />

Per campi e boschi calpestavamo i fiori<br />

Mi davano <strong>la</strong> caccia con un cappio di fil di ferro<br />

Io <strong>in</strong>fastidivo alcuni amici con quesiti<br />

Sul mio nuovo <strong>la</strong>voro SONO IRRITATO<br />

Disse il più cortese Gli altri tacevano<br />

Mia moglie mi chiedeva NE HAI PROPRIO BISOGNO<br />

Gründgens pranza con Gör<strong>in</strong>g cacciatore e collezionista<br />

In cant<strong>in</strong>a <strong>la</strong> polizia segreta<br />

impartisce al comunista Hans Otto lezioni di canto<br />

IO SONO ATTORE NON POPOLO dice Amleto<br />

Quando Laerte attacca con <strong>la</strong> politica Lui da parte sua<br />

Sa come ci si volta e gira<br />

Discorrendo con assass<strong>in</strong>i per amore dell’arte<br />

IO PENSO DI FARE UN LUNGO SONNO<br />

Era l’ultima cosa che da lui si è udita<br />

AMLETOWALLENSTEIN cui gli assass<strong>in</strong>i<br />

Dovettero spezzare le gambe perché <strong>la</strong> bara<br />

Era riuscita troppo corta I nostri Amleti<br />

Nel<strong>la</strong> caverna di P<strong>la</strong>tone Althusser per esempio<br />

Un comunista massaggia sua moglie Da un pezzo<br />

Fa <strong>la</strong> nuca rigida contro <strong>la</strong><br />

Fondamentale scepsi di lui Da un pezzo lui voleva<br />

Dice un graffito sul muro dell’école normale<br />

Essere un manovale<br />

Se il tuo canto non ti aiuta a vivere<br />

Ti aiuta tuttavia a morire<br />

(C. Brentano)<br />

187


O MAMMA MAMMA<br />

COS’HAI FATTO<br />

Oppure Pasol<strong>in</strong>i<br />

DAMMI IL CULO PELOSI IO<br />

VOGLIO IL TUO LURIDO CULO FIGLIO D’ITALIA<br />

PUTTANA DI MARLBORO E COCA COLA<br />

DAMMI IL TUO LURIDO<br />

Nozze di sangue<br />

Con <strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse che porta il futuro<br />

Sulle spalle tatuate dal capitale<br />

L’aurora di una notte La notte<br />

Dell’aurora<br />

Poi Pelosi <strong>in</strong>nesta <strong>la</strong> marcia<br />

E guida l’auto sul proprietario<br />

ADESSO SEI CONGIUNTO PAOLO CON LA TUA ITALIA<br />

Oppure San Mart<strong>in</strong>o spirito dei boschi e gnomo da giard<strong>in</strong>o<br />

In corte brache di cuoio <strong>in</strong> attesa del Führer<br />

… LE SUE SPLENDIDE MANI JASPERS<br />

Nel<strong>la</strong> sua Selva Nera dove Kafka l’ebreo errante<br />

Ha visto il cacciatore Gracco il morto che<br />

Non ha imparato <strong>la</strong> morte il Mastro di Germania (2)<br />

Che si scalda le mani nel sangue delle sue bestie<br />

Comunque lui sapeva San Mart<strong>in</strong>o (3)<br />

Dacché i punti mediani sono andati<br />

Che il suolo è l’abisso <strong>la</strong> vita un salto<br />

Perché Dio è morto i suoi angeli orfani<br />

Non danno più a prestito le ali<br />

Il suo scheletro ruota nel cosmo<br />

Nel bar dell’albergo un ospite ubriaco annoia<br />

Una cameriera che a f<strong>in</strong>e servizio può sedersi al banco<br />

Par<strong>la</strong>ndo del<strong>la</strong> propria moglie morta di cancro<br />

Poi passano a par<strong>la</strong>r di cani<br />

A ME PIACCIONO I CHOWCHOW dice <strong>la</strong> cameriera<br />

PERCHÉ SONO COSÌ PICCOLI PER FAVORE ARRIVA O NO<br />

IL MIO DRINK stril<strong>la</strong> l’ubriaco I HATE DOGS<br />

THEY TOOK MY TIME WHEN I LIVED WITH MY WIFE<br />

AND SHE’s DEAD NOW AND THE DOGS TOOK MY TIME<br />

Ieri ho visto Teorema<br />

IO SONO MORTO PER QUESTA SOCIETÀ<br />

Dice il capitalista stanco sul marciapiede del<strong>la</strong> stazione<br />

Come f<strong>in</strong>irà il mondo se il denaro si stanca<br />

Il ragazzo di strada già si spoglia sul b<strong>in</strong>ario<br />

In mezzo ai viaggiatori diretti nel nul<strong>la</strong><br />

Il mondo è descritto niente più spazio per <strong>la</strong> letteratura<br />

Chi strappa lo sgabello del bar per una bel<strong>la</strong> rima f<strong>in</strong>ale<br />

L’ultima avventura è <strong>la</strong> morte<br />

Io tornerò fuori di me<br />

Un giorno d’ottobre nel<strong>la</strong> pioggia<br />

Baden-Baden, ottobre 1995<br />

(1) Axel Manthey, regista e scenografo tedesco (1945-1995).<br />

(2) Citazione da Fuga del<strong>la</strong> morte (<strong>in</strong> Papavero e memoria, 1952) di P. Ce<strong>la</strong>n.<br />

(3) Allusione a M. Heidegger.<br />

[Testi tratti da He<strong>in</strong>er Müller, Non scriverai più a mano, a cura di Anna Maria Carpi (Libri Scheiwiller, Mi<strong>la</strong>no). Per<br />

gentile concessione]<br />

Notizia.<br />

He<strong>in</strong>er Müller nasce nel 1929 a Eppendorf (Chemnitz) e muore nel 1995 nel<strong>la</strong> Berl<strong>in</strong>o unificata. È il<br />

maggior autore di teatro del<strong>la</strong> Germania Democratica, rappresentato sulle scene <strong>in</strong>ternazionali con<br />

drammi sul presente e il passato tedesco, <strong>la</strong> Rivoluzione russa e l’antichità c<strong>la</strong>ssica. Müller si muove sulle<br />

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orme del teatro didattico di Brecht (dal ‘70 al ‘76 dirige il Berl<strong>in</strong>er Ensemble), ma <strong>la</strong> sua è una<br />

«pedagogia per mezzo del terrore» che non rifiuta d’identificarsi col male e coi crim<strong>in</strong>ali. Nessuna<br />

bonomia, bensì il piacere del<strong>la</strong> catastrofe e una da lui stesso sottol<strong>in</strong>eata parente<strong>la</strong> con le opere figurative<br />

di Goya.<br />

Vasta ma meno nota <strong>la</strong> sua produzione poetica. Non scriverai più a mano è una scelta dovuta a Durs<br />

Grünbe<strong>in</strong>. Müller, avversano del comunismo come del capitalismo e durissimo stoico, nel<strong>la</strong> sua aggressiva<br />

disperazione riempie <strong>la</strong> scena di morti e di umani che nel<strong>la</strong> loro cecità se <strong>la</strong> spassano credendosi vivi. Ma<br />

affronta anche il tema del<strong>la</strong> poesia ovvero dello scrivere - salvezza e a un tempo impossibilità e fuga<br />

verso il silenzio.<br />

189


[ … ]<br />

L’UOMO DI ASSE – Tutto ciò che vive è perfetto.<br />

IL BA<strong>MB</strong>INO SCARPICO – Allo stadio di vuoto, l’uomo segue l’uomo, ci si accanisce sopra. L’uomo ripete<br />

l’uomo… Qui ho trovato riposo.<br />

GIAN VISAGERIO – Che si scacc<strong>in</strong>o tutti dal mondo!<br />

GIAN D’ALTRUI – Formate una parata ! È <strong>qui</strong> che ormai si vede solo lo Stadio di Vita senza nessuno.<br />

GIAN DI VITTIZIO – Tutto ciò che è vuoto è perfetto.<br />

EFISO – Qui f<strong>in</strong>isce il dramma del<strong>la</strong> vita.<br />

ANTERNO – Qui f<strong>in</strong>isce il dramma del<strong>la</strong> vita.<br />

VALÈRE – Il dramma del<strong>la</strong> vita è accaduto.<br />

Entra Adamo.<br />

IL CANTORE – Adamo, entra ! Di’ i nomi di coloro che ti hanno preceduto !<br />

ADAMO – Algone, Longhis, Settimo, Nordico, Bocca, Giondé, Lo Sciarmatore Luiggi Bogère, Laruota,<br />

Sapor Beante, I Genitrati, Efiso Tagan, Raccomandatore, L’Antico Pa<strong>la</strong>brese, Ritmale, Il Bamb<strong>in</strong>o Zucreto,<br />

Funzione di Verga, Galt<strong>in</strong>o, Vangetto, Il Professore che Porta, Gedeone, Albi Recton, Sermone Femnico, I<br />

Bamb<strong>in</strong>i Parietali, Rameau, Il Coro, Azione Comica, L’Uno, Lanciere Scopico, Circo<strong>la</strong>zione del Crim,<br />

L’Uomo con <strong>la</strong> Visagéria, I Lottatori dei Pantaloni Due, Angone, Damone, An-Firmiziano, Traveggolo,<br />

Bardante, Eruzione, Lantiero, La Terza, Lubé, Buco Vocabo<strong>la</strong>re, Virò, Pantone Piumato, Razza,<br />

Gestulòd<strong>in</strong>o, Gabé Landù, Regulàt, Solet, Il Bamb<strong>in</strong>o Ignazio, Oncia e Lombetta, Pontracco, Gemilebeth,<br />

Il Professor Delumidàt, Il Bamb<strong>in</strong>o Perito, Selumidone, Chandul, Lulùt, Corbet, L’Inglese, Rabone Tugìt,<br />

Pantone Plumide, Irgo, Gianfranco, L’Uomo di Saporneol, Buffet, Piano del Virale, L’Uomo di Stal<strong>in</strong>gra, La<br />

Saponarda, Leo Buco, L’Uomo di Bomba, L’Uomo di Dunlop, L’Uomo di Ghiotone, L’Uomo di Qu<strong>in</strong>té,<br />

Charmante Lodone, Virgoleone, Giovanni il Bardro, Il Vendicatore Bod<strong>in</strong>iano, Il Suo Tronco Tubico,<br />

L’Uomo di Valzer, Gisel<strong>la</strong> Obré, L’Uomo di Bòd, L’Uomo di Prima, Bombra, San V<strong>in</strong>cenzo Campione,<br />

L’Uomo di Gari, Sapoleone il Gas, Uzdac, La Porzione Generò, Gian Pippoleone, San Leone del Gas, Gian<br />

Polito, San Bianco Scabbiano, San Biondo Scabbiano, Sapoleone il Tipo, L’Uomo di Vir, Sapolo, Losapi,<br />

Maciuria, L’Uomo di Virpol, Sazione, Generazione, Il Bamb<strong>in</strong>o Sutura, Il Ladro di Suono, L’Uomo di Polizia,<br />

L’Uomo di Braccio, Il Maresciallo Petàlo, I Fratelli Passò, Il Bamb<strong>in</strong>o Saputo, I Fratelli Passa-Passa, Il<br />

Bamb<strong>in</strong>o Taciuto, L’Uomo di Gemito, Centrone S<strong>in</strong>gulto, Il Bamb<strong>in</strong>o Zittito, Tuya, L’Uomo di Grazia,<br />

L’Uomo con <strong>la</strong> Tèt Blu, L’Uomo con <strong>la</strong> Tèt Bionda, L’Uomo con i Seni, Il Maresciallo di Grazia, Lacrima,<br />

L’Uomo di Fronte, Il Giovane di Carne, Il Dottor Medicante, Gian dei Suoni, L’Assass<strong>in</strong>o Eblé, Taglia,<br />

Nacton, Patrizio Enrico, L’Assassono, Il Generale Provento, Il Generale del Tempo, Il Costeggiatore<br />

Bocardi, L’Uccisore di Verità, Il Piantatore Tubale, Papuzio, Bondrone, L’Uomo di Prepù, Il Chirurgo del<br />

Mondo, Pugna, Olix, L’Entrato, Gian Quando, Gian Tibò, Dottor Tubante, L’Uomo di Me<strong>la</strong>done, Paul<br />

Neomondo, Paul Leontù, Il Vecchio di Carne, Tubale Datté, Tibale Lumé, Regulone il Giovane, Il Giovane<br />

Tibardo, Me<strong>la</strong>done il Giovane, Il Suo Cane Scafario, Ca<strong>in</strong>o del Tubo, Tubale Ba<strong>la</strong>, Il Suo Vecchio Scafeto,<br />

L’Ambone Piumide, Leone Bo<strong>la</strong>nte, Il Cane Medicamento, Poleo, Madama Vigé, L’Altro, Uf, Volet, Il<br />

Mondo, Lupìco, Il Cane Ultro, Pontalissone, Sermone Muto, Il Ventrilogo, Sermone Femm<strong>in</strong>é,<br />

Montalissone, L’Uomo di Murda, L’Uomo di Pontaschiuma, La Salvatrice, Porco Cosciottone, L’Uomo di<br />

Mordica, Il Giovane Bamb<strong>in</strong>o, L’Operaio Satalico, Gian di Niente, Il Professor Geo, L’Uomo di Vettante, Il<br />

Professor Sàncubo, L’Uomo di Gemante, Tuffone, Gian Cadà, Il Bamb<strong>in</strong>o Troncone, Il Doganiere Nizione,<br />

Il Bamb<strong>in</strong>o Rego<strong>la</strong>re, L’Uomo di V, Il Doganiere Vivente, Il Doganiere Dolone, Il Doganiere D’Azione, Il<br />

Doganiere Sembiante, Il Doganiere Rubèrt, Il Doganiere Francé, Il Doganiere Passatore, Il Doganiere dei<br />

Bianchi, Il Doganiere Luca, Il Doganiere Bamb<strong>in</strong>o, Il Doganiere Lumitra, Il Doganiere Soldato, Il<br />

Doganiere Algon, La Savatrice, Madama di To, L’Uomo Sudita, Goldamen, La Dama di Tomba, Il Padre<br />

Didentro, Il Grande Ponzone Savatore, Madama Calòn, Buco Salvatore, Porzione Profondo, Buco<br />

dell’Amen, L’Uomo di Amen, L’Uomo delle Azioni, L’Uomo di Han, Il Carnatore Salvaté, Pandermator,<br />

L’Uomo di Funzione, Carnedermatrice, L’Uomo di Nomblone, Làmbrido, Gesùs, Il Chirurgo del Suono,<br />

L’Attore di Mirba, L’Attore di Cada, Lapalisse, Il Dottor P<strong>in</strong>nacolo, Il Sognatore Milipòt, Marciambolàr,<br />

Dunlop, Charmante Blodone, Vittorio, Buco Periente, Gian Respirante, Lo Spirito delle Materie, Il Bianco,<br />

L’Uomo di Mi<strong>la</strong>no, Il Dottor Màt, L’Uomo di Metà, Gian di Lebé, Reso, La Donna di Lebé, L’Uomo di Boda,<br />

L’Uomo-Maxa, Ponta<strong>la</strong>mbò, Il Dottor Medico, Il Veter<strong>in</strong>o Medicante, Il Cantore di Vodré, Vignolo, Molosso,<br />

Medardo, Simone, La Madre di Lepanto, Il Bamb<strong>in</strong>o Scap<strong>in</strong>o, Senso, Segmond, Gian Leone Bianco, Il<br />

Mostratore Omnibas, Melo, Sutur, Satun, Merulo, Il Bamb<strong>in</strong>o di Natura, Vodré, Omigene, Venere, L’Uomo<br />

190


di Spa, Il Bamb<strong>in</strong>o di Germizione, Gian d’Isifone, Doc Meridone, Il Suo Cane Pistò, Le Quadriglie, Gian<br />

Dio, La Quadriglia di Giudra, La Quadruglia di Sciabolé, L’Uomo-Maxon, Il Baller<strong>in</strong>o Genitone, Il Baller<strong>in</strong>o<br />

Melodio, Il Baller<strong>in</strong>o Danzante, Il Baller<strong>in</strong>o Serapione, Separdo, Spandro, Lubé, Enitra, Scardalubé,<br />

L’Uomo di On, Il Baller<strong>in</strong>o Monocorde, Il Bamb<strong>in</strong>o di Pantalone Gioia, Il Baller<strong>in</strong>o Saltico, Il Baller<strong>in</strong>o<br />

Uragano, Il Baller<strong>in</strong>o Fisico, Il Baller<strong>in</strong>o di Quaggiù, Il Baller<strong>in</strong>o Catapulta, Il Baller<strong>in</strong>o Levante, Il Baller<strong>in</strong>o<br />

Persistente, Gian Sansone, Il Baller<strong>in</strong>o Fisso, Il Baller<strong>in</strong>o Chirurgico, Il Tenore Nuca, Il Tenore Musetto,<br />

L’Alberghiera di C<strong>la</strong>petto, Il Buco di Vivo, L’Infermiere Gigliò, L’Infermiere Lub<strong>in</strong>o, Il Baller<strong>in</strong>o del Mondo,<br />

Il Baller<strong>in</strong>o Senza Suono, Il Baller<strong>in</strong>o Muscolus, Il Baller<strong>in</strong>o di Suono, L’Infermiere Rettore, L’Infermiere<br />

Lubico, L’Uomo di Maculèt, Il Baller<strong>in</strong>o Vivente, Il Baller<strong>in</strong>o Sembiante, L’Infermiere Tassone, L’Uomo di<br />

Urmul, Il Chirurgo Vivente, L’Infermiere Ragazzo, Il Chirurgo delle Vite, Il Chirurgo Muscolus, La Madre di<br />

Sansone, Il Chirurgo Sembiante, Il Chirurgo Longì, L’Infermere Lucieb, L’Infermiere Bianco, Il Dottor<br />

Ploncia, L’Uomo di Lungo, L’Infermiere Damante, L’Infermiere Longhé, L’Infermiere Ur<strong>la</strong>nte, L’Infermiere<br />

Carnaio, Il Dottore d’Azione, L’Infermiere Nudione, L’Infermiere Tubale, L’Infermiere Par<strong>la</strong>nte, Buco di<br />

Speranza, Funzione Vidèl, L’Infermiere del Vuoto, L’Infermiere dell’Alto, Il Chirurgo del Crim<strong>in</strong>e, Porzione<br />

Qu<strong>in</strong>té, Vuoto, Lo Stato, Dottor Meru<strong>la</strong>, Dottor Natte, L’Uomo di Nessuno, Il Dottore del Crim<strong>in</strong>e,<br />

Boccardo, Il Dottore di Cloc, L’Ompido di Pattura, L’Uomo di Pontamo<strong>la</strong>rdo, San Giovanni delle Carni, Il<br />

Bamb<strong>in</strong>o Torcico, Gian L’Incud<strong>in</strong>atore, La Genitud<strong>in</strong>e, Signor Pasqua, Il Bamb<strong>in</strong>o di Genitud<strong>in</strong>e, L’Uomo di<br />

Ac, Il Cane Ultrone, La Germitud<strong>in</strong>e, Il Dottor Generé, L’Uomo di Sappia, L’Uomo di Scienza, L’Uomo di<br />

Macaberio, Il Mangiatore Lambié, Il Mangiatore Algon, Il Mangiatore Purna, Il Mangiatore Anthon, L’Uomo<br />

di Calcigliote, Il S<strong>in</strong>daco di Gandolfo, Il S<strong>in</strong>daco d’Altromondo, Giovanni l’Onnivoro, L’Uomo di Zebedea,<br />

L’Uomo di Crucifone, Gian delle Carni, L’Uomo di F<strong>in</strong>e, Il Mangiatore Adamo, Abisselech, Giovanni il<br />

G<strong>in</strong>iandro, Autone, Vardone, La Donna di Sappia, Il Dottor Massacro, Il Cane Umedente, Sapoleore,<br />

Monte Suppliziano, L’Uomo di Appello, L’Uomo Perpetuo, Tiballe, Napoleone Cazziere, L’Uomo di Tiode, I<br />

Deputati Razionali, Il Bamb<strong>in</strong>o Superiore, Il Monte Feciale e Simpliciano, Cervello Maggiore, Il Mondé, Il<br />

Monte Valle, L’Uomo del Mondo, Sapor Leporeone, Il Muro, Uspé, L’Uomo di Nitan, L’Ingegnere del<br />

Genere, L’Uomo di Bamblona, Veneratrice, Fogna, Delcottò, Il Ventre, L’Uomo di Santùb, L’Uomo di Lentì,<br />

Wanda<strong>la</strong> Maciulé, L’Uomo Videone, L’Uomo Cubico, L’Uomo di Udon, Il Curante Patta, L’Uomo di Tasca, La<br />

Merlìade, L’Operato, L’Uomo di Mildon, Gian Genandrone, Il Curante Autocultore, Androne, André, Il<br />

Ragazzo, La L<strong>in</strong>gua del Mondo, Il Cane Blodone, L’Azione, Lacrimone, Il Mercier, L’Uomo Ciabattato,<br />

Piantito, San Giovanni Bùfolo, Sonda, Carnu, Il Rettore Par<strong>la</strong>to, Il Rettore di Verità, Gian Gemiandrone,<br />

Gian Geniandrone, L’Uomo di Eva, L’Autocrate, Il Motociclista Tomba, Il Motociclista Lutì, L’Uomo di Vivo,<br />

Il Campione Automatico, L’Autista d’Ambu<strong>la</strong>nze d’Azione, L’Uomo che Passa, Leondro, Giunchetto il<br />

Grasso, L’Uomo di Ur, Cret<strong>in</strong>o, L’Uomo di Pazzo, L’Attore del Mondo, Il Professor Presidente, Il Suo<br />

Bestiaglione, Deo, Il Concerto Logico, Il Nano Homnus, Il Patt<strong>in</strong>atore Muscolus, Il Concerto Bogico, La<br />

Donna di Verga, Gian Negativo, Il Tenore Duca, Gian Vocassum, Il Patt<strong>in</strong>atore Muscoloso, L’Alberghiera di<br />

Trotté, Il Sarmione, Schwyz, Il Dottor Poté, Il Tenore Musicista, Potà, San Giovanni Landrone, Il Buco di<br />

Roma, Lo Scavatore di Shwi, Il Chiodo, Il Vivo, L’Uomo Buco, La Donna di Cadré, Il Bamb<strong>in</strong>o di Parole,<br />

L’Attore Musetto, L’Attore Inerte, L’Attore Lombardiere, Il Suo Rettangolon, Il Suo Regolon, Il S<strong>in</strong>daco<br />

dell’Ospedale dei Ghiotti, Il S<strong>in</strong>daco dell’Ospedale Retto, Il Bamb<strong>in</strong>o Lunub, Severatrice, Il Bamb<strong>in</strong>o di<br />

Meldive, Fante del Lod<strong>in</strong>o, Melchicedrone, Fanzone Femnica, L’Uomo di Cubo, Il Dottore del Cielo, Il<br />

Chirurgo di Zeda, La Carne, Il Dottore di Terra, Il Cane Cannone, Il Bamb<strong>in</strong>o Ossone, Il Chirurgo del<br />

Cielo, L’Anima, L’Uomo di Massacro, Gian Vuloziano, Il Capitano Buono, Il Dermatore André, L’Uomo di<br />

Fossa, Gian Ventura, Il Portatore Generì, Gian Colombo, Il Suo Ragazzo, Il Venerante, L’Anima di Carne,<br />

Il Chirurgo di Vita, Sordo, Stregone, Dagol<strong>in</strong>o, Dragol<strong>in</strong>o, La Femm<strong>in</strong>ide, Rapezzo Carnato, Il Suo<br />

Bascul<strong>in</strong>o, L’Uomo Maschile, L’Uomo di Vita, Il Cumulo, Il Lottatore, L’Abate Bum, Porzione, Il Membro,<br />

Ricòn, Compar Potardo, Membruto, Madiano, Il Morto di Carne, L’Exidon, Lapus, Il Dottor Bucò, Madama<br />

Bocca, Gefte, Sansone Lubico, Uomo Cret<strong>in</strong>i, L’Oblà, Seresta, L’Uomo di Scampanìo, L’Uomo di Protà, Il<br />

Bamb<strong>in</strong>o Sperma, L’Uomo di Stuffa, L’Uomo di Mirimondo, L’Uomo di Angume, l’Uomo di Tubo, L’Uomo di<br />

Scromondo, L’Uomo di Obré, L’Uomo di Sì, L’Uomo di Barcani, L’Uomo di Altromondo, L’Uomo di Isipo,<br />

L’Uomo di Gaban, L’Uomo di Londra, L’Uomo di No, Pompiera, le Due Orifesse, Le Orifesse Lompide, Le<br />

Orifesse Leopordo, Sichem, Exit, Amalec, Ombetta, Colomb<strong>in</strong>o, Il Dottor Trifé, Colombetta, Patron<br />

Unzione, Il Portatore di Fondo, Sansone Porié, L’Algon, Il Dottor Scafante, Tomba del<strong>la</strong> Salvezza, Il Dottor<br />

Turié, Ermenonde, Amedeo Boschetti, L’Altissimo, Il Doganiere Dogan, L’Ereditiere Doghignòn, Banca,<br />

Venitvé, Il baller<strong>in</strong>o Clysto, Buco Vocass<strong>in</strong>o, Il Piccolo Uomo, Ludus, Chudul, L’Uomo, Il cane di Bonderia,<br />

Picardy, Regulon, Lupido, L’Uomo di Ludro, L’Uomo di Materia, Mambron Sandré, Doghignan, L’Uomo di<br />

Bron, L’Uomo di Musciòn,<br />

Il Bamb<strong>in</strong>o Motore, Udro, Mondrone Sadré, Lappata Inchiavata, L’Uomo di Dove, L’Amboleone Borscé,<br />

L’Operaio del Mondo, Il Troncone Verniciaio, L’Amboleone del Potardo, Il Baller<strong>in</strong>o Clistorio, L’Uomo di<br />

Potaria, Il Musicista del Basso, Il Bamb<strong>in</strong>o Amniato, Il Dottor Turbante, Il Musicista del Ballo, Il Baller<strong>in</strong>o<br />

Trupico, Lambero Dublico, Il Mago di Carne, Il Mostro dell’Ospedale Logico, Mondul, Giadé, Il Dottore<br />

delle Materie, Il Pianetico, L’Uomo di Sette, Il Dottor Perpetrale, L’Uomo Amniò, L’Autista di Ambu<strong>la</strong>nze<br />

Giamblico, Il Bamb<strong>in</strong>o Valère, L’Uomo di Millimondo, La Terra di Terra, Il Giocoliere Rudùl, Lo Spadacc<strong>in</strong>o<br />

Mercico, L’Elefantaro Vero, Lo Strango<strong>la</strong>tore Vero, Vocazziere, Il Tetrazziere Vero, Il Vapore Ricardone, Il<br />

Bamb<strong>in</strong>o di Albone, Il Tettazziere Sarcobé, Il Tettazziere Ubliquo, Il Resto, Il Sarcofaro Roberto, La<br />

Tetrazziera, Gian Menebro, Il Sarcofago di Cacarne, Alessi, L’Operaio di Niente, Vertebra, L’Uomo di<br />

191


Resto, Il Sarcofago di U<strong>la</strong>n, Il Lu<strong>in</strong>zone Carnico, Ulò, Ardone, Il Fortunatore Masculètt, L’Uomo di Larcà,<br />

Ocumentario, La Sua Gestrice, Urs, Tronco Pollicione, Tronco Sarcofico, Melèd, Il Bamb<strong>in</strong>o Vivente,<br />

L’Uomo di Tempo, Doc Mercé, Doc Sarcofa, Il Professor Bicò, Il Professor Leggendre, Doc Motté, Doc<br />

Capretto, Lunico, L’Uomo di Motore, L’Angelo delle Materie, L’Uomo di Gotaria, Lo Stappatore, L’Attore<br />

Denutrizione, Comaragione, Il Pr<strong>in</strong>cipe di Odeon, L’Uomo del Rex, Humus, Lumnube, Lunieb, Il Piccolo<br />

Polé Capretto, Il Piccolo Polé Carissa, Deone, Il Dottore dell’Ospedale Barile, Il Bamb<strong>in</strong>o di Verità, Censor,<br />

Regolo, Lupidone, Podario, Gian Bodré, Il Professor Api, Il Bamb<strong>in</strong>o Muscoloso, Geone, Lunizione, Il<br />

Bamb<strong>in</strong>o Passato, Gian Caduto, Il Bamb<strong>in</strong>o Separato, L’Uomo di Cacaos, L’Uomo Pantalone, Potario,<br />

Ombardo, L’Uomo Zebedeo, Il Dottor Sebo, Il Nelson, Il Soggetto, Il Nexto, Il Morse, Pistol<strong>in</strong>o, Luberdo,<br />

Venetrio, Il Professor Ilposto, Nitone, Nicolè, Il Dottor Fic<strong>in</strong>o, Il Dottor Formidoblerone, Il Dottor N<strong>in</strong>zione,<br />

San Giovanni Lapeto, San Paolo Geone, Il Professor Mozà, Giapiero, Mambiero, Ira, Cancron Albon,<br />

Dottor Albon, Gian dell’Altissimo, Il Generale di Diope, L’Uomo di Zebrato, Il Corridore di Hop, Il Corridore<br />

Mancato, Il Bamb<strong>in</strong>o Sordo, Il Vecchio Cifratore, Il Bamb<strong>in</strong>o senza L<strong>in</strong>gue, Il Professor Vizion, Il Bamb<strong>in</strong>o<br />

Imbecille, Il Bamb<strong>in</strong>o senza Vita, L’Uomo di Marcabio, L’Uomo di Metron, Gli Uom<strong>in</strong>i di Adamo, Adamo<br />

Primo, Gian degli Spiriti, Il Bamb<strong>in</strong>o Scopico, Adamo Ultrone, L’Attore Pilotiere, Il Generale di Dado,<br />

Adamo Secondo, Adamo Ultimo, Gambaro Sacrifètt, L’Uomo di Rumore, Doc Sapolì, Sapor Largon, Sargor<br />

Laton, L’Uomo di Largito, Sapor Mental, Il Bamb<strong>in</strong>o E<strong>la</strong>rgito, Il Bamb<strong>in</strong>o Motorizzato, L’Uomo fatto di<br />

Carne, Porzone Giambico, L’Uomo di Dritta, Lobo, La Menetriera Sarbacata, Ol<strong>in</strong>fo, Antuffo, Portiere,<br />

Lobato, Ansa, Snet, Tartufo, Sebaceo, Ordale, Aton, Crassio, Cratone, Dantilo, Pontone, Gallo, Il<br />

Campione Porc<strong>in</strong>o, Carlus Portaggio, Funzione Francese, Mac Norton, Alessi Grüss, Patrizio Grüss, L’Uomo<br />

dai Pantaloni Fieri, Gypsy, L’Uomo dai Pantaloni Bu, Il Suo Trapassato, La Voce dell’André, Gigog<strong>in</strong>i,<br />

L’Uomo di Lambi, Voce d’Animale, Lobot, Gian del<strong>la</strong> F<strong>in</strong>e, Berie, Gigo<strong>la</strong>zione, Fattore Azione, Vice<br />

Capitano, Hom<strong>in</strong>ibus, Il Leopane, Buco Biondo, Rambe, Giondré, Siordo, Sora, Piccione, Porcar<strong>in</strong>o,<br />

Giandussa, Grande Sezamiere, L’Autista di Ambu<strong>la</strong>nze Santone, L’Uomo dai Pantaloni Morti, La<br />

Generalessa Sapolé, Michele di Scienza, L’Uomo del Mascu<strong>la</strong>zziere, I Proletari di Vendetta, L’Uomo di<br />

Limassa, Gli Altri, San F<strong>in</strong><strong>la</strong>ndaro, San Burduluzio, San Giangiacomo Viton, San Portaleo, San Giovanni<br />

del<strong>la</strong> Carne, L’Uomo col Buco, I Membri del<strong>la</strong> Fabbrica Culemana, L’Uomo-a-cui-non-è-successo-Niente, Il<br />

Doc di Doc di Doc di Biogio, L’Ortiglia del<strong>la</strong> Sobré Verbica, La Quadriglia di Cortigo, La Quadriglia di<br />

Sobré, La Quadriglia di Gonna, <strong>la</strong> Quadriglia di Alfando, Il Merziano Venandré, L’Ecarrniziano Merziano, Il<br />

Dottor Merce, Quadriglia Huje de Sobre, Doc Mercier, Il Bab<strong>in</strong>o di Carne, Plitone, La Cadulta Alimentere,<br />

Fantrone Moschico, Il Professor Picchetto, Il Cane Cal<strong>in</strong>ò, Porzione dello Chef, Ulmann, Carne, Pontagra,<br />

Sapor, Ostia, Valère, Dottor Scap<strong>in</strong>o, Dottor Tamié, La Giondra a Scavall<strong>in</strong>e, L’André di Ruscelletta, Buco<br />

Vocalico, Onbuco, L’Autista di Ambu<strong>la</strong>nze, Buco del Vocale, Onbuco da Masculemani, Barnetta, La Balena,<br />

Il Bamb<strong>in</strong>o Sezeo, Il Deputato Sus<strong>in</strong>o di Rigò, Cantr<strong>in</strong>o, Ord’l, Salto, Cornetto, L’Uomo di Ponta<strong>la</strong>mb<strong>in</strong>o,<br />

Gian Membretto, Sapol<strong>in</strong>o, L’Uomo di Saporleolimassa, Bandrù, L’Uomo di Pontagra, Bomberra, L’Uomo<br />

dell’Ostia, Bandra, Landrubio, Sapor Landré, Omnibus, Gian Disastr<strong>in</strong>a, Gli Uom<strong>in</strong>i del<strong>la</strong> Squadra Logica,<br />

Penetrale di Scienza, Il Giovane di Bombiera, Il Giovane di Scienza, Dottor Masticaferro, Dottor Culemani,<br />

Formu<strong>la</strong>tore André, Gian Buco Verbiere, San Metronomo, San Bianco Scarpìa, L’Uomo di Maclumerda, Il<br />

Dottor Legista, Il Bamb<strong>in</strong>o Capitano, Il Doc di Biòg, San Sabone, Il Doc di Biògg, San Scudetto,<br />

L’Ontogeno, Sapoleone, Gianni il Gas, L’Uomo di Proté, Sansone G<strong>la</strong>pì, Laborbledone, Papus Locone, Buco<br />

d’Uf, Tibardo, Uomo Sapolì, Ca<strong>in</strong>o del Figlio, Uomo Venereo, Monte di Vienna, Buco di Vienna,<br />

L’Infermiere Turbante, Nombirra, L’Uomo di Massimògeno, Il Buco Gnam, Vignolo, Pi<strong>la</strong>stro, Serm<strong>in</strong>ero,<br />

L’Uomo di Latr<strong>in</strong>a, L’A<strong>qui</strong><strong>la</strong> di Pontamuscione, L’A<strong>qui</strong><strong>la</strong> di Biògg, Buco Hut<strong>in</strong>, Nordil<strong>in</strong>o<strong>qui</strong>o, Ambius,<br />

Giro<strong>la</strong>mo Carena, Verg<strong>in</strong>e con Sapolètt, Charmante Glodon, Petrulo, Petrone, Peridonio, L’Uomo di<br />

Suripò, Il Sextupede, Omberdo di Ebron, Il Settomane, L’Incordeo Boccardo, Il Rettore Bocardì, Scafario,<br />

Trufema, Homo Automaticus, Hautomaticus, Omo Onomaticus, Lactante, Trufico, Milone, L’Uomo di<br />

Dolosà, Il Dottore Ostruito, Il Dottore di Verità, Il Cane Mutante, Blodone, Il Rettore Umano, L’Uomo del<br />

Bod<strong>in</strong>iano, Dal<strong>la</strong>, Anton, Uzadenti, Doc Divorasson, Il Germe, Gian Bocardì, L’Uomo di Shatù, Il Capitano<br />

di Bo, Gian Carne, Madama Cadà, Tìode, Fecciale, Panta<strong>la</strong>carro, Polimiero, Sapor M<strong>in</strong>chio, L’Uomo di<br />

Nicepse, Il Gas, L’Uomo di Defunto, Dottor Sacrìm, Doc Melodòn, Dottor Mercùl Elefantaro, Maciulé,<br />

Santùb, Maciùl, L’Intero, L’Uomo Maciulé, Àspero, Braghetta, Me<strong>la</strong>ndrone, Nepton, Il Cicloptero, Corona,<br />

Il Sordo, Dragol<strong>in</strong>i, Il Chirurgo di Carne, Ludùl, Raciùl, L’Àmbulo di Pantura, Unus, Lunub, Scivolé, Gian<br />

Cadavere, Il Portatore Geneziano, Il Portatore Generato, L’Uomo Commestibile, Il Tetanista, Muorimondo,<br />

Mialloggé, Il Dottor Albuco, Il Dottor Altrui, Tio, Pontardo, Il Bamb<strong>in</strong>o di Tio, L’Uomo di Bozone, Doc<br />

Merziano, Carné, Gotario, Umno, Il Censore Lupidone, L’Attore Trimestre, Punto Capissò, Fantòlo,<br />

Zebedeo, Gian Geone, L’Uomo Sapoleo, Sapor Trippone, San Giovanni Matié, Necara Bobisciona, <strong>la</strong><br />

Pilotara, Uri, La Scanderb<strong>la</strong>de, Il Dottor Profondo, Viletta, L’Uomo di Valvor<strong>in</strong>a, Buco Iambato, C<strong>la</strong>dé<br />

Burone, Ada Kunz, Emma Djucke, Filippò, L’Androne Avanti, Il Morto, Aciùl, Dottor Lodone, L’Uomo di<br />

Carne, Bombiera, Sapor Leo, L’Uomo col Porco, Il Bamb<strong>in</strong>o Aciù, Campione Tubico, Il Rettore Biondo,<br />

L’Uomo di Sfortuna, Il Rettore Unùl, L’Animale Salico, Il Dottor Masticafèt, L’Uomo Venandréo, L’Uomo<br />

Venereo, Morilungo, Me<strong>la</strong>done, Il Gendarme Medicamento, Me<strong>la</strong>ndro, E<strong>la</strong>ndrone, L’Animale Venereo,<br />

Sapor Glodon, Il Suo Germe, Canal M<strong>in</strong>chieo, Masticaferro, Dottor Trup<strong>in</strong>o, L’Uomo di T, Rad<strong>la</strong>b<strong>la</strong>done,<br />

Dottor Scafario, L’Uomo di Settomòne, L’Uomo di Utron, L’Uomo di Simplon, L’Uomo di Donna, L’Uomo di<br />

Settòmane, Il Baller<strong>in</strong>o Bocardì, Il Baller<strong>in</strong>o Boccassone, Il Dottor Masticachiappe, Corridore Androne,<br />

Homo Sapoleone, Homo Automoblone, Campione Androne, Homo Lodone, Campione Sapoleone, Lui,<br />

192


Sapoleone Calcico, L’Ufficiale Nord, Gli Inventori, Il Notaio di Grazia, L’Ufficiale Sud, Il Giustiziato Buffé,<br />

Velox, L’Uomo di Gnam, Panta<strong>la</strong>damo, Il Vettore Cabrato, Gian Durafù, Galuth, L<strong>in</strong>an, Il Cacciatore<br />

Strangolone, Il Baller<strong>in</strong>o Anaton, Il Lanciatore Semnico, L’Uomo delle L<strong>in</strong>gue, Ermaglodone, Il Bamb<strong>in</strong>o<br />

Par<strong>la</strong>to, L’Ebeterio Charlet, Il Dottore di Carne, Ugé, Mo<strong>la</strong>b, Il Vivaridiere Roberto, Il Manovratore<br />

Stronz<strong>in</strong>o, Il Cic<strong>la</strong>ndrone, L’Operaio del Mondo, L<strong>in</strong>dice, L’Uomo dei Lembi, Il Giocoliere Splendido, Tronco<br />

Caputt<strong>in</strong>o, Il Ciclonista, Macalberto, Il Bamb<strong>in</strong>o di Defunto, L’Uomo di Macch<strong>in</strong>a, Il Bamb<strong>in</strong>o Verico,<br />

L’Uomo di Tromba<strong>la</strong>mbi, L’Uomo di Uno, Il Venandré, L’Uomo di Nudo, L’Uomo di Nitron, Amnius, Giandé,<br />

Esecuzione, Pantalone Crespo, Tronco del Vocale, Il Porco, L’Uomo di Germe, Sargone Tamié, Rambussa,<br />

Vociferiato, Dalto, Il Bubro, Il Bamb<strong>in</strong>o Ontogeno, Santone, Corpo Senatone, Giardone,Il Melodiaro, Il<br />

Melodiaro Fusarca, Il Costante Melodiaro, Gianni il Membro, Gian Verìfico, Gian Cadetto, Il Fottaro Loré, Il<br />

Fottaro Bamb<strong>in</strong>o, Il Passatore Bianco, L’Uomo col Passamontagna, La Bandera, Gendermazione, L’Uomo<br />

di Dogana, Il Ma<strong>la</strong>to Mentare, L’Uomo di Métru<strong>la</strong>, L’Uomo di Manifattura, L’Uomo di Obré, Stérulo, Il<br />

Manufattore, Lanzio, Céfiso, L’Uomo di Sferidon, Il Manufattore Sperone, Ritò l’Abate, Buco Vocifé,<br />

L’Uomo non-nato, Gian Vocé, L’Uomo di Vuoto, L’Uomo di Veridà, L’Altro Socé, Andruà, Laglone, L’Uomo<br />

di Distorno, Il Bamb<strong>in</strong>o non-nato di una Carne, Santiero Lutr<strong>in</strong>o, Buco Ri<strong>formato</strong>, Il Bamb<strong>in</strong>o Didentro, Il<br />

Bamb<strong>in</strong>o di Ut, Tubone Femnico, L’Uomo di Narcò, L’Uomo di Sì-Faccia, Buco Separato, Biandrone, Il<br />

Bamb<strong>in</strong>o Recton, Vòrico, Venandrone, L’Uomo di Massa, L’Uomo di Nassa, Ronzone, Ur<strong>la</strong>mbo, Il Bamb<strong>in</strong>o<br />

Di Fronte, Largone, L’Uomo di Nascita, Speciele, Lu<strong>la</strong>mbo, Ni<strong>la</strong>stro, Femm<strong>in</strong>iere, L’Operaio del Dramma,<br />

L’Uomo di Utica, Il Bamb<strong>in</strong>o di Utica, San Giovanni delle Membra, San Giovanni che Fa, L’Uomo di<br />

Ménebra, Francesco dei Galli, Buco Lupidato, Tor Lupidone, Gian Vedusse, L’Uomo di Maximortale, La<br />

Donna di Maclumiera, Gian Suo Cadavere, Francesco delle Facce, Azione Mortale, Gian Centurione, Il<br />

Caporale Delgrano, <strong>la</strong> Donna di Nombàra, Bombante, Gian Suo Curiale, L’Uomo Affamato, La Donna di<br />

Lepò, L’Uomo Obliquo, Fante di Espero, L’Uomo Ambiente, Gian Landiùs, Varone, Le Due Infermiere,<br />

L’Uomo Logico, Il Vocìfero, Il Tabaccaro Gibboso, Gian Sembiante,<br />

Arbio, Larbio, Gianni Uscito, Potardo Agost<strong>in</strong>i, L’Uomo di Gioia nei Buchi, La Donna delle Materie, Il Dottor<br />

Generì, Il Bamb<strong>in</strong>o Animale, Il Dottor Genizé, Il Bamb<strong>in</strong>o Ragazzo, L’Uomo di Sotto, L’Attore Brutto,<br />

Melùdo, L’Attore Sanatòn, I Due Oriferi, Gian Reputé, Gian Brontolé, Il Bamb<strong>in</strong>o Genatiziano, Il Dottor<br />

Fleùl, Il Narratore, Il Doganiere Sospetto, Il Bamb<strong>in</strong>o Geriatrico, Il Capo dei Rivoltici, Il Bamb<strong>in</strong>o Miocùb,<br />

L’Uomo di Val<strong>la</strong>ta, Generale Milogé, La Persona Stravaccata, L’Onomico, Gian Sultante, L’Uomo di<br />

Giudrea, Il Bamb<strong>in</strong>o Frisone, Buco Sarcastaro, Il Bamb<strong>in</strong>o Obliquo, Il Bamb<strong>in</strong>o Narratore, L’Uomo nei<br />

Pantaloni Sacco, La Donna del Rettore Bod<strong>in</strong>iano, La Donna del Rettore Carniano, Udre, Il Bamb<strong>in</strong>o del<br />

Rettore Umano, Fantiere Lubico, Il Numero, Stagione, Lorìno, Il Bamb<strong>in</strong>o Sonoro, L’Attore di Troppo,<br />

L’Uomo di Turacciolo, L’Asorsata Caffré, La Donna di Legno, L’Uomo di Cane, Gian Tèbèl, L’Uomo delle<br />

Mosche, Il Capitale de Dré, Gian di Sfiga, Il Bamb<strong>in</strong>o Pontasso, Il Soffiatore Reagionario, Il Soffiatore<br />

Reà, Il Seguace di Verità, L’Infirma Obliquo, L’Infirma Capissone, L’Uomo dei Mari, L’Uomo di Murlé, Il<br />

Bamb<strong>in</strong>o Repubblicano, Il Dottor Catapulta, Il Bamb<strong>in</strong>o Ciulé, L’Essere di Lambiere, L’Essere di Vora,<br />

L’Essere di Turgione, L’Essere di Narcasso, L’Essere di Tripano, Gian Lombrìde, La Donna dell’Oblà,<br />

Ruttico, La Vivandiera Lepò, Catone a Piume, Il Vivìttero Charlet, Gli Esseriumani, La Vivictera Làmbride,<br />

Modanatura, Sòdon, L’Uomo delle Mani, Il Vivisterio Loré, San Giovanni dei Mondi, L’Essere di Lento, Il<br />

Motociclista Nero, Gian Mondiusso, L’Omocrate, L’Uomo di Perfetto, Gian Geandro, L’Uomo Scartato,<br />

L’Infermiere Cantante, L’Infermiere Deòl, L’Automocrate, L’Infermiere Bello, Gian Cantante, L’Uomo col<br />

Vestito di Carta, Gian Sociale, L’Uomo dal Vestito Secco, Il Pedone, Il Vedovo Logé, Il Dotto Ap, La<br />

Vedova Logé, Il Dottor Medicamento, La Vedova Ultro, La Doloressa di Albano, La Doloressa Làmbride, La<br />

Doloressa di Uzès, La Doloressa delle L<strong>in</strong>gue, L’Uomo Anfibico, Il Dottore di Fondo, Il Cane Urlò, Gian<br />

Dolore, Gian Cervello, Il Ma<strong>la</strong>to Morto, L’Uomo di Urlò, L’Uomo di Quadro, L’Uomo di Acton, Buco<br />

M<strong>in</strong>accere, I<strong>la</strong>stro, Amberio, Curèl, Cilimo, Cotera, Gian Col<strong>in</strong>o, Il Suo Motociclista Perfetto, L’Uomo di<br />

Ombroso, La Donna di Carnassa, L’Uomo del Tribunale di Vita, La Donna dell’Uomo di Carnassa, Il Suono<br />

d’Altrui, I Bamb<strong>in</strong>i del Dottore del Ponte, Gian Buco Ficèl, L’Uomo Simpliciano, Gian Melodiere, I Bamb<strong>in</strong>i<br />

del Dottore di Pompa, Il Dottor Melosso, Il Sospiratore Vero, I Bamb<strong>in</strong>i di Melodia, Il Ma<strong>la</strong>to Crucifone, Il<br />

Dottor Gambista, Il Dottore delle Vite, Il Dottore Anestesiano, L’Anima di Vérica, L’Anima di Forza, La<br />

Doloressa d’Azione, Il Chirurgo Urgente, L’Uomo di Logica, Il Rittore Scapone, Gian Sambiano, Gli Uom<strong>in</strong>i<br />

di Scapor-Tissò, Civiletto, Lurduzzo, Montagné, L’Uomo di Mascialàm, L’Angista, Il Dottor Urtiò, Il<br />

Bamb<strong>in</strong>o Bubié, L’Uomo di Ambrona, L’Uomo di Arbente, L’Uomo di Bel<strong>la</strong>guardia, L’Uomo di Bellignà,<br />

L’Uomo di Borgo, L’Uomo di Brenòd, L’Uomo di Cerdone, L’Uomo di Amberieu, L’Uomo di Aranco, L’Uomo<br />

di Bagé, l’Uomo di Belley, L’Uomo di Bettante, L’Uomo di Bregnier-Cordone, L’Uomo di Campo, L’Uomo di<br />

Ceyzerat, L’Uomo di Castiglione, L’Uomo di Gagliardo, L’Uomo di Campodoro, L’Uomo di Sciampagna,<br />

L’Uomo di Scia<strong>la</strong>monte, L’Uomo di Giassèns, L’Uomo di Gex, L’Uomo di Dortano, L’Uomo di Divonna,<br />

L’Uomo di Culò, L’Uomo di Collonge, L’Uomo di Colignì, L’Uomo di Scezerì, L’Uomo di Sciaveyrià, L’Uomo<br />

di Masticaferro, L’Uomo di Onimiano, Il Sospiratore Pang<strong>la</strong>, Il Sospiratore Vero, Il Sospiratore Reo, Il<br />

Sospiratore Langlois, Regolone, Ludergò, Upidò, Il Bamb<strong>in</strong>o Campione Meccarnico, Il Bamb<strong>in</strong>o Olimpo,<br />

L’Uomo del Tetanerdaio, Il Bamb<strong>in</strong>o del Buco del Genere, Il Bamb<strong>in</strong>o Rego<strong>la</strong>tore, Il Bamb<strong>in</strong>o del Limbo, Il<br />

Cantante Masculetto, Il Bamb<strong>in</strong>o del<strong>la</strong> Testa, L’Ottavio Sospiranio, Il Bamb<strong>in</strong>o dei Terdi, Giadalba,<br />

Nur<strong>la</strong>mba, Lombussa, Ottardo-Toché, Giabulone, Gian Polifante, Il Bornocrate, La Zuppiera di Viviere,<br />

Gian Protestante, Norilico, Ramni, P<strong>la</strong>t<strong>in</strong>o, Nimolle, Brancàsc, Il Furegolo Saliziano, L’Amnante Medico,<br />

L’Ombiera Salica, Il Virofago, Il Sermiolo, L’Autofago, Gian Deòl, L’Uomo di Liandrone, Poncio e<br />

193


Lambiano, L’Ontropiofago, L’Uomo di Legno, Il Mangiatore di Scene, L’Uomo di Luti, Gian Umano, L’Uomo<br />

di Dentale, Il Mangiatore di Icipiti, L’Uomo di Sale, L’Um<strong>in</strong>iano, Pontògeno, Il Lanciatore Femm<strong>in</strong>ile, Gian<br />

Leandro, Gian Tomba Vivente, L’Uomo dal Buco di Fronte, Gian di Sotto, L’Amnante di Deòl, L’Amnante<br />

Salico, Il Sospiratore Viviere, Il Sospiratore Rettante, Il Sospiratore Antuffo, L’Amnante delle Tombe, Il<br />

Bamb<strong>in</strong>o di Fuori, Il Bamb<strong>in</strong>o di Dentro, L’Androne Femnico, Gian di Traversie, Il Bamb<strong>in</strong>o Semnico, Gian<br />

d’Urgenza, L’Attore Retico, L’Uomo di Sale Bianco, L’Attore di Adamo, Ondrù, Femniere, L’Uomo di Che,<br />

Gian Stimu<strong>la</strong>to, L’Attore dell’Uomo, Gian l’Ambriano, Algazèl, Il Campione delle Bestie, Dorsé, Ilippi, Il<br />

Campione del Buco d’Assi, Il Campione del Buco di Sotto, Gian Bianco, Naciurio, Scoduto, Scotario,<br />

L’Uomo di Bragone, Gianni Ilfalso, L’Uomo di Dio, Il Ma<strong>la</strong>to Bianco, Gian Necromate, Il Dottor Trupiano,<br />

Sapor Lotone, Sapor Antifo, Il Ma<strong>la</strong>to Coso, L’Uomo dal Buco Forte, Andone, Ipado, L’Uomo di Penùltico,<br />

Il Suo Cane delle Piste, Il Sarcofriero Landese, Melosso, Lughé, Buco dei Puniani, L’Uomo di Pontedunlop,<br />

Gian d’Arte, L’Uomo di Scromene, Il Lanciatore Scopico, Gian dei Cieli, Gian Venusiano, Gian Ven<strong>in</strong>dré, Il<br />

Lottatore Scopico, L’Uomo di Scabbiano, L’Uomo di Buco <strong>in</strong> Mezzo, Fandulodista, L’Uomo di Nero Gas,<br />

Fantugiambò, L’Essere di Mitano, La Donna di Mitano, Il Logista, Il Bamb<strong>in</strong>o Respirante, Il Suo Soccio,<br />

L’Uomo dal Vecchio Lupo, Il Bamb<strong>in</strong>o Serrmiano, Gian dei Ludi, L’Uomo di Me, Omnon Operaico, Omnon<br />

Omon, Il Bamb<strong>in</strong>o Scafario, L’Uomo di Croce, Gian Respirato, L’Uomo di Nero Gente, Pontià, Bordò,<br />

Vuotura, Gomero, Dunkerque, Landra, L’Uomo di Rennes, Gian L<strong>in</strong>cud<strong>in</strong>e, L’Uomo di Avignone, Il<br />

Professor Tre-Quarti, La Madre delle Materie, I Ma<strong>la</strong>ti d’Azione, Gian delle Carni, Il Suono delle Azioni, Il<br />

Musicista degli Atti, Il Suo Sembiante, Il Musicista delle Azioni, Quelli delle Luci, L’Uomo di Maciuria,<br />

L’Uomo di Oggetto, Il Dottor Licet, Gian di Lompido, Il Dottor Oblé, Il Bamb<strong>in</strong>o di Distruzione, Le Genti<br />

del Tempo, La Donna di Maclumerda, L’Uomo di Lo<strong>qui</strong>or, L’Animale del Tempo, Gan d’Ecatombe, L’Uomo<br />

dal Buco che Perde, L’Uomo dal Buco che Penetra, L’Uomo di Coc<strong>qui</strong>ò, La Madre dei Mati, Il Bamb<strong>in</strong>o di<br />

Sotto, L’Uomo delle Materie, Me<strong>la</strong>ndr<strong>in</strong>a, Il Giupitone Suppliziano, Il Bamb<strong>in</strong>o del Cervello, Gian di Qui, Il<br />

Dottor Scabiano, Il Vecchio Asper, La Donna di Là, Anter, Il Bamb<strong>in</strong>o Moribondo, Il Naturiere di Ulbano,<br />

L’Uomo di Sezal<strong>in</strong>da, Il Fabbro Voide, L’Uomo di Gerusea, Il Fabbro Guadrì, Tianna d’Azione, L’Uomo di<br />

Ca<strong>in</strong>o, L’Uomo di Gianni, Il Chirurgo Bello, Muxione, Axo, Nitra, Vittizia, Gian di Vivo, L’Uomo di Musica,<br />

Millione, L’Ingegnere Budé, Ada, Il Chirurgo Scopico, Gian Verificante, Gian delle Maschere, L’Uomo di<br />

Adamo, Il Sarcofriero Semnico, Gian del Buco di Fronte, Paolo d’Omissione, L’Amberio Muovico, Gian<br />

d’Animale, Il Sezamiere Caduco, Gianni Semnico, L’Uomo di Forca, Il Vivaridiere Lub<strong>in</strong>o, La Donna di<br />

Forca, Gian delle Assi, Il Chirurgo Femnico, Il Bamb<strong>in</strong>o di Deòl, Il Bamb<strong>in</strong>o di Strangolone, Urbano,<br />

L’Uomo du Gerùb, Il Vivaridiere Semnico, Il Macel<strong>la</strong>io Tallone, L’Incordone Porcé, L’Uomo di Nu<strong>la</strong>no, Il<br />

Canto, Rambiero, Man<strong>in</strong>o, L’Operaio Vivente, Gian Visagero, Gian d’Altrui, Gian di Vittizio, L’Uomo di<br />

Asse, Il Bamb<strong>in</strong>o Erculio, Il Bamb<strong>in</strong>o Scarpico, Efiso, Anterna, L’Uomo di Algon, L’Uomo di Labbiano, Il<br />

Bamb<strong>in</strong>o Longìs, Il Dottor Pugno, L’Uccisore Vero, Gian Scal<strong>in</strong>andro, L’Uomo dai Suoni, Il Cantore,<br />

Scotario, Calops, Marbaco, Urcieb, Gian Geòl, Paolo d’Albone, L’Uomo di Verassa, Gian Separato, L’Uomo<br />

di Strangolù, Generù, Urnan, Lumnambo, Cigilizio, Orecchio, Lidamo, Ergileo, Dablàn-Vuscìtt, Gian<br />

Senz’Uomo, Egloglidone, Harpimio, Crudòtt, L’Uomo di Isifone, Urnale, Il Vetrificatore Bod<strong>in</strong>ètt,<br />

L’Amboleone Calcico, Verone, Boché, Piràtt, Albòtt, Gian Biondo, L’Uomo di Uriano, Dorètt, Crepìno,<br />

Fant<strong>in</strong>a, Soplàtt, Talgòtt, Gian Passato, R<strong>in</strong>one, Fresni, Àzico, Lagò, Gian Vivente, L’Uomo di Ventricolo,<br />

Lorima, Tadione, Fajord, Ravàna, Ecordeone Carni, Encordeone Orom<strong>in</strong>i, L’Uomo dal Buco Fatto,<br />

Sciamòrd, Entìf, Clesòn, Raghé, C<strong>la</strong>ssiòtt, Tagiònc, Crim<strong>in</strong>èl, Ottardo, Nevìtt, Ramon, Lusètt, Cudò,<br />

Potario, B<strong>la</strong>rètt, Salsima, Vitione, Labione, Vermètt, Sciardò, Urdìtt, Lagionc, Rapone, Itàl, Or<strong>in</strong>a,<br />

Palmòtt, Damètt, Tesseròn, Terba, Giano, Tropmann, Andòtt, L’Uomo di Nato, Gli Uom<strong>in</strong>i di Nettono,<br />

L’Uomo di Golfiera, Gian di Carne Vuota, Gioché, C<strong>la</strong>mi, Radò, Rudé, Angume, Viràn, Gaby, Uzon, Gian<br />

Morente, Pane Bulimico, I Bamb<strong>in</strong>i Spaventapasseri, Galbus, Moscòn, Lupòn, Guang<strong>la</strong>, Potario Regolidon,<br />

Il Fendardo Bulimico, Sciaùl, Tuzìtt, Erda, Mugione, Labio, Gramé, Ghedrì, Bescé, Lagètt, Giunchiglia,<br />

L<strong>in</strong>glese, Gallone, L’Uomo dal Moncher<strong>in</strong>o Rettogeno, Sagètt, Alba, Lalàm, Argìtt, Generon, Fragòtt,<br />

Tergiverlù, Gradut, Abet, Tote, Maduligione, Nilope, Actile, Gentìtt, Giubé, Marte, Dabere, Farèl, Luigi G,<br />

Fabùtt, Bucòtt, Orima, Spadone, Piumiere, Il Bamb<strong>in</strong>o Armato, L’Uomo di Gi, L’Infermiera Turbanta, San<br />

Saberio, Marmoledone, Gian Ripò, Vigètt il Bianco, Scardana<strong>la</strong>ibon, Busciòtt e Brunòtt, Vetrata, La<br />

Saponarda di Ripòtt, Torre e Membrètt, Sant’Edmondo Vorag<strong>in</strong>e, L’Uomo di Numerètt, Merdalisiori<br />

Membrètt-Ponò, Pasquètt, Tronco, Bomba, Il Bamb<strong>in</strong>o di Più Niente, Varètt, Darancia, Giamìtt, Rafe,<br />

Sansone, Goge, Verbigedone, L’Uomo di Verbigedone, Il Dottore di Luce, Màrmolo, Sciarmante<br />

Pedico<strong>la</strong>re, Pantarleoguardo, Actil, Niceps, Aremia, Glilite, Pondassa, Nilite, Dattiverton, Mamùl, Gad<strong>in</strong>o,<br />

Abiagio, Dottor Mamario, Fante Scardablone, Micta, Ragazzo, Bartag<strong>la</strong>g<strong>in</strong>e, Nad<strong>in</strong>o, Pietro Goldano,<br />

Aghìtt, Vibralutore, Azzeraggio, Fognàss, Gabiasimo, Giad<strong>in</strong>o, Il Camm<strong>in</strong>atore Lancré, Adramifero, Il Suo<br />

Camm<strong>in</strong>atore Sapien, Trapanissò, Lettripone,<br />

Cortalitone, Saporigeno, Guardàtt, Urètt, Glitone, Alb, Il Bamb<strong>in</strong>o Cadavere, Il Bamb<strong>in</strong>o Senza Dolore,<br />

L’Uomo di Sapien, Il Bamb<strong>in</strong>o Bianco, Giandò, Abèr, P<strong>in</strong>ochet, Il Pr<strong>in</strong>cipale Tanone, Il Professor Uri, Il<br />

Professor Reggente, Dottor Mercier, Ma<strong>la</strong>to Dargiàtt, Maggior Cervello, Luigi R, Ro<strong>la</strong>ndo En<strong>in</strong>o, Paolo<br />

Lorissò, Penultro, Il Bamb<strong>in</strong>o Portatore di Corpi, Il Dottore Sordo, L’Infermiere Stregone, Lucto, Ilo, Il<br />

Romanziere Gambista, Il Romanziere Tallone, Reuf, L’Attore delle L<strong>in</strong>gue, Il Piccolo Sciabo<strong>la</strong>to, L’Uomo di<br />

Masculièb, La Chirurga di Vita, <strong>la</strong> Chirurga di Dado, Lucieb, L’Animale Labio, Antore, Latorre, Il Dottor<br />

Mar<strong>in</strong>o, Silipo, Aporifugo, Suciòrd, Glutro, Hardy, Lucione, Il Versatore Acatenico, Castagn, Snione, Piòtt,<br />

Doc Elefante, Doc Santubo, Tactò, Fi, Aglon, Giaglot, Bricàsc, Cortaligò, Vapuna, Orifuga, Glitò, Aji,<br />

194


Ghigliò, Ripo, Terc<strong>in</strong>a, Antuma, Canussa, Sparaglitone, Enoc, Cratilo, Contro-Giga, Malbotto, Gravone,<br />

Forghìt, Irq, Il Bamb<strong>in</strong>o Scardablone, L’Uomo di Terra, La Donna di Gambista, Gli Uom<strong>in</strong>i di Ecatombe,<br />

Anta<strong>la</strong>cardo, Orbiere, Morbi, L’Uomo di Azzeratore, L’Animale Generato, Il Dottore di Biog, Andrea T,<br />

Luciano T, Figura, Lang<strong>in</strong>o, Vo<strong>la</strong>nte, Titone, Il Bamb<strong>in</strong>o Ca<strong>in</strong>o, La Petiera Sciamorc<strong>in</strong>o, Il Dec<strong>la</strong>matore<br />

Urbano, Boggetto, Il Bamb<strong>in</strong>o del Buco di Verità, Obst<strong>in</strong>us, Elidano, Il Deputato Haghìtt, Coccal<strong>in</strong>o,<br />

Bestsabeo, Hotame, Sabordo, Siòtt, Oripe, Licta, Tactìl, Gestrice Lucerna, Gestrice Soppisa, Convitato<br />

Metronomo, Convitato Diapason, Convitato Corsa, Convitato Arcampo, Convitato Nasconde, Convitato<br />

Lucché, Adramelec, Convitato Dury, Convitato Nassa, Convitato Musetto, Il Bamb<strong>in</strong>o Deficiente, Il<br />

Bamb<strong>in</strong>o di Vivace, Il Bamb<strong>in</strong>o di Leone, L’Ingegnere Peribile, L’Ingegnere, Mantendone, C<strong>la</strong>mo di Albone,<br />

L’Ingegnere Armando, Il Dottor Perpetuo, Azzeratore Chabord, Generale Potame, Il Bamb<strong>in</strong>o Kaputt, Il<br />

Bamb<strong>in</strong>o Eccellente, Paolo di Uf, Uzòn, Retulo, Trigabus, Capel<strong>la</strong>, Rectore, Severo, Gurba, Tangh<strong>in</strong>o,<br />

Pat<strong>in</strong>o, Acrimate, Onomato, Angiù, Ansimiel, Samael, Piva, Solone, Jayet-Burone, Stivale, Piede, Mano,<br />

Sponx, Zefiro, Seleptat, Frisa, Ghiacciaia, Tristre, Cedrone, Vetro, Gigal, Piano, Gisellus, Labano,<br />

Convitato Osm<strong>in</strong>o, Convitato Pam<strong>in</strong>o, Convitato Elica, Il Dottore, L’Uomo Oggetto, L’Ingegnere Me<strong>la</strong>done,<br />

Il Bamb<strong>in</strong>o Porschico, Il Sociètt, Il Rettore Bocardi, Cantedro, Darma, Melectonico, Sandro, Melec, Mel, Il<br />

Bamb<strong>in</strong>o Si Salvi Chi Depuò, Il Secondo Sociètt, Terzo Sociètt, Quarto Sociètt, Gli Uom<strong>in</strong>i di Legno, Il<br />

Bab<strong>in</strong>o di Carne, Il Bamb<strong>in</strong>o di Lucieb, Ursce, Piaga, Piagul, Baccano, L’Uomo di Sotto, L’Uomo all’Albero<br />

Maestro, Vedova Luce, Vedova P<strong>in</strong>o, Tipo Vistosso, Il Bamb<strong>in</strong>o Comunicante, L’Uomo col Carro,<br />

Azzeratore, Il Pa<strong>la</strong>braro, L’Uomo di Colonna, Gli Om<strong>in</strong>iani, L’Uomo a Statua, I Bamb<strong>in</strong>i di Quaggiù,<br />

L’Uomo di Pezzo, Il Bamb<strong>in</strong>o Vergico, <strong>la</strong> Madre dell’Uomo Bianco, Griot-Culletta, Casché-Vetrif, Capo di<br />

Cuor, Il Babòt di Dorètt, Parasole, Flupiòtt, Tubata, Krapone, Batrassé, Doc Med, Il Generato, Doc Medìc,<br />

Funambo, Scardal<strong>in</strong>azio, Canzone Porc<strong>in</strong>o, Coccarda, Buco <strong>la</strong> Ciampa, Oro del Baccano, Troncone<br />

Vergico, Pezzone Gambico, G<strong>la</strong>dy’s M<strong>in</strong>or, Sargone Loròtt, Cuidètt Licenziato, Orogi, Lobòtt Amnato,<br />

Luisa, Ada Djucke, L’Uomo di Imbessa, Il Dottor Retata, Il Dottor Riflesso, Il Dottor Porcodié, Il Dottor<br />

Tudor, Riva e Sublètt, L’Uomo di Vagìr, Il Dottore dei Membri, L’Uomo di Mondiàtt, Il Dottore degli Spiriti,<br />

L’Uomo di Carnassa, L’Uomo di Ponce, Gian Fraseggio, Gli Oratori Costumati, Gian Vag<strong>in</strong>a, L’Uomo di<br />

P<strong>in</strong>o, <strong>la</strong> Pilotessa L<strong>in</strong>dùr, Il Tubo, Il Dottor Filièl, L’Uomo delle Materie, Desiderato Luti, Madama<br />

Superficie, I Due Elisei Luti, Lovar<strong>in</strong>us, Francesco D, Crucifero, L’Uomo di Crucifero, Vonone, Impugno,<br />

Tallone, Emeri, Gli Ex del Collegio di Vendetta, L’Ombopitrico, Il Bamb<strong>in</strong>o Tubo, L’Uomo Capitano,<br />

Milogio, Il Venadrico, Il Manutenziario di Saigon, Desiderato Hut<strong>in</strong>, L’Ontrobopitano, L’Uomo dal Colletto<br />

Blu, Il Sì-Gallo, Il Bastoniere di Limù, Iletta, L’Operato Rodé, I<strong>la</strong>rio, Il Dottor Mozzèr Uzzèr, Il<br />

Vetrificatore, L’Opitano Narc<strong>in</strong>ale di Bue, Gian Ravag<strong>in</strong>a, Doloreo, Gian Leandrone, L’Uomo di Bicipite,<br />

Palpebra, I Ma<strong>la</strong>ti Viventi, Il Dottor Nicolodromo, Il Dottor Arimateo, San Giovanni del Tempo, Il Dottore<br />

del Giorno, Il Dottor di Notte, La Stimo<strong>la</strong>ta, Bianduca, Zona di Foresta, Gian delle L<strong>in</strong>gue, Ponzone<br />

Trùfico, Pistoleo, Vasé, Il Ma<strong>la</strong>to del Suono, L’Attore di Luce, Gian Serapione, Razza Sacatt<strong>in</strong>a,<br />

Rambaghiott<strong>in</strong>o, Il Ma<strong>la</strong>to del Tempo, Il Bamb<strong>in</strong>o del Ventasso, I Bamb<strong>in</strong>i Om<strong>in</strong>id<strong>in</strong>i, I Bamb<strong>in</strong>i Um<strong>in</strong>ir<strong>in</strong>i,<br />

I Bamb<strong>in</strong>i Un<strong>in</strong><strong>in</strong>i, I Bamb<strong>in</strong>i Ol<strong>in</strong>ir<strong>in</strong>i, I Bamb<strong>in</strong>i Om<strong>in</strong>ir<strong>in</strong>i, I Bamb<strong>in</strong>i Un<strong>in</strong><strong>in</strong><strong>in</strong><strong>in</strong>i, I Bamb<strong>in</strong>i Om<strong>in</strong><strong>in</strong>i, I<br />

Bamb<strong>in</strong>i Um<strong>in</strong><strong>in</strong>i, I Bamb<strong>in</strong>i Onir<strong>in</strong>i, I Bamb<strong>in</strong>i Ul<strong>in</strong><strong>in</strong>i, I Bamb<strong>in</strong>i Un<strong>in</strong>i, I Bamb<strong>in</strong>i Ur<strong>in</strong><strong>in</strong>i, L’Uomo di Notte,<br />

Cana<strong>la</strong>ssa, L’Uomo di Porzione, L’Uomo di Sapètt, Massimo, Il Matematicaro, Bio, Metodo, Gian <strong>la</strong> Carne,<br />

Il Bamb<strong>in</strong>o Polito, Il Capitano dei Tubi, L’Adolescente Charlet, Gian Venandrone, L’Uomo dello Stadio, Il<br />

Suonatore di Ut, Il Bamb<strong>in</strong>o di Bombassa, L’Uomo di Ponte Serm<strong>in</strong>iero, L’Arbitro di Vittoria, L’Uomo<br />

Salico, Il Bamb<strong>in</strong>o Automovente, Tolozàtt, Il Bamb<strong>in</strong>o Automatico, Gambiera, L’Inf<strong>la</strong>nte di Bombassa,<br />

L’Inf<strong>la</strong>nte di Turètt, L’Infante di Vittoria, L’Infante di Conturbante, Il Corpo del Farmacista Bollò,<br />

L’Infermiere Incud<strong>in</strong>atore, Doctìl, Ghiottò, Il Professor Massimale di Giò, L’Uomo delle Ceneri, Il<br />

Professore di Digiuno, L’Uomo Omnato, L’Uomo del Cielo, L’Uomo di Coso, L’Uomo di Polvere, Tibaldo, Il<br />

Capitele de Dré, La Piuma, Il Bamb<strong>in</strong>o Onnivoro, Lacrimòtt, Lo Zolfo, Il Dimenticoso Dorètt, Il<br />

Dimenticoso del Mondo, Carnàtt, Il Peggio, Generato, L’Autoscopio, Il Doctat, L’Ambride di Panturio, Il<br />

Bamb<strong>in</strong>o delle Ceneri, Il Dato, Dongalupòn, Voracico, Gran Sciabo<strong>la</strong>tore, L’Ambiera di Galizia, Ferrassone,<br />

La Donna di Lambride, Il Bamb<strong>in</strong>o Omnico, Rangetto, Tattone, Il Moribondo Vivaribondo, Il Leofante<br />

Pitròtt, L’Arbitro di Disfatta, Lo Scavatore Adamo, Il Filosofo del Tempo, Il Filosofo di Azione, Gian<br />

Politropo, Lo Scavatore Leone, Il Fortunatore Camion, L’Om<strong>in</strong>o di Terra, Il Forzatore Funambòl, Il<br />

Poliziotto Scopico, Il Viol<strong>in</strong>ista, Panto <strong>la</strong> Piùm, L’Asi<strong>la</strong>rio Capullo, L’Asi<strong>la</strong>rio Ecarnico, L’Attore Ruth e Lub<strong>in</strong>,<br />

L’Evocassone Mercico, L’Ebeterio Carletto, Il Suono, Gian Grande Medicale, Il Piccolo Medicale, Gian<br />

Soggetto, L’Ebeterio Dottasso, Manètt, Sardone, Gian Santo Spirito, Cane Visaggiato, Gian P<strong>in</strong>o, La<br />

Menebriera Stendu<strong>la</strong>, Gian Serafico, Il Bamb<strong>in</strong>o del Salvatore, Capor Sebone, Il Lottatore Fantocc<strong>in</strong>o,<br />

Fregol<strong>in</strong>o, Spacch<strong>in</strong>a Lupata, Landèr Carlé, Il Bamb<strong>in</strong>o Lucieb, Il Bamb<strong>in</strong>o di Cortaggio, Nordié M<strong>in</strong>or,<br />

L’Uomo di Luca, Nordié Major, Il Dottore delle Mani, La Madre Senatiera, Gian Sap<strong>in</strong>o, Fregoletti,<br />

Onomaticus, Hasmùs, Pantal<strong>in</strong>a, Onc<strong>in</strong>a, Lanube, Il Vecchio Raossètt dello Spermatore, Pantone, Il<br />

Batracere Comuniale, Tago Loisé, Ditrave, U<strong>la</strong>mbe, Uzèd, Latr<strong>in</strong>o, Ditrone, Azzeratore Beante, Capo<br />

d’Agro, Tuzzone, L’Abbondanziere, Lantiere Fisone, Sognètt, Razza Venetriera, La Bova, Putrone, Il<br />

Senatiere, L<strong>in</strong>cubo, Il Suo Gendarme, Spermiere l’Avolo, Pollicione, Sebone Scopico, Pollicio, Corpo<br />

Senatiere, Il Sistematicista Chiuso, Dottor Geàl, Charmante Qu<strong>in</strong>té, Sebone, Cortaggio, Valigione,<br />

Giunzione Matica, Germano <strong>la</strong> Bracca, Gian Spermaggere, Gèt Cadavére, La Torcia, Fancul Ricté,<br />

L’Abbondanzi, Lu<strong>in</strong>zone Scopico, Semenò Figli, Mendaro, Manièr, L’Infermiere Olpante, Anguone del<br />

Franco, Funzione Fatica, Il Bacilliato, Organo, Il Menebriero Stendulo, Sandù Victé, Giunto Cadaverètt,<br />

195


Fant Lucieb, Angolo Samalié, La Sua Capitale a Canussètt, Il Suo Bìf, Bìf de Capìtt, Il Bamb<strong>in</strong>o di Carne,<br />

Collo, Lubbòno, Sarcofriere, Venestriere, Il Bamb<strong>in</strong>o dello Spermatore, La Menedr<strong>in</strong>a Sarbacca, Il<br />

Vivaridiere Sard<strong>in</strong>o, Salpetriere Uliando, Vergico, Menestriere Cacarne, Funzione Vocazza, Il Ragaç,<br />

Dorvalle, Il Bamb<strong>in</strong>o Differente, Gian Trupp<strong>in</strong>o, Gian Calcico, Gianni I Galli, Gian Ciclone, Gian Senza<br />

Niente, Il Ciclista, Gianni Senza Dio, Il Bamb<strong>in</strong>o Anatomico, La Femm<strong>in</strong>a di Sfortuna, Il Baller<strong>in</strong>o degli<br />

Spiriti, Francesco Sorti, Carne del<strong>la</strong> Salvezza, Gian La Grand<strong>in</strong>e, Gian Differente, Il Suo Colonnello<br />

Fradicio, Gian Gli Spiriti, Il Bamb<strong>in</strong>o Commestibile, Il Corridore di Buco, L’Uomo Senza Voce, Gianni<br />

Ultimo, L’Olberto Fessura, Fessura Suzòn, Colle da Tracciare, Formante del Carne, Il Mostruato Sadùr, Il<br />

Mostriato Entòm, L’Alunno Bianco, Il Mostruato Cadùl, Il Rettore Venerale, Il Venedr<strong>in</strong>o, L’Istitutore<br />

Spirito, Trono del Salpetriere, Campione Comico, Campione Meccanico, B<strong>la</strong>ir, Capullo, Rasciùz, Sempite,<br />

Delchìn, Borgàm, Bortito, F<strong>in</strong>gante Labètt, Lobato Bucodi, Serpol, Conzione Cam<strong>in</strong>a, Phisone Ragazz<strong>in</strong>a,<br />

Dangetto, Raynaud, Salvia, Rettante, I Mitroni, Gamba Duoleziera, Cancratrice, L’Attore del Morto,<br />

Giahàm, Dalebàs, Calmy, Frasson, Lucrezio, I P<strong>la</strong>ny’s, Ruscelletta, Il Ciaparé Carnoso, Cortigo, Sobretto,<br />

Il Cortigo Putré, Il Sobretto Putré, Il Deòl, L’Ambone Fottico, Mestruato Mandrù, La Stil<strong>la</strong>, Upsus,<br />

L’Olimpo, Mestruato Dandrù, Sapor Luciano, L’Aspirante Ard<strong>in</strong>o, Prete Ard<strong>in</strong>o, Sottopiffero Barlé,<br />

Gioffr<strong>in</strong>o, Mondusso, Giuttàmi, Giacallo Dacré, Saponza, Leonza Gigol<strong>in</strong>i, Generalessa Frisona, Sapor<br />

Giratone, I Due Membri, Gian delle Scene, L’Attore Porcar<strong>in</strong>o, L’Attore Porschico, L’Operaio di Vendetta, Il<br />

Ma<strong>la</strong>to delle Scene, L’Uomo di Sìcìpiti, L’Uomo di Poco, L’Uomo di Bissa, L’Uomo di Massimandro, L’Uomo<br />

di Scena, Pondo, Tronco Geòmitra, L’Attore di Sìggiù, Il Suo Buon Fattor<strong>in</strong>o, L’Uomo di Urgenza, L’Uomo<br />

di Valvàtt, L’Uomo di Musco<strong>la</strong>ssiere, L’Uomo di Urna, L’Uomo di Giust<strong>in</strong>iere, L’Uomo di Urn<strong>in</strong>o, L’Uomo di<br />

Dorcètt, L’Uomo di Sciampagnòtt, L’Uomo di Sciamorc<strong>in</strong>a, Il Ma<strong>la</strong>to Bulim<strong>in</strong>ale, Il Dottor Ulèr-Adlèr,<br />

L’Operaio del Cielo, Tagàno, Il Vecchio Cornetto con Ragazza, Il Vecchio Cornetto con Luiggé, Collidò,<br />

Generale Schiuma, Il Pa<strong>la</strong>braro Ribacco, La Grande Aria di Sansone, Il Meccanico Salvia, Sapor Ant<strong>in</strong>o,<br />

Sapor Risoletto, Cucitura, Porzione di Cane, Generalessa Frisona, Samporna Saldé, Sebo Capitale, Le<br />

Labbra del Generasso Gad<strong>in</strong>o, Sursone<br />

Riandetto, Rotolé Sardone, Sorsone Sardone, L’Infermiàca, L’Orbi Porcé, Pompidia Carné, Gli Uom<strong>in</strong>i del<br />

Castel<strong>la</strong>rdo, Il Cane Lamnio, Lo Scavatore Multibraccia, Il Bamb<strong>in</strong>o Penultìno, Il Baller<strong>in</strong>o Bod<strong>in</strong>iano,<br />

L’Attore Anatone, Il Soffiatore Veterato, L’Uomo di Fisone, L’Uomo di Pietà, L’Uomo di Meximeglio, I<br />

Lanciatori Lupici, I Musicisti di Odessa, I Meccanici Genitali, Dio, Gian d’Orifizio, Il Dottor Violento, Il<br />

Cantatore Serapico, Il Cacciatore Stupido, Il Cane di Coccassa, Il Cacciatore Suicidato, Gian-che-marcia,<br />

Gian Non-viene-niente, Il Bamb<strong>in</strong>o Scenico, La Persona di Tomba, L’Operaio Ontogeno, La Cantante<br />

Al<strong>la</strong>rmàn, Gian dei Giambàgi, Il Bamb<strong>in</strong>o Urf, L’Operaio Bianco, Il Bamb<strong>in</strong>o Polmonìaco, La Femm<strong>in</strong>a del<br />

Bod<strong>in</strong>iano, Il Colpitore Veridico, Il Penultiere Gigàn, Il Bamb<strong>in</strong>o Funesto, Il Giocoliere del Buco Bello, Il<br />

Baller<strong>in</strong>o Lento, Il Baller<strong>in</strong>o Senza Niente, Il Colpitore Penùltron, L’Uomo di Pietà, Gian Multiplo, L’Uomo<br />

Orifìcico, Il Proletario Roblètt, Gli Animali Medici, Gli Autisti di Ambu<strong>la</strong>nza, La Sònnica Riccassiera,<br />

L’Animale Spezzato, Il Bamb<strong>in</strong>o Cratone, Il Pianista Pi<strong>la</strong>stro, Il Ciclopista Urgione, Il Ciclopista Lento, Il<br />

Musicista degli Animali, L’Attore di Vita, Il Prete Ardente, Il Suo Filòg<strong>in</strong>o, Carnùa, Totò Necessità, Il<br />

Musicista di Carne, Il Cadaveriere Ménebro, Il Cadaveriere Sospetto, Il Musicista di Silenzio, Il Borsaro<br />

Violento, L’Attore Pessimo, Il Musicista Legista, Il Bamb<strong>in</strong>o Multìpede, Il Bamb<strong>in</strong>o di Gelizia, L’Animale del<br />

Mondo, Il Musicista Violento, L’Uomo dai Pantaloni Verdi, Il Bamb<strong>in</strong>o Scudetto, Il Bamb<strong>in</strong>o M<strong>in</strong>uscolo,<br />

L’Uomo degli Oltraggi, Il Bamb<strong>in</strong>o di Par<strong>la</strong>nte, Il Suo Grande Penultiere, Il Bamb<strong>in</strong>o di Sembiante, Gli<br />

Innamorati Urs e Uri, La Francia, L’Infermato, Lobase, La Gente Vivente, L’Òmpido Carnato, Pampelùche,<br />

Il Campione Carl<strong>in</strong>o, La Curl<strong>in</strong>a del Campione Gerente, Sberma, Il Bamb<strong>in</strong>o Dottore, Il Bamb<strong>in</strong>o Medico,<br />

Gian Buco che Verba, L’Uomo Altrui, Madama Sperma, La Sua Scopa, Landrone, Attone, Seneratrice,<br />

Adamo.<br />

Parigi-Trécout, 1975-1983<br />

[Tratto da Valère Novar<strong>in</strong>a, Le drame de <strong>la</strong> vie, Paris, POL, 1984, p. 297-319. Scena f<strong>in</strong>ale. Traduzione di Andrea<br />

Raos, già apparsa <strong>in</strong> www.nazione<strong>in</strong>diana.com.]<br />

Notizia.<br />

Per <strong>in</strong>formazioni dettagliate sul drammaturgo rimandiamo a www.novar<strong>in</strong>a.com.<br />

196


LE LITANIE DELLA SUA VITA<br />

Lasciano entrare il dolore?<br />

Le litanie del<strong>la</strong> sua vita<br />

girano a vuoto. Offri stelle di piombo<br />

sii tu stessa il fedele prestatore<br />

lega al gu<strong>in</strong>zaglio <strong>la</strong> tua picco<strong>la</strong> dimora<br />

ne imperversa <strong>in</strong> un battibaleno<br />

segue un fedele prestatore<br />

su per tre scale, parte retrostante del<strong>la</strong> casa.<br />

Il tuo conforto sono gall<strong>in</strong>e pietrificate<br />

tu di buon grado ne mangi il petto<br />

nel nido dei pulc<strong>in</strong>i custodiscono uova di pere<br />

i vecchi dolori già gridan di nuovo:<br />

vivi f<strong>in</strong>o <strong>in</strong> fondo, dì chiaro l’Oscuro<br />

sii ist<strong>in</strong>to e cadi al trotto.<br />

Gli amori, quelli risplendono lievi <strong>la</strong> notte<br />

un ambizioso prolunga le litanie.<br />

*<br />

QUANDO MORIRÒ PER AMORE?<br />

Ridi. Lega rape all’ampia acqua.<br />

Veglia su di lei. Corpi v<strong>in</strong>cono là fuori.<br />

La nuova vita era cere per barba.<br />

Il corpo era color rosa, chiamalo bianco.<br />

Chi nom<strong>in</strong>a il ghiaccio? Peccato per il corpo.<br />

Stai <strong>in</strong> agguato. Quando f<strong>in</strong>irò per?<br />

Di certo mai.<br />

*<br />

VOCI DIETRO LA PARETE<br />

Altrimenti ma<strong>la</strong>to e dolce l’umore<br />

chiodi del<strong>la</strong> bara, addetto ai funerali, leggendaria depressione<br />

le azalee <strong>la</strong>sciano <strong>la</strong> testa, gli spilli<br />

<strong>la</strong>sciano <strong>la</strong> testa, collo e gamba <strong>la</strong>sciano <strong>la</strong> testa<br />

uccelli neri svo<strong>la</strong>zzano nel<strong>la</strong> testa<br />

cotonature come soffi d’aria irrigiditi<br />

<strong>la</strong> macch<strong>in</strong>a da scrivere <strong>la</strong>scia <strong>la</strong> sua testa<br />

deve starsene impiccata, impicca<strong>la</strong><br />

<strong>la</strong> tua stessa carne e sangue (chi par<strong>la</strong>?)<br />

altrimenti sogno di valzer, scoppio di uno schioppo<br />

prendi il tuo cappello e vai, spara <strong>in</strong> aria<br />

un buco splendente chiaro stridente<br />

<strong>la</strong> tacco<strong>la</strong> stride, becca nel<strong>la</strong> fronte<br />

e neanche una vena di collera si enfia.<br />

Bussa così dolcemente, segno del bussare bussa<br />

molto debolmente<br />

così <strong>la</strong> testa è attaccata a un fascio di nervi<br />

debolmente bussa, becca, adesso prendi il tuo letto<br />

e aprilo, nel<strong>la</strong> neve irrigidito<br />

e cambia<br />

<strong>la</strong> tua testa <strong>la</strong>vata<br />

chi par<strong>la</strong> adesso dietro <strong>la</strong> parete<br />

dalle bocche scorre<br />

sottile come un filo col<strong>la</strong> da tappezzeria<br />

par<strong>la</strong> il modello sul<strong>la</strong> parete<br />

<strong>la</strong> rana muggente con occhi di vetro<br />

batte al<strong>la</strong> parete<br />

né un pr<strong>in</strong>cipe, né un pr<strong>in</strong>cipe ranocchio davanti al<strong>la</strong> parete<br />

le bocche ben chiuse<br />

perduto è il frutto del bott<strong>in</strong>o<br />

197


accia r<strong>in</strong>serrate sopra <strong>la</strong> camicia, <strong>la</strong> chiave chiude<br />

un foro nel<strong>la</strong> parete, passerotto nel<strong>la</strong> mano<br />

l’amante nell’armadio si addormenta<br />

prendi il tuo letto così senza pieghe ripiegato<br />

bussa nel<strong>la</strong> testa, <strong>la</strong> parete è silenziosa<br />

le bocche mordono una parete di pietra<br />

l’avventura dei pensieri è term<strong>in</strong>ata<br />

sono fedeli a se stessi e si annoiano.<br />

*<br />

Non può essere <strong>qui</strong><br />

non può essere là<br />

dove è <strong>la</strong> cande<strong>la</strong>, dev’essere un lucignolo<br />

dove scorre il sangue, può essere un omicidio<br />

può non avvertire nel<strong>la</strong> stanza neppure un vento<br />

può nel vento non attizzare neppure un pensiero<br />

dove è il <strong>qui</strong>, sarebbe là<br />

<strong>qui</strong> come là un luogo estraneo.<br />

*<br />

NOIA<br />

Il vostro avvic<strong>in</strong>arvi, vi allontana.<br />

Quel che è lontano, <strong>in</strong>crostato, impietrito.<br />

Dove però pietra e gamba distruzione<br />

prendi solo un terremoto nel cavo del<strong>la</strong> mano<br />

falce e bastone, canti soffocati<br />

il mondo, parto di un <strong>in</strong>truso venuto da chissà dove<br />

potrebbe perire davanti agli occhi di tutti<br />

e non vorrebbe accorgersene<br />

a causa del<strong>la</strong> sua ben studiata sensibilità artistica.<br />

Quel che viene represso: un <strong>in</strong>denne sbadiglio.<br />

*<br />

NOTTE DI GIUGNO<br />

Come piove oggi, scuri fastelli d’acqua<br />

nelle nuvole, <strong>la</strong> fiamma guizzante dello stopp<strong>in</strong>o per il tè<br />

una pioggia di fiamme, già umido<br />

meglio <strong>in</strong> volo, <strong>in</strong> volo<br />

distrutti dal soffio del vento che macel<strong>la</strong>ti nel sonno<br />

neppure un corvo bianco, nessun coleottero nel lenzuolo<br />

nessun congedo dal<strong>la</strong> notte<br />

t<strong>in</strong>t<strong>in</strong>nano le tazze, <strong>in</strong>serite nel vitreo.<br />

*<br />

PRIMI DI NOVE<strong>MB</strong>RE<br />

Quel che mi aspetto dal giorno<br />

il crepuscolo, <strong>la</strong> notte<br />

che già rideva al matt<strong>in</strong>o:<br />

Aspettami.<br />

Vedove scomparse contano le loro posate<br />

tutto un bronto<strong>la</strong>re accanto a registratori di cassa<br />

ma io prima di Lei, ma prego, motivi zero.<br />

Le nuvole recitano tempesta<br />

il cielo si gonfia con buste di p<strong>la</strong>stica<br />

io non piango, non sono so<strong>la</strong><br />

il giorno trascorre, trascorse, scorso<br />

rami spazzo<strong>la</strong>no l’orizzonte.<br />

198


*<br />

ANDARE TROPPO LONTANO<br />

Tutto raggiunto quel che <strong>la</strong> mano raggiunge<br />

quando il braccio teso<br />

verso un bicchiere d’acqua o quel che<br />

<strong>la</strong> mano sfiora, eppure è proprio quel<br />

braccio teso più lungo di<br />

e una mano più tremo<strong>la</strong>nte di<br />

acqua versata<br />

neppure una paro<strong>la</strong> su questo, dove<br />

nessuna mano è abbastanza<br />

abbastanza a portata di mano<br />

[Testi estratti da "Tecnica del risveglio" ("Technik des Erwachens", Suhrkamp, 1998, di prossima<br />

pubblicazione <strong>in</strong> traduzione italiana per Heimat Edizioni). La traduzione è di Riccarda Novello. Per gentile<br />

concessione.]<br />

Notizia.<br />

Ursu<strong>la</strong> Krechel, nata a Trier (Treviri) nel 1947, ha studiato a Berl<strong>in</strong>o germanistica, storia del teatro e<br />

storia dell’arte e ha debuttato nel 1974 con il testo teatrale Erika, tradotto <strong>in</strong> sei l<strong>in</strong>gue. Attiva come<br />

docente di scrittura creativa presso diverse università tedesche, ha pubblicato nel 1977 <strong>la</strong> sua prima<br />

raccolta di versi (Nach Ma<strong>in</strong>z! Gedichte) cui sono seguiti i testi Verwundbar wie <strong>in</strong> den besten Zeiten<br />

(1979), Rohschnitt (1983), Vom Feuer lernen (1985), Kakaob<strong>la</strong>u (1989), Außerst <strong>in</strong>nen (1993),<br />

Landläufiges Wunder (1995), Ungezürnt (1997), Verbeugungen vor der Luft (1999), Bei Eichendorff , Der<br />

Übergriff (2001 ), In Zukunft schreiben (2003), Liebes Stück (2003 ), Me<strong>in</strong> Hallo de<strong>in</strong> Ohr (Witzwort)<br />

2003. Una sua silloge, con il titolo L’arte del<strong>la</strong> paro<strong>la</strong>, è apparsa, a cura di Riccarda Novello, sul numero<br />

183 di “Poesia” (Maggio 2004).<br />

199


Aveva esercitato alte cariche; due dita mancavano al<strong>la</strong> sua mano destra; non era più giovane, era vestito<br />

con stanca negligenza, e lo stupore altezzoso delle sopracciglia, <strong>la</strong> pesantezza s<strong>in</strong>uosa del<strong>la</strong> mascel<strong>la</strong><br />

sotto <strong>la</strong> morbida barba, il naso troppo visibile, mi fecero riconoscere un Levant<strong>in</strong>o. Era calvo; stava<br />

immobile, seduto. Batteva appena le palpebre per conservare l’immag<strong>in</strong>e di una ve<strong>la</strong> fuggente,<br />

trasportata qua e là, rimpicciolendo senza scampo verso l’iso<strong>la</strong> di Stromboli, o il biancore sve<strong>la</strong>to del<br />

ventre dei gabbiani, quando di fronte al sole cambiano rotta e s’<strong>in</strong>arcano lentamente offrendosi senza<br />

f<strong>in</strong>e. Voleva senz’altro gioire delle cose; era miope. Oppure forse guardava soltanto il mare, <strong>la</strong> distesa<br />

che non si abbraccia, <strong>la</strong> vecchissima metafora senza senso.<br />

Lo osservavo a pochi passi sotto quel sentiero di ombre. Forse non mi aveva visto, <strong>in</strong>tento ad accecarsi di<br />

cose chiare; ma, più verosimilmente, mi scambiava per uno dei suoi domestici, o per un pescatore. Dopo<br />

un tempo che mi sembrò lungo, volse verso di me il volto, e mi salutò; gli risposi senza fare il suo nome.<br />

Vidi che portava al petto un grosso crocefisso ornato di gemme, le cui braccia avevano i capi ritorti come<br />

morsi violenti, secondo l’uso dei Barbari.<br />

Così com<strong>in</strong>ciò, a dispetto delle nostre età tanto diverse, a dispetto del fatto che io mentissi, facendo f<strong>in</strong>ta<br />

di scambiarlo per un altro, per uno qualunque, e che lui mentisse accettando di essere quell’altro, e<br />

addirittura accentuasse il suo essere un altro, così com<strong>in</strong>ciò quel<strong>la</strong> che va pur chiamata <strong>la</strong> nostra<br />

amicizia. F<strong>in</strong> da quel primo giorno sedetti acanto a lui sul banco di pietra; e siccome anch’io contemp<strong>la</strong>vo<br />

le vele par<strong>la</strong>mmo di navigazione, degli amici del ramo e dei vascelli neri, di navigazione e di poesia greca:<br />

perché non si può dire l’una senza l’altra, tanto che non si sa quale è il testo dell’una e quale quello<br />

dell’altra, se furono <strong>la</strong>nciati prima le fragili costruzioni <strong>in</strong>catramate o i versi dal<strong>la</strong> s<strong>in</strong>tassi esatta, <strong>in</strong> balia<br />

del mare aperto o delle l<strong>in</strong>gue. Lui pensava che <strong>la</strong> poesia precedesse le navi, come il Padre viene prima<br />

del Figlio; ricordo che mi era stato detto che era ariano. Guardandolo, <strong>in</strong>s<strong>in</strong>uai che al mare e alle l<strong>in</strong>gue<br />

avrei aggiunto le folle, e al<strong>la</strong> nave e al<strong>la</strong> poesia, i grandi uom<strong>in</strong>i, i potenti i cui nomi riecheggiano come<br />

versi, visibili da lontano come le vele. Non rispose. Con <strong>la</strong> mano muti<strong>la</strong>ta si accarezzava lentamente <strong>la</strong><br />

barba. Il sole ca<strong>la</strong>va, l’ombra del<strong>la</strong> quercia da sughero non lo proteggeva più: delle gocce di sudore gli<br />

imper<strong>la</strong>vano il cranio, dove palpitava una venuzza; le sua <strong>la</strong>bbra si accostavano col fare testardo dei<br />

vecchi che si cibano di qualcosa che non conosciamo, delizia sognata o parole taciute da tempo. Mi<br />

apparve assai povero e nudo, aspirava al silenzio, temeva il silenzio. Attesi che par<strong>la</strong>sse; i richiami<br />

discordanti dei gabbiani riempivano <strong>la</strong> sera; alzando gli occhi, con un gesto vago che forse <strong>in</strong>dicava quelle<br />

voci oscure portate da voli così diurni, com<strong>in</strong>ciò: «La musica, pure, l’esercizio del<strong>la</strong> lira»; poi, alzando il<br />

braccio destro, che f<strong>in</strong>iva con ciò che non era più una mano: «Io fui un bravo musicista.»<br />

Quando ci <strong>la</strong>sciammo, tutte le vele erano scomparse dal mare già notturno, <strong>in</strong>evitabilmente color del<br />

v<strong>in</strong>o, come dissero i Greci. Salì dolorosamente il sentiero verso <strong>la</strong> vil<strong>la</strong> modesta, sul pendio ripido del<br />

promontorio Monterosa, sollevando con strana sollecitud<strong>in</strong>e un lembo del suo vecchio abito, fermandosi<br />

per riprendere fiato, e guardando per terra come quando <strong>in</strong> realtà ci si guarda dentro. I suoi sandali<br />

sollevavano un po’ di polvere rossa; <strong>la</strong> sua traccia svanì. Il sole <strong>in</strong>visibile illum<strong>in</strong>ava al <strong>la</strong>rgo solo <strong>la</strong> metà<br />

di Stromboli, triangolo d’oro violento sul<strong>la</strong> distesa forte, dip<strong>in</strong>ta, assoluta, come un diadema sul<strong>la</strong><br />

porpora. Si eclissò. Udii il raglio d’un as<strong>in</strong>o; annottava.<br />

[Da Pierre Michon, L’empereur d’Occident, Fata Morgana, 1989. Traduzione di Isabel Vio<strong>la</strong>nte.]<br />

Notizia.<br />

Nato nel 1945, Pierre Michon è uno dei massimi romanzieri del secondo Novecento francese. Dalle Vies<br />

m<strong>in</strong>uscules, edite nel 1984 e libro culto venduto <strong>in</strong> più di centomi<strong>la</strong> copie, Michon utilizza uno stile<br />

fiammeggiante per par<strong>la</strong>re del<strong>la</strong> picco<strong>la</strong> gente del<strong>la</strong> Creuse, rivisita <strong>la</strong> critica letteraria con Rimbaud le fils<br />

(1991) e Corps du Roi (2002) e <strong>la</strong> storia dell’arte con <strong>la</strong> Vie de Joseph Roul<strong>in</strong> (1988). Oggetto di<br />

numerosi studi universitari, è tradotto <strong>in</strong> più di venti l<strong>in</strong>gue.<br />

200


TRADURRE CLARA JANÉS: LE FORME DELLA PAROLA<br />

La traduzione poetica porta, o trasc<strong>in</strong>a, sempre con sé il traduttore, lo obbliga a fare armi e bagagli e<br />

trasferirsi negli <strong>in</strong>termundia, <strong>in</strong> una zone, un territorio <strong>in</strong>termedio, terra del<strong>la</strong> possibilità e del<strong>la</strong><br />

metacultura, terreno apparentemente sconf<strong>in</strong>ato, dove si trova esposto ad agenti atmosferici nuovi e<br />

almeno <strong>in</strong> p-arte imprevedibili, alle prese con codici da decifrare l<strong>in</strong>guistica e metal<strong>in</strong>guisticamente, <strong>in</strong><br />

compagnia, cercando di non esserne preda, del residuo traduttivo e altre amenità traduttologiche.<br />

Tradurre l’opera poetica di C<strong>la</strong>ra Janés significa entrare <strong>in</strong> una fitta trama di citazioni più o meno occulte,<br />

<strong>in</strong> un territorio pieno di eco sfumate e di rocce sotterranee.<br />

Dal verso asciutto del<strong>la</strong> poetessa, spesso breve, e <strong>in</strong>sieme <strong>in</strong>triso di rimandi, che spesso fluttua <strong>in</strong> un<br />

universo ideale, che cerca un lettore attento e <strong>in</strong>sieme disposto a un vigile abbandono, a un ascolto<br />

pronto a cogliere l’impercettibile.<br />

Fu proprio <strong>la</strong> voce, nel<strong>la</strong> sua vibrazione avvolgente, quasi tattile, ad avvic<strong>in</strong>armi al<strong>la</strong> poesia di Janés, e a<br />

sp<strong>in</strong>germi ad avventurarmi nelle sue trame, e a dare forma a quest’avventura <strong>in</strong> una tesi dottorale che<br />

cercasse di avvic<strong>in</strong>arsi a quel<strong>la</strong> voce, e <strong>in</strong>terpretarne alcuni segni.<br />

Sette poesie di C<strong>la</strong>ra Janés<br />

“40<br />

CONIUNCTIO<br />

Una mano<br />

sfiorò <strong>la</strong> superficie delle acque<br />

e il nome venne cancel<strong>la</strong>to<br />

dal<strong>la</strong> mia memoria.<br />

Venni rapita da un sogno:<br />

<strong>la</strong> musica<br />

dimorava nel suo respiro,<br />

<strong>la</strong> brezza percorreva il suo corpo<br />

che era il mio,<br />

e nel<strong>la</strong> mia bocca prendeva forma <strong>la</strong> sua<br />

<strong>in</strong>sieme a tutte le lettere.<br />

Con <strong>la</strong> a<br />

copriva il cielo del pa<strong>la</strong>to,<br />

e nasceva <strong>la</strong> sua freschezza.<br />

Con <strong>la</strong> g mi scese <strong>in</strong> go<strong>la</strong>.<br />

Con <strong>la</strong> i mi colpì al cuore:<br />

il canale del mio corpo<br />

ospitò il suo respiro.<br />

E mi svegliai<br />

con le <strong>la</strong>bbra colme di parole”.<br />

*<br />

“I nidi celesti<br />

sono <strong>la</strong>ghi<br />

setacciati dal sole.<br />

I fiumi ondeggiano ai miei piedi,<br />

si aprono,<br />

si al<strong>la</strong>rgano<br />

ed entrano <strong>in</strong> bianche correnti,<br />

onde che danno vita ai mari,<br />

Annelisa Addolorato<br />

201


assetato sale,<br />

f<strong>in</strong>o al blu dell’oasi.<br />

E l’ocra<br />

e le palme approdano<br />

e lo spazio si capovolge<br />

aprendosi<br />

al<strong>la</strong> nera costel<strong>la</strong>zione,<br />

agli oscuri picchi<br />

senza traccia<br />

degli occhi desiderati”.<br />

[Da C. Janés, Los secretos del bosque, Visor, Madrid 2002.]<br />

*<br />

“Qu<strong>in</strong>di l’amore si riversa<br />

nel poema, dal bianco<br />

silenzio, puro, ancora <strong>in</strong>tatto<br />

pur nel<strong>la</strong> sua condizione temporale:<br />

un guizzo senza f<strong>in</strong>e<br />

che allontana le nubi del<strong>la</strong> morte<br />

e sve<strong>la</strong> l’armonia del bene accolto,<br />

<strong>la</strong> verità e l’<strong>in</strong>tramontabile bellezza<br />

dell’<strong>in</strong>telligenza”.<br />

[Da C. Janés, Hacia el alba - Vers l’aube, El perro asirio, Madrid 1992.]<br />

*<br />

“BLAS DE OTERO<br />

Non vidi quell’angelo<br />

ma abitò il mio udito<br />

nel<strong>la</strong> notte oscura,<br />

che dal<strong>la</strong> sua umana fer<strong>in</strong>ità<br />

si abbassò f<strong>in</strong>o al<strong>la</strong> mia umana fer<strong>in</strong>ità.<br />

L’alba stese le ali<br />

e nel grigio silenzio<br />

emerse dalle mie <strong>la</strong>bbra un poema<br />

<strong>la</strong> cui rilucenza trasformava <strong>in</strong> fede<br />

lo strazio del dolore”.<br />

[Da C. Janés, Cajón de sastre, Centro Cultural Generación del ‘27 - Ibn Gabirol, Má<strong>la</strong>ga 1999.]<br />

*<br />

“L’orizzonte si trasfigura,<br />

e torna a me nell’abbandono e nel sacrificio.<br />

Lo accolgo sotto <strong>la</strong> mia volta<br />

- carnale comunione<br />

dell’etereo –<br />

e divento tempio<br />

del senso immutabile;<br />

<strong>la</strong> sua <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ita ricchezza<br />

affiora tra le sil<strong>la</strong>be”.<br />

202


*<br />

“Se <strong>la</strong> mia carne fosse frutta risplendente<br />

ve <strong>la</strong> offrirei nel<strong>la</strong> conca più bel<strong>la</strong><br />

per <strong>in</strong>vitar<strong>la</strong> a nozze<br />

<strong>in</strong> fragrante alcova<br />

tra<strong>in</strong>ata dagli uccelli <strong>in</strong> volo,<br />

tra le nuvole,<br />

f<strong>in</strong>o a quando l’argento del<strong>la</strong> luna<br />

diluisse nell’<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito<br />

l’ansioso rossore solcato dal battito”.<br />

[Da C. Janés, Hacia el alba - Vers l’aube, El perro asirio, Madrid 1992.]<br />

*<br />

“Silenzio<br />

Il tronco dei p<strong>in</strong>i si rigenera lentamente; si<br />

staccano sottili strati di corteccia seguendo il<br />

tragitto senza f<strong>in</strong>e dell’oblio.<br />

·<br />

Su fogli tanto delicati solo il silenzio può scrivere il<br />

suo messaggio, mentre sale dalle radici per ricadere<br />

<strong>in</strong> una una leggera pioggia. La pena deve essere<br />

vissuta senza essere notata, dissi. E lentamente<br />

misi ord<strong>in</strong>e tra le mie orme.<br />

·<br />

Con <strong>in</strong> grembo i segni mi fermai sul<strong>la</strong> riva del<br />

fiume. Una libellu<strong>la</strong> verde sp<strong>in</strong>se il sonno nei miei<br />

occhi, ma si udivano parole d’acqua pronun-<br />

ciare le rune. Quando riaprii le palpebre mi sorpresi<br />

<strong>in</strong> presa all’abbandono dei sensi”.<br />

[C. Janés, Los números oscuros, Sirue<strong>la</strong>, Madrid 2006.]<br />

[Scelta e traduzioni di Annelisa Addolorato]<br />

Notizia.<br />

C<strong>la</strong>ra Janés nasce a Barcelona nel 1940. Figlia dell’attivo editore e poeta cata<strong>la</strong>no antifranchista Josep<br />

Janés - prematuramente scomparso negli anni ’50 - condivide con <strong>la</strong> madre c<strong>la</strong>vicembalista uno<br />

sconf<strong>in</strong>ato amore per <strong>la</strong> musica e per il ritmo. Studia a Barcelona, Pamplona e Paris: al<strong>la</strong> Sorbonne scrive<br />

il suo studio sul poeta avanguardista J.E. Cirlot, per <strong>la</strong> sua Meitrise <strong>in</strong> letterature comparate. Dagli anni<br />

’70 vive e scrive a Madrid. Grande traduttrice e viaggiatrice, v<strong>in</strong>ce il Premio Nacional de Traducción e<br />

diversi riconoscimenti letterari, viene <strong>in</strong>signita dal governo spagnolo del<strong>la</strong> Medaglia d’Oro per le Belle Arti<br />

nel 2005. Ha coltivato tutti i generi letterari, dal racconto al romanzo, dal libretto operistico al<strong>la</strong> stampa<br />

culturale periodica.<br />

Bibliografia poetica essenziale:<br />

Las estrel<strong>la</strong>s vencidas, Agorá, Madrid 1964; Límite humano, Oriens, Madrid 1973; En busca de Cordelia y poemas<br />

rumanos, A<strong>la</strong>mo, Sa<strong>la</strong>manca 1975; Libro de alienaciones, Ayuso, Madrid 1980; Eros, Hiperión, Madrid 1981; Vivir,<br />

Hiperión, Madrid 1983; Kampa, libro con audio-cassetta con <strong>la</strong> voce del<strong>la</strong> poetessa che canta Kampa II, Ediciones<br />

Hiperión, Madrid 1986; Lapidario, Hiperión, Madrid 1988; Creciente fertíl, Hiperión, Madrid 1989; Emblemas, Caballo<br />

griego para <strong>la</strong> poesía, Madrid 1991; Diván del ópalo de fuego (o <strong>la</strong> legenda de Lay<strong>la</strong> y Machnun), con prefazione di<br />

Luce López-Baralt, Editora Regional de Murcia (col<strong>la</strong>na Ibn Al‘Arabi), Murcia 1996; Rosas de fuego, Cátedra, Madrid<br />

1996; Arcángel de sombra, Visor, Madrid 1999; Cajón de sastre, Centro cultural Generación del ’27, Má<strong>la</strong>ga 1999; El<br />

203


libro de los pájaros, Editorial Pre-Textos, Valencia 1999; Para<strong>la</strong>jes, Tusquets Editores, Barcelona 2002; Los secretos<br />

del bosque, Visor, Madrid 2002; Fractales, Pre-textos, Valencia 2005; Huel<strong>la</strong>s sobre una corteza, Fundación Jorge<br />

Guillén – Ciudad y Universidad de Val<strong>la</strong>dolid, Val<strong>la</strong>dolid 2005; Los números oscuros, Sirue<strong>la</strong>, Madrid 2006.<br />

Opere poetiche tradotte <strong>in</strong> italiano:<br />

Paral<strong>la</strong>ssi, traducción de C. Greppi, en ple<strong>in</strong> offic<strong>in</strong>a, Mi<strong>la</strong>no 1999.<br />

La línea discont<strong>in</strong>ua, ed. bil<strong>in</strong>güe italiano-español, trad. Emilio Coco, Quaderni<br />

del<strong>la</strong> valle, Bari 2002.<br />

In un punto di <strong>qui</strong>ete (Fractales), ed. bil<strong>in</strong>güe español-italiano, edición de Mariarosa Scaramuzza, trad. de Annelisa<br />

Addolorato y Cesare Greppi, postfacio de Stefano Raimondi, CUEM, Milán 2000.<br />

Arcangelo d’ombra, ed. bil<strong>in</strong>güe, trad. e <strong>in</strong>troducción de Annelisa Addolorato, Crocetti, Mi<strong>la</strong>no 2005.<br />

-Espacios translúcidos – poesía visual de C<strong>la</strong>ra Janés, catálogo y homónima exposición, Instituto Cervantes -<br />

Università degli Studi di Mi<strong>la</strong>no, Mi<strong>la</strong>no marzo de 2006.<br />

Testi critici sull’autrice:<br />

ADDOLORATO A., “III periodo – C<strong>la</strong>ra Janés”, en “La stampa culturale <strong>in</strong> Spagna nel XX secolo: <strong>la</strong> storia come pretesto<br />

letterario”, pp. 77-81 y anexo - antología de artículos de prensa, http://ariel.ctu.unimi.it/corsi/letSpagno<strong>la</strong>SS/home/.<br />

---, “Introduzione”, en C. Janés (tr. it. de A. Addolorato), Arcangelo d’ombra, Crocetti, Mi<strong>la</strong>no 2005, pp. 7-10.<br />

---, “Luz oscura. Sobre Luz de oscura l<strong>la</strong>ma de C<strong>la</strong>ra Janés”, en Il confronto letterario, n. 42, II 2004 (a. XXI), pp.<br />

501-518.<br />

PROFETI M.G., “L’elegia funebre tra paro<strong>la</strong> e silenzio”, en In forma di parole, VIII, n. 1, 1987, pp. 51-86.<br />

RUBIO F., “Abrazo de ciudad”, en Diario, 16 de octubre 1991.<br />

SCARAMUZZA VIDONI M., Al<strong>qui</strong>mias poéticas en algunos versos de C<strong>la</strong>ra Janés, separata en C. Janés, Los secretos de<br />

bosque, Visor, Madrid 2002.<br />

---, “Amor y misticismo cósmico en C<strong>la</strong>ra Janés”, <strong>in</strong>troducción a Rosa rubea - Poemas de C<strong>la</strong>ra Janés, Bulzoni, Roma<br />

1995, pp. 11-47.<br />

---, “C<strong>la</strong>ra Janés/In un punto di <strong>qui</strong>ete”, en Poesia, a. XIII, luglio-agosto 2000.<br />

---, “Cosmologie poetiche. C<strong>la</strong>ra Janés e Eduardo Chillida”, en Le arti figurative nelle letterature iberiche e<br />

iberoamericane, (actas del XIX Congreso de <strong>la</strong> Associazione Ispanisti Italiani, Roma 16-19 sept. 1999) Cancellier A. y<br />

Londero R., Unipress, Padova 2001, pp. 235-243.<br />

---, “Encuentro con C<strong>la</strong>ra Janés”, en Quaderni di Letterature Iberiche e Iberoamericane, n. 11-12, pp. 111-118, 1990.<br />

---, “‘La pa<strong>la</strong>bra y el secreto’: l’ideario di C<strong>la</strong>ra Janés”, en Oril<strong>la</strong>s - Vol I (Il mondo iberico), Edizioni del Paguro, Napoli<br />

2001, pp. 319-327.<br />

---, “Materia e poesia: il Lapidario di C<strong>la</strong>ra Janés”, en Quaderni di Letterature Iberiche e Iberoamericane, n. 9-10,<br />

1989, pp. 129-136.<br />

ZA<strong>MB</strong>RANO M., “La voz abismática”, reseña del libro Kampa, en Diario 16, 7 diciembre 1986; y en Revista oral de<br />

poesía, 1-7, pp. 89-91.<br />

204


Quattro poesie da Escrituras visibles (1999)<br />

a cura di Salvatore Ritrovato e Anna Bucarelli<br />

VEDENDO LE AUTO PASSARE VERSO OCCIDENTE<br />

Nelle piccole città del centro di Cuba<br />

le vie, di solito chiassose e dolci,<br />

restano vuote nei mesi d’<strong>in</strong>verno.<br />

Io l’ho vissuta questa faticosa <strong>qui</strong>ete.<br />

Gli studenti se ne sono andati a scoprire il mondo<br />

e una pace, una strana e lunga assenza,<br />

arriva f<strong>in</strong>o alle pareti e penetra all’<strong>in</strong>terno delle case.<br />

I club, le case del<strong>la</strong> cultura, i campi sportivi,<br />

somigliano a un set, accuratamente preparato,<br />

che aspetta nel ritorno degli attori per cont<strong>in</strong>uare le riprese.<br />

Nelle piccole città del centro di Cuba<br />

tutto è assenza e attesa nei mesi d’<strong>in</strong>verno.<br />

Io l’ho vissuta questa faticosa <strong>qui</strong>ete.<br />

Notti di febbraio all’angolo vuoto di Libertad y Paseo,<br />

dove vedi le auto passare verso Occidente.<br />

Come chi vede una ragazza di pelle bianca candida e capelli neri<br />

passare contenta a un altro uomo.<br />

*<br />

CALLE G. 1982<br />

Una notte dividevamo mandorle <strong>in</strong> Calle G.<br />

Erano passate le dodici, e tu e quel<strong>la</strong> gonna di fiori bianchi<br />

parevano l’eternità.<br />

Io mi fermai un momento a contemp<strong>la</strong>re <strong>la</strong> luce<br />

e il passaggio di auto per L’Avana il 1982.<br />

Tutto sembrava così s<strong>in</strong>cero.<br />

il vecchio mare benedetto di fronte al<strong>la</strong> statua di Calixto García.<br />

il tuo viso avanzava nel<strong>la</strong> penombra dei p<strong>in</strong>i.<br />

Il golpe con cui <strong>la</strong> mia mano cercava nel<strong>la</strong> rossa <strong>in</strong>timità del<strong>la</strong> mandor<strong>la</strong><br />

tutto sembrava tanto s<strong>in</strong>cero.<br />

Come <strong>la</strong> vita dell’acqua che scorre tra i dadi.<br />

Non doveva venirne niente.<br />

Non ci aspettavamo niente.<br />

Io mi trovai un momento a contemp<strong>la</strong>re <strong>la</strong> luce<br />

e il passaggio delle auto per L’Avana del 1982.<br />

Tu, e quel<strong>la</strong> gonna di fiori bianchi,<br />

parevano l’eternità.<br />

*<br />

GUASTATE IMMAGINI DI UN TEMPO<br />

Che <strong>la</strong> tristezza non mi sp<strong>in</strong>ga verso il mare.<br />

Coste di L’Avana, aperte<br />

nei giorni d’<strong>in</strong>verno del millenovecentonovanta,<br />

che <strong>la</strong> tristezza non mi obblighi a essere altro.<br />

Guastate immag<strong>in</strong>i di un tempo:<br />

<strong>la</strong> pelle di me<strong>la</strong> delle ragazz<strong>in</strong>e <strong>in</strong> un’auto azzurra<br />

e l’occhio ironico dei figli di Occidente<br />

il loro sguardo postmoderno nel<strong>la</strong> memoria delle isole.<br />

Coste di L’Avana, disposte al viaggio<br />

nelle notti più fredde di gennaio,<br />

che <strong>la</strong> tristezza non mi porti a morire sul<strong>la</strong> spiaggia.<br />

Che <strong>la</strong> tristezza non mi sp<strong>in</strong>ga verso il mare.<br />

205


*<br />

LA LIBERTÀ È INFINITA<br />

Sotto il duro affiche<br />

che dà senso a quest’ore,<br />

contemplo il viso dei baller<strong>in</strong>i.<br />

Mani dist<strong>in</strong>te si muovono nell’aria.<br />

Si muove una voce,<br />

ragazze appiccicate di sudore<br />

e le chitarre che una stel<strong>la</strong><br />

avvic<strong>in</strong>a per <strong>la</strong> sua luce.<br />

Sedotti dall’alluc<strong>in</strong>azione<br />

giriamo liberamente,<br />

senza paura, senz’altra volontà che sopravvivere,<br />

così giriamo,<br />

tutti belli nel crepuscolo del<strong>la</strong> città.<br />

Passa <strong>la</strong> mia Laura portando il ritmo sulle <strong>la</strong>bbra.<br />

Passa Fernando con un tocco di rock sulle bottiglie.<br />

Passa il mare, azzurro e grigio chiarissimo.<br />

Bianche monete che <strong>la</strong> libertà denuda.<br />

Contemplo il viso dei baller<strong>in</strong>i<br />

e l’effimero bagliore delle cose più pure.<br />

Com’è difficile per il mio occhio umano<br />

guardare <strong>in</strong> faccia questa unica luce.<br />

Però cont<strong>in</strong>uano dentro a bril<strong>la</strong>re i suoi sc<strong>in</strong>tillii.<br />

Notizia<br />

Edel Morales, nato a Caibaiguán, Cuba (1961), vive a La Avana. Ha pubblicato le raccolte poetiche Viendo<br />

los autos pasar hacia Occidente (1994) e Escrituras visibles (1999), Lejos de <strong>la</strong> corrente (2004), il<br />

racconto Los pies en <strong>la</strong> tierra (2004), e curato il catalogo di giovani poeti cubani Cuerpo sobre cuerpo<br />

(2000) e <strong>la</strong> mostra La Estrel<strong>la</strong> de Cuba. Inventario de una expedición (2004). Dirige il Centro Culturale<br />

Dulce María Loynaz e <strong>la</strong> <strong>rivista</strong> letteraria «La Letra del Escriba». Sue poesie sono state tradotte <strong>in</strong> <strong>in</strong>glese<br />

e <strong>in</strong> francese.<br />

Dal<strong>la</strong> prefazione di Lejos de <strong>la</strong> corrente (2005) che <strong>in</strong>clude alcune poesie di Escrituras visibles (1999):<br />

«Ho scritto queste poesie nel corso di venti anni. Molte cose sono cambiate nel frattempo, alcune aldilà di<br />

ogni possibile previsione. Tanti cambiamenti hanno <strong>la</strong>sciato una traccia nel<strong>la</strong> scrittura e anche nel<strong>la</strong> mia<br />

biografia, nelle letture realizzate nel tempo, nei diversi contesti economici, sociali, tecnologici o naturali <strong>in</strong><br />

cui <strong>in</strong>teragiamo. Ma <strong>la</strong> mia concezione del<strong>la</strong> poesia e dell’uomo che fa poesia, che ne ha bisogno e che ne<br />

è degno non è mutata nelle sue l<strong>in</strong>ee essenziali. E credo che i testi <strong>qui</strong> raccolti dimostr<strong>in</strong>o tale cont<strong>in</strong>uità.<br />

Non so se sia un bene o un male. A me piace, amico Lettore, ritrovarvi le stesse emozioni e gli stessi<br />

<strong>in</strong>terrogativi, scoprire che le parole conservano il loro significato e accrescono <strong>la</strong> loro <strong>in</strong>tensità quando<br />

hanno saputo esprimere l’istante del<strong>la</strong> loro ormai lontana orig<strong>in</strong>e.<br />

Naturalmente, vorrei che <strong>la</strong> loro essenza resti nel tempo. Che non si corroda il sentimento. Che sia<br />

ancora febbraio quando faccio ritorno a questa poesia: “In te è <strong>la</strong> collera / l’enigma / <strong>la</strong> conoscenza //<br />

l’aureo<strong>la</strong> di luce / l’altera bellezza // e il desiderio irrefrenabile / che fa smarrire <strong>la</strong> ragione // Così<br />

dovevano essere le dee / che cantavano gli antichi”. E che sul<strong>la</strong> soglia di un libro di poesie sia sempre<br />

possibile una semplice dedica, come questa:<br />

A Viviana, per amore».<br />

206


REFERENZE, DATI PERSONALI<br />

Mi hanno fatto gli uom<strong>in</strong>i che vanno sotto<br />

il cielo del mondo<br />

cercano <strong>la</strong> lucentezza dell’alba<br />

accudiscono <strong>la</strong> vita come il fuoco.<br />

Mi hanno <strong>in</strong>segnato a difendere <strong>la</strong> luce che canta commossa<br />

mi hanno portato una speranza che non basta sognare<br />

e per quel<strong>la</strong> speranza conosco i miei fratelli.<br />

Allora rido contemp<strong>la</strong>ndo il mio cognome, il mio volto nello<br />

specchio<br />

so che non mi appartengono<br />

<strong>in</strong> essi voi agitate un fazzoletto<br />

allungate una mano grazie a cui non sono solo.<br />

In voi <strong>la</strong> mia morte f<strong>in</strong>isce di morire.<br />

Anni futuri che avremo preparato<br />

conserveranno <strong>la</strong> mia dolce credenza nel<strong>la</strong> tenerezza,<br />

l’assemblea del mondo sarà un bamb<strong>in</strong>o riunito.<br />

(Da El juego en que andamos, 1959)<br />

*<br />

ARTE POETICA<br />

Fra i tanti mestieri esercito questo che non è mio,<br />

come un padrone imp<strong>la</strong>cabile<br />

mi costr<strong>in</strong>ge a <strong>la</strong>vorare di giorno, di notte,<br />

con dolore, con amore,<br />

sotto <strong>la</strong> pioggia, nel<strong>la</strong> catastrofe,<br />

quando si aprono le braccia del<strong>la</strong> tenerezza o dell’anima,<br />

quando <strong>la</strong> ma<strong>la</strong>ttia affonda le mani.<br />

A questo mestiere mi costr<strong>in</strong>gono i dolori altrui,<br />

le <strong>la</strong>crime, i fazzoletti svento<strong>la</strong>nti,<br />

le promesse <strong>in</strong> mezzo all’autunno o al fuoco,<br />

i baci dell’<strong>in</strong>contro, i baci dell’addio,<br />

tutto mi costr<strong>in</strong>ge a <strong>la</strong>vorare con le parole, col sangue.<br />

Mai fui padrone delle mie ceneri, i miei versi,<br />

volti oscuri li scrivono come sparando contro <strong>la</strong> morte.<br />

(Da Velorio del solo,1961)<br />

*<br />

MARIA LA SERVA<br />

Si chiamava Maria per tutto il tempo dei suoi 17 anni,<br />

era capace di avere un’anima e di sorridere con gli uccell<strong>in</strong>i,<br />

ma <strong>la</strong> cosa importante fu che nel<strong>la</strong> valigia le trovarono<br />

un bamb<strong>in</strong>o morto di tre giorni avvolto nei giornali di casa.<br />

Che maniera era quel<strong>la</strong> di peccare peccare,<br />

dicevano le signore abituate al<strong>la</strong> discrezione<br />

e <strong>in</strong> segno di orrore alzavano le ciglia<br />

con un breve volo non sprovvisto d’<strong>in</strong>canto.<br />

I signori meditarono rapidamente sui pericoli<br />

207


del<strong>la</strong> prostituzione o del<strong>la</strong> mancanza di prostituzione,<br />

ricordavano le loro prodezze con popo<strong>la</strong>ne diverse<br />

e dicevano severi: certamente cara.<br />

Al commissariato si comportarono decentemente,<br />

<strong>la</strong> palpeggiarono solo dal sergente <strong>in</strong> su,<br />

ma Maria era occupata a sognare,<br />

gli uccell<strong>in</strong>i le si cancel<strong>la</strong>rono sotto <strong>la</strong> pioggia di <strong>la</strong>crime.<br />

C’era tanta gente disgustata di Maria<br />

del suo modo di impacchettare i risultati dell’amore<br />

e ritenevano che il carcere le avrebbe restituito <strong>la</strong> decenza<br />

o almeno francamente l’avrebbe resa meno rozza.<br />

Quel<strong>la</strong> sera le signore e i signori si profumavano<br />

con ardore<br />

per il bamb<strong>in</strong>o che diceva <strong>la</strong> verità,<br />

per il bamb<strong>in</strong>o che era puro,<br />

per il bamb<strong>in</strong>o tenero,<br />

per quello buono, <strong>in</strong>somma,<br />

per tutti i bamb<strong>in</strong>i morti stipati nelle valigie<br />

dell’anima<br />

e com<strong>in</strong>ciarono a puzzare all’improvviso<br />

mentre <strong>la</strong> grande città chiudeva le sue f<strong>in</strong>estre.<br />

*<br />

LA MIA CARA BUENOS AIRES<br />

Seduto sull’orlo di una sedia sfondata,<br />

frastornato, ma<strong>la</strong>to, quasi vivo,<br />

scrivo versi previamente pianti<br />

dal<strong>la</strong> città dove nac<strong>qui</strong>.<br />

Bisogna acchiapparli, anche <strong>qui</strong><br />

nacquero figli miei dolci<br />

che fra tanto castigo ti addolciscono bel<strong>la</strong>mente.<br />

Bisogna imparare a resistere.<br />

Né ad andarsene né a restare,<br />

a resistere,<br />

anche se è certo<br />

che ci saranno più pene e dimenticanza.<br />

*<br />

LA VITTORIA<br />

In un libro di versi schizzato<br />

dall’amore, dal<strong>la</strong> tristezza, dal mondo,<br />

i miei figli disegnarono signore gialle,<br />

elefanti che avanzano sopra ombrelli rossi,<br />

uccelli fermati sull’orlo di una pag<strong>in</strong>a,<br />

<strong>in</strong>vasero <strong>la</strong> morte,<br />

il grande cammello azzurro riposa sul<strong>la</strong> paro<strong>la</strong> cenere,<br />

una guancia scivo<strong>la</strong> sul<strong>la</strong> solitud<strong>in</strong>e delle mie ossa,<br />

il candore v<strong>in</strong>ce il disord<strong>in</strong>e del<strong>la</strong> notte.<br />

208


*<br />

A MIO AGIO A PARIGI<br />

Chi rimpiango è il vecchio leone dello zoo,<br />

prendevamo sempre il caffè nel Bois de Boulogne,<br />

mi raccontava le sue avventure nel<strong>la</strong> Rodesia del sud<br />

ma mentiva, era evidente che mai si era mosso<br />

dal Sahara.<br />

In ogni modo m’<strong>in</strong>cantava <strong>la</strong> sua eleganza,<br />

<strong>la</strong> sua maniera di alzare le spalle davanti alle piccolezze<br />

del<strong>la</strong> vita,<br />

guardava i francesi dal<strong>la</strong> f<strong>in</strong>estra del caffè<br />

e diceva «gli idioti fanno figli».<br />

I due o tre cacciatori <strong>in</strong>glesi che si era mangiato<br />

gli provocavano brutti ricordi e anche mal<strong>in</strong>conia,<br />

«che cosa non si fa per vivere» rifletteva<br />

guardandosi <strong>la</strong> cr<strong>in</strong>iera nello specchio del caffè.<br />

Sì, lo rimpiango molto,<br />

non pagava mai <strong>la</strong> consumazione,<br />

ma <strong>in</strong>dicava <strong>la</strong> mancia da <strong>la</strong>sciare<br />

e i camerieri lo salutavano con partico<strong>la</strong>re deferenza.<br />

Ci congedammo sul crepuscolo,<br />

lui ritornava al suo bureau, come diceva,<br />

non senza prima avvertirmi con una zampa sul<strong>la</strong> spal<strong>la</strong><br />

«stai attento, amico mio, al<strong>la</strong> Parigi notturna».<br />

Lo rimpiango veramente molto,<br />

i suoi occhi si riempivano a volte di deserto<br />

ma sapeva tacere come un fratello<br />

quando emozionato, emozionato,<br />

io gli par<strong>la</strong>vo di Carlitos Gardel.<br />

(Da Gotán, 1962)<br />

*<br />

GIORNALISMO<br />

alle dieci di matt<strong>in</strong>a gli impiegati del Pa<strong>la</strong>zzo di Giustizia<br />

si misero a gridare contro l’<strong>in</strong>giustizia dei loro magri sa<strong>la</strong>ri<br />

alle undici furono scoperte certe manovre crim<strong>in</strong>ali<br />

alle dodici il partito democratico e borghese ribadì di essere<br />

democratico e borghese<br />

ci fu un concorso al municipio<br />

salì il costo del<strong>la</strong> vita<br />

si pranzò normalmente o <strong>in</strong> maglietta di fronte al buon v<strong>in</strong>o<br />

<strong>la</strong> legge organica del<strong>la</strong> polizia non subì grandi variazioni<br />

all’una alle due di pomeriggio all’ombra gloriosa del grande giorno<br />

altre città del paese ricordarono i loro fondatori i loro banditi<br />

i comuni locali promossero decisioni discordanti<br />

il sud cont<strong>in</strong>uò a essere nel sud<br />

il presidente alle quattro ricevette il suo decimo magnate del petrolio<br />

alle c<strong>in</strong>que mi annoiai ma alle sei ti vidi<br />

dopo tanti anni ti vidi alle sei e mi turbai come un bamb<strong>in</strong>o<br />

il passato risaliva come i tuoi dolci seni<br />

ed erano le sei del<strong>la</strong> dolcezza come una violenta dimenticanza<br />

adesso hai le lentigg<strong>in</strong>i sul collo e <strong>la</strong> tua voce era attuale<br />

cosicché alle sette non eri più notizia<br />

209


com<strong>in</strong>ciava il crepuscolo<br />

usciva <strong>la</strong> gente dal <strong>la</strong>voro<br />

saliva il carovita<br />

si scoprivano nuove manovre crim<strong>in</strong>ali<br />

nel paese <strong>in</strong> lungo e <strong>in</strong> <strong>la</strong>rgo.<br />

(Da Cólera buey, 1965)<br />

*<br />

BISOGNI<br />

l’<strong>in</strong>dividuo che differisce dai suoi pari<br />

che turba o scandalizza <strong>la</strong> sua famiglia o <strong>la</strong> società<br />

suole essere c<strong>la</strong>ssificato come matto accusato d’<strong>in</strong>fermità mentale e<br />

perseguitato come ma<strong>la</strong>to<br />

quest’atto di psichiatria soddisfa bisogni importanti<br />

l’<strong>in</strong>dividuo che vede gambe azzurre di donna vo<strong>la</strong>re<br />

alberelli cantare il mondo puzzare<br />

è r<strong>in</strong>chiuso colpito con elettricità <strong>in</strong>sul<strong>in</strong>a medici<br />

quest’atto di psichiatria soddisfa bisogni importanti<br />

bisogni del vo<strong>la</strong>re o cantare?<br />

bisogni dell’<strong>in</strong>dividuo che differisce dai suoi pari<br />

che turba o scandalizza <strong>la</strong> sua famiglia o <strong>la</strong> società ed è<br />

qualificato come matto accusato d’<strong>in</strong>fermità mentale e perseguitato come<br />

ma<strong>la</strong>to?<br />

altri bisogni?<br />

bisogni dell’<strong>in</strong>dividuo che non differisce dai suoi pari<br />

che non turba o scandalizza <strong>la</strong> sua famiglia o <strong>la</strong> società<br />

che non è qualificato come matto accusato d’<strong>in</strong>fermità mentale né<br />

perseguitato come ma<strong>la</strong>to?<br />

gambe azzurre di donna vo<strong>la</strong>re no?<br />

né alberelli cantare né mondo puzzare?<br />

quest’atto di psichiatria soddisfa necessità importanti<br />

i c<strong>in</strong>ghiali d’oro si stanno mangiando Yvonne<br />

*<br />

CONFIDENZE<br />

si siede al tavolo e scrive<br />

«con questa poesia non prenderai il potere» dice<br />

«con questi versi non farai <strong>la</strong> Rivoluzione» dice<br />

«né con migliaia di versi farai <strong>la</strong> Rivoluzione» dice<br />

e ancora: quei versi non gli serviranno<br />

perché braccianti maestri spaccalegna vivano meglio<br />

mang<strong>in</strong>o meglio o egli stesso mangi, viva meglio<br />

né per fare <strong>in</strong>namorare qualcuna gli serviranno<br />

non farà soldi con essi<br />

non entrerà nel c<strong>in</strong>ema gratis con essi<br />

non gli daranno di che vestirsi grazie ad essi<br />

non otterrà tabacco o v<strong>in</strong>o grazie ad essi<br />

né pappagalli né sciarpe né navi<br />

né tori né ombrelli otterrà con essi<br />

e se fosse per loro <strong>la</strong> pioggia lo bagnerebbe<br />

non otterrà perdono o grazia per essi<br />

«con questa poesia non prenderai il potere» dice<br />

210


«con questi versi non farai <strong>la</strong> Rivoluzione» dice<br />

«né con migliaia di versi farai <strong>la</strong> Rivoluzione» dice<br />

si siede al tavolo e scrive<br />

(Da Re<strong>la</strong>ciones, 1973)<br />

*<br />

XVI<br />

Non bisognerebbe strappare <strong>la</strong> gente dal<strong>la</strong> sua terra o paese, non a forza.<br />

La gente rimane afflitta, <strong>la</strong> terra rimane afflitta.<br />

Nasciamo e ci tagliano il cordone ombelicale. Ci esiliano e<br />

nessuno ci taglia <strong>la</strong> memoria, <strong>la</strong> l<strong>in</strong>gua, gli entusiasmi. Dobbiamo<br />

imparare a vivere come il garofano dell’aria, esattamente dell’aria.<br />

Sono una pianta mostruosa. Le mie radici sono a migliaia di<br />

chilometri da me e non ci lega uno stelo, ci separano due mari<br />

e un oceano. Il sole mi guarda quando esse respirano nel<strong>la</strong> notte,<br />

dolgono di notte sotto il sole.<br />

*<br />

XVIII<br />

Il vento che entra <strong>in</strong> cuc<strong>in</strong>a smuove il manifesto con il volto di qualche<br />

attrice del c<strong>in</strong>ema muto. Mary Pickford forse. È bel<strong>la</strong>, i suoi occhi bril<strong>la</strong>no<br />

soavemente e con <strong>la</strong> bocca costruiscono un semisorriso tenerissimo, silenzioso.<br />

Anche noi, <strong>qui</strong>, siamo attori muti. Abbiamo dolci<br />

lucentezze, tenerezze sporche di sangue secco come bamb<strong>in</strong>i, molto silenzio<br />

<strong>in</strong>torno.<br />

La p<strong>la</strong>tea preferisce il film sonoro. Chi ha fatto questa pellico<strong>la</strong>? Da<br />

questo <strong>la</strong>to dello schermo, il nostro, si odono morti che mol<strong>la</strong>no <strong>la</strong> vita<br />

a poco a poco come uno scricchio<strong>la</strong>re di sogni, i torturati gridano, crepita<br />

<strong>la</strong> gente <strong>in</strong> prigione, sotto il frastuono degli stivali militari<br />

l’<strong>in</strong>giustizia è un ruggito <strong>in</strong>fernale. Dall’altro <strong>la</strong>to, sembra veder passare<br />

fantasmi pallidi e nessun piano li annuncia.<br />

Ti amo, Mary Pickford, so che adesso mi ami. Entra il vento e<br />

scuote i nostri amori di carta.<br />

(Da Bajo <strong>la</strong> lluvia ajena, 1980)<br />

[traduzione di Emilio Coco]<br />

Notizia.<br />

Juan Gelman nacque a Buenos Aires, nel 1930, nello storico quartiere di Vil<strong>la</strong> Crespo. Nel<strong>la</strong> sua<br />

giov<strong>in</strong>ezza fece parte di diversi gruppi e movimenti letterari. Con l’avvento del<strong>la</strong> dittatura, a causa del<strong>la</strong><br />

sua militanza nell’organizzazione rivoluzionaria “Montoneros” (da cui poi si separò per dissensi con i<br />

dirigenti), dovette esiliarsi <strong>in</strong> vari paesi europei, tra cui l’Italia, e <strong>la</strong>t<strong>in</strong>oamericani. Durante <strong>la</strong> dittatura del<br />

generale Rafael Vide<strong>la</strong>, furono barbaramente assass<strong>in</strong>ati suo figlio Marcelo e <strong>la</strong> nuora C<strong>la</strong>udia. La loro<br />

figlia nacque <strong>in</strong> un campo di prigionia e se ne persero le tracce. Solo alcuni anni fa, dopo lunghi anni di<br />

<strong>in</strong>tense ricerche, Gelman ha potuto riunirsi con sua nipote <strong>in</strong> Uruguay e, pur avendo ottenuto <strong>la</strong> grazia,<br />

ha scelto di vivere <strong>in</strong> Messico, anche se «a tornare, torno tutti gli anni, ma non per restare. La domanda<br />

per me non è perché non vivo <strong>in</strong> Argent<strong>in</strong>a, ma perché vivo <strong>in</strong> Messico. E <strong>la</strong> risposta è molto semplice:<br />

perché sono <strong>in</strong>namorato di mia moglie, questo è tutto». Nel 1997 ha ricevuto il Premio Nazionale di<br />

Poesia e <strong>la</strong> città di Buenos Aires lo ha onorato recentemente con il titolo di «cittad<strong>in</strong>o illustre». Con <strong>la</strong> sua<br />

prima prova poetica Violín y otras cuestiones (1956), presentata entusiasticamente da un altro grande<br />

del<strong>la</strong> poesia, Raúl González Tuñón, ricevette immediatamente l’elogio del<strong>la</strong> critica. La sua opera è stata<br />

211


tradotta <strong>in</strong> dieci l<strong>in</strong>gue. Gotán (1956-1962), Cólera Buey (1965), Los poemas de Sidney West (1969),<br />

Eso (1983-1984), La abierta oscuridad (1993), Dibaxu (1994), Debí decir te amo (antología personal,<br />

1997), Valer <strong>la</strong> pena (2002), País que fue será (2004), Los Poemas de Sidney West: Selección (<strong>in</strong>clude<br />

CD, 2005), Oficio Ardiente (2005), Miradas (2006) figurano tra i numerosi titoli del<strong>la</strong> sua opera poetica.<br />

Considerato da molti critici come uno dei più grandi poeti contemporanei, <strong>la</strong> sua opera, tesa al<strong>la</strong> ricerca di<br />

un l<strong>in</strong>guaggio personalissimo, sia attraverso il realismo critico e l’<strong>in</strong>timismo prima, sia dopo con aperture<br />

verso altre estetiche, non rifugge dal compromesso sociale e politico, come forma di avvic<strong>in</strong>are <strong>la</strong> poesia<br />

alle grandi questioni del nostro tempo. I fatti più banali diventano atti poetici per il solo fatto di<br />

enunciarli. Tutto – <strong>la</strong> politica, l’amore, <strong>la</strong> morte, il dolore, <strong>la</strong> gioia – trova posto nei suoi versi, nei quali<br />

l’<strong>in</strong>teresse per il quotidiano s’<strong>in</strong>treccia con una forte <strong>in</strong>dignazione di fronte all’<strong>in</strong>giustizia.<br />

212


ISOLA TORTUGA<br />

Mi sveglio feroce stamatt<strong>in</strong>a,<br />

con voglia d’amore e co<strong>la</strong>zione <strong>in</strong> campagna.<br />

M’impossesso del<strong>la</strong> città<br />

abbandonata agli uccelli come un<br />

paese costiero dopo una tormenta,<br />

e penso a quel che resta:<br />

un promontorio,<br />

un aspro rifugio visitato<br />

da un post<strong>in</strong>o con <strong>la</strong> borsa vuota<br />

e che gioca ai dadi nel<strong>la</strong> penombra del<strong>la</strong><br />

cuc<strong>in</strong>a.<br />

Non mi aspetto niente dall’estate.<br />

Non mi aspetto niente dal<strong>la</strong> poesia.<br />

Bisogna pitturare quel<strong>la</strong> porta arrugg<strong>in</strong>ita<br />

e raccontarmi qualche favo<strong>la</strong> di quando<br />

i pirati erano seri, signori del<strong>la</strong> paro<strong>la</strong><br />

asciutta<br />

e col cuore ammollito come una prugna<br />

nel<strong>la</strong> brocca di rum.<br />

*<br />

POST SCRPTUM<br />

E non ti ho par<strong>la</strong>to ancora del<br />

deterioramento del<strong>la</strong> posta <strong>in</strong> questa oscura prov<strong>in</strong>cia<br />

dell’impero.<br />

L’impiegato grugnisce unicamente<br />

sdraiato contro un calendario dell’anno precedente<br />

(uno sfondo eccessivo di fiori, vacche e montagne)<br />

ma adesso si è <strong>in</strong>namorato delle dest<strong>in</strong>azioni delle mie lettere,<br />

sorride – qualche volta –<br />

e posso scommettere che pensa a me<br />

quando attraversa i ponti diretto al suo cusc<strong>in</strong>o.<br />

Ci si può impadronire dei sogni degli altri<br />

per non morire, si può accettare <strong>la</strong> vita come una<br />

rappresentazione del desiderio.<br />

Così senza turbolenze, <strong>in</strong>vento false<br />

lettere da scrivere –<br />

esotici mittenti nel matt<strong>in</strong>o che trema –<br />

e quell’uomo e io<br />

torniamo a essere porosi, <strong>in</strong>v<strong>in</strong>cibili,<br />

per un momento.<br />

*<br />

LA SUPERFICIE DELL’ESTATE<br />

C’è un grillo sotto il coperchio e radici che pendono<br />

nel corridoio.<br />

Ci sono resti di mais, di arenili di fiume,<br />

marzo calpesta le strade e stabilisce il dubbio<br />

come trionfo sul<strong>la</strong> tavo<strong>la</strong>.<br />

È tempo di term<strong>in</strong>are le storie<br />

e metterle ad asciugare (<strong>la</strong> vita è vestita<br />

da noi da molto presto.)<br />

La mia amica dice: “Il mondo è <strong>in</strong>con<strong>qui</strong>stabile”<br />

mentre <strong>la</strong> cicca le brucia le dita e<br />

annebbia gli occhi<br />

“Ma ho rubato a un uomo il cuore”.<br />

213


Che hai fatto di lui, non dico, dice il vento,<br />

che hai fatto di lui.<br />

*<br />

ESTATE 1954<br />

Lancio <strong>in</strong> aria un cappello immag<strong>in</strong>ario<br />

e vivo un altro giorno.<br />

Nascosta <strong>in</strong> qualche luogo tra <strong>la</strong> stanchezza<br />

e il dolore, sta <strong>la</strong> passione.<br />

Chiudo gli occhi nel buio<br />

e muoio un altro giorno.<br />

Sta buttando il cappello da una terrazza:<br />

una ragazza magra, dal<strong>la</strong> triste curiosità.<br />

Infi<strong>la</strong>ta <strong>in</strong> un vestito più grande dei suoi sogni<br />

(e nei sogni di altri.)<br />

Che cos’era che cantavano tutti <strong>in</strong>torno,<br />

c’è una grande cornice per una canzone che l’esclude,<br />

che cosa era che cantavano.<br />

Nascosta <strong>in</strong> qualche posto tra <strong>la</strong> r<strong>in</strong>ghiera<br />

e il vuoto, sta <strong>la</strong> passione.<br />

*<br />

LO SCA<strong>MB</strong>IO<br />

In alcune poesie l’arte è l’acquerello,<br />

l’arte del<strong>la</strong> diluizione, scrivo,<br />

e i cigni di Natales si dileguano davanti al<strong>la</strong> paro<strong>la</strong> cigno.<br />

La vita si nasconde dietro il colore<br />

per <strong>in</strong>gannarmi,<br />

<strong>la</strong> vita rischia di diventare una lettera <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ita.<br />

«Una moneta per ogni paro<strong>la</strong> mi dava<br />

il tempo,<br />

lo <strong>in</strong>vitavo a passare ( lui andava sempre <strong>in</strong> fretta),<br />

gli rega<strong>la</strong>vo un francobollo raro e un bicchiere di tè freddo».<br />

In alcune poesie l’arte è il tatuaggio, scrivo,<br />

e aggiungo: le parole dolgono molto più<br />

del peso delle cose.<br />

A volte il mondo è lento e vecchio come una casa<br />

che odora di nave e di stiva<br />

e riceve i gabbiani come grandi presenze.<br />

A volte il mondo mi restituisce<br />

<strong>la</strong> visita del tempo – affabile ma deciso –<br />

che rec<strong>la</strong>ma <strong>la</strong> sua parte di leone.<br />

Apro le credenze, mostro il cielo.<br />

Il fulgore delle poche parole che mi restano<br />

è <strong>la</strong> mia oscura tensione<br />

– <strong>in</strong> fondo al<strong>la</strong> mia felicità –<br />

<strong>la</strong> bellezza di quelle palme spett<strong>in</strong>ate<br />

contro <strong>la</strong> <strong>la</strong>ncia sul punto di partire.<br />

214


*<br />

CONSOLE ONORARIA<br />

Ti scrivo dal nul<strong>la</strong>,<br />

picco<strong>la</strong> oscura funzionaria che non vede nemmeno il fiume.<br />

La cupo<strong>la</strong> rotta si riflette nelle pozzanghere<br />

quando piove<br />

ed è l’unico posto <strong>in</strong> cui bril<strong>la</strong> l’esilio,<br />

l’unica moneta che sembra d’oro.<br />

All’ora del caffè tutti par<strong>la</strong>no di niente,<br />

si aspetta una tempesta (che possa staccare lo smalto<br />

dell’aria) o <strong>la</strong> notifica di un’altra dest<strong>in</strong>azione.<br />

Mi sento come un console nel<strong>la</strong> mia stessa città:<br />

una poesia r<strong>in</strong>secchita sotto il rapporto, una lettera<br />

a metà, un <strong>in</strong>vito per <strong>la</strong> festa al molo.<br />

Quel<strong>la</strong> donna con gli occhi pesantemente truccati devo essere io,<br />

che saluta sotto <strong>la</strong> luce arancione<br />

dei <strong>la</strong>mpioni di carta e immag<strong>in</strong>a una goletta<br />

ormeggiata a pochi passi<br />

e <strong>la</strong> sua scrivania che galleggia <strong>in</strong> alto mare.<br />

Il vento è debole<br />

e l’umidità delle piante il punto d’impressione.<br />

Una città, un’altra città, s’<strong>in</strong>cl<strong>in</strong>ano sul<strong>la</strong> mia vita<br />

con <strong>la</strong> loro storia (e non piangono <strong>la</strong> mia).<br />

Nomi così forti come alberi,<br />

hanno le loro buone ragioni per arrivare f<strong>in</strong>o <strong>in</strong> cielo e cercare<br />

di resistere all’uragano (che pure ur<strong>la</strong> un nome).<br />

La vecchia furia di non saper dove camm<strong>in</strong>o è presente<br />

(come un c<strong>la</strong>ssico).<br />

Una nebbia che si alza dall’acqua e nasconde<br />

l’orizzonte.<br />

Vedo i miei piedi, vedo il ripiegamento,<br />

<strong>la</strong> notte che f<strong>in</strong>isce senza essere com<strong>in</strong>ciata,<br />

un quaderno di appunti negli ospedali del mondo.<br />

Una pazzia di cristallo, accasermata.<br />

*<br />

III<br />

Acqua dolce è il nome del caffè<br />

e il nome che mi sussurrava il mio primo amante.<br />

Io non ero dolce, <strong>la</strong> furia appariva nell’estate<br />

durante una partita di scacchi<br />

che sarebbe durata f<strong>in</strong>o a che gli alberi avessero detto basta.<br />

È ancora estate, gli alberi non dicono basta<br />

e <strong>la</strong> luce sul ponte<br />

segna quel<strong>la</strong> fragile furia diventata frontiere,<br />

schegge di poesie,<br />

tesori che più non hanno scrigno dove custodirli.<br />

Che cosa è scrivere se non modificare il respiro<br />

delle città?<br />

Mi avvio al caffè per mano a un mar<strong>in</strong>aio russo<br />

che era appena sceso dal<strong>la</strong> sua nave verso il g<strong>in</strong><br />

oscil<strong>la</strong>ndo su una strad<strong>in</strong>a fiancheggiata da narcisi.<br />

Nel suo <strong>in</strong>glese primitivo può raccontarmi poco.<br />

Mi mostra varie foto tra i bicchieri ardenti<br />

e guardo<br />

(Da quanto tempo sono sveglia e guardo,<br />

215


sveglia tutto il tempo per guardare?)<br />

Una casa di periferia, abbandonata a un orgoglio di<br />

padel<strong>la</strong>, di zerb<strong>in</strong>o, di caffettiera lucente.<br />

Con l’animo vuoto contemplo un cane nero<br />

e più <strong>in</strong>dietro, <strong>la</strong> cicatrice del<strong>la</strong> sconfitta<br />

nel<strong>la</strong> mia stessa memoria che pure si guarda.<br />

Esco dal<strong>la</strong> foto <strong>in</strong> una soglia,<br />

<strong>in</strong> una notte calda <strong>in</strong> una città così grande<br />

che non crede a se stessa, solo palpita e <strong>in</strong> essa<br />

per caso ci riconosciamo: <strong>la</strong> pietra scura del foco<strong>la</strong>re<br />

(non scompare <strong>la</strong> macchia, non scompare con <strong>la</strong> spugna e<br />

lo sforzo del braccio e <strong>la</strong> vertig<strong>in</strong>e delle stelle<br />

mentre spiamo l’identico gesto del padre<br />

e una bandiera diversa).<br />

Insonni, riuniremo fra un po’ <strong>la</strong> nostra ost<strong>in</strong>azione.<br />

Chi è venuta prima, l’orfanezza o <strong>la</strong> ferita?<br />

Per adesso è il vento lo scrittore assoluto,<br />

il padrone di tutte le storie.<br />

*<br />

BLACK MASK<br />

Nel romanzo nero<br />

lei non si <strong>in</strong>namorerebbe dell’assass<strong>in</strong>o,<br />

sarebbe <strong>la</strong> torva <strong>in</strong>genua baller<strong>in</strong>a di cabaret<br />

o <strong>la</strong> dolce – nient’affatto <strong>in</strong>genua –<br />

bambo<strong>la</strong> dagli occhi come cervi, capelli<br />

da agitare nel vento tra le acacie.<br />

Nel romanzo nero<br />

non potrebbe mai attraversare <strong>la</strong> l<strong>in</strong>ea,<br />

sotto il suo respiro<br />

starebbero i muri gialli,<br />

<strong>la</strong> seduzione di un eroe da abbracciare.<br />

E non importerebbe <strong>la</strong> tensione del<strong>la</strong> poesia<br />

o del<strong>la</strong> sua schiena<br />

che sostiene il mondo.<br />

Nel romanzo nero lei non avrebbe quest’asfissia,<br />

questo ritornello che <strong>in</strong>vecchia<br />

man mano che mangia del suo pane<br />

e apre le braccia al buio<br />

<strong>in</strong> uno scandalo <strong>in</strong>compiuto.<br />

Se qualcosa <strong>la</strong> abita<br />

è <strong>la</strong> memoria di un porto <strong>in</strong>significante<br />

e caldo<br />

dove <strong>la</strong> morte non è uno scoppio<br />

ma una conversazione, una chiara evidenza.<br />

*<br />

L’APPUNTAMENTO<br />

Avremmo preso il v<strong>in</strong>o del crepuscolo<br />

sedute sul pavimento,<br />

a spiegare il dolore e gli amori letterari<br />

<strong>in</strong> memoria di Ana Ca<strong>la</strong>brese<br />

216


come una tovaglia: alcuni buchi e colori sicuri.<br />

Due donne espulse dall’idioma, dal<strong>la</strong> festa,<br />

da un’ost<strong>in</strong>ata <strong>la</strong>titud<strong>in</strong>e.<br />

Avremmo <strong>la</strong>sciato che il fiume ci <strong>in</strong>vadesse<br />

(tutti gli amici mi par<strong>la</strong>rono più del fiume<br />

che del<strong>la</strong> tua disperazione).<br />

Pezzetti di sughero, storie di qualcuno<br />

ossessionato dal<strong>la</strong> libertà dello spirito, resti<br />

di un angelo dip<strong>in</strong>to su un appendiabiti di legno.<br />

Il tuo suicidio annunciato li portò a rifugiarsi nel bosco<br />

(loro, i lupi, gli amici),<br />

li svuotò di parole.<br />

Strano fiore di ombre c<strong>in</strong>esi sul<strong>la</strong> parete,<br />

diventasti una voce e un silenzio contro un fiume.<br />

Una poesia condannata a una scato<strong>la</strong> <strong>in</strong>afferrabile.<br />

*<br />

LA MORTE DELL’IMMAGINAZIONE<br />

Nessuno scrive al cuore,<br />

nessuno osa attraversare <strong>la</strong> notte remando<br />

nelle <strong>in</strong>temperie<br />

(nessuno si vede).<br />

E se fu solo un amore nero, sussurrante<br />

che non dà niente<br />

il viaggio più lontano fu quello del<strong>la</strong> mia testa<br />

verso <strong>la</strong> sua spal<strong>la</strong><br />

(il più <strong>in</strong>utile).<br />

Il ramo sbatte sul<strong>la</strong> terrazza<br />

ma è soltanto buia. La paura<br />

si siede a mangiare un pasticc<strong>in</strong>o <strong>in</strong> cuc<strong>in</strong>a<br />

(e dice che è reale).<br />

Qualcuno ha potuto toccare <strong>la</strong> disperazione?<br />

Velluto, carta di giornale, una <strong>la</strong>tt<strong>in</strong>a ossidata,<br />

non c’è vacc<strong>in</strong>o contro le superfici.<br />

Il mondo è un buco tappato con vernice<br />

(e non respira).<br />

*<br />

PIOVVE TUTTA L’ESTATE<br />

E <strong>la</strong> vigilia odorava di orto <strong>in</strong> piena fol<strong>la</strong>.<br />

Lei solo si guardava nelle vecchie pellicole,<br />

seppelliva parole come ossi di cane<br />

Ciò che temo di più è <strong>la</strong> morte dell’immag<strong>in</strong>azione.<br />

Sylvia P<strong>la</strong>th<br />

a María del Carmen Colombo<br />

217


<strong>in</strong>vece di scrivere (<strong>in</strong>vece di vivere.)<br />

Non c’erano segni nelle cose,<br />

le f<strong>in</strong>zioni erano questo: f<strong>in</strong>zioni rivoltate<br />

nel<strong>la</strong> polvere del mondo.<br />

Un viaggio sonnambulo verso una citazione di Barthes.<br />

Da ogni parte pendevano panni umidi<br />

e il caffè si annacquava come il cielo.<br />

«Chi abiterà nel<strong>la</strong> casa a fianco?<br />

Un cane abbaia, ha <strong>la</strong> testa bendata<br />

come Apoll<strong>in</strong>aire,<br />

quel rock suona come lo stesso <strong>in</strong>ferno<br />

o come un paradiso che non espelle <strong>la</strong> furia per esistere.»<br />

Tutta l’estate lei si rifugiava nel<strong>la</strong> sua stessa assenza<br />

come se fosse <strong>la</strong> casa di campagna del posto<br />

(come se fosse il posto).<br />

La contrazione confusa di un’epica cancel<strong>la</strong>ta<br />

dal<strong>la</strong> pioggia.<br />

Un erotismo silenzioso def<strong>in</strong>iva <strong>la</strong> vita nel<strong>la</strong> cospirazione<br />

del buio,<br />

come un altro buio<br />

(molto vic<strong>in</strong>o).<br />

[traduzione di Emilio Coco]<br />

Notizia.<br />

Paul<strong>in</strong>a V<strong>in</strong>derman è nata a Buenos Aires nel 1944. Ha pubblicato i seguenti libri di poesia: Los espejos y<br />

los puentes (Buenos Aires Sur, 1978), La otra ciudad (Botel<strong>la</strong> al Mar,1980), La mirada de los héroes<br />

(Botel<strong>la</strong> al Mar, 1982), La Ba<strong>la</strong>da de Cordelia (Fundación Argent<strong>in</strong>a para <strong>la</strong> poesía, 1984), Rojo junio<br />

(Literatura Americana Reunida, 1988), Escalera de <strong>in</strong>cendio (Último re<strong>in</strong>o, 1994), Bulgaria (Libros de<br />

Alejandría, 1998), El muelle (Alción, 2003) e Hospital de veteranos (Alción, 2006). È, <strong>in</strong>oltre, autrice di<br />

due antologie: Cónsul honoraria (antología personal, V<strong>in</strong>ciguerra, 2005) e Transparencias (Ar<strong>qui</strong>trave,<br />

Bogotá, Colombia, 2005). Ha ottenuto, tra gli altri riconoscimenti, il Terzo e Secondo Premio Municipale<br />

(1988-89 e 1998-99, rispettivamente), il Premio Regionale, Segreteria di Cultura del<strong>la</strong> Nazione, 1993-94,<br />

il Fondo nazionale delle Arti 2002 e 2005 e il Premio Città di Cremona, Italia, 2006, all’<strong>in</strong>sieme del<strong>la</strong> sua<br />

opera. Ha col<strong>la</strong>borato, con poesie, articoli e recensioni letterarie a diverse riviste e periodici sia nazionali<br />

che <strong>in</strong>ternazionali, come La Nación (Buenos Aires), La Prensa (Buenos Aires), El Espectador (Bogotá),<br />

Hora de Poesía (Spagna), Babel (Buenos Aires), Intramuros (Buenos Aires), ecc. È stata <strong>in</strong>vitata al Primo<br />

Incontro di poeti ispanoamericani a Bogotà, nel 1992 e al Terzo Festival Internazionale di Poesia di<br />

Medellín nel 1993.<br />

218


Letture<br />

219


Canto II<br />

Gli bastavano i ritagli le riviste che comprava <strong>in</strong> settimana per sapere<br />

del<strong>la</strong> vita e certe foto conservava per copiarne il buon vestire<br />

<strong>la</strong> postura che allo specchio ripeteva <strong>in</strong> precisione:<br />

il tre quarti dello sguardo il sorriso di chi v<strong>in</strong>ce <strong>la</strong> partita…<br />

*<br />

Canto III<br />

Occorre l’ord<strong>in</strong>e al vestire, occorre <strong>la</strong> coerenza<br />

per l’<strong>in</strong>ganno. Cosi ripeteva mentre a mani lisce tutto il bordo<br />

del<strong>la</strong> giacca a risalire, i risvolti, <strong>la</strong> camicia <strong>in</strong>tonsa attorno al collo<br />

troppo stretta eppure esatta per l’immag<strong>in</strong>e allo specchio.<br />

Un ampio gesto, un ritocco anche ai capelli<br />

già perfetti nell’assetto e tutto il resto: perfezione ripeteva<br />

offrirsi certi come il volto di quell’uomo imparato al<strong>la</strong> tivù.<br />

Sono meglio a ben vedere, anche più vero:<br />

guardava gli occhi nel riflesso, l’adesione<br />

dell’immag<strong>in</strong>e per il verso che voleva…<br />

Anche <strong>la</strong> pelle era esatta nel colore, con il tono preso a tempo<br />

nel so<strong>la</strong>rium dietro casa. Perfezione ripeteva<br />

e si mostrava sul<strong>la</strong> porta al<strong>la</strong> moglie già vestita.<br />

Mano a mano senza dire. Non dicevano mai nul<strong>la</strong>. Troppo spesso<br />

non trovavano che dire. E non trovava altre cose a ben vedere:<br />

una ragione per restare soprattutto…<br />

*<br />

Canto V<br />

Occorrevano quei riti al<strong>la</strong> forma di famiglia<br />

allo stato fermo e ricco di famiglia benestante:<br />

il bamb<strong>in</strong>o da <strong>la</strong>sciare nel rec<strong>in</strong>to a piano terra<br />

con lo scivolo ed i giochi, con le bolle <strong>in</strong> gommapiuma<br />

poi ognuno al<strong>la</strong> funzione, certi ac<strong>qui</strong>sti nel carrello<br />

da riempire <strong>in</strong> ogni spazio, certe marche che sapeva<br />

esser meglio come il detto chi più spende meno spende<br />

e l’offerta raccoglieva, il tre per due con il regalo<br />

con il punto che spedito mette <strong>in</strong> gara all’estrazione.<br />

Occorre molto ripeteva, occorre avere<br />

per sapere che felici non si accade e il prodotto è un senso primo<br />

colma fitto ogni altro smarrimento: è una vita che <strong>la</strong>voro<br />

certe cose sono diritto come prendere il prodotto senza il marcio del<strong>la</strong> rogna<br />

senza essere fregati<br />

e chi si fida di quei nomi, i mai sentiti al<strong>la</strong> tivù?<br />

Poi <strong>la</strong> fame nom<strong>in</strong>ava: niente basta<br />

mentre fuori nel parcheggio tra le auto tutte <strong>in</strong> fi<strong>la</strong> il carrello accanto e pieno<br />

scaricava nel baule, ogni sporta chiusa bene perché niente si smarrisse<br />

perché nul<strong>la</strong> andasse perso, fosse preda d’altre mani…<br />

220


*<br />

Canto XVI<br />

Qualcosa spetta ripeteva, ancora qualcosa e sono felice: ma <strong>la</strong> donna<br />

a cavalcioni nello sforzo non vedeva, né le mani c<strong>in</strong>gere quei seni<br />

sobbalzare sotto i colpi. Solo lei che le pupille verso il viso rimandava<br />

un solo sguardo gli chiedeva che donasse almeno un senso allo sforzo<br />

del<strong>la</strong> carne. Fotti come un animale gli diceva a voce bassa poi veniva<br />

con guaiti aggrappando alle lenzuo<strong>la</strong>. A che pensi domandava appena dopo:<br />

domani parto con mia moglie rispondeva, resto fuori nel week end…<br />

*<br />

Canto XVIII<br />

Stare attenti ad ogni gesto<br />

cancel<strong>la</strong>re <strong>la</strong> memoria al cellu<strong>la</strong>re<br />

era questo che premeva poco prima di rientrare<br />

poco prima di rimettere le chiavi nel portone<br />

risalire per le scale<br />

ritornare col sorriso al<strong>la</strong> recita serale<br />

con <strong>la</strong> cena, le notizie da ascoltare<br />

che <strong>in</strong> cuc<strong>in</strong>a rispondevano al silenzio<br />

con i piatti già riempiti e mezza cena da f<strong>in</strong>ire<br />

ritornare col sorriso e l’accenno per un gesto<br />

che veniva rifiutato….Si cenava con il film, gli occhi alti<br />

per lo schermo che aiutava a superare almeno il tempo<br />

del contatto, delle forme messe accanto<br />

a cibarsi d’altra forma, d’alimento e niente altro.<br />

Lava i denti del bamb<strong>in</strong>o gli diceva a denti stretti<br />

che sia a letto per le nove…<br />

*<br />

Canto XXV<br />

Come gli altri anche loro certe volte se d’estate<br />

il tempo regge, se d’estate con il sole: nel giard<strong>in</strong>o <strong>la</strong> grigliata<br />

con i tavoli le sedie con l’odore del<strong>la</strong> carne<br />

e il marito col grembiule con <strong>la</strong> birra che discute<br />

mentre attorno coi vic<strong>in</strong>i si ritorna sul <strong>la</strong>voro, alle rate del pc<br />

all’offerta che al super offre un nuovo dvd ma di quelli americani<br />

e le mogli più discoste sotto il melo e dentro l’ombra<br />

che si scambiano consigli tutte assorte dentro il ruolo<br />

e a turno ognuna chiama con il nome il proprio figlio<br />

che div<strong>in</strong>co<strong>la</strong> nel prato a r<strong>in</strong>correre il pallone<br />

che <strong>la</strong>nciato contro il box fa tuonare <strong>la</strong> <strong>la</strong>miera<br />

manca poco che si mangia<br />

poi a tavo<strong>la</strong> per lungo con il v<strong>in</strong>o quello buono<br />

da provare nell’assenso perché sa dove comprare<br />

e le mogli <strong>in</strong> altre cose ed i figli<br />

a metà pasto sono andati per giocare, sono <strong>in</strong>torno<br />

221


già divisi per le cose da <strong>in</strong>ventare, chi si arrampica sul melo<br />

chi improvvisa <strong>la</strong> partita le magliette a far da porta<br />

ed il sole va scendendo ch’è già ora di tornare. Solo dopo<br />

<strong>la</strong> certezza che <strong>la</strong> vita è come un film, col giard<strong>in</strong>o americano<br />

e tutto torna a ben vedere<br />

e non est<strong>in</strong>gue <strong>in</strong> episodi…<br />

[Da "Registro dei fragili", <strong>in</strong>edito]<br />

Notizia.<br />

Fabiano Alborghetti è nato a Mi<strong>la</strong>no nel 1970 e vive a Lugano. Ha pubblicato due raccolte poetiche,<br />

presso l'editore Lietocolle (Faloppio): Verso Buda (2004) e L'opposta riva (2006). Quest'ultima è stata<br />

scritta dopo aver vissuto tre anni coi c<strong>la</strong>ndest<strong>in</strong>i ed è composta come una sorta di “Spoon River” dei vivi.<br />

Ha pubblicato testi su varie antologie e col<strong>la</strong>bora con numerose riviste letterarie. Scrive <strong>in</strong>oltre per il<br />

teatro ed è fotografo.<br />

222


SANTA MARIA A PIÈ DI CHIENTI<br />

Dita rattrappite a corone<br />

di f<strong>in</strong>ta madreper<strong>la</strong><br />

sul bal<strong>la</strong>toio <strong>in</strong> pura pietra verg<strong>in</strong>e<br />

roto<strong>la</strong> affaticata l’eco<br />

di madrigali domestici<br />

nel<strong>la</strong> zona <strong>in</strong>dustriale vespri<br />

di vecchie levate presto <strong>la</strong> matt<strong>in</strong>a<br />

perché hanno fretta di morire.<br />

*<br />

GOTICA<br />

Mi <strong>la</strong>sci guardarmi<br />

e mi chiedi se vedo<br />

il viso facciata scolpita<br />

<strong>la</strong> bocca portale socchiuso<br />

- ho sognato per i miei seni<br />

rotondità di absidi<br />

e gambe p<strong>in</strong>nacoli svettanti -<br />

mi r<strong>in</strong>corre <strong>la</strong> fuga<br />

di una so<strong>la</strong> navata<br />

transetti le braccia<br />

nel ventre un<br />

vuoto di cattedrale.<br />

*<br />

SALMO DI STAGIONE<br />

Salmo di stagione<br />

quotidiana recita<br />

Nostra Signora del crocicchio<br />

tabernacolo voto<br />

fioretto spada<br />

ruota degli orfani<br />

edico<strong>la</strong> di strada<br />

il vestito di novembre<br />

piange come i vecchi.<br />

*<br />

La sera m’impone compagnia.<br />

Nel bicchiere<br />

il discreto naufragio<br />

del silenzio che non dico.<br />

Addomestico l’umore<br />

e le <strong>la</strong>bbra<br />

a una spuma<br />

che sa di capodanno.<br />

Una risata passa<br />

come uva nel<strong>la</strong> stanza.<br />

223


*<br />

Ci teneva stretti il vicolo<br />

nell’<strong>in</strong>castro imbalsamato<br />

dei mattoni<br />

<strong>la</strong> notte che i gatti<br />

ci sorpresero a pisciare<br />

sui portoni delle case<br />

imprevisti come una visitazione<br />

e contro le r<strong>in</strong>ghiere<br />

<strong>in</strong> e<strong>qui</strong>librio<br />

sopra i neon del<strong>la</strong> città<br />

vecchia di ciottoli e viali.<br />

*<br />

Se mi volto e non ha cura<br />

<strong>la</strong> persistenza dell’odore<br />

una grammatica di versi<br />

che ci sopravvivano<br />

è l’unica obiezione<br />

agli amuleti z<strong>in</strong>gari<br />

con cui distrai <strong>la</strong> rotta<br />

agli aerop<strong>la</strong>ni.<br />

[Dall’antologia “L’opera cont<strong>in</strong>ua” (Giulio Perrone Editore, Roma, 2005)]<br />

*<br />

FUGA IN ALBIONE<br />

Rimbocco <strong>la</strong> Manica<br />

e il collo del maglione<br />

serrata <strong>la</strong> bocca<br />

<strong>in</strong> un saluto e i boccaporti<br />

scolorano scie d’elica<br />

<strong>in</strong>seguite da chi resta<br />

s’<strong>in</strong>chioda a un molo<br />

non nuota e non affoga.<br />

Io le ho perse – già-<br />

<strong>in</strong> partenza e nell’arrivo<br />

a uno scoglio bianco smisurato<br />

dentatura se esiste di balena<br />

teoria e tramonto di polene<br />

seni d’acciaio eros metallo<br />

prua <strong>in</strong> benvenuto.<br />

Raccoglie transfughi moderni<br />

<strong>la</strong> perfida Albione<br />

e ora coperta da miglia mar<strong>in</strong>are<br />

sto dove il tempo al<strong>la</strong> f<strong>in</strong>estra<br />

è un marg<strong>in</strong>e mutevole<br />

e piovoso.<br />

224


*<br />

PADDINGTON STATION<br />

Il fruttivendolo accampato nel<strong>la</strong> metro<br />

tra <strong>la</strong> sca<strong>la</strong> mobile e l’uscita<br />

è un verso rubato a Ferl<strong>in</strong>ghetti.<br />

Un’<strong>in</strong>diana <strong>in</strong> sari vio<strong>la</strong><br />

compra raspberries al sacchetto<br />

e <strong>in</strong>tanto al<strong>la</strong>tta tre bamb<strong>in</strong>i<br />

aggrappati al<strong>la</strong> sottana<br />

tenda abbassata<br />

bacio sul collo del piede.<br />

Mi appoggio a quel che resta<br />

di un <strong>la</strong>mpione vittoriano<br />

valigie a rotelle<br />

tracciano lunghezze di b<strong>in</strong>ario<br />

orizzonti frettolosi<br />

paralleli al pavimento.<br />

Mastico il tempo<br />

trascorso vuoto<br />

che rimane<br />

e una barra ai cereali<br />

comprata <strong>in</strong>sieme<br />

ai quotidiani.<br />

Tra due ore avrò di nuovo fame.<br />

*<br />

PROVINCIA<br />

ruralità sommersa<br />

di bastioni <strong>in</strong>dustriali<br />

asfalti opachi<br />

<strong>la</strong>vori <strong>in</strong> corso<br />

e case popo<strong>la</strong>ri<br />

sto attenta al cane<br />

e al padrone<br />

come vuole <strong>la</strong> scritta<br />

sul cancello dei vic<strong>in</strong>i.<br />

*<br />

IL RIPOSO<br />

Ai padri una domenica<br />

da auto<strong>la</strong>vaggio<br />

ai figli il funerale<br />

di una lucerto<strong>la</strong><br />

che non vuole fiori<br />

né opere di bene<br />

ma ur<strong>la</strong> feroci<br />

di ragazz<strong>in</strong>i r<strong>in</strong>corse<br />

sudate di pallone<br />

nei cortili acciotto<strong>la</strong>ti<br />

e sfranti tra i pa<strong>la</strong>zzi.<br />

225


*<br />

FERMO, UN POCO MOSSO<br />

Fermo è perimetro<br />

orto rec<strong>in</strong>to d’animale<br />

è terra sist<strong>in</strong>a<br />

prov<strong>in</strong>cia <strong>in</strong>t<strong>in</strong>ta di papi<br />

è figlia di un do m<strong>in</strong>ore<br />

quello dei musicisti<br />

dritti nei conservatori<br />

quello di petto bulgaro<br />

tenore che s’accorda<br />

con <strong>la</strong> moglie viol<strong>in</strong>ista.<br />

Fermo è il convento<br />

che non ti puoi affacciare<br />

<strong>la</strong> coda <strong>in</strong>differente<br />

che si reca al santuario<br />

madonna che sangu<strong>in</strong>a di spade.<br />

Fermo è il convitto<br />

dell’istituto <strong>in</strong>dustriale<br />

e ferme le auto <strong>in</strong> sosta<br />

che bloccano le strade.<br />

*<br />

LAUTO RITRATTO<br />

A tutte le città che mi hanno visto<br />

riservo il medesimo rituale<br />

di rabbia e commozione<br />

spal<strong>la</strong>te all’<strong>in</strong>tonaco dei muri<br />

rugg<strong>in</strong>e di tubature<br />

<strong>in</strong>castrata nelle unghie<br />

le automobili <strong>in</strong> corsa<br />

le scavalco come si guada un fiume<br />

passanti <strong>in</strong>contrati<br />

<strong>in</strong> qualche altrove<br />

ma chi mi riconosce<br />

se chiede d’accendere<br />

e non s’accorge che<br />

sto prendendo il volo<br />

e quasi fuoco.<br />

*<br />

LE PIAZZE DI PADOVA<br />

L’ora serenissima<br />

prima del<strong>la</strong> cena<br />

batte il legno chiuso<br />

alle f<strong>in</strong>estre.<br />

(Al<strong>la</strong> città di Fermo, da lontano)<br />

226


Il pa<strong>la</strong>zzo capitano<br />

porta <strong>in</strong> fronte<br />

ombre meridiane<br />

elenca oroscopi<br />

di sem<strong>in</strong>a e raccolta.<br />

A passeggio<br />

si <strong>la</strong>scia <strong>in</strong>dov<strong>in</strong>are<br />

<strong>la</strong> logica che nom<strong>in</strong>a<br />

le strade.<br />

[Inediti]<br />

Notizia.<br />

Crist<strong>in</strong>a Bab<strong>in</strong>o è nata ad Ancona nel 1976. È <strong>la</strong>ureata presso <strong>la</strong> sezione Arte del DAMS di Bologna con<br />

una tesi dal titolo "Montale critico d’arte". Ha pubblicato <strong>la</strong> raccolta di poesie "L’abitud<strong>in</strong>e del cielo" (Blu di<br />

Prussia, 2003) ; suoi testi sono <strong>in</strong>clusi <strong>in</strong> varie antologie, tra cui "L’opera cont<strong>in</strong>ua" (a cura di G. V<strong>in</strong>cenzi,<br />

Giulio Perrone Editore, 2005) e sono di prossima pubblicazione nell’antologia Nodo Sottile 5 (a cura di<br />

Vittorio Biag<strong>in</strong>i e Andrea Sirotti). Ha col<strong>la</strong>borato con recensioni a "Stilos – La Sicilia" e ad altre riviste<br />

letterarie cartacee e on-l<strong>in</strong>e. Suoi testi poetici sono apparsi <strong>in</strong> traduzione <strong>in</strong>glese su riviste di poesia<br />

contemporanea britanniche, tra cui "Aesthetica" e "Coffee House Poetry", e sono di prossima<br />

pubblicazione nell'antologia "Poetry of the World /6" (a cura del Dipartimento di Studi Anglo-Americani,<br />

Università di Coimbra, Portogallo). Nel 2007 ha rappresentato l’Italia come poeta <strong>in</strong>vitato al VI Meet<strong>in</strong>g<br />

Internazionale di Poesia organizzato dall'Università di Coimbra. È v<strong>in</strong>citrice unica del bando europeo<br />

"Poets <strong>in</strong> Residence 2008" promosso dal<strong>la</strong> stessa Università. Attualmente vive e <strong>la</strong>vora a Bristol.<br />

227


Conto le ragnatele del cervello<br />

nel<strong>la</strong> penombra<br />

di un pomeriggio <strong>in</strong>vernale<br />

mentre sale, frantumato<br />

<strong>in</strong> mille spilli, il canto<br />

sconosciuto di qualche uccello.<br />

I versi sono sottili<br />

nervature che attraversano<br />

questo foglio<br />

che ha sembianze di foglia.<br />

Dentro ci sono pesci<br />

che nuotano felici,<br />

uom<strong>in</strong>i che vanno <strong>in</strong> bici.<br />

*<br />

Stanotte seguirò <strong>la</strong> cometa<br />

che morde il buio<br />

con <strong>la</strong> bile dei suoi dent<strong>in</strong>i<br />

aguzzi. E nel suo volto<br />

di annegata specchierò<br />

le pupille divorate dal<strong>la</strong> fa<strong>in</strong>a<br />

ammantata di polvere.<br />

Poi dormirò lieto<br />

sotto altri fuochi.<br />

*<br />

Ora emergi, vascello<br />

che hai per corde nervi<br />

e vele di capelli, sul gorgo<br />

velenoso del sangue<br />

che sciaborda dal<strong>la</strong> polena<br />

dell’occipite al<strong>la</strong> chiglia<br />

capovolta del perone.<br />

Seguirai <strong>la</strong> rotta perduta,<br />

imbarcazione sbilenca<br />

a cui basta per <strong>in</strong>abissarsi<br />

solo l’ombra di un canto.<br />

*<br />

Quante pag<strong>in</strong>e d’<strong>in</strong>cubo <strong>la</strong> vita<br />

ancora scriverà con nero <strong>in</strong>chiostro.<br />

E se un’ora ti riuscisse<br />

più gradita nel sole<br />

d’aprile che ti smemora<br />

strappato hai quel<strong>la</strong> pag<strong>in</strong>a, ricorda,<br />

al libro mastro che esibisce<br />

al<strong>la</strong> voce “avere”<br />

il vuoto spaventoso dei tuoi giorni.<br />

*<br />

Grande sole di scisto,<br />

<strong>in</strong>dov<strong>in</strong>o nel cielo delle ciglia<br />

i biondi riccioli<br />

come una foglia crivel<strong>la</strong>ta<br />

dal<strong>la</strong> grand<strong>in</strong>e.<br />

Scendi di sangue <strong>in</strong> sangue<br />

verso gli <strong>in</strong>ghiottitoi,<br />

grande sole barbuto<br />

che <strong>in</strong>combi sul volto dei passanti<br />

come una mano screziata a lutto<br />

sul vento martoriato del conf<strong>in</strong>e.<br />

228


*<br />

Scendi nel mul<strong>in</strong>ello come una foglia,<br />

voce sottile di aghi<br />

che nell’aria dirami<br />

<strong>la</strong> tua gioia di esistere.<br />

Dimenticarsi <strong>in</strong> un matt<strong>in</strong>o<br />

di giugno di quel<strong>la</strong> gioia,<br />

tra nuvole andare spensierato<br />

<strong>in</strong>contro al nuovo sole<br />

che, ignaro del<strong>la</strong> tua storia,<br />

nel vento ti scalda lo scheletro,<br />

barca che nello sciabordìo barcol<strong>la</strong><br />

<strong>la</strong>mbendo gli esili contrafforti dell’esilio.<br />

*<br />

Se par<strong>la</strong>re alle nuvole, nel sole<br />

<strong>la</strong>nc<strong>in</strong>ante del<strong>la</strong> prima estate,<br />

ti rende come spiga<br />

<strong>in</strong>cistata sull’erba del canale,<br />

con colori che vorticano<br />

scortando il silenzio dei vessilli<br />

tra <strong>la</strong> scogliera deserta<br />

e il bagliore delle casematte,<br />

io perdermi vorrei come il falchetto<br />

che <strong>in</strong>combe nel cielo d’agata<br />

percosso dall’ombra delle vele<br />

<strong>la</strong>ggiù, verso il candore azzurr<strong>in</strong>o del mondo.<br />

[da Pasquale Di Palmo, Mar<strong>in</strong>e e altri sortilegi, Il Ponte del Sale, 2007]<br />

*<br />

In quest’aridità di Doppelgänger<br />

quando il sole colora di carm<strong>in</strong>io<br />

le piante<br />

che tendono nel vento<br />

rami di filigrana<br />

camm<strong>in</strong>o con le scarpe di un morto<br />

e <strong>la</strong> testa piena di pensieri<br />

che brulicano come <strong>in</strong>setti<br />

dondo<strong>la</strong>ndosi sulle vertebre<br />

[<strong>in</strong>edito]<br />

Notizia.<br />

Pasquale Di Palmo è nato al Lido di Venezia nel 1958 e risiede a Ca’ Noghera (Venezia). Ha pubblicato le<br />

raccolte poetiche <strong>in</strong>tito<strong>la</strong>te Arie a mal<strong>in</strong>cuore <strong>in</strong> “Poesia contemporanea. Secondo quaderno italiano”<br />

(Guer<strong>in</strong>i e Associati, Mi<strong>la</strong>no, 1992), Quaderno del vento (Stamperia dell’Arancio, Grottammare, 1996),<br />

Horror Lucis (Edizioni dell’Erba, Fucecchio, 1997), Ritorno a Sovana (L’Obliquo, Brescia, 2003), Mar<strong>in</strong>e e<br />

altri sortilegi (Il Ponte del Sale, Rovigo, 2006), oltre alle p<strong>la</strong>quettes fuori commercio Scrivere <strong>in</strong> aria<br />

(Mugna<strong>in</strong>i, Scandicci, 2000), Quadernetto scaramantico (Grafiche Fioroni, Casette d’Ete, 2001) e Trittico<br />

per un ramo d’<strong>in</strong>verno (Edizioni dell’Ombra, Salerno, 2005). Sue poesie sono presenti <strong>in</strong> numerose<br />

antologie e riviste, tra cui “Nuovi Argomenti”, “Paragone” e “Poesia”. Col<strong>la</strong>bora con <strong>in</strong>terventi critici e<br />

saggi alle riviste “L’Indice dei Libri”, “Stilos”, “Wuz” e “Letture”. Ha curato e tradotto diversi volumi, tra<br />

cui opere di Artaud, Corbière, Daumal, d’Houville, Michaux e Radiguet. Ha <strong>in</strong>oltre curato I surrealisti<br />

229


francesi. Poesia e delirio (Stampa Alternativa, Viterbo, 2004), I begli occhi del <strong>la</strong>dro di Beppe Salvia (Il<br />

Ponte del Sale, Rovigo, 2004), Neri Pozza. La vita, le immag<strong>in</strong>i (Neri Pozza, Vicenza, 2005), Saranno idee<br />

d’arte e di poesia. Carteggi con Buzzati, Gadda, Montale e Parise di Neri Pozza (Neri Pozza, Vicenza,<br />

2006) e F<strong>in</strong>e di Mirco di Silvio D’Arzo (Edizioni Via del Vento, Pistoia, 2006).<br />

230


AÏCHA<br />

Aïcha <strong>la</strong> dea, Aïcha <strong>la</strong> reg<strong>in</strong>a. Così apparve una matt<strong>in</strong>a sul<strong>la</strong> porta del mio ufficio. Chiese del<strong>la</strong> segretaria<br />

di redazione. Risposi che non c’era, e che forse potevo esserle d’aiuto. - No, grazie molte. Mi chiamo<br />

Aïcha: può dire a Francesca che sono passata e che le telefonerò nel pomeriggio? …e arrivederci! -<br />

Arriveder<strong>la</strong>, signor<strong>in</strong>a Aïcha, biascicai mentre seguivo con lo sguardo il corpic<strong>in</strong>o svelto uscire dal mio<br />

mondo. Non presi nota del<strong>la</strong> visita come facevo di solito. E come scordare quel nome, del resto. Aïcha!<br />

*<br />

SONIA E LA SABBIA<br />

Dal<strong>la</strong> sabbia sul parquet. Capii che Sonia era tornata. Ama tanto fare jogg<strong>in</strong>g nel bosco, vic<strong>in</strong>o al <strong>la</strong>ghetto<br />

del<strong>la</strong> Porte Dorée. Era tornata <strong>in</strong> anticipo, dunque. L’aspettavo per <strong>la</strong> settimana dopo. Né mi aveva<br />

avvertito. Forse per farmi una sorpresa. Con <strong>la</strong> sabbia per prima. E un asciugamano per terra nel<strong>la</strong><br />

stanza da bagno vic<strong>in</strong>o agli abiti sporchi. Ma non c’erano abiti sporchi sotto al <strong>la</strong>vand<strong>in</strong>o. Solo l’umida<br />

profumata traccia di una doccia presa al<strong>la</strong> svelta. Sonia non era <strong>in</strong> casa. Mi svestii e feci un bagno caldo.<br />

Mi coricai <strong>in</strong> attesa di un felice risveglio coi baci di Sonia.<br />

*<br />

SARAH<br />

Fissavo i suoi occhi all’altro capo del salone, mi evitavano. Al<strong>la</strong> festa di compleanno di Franco. Lei era <strong>la</strong><br />

sua ragazza. Me ne aveva par<strong>la</strong>to, erano <strong>in</strong>sieme da non molto, e appena <strong>la</strong> vidi capii che era lei. Fissavo<br />

quegli occhi dall’iride grigio tendente al vio<strong>la</strong>, più vic<strong>in</strong>o al<strong>la</strong> pupil<strong>la</strong>. E essi mi evitavano. Mi cercavano,<br />

credo, con <strong>la</strong> stessa <strong>in</strong>tensità con cui i miei <strong>la</strong> penetravano, <strong>la</strong> pervadevano <strong>in</strong>curanti delle presenze<br />

tutt’<strong>in</strong>torno. Ero assente a me stesso. Più <strong>la</strong> guardavo, più <strong>la</strong> scoprivo seducente. Suggevo con lo sguardo<br />

<strong>la</strong> caviglia momentaneamente scoperta, e <strong>la</strong> calza spessa e scura, blu-vio<strong>la</strong>, e ne <strong>la</strong>mbivo i riflessi<br />

occasionali. La ciocca di capelli scesa non so quando sul<strong>la</strong> fronte trasformava il suo viso, da n<strong>in</strong>fa a<br />

sgualdr<strong>in</strong>a. E per questo l’amavo di più, con quel barbaglio di padrona nel chiarore dell’iride ridente. E<br />

nelle <strong>la</strong>bbra così f<strong>in</strong>i. Ai suoi piedi! Mi vedevo ai suoi piedi, <strong>in</strong> atto di baciarli, per adorar<strong>la</strong> <strong>in</strong>tera.<br />

Abbandonai <strong>la</strong> festa adducendo una scusa sciocca.<br />

*<br />

KRISTEL<br />

Sei tu, Kristel? Sì, è stata una giornata un po' pesante. Certo! Ho una voglia pazza di vederti, angelo<br />

mio... Allora a stasera! Un bacio.<br />

Un'ora dopo un sms merdoso r<strong>in</strong>via il sogno a chissà quando.<br />

*<br />

NOTTE PRIMA<br />

Seguivo dal<strong>la</strong> f<strong>in</strong>estra <strong>la</strong> traiettoria <strong>in</strong>certa di un’auto che si avvic<strong>in</strong>ava. Mentre cercavo l’accend<strong>in</strong>o <strong>in</strong><br />

cuc<strong>in</strong>a udii un botto dal<strong>la</strong> strada: il cofano dell’auto era accartocciato contro il palo del semaforo<br />

all’angolo del<strong>la</strong> via. Mi sporsi per vedere meglio ma tutto era immobile nel buio. Apparentemente ero<br />

l’unico sveglio <strong>in</strong> tutto il quartiere, <strong>la</strong> luce del mio salotto si rifletteva sulle porte-f<strong>in</strong>estre dirimpetto.<br />

Infi<strong>la</strong>i le scarpe e un giaccone e scesi giù per le scale. Appena fuori dal pesante portone del pa<strong>la</strong>zzo<br />

giaceva l’Alfa schiantata. I fari erano spenti. Un cortocircuito, probabile. Guardai all’<strong>in</strong>terno e non vidi<br />

nessuno. Aprii <strong>la</strong> portiera per s<strong>in</strong>cerarmene. No, proprio nessuno. Nemmeno una luce accesa nelle case<br />

vic<strong>in</strong>e. Eppure lo schianto era stato forte. Tutto dormiva. Diedi un’altra occhiata nel<strong>la</strong> macch<strong>in</strong>a. Alcuna<br />

traccia di sangue sui sedili o sul parabrezza, alcun odore. Risalii <strong>in</strong> fretta al mio appartamento. Mi svestii,<br />

spensi <strong>la</strong> televisione e m’<strong>in</strong>fi<strong>la</strong>i nel letto. La matt<strong>in</strong>a mi svegliai febbricitante al secondo trillo del telefono.<br />

*<br />

IL RAGAZZO E LA BARISTA<br />

«Ragazzo né povero né ricco cerca ragazza per vita da <strong>in</strong>namorati». La sera, al<strong>la</strong> chiusura del locale,<br />

Giulia vide un post-it di piccolo <strong>formato</strong> sul<strong>la</strong> porta <strong>in</strong>terna del cesso. Lo staccò e lo gettò pensando che<br />

strano, non un graffito o uno scarabocchio con l’<strong>in</strong>delebile, ma un semplice foglietto bianco.<br />

La matt<strong>in</strong>a seguente, il locale era già pieno di studenti. Giulia scese al cesso, chiuse <strong>la</strong> porta dietro di sé e<br />

senza volerlo si trovò a cercare con lo sguardo vic<strong>in</strong>o al<strong>la</strong> maniglia. Il biglietto era lì dove l’aveva trovato<br />

<strong>la</strong> sera prima. Il messaggio, identico: «Ragazzo né povero né ricco cerca ragazza per vita da <strong>in</strong>namorati».<br />

Giulia lo staccò di nuovo. Osservò attentamente i giovani al bancone e ai tavol<strong>in</strong>i. Il parlottare confuso e<br />

concitato di tutte le matt<strong>in</strong>e.<br />

231


Passarono alcune settimane, e ogni giorno Giulia trovava il biglietto al solito posto, lo stesso messaggio,<br />

quel<strong>la</strong> complice strizzat<strong>in</strong>a d’occhio. Non li gettava più, quei post-it, li <strong>in</strong>col<strong>la</strong>va uno sull’altro via via che li<br />

trovava. Uno <strong>la</strong> matt<strong>in</strong>a e uno <strong>la</strong> sera al<strong>la</strong> chiusura.<br />

I tavol<strong>in</strong>i erano sempre più <strong>in</strong>gombri di libri e quaderni, e pochi stavano al banco. La sessione di giugno.<br />

E il biglietto, sempre uguale, sempre sul<strong>la</strong> porta del cesso, mentre si susseguivano gli appelli, mentre il<br />

locale si svuotava giorno dopo giorno.<br />

Una matt<strong>in</strong>a, Giulia scese al cesso. Chiuse <strong>la</strong> porta e posò lo sguardo sopra <strong>la</strong> maniglia. La carezzò e<br />

pianse a lungo.<br />

*<br />

CARLO<br />

Se ne accorse quel<strong>la</strong> notte. Brevi esplosioni di luce lontane ma <strong>in</strong>tense. Fumava sul balcone fissando il<br />

vuoto sonnolento delle antenne. Sulle prime le scambiò per avvisaglie di temporale e ne fu <strong>in</strong>fastidito<br />

(l'<strong>in</strong>domani si sarebbe dovuto svegliare presto).<br />

Si rivolse a quell'<strong>in</strong>solita sorgente lum<strong>in</strong>osa, che subito tacque. Ma <strong>in</strong>sistette (qualche boccata ancora).<br />

Due <strong>la</strong>mpi <strong>in</strong> successione. Provenivano da un appartamento. Un brivido.<br />

Allora si rese conto di essere amato.<br />

*<br />

LA BOITE<br />

Divanetto sotto il palco del<strong>la</strong> Boite. Concerto metal. Musica assordante. Terzo cuba libre. Sandy con <strong>la</strong><br />

frangetta nera perfetta e gli occhi dip<strong>in</strong>ti con tratto deciso. Sensuale. Unghie nere. Lunghe. Le mie. Sulle<br />

sue cosce fasciate di nylon. Coprente. Caldo.<br />

Sandy.<br />

In g<strong>in</strong>occhio per te.<br />

*<br />

PIANTO<br />

Se guardi dal f<strong>in</strong>estr<strong>in</strong>o puoi scorgere ancora l'ultima frangia lum<strong>in</strong>osa del<strong>la</strong> città immensa nel<strong>la</strong> notte<br />

fonda. Mentre voli verso un posto lontano lontano verso casa. La donna al tuo fianco ti sorride benevo<strong>la</strong><br />

<strong>in</strong>dov<strong>in</strong>ando le tue <strong>la</strong>crime. Vorresti ch<strong>in</strong>arti su di lei e piangere a dirotto. Laggiù ti saluta ancora <strong>la</strong> tua<br />

amica facendo ciao con le braccia verso il cielo. Le mandi un bacio una carezza sui capelli dorati dal sole<br />

brasiliano. Le dici io tornerò presto. Ti risponde io ti aspetto.<br />

*<br />

NOTTE SECONDA<br />

Triste notte <strong>in</strong>vernale di pioggia. Mi affaccio al<strong>la</strong> f<strong>in</strong>estra. Tutto tace nel<strong>la</strong> luce rossastra dell’<strong>in</strong>segna del<strong>la</strong><br />

macelleria. Un bicchiere di superalcolico, forse mi addormenterò prima. Al<strong>la</strong> tele nul<strong>la</strong> di buono, <strong>la</strong><br />

guardo, domani non <strong>la</strong>voro. Vedo qualcuno avvic<strong>in</strong>arsi al portone, sarà un ubriaco che cerca riparo dal<strong>la</strong><br />

pioggia sempre più fitta. Ho sempre sospettato che nelle cant<strong>in</strong>e dello stabile passassero <strong>la</strong> notte i<br />

barboni del<strong>la</strong> zona. Un giorno ne ho visto entrare uno. L’aria del barbone ce l’ha davvero, barcol<strong>la</strong>. Prova<br />

e riprova il codice di apertura. Il portone non s’apre. Lui pare stupito, pensa al<strong>la</strong> pioggia, chissà. Si ritrae<br />

e s’appoggia al muro. Ritenta. Il portone stride. Sento i passi fermarsi nell’atrio. Un rumore di chiavi che<br />

cadono a terra, di chiavi nel<strong>la</strong> toppa. Che sia un <strong>la</strong>dro?<br />

Poi una porta s’apre e si richiude bruscamente. Un nuovo vic<strong>in</strong>o.<br />

*<br />

LA STELLA CHE FU<br />

La vedevo ogni tanto sul<strong>la</strong> l<strong>in</strong>ea rossa del<strong>la</strong> metro, stava seduta sullo strapunt<strong>in</strong>o del vano d’accesso. Non<br />

levava mai lo sguardo dai propri stivaletti colle cerniere ai <strong>la</strong>ti, brutt<strong>in</strong>i, un po’ sformati, impeccabilmente<br />

lucidi. Dopo averli rimirati spostando il piede a destra e a manca, tirava fuori da una sporta un tubo di<br />

lucido per scarpe rapido, col<strong>la</strong> spugna, e com<strong>in</strong>ciava a imbrattarli con quell’eccesso di li<strong>qui</strong>do che formava<br />

una schiuma bianchiccia. Un vero peccato, mi veniva da pensare ogni volta. Poi con un kleenex li puliva<br />

attentamente, a lungo, li osservava, li rigirava a destra e a manca. Erano proprio lucidissimi, i suoi<br />

stivaletti. E buttava il kleenex sotto al sedile.<br />

Avrà avuto settant’anni. Un abito rosa antico che <strong>la</strong>sciava scoperti gli stivaletti e dei polpacci bianchi e<br />

molli.<br />

232


*<br />

NOTTE TERZA<br />

Terza notte di nebbia. La statale trasuda freddo e umidità viva. La percorro con lo stereo a tutto volume.<br />

Semafori donne trans <strong>la</strong>mpioni benz<strong>in</strong>aio <strong>in</strong>crocio nigeriane dito su. Cont<strong>in</strong>uo. Lo sguardo perso avanti,<br />

non so dove, ma avanti. Un graffio nel silenzio.<br />

*<br />

STAZIONE<br />

Le mani del ragazzo r<strong>in</strong>corrono <strong>la</strong> sigaretta sul tavol<strong>in</strong>o del fast food. Incrocio il suo sguardo. “Hai da<br />

accendere?”<br />

Ho un sussulto.<br />

“Sì, certo!”<br />

Si avvic<strong>in</strong>a a me si ch<strong>in</strong>a sul<strong>la</strong> fiamma sfiorandomi <strong>la</strong> spal<strong>la</strong> coi capelli bruni un po' lunghi.<br />

Ci sorridiamo e torniamo a fissarci da un tavol<strong>in</strong>o all'altro.<br />

Presto arriverà il suo treno. E l'avrò perso per sempre.<br />

Mi alzo per andare via di colpo mi ch<strong>in</strong>o sul ragazzo “Mi chiamo Fabio” “Io Andrea”.<br />

Si alza e andiamo via <strong>in</strong>sieme.<br />

*<br />

JASMINE!<br />

Solco Mi<strong>la</strong>no <strong>in</strong> lungo e <strong>in</strong> <strong>la</strong>rgo, i suoi viali, i controviali, Jasm<strong>in</strong>e, a 100 all'ora. Mi fermo. Sembri tu. No,<br />

merda! Chiedo alle ragazze <strong>in</strong> m<strong>in</strong>igonna lì vic<strong>in</strong>o, tue amiche, chissà.<br />

“No, Jasm<strong>in</strong>e, non so... non conosco Jasm<strong>in</strong>e. Io mi chiamo Lucia, bello, vieni con me. Ti faccio divertire!”<br />

*<br />

UNA NOTTE PER ALINA<br />

Al<strong>in</strong>a sapeva sempre quel che faceva. Volle che <strong>la</strong> sua notte di addio al nubi<strong>la</strong>to cadesse un mercoledì, nel<br />

bel mezzo del<strong>la</strong> settimana, così che poche amiche vi sarebbero andate.<br />

Mercoledì sera, dunque. Dopo essersi ritrovate da Al<strong>in</strong>a alle venti, C<strong>la</strong>ire, Nathalie, Lucia e Viri<br />

presentarono al<strong>la</strong> festeggiata un foglio arroto<strong>la</strong>to c<strong>in</strong>to da un nastr<strong>in</strong>o rosso. Era il loro regalo. Al<strong>in</strong>a levò<br />

religiosamente il nastro e srotolò il dono, che lesse a voce alta:<br />

una notte per al<strong>in</strong>a<br />

01 43 57 23 00.<br />

Sorridendo riconoscente alle amiche musiciste, Al<strong>in</strong>a compose <strong>in</strong> fretta il numero di telefono, che era il<br />

mio. Mi precipitai al suo appartamento, al<strong>la</strong> fragranza del corpo color cannel<strong>la</strong>. Non ho mai udito cantare<br />

il raï con tanto orgasmo. La voce di Al<strong>in</strong>a mi portava lontano, lei sulle mie braccia, come due sposi.<br />

Sospiravo fra i suoi seni.<br />

Insieme a Al<strong>in</strong>a non sapevo più quel che facevo.<br />

(Racconti brevi <strong>in</strong>editi da “Una notte per Al<strong>in</strong>a”.)<br />

Notizia.<br />

Giuseppe Macor è nato a Mi<strong>la</strong>no, dove vive e <strong>la</strong>vora, nel 1968. Laureato <strong>in</strong> L<strong>in</strong>gue e Letterature Straniere,<br />

col<strong>la</strong>bora con case editrici italiane e straniere come traduttore e autore di racconti e poesie. Dal 1990 si è<br />

dedicato <strong>in</strong> maniera sempre più consistente alll'esplorazione del l<strong>in</strong>guaggio fotografico. Le sue traduzioni<br />

di Pascal Quignard, Jean Cocteau così come i suoi racconti brevi testimoniano <strong>la</strong> sostanziale attrazione<br />

per <strong>la</strong> forma frammentaria nel processo di scrittura che, <strong>in</strong>evitabilmente, è sfociato nell'adozione del<br />

mezzo fotografico, s<strong>in</strong>tesi per eccellenza e, dal 2002, nell'apertura di un proprio studio di fotografia<br />

d'arte.<br />

233


Sei testi da<br />

La casa esposta<br />

Si muove <strong>in</strong> modo mite<br />

tra le cose del<strong>la</strong> stanza<br />

adesso che <strong>la</strong> stanza non è un limite<br />

alle cose dall’<strong>in</strong>terno, conta<br />

quanta capienza di nero<br />

è tra lume lupo acceso nel<strong>la</strong> bugietta<br />

verde e vetro del tavolo riflesso<br />

basso, al<strong>la</strong> f<strong>in</strong>estra spia dall’alto<br />

altro di altro che non c’è<br />

già <strong>in</strong> cortile, quasi<br />

<strong>in</strong>f<strong>in</strong>e (pensa)<br />

<strong>in</strong> sé<br />

*<br />

Invece è <strong>in</strong>verno. Ca<strong>la</strong> – curva. Siena. A me<br />

dispiace di essere ma sono<br />

diverso da quello che sono –<br />

fa il giusto ben orientando e sembra<br />

che niente come l’ascia spezzi il freddo<br />

e questo spezza quel<strong>la</strong> al filo o taglio.<br />

Tanto che è <strong>la</strong> ferita a ferire –<br />

buio, gelo giusto, verbo dire<br />

*<br />

I fratelli hanno preso le cambiali, adesso è loro.<br />

Hanno fatto uscire tutto il sangue dall’agnello al<strong>la</strong> bocca<br />

– era vic<strong>in</strong>a <strong>la</strong> base di sasso.<br />

Sorel<strong>la</strong> e padre sono nei canali<br />

nei pozzi, al respiro dell’acqua.<br />

Niente tiene vivo niente.<br />

Così è rimasto il sole, stampato sui soldi:<br />

questo prosegue il racconto f<strong>in</strong>o all’altro<br />

<strong>la</strong>to, dove com<strong>in</strong>ciano gli archi <strong>la</strong>rghi<br />

nel<strong>la</strong> campagna, pezzi di acquedotti, verso<br />

il Tirreno, che si <strong>in</strong>festa<br />

*<br />

Gli è stato detto racconta che dici<br />

di avere il morso, il cane<br />

ha che? lo stecco del gioco – <strong>in</strong>vece.<br />

Quello che è piccolo e nato<br />

riceve l’impatto di luce nei plessi<br />

vuoti e capovolge<br />

fuori il <strong>la</strong>bir<strong>in</strong>to del<strong>la</strong> voce, dentro aria<br />

e senza rapporti, senza e<strong>qui</strong>valenza,<br />

fa suonare e risente<br />

plettro dal<strong>la</strong> go<strong>la</strong>: dal disaccordo<br />

a un disaccordo che si muti<strong>la</strong><br />

per vivere. Anche questo<br />

senza sapere di sé niente, dice<br />

mai nemmeno dopo<br />

234


*<br />

divisione, (luogo diviso), museruo<strong>la</strong>: sporca con<br />

l'e<strong>la</strong>stico mangiato, cardato, due candele sporche,<br />

spostate sul tavolo del<strong>la</strong> terrazza, al sole, il sole è forte,<br />

<strong>in</strong>izio agosto, le candele fondono, sul piano di formica. il<br />

calore allo stesso tempo fa facile scrostarle, tirarle nel<strong>la</strong><br />

valle.<br />

un'angoliera di f<strong>in</strong>e ricamo metallico bianca da giard<strong>in</strong>o,<br />

su, un santo di p<strong>la</strong>stica nera e grigia. l'angoliera nei<br />

suoi punti non verniciati <strong>la</strong> strappano le sue rugg<strong>in</strong>i.<br />

due sottovasi, celluloide verde bottiglia, paniere arancio<br />

e blu, se mezzo manico staccato. se è felice che si sono<br />

rivisti, rete, se l'albero parassitato dall'edera, se era<br />

molto.<br />

un piano orizzontale di compensato, vernice, o bianco e<br />

rosso acceso, era del<strong>la</strong> cameretta. <strong>la</strong> <strong>la</strong>vatrice perde,<br />

durante tutto il ciclo, anche dopo. non si può<br />

aggiustare, si può, per una r<strong>in</strong>uncia, per una differenza.<br />

dormono. sera. nemmeno. un nuovo modulo d'ord<strong>in</strong>e,<br />

un telefono, date successive. <strong>la</strong> situazione è<br />

cont<strong>in</strong>uamente compromessa. toglie i piedi i marmetti<br />

quando loro entrano.<br />

non entrano più, tutto cambiato, era cambiato. non ci<br />

abitano<br />

*<br />

stesso luogo altra data. par<strong>la</strong>no del quadro che<br />

raffigura sale raffigura secondo me un pre<strong>la</strong>to. significa<br />

dice che significa, una riga, due righe di più, <strong>in</strong> meno,<br />

eccetera. il mezzo cambia <strong>la</strong> comunicazione. cab<strong>la</strong>. il<br />

fondo è molto buio. può essere un pregio. può al<br />

contrario. freddo che gli viene <strong>in</strong>contro, gli apre <strong>la</strong><br />

porta, è solo col suo dio io. storia delle diagonali. delle<br />

orig<strong>in</strong>ali. sì ma <strong>in</strong> casa al<strong>la</strong> parete è un'altra faccenda.<br />

non dico mai ma non sempre funziona. e comunque<br />

non al<strong>la</strong> cifra che pensate. e quanto di meno? <strong>la</strong> metà<br />

se va bene, ma proprio. è sempre stata una questione<br />

di gradazioni di neri. già ricordo anche <strong>la</strong> mia casa.<br />

beato averne, cose così. ma poi non ac<strong>qui</strong>stano valore.<br />

dice con il tempo. quale tempo. quello a ci si muore,<br />

ridono forte ride smettono. me<strong>la</strong> caffè. kulturgedichte<br />

Notizia.<br />

Marco Giovenale è nato a Roma, dove vive e <strong>la</strong>vora – <strong>in</strong> una libreria antiquaria. È stato organizzatore di<br />

mostre. Si è <strong>la</strong>ureato con una tesi sul<strong>la</strong> poesia di Roberto Roversi. Con Massimo Sannelli cura <strong>la</strong> letteradono<br />

aperiodica «b<strong>in</strong>a». È redattore di GAMMM (http://gammm.org), e di varie altre pag<strong>in</strong>e web: un<br />

<strong>in</strong>dice è <strong>in</strong> http://liensliens.blogspot.com. Per <strong>la</strong> col<strong>la</strong>na FuoriFormato del<strong>la</strong> casa editrice Le Lettere è <strong>in</strong><br />

uscita il libro La casa esposta. Una biobibliografia completa è r<strong>in</strong>tracciabile su<br />

http://slowforward.wordpress.com.<br />

235


Q2<br />

[secondo quando]<br />

Alza <strong>la</strong> schiuma, schiude.<br />

Squarcia e si chiude quando.<br />

Era <strong>qui</strong>. Era acqua.<br />

*<br />

La senti che trascorre?<br />

Ne hai sofferto, corrente<br />

tra. Sale, trasalendo.<br />

*<br />

Intanto sul<strong>la</strong> sabbia<br />

quanto. È da contare<br />

nei quarzi. Muore quando.<br />

*<br />

Vale così, riflesso<br />

il tempo non trascorso.<br />

Non luce, sa di sale.<br />

*<br />

Perdutamente perso<br />

eroso a vento. Viene<br />

quando, forma le dune.<br />

A somigliarsi <strong>in</strong> vita<br />

l’onda m<strong>in</strong>erale ta-<br />

ce. Fa cenni? Invita?<br />

*<br />

Non vita, non altro che<br />

grani persi. Di quando.<br />

E <strong>in</strong> quando. Di quando. E…<br />

Notizia.<br />

Giulio Marzaioli (Firenze, 1972) vive a Roma. Suoi testi appaiono su varie riviste cartacee e telematiche e<br />

sono tradotti <strong>in</strong> Francia e Stati Uniti. È presente <strong>in</strong> opere collettive e antologie. Ha pubblicato varie sillogi<br />

di poesia (<strong>la</strong> più recente, In re ipsa, a cura di Anterem Edizioni - Premio Lorenzo Montano 2005). Nel<br />

2006, per i tipi di Oedipus Editore, sono stati pubblicati i frammenti di Quadranti. Ha scritto testi per il<br />

teatro, raccolti nel volume Appunti del non vero (Editrice Zona, 2006). Assieme a Rom<strong>in</strong>a De Novellis ha<br />

fondato <strong>la</strong> compagnia DENOMA (www.compagniadenoma.it), attiva nell’ambito del teatro di ricerca.<br />

Col<strong>la</strong>bora con artisti dai vari l<strong>in</strong>guaggi espressivi e di varie nazionalità <strong>in</strong> eventi performativi ed<br />

<strong>in</strong>stal<strong>la</strong>zioni. È <strong>in</strong>oltre curatore di eventi e rassegne (recentemente presso Teatro Vascello e Teatro Eliseo,<br />

<strong>in</strong> Roma).<br />

236


POESIA NICA<br />

‘I vasciu sbujava n’adduri<br />

(na zol<strong>la</strong> ‘i fa<strong>la</strong>cchi chi ‘n sacciu)<br />

ti piacìa u ti fermi a nghjiuttiri<br />

na spira ‘i suli, pò t’assettavi<br />

sutt’all’umbri ‘i n’ajivu a occhji<br />

chjiusi, tenendo <strong>in</strong>ta ‘u rispiru.<br />

Nenti potìa piccijari ju<br />

mari ‘i sonna cusì veri<br />

na folìa ad ogni stroffa, l’acqua<br />

chi mpracìda i rrobbi ad ogni basu<br />

a torri, i paggetti, i balli chi non f<strong>in</strong><strong>in</strong>u mà…<br />

Non era ammata ‘u tempu d’i<br />

malipenzeri (‘u jelu chi buca a gonna<br />

l’ardica a’ xumara nto sangu<br />

axxeri sprizzati nto cori)<br />

Na leggi nto ccittu mparavi<br />

guardari i cosi diritti nta ll’occhji<br />

pè nommu dassi tra i petriceji<br />

e l’erba i craculi, vischjiu<br />

e trummentu ‘i tanti, assà viti.<br />

[Esa<strong>la</strong>va un odore dal basso/ (una zol<strong>la</strong> di fango che ignoro)/ ti piaceva fermarti a <strong>in</strong>ghiottire/ un raggio<br />

di sole, poi sedevi sotto/ l’ombra di un ulivo a occhi/ chiusi, trattenendo il respiro.// Niente poteva<br />

destare quel/ mare di sogni così veri/ un nido ad ogni cespuglio, l’acqua/ che <strong>in</strong>zuppa i vestiti ad ogni<br />

bacio/ <strong>la</strong> torre, i paggetti, le danze <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ite…// Non era ancora il tempo dei/ cattivipensieri (il gelo che<br />

buca <strong>la</strong> gonna/ l’ortica a fiumara nel sangue/ gli stracci strizzati nel cuore).// Una legge <strong>in</strong> silenzio<br />

imparavi/ guardare diritto negli occhi le cose/ per non <strong>la</strong>sciare tra i ciottoli/ e l’erba i detriti, vischio/ e<br />

tormento di tante, troppe vite.]<br />

*<br />

‘U PRIMU BASU<br />

Du primu basu non restà nenti<br />

mi dici ca ‘u rimuri d’a xumara<br />

cancellà i cuntuorna, ‘u sapuri<br />

nu vesparu a spettari potessari<br />

‘i panni stenduti e mani ‘i <strong>la</strong>vari.<br />

I palori tò su tènnari, oji chi sa<br />

u mi mostri i m<strong>in</strong>neji scippandumi<br />

a malizia ‘i d<strong>in</strong>t’a ll’occhji<br />

ed eu t’ammiru scorza d’i malijorna<br />

chi dassi a’ casa l’anima, se servi.<br />

Batti pè tutti ‘u ferru suttaterra<br />

figghjioli e vecchjiareji, vi dugnu<br />

a mè felicità ‘i deci sordi, ‘n cangiu<br />

‘i rispiri da chjiudiri nta na cascia<br />

xammeji du tempu c’avi a vèniri.<br />

E f<strong>in</strong>isci amuri sulu quandu<br />

‘u focu s’astuta ‘i domandari.<br />

[Del primo bacio non è rimasto niente/ mi dici che il rumore del torrente/ ne ha cancel<strong>la</strong>to i contorni, il<br />

sapore/ un pomeriggio <strong>in</strong> attesa forse/ di panni stesi e mani da <strong>la</strong>vare.// Le tue parole sono morbide/<br />

oggi che sai mostrarmi il seno/ strappandomi dagli occhi <strong>la</strong> malizia/ e io ti ammiro scorza dei giorni tristi/<br />

che <strong>la</strong>sci a casa l’anima, se occorre.// Batte per tutti il ferro sottoterra/ bamb<strong>in</strong>i e moribondi, vi porgo <strong>la</strong><br />

mia felicità/ da dieci soldi, <strong>in</strong> cambio di respiri/ da chiudere <strong>in</strong> un cassetto/ fiammelle del mio tempo che<br />

verrà./ E cesserà l’amore solo quando/ si spegnerà il fuoco di domande.]<br />

237


*<br />

A GUTTI E TU<br />

A San Mart<strong>in</strong>u <strong>la</strong>pru a margarita<br />

e mi l<strong>in</strong>chjiu ‘u nasu d’a sidura<br />

pistata nto parmentu; nc’è n’ammuj<strong>in</strong>u<br />

‘i mmagavisti nta ja mbivuta<br />

cuntra natura chi mi ven<strong>in</strong>u a trovari<br />

i frundi du paniculu chi fet<strong>in</strong>u<br />

‘i spulicu e l’erba tagghjiata ‘i pocu<br />

d’a r<strong>in</strong>a e ‘n artu i muntagni viju<br />

franari chjianu chjianu comu ‘n mari…<br />

Pigghjiu xatu xatu xatu e nci riprovu.<br />

A vuci ‘n menzu a’ furca mi mprissiona<br />

‘i na nanna chi s’a fujì oramà d’a lucia<br />

e i spiri, i spiri l<strong>in</strong>di sup’a facci<br />

‘i ji jorna c’u mundu spaccaristi<br />

cu nu pugnu e tutti sutt’è pedi<br />

a riveriri! Ma ‘i ja margarita<br />

nesci nu xarvu chi non sacciu, s’axxuranu<br />

i <strong>la</strong>bbra e ‘u canthu vaci…<br />

(E nuda t’immag<strong>in</strong>u jà <strong>in</strong>ta, mbiscari<br />

ò mustu i tò adduri ‘i fimmana<br />

u fa u mi mbiacu mviatu di ducezza).<br />

[A San Mart<strong>in</strong>o apro il rub<strong>in</strong>etto/ e mi riempio il naso del sudore/ pigiato nel palmento; c’è un cas<strong>in</strong>o/ di<br />

sensazioni <strong>in</strong> quel<strong>la</strong> bevuta/ <strong>in</strong>naturale che mi vengono a trovare/ le foglie del granturco che puzzano/ di<br />

bruco e l’erba appena strappata/ dal<strong>la</strong> rena e <strong>in</strong> alto le montagne vedo/ franare lentamente come un<br />

mare…// Prendo fiato fiato fiato e ci riprovo./ La voce <strong>in</strong> mezzo all’arco mi commuove/ di una nonna<br />

ormai fuggita dal<strong>la</strong> luce/ e i raggi, i raggi nitidi sul viso/ di quei giorni che il mondo spaccheresti/ con un<br />

pugno e tutti sotto i piedi/ a riverire! Ma da quel rub<strong>in</strong>etto/ viene un profumo che non so, s’<strong>in</strong>fiorano/ le<br />

<strong>la</strong>bbra e il canto va…/ (E nuda t’immag<strong>in</strong>o lì dentro, mischiare/ al mosto i tuoi umori di donna/ per farmi<br />

ubriacare di dolcezza).]<br />

*<br />

D’I VOTI RIVENINU<br />

D’i voti riven<strong>in</strong>u, abbasta libbarari<br />

l’unghji, provari a terra<br />

e iji su jà, nt’a sputazza, scippanu<br />

palori, <strong>la</strong>mpranu a facci, nto scuru.<br />

S’aricuordanu, ndi scus<strong>in</strong>u i jorna<br />

d’a peji, s’agustanu a vucca<br />

c’arridi, farza, e si spijanu<br />

ch’esti chi fagghjia du cuntu<br />

pecchì jiru a f<strong>in</strong>iri nto fossu i culuri<br />

pecchì ogni scrusciu ndi menti pagura.<br />

E’ nenti, na funtana d’aria<br />

chi nuju mà vitti, ‘i jà nesc<strong>in</strong>u i mali<br />

d<strong>in</strong>nu medici, orbi e stro<strong>la</strong>chi…<br />

Mò chi sapiti, a occhji chjiusi<br />

scavati pè arretu, se armenu<br />

a morti vi voliti godiri.<br />

[A volte ritornano, basta liberare/ le unghie, assaggiare <strong>la</strong> terra/ e loro son lì, nel<strong>la</strong> saliva, spiccicano/<br />

parole, distendono il viso, al buio./ Si ricordano, ci scuciono i giorni/ dal<strong>la</strong> pelle, guardano <strong>la</strong> bocca/<br />

238


sorridere, falsa, e si chiedono/ cosa manca dal conto/ perché sono f<strong>in</strong>iti nel fosso i colori/ perchè ogni<br />

fremito ci mette paura.// È niente, una fontana d’aria/ mai vista, da lì nascono i mali/ dicono medici,<br />

ciechi e fattucchieri …/Adesso che sapete, ad occhi chiusi/ scavate a ritroso, se almeno/ <strong>la</strong> morte volete<br />

godere.]<br />

*<br />

CERZI MUZZATI<br />

I cerzi ‘i muzzaru nto voscu du Lleri<br />

u ntisaru nz<strong>in</strong>a i petruji ‘i timpuna<br />

d’i s<strong>in</strong>gazzi d’a terra sbujava na muffura<br />

mentri l’unghji nto cielu ‘u corvu azzippava.<br />

Armi lordi ‘i jà sutta, fumenti<br />

zali a mmuzzu, nu fetu ‘i pisciazza…<br />

staccati i dentuzzi affi<strong>la</strong>ti d’i m<strong>in</strong>ni<br />

veniti, c’a serpi è stenduta nto margiu.<br />

Jà nt’a furca, viditi, ‘i nu rramu<br />

na frunda c’alluci, mi pari, chi dicu!<br />

è na <strong>la</strong>ma chi muzza na capa ‘i cristianu<br />

e mi trasi diritta nt’a menti a hjiumara.<br />

M’agghjiunca, mi strizza, mi suca<br />

m’arrota nta ll’aria e mi l<strong>in</strong>chji ‘i sputazza,<br />

eu mi scotulu e mi mbasciu ‘n d<strong>in</strong>occhjiu<br />

se vo’ l’anima aspetta ma fammi…<br />

Cantari.Eu mi toccu e suspiru<br />

mi ngrugnu nt’è jorna cchjiu’ ‘i focu<br />

accarizzu un piruni e mi mentu ‘n cam<strong>in</strong>u<br />

nto voscu, jà sulu mi gurdu d’amuri.<br />

[Han mozzato le querce nel bosco del Lleri/ l’han sentito pers<strong>in</strong>o le pietruzze di rupe/ sbucava una nebbia<br />

da sotto <strong>la</strong> terra / mentre il corvo affondava sopra il cielo gli artigli.// Anime immonde dal<br />

basso, vapori / ur<strong>la</strong> a casaccio, una puzza di piscio…/ staccate i dent<strong>in</strong>i dal seno bamb<strong>in</strong>i / venite,<br />

<strong>la</strong> serpe è distesa sul prato.// Guardate là <strong>in</strong> mezzo ad un ramo/ una foglia lucente, che dico!/è una<br />

<strong>la</strong>ma che mozza <strong>la</strong> testa di un uomo/ nel<strong>la</strong> mente diritta mi entra a ruscello.// Mi avv<strong>in</strong>ghia, mi stri-<br />

za, mi succhia/ mi roto<strong>la</strong> <strong>in</strong> aria e mi riempie di sputi,/ mi pulisco e mi metto <strong>in</strong> g<strong>in</strong>occhio/se vuoi<br />

l’anima aspetta ma fammi….// Cantare.Io mi tocco e sospiro / mi rannicchio nei giorni di fuoco /<br />

accarezzo un legnetto e mi metto <strong>in</strong> camm<strong>in</strong>o/ nel bosco, là soltanto mi sazio d’amore.]<br />

*<br />

ABBASTA NA MUZZICATA<br />

Abbastà na muzzicata sicca<br />

ad occhi chjiusi ed a farvetta<br />

non nci restà cchjiù ‘u coju<br />

‘u canthu mutu nt’è sp<strong>in</strong>a d’a sipa<strong>la</strong><br />

‘u volu lenthu d’i p<strong>in</strong>ni nz<strong>in</strong>a a ‘n terra.<br />

E’ l’unica sarvazzioni ‘u sangu cardu<br />

pè cu a na certa età i cunti faci<br />

ch’i picci du passatu, ‘i scafazza<br />

com’ajivi sutt’a mac<strong>in</strong>a<br />

e ‘u spilu ‘i pitaci diventa siti<br />

‘i milli e cchjiù anni arretu<br />

viulenza mmenzu è jidita, d<strong>in</strong>ta d<strong>in</strong>ta.<br />

Non mi dassati, cacaruni<br />

propia mò, chi sugnu ruggia<br />

239


‘i petra e mmerda pè <strong>la</strong>vari culi<br />

l’acqua mi sicca nta sti notti<br />

magri e ‘u pisu du mè corpu<br />

spiaccica formichi nt’è macigni.<br />

E non potimu mancu jestimari<br />

nu chi l’occhji orbi<br />

tenimma sempi a Ddi.<br />

[Bastò un morso secco ad occhi chiusi/e al<strong>la</strong> cap<strong>in</strong>era non restò più il collo/ il canto strozzato tra le sp<strong>in</strong>e<br />

del roveto/ il volo lento delle piume a terra.// È l’unica salvezza il sangue caldo/ per chi a una certa età fa<br />

i conti/ coi tarli del passato, li schiaccia/ come sotto <strong>la</strong> mac<strong>in</strong>a le olive/ e il desiderio di sesso/ diventa<br />

sete primordiale/ violenza nelle dita, dentro dentro.// Ma non mi <strong>la</strong>sciate, codardi/ proprio adesso,che<br />

sono rugg<strong>in</strong>e/ di pietra e merda per <strong>la</strong>vare culi/ l’acqua mi secca <strong>in</strong> queste magre /notti e il peso del mio<br />

corpo/ spiaccica formiche sulle rocce.// E non possiamo neanche bestemmiare/ noi che gli occhi ciechi/<br />

tenemmo sempre a Dio.]<br />

*<br />

A SURVARA<br />

Se a nu corpu chjiudi a peji<br />

vidi a terra chi si xacca<br />

sbuja acqua ‘i ogni vanda<br />

<strong>la</strong>tti, ruggia, filu ‘i ferru<br />

zzucchi ‘i cerza c’a xumara<br />

sbatti a schjiaffi mpacci è scogghjia….<br />

‘I na grutta na mmagara<br />

faci cruci mmenzu all’aria<br />

cu nu jiditu a curteju<br />

za<strong>la</strong> ò mundu ch’è i gudeja<br />

sù catoju ‘i mmerda e amuri…<br />

Chi voliti, tri cotrari<br />

chi ncugnati sup’è rrami<br />

a cu prima schjiatta o godi?<br />

Inta ‘u <strong>la</strong>tti chi vi cu<strong>la</strong><br />

nc’ènnu arrisi e petri amari,<br />

se mentiti ‘n terra i pedi<br />

ncum<strong>in</strong>ciati m’i scorgiti<br />

nt’è pezzò<strong>la</strong> ‘i ssa survara.<br />

[Se d’un tratto chiudi <strong>la</strong> pelle/ vedi <strong>la</strong> terra che si spacca/ sgorga acqua da ogni parte/ <strong>la</strong>tte, rugg<strong>in</strong>e, fil<br />

di ferro/ ciocchi di quercia che <strong>la</strong> fiumara/ sbatte a schiaffi tra gli scogli…Da una grotta una magàra/<br />

disegna croci <strong>in</strong> mezzo all’aria/ con un dito su a coltello/ ur<strong>la</strong> al mondo che le budel<strong>la</strong>/ sono cant<strong>in</strong>a di<br />

merda e amore…/ Che volete, tre ragazzi/ che sp<strong>in</strong>gete sopra i rami/ a chi prima schiatta o gode?/ Dentro<br />

il <strong>la</strong>tte che vi co<strong>la</strong>/ ci sono sorrisi e pietre amare,/ se mettete a terra i piedi/ <strong>in</strong>izierete a <strong>in</strong>travederli/<br />

nel<strong>la</strong> corteccia di quel sorbo.]<br />

*<br />

A VECCHJIA<br />

D’acitu a vecchia s’ammojà i <strong>la</strong>bbra<br />

prima u ndi parra du spilu, a curpa<br />

chi ‘n panza si porta di na vita.<br />

Ncigna' u ndi dici d'i sp<strong>in</strong>i 'i sipa<strong>la</strong><br />

chi s’appizzanu a n’età <strong>in</strong>t’è d<strong>in</strong>occhjia<br />

comu nenti fussi, nenti rispettu<br />

è corpi 'i nervu sup'a sch<strong>in</strong>a.<br />

A sco<strong>la</strong> a chi servi ? Rimbumbanu i palori<br />

240


du patri, e po’ sup’o purm<strong>in</strong>u sacciu eu<br />

comu si mov<strong>in</strong>u i mani d’i cotrarazzi d’oji!<br />

tu stà pilita ccà, <strong>in</strong>t’è mè vrazza.<br />

D’a grutta i cucuja ntronavanu<br />

e a forza i vidiri fogghji mpurruti<br />

a testa quasi scoppia, nu fetu d’a terra<br />

e ‘u jelu chi trapàna d<strong>in</strong>t’a gonna.<br />

Seditivi cotrari, ‘u focu<strong>la</strong>ru vaci<br />

p’a so strata, vu chi campati ‘i palori<br />

smuzzicati….a storia non si poti<br />

portari a’ f<strong>in</strong>i quandu a xumara<br />

ti squarta a memoria.<br />

[D’aceto <strong>la</strong> vecchia si bagnò le <strong>la</strong>bbra/ prima di par<strong>la</strong>rci del desiderio, <strong>la</strong> colpa/ che <strong>in</strong> pancia si porta da<br />

una vita.// Iniziò a dirci delle sp<strong>in</strong>e del rovo/ che s’<strong>in</strong>filzano a un’età sulle g<strong>in</strong>occhia/ come niente fosse,<br />

niente rispetto/ ai colpi di nerbo sul<strong>la</strong> schiena.// A che serve <strong>la</strong> scuo<strong>la</strong>? Rimbombano le parole/ del padre,<br />

e poi sul pulm<strong>in</strong>o so io/ come si muovono le mani dei ragazzacci di oggi!/ Tu stai pulita quì, tra le mie<br />

braccia.// Dal<strong>la</strong> grotta <strong>la</strong> grand<strong>in</strong>e r<strong>in</strong>trona/ e a forza di veder marcire le foglie/ <strong>la</strong> testa quasi scoppia, un<br />

puzzo dal<strong>la</strong> terra/ e il gelo a trapanare nel<strong>la</strong> gonna.// Sedetevi ragazzi, il foco<strong>la</strong>re va/ per conto suo, voi<br />

che vivete/ di parole mozze… <strong>la</strong> storia non si può/ portare a term<strong>in</strong>e quando il fiume/ ti squarcia <strong>la</strong><br />

memoria.]<br />

*<br />

RRAMI D’AGGHJIASTRU<br />

Pecchì rramu, rramu d’agghjiastru<br />

ammata non mbizzàu a ligari<br />

li fasc<strong>in</strong>i(comu voli a terra mia)<br />

e assettatu a n’armacera sù c’aspettu<br />

c’o carrettu di l’arrisi vaji u passa<br />

e cunti mi riga<strong>la</strong> cunti frischi da spogghjiari?<br />

Sentu, ammata sentu a za<strong>la</strong> du porceju<br />

chi trapana nta timpuna e voschi fitti<br />

mi sp<strong>in</strong>gi sup’a peji com’a chiju<br />

‘i nu <strong>la</strong>llà ch’è senza <strong>la</strong>tti, senza xatu<br />

e puru mà d’a figghjio<strong>la</strong>nza mi spagnài…<br />

sdarrupa straci spili e vrazza mò a chj<strong>in</strong>a<br />

mentri i sp<strong>in</strong>i d’a sipa<strong>la</strong> fannu buca nt’è ricuordi<br />

e ncocchjiunu pè vi<strong>la</strong>nza pagà troppu.<br />

A petra du trappitu non perdugna.<br />

[Perché ramo, ramo d’olivastro/ non ho ancora imparato a legare/ le fasc<strong>in</strong>e (come vuole <strong>la</strong> mia terra)/ e<br />

seduto su un muro a secco aspetto/ che il carro dei sorrisi passi/ a rega<strong>la</strong>rmi storie, storie fresche da<br />

sfogliare?// Sento, ancora sento l’urlo del maiale/ trapassare <strong>la</strong> coll<strong>in</strong>a e i boschi fitti/ mi preme sul<strong>la</strong><br />

pelle come quello/ di un neonato senza <strong>la</strong>tte, senza fiato/ eppure mai ho temuto l’<strong>in</strong>nocenza…/ travolge<br />

cocci voglie e braccia <strong>la</strong> corrente/ mentre le sp<strong>in</strong>e del roveto fanno buchi sui ricordi/ e qualcuno a<br />

compensare paga troppo.// La pietra del frantoio non perdona.]<br />

*<br />

SE NCHJIANA DDI<br />

A muntagna ammuccia i culuri<br />

nt’è notti ‘i luna chj<strong>in</strong>a<br />

241


smettì ‘i pocu ‘u cantu ‘i morti<br />

du scropìu sup’o timpuni<br />

craculi ‘i ruggia si mpastanu<br />

è pezzu<strong>la</strong> ‘i lignu cacati du ventu.<br />

Na calurìa ‘i scarricu rov<strong>in</strong>a<br />

i sonna d’a carni nnocenti,<br />

vota mentrasti nt’a catramma<br />

na tartarugha gihanti sbujata<br />

d’u fundu, sputa e jetta focu<br />

sup’a panza d’a prima matrigna.<br />

Cu vitti ‘u primu jiditu tremari<br />

cu vitti ‘u sangu nesciri du parmentu<br />

ndavi u vaji cchjiù chjianu<br />

u si menti ‘n d<strong>in</strong>occhjiu nnanzi<br />

a’ na petra ‘i timpa<br />

e cu nu tizzuni signari a peji<br />

scriviri na strata pricisa<br />

chi sparti ‘u cielu di l’ossa.<br />

Ca se nchjiana Ddi, na vota pe’ tutti<br />

si rendi cuntu ‘i undi trasì a mmerda<br />

quantu custaru i <strong>la</strong>rii arrisati<br />

e c’a violenza diricati ‘i <strong>la</strong>nda<br />

a’ terra nci misi.<br />

[La montagna nasconde i colori/ nelle notti di luna piena/ è appena cessato il canto di morte/ dell’assiolo<br />

sul<strong>la</strong> coll<strong>in</strong>a/ cocci di rugg<strong>in</strong>e si impastano/ ai trucioli di legno cagati dal vento.// Un’arsura di fogna<br />

deturpa/ i sogni di carne <strong>in</strong>nocente,/ rovescia sterpaglie sull’asfalto/ una tartaruga gigante emersa/<br />

dall’abisso,sputa e getta fiamme/ sul<strong>la</strong> pancia del<strong>la</strong> prima matrigna.// Chi ha scorto il dito tremare/ chi ha<br />

visto il sangue sgorgare dal palmento/ deve rallentare il suo passo/ <strong>in</strong>g<strong>in</strong>occhiarsi davanti a una pietra di<br />

rupe/ e con un tizzone segnare <strong>la</strong> pelle/ tracciare netto il percorso/ che separa il cielo dalle ossa.// Chè se<br />

sale Dio, una volta per tutte/ si renderà conto dov’è penetrata <strong>la</strong> merda/ quanto sono costati gli sporchi<br />

sorrisi/ e che <strong>la</strong> violenza ha messo radici di <strong>la</strong>tta/ al<strong>la</strong> terra.]<br />

*<br />

NC’E’ NU POSTU<br />

Nc’è nu postu, tra Magenta e<br />

Treccati aundi vaju a paci mu cercu<br />

ogni vota chi veni a serpi u mi trova<br />

o ’u mè corpu arrè addura di pani.<br />

Jà nc’è l’acqua ammucchiata<br />

c’aspetta i mè occhi e si prica<br />

nta gurna, com’a prima vota;<br />

cutulija i petrocciu<strong>la</strong> pemmu<br />

v<strong>in</strong>ci a virgogna ‘i nu sulu m<strong>in</strong>utu<br />

po’ mi sciogghji cavaju. Eu<br />

mi rivigghjiu e m’aggrappu<br />

a na sipa<strong>la</strong>, seguu ‘u fumu nto<br />

ponti ‘i nu trenu a vapori<br />

na cam<strong>in</strong>ata fel<strong>in</strong>a m’<strong>in</strong>canta<br />

mi je<strong>la</strong>, e specchjiata eu viju<br />

‘i granitu a curva du cielu.<br />

[C’è un luogo, tra Magenta e Trecate/ dove vado a cercare <strong>la</strong> pace/ ogni volta che viene <strong>la</strong> serpe a<br />

bussare/ e il mio corpo riodora di pane.// Lì c’è l’acqua <strong>in</strong> agguato/ che aspetta i miei occhi e s’<strong>in</strong>canta/<br />

nel greto, come <strong>la</strong> prima volta;/ solletica i ciottoli per v<strong>in</strong>cere/ <strong>la</strong> vergogna di un attimo, poi/ mi scioglie<br />

242


le briglie. Io// mi desto e m’aggrappo/ a un roveto, seguo il fumo sul ponte/ di un treno a vapore, un<br />

passo fel<strong>in</strong>o/ m’ipnotizza, mi ge<strong>la</strong> e riflessa m’appare/ di granito <strong>la</strong> volta del cielo.]<br />

Notizia.<br />

Alfredo Panetta è nato nel 1962 a Locri, <strong>in</strong> Ca<strong>la</strong>bria dove è vissuto f<strong>in</strong>o al 1981. Da allora risiede a Mi<strong>la</strong>no<br />

dove svolge l’attività di artigiano nel settore <strong>in</strong>fissi <strong>in</strong> allum<strong>in</strong>io. Da 6 anni scrive nel dialetto materno; ha<br />

partecipato a diversi concorsi di poesia, v<strong>in</strong>cendo nel 2004 il premio Montale Europa per <strong>in</strong>editi e<br />

c<strong>la</strong>ssificandosi tra i Menzionati Speciali nello stesso anno al premio Nosside. Sue poesie sono state<br />

pubblicate su varie riviste, tra le quali Il Segnale, La Mosca di Mi<strong>la</strong>no, La Clessidra, Capoverso, Tratti, Le<br />

Voci del<strong>la</strong> Luna, Il Foglio C<strong>la</strong>ndest<strong>in</strong>o e Nuovi Argomenti. Nel 2005 è stato pubblicato il suo primo libro<br />

Petri ‘i limiti con <strong>la</strong> casa editrice Moretti & Vitali di Bergamo (F<strong>in</strong>alista al premio Maestrale, Premio<br />

Speciale del<strong>la</strong> giuria al Concorso Delta POesia e V<strong>in</strong>citore del premio “Il Tripode” a Crotone).<br />

243


NEI GIARDINI CONDOMINIALI<br />

(Inediti)<br />

*<br />

Un colpo d’ascia, di netto, abbatte il frass<strong>in</strong>o adulto. Del resto non credevamo<br />

<strong>in</strong> lui, come non crediamo <strong>in</strong> chi non resiste.<br />

Resistere all’ascia, da piccoli si fa, si riesce. Ma l’adulto vacil<strong>la</strong>, scricchio<strong>la</strong>, cede, vede doppio.<br />

*<br />

Questo so, eravamo massa <strong>in</strong>forme uniformemente amalgamata e gentile prima che ci facessero a<br />

pezzetti e tu fossi tu e le parole i gesti le figure tremo<strong>la</strong>nti soverchiassero <strong>la</strong> gioia. Soppesare divenne<br />

l’esercizio, valutare il tempo come risorsa schifosamente progressiva. Cose che passano restano, per<br />

esempio <strong>la</strong> grammatica e il buio che ne deriva.<br />

*<br />

I pensieri si facevano enormi, distesi, ma più si camm<strong>in</strong>ava più le gambe si appiattivano sull’asfalto e i<br />

piedi prendevano misure sottili, ridicole al cospetto dei giganti di viale Sarca. Quando eravamo quasi<br />

pulci, con pensieri rotti dal gran di<strong>la</strong>tarsi, un attimo prima di dissolverci arrivammo da Mar<strong>in</strong>a «che era<br />

più grande e non lo sapevamo». Il vero gigante spaccapensieri ci aspettava nell’hangar altissimo più del<br />

duomo e buio come <strong>la</strong> notte all’ora dei corrieri <strong>in</strong> pieno giorno. Si poteva toccare <strong>la</strong> vastità? Niente<br />

somigliava a quel dolore di<strong>la</strong>tato, nemmeno il video di sette metri per trenta. Che terrore, sul<strong>la</strong> pancia di<br />

Mar<strong>in</strong>a, che sf<strong>in</strong>imento, «scorderai presto questa grandezza, ma dalle un posto ora, tieni<strong>la</strong> dietro il<br />

cancello, dai un nome a questo muro liscio.»<br />

…<br />

Siamo di nuovo sul<strong>la</strong> strada. Lei portando gli occhiali leggeva. Si sentiva il respiro del gigante – <strong>la</strong><br />

vecchia Breda – e Mar<strong>in</strong>a, o <strong>la</strong> sua presenza, che lo ammansiva.<br />

*<br />

Dice voglio diventare vecchissima, voglio essere vecchissima decrepita senza più desideri, oltre <strong>la</strong><br />

tensione visibile, un liquame adagiato su vicende private, un dirupo vergognoso che mi crol<strong>la</strong> ancora<br />

addosso.<br />

Dice voglio arrivare a essere vecchissima, senza più giovani <strong>in</strong>torno, ornata solo di sabbie armate<br />

immobili per vedere cosa c’è dietro tutto questo, cosa c’era dietro tutto questo. Incappucciata <strong>in</strong> una<br />

storia risibile, ormai non più vista né osservata, vedere come <strong>in</strong>truglio maleodorante il vero motivo di<br />

tutto questo il vero (…)<br />

*<br />

Come farà bebè a morire?<br />

(Teresa di Lisieux, Ultimi collo<strong>qui</strong>)<br />

Le mamme con i piccoli entrano <strong>in</strong> acqua senza bagnarsi i capelli. Le pett<strong>in</strong>ature mantengono il loro<br />

gonfiore, quando escono dall’acqua, ma certi ricciol<strong>in</strong>i si depositano sul collo e sull’arco delle spalle… A<br />

essere quei piccoli c’è tutto da guadagnare: <strong>la</strong> schiena del<strong>la</strong> mamma ancora umida offre un riparo dal<br />

sole e quel<strong>la</strong> polpa chiara da prendere a morsett<strong>in</strong>i!<br />

*<br />

Fräule<strong>in</strong> ha liberato il suo carceriere. Lui con spade pistole pugnali è scappato lontano non prima di<br />

togliersi <strong>la</strong> vita. Ora <strong>la</strong> ex reclusa mostra alle telecamere i segni del<strong>la</strong> lunga <strong>la</strong>titanza: camicetta fuori<br />

moda, unghie poco curate, nessuna voglia di mandare sms. Guarirà con l’aiuto del<strong>la</strong> psicoterapia.<br />

*<br />

Il bene salva. Abbiamo attraversato il tunnel di stazioni irriconoscibili per velocità di passaggio e fermate<br />

non richieste. Poi il buio delittuoso di una contrattazione rapida, marciare veloci, qualcuno che imprecava.<br />

A quel punto <strong>la</strong> paura aveva già consegnato <strong>la</strong> ragazza (chiamiamo<strong>la</strong> così) al<strong>la</strong> schiera <strong>in</strong>nocua di quelli<br />

che vanno. Voglio dire: si stava allontanando, le sembianze non erano più le stesse, <strong>la</strong> si portava via da<br />

noi. Senza al<strong>la</strong>rme, senza orrore. Con una certa cordiale meticolosità.<br />

Ma il buio, a volte, salva. Salva <strong>la</strong> notte. Di matt<strong>in</strong>a gli arti spossati, pesanti <strong>qui</strong>ntali. La fatica di essere di<br />

nuovo leggeri.<br />

244


*<br />

Ti metti <strong>in</strong> macch<strong>in</strong>a guidi di notte, millequattrocento euro esentasse senza bisogno del commercialista –<br />

<strong>qui</strong> alza il tono poi lo abbassa.<br />

Ciao belle bimbe dove andate.<br />

Il pomeriggio ha l’aria più scura. A furia di pause e tipi che passano il bar diventa una cattedrale. Pochi<br />

silenzi sono gli stessi solo non c’è un centro, il centro va via <strong>in</strong> corrispondenza dell’<strong>in</strong>crocio. È una rarità<br />

che corrompe, sperpera idiomi, il<strong>la</strong>nguidisce.<br />

(zona Brera)<br />

*<br />

Se poi non fossero che co<strong>la</strong>te di attributi – i corsi alberati, l’<strong>in</strong>differenza delle auto <strong>in</strong> sosta. Un tutt’uno<br />

che mortifica il par<strong>la</strong>to, un apparire legati all’<strong>in</strong>calzare del<strong>la</strong> festa…<br />

(Mi<strong>la</strong>no, via Civerchio)<br />

*<br />

Ottobre carsico, ma anche gentile. Tra l’<strong>in</strong>izio e <strong>la</strong> f<strong>in</strong>e, <strong>in</strong> una staticità accudita, tutto par<strong>la</strong> di un<br />

sentimento mediano, gregario malpagato e riconoscente.<br />

Riconoscenza. Ecco come resp<strong>in</strong>gere le ondate estive irrisolte. Senza guardarsi <strong>in</strong>dietro, attraversando<br />

muri a spal<strong>la</strong>te.<br />

*<br />

Ils sont venus, les forestiers de l’autre versant,<br />

les <strong>in</strong>connus de nous, les rebelles à nos usages.<br />

(René Char, Les <strong>in</strong>venteurs)<br />

Non ho nul<strong>la</strong> non posseggo nul<strong>la</strong> non aspiro a nul<strong>la</strong>. Amo il cruccio delle membra nell’<strong>in</strong>cedere come il<br />

carcere spaesato che mi saldava allo sguardo dell’ultimo, o il penultimo comunque uno straniero, uno<br />

spogliato di tutto sorridente ancora piacente sotto <strong>la</strong> coltre devastata degli anni senza accumulo – una<br />

carriera al contrario – Sono io quell’uomo assente vigilo solo così, sento gli archi tesi del pianissimo, due<br />

gocce smaltate che si abbracciano a mezzo vetro e precipitano al fondo (…) Odio il tuo accumulo il<br />

discrim<strong>in</strong>e il riserbo a sperperare, tu sei ricco un ricco potente non ci armare non guardarci, siamo una<br />

goccia unica priva di tutto, a filo di sogno, di smania a un disconoscimento, di un cortocircuito che prima<br />

o poi ci brucia.<br />

*<br />

Appunti di economia domestica<br />

Mia mamma fa le spremute, Annamaria prepara i toast mentre il cagnol<strong>in</strong>o Tessa saltel<strong>la</strong> tutt’attorno<br />

spargendo briciole di pane raffermo: sono i fantasmi ragge<strong>la</strong>ti <strong>in</strong> una cartol<strong>in</strong>a postale dell’<strong>in</strong>fanzia del<strong>la</strong><br />

famiglia Pianzo<strong>la</strong>. Tutti potrebbero riconoscervisi, a parte i toast che <strong>in</strong> questo caso sono preparati con<br />

prosciutto Barab<strong>in</strong>o, una produzione locale.<br />

…<br />

Abbiamo trovato le mele Annurca, stranissimo nome di mele campane. Purtroppo però <strong>in</strong> questa seconda<br />

cartol<strong>in</strong>a non c’è il paesaggio che vi aspettereste: mancano bamb<strong>in</strong>i, <strong>in</strong> seguito mancheranno adolescenti.<br />

…<br />

Potrei sp<strong>in</strong>germi oltre e <strong>in</strong>cidere sul<strong>la</strong> pag<strong>in</strong>a, che già si ribel<strong>la</strong>, il nome di tutti i compagni di scuo<strong>la</strong> e<br />

delle città che hanno <strong>formato</strong>. Mi sentirei tra l’altro a posto con <strong>la</strong> coscienza, impersonale collettiva come<br />

ho sempre cercato di essere, un buchetto <strong>in</strong>sulso nel<strong>la</strong> fol<strong>la</strong> affaccendata militante. Che orrore, dio, <strong>la</strong><br />

paro<strong>la</strong> io.<br />

*<br />

Si vive meglio nel fallimento oscuro, nel<strong>la</strong> caritatevole assenza di illusioni che mette quel sentore sapido<br />

tra i denti e <strong>la</strong> l<strong>in</strong>gua. Da questa posizione, guardando <strong>in</strong> su, il cielo è un fondo <strong>in</strong>catramato che ripara,<br />

schiaccia verso il basso <strong>in</strong>sacca nell’ombra. E lì il respiro <strong>in</strong>siste, <strong>la</strong> catena massacrante scivo<strong>la</strong> leggera<br />

sulle scapole che non sembra vero. Non conviene salire di grado, non pare bello disseppellire il capo con<br />

un colpo astuto del<strong>la</strong> nuca.<br />

245


*<br />

Da un po’ mi attraggono le sante, quelle che si amma<strong>la</strong>vano gravemente e prendevano il dolore come un<br />

premio speciale del padreterno, il segno che gli voleva proprio bene. Teres<strong>in</strong>a, per esempio, diceva che<br />

Gesù era un <strong>la</strong>dro e <strong>la</strong> voleva rubare. Lo diceva con un sorrisetto furbo mentre <strong>la</strong> fatica di respirare <strong>la</strong><br />

faceva sobbalzare sopra il letto. Ha par<strong>la</strong>to così un’estate <strong>in</strong>tera, con bocciòli di gardenia che le uscivano<br />

dal petto.<br />

*<br />

Non so come chiamar<strong>la</strong>: <strong>la</strong> cosa non ha nome.<br />

(Joseph Conrad, Lord Jim)<br />

Lasciamo macchie, <strong>in</strong>calc<strong>in</strong>iamo il passaggio con impronte un poco untuose. Là dove stavi seduto per<br />

molto tempo s’è creata un’<strong>in</strong>fossatura. Era un pomeriggio o una sera, l’appartenenza al<strong>la</strong> stanza si<br />

p<strong>la</strong>cava su un sedile per nul<strong>la</strong> consapevole. E buchi, e mancanze, e volti da rallegrare. Ma se stai da<br />

un’altra parte, e hai percorso un bel po’ di scale, riempi almeno di presenza l’<strong>in</strong>cavo affannato, manda<br />

qualcuno. Qui serve il tepore di un bac<strong>in</strong>o a riposo.<br />

*<br />

Nei giard<strong>in</strong>i condom<strong>in</strong>iali vado di sera, f<strong>in</strong>go di passeggiare con il cane e mi sorbisco manfr<strong>in</strong>e famigliari,<br />

rumori di cose spostate, tapparelle abbassate. Luci <strong>in</strong> sequenza dalle f<strong>in</strong>estre degli appartamenti. A volte<br />

si sente lo scatto elettrico di un cancello, poi un ragazzo salta giù dalle scale comuni. Mi piace saperli a<br />

tavo<strong>la</strong>, o <strong>in</strong> soggiorno, lei che va dove non sa lui, un figlio che gioca sul letto.<br />

*<br />

Nell’edificio anonimo, rumori di ferri gettati nel cortile. Risorse consumate gli oggetti nel<strong>la</strong> stanza, più di<br />

ogni altro il cellu<strong>la</strong>re, che ha già fatto il suo mestiere. Una mezzora scarsa ci separa dall’evento (fatto che<br />

accadrà nel pomeriggio). Nul<strong>la</strong> è <strong>in</strong>certo, anche il fumo del<strong>la</strong> sigaretta camm<strong>in</strong>a dritto verso un punto<br />

del<strong>la</strong> parete mezzo illum<strong>in</strong>ata. Qui, almeno, saremo pulviscolo persistente, già solidificato (<strong>in</strong>tendo <strong>la</strong><br />

realtà, il chiarore che sbaraglia).<br />

*<br />

Sed nec perpetuae sedes sunt fontibus ul<strong>la</strong>e,<br />

aeterni aut manant cursus.<br />

(Giovanni Pontano, Meteororum Liber)<br />

Il tempo delle cose è brevissimo, eppure operai demoliscono <strong>in</strong>sistentemente per costruire una multisa<strong>la</strong>.<br />

Scavatrici <strong>in</strong> funzione, materiali edìli <strong>in</strong> quantità <strong>in</strong>descrivibile. Io per me <strong>in</strong>filo <strong>in</strong> fretta le scarpe al<strong>la</strong><br />

matt<strong>in</strong>a per scampare al crollo prevedibile e correre da qualche parte. L’<strong>in</strong>gu<strong>in</strong>e nei pantaloni non par<strong>la</strong>,<br />

ammutolito stancabile sf<strong>in</strong>ito. È un tempo <strong>in</strong>colume f<strong>in</strong>ora, mi dico, ma a fatica lo <strong>in</strong>tendo, a fatica<br />

assumo posizioni durevoli. Non è certa <strong>la</strong> causa, l’effetto addirittura manca. Ma quotidianamente <strong>in</strong>sisto <strong>in</strong><br />

un tempo che resiste, dentro una storia non richiesta che non rischia suoli, non escogita.<br />

---<br />

Note.<br />

Il testo I pensieri si facevano enormi, distesi è stato scritto <strong>in</strong> occasione del<strong>la</strong> mostra Balkan Epic, Mar<strong>in</strong>a Abramovic,<br />

Hangar Bicocca, Mi<strong>la</strong>no 2006.<br />

Fräule<strong>in</strong> ha liberato il suo carceriere si riferisce al caso di Natascha Kampusch, rapita a dieci anni nel 1998 e liberata<br />

nell’agosto 2006.<br />

Teres<strong>in</strong>a, <strong>in</strong> Da un po’ mi attraggono le sante, è Teresa di Lisieux (1873-1897).<br />

Notizia.<br />

Luisa Pianzo<strong>la</strong> è nata a Tortona nel 19<strong>60</strong> e si è <strong>la</strong>ureata <strong>in</strong> storia dell’arte contemporanea al<strong>la</strong> Facoltà di<br />

Lettere e Filosofia dell’Università di Genova. Giornalista pubblicista, ha pubblicato i volumi di architettura<br />

Alberto Sartoris, da Tor<strong>in</strong>o all’Europa (Alberto Greco Editore, Mi<strong>la</strong>no 1990) e Prima del Progetto, disegni<br />

del<strong>la</strong> formazione di Alberto Sartoris (Sapiens, Mi<strong>la</strong>no 1993). Ha pubblicato le raccolte di poesia Sul<br />

Caramba, Sapiens, Mi<strong>la</strong>no 1992, Corpo di G., <strong>LietoColle</strong>, Faloppio 2003 (prefazione di Maurizio Cucchi) e<br />

La scena era questa, <strong>LietoColle</strong>, Faloppio 2006 (prefazione di Gianni Turchetta).<br />

246


Ha curato l’edizione 2006 de Il Segreto delle Fragole, <strong>LietoColle</strong>. Sue poesie sono apparse <strong>in</strong> riviste e<br />

antologie. Vive e <strong>la</strong>vora tra Tortona e Mi<strong>la</strong>no.<br />

247


luglio, 10.00 pm<br />

coro dei condom<strong>in</strong>i (a <strong>la</strong>to)<br />

noi gente così povera di illum<strong>in</strong>azione da potersi dire<br />

carente di quelle verità su cui fondare <strong>la</strong> più friabile delle dannazioni<br />

ma sempre <strong>in</strong>tenta a rum<strong>in</strong>are calma vaghe forme di lotta nel ventre<br />

[lungo dei pa<strong>la</strong>zzi<br />

noi soli consumiamo elettricità a fiotti coerentemente<br />

per meglio figurare davanti gli specchi dove scema <strong>la</strong> giornata<br />

ubriachi del sonno vuoto che procedere non vuole<br />

e si fa nuova ruga crepa abissale fra i due emisferi del<strong>la</strong> mente<br />

*<br />

luglio, 11.40 pm<br />

gli si fa <strong>in</strong>contro <strong>la</strong> troppa varietà dei nomi<br />

il diagramma di quante menzogne produciamo<br />

impossibile da decifrare<br />

qualcosa abbarbicata al respiro che lo spreme e lo ribalta tramutato <strong>in</strong><br />

[nuovo orrore<br />

perché questo balbettio ci meritiamo<br />

e quale altra <strong>in</strong>sensatezza può immag<strong>in</strong>are mentre varca <strong>la</strong> soglia<br />

malgrado il dolore procurato da questa faccia chiusa a pugno<br />

malgrado tutto<br />

*<br />

luglio, 09.00 am<br />

poi s’è dormito ancora<br />

lontano dai morti come dai sogni<br />

<strong>in</strong> una distanza siderale<br />

cui si arriva per macerazione <strong>in</strong>terna e assoluta dimenticanza<br />

ma niente dolore niente<br />

<strong>qui</strong>ndi naturale al risveglio farsi un caffè<br />

ascoltare dell’ufficio accanto il condizionatore<br />

quel suono snervante<br />

poi <strong>la</strong>sciare che pervicace il bianco <strong>in</strong>vada <strong>la</strong> mente<br />

*<br />

luglio, 06.24 pm<br />

a venire<br />

<strong>qui</strong> sono l’<strong>in</strong>ferno e il dubbio personale<br />

cresciuti entrambi al passaggio di memorie disattente<br />

quelle che hanno <strong>formato</strong> le false prospettive<br />

da cui parte l’<strong>in</strong>verno prossimo a venire<br />

il vuoto abbaglio di cande<strong>la</strong><br />

creato per mostrare <strong>la</strong> distanza dai conf<strong>in</strong>i certi<br />

lo spazio troppo esteso dove l’opera dev’essere<br />

con forza e pugni fatta grande ma povera non tiene<br />

non ci fa contenti prima del letargo<br />

prima dei pensieri accesi<br />

spenti<br />

[Da INTERIORS]<br />

248


*<br />

prima<br />

lo seguono nel chiarore del retrobottega<br />

sicuri del fatto loro gli fanno pers<strong>in</strong>o discorsi pratici<br />

su quanto potrebbe restare <strong>in</strong> piedi del suo futuro<br />

cosa che pare a lui non frega<br />

vuoi per l’eventualità di certi strascichi<br />

sia per l’onesto <strong>la</strong>vorare al pozzo dei pensieri<br />

oltre l’estremo limite di ogni costanza<br />

per questo sembra li guardi con <strong>in</strong>differenza<br />

quasi non li senta par<strong>la</strong>re del come o dei perché<br />

solo contemp<strong>la</strong> <strong>in</strong> funzione di se stesso<br />

<strong>la</strong> consistenza del cosa era davanti al cosa è<br />

mentre nuovamente <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> perde di significato e nesso<br />

*<br />

<strong>in</strong>termedia<br />

ammirano lo strato secondario del<strong>la</strong> luce<br />

quel<strong>la</strong> piega meridiana che strappa forme dal paesaggio<br />

riducendole a fondale necessario<br />

<strong>qui</strong> andrebbe fatto lo sforzo si dicono<br />

<strong>qui</strong> non poco oltre<br />

fermando il tempo nell’istante imposto al<strong>la</strong> natura<br />

e l’uno capisce <strong>la</strong> parol<strong>in</strong>a <strong>la</strong> formuletta magica<br />

composta dal<strong>la</strong> metà a se stesso identica<br />

allora con gli occhi immag<strong>in</strong>a il boato avvenire<br />

prendere forma prima dell’orizzonte<br />

senz’altro bisogno di sapere<br />

*<br />

pausa<br />

aspettano sempre il momento giusto<br />

perché solido gli appaia l’agglomerato dei ragionamenti<br />

con tutta l’<strong>in</strong>eluttabile staticità delle cause<br />

parenti strette nel<strong>la</strong> produzione degli effetti<br />

aspettano con tran<strong>qui</strong>llità<br />

creando pause fra boccata e boccata di qualche sigaretta<br />

senza stare troppo a immag<strong>in</strong>are l’oltre nascosto dietro il velo<br />

come sarebbe vero o semplicemente giusto si facesse<br />

per una volta so<strong>la</strong> per qualche volta almeno<br />

*<br />

terza azione<br />

spostano l’attenzione di chi resta curioso<br />

dal fatto al presupposto dell’atto<br />

ancora tutto da <strong>in</strong>terpretare<br />

poi stanno ad aspettare che nessuno li noti<br />

nell’eco prodotto dai richiami delle sirene<br />

si fanno contenitori sempre più vuoti<br />

figure prese <strong>in</strong> prestito da subito eclissate<br />

249


*<br />

sesta: <strong>in</strong>torno a prima 1<br />

l’uomo che dorme il suo dest<strong>in</strong>o<br />

gli dicono suadenti non ha futuro<br />

perciò sul da farsi lo consiglieranno proprio loro<br />

che come lui padri di famiglia già sono<br />

e restano <strong>in</strong>tegri padroni del governare<br />

sul<strong>la</strong> vastità del campo famigliare<br />

anche dopo il raccolto avvenuto per fede<br />

anche se lui nel racconto non crede<br />

né cede alle precedenti lus<strong>in</strong>ghe poiché si avvede<br />

il seme è del tutto <strong>in</strong>coltivabile<br />

agli occhi appare completamente marcio<br />

ma loro vedere non possono<br />

trasformano se stessi <strong>in</strong> elementi abili<br />

a cancel<strong>la</strong>rgli le parole a trapassarle<br />

<strong>in</strong> suoni flebili<br />

*<br />

sesta: <strong>in</strong>torno a prima 2<br />

allora l’uno dice chiaramente dio madonna<br />

esprimendo se stesso nel r<strong>in</strong>ghio <strong>in</strong>naturale<br />

di chi s’è persa <strong>la</strong> ragione ma al contempo afferma<br />

verso l’opposta metà l’<strong>in</strong>consistenza proterva del suo esistere lì e ora<br />

quel novero di atti ciechi per cui non sa né vuole sapere<br />

però ost<strong>in</strong>atamente agisce perpetrando quel che ha <strong>in</strong> mente<br />

l’altro comprende ogni cosa<br />

recupera <strong>in</strong>segnamenti si fa aff<strong>in</strong>e accosta le tende<br />

nel gesto deciso propende<br />

*<br />

ottava<br />

ora si sa quanto li facciano contenti quelle immag<strong>in</strong>i rare<br />

formate per sedimentazione di paure eterne<br />

le ossa murate dietro punizione<br />

<strong>la</strong>rve di occhi impigliate sotto p<strong>la</strong>stiche trasparenti<br />

e gli odori che dopo si sono andati creando spontaneamente<br />

sono alcuni esempi per dichiarare l’atto e <strong>la</strong> sua funzione<br />

altrimenti chi li sente poi i diavoli dell’<strong>in</strong>ferno<br />

i comandanti pronti a comandare dai loro par<strong>la</strong>ment<strong>in</strong>i osceni<br />

capaci solo di ordire trame <strong>in</strong> luogo riparato<br />

quando già si sa il dramma per tutti è cosa <strong>in</strong>differente<br />

*<br />

nona<br />

leggono dal corriere del<strong>la</strong> sera le pag<strong>in</strong>e sportive<br />

poi i tambur<strong>in</strong>i degli spettacoli e procedendo a ritroso<br />

i necrologi le brevi di cronaca nera dove tutto il falso potere<br />

a loro aggiudicato prende forma e viene <strong>in</strong>dicizzato<br />

col piombo scuro degli <strong>in</strong>chiostri<br />

[Da LORO]<br />

250


Notizia.<br />

Sergio Rot<strong>in</strong>o (Lecce 1958) vive a Bologna dal 1977 dove <strong>la</strong>vora <strong>in</strong> campo editoriale e giornalistico. Poeta<br />

e narratore è stato uno dei fondatori delle riviste Versodove e Carmil<strong>la</strong>.<br />

Ha pubblicato <strong>la</strong> p<strong>la</strong>quette Non basta (Lecce, stamperia Palmieri, 1985).<br />

Suoi testi sono apparsi pr<strong>in</strong>cipalmente su fanz<strong>in</strong>e, riviste e quotidiani fra cui Addictions 6 (1996); Atelier<br />

17 (2000); Aube magaz<strong>in</strong>e 40 (Venissieux, Lione 1991); Bologna <strong>in</strong>contri 2 XVII (986); Campimagnetici<br />

1 (1989); Carmil<strong>la</strong> 1, 2 (1995, 1996); Dispacci 3, 4, 6, 7, 8 (1983-1985); Fernandel 19 (1998);<br />

L’immag<strong>in</strong>azione 5 (1985); l’<strong>in</strong>cantiere 20, 21 (1991, 1992); Labir<strong>in</strong>ti del fantastico 1-2 (2005); Numero<br />

Zero 4 (1987); Nuovi Argomenti 25 (2004); Orig<strong>in</strong>i 8 (1989); Pa<strong>la</strong>zzo Sanvitale 4 (2000); Private 4, 6,<br />

10, 14 (1994, 1995/1996, 1996/1997, 1998/1999); <strong>la</strong> Repubblica (1994); Il rosso e il nero 15 (1999); Lo<br />

spartivento 9, 21 (1988, 1989); La tartana degli <strong>in</strong>flussi 7 (1978); ’t<strong>in</strong>a 1, 8 (1996, 1998); Tratti 37, 72,<br />

73 (1995, 2006); l’Unità (1984); Versodove 1, 4/5 (1994, 1996); Vertig<strong>in</strong>e 6, 1 Nuova serie (2005,<br />

2006).<br />

È <strong>in</strong>oltre presente su varie antologie quali Opposizioni 11 (1988, PASS srl); Lo spartivento (1986-1990)<br />

(1990, Edizioni Lo spartivento); Gilberto Centi (a cura di), Bologna e i suoi poeti (1991, EM); Poeta legge<br />

poeta (1992, A.A.A. <strong>in</strong> cerca degli angeli); Niva Lorenz<strong>in</strong>i (a cura di), I colori delle parole (1993,<br />

Associazione Italo-francese); Marcello Fois (a cura di), Giallo, nero & mistero (1994, Stampa Alternativa);<br />

Matteo Bianchi (a cura di), Kaori non sei unica (1995, Tempi Stretti); Matteo Bianchi (a cura di), Miguel<br />

son sempre mi (1996, Tempi Stretti); Gilberto Centi (a cura di), Indag<strong>in</strong>e sul<strong>la</strong> poesia (1997,<br />

Pendragon); Valerio Evangelisti (a cura di), Fantastorie dal terzo pianeta (1998, L’altritalia); Akusma.<br />

Forme del<strong>la</strong> poesia contemporanea (2000, Metauro Edizioni); Le poesie del Navile 2000 (2000,<br />

Mobydick); Bruno Brun<strong>in</strong>i, Car<strong>la</strong> Castelli (a cura di), C<strong>in</strong>que anni dopo il duemi<strong>la</strong> (2006, Giraldi); Corale<br />

(2007, Le voci del<strong>la</strong> luna).<br />

Ha curato, da solo o con altri, le antologie Antologia 1988 (I quaderni del battello ebbro, 1988),<br />

Opposizioni 7 (1988), RZZZZZ! Scritture Sotterranee (1993, Transeuropa), <strong>60</strong>00 raudi e 2mi<strong>la</strong> paranoie<br />

(1996, Transeuropa); i fascicoli Lo spartivento 14 (1988), Iceberg ’96, <strong>in</strong> Versodove 6/7 (1997); Progetto<br />

Patchwork (2006); il libro di Francesco Scalone La macch<strong>in</strong>a dei sogni (1995, Millelire-Stampa<br />

Alternativa); <strong>la</strong> sezione poesia-narrativa del<strong>la</strong> rassegna e del catalogo “Rotte metropolitane 2” (Comune<br />

di Firenze, 1996); i volumi di poesia del premio “Renato Giorgi” re<strong>la</strong>tivi a Pao<strong>la</strong> F. Febbraro (2003,<br />

Manni), Marco Giovenale (2004, id.), Raymond André (2005, id.), Maria Gabriel<strong>la</strong> Canfarelli (2006,<br />

Giraldi), Elio Talon (2006, Le voci del<strong>la</strong> luna).<br />

Ha fatto parte del<strong>la</strong> cooperativa “Dispacci” di Roberto Roversi dal 1983 al 1986.<br />

251


Introduce <strong>la</strong> mano ed è caldo,<br />

le onde provengono da lontano, con l’impeto<br />

dell’acqua negli idranti, ma verso l’alto è gelido<br />

e terso, come un matt<strong>in</strong>o di Febbraio sullo Ionio,<br />

l’occhio si distacca come un uccello, osserva<br />

l’orologio degli eventi ruotare e l’erba crescere<br />

nel giard<strong>in</strong>o impraticabile,<br />

i camm<strong>in</strong>amenti di pietra spariscono e i figli<br />

escono dal<strong>la</strong> porta di servizio,<br />

<strong>la</strong> sua donna, col volto pieno di date<br />

come i libri di storia, gli mostra <strong>la</strong> mappa attuale<br />

del<strong>la</strong> loro vita, e sotto quel<strong>la</strong>, politica e cangiante,<br />

egli <strong>in</strong>travede, senza conf<strong>in</strong>i, <strong>la</strong> stabile e ane<strong>la</strong>ta<br />

pace geografica.<br />

***<br />

Lo sforzo di rappresentare <strong>in</strong> astratto, con formu<strong>la</strong> matematica, lo spirito<br />

si <strong>in</strong>frange sempre su risultati antropomorfi, dai quali, anche dopo <strong>la</strong> morte,<br />

scomposizione geometrica del<strong>la</strong> figura,<br />

si ricavano solo valori di superficie, come il dato numerico di base, altezza, <strong>la</strong>to,<br />

utili appena al<strong>la</strong> resurrezione del<strong>la</strong> forma.<br />

***<br />

E viene l’ora di rilegare le pag<strong>in</strong>e,<br />

il ferro del<strong>la</strong> cucitrice trapassa <strong>la</strong> carne,<br />

con <strong>la</strong> formu<strong>la</strong> che pone <strong>in</strong> rapporto<br />

il tempo, il dolore e l’ord<strong>in</strong>e che al<strong>la</strong> propria vita,<br />

con fatica, si tenta di dare,<br />

e fra quelle <strong>in</strong>giallite e le mancanti, l’albero<br />

conosce l’affanno del<strong>la</strong> sua irreversibile stagione autunnale,<br />

prima del macero f<strong>in</strong>ale, e i nuovi fogli ricavati,<br />

che si riscriveranno.<br />

***<br />

Si osserva nel<strong>la</strong> stanza come un oggetto,<br />

un bronzetto riverso di Co<strong>la</strong>pesce con <strong>la</strong> coppa<br />

nel<strong>la</strong> mano, ma privo di corpo, di spessore, istantanea di se stesso, che mai potrebbe cogliere altrimenti,<br />

come <strong>la</strong> carta di un fante<br />

prima d’essere giocata, chiara da un <strong>la</strong>to<br />

e oscura dall’altro, quello che si mostra,<br />

<strong>in</strong> agguato.<br />

[Da La dea del<strong>la</strong> geometria]<br />

Notizia<br />

Biagio Salmeri, medico psichiatra, vive a Catania. Per <strong>la</strong> poesia, ha pubblicato: "E passano nebbiosi i<br />

bastimenti", Premio Montale Inedito, <strong>in</strong> "7 Poeti del Premio Montale" (Scheiwiller, 1998), "La via umida"<br />

(Il Girasole, 1999, prefazione di Silvano Nigro), Premio Dario Bellezza Opera Prima, "Voci di so<strong>la</strong> andata"<br />

(Lietocollelibri, 2002, prefazione di Marco Guzzi), "L'esatta cubatura del vuoto" (Manni, 2002, prefazione<br />

di Elio Pecora).<br />

La raccolta "La pace e il dissenso" è <strong>in</strong> uscita presso Passigli Editori (2007, prefazione di Maurizio Cucchi).<br />

È presente con vari componimenti su antologie e riviste letterarie.<br />

252


NORA<br />

Fra le cose del tempo<br />

c’è anche Nora:<br />

sta ferma sul<strong>la</strong> soglia<br />

del<strong>la</strong> stanza vietata<br />

ad osservare i resti<br />

del bicchiere caduto<br />

dal<strong>la</strong> mano e ascolta<br />

<strong>la</strong> frase ripetuta<br />

da quello Shultz & Pollmann<br />

oltre <strong>la</strong> vetrata.<br />

*<br />

Del<strong>la</strong> Vienna d’<strong>in</strong>verno<br />

Del<strong>la</strong> Vienna d’<strong>in</strong>verno<br />

si rammenta con poco,<br />

se a chiamar<strong>la</strong><br />

le basta appena il niente<br />

che dentro ha un dispiacere.<br />

*<br />

Come un guanto<br />

Fra l’Ander<strong>la</strong>n e <strong>la</strong> notte<br />

sa un’altra l<strong>in</strong>gua e tace<br />

quando si accosta ai vetri<br />

a guardia di ore chiuse,<br />

gelida come un guanto<br />

perduto per le scale.<br />

*<br />

Dietro le imposte<br />

Il manto rassomiglia<br />

al muschio di Anterselva<br />

quasi senza il conforto<br />

dell’uomo coi gemelli<br />

che sta dietro le imposte<br />

di una città lombarda.<br />

*<br />

L’andatura<br />

Pure così vic<strong>in</strong>a<br />

quel<strong>la</strong> mal<strong>in</strong>conia<br />

che fa Merano, ancora,<br />

giovane come allora<br />

e bel<strong>la</strong> l’andatura<br />

di lei che va per via.<br />

*<br />

Oltre le tende<br />

Quando ancora non sa<br />

e delicata volge<br />

lo sguardo oltre le tende,<br />

[…]nel buio figura<br />

<strong>la</strong>bile tra figure<br />

Giorgio Caproni<br />

253


col fiato rotto scorge,<br />

sugli alberi, <strong>la</strong> neve.<br />

(1987)<br />

Notizia.<br />

Francesco Scarabicchi è nato ad Ancona, dove vive, nel 1951.<br />

Ha pubblicato, <strong>in</strong> versi, La porta murata (’82), Il viale d’<strong>in</strong>verno (’89), Il prato bianco (’97) raccolti, <strong>in</strong><br />

scelta, ne Il cancello 1980-1999 (Ancona, Pequod, 2001) con una nota di Pier V<strong>in</strong>cenzo Mengaldo. Nel<br />

2003 è apparso L’esperienza del<strong>la</strong> neve (Roma, Donzelli) f<strong>in</strong>alista al “Premio Viareggio” 2004 e v<strong>in</strong>citore<br />

del “Premio Metauro” e “Premio Crati” 2004; Il segreto (Brescia, L’obliquo, 2007).<br />

Ha tradotto da Machado e da Lorca raccogliendo una selezione ne Gli istanti feriti (Ancona, Università<br />

degli Studi, 2000) e <strong>in</strong> Taccu<strong>in</strong>o spagnolo (Brescia, L’obliquo, 2000).<br />

Di recente L’attimo terrestre – Cronache d’arte 1974 -2006 (Ancona, aff<strong>in</strong>ità elettive, 2006).<br />

Ha ideato e coord<strong>in</strong>a, dal 2002, <strong>la</strong> <strong>rivista</strong> semestrale di scritture, immag<strong>in</strong>i e voci nostro lunedì.<br />

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