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«Nel<strong>la</strong> sua testa immaco<strong>la</strong>ta e testardamente conformista<br />

non può entrare <strong>la</strong> previsione nemmeno più confusa<br />

di un padre nudo, pronto a far l’amore, ma senza<br />

sua madre sotto di lui. Ed è così che mi troverà,<br />

<strong>in</strong>vece, e vedrà il mio sesso ... <strong>la</strong> cui funzione, dunque,<br />

sarà pura .... senza utilità come nelle masturbazioni,<br />

del ragazzo, appunto ... quando un ragazzo si sente,<br />

nel pugno un sesso di padre, ma privo<br />

del privilegio di fecondare,<br />

come un grande albero senza ombra».<br />

È <strong>in</strong>evitabile pertanto, che questa regressione si traduca <strong>in</strong> un processo di detronizzazione, di<br />

cannibalizzazione del figlio stesso:<br />

«Ci sono delle epoche nel mondo<br />

<strong>in</strong> cui i padri degenerano<br />

e uccidono i loro figli<br />

compiono dei regicidi».<br />

In «Orgia», al contrario, è il rapporto coniugale ad essere attraversato da una simile furia demolitrice,<br />

con un transfert ed osmosi <strong>in</strong>terne, f<strong>in</strong>ché l’uomo, il cui cuore si è <strong>in</strong>durito «come un membro», l’Uomo<br />

che ha sacrificato, novello Isacco senza più Angelo che lo fermi, l’<strong>in</strong>tera famiglia, s’è femm<strong>in</strong>ilizzato <strong>in</strong> un<br />

cerimoniale psicotico e dissociativo che allude a Genet.<br />

È questa creatura spettrale che sbuca all’<strong>in</strong>izio di «Orgia», a suicidio avvenuto, è quest’Uomo apparso a<br />

dec<strong>la</strong>marci <strong>la</strong> sua triste storia, il personaggio forse più rappresentativo del teatro pasol<strong>in</strong>iano, colui che<br />

s’è <strong>in</strong>oltrato più a fondo nel tunnel senza ritorno di una crudeltà autodiretta e autodistruttiva, colui che<br />

monta sul<strong>la</strong> scena, <strong>in</strong> cui non saliranno mai operai come nel sogno del «Calderon», col<strong>la</strong> testa <strong>in</strong> mano,<br />

avendo al<strong>la</strong> lettera perso questa testa, e potendo <strong>qui</strong>ndi percepire il mondo appunto senza testa, al di là<br />

del bene e del male, del<strong>la</strong> vita e del<strong>la</strong> morte.<br />

Questo narratore funebre lo ritroviamo <strong>in</strong> «Affabu<strong>la</strong>zione», sdoppiato nei due simu<strong>la</strong>cri complementari<br />

dell’Io epico e giudicante, immag<strong>in</strong>e di Sofocle, del padre disperato, obsédé dai propri fantasmi.<br />

«Affabu<strong>la</strong>zione» è pure un dramma a tesi, se lo si legge al<strong>la</strong> luce del «Manifesto del Nuovo Teatro» del<br />

‘68.<br />

Questo funebre «auto da fè» rivendica una nobile orig<strong>in</strong>e, una <strong>in</strong>dipendenza <strong>in</strong> quanto «micro<br />

Accademia» dal<strong>la</strong> lontana democrazia ateniese, una aura di circuito chiuso dove mittenti e dest<strong>in</strong>atari del<br />

testo-lettura siano rigorosamente sullo stesso piano di «competenza culturale», <strong>in</strong> una trasparenza<br />

specu<strong>la</strong>re che consenta eventuali rotazioni nelle parti <strong>in</strong> gioco.<br />

Teatro di paro<strong>la</strong>, scritto <strong>in</strong>nanzi tutto per <strong>la</strong> mente che lo ripercorre, spunto recitati vo da consumarsi <strong>in</strong><br />

esercizi di «autodidattica», oratorio i cui <strong>in</strong>terpreti, secondo l’utopia pasol<strong>in</strong>iana, dovrebbero essere i soli<br />

ascoltatori e <strong>in</strong> cui a far<strong>la</strong> da protagonisti non sono i personaggi, ma le idee che crescono e si spostano<br />

grazie allo scambio problematico tra scena e sa<strong>la</strong>.<br />

Pasol<strong>in</strong>i, si sa, parodizzava <strong>in</strong> quegli anni, i vari modelli di «rito» teatrale del «mercato», da quello basato<br />

sul<strong>la</strong> figura carismatica del mattatore al revival pseudo-sacrale dell’americanismo del Liv<strong>in</strong>g, dal politicocomiziante<br />

al mondano-sociale (quest’ultimo irreversibilmente spiazzato per <strong>la</strong> concorrenza trionfante<br />

del<strong>la</strong> civiltà audiovisiva). Per certi versi, allora, il nuovo schema agita paradossalmente <strong>la</strong> memoria del<br />

«Lehrstück» brechtiano, del dramma didattico concepito dal drammaturgo tedesco tra le ce neri del<strong>la</strong><br />

Repubblica di Weimar: là, il processo dell’«autodramma», ossia di copioni scritti esclusivamente per gli<br />

esecutori militanti, <strong>in</strong>tendeva agevo<strong>la</strong>re l’<strong>in</strong>teriorizzazione del<strong>la</strong> dialettica hegeliana <strong>in</strong> una strategia<br />

rivoluzionaria del mutamento anche personale. Qui <strong>in</strong>vece, <strong>in</strong> un orizzonte azzerato ideologicamente per<br />

<strong>la</strong> caduta di tutti i miti, dal<strong>la</strong> resistenza al<strong>la</strong> cultura popo<strong>la</strong>re, dal progetto alternativo al<strong>la</strong> rivoluzione<br />

stessa, viene ribadito <strong>in</strong> dimensioni ridotte il mandato sociale dell’<strong>in</strong>tellettuale tramite <strong>la</strong> moltiplicazione<br />

<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ita di zone periferiche decentrate, <strong>in</strong> cui avviare <strong>la</strong> sotterranea educazione al dialogo.<br />

Nessun divertimento, nessun gusto scandalistico, nessuna catarsi, nessuna tautologia, assicurati,<br />

viceversa, come Pasol<strong>in</strong>i annotava polemicamente, dal teatro del<strong>la</strong> chiacchiera e dal teatro dell’urlo, ossia<br />

dal teatro naturalistico-mimetico gastronomico e dal teatro gestuale-sperimentale, <strong>in</strong> cui Pasol<strong>in</strong>i<br />

racchiude un po’ sbrigativamente le tendenze del teatro italiano sul f<strong>in</strong>ire degli anni ‘<strong>60</strong>.<br />

«Affabu<strong>la</strong>zione» rientra così <strong>in</strong> una specie di didattica illum<strong>in</strong>ata al<strong>la</strong> notte romantica: antipopulista per<br />

eccellenza, un po’ esoterico ed elitario pur nel<strong>la</strong> prefissata proliferazione del proprio modello, questo<br />

schema contraddittorio mantiene tutto il fasc<strong>in</strong>o di un «discorso sul teatro al di fuori del teatro», <strong>in</strong> una<br />

prospettiva «postuma», <strong>in</strong> una tensione poetica-adolescenziale che ignora volutamente le leggi del<strong>la</strong><br />

macch<strong>in</strong>a dello spettacolo, che sabota sadicamente <strong>la</strong> tradizione dell’<strong>in</strong>terprete, le esigenze dello<br />

spettatore, i calcoli degli impresari o <strong>la</strong> velleità del militante! Per ritrovare una simile «<strong>in</strong>esperienza», una<br />

analoga aggressività contro lo specifico professionale, dobbiamo risalire, per restare nell’ambito italiano<br />

del nostro secolo, proprio ai citati «sogni» niciani del giovane D’Annunzio gettati coll’ardore del neofita,<br />

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