È soltanto nel secondo caso che si scopre un’apertura, l’atteggiamento libero di fronte al “vivere” e <strong>la</strong> necessità del “narrare”, del momento e dell’oggetto, che ac<strong>qui</strong>sta un valore autonomo caricandosi d’ambiguità e <strong>qui</strong>ndi di significati autentici e non coatti. È sul piano dell’essere che <strong>la</strong> poesia deve giustificarsi. Scambiare una modificazione di questo piano, o un suo spostamento, con il nul<strong>la</strong>, è assolutamente imperdonabile (1). Antonio Porta [Questo articolo è apparso <strong>in</strong> «Malebolge. Rivista di letteratura» (anno I, numero 2, 1964, pp. 57-59). Lo riproponiamo per gentile concessione di Rosemary Porta.] Note. (1) Non vorrei che qualche male <strong>in</strong>tenzionato scambiasse queste affermazioni come una sorta di adesione al cosiddetto “nuovo umanesimo” che, come è noto, facendo un uso improprio di term<strong>in</strong>i propri, è diventato <strong>la</strong> bandiera dei rivoluzionari f<strong>in</strong>ti (sì, sono proprio di cera), ultima cartuccia del<strong>la</strong> conservazione a tutti i costi, e immag<strong>in</strong>e patetica dei rappresentanti di una cultura che, pur senza esistere, non vogliono vivere. 44
IL SASSO E L’UOVO. BECKETT E ANTONIO PORTA. What’s that? An egg? By the brothers Boot it st<strong>in</strong>ks fresh. Whoroscope In due circostanze <strong>la</strong> fluttuante ma sostanzialmente fedele a se stessa l<strong>in</strong>ea di sviluppo dell’opera portiana ha costeggiato <strong>la</strong> formazione basaltica di Samuel Beckett, venendone deviata, e dovendosi così scavare altrove il suo camm<strong>in</strong>o. Due <strong>in</strong>contri non sembrerebbero un granché per stabilire un rapporto, meno che mai un condizionamento, specie quando, come <strong>in</strong> questo caso, consegnati a un breve scritto d’occasione e al<strong>la</strong> menzione all’<strong>in</strong>terno di una poesia. Il giudizio espresso da Porta, <strong>in</strong>oltre, è <strong>in</strong> entrambi i casi recisamente negativo. Porta è l’<strong>in</strong>esauribile provocatore di forme, l’aperto e generoso protagonista di un’attività, creativa e più <strong>la</strong>rgamente <strong>in</strong>tellettuale, <strong>in</strong>tesa come dispendio di energia psichica e fisica nell’opera, dapprima furibonda, e poi sempre più distesa <strong>in</strong> una sia pur problematica serenità, di attraversamento e manipo<strong>la</strong>zione dei l<strong>in</strong>guaggi, dei generi e delle maniere letterarie, per scuoterli tutti e farli comunicare con un «fondo», con una «realtà», che accomuni scrittori, lettori, non lettori. Poteva dunque un’<strong>in</strong>telligenza siffatta solidarizzare con il «terribile semplificatore», il «semplificatore dell’orrore» (1), al<strong>la</strong> ricerca per tutta <strong>la</strong> vita, furiosamente a sua volta, di un livello energetico più vic<strong>in</strong>o possibile allo zero, e di un l<strong>in</strong>guaggio, per giunta anche non verbale da un certo punto <strong>in</strong> poi, assottigliato e condotto quasi (ma quasi) all’evanescenza? Tuttavia, doverosamente registrata <strong>la</strong> profonda avversione, e proprio da quel<strong>la</strong> prendendo avvio, si può ipotizzare che non ci siano solo <strong>in</strong>differenza ed estraneità, e che quei due m<strong>in</strong>imi punti di <strong>in</strong>tersezione si possano vedere come affioramenti di una tessitura più complicata, e più nascosta. Intanto, a leggere bene, si constata come dagli accenni portiani si ricavi un’immag<strong>in</strong>e di Beckett. Un’immag<strong>in</strong>e uni<strong>la</strong>terale, per <strong>la</strong> mancanza di feed-back, un sommario profilo di Beckett osservato dal<strong>la</strong> lente di Porta, e dunque potentemente idios<strong>in</strong>cratico, tutto sottomesso all’<strong>in</strong>flessibile programma di ricerca e di azione del poeta lombardo. Forse quest’immag<strong>in</strong>e diventa un punto di riferimento, non palese, polemico e oppositivo quanto si vuole, per <strong>la</strong> costruzione del<strong>la</strong> propria identità, per tracciare <strong>la</strong> rotta: una sorta di grande barriera corall<strong>in</strong>a da cui tenersi a debita distanza. Un <strong>in</strong>dizio che sp<strong>in</strong>ge a cercare <strong>in</strong> questa direzione è che le due apparizioni beckettiane nel corpus di Porta si situano cronologicamente <strong>in</strong> passaggi cruciali, <strong>la</strong> prima nel 1965, quando anche le ultime poesie che entreranno nel<strong>la</strong> raccolta d’esordio I rapporti (<strong>in</strong> cui l’autore, per dir<strong>la</strong> con Giuliani, si confesserà togliendosi di mezzo) sono state scritte; l’altra nel 1978, anno cui bisogna datare, con l’uscita del Re del magazz<strong>in</strong>o, il cambio di direzione (non lo strappo) che Porta imprime al<strong>la</strong> sua scrittura. Forse si può provare a raccontare questa storia poco evidente, ripercorrere le tappe di un’ostilità che probabilmente affonda le radici <strong>in</strong> un fermento di problemi, ostacoli e blocchi comune; e che certo conduce a modi assai diversi di fronteggiarli. Nel 1965 Porta recensisce, sul secondo numero di «Malebolge», le beckettiane, giovanili, Poesie <strong>in</strong> <strong>in</strong>glese, appena tradotte da Rodolfo Wilcock e pubblicate nel<strong>la</strong> «Collezione di poesia» E<strong>in</strong>audi (2). Si tratta, dichiaratamente, di una recensione militante, scritta soprattutto perché i testi «danno <strong>la</strong> possibilità di compiere alcune ricognizioni e di proporre alcune conclusioni che <strong>in</strong>teressano quel<strong>la</strong> che chiamiamo <strong>la</strong> “nostra poesia”, cioè <strong>la</strong> poesia “di oggi”». Porta, che analizzando le varianti apportate da Beckett nelle versioni francesi di Quatres poèmes non si perita di entrare nell’offic<strong>in</strong>a e di suggerire spavaldamente soluzioni alternative, nelle sue tre dense pag<strong>in</strong>e eccepisce duramente a ciò che gli pare di scorgere nei versi letti. È un rifiuto chiaramente artico<strong>la</strong>to su alcuni punti critici. Per prima cosa Beckett sarebbe ancora legato a una temperie culturale primonovecentesca, segnata da un radicale pessimismo sulle possibilità del<strong>la</strong> conoscenza, comunque si decl<strong>in</strong>i, di giungere a un vero contatto con <strong>la</strong> realtà; ne conseguirebbe un atteggiamento di completa ripulsa di una serie di immag<strong>in</strong>i del mondo percepite come <strong>in</strong>autentiche, screziata però da un’<strong>in</strong>sopprimibile nostalgia per quanto si è perduto, ovvero il grande ord<strong>in</strong>e borghese ottocentesco. A proposito di Whoroscope <strong>la</strong> perplessità nasce f<strong>in</strong> dal titolo: l’oroscopo puttana, l’oroscopo che non conta niente, ma però abbastanza per essere maledetto o <strong>in</strong>sultato, il gesto di sfregio, <strong>in</strong>somma, che ha un senso, ovviamente, solo <strong>in</strong> re<strong>la</strong>zione a qualcosa che conta ancora: non l’oroscopo certamente, ma un certo tipo di idee che esso può rappresentare, al di là del<strong>la</strong> banale superstizione; di The Vulture si rileva «un eccesso di demolizione f<strong>in</strong>ale» che «sembra rive<strong>la</strong>re i s<strong>in</strong>tomi di un rifiuto dell’esistenza, un sentimento del<strong>la</strong> “nausea”, una conseguenza del<strong>la</strong> mistica del “nul<strong>la</strong>”»; e l’appariscente ancorché funereo (e <strong>in</strong> questo già profondamente diverso dal modello joyciano) utilizzo del<strong>la</strong> metafora viene degradato a escamotage che «traspone cont<strong>in</strong>uamente l’esperienza da “fatto” esistenziale a riferimento metafisico, <strong>in</strong> re<strong>la</strong>zione con qualcosa d’altro che si rifiuta o si rimpiange». Da ciò discende <strong>la</strong> seconda imputazione presentata da Porta, vale a dire «un eccesso di “personalismo” nel senso del<strong>la</strong> protesta <strong>in</strong>dividuale verso il dest<strong>in</strong>o <strong>in</strong>fame, il mondo dei valori, <strong>la</strong> f<strong>in</strong>e di tutto»; è dall’<strong>in</strong>ane rimpianto del vecchio soggetto espropriato delle sue alte prerogative che prenderebbe orig<strong>in</strong>e, nel<strong>la</strong> poesia 45
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