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del cosmo, <strong>la</strong>ddove un tempo falliva. Ed è rilevante che il “sollevamento” del<strong>la</strong> voce non riconduca, nelle<br />

<strong>in</strong>tenzioni dell’autore, alle gabbie del poeta-io, cioè del soggetto psicologico con le sue <strong>in</strong>crostazioni<br />

percettive e <strong>in</strong>tellettuali. In occasione di questo passaggio, l’ombra di Beckett torna a comparire. Questa<br />

è <strong>la</strong> Lettera n. 4 (16):<br />

Non sono un poeta-ciotolo come Beckett<br />

non <strong>in</strong>terrogo i cieli di cartapesta del teatro<br />

vi confesso che non so <strong>in</strong>terpretare le costel<strong>la</strong>zioni<br />

né stare lì a guardarle dal buco del cortile a meraviglia<br />

ma uso quelle delle parole a mosaico compongo e ricompongo<br />

per par<strong>la</strong>r<strong>la</strong> <strong>in</strong>sieme questa l<strong>in</strong>gua questi l<strong>in</strong>guaggi<br />

solleviamo<strong>la</strong> <strong>la</strong> l<strong>in</strong>gua a vedere che c’è sotto<br />

parliamo<strong>la</strong> <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> sve<strong>la</strong>ta con le radici senza pudore<br />

(questo biglietto vi consegno a futura memoria)<br />

In questi versi, che, con il loro empito a una l<strong>in</strong>gua <strong>in</strong>sieme del<strong>la</strong> poesia e del<strong>la</strong> comunità, perché<br />

semplice e nel<strong>la</strong> sua leggerezza rive<strong>la</strong>trice del proprio radicamento, contengono buona parte del<strong>la</strong> poetica<br />

portiana degli anni Ottanta, tre luoghi dell’opera di Beckett, <strong>in</strong>tenzionata così parte pro toto, sono<br />

condensati e nuovamente fatti oggetto di negazione. Utilizzando l’espressione «poeta-ciotolo» Porta<br />

allude ad una costante beckettiana assoluta, <strong>la</strong> tendenza dei suoi personaggi a pietrificarsi per arrestare<br />

def<strong>in</strong>itivamente lo scorrimento degli anche più tenui fluidi vitali, elim<strong>in</strong>ando il sentire e regredendo f<strong>in</strong>o<br />

al<strong>la</strong> materia <strong>in</strong>organica. In Watt, Arsène vagheggia di diventare una statua; <strong>in</strong> F<strong>in</strong>ale di partita Clov<br />

troverebbe pace venendo mutato <strong>in</strong> un «sassol<strong>in</strong>o nel<strong>la</strong> steppa»; Molloy succhia pietruzze, facendole<br />

circo<strong>la</strong>re fra mani, bocca e tasche <strong>in</strong> una grande macch<strong>in</strong>a schizofrenica, per p<strong>la</strong>care <strong>la</strong> fame e <strong>la</strong> sete<br />

(naturalmente senza mangiare); e avanti così f<strong>in</strong>o a Mal vu mal dit, con il suo «<strong>la</strong> voilà donc comme<br />

changée en pierre face à <strong>la</strong> nuit». Ma se quel<strong>la</strong> di Porta è una citazione precisa, allora potrebbe venire<br />

dall’ottavo dei Testi per nul<strong>la</strong> (17):<br />

Senza quale speranza, l’ho detto ora, quel<strong>la</strong> di vedermi vivo, e non solo <strong>in</strong> una testa immag<strong>in</strong>aria, un ciottolo votato<br />

al<strong>la</strong> sabbia, sotto un cielo mutevole, e che cambia un po’ di posto, ogni giorno, ogni notte, come se potesse essere<br />

d’aiuto, a diventare meno, sempre di meno, senza mai sparire.<br />

Con quell’<strong>in</strong>terrogare «i cieli di cartapesta del teatro» è probabile che Porta si riferisca ai non <strong>in</strong>frequenti<br />

passaggi di Aspettando Godot <strong>in</strong> cui V<strong>la</strong>dimiro e Estragone guardano il cielo notturno (18); mentre ci<br />

sono pochi dubbi che l’accenno all’<strong>in</strong>terpretazione delle stelle sia una rem<strong>in</strong>iscenza di Whoroscope, <strong>in</strong> cui<br />

Cartesio compi<strong>la</strong> oroscopi per riempire il tempo che lo separa dal<strong>la</strong> sua «second / starless <strong>in</strong>scrutable<br />

hour», dal momento del<strong>la</strong> sua morte.<br />

Sembra tutto chiaro. Il rapporto con Beckett serve anche <strong>in</strong> questo caso a disegnare uno schema<br />

contrastivo, l’affermazione contro <strong>la</strong> negazione, i mosaici di parole piene contro <strong>la</strong> pietra e <strong>la</strong> cartapesta.<br />

Ma le cose non sono così semplici, e diversi motivi si oppongono ad una lettura tanto pacifica.<br />

Innanzitutto i personaggi di Beckett sono quasi m<strong>in</strong>eralizzati, quasi morti; ma non <strong>in</strong>terrompono mai <strong>la</strong><br />

loro attività, ridotta a un «fremito fermo» ma sempre, tenacemente, presente. È uno dei marchi di<br />

fabbrica dello scrittore ir<strong>la</strong>ndese; si cont<strong>in</strong>ua <strong>in</strong>cessantemente a f<strong>in</strong>ire, <strong>la</strong> paro<strong>la</strong>, per dire <strong>la</strong> sua f<strong>in</strong>e, non<br />

smette mai di pronunciarsi, c’è sempre un «m<strong>in</strong>or m<strong>in</strong>imo», un «<strong>in</strong>annientabile m<strong>in</strong>imo» da raggiungere.<br />

Se tutta l’opera di Porta si può raccogliere nel motto «Sì. Ancora», un doppio, entusiastico assenso a<br />

tutto ciò che accade (19), non è possibile opporle direttamente l’esperienza beckettiana all’<strong>in</strong>segna di un<br />

tutto negativo «No, basta». Questa si dispiega <strong>in</strong>vece sotto l’impulso di qualcosa come un «No. Ancora»,<br />

o meglio di un paradossale «Basta. Ancora» <strong>in</strong> cui i due avverbi andrebbero pensati simultaneamente.<br />

Questa è una considerazione che Porta certamente non avrebbe condiviso, tuttavia resta da spiegare<br />

come mai egli abbia sentito così forte <strong>la</strong> necessità di mettere un’altra volta <strong>in</strong> evidenza, all’<strong>in</strong>terno di una<br />

dichiarazione di poetica <strong>in</strong> piena rego<strong>la</strong>, il suo rifiuto del grande negatore. A guardare meglio, <strong>in</strong>fatti, non<br />

è difficile scoprire una serie coesa di analogie tra i due scrittori, partendo proprio dal Re del magazz<strong>in</strong>o e<br />

dal suo protagonista, senza dubbio <strong>la</strong> figura più beckettiana, <strong>in</strong> un senso che vedremo subito, mai creata<br />

da Antonio Porta. Il romanzo, ambientato <strong>in</strong> Italia settentrionale, mette <strong>in</strong> scena <strong>la</strong> crisi catastrofica<br />

dell’Occidente capitalista, provocata dallo sfruttamento delle risorse e dalle specu<strong>la</strong>zioni f<strong>in</strong>anziarie, e<br />

costel<strong>la</strong>ta da violenze e rivolte popo<strong>la</strong>ri, e il conseguente stato di regressione e di anarchia. Il<br />

personaggio, colui che scrive il diario, si ritira <strong>in</strong> un vecchio capanno iso<strong>la</strong>to e vi conduce una vita sempre<br />

più stentata. Lo scorrere dei suoi ultimi giorni lo rende assai somigliante ai menomati di Beckett; sempre<br />

meno cibo, sempre meno acqua, calo drastico delle energie; progressiva riduzione del movimento, dalle<br />

lunghe passeggiate degli <strong>in</strong>izi f<strong>in</strong>o al<strong>la</strong> quasi totale immobilità, da sdraiato o da seduto, dei giorni<br />

postremi; rapido processo di ottundimento (20). Al trattamento del<strong>la</strong> figura umana si associa una<br />

semplificazione degli sfondi dell’azione (dal<strong>la</strong> città ai campi f<strong>in</strong>o al<strong>la</strong> reclusione nel «casotto» nel<strong>la</strong><br />

fattispecie del romanzo <strong>in</strong> questione), che potrà arrivare f<strong>in</strong>o all’azzeramento del «poema per il teatro» La<br />

festa del cavallo, ambientato <strong>in</strong> uno spazio desertico, anche <strong>qui</strong> dopo un’imprecisata catastrofe (forse<br />

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